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I sette nani giocano a baseball

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I sette nani giocano a baseball
1
Hai avuto problemi psichiatrici?
Hai 50 anni e sei mantenuto dai tuoi?
Sei un semplice disadattato?
Non sai più dove sbattere la testa?
LAVORA
con
MATTI A COTTIMO
(
[email protected]
Matti a Cottimo è una rete di inserimento lavorativo che
mette in connessione l'offerta di competenze professionali dei
matti con la domanda del mercato. Chi sono i Matti di Matti a Cottimo? Siamo noi, persone sensibili che hanno attraversato crisi personali profonde e hanno difficoltà a reinserirsi nel mondo del lavoro. Noi
siamo portatori di capacità lavorative che faticano ad incontrare la
domanda del mercato, pur possedendo competenze in molti campi. Per questo Matti a Cottimo si struttura in gruppi di lavoro composti
da persone con simili competenze, che possono far fronte a moltissime richieste lavorative condividendo tempi e responsabilità, al fine
di portare a termine le commesse nel rispetto della qualità del lavoro,
della competitività dei prezzi e della sostenibilità e tutela per le persone che lo svolgono. Se hai già avuto una qualsivoglia esperienza nel mondo del lavoro e hai bisogno di guadagnarti la pagnotta
manda una mail con il tuo curriculm nella casella di posta elettronica: [email protected]. Se hai bisogno di: Manutenzione
Elettrica e Idraulica a Domicilio, Traslochi, Promozione e Merchandising, Volantinaggio, Decorazione e Restauro Ligneo, Terapie Olistiche Personalizzate, Illustrazione e Grafica Web, Agricoltura e Conservazione Cibi, Riprese e Montaggio Video, Sartoria e Riparazioni,
Allestimento Vetrine e Scenografia.... Chiama il 331 9394665.
MAD
PRIDE
7 6 5
APERIODICO FONDATO IL 13 GENNAIO 2012
DIRETTORE: LORENZO PEYRANI
L'estate sta finendo e un anno se ne va, sto diventando grande lo sai che non mi va
I sette nani giocano a baseball
Polifonia cartacea in tre movimenti: moderato con brio; largo; ancora più largo
EDITORIALE
take 7
LORENZO PEYRANI
3319394665
TORINO
8
2
3
4
SABATO 14 GIUGNO 2014
PIAZZA CARLO FELICE ORE 14:00
La passeggiata dello schizofrenico:
un modello migliore
di quella del nevrotico sul divano
V
icini. In questo tempo che non è
un viaggio. Che non è una stanza. Stringete la mano: stringerete
il tempo. Tenete in mano la nostra sesta
uscita, il “Numero Sette”. Niente di straordinario: cosa c’è di meglio del giornale
di oggi se non quello di domani? Perciò,
un numero incentrato più che mai sull’informazione, quella del futuro prossimo.
Per realizzare un prodigio siffatto non c'è
che da "immaginare correttamente", ovvero divinare: tenendo a mente che, come
l'acqua scorre a valle ogni cosa tende al
peggio, non è difficile seguire gli sviluppi
futuri di tante faccende. Anche i classici
sapevano che il dono di profezia si ottiene
elettrificando l'umor nero della melanconia con l'ambra dell'immaginazione. Ecco
il nostro futuro, quindi: il Torino Mad
Pride, il movimento per l'orgoglio dei deficienti mentali, è stato finanziato dall'Unione Europea, e ad oggi sta venendo realizzato un documentario sui fatti che ci
hanno portati qui. La Sveglia diventerà un
grande portale web , che formerà anche la
piattaforma per la Cooperativa Sociale di
inserimento lavorativo "Matti a Cottimo".
Intanto però i potenti, quegli stessi che ci
hanno finanziato, mirano a un mondo in
antitesi con i nostri ideali. Il Mental Health
Action Plan 2013-2020 è un piano mondiale di gestione della salute pubblica e
di commercializzazione dei farmaci che
punta a eliminare lo stigma nei confronti
delle malattie mentali per vendere di più.
Forse che, attraverso le sofferenze della follia, il nostro corpo sarà redento?
Sarebbe la speranza di tanti borghesi,
che da dietro un vetro filosofeggiano:
“la Madonna stringe il corpo del matto
sacrificato, a comporre una Pietà vagamente blasfema”, inconsapevoli di stare
facendo solo il gioco dei loro secondini.
“Combattere lo stigma e vendere più
medicine” sono le parole d’ordine di
questi ultimi. Capita così che anche associazioni innocenti e volenterose come
la nostra servano ai piovroni del male,
schiave degli schiavi degli schiavi, come
tutti. E invece no. Noi no, non siamo
capri espiatori. Mad Pride: riprendiamoci lo stigma, che il Matto abbia il suo
Crisma. Temiateci, perché siamo l’altro:
quello che era venuto a portare la spada.
PSICHIATRIA
E INTERNAMENTO
Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari sono fuorilegge ma continuano ad
e s i s t e r e . A b b i a m o p a rlato a una persona che
ci ha passato dieci anni.
CAVALLI A PAG. 5
TORINO MAD PRIDE
IN EUROPA
Abbiamo vinto un bando del fondo comunale
europeo e portato a casa
migliaia di euro. Come?
SANDRETTI A PAG. 18
APPROFONDIMENTI
Food and Drug Administration
Come cambierà il mondo della
salute mentale nei prossimi otto
anni, e perché? Quali interessi si
nascondono dietro la famigera-
ta FDA? Quali le collusioni con
la World Health Organization?
A PAG.2
Wilhelm Reich PAG. 15
Magia PAG. 8
Viaggi nel tempo PAG. 16
Arte PAGG. 21-22
Buonanotte
SIMONE SANDRETTI
Esistono: l'ordine e la disciplina, l'arrendersi al caos, l'ordine di arrendersi, la disciplina del caso. Parlerò qui della
quarta tra queste opzioni, che in quanto pari sono un insieme di scelte possibili che si equivalgono in valore ma
differiscono nei risultati. Ordine e disciplina generano
consolidamento piramidale e talvolta degenerano nella
Guerra. Arrendersi al Caos genera distruzione sferoidale
e talvolta fiorisce nell'Arte. Arrendersi all'Ordine genera
attraversamento spiraliforme e talvolta si ricongiunge
nell'Essere. La Disciplina del Caos genera gravitazione
elicoidale e talvolta si trasforma nell'Infinito. La disciplina del caos mi ha sedotto sin dall'inizio perché io, in
quanto ipocrita e conformista dell'anticonformismo,
amo ciò che viene praticato da pochi e aborro l'abitudine.
Ma una pratica di vita in cui basterebbe lasciarsi andare
ai propri desideri in maniera disciplinata, lo stereotipo
del dandismo, presto si infrange di fronte allo speccchio
che ci ritrae. Nessun maestro è stato ancora in grado di
insegnarci la disciplina del caos, essa pertanto ci appare come un baratro in cui tuffarsi o come un vortice da
NUMERO SETTE
cui lasciarsi trascinare via. Invece il Caos, estremamente
femminile, si appropria della mascolinità dell'ordine attraverso la sua resa, il suo darsi all'essere. Lasciandosi sedurre dall'ordine, si ingravida e nutre l'infinito con il suo
sangue. Credo che valga la pena di proporre a noi utenti
psichiatrici, e in generale a chi lo vuole, un'alternativa
alla cura del male. La disciplina del caos non è una terapia basata sulla riduzione o sulla capacità di gestione dei
propri sintomi. La disciplina del caos è solamente l'arte
di guardare allo specchio la propria maschera con il dovuto distacco. Il distacco genera distanza, e la disciplina
è in grado di determinare la giusta distanza. Respiro, o
meglio, sono respirato; cado, ma all'infinito. Occorre che
Alice attraversi lo specchio, occorre che lei cada nel buco.
Chi ci propone di scegliere tra le due opzioni spesso non
si rende conto che tra di esse c'è solo il nulla, che soffia
sottile da sempre e per sempre. Ora voglio cospargermi
d'olio e condirmi con l'acido della sua fica. L'essere respira dall'infinito all'infinito, la guerra genera i mondi, la
forma dell'arte è la vita. Buonanotte.
23
2
Torino Mad Pride anti-psichiatrico?
Un chiarimento di posizione necessario, nel quadro del nostro dialogo con le istituzioni
LORENZO PEYRANI
S
ull’ormai lontano Numero 2 de “La Sveglia”
veniva pubblicato l’articolo sulla tragica vicenda di Silvia Moschini, articolo che avrebbe poi causato una cesura fra il giornale stesso e
il servizio pubblico, l’ASL, perché vi si leggeva
un’accusa di incompetenza loro diretta. In occasione delle riprese del documentario “Matti A
Cottimo - Strategie Di Sopravvivenza”, abbiamo
intervistato la Dott. Vilma Xocco, direttrice del
Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL 1 di Torino, che ha espresso il suo malcontento e la sfiducia nei confronti del giornale e, conseguentemente, del Mad Pride. Vorremmo cogliere l’occasione
per riaprire il dialogo e chiarificare la nostra posizione. Seguono scampoli tratti dalla registrazione,
ai quali vorremmo dare una risposta.
[…] Non posso accettare di mettermi in relazione con delle persone, lavorare insieme e poi
vedere che vengo sputtanata nel loro giornalino.
Tutti sbagliamo, se tu hai da dire una cosa sul
mio servizio, vieni, me la dici e ne parliamo. Ci
confrontiamo. La mia idea non è quella di una
democratizzazione coatta per cui pubblicare indiscriminatamente qualsiasi voce, anche se va a
danneggiare qualcun altro, senza peraltro verificarne la veridicità. Non è che io ti rispetto e tu mi
spari dietro scrivendo nefandezze sui giornali
senza neanche venirmi a chiedere qualcosa. […]
Neanche questa redazione ragiona solo in termini di democratizzazione. Al contrario, esiste una
determinazione a tenere vivo il contraddittorio
che si spinge fino a creare falsi. Sembrerà difficile
da credere, ma la mistificazione che esercitiamo
sui contenuti del giornale in redazione è volta più
spesso a controbilanciare le posizioni di chi spara
a zero sulla psichiatria piuttosto che a calcare la
mano. Questo perché la maggior parte dei lettori
attivi de “La Sveglia”, quelli che ci sottopongono
le loro storie, hanno un’opinione molto negativa
del servizio pubblico. Noi ci applichiamo, a costo
di scrivere articoli sotto pseudonimo, nell’esercizio dell’autocritica e, se non ci siamo ancora spinti
a scrivere vere apologie della psichiatria, quantomeno lanciamo visioni diagonali; questo perché
troppo spesso chi crede di avere un’opinione
opposta alla nostra semplicemente non ci scrive.
In aggiunta, una delle funzioni del Mad Pride è
quella di vigilare sugli abusi e fare da megafono
a chi si rivolge a noi per raccontare la sua storia.
Quindi ci saranno sempre una pagina o due della
Sveglia che daranno fastidio agli addetti ai lavori,
ma credo che questo valga per qualsiasi istituzione nei confronti di un giornale indipendente.
Infine, vorrei dire che l’articolo su Giorgia non era
inteso come critica all’ASL. Si voleva raccontare la
sua storia e far riflettere, come tutte le storie di vite
spezzate fanno riflettere. Non era un dito puntato.
[…] Un’altra cosa con la quale mi trovo in grande disaccordo con voi è questa matrice antipsichiatrica che avverto in alcuni vostri componenti. Non farei la psichiatra. Per me la malattia
mentale è una malattia e cerco di curarla. Uno
quando pensa di essere matto non può andarne
fiero; come per un problema al cuore, preferirebbe che non ci fosse. […]
La Sveglia e il Torino Mad Pride sono frutto di volontà molteplici e in continuo mutamento; ciono-
nostante alcune problematiche sono state sviscerate a lungo e ormai le nostre posizioni si stanno
radicando; così, mi sento di porre un distinguo:
non siamo anti-psichiatrici ma vorremmo una
psichiatria diversa. Non condividiamo le definizioni di malattia mentale, quindi spesso non condividiamo le finalità e le modalità della psichiatria. E questo ci porta al secondo punto, quello su
cui veramente ci troviamo in disaccordo, come
d’altra parte è naturale che sia. Per noi la “malattia
mentale” non è assimilabile a una malattia fisica,
non andrebbe chiamata così. Un problema al cuore è proprio quella che riteniamo una cattiva metafora di “malattia mentale”. I cosiddetti disturbi
della personalità ci appaiono come una cartina
geografica della psiche e della società umane,
piuttosto che mostrare i tratti di una malattia,
estranea come un virus. Rinvio agli altri articoli
del giornale, che, più o meno specificamente, riguardano tutti quest’argomento e spero, anche a
titolo personale, che questa div+ergenza possa essere accettata e dar luogo a un dialogo costruttivo.
Per lasciare un'inserzione gratuita o per rispondere agli annunci, chiama Rosa al 3319394665
Azota L81 - Mi offro per
lezioni di chitarra per principianti. Mi interesserebbe
fare lezioni di filosofia per
matti. Tra l'altro pensavo di
mettere il cercasi offresi in
giro, come locandina pubblicitaria
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Ugo Z56 - Cerco gente
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Chiara Abbà del TMP a colloquio con Vilma Xocco
Mental Health - Action Plan 2013-2020
Le nuove strategie a livello mondiale e gli interessi che le guidano
GIORGIO SICCARDI*
L’
L'amore e il denaro Il cercatrova dei matti a cottimo
anno scorso la World Health Organization ha presentato il nuovo piano
d’azione mondiale per la salute mentale (Mental Health - Action Plan),
che definisce le linee guida e gli obiettivi da perseguire in questo campo
fino al 2020. Scorrendo il programma, balza alla nostra attenzione l’importanza
data (relativamente al lavoro sul territorio) alle associazioni come la nostra, cioè
quelle associazioni che dovrebbero “combattere lo stigma relativo alla
malattia mentale”. Apparentemente siamo di fronte a buoni propositi,
investimenti nel sociale rarissimi in questi tempi di tagli forsennati.
O forse piuttosto, come spesso accade, dietro questa facciata si nascondono degli interessi economici. Senza entrare nello specifico,
in questo breve articolo proveremo a tracciare alcuni collegamenti,
utili anche per riconsiderare le nostre posizioni come Torino Mad
Pride. Il nostro interrogativo: da dove arrivano i soldi destinati al sociale, e cosa sperano di guadagnarci gli investitori? Abbiamo visto come
la tendenza ad ampliare la definizione di malattia mentale già presente nel
DSM-4 sia stata riconfermata dal DSM-5, che arriva a proporre fenomeni come
stalking, sindrome premestruale e attività sessuale tra adolescenti come appartenenti al mondo dei disturbi mentali. Perché arrivare a tanto? È chiaro: perché
da ogni diagnosi discende una terapia, con conseguente somministrazione di
farmaci. Non potrebbe essere che tra i membri della World Health Organization ci sia chi subisce le pressioni delle case farmaceutiche? Che la FDA (Food
And Drug Administration) abbia interesse non solo a salvaguardare i cittadini
ma anche a rimpinguare i conti in banca di alcuni privati? Ecco svelato l’arcano,
ecco che la situazione si chiarifica: vogliono abbattere lo stigma così che nessuno abbia più paura di assumere psicofarmaci, che l’uomo comune non si vergogni a prenderli. “Ridiamo dignità ai matti per ridare dignità ai farmaci!”: un bel
salto evolutivo rispetto ai tempi, ancora fortemente ideologici, della battaglia
per i diritti. Oggi gli organi di controllo possono farsi belli degli stessi slogan
usati nel sociale; non è un caso se la lotta sembra aver perso terreno negli
ultimi trent’anni: è proprio così, il controllo oggi è molto più forte e la
situazione non fa che peggiorare: destra e sinistra, multinazionali e
volontari, collaborano alla distopia. E si capisce anche perché un’iniziativa come il Mad Pride risulti tanto controcorrente e scomoda:
Mad Pride non significa annullare le differenze tra sani e matti,
quanto piuttosto valorizzarle. Noi diciamo: i matti sono diversi dai
normali, e ne dovrebbero andare fieri. Non annullare lo stigma quindi, ma trasformarlo in carisma. Non ampliare il DSM fino a includere
chiunque, al contrario distinguere con precisione psicotici e nevrotici, tanto per
incominciare. Una visione talmente lontana da quelle prese in considerazione
nel “Mental Health - Action Plan” da risultare forse imprevista. E un’alternativa imprevista potrà sempre rivelarsi pericolosa per i “piani mondiali a medio
termine”, sul lungo termine…
*Giorgio Siccardi è sindacalista e ricercatore di Diritto Internazionale
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Parlo bene inglese e francese.
Matteo C45 - Cerco dieci centimetri di profondità
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pulito e un po' spesso, o
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Alfredo G44 - Non lasciatemi solo
Vulcano M77 - Cerco di
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ma anche di cambiarlo se
possibile in meglio. Cerco
qualcuno, e offro i miei talenti artistici.
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piena di avventure dove
ogni giorno metto a repentaglio la mia vita. Riguardo
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Matteo C07 - Mozzo offresi per ammutinamento,
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Simone S33 - Cerco angeli e demoni. La rivelazione
è vicina. Offro un corpo in
grado di sopportare la fatica e il dolore ed una mente
altamente manipolatrice.
3
22
Sperimental Gessèt
la rubrica d'arte de “La Sveglia”
Non sai disegnare
lo vai a dire
a qualcun altro
A cura di ANDREA MARCHESE
Credo che questa inflazionatissima affermazione sia davvero più volgare e superficiale di
quanto si pensi abitualmente. Innanzitutto è
un’offesa alla macchina/corpo umano e alle sue
funzioni, inoltre lo è anche nei confronti della
carta e dell’inchiostro, che passano per elementi marginali nel processo creativo. (Si vedano
per carta e inchiostro qualsiasi altro insieme di
oggetti che concorrano alla creazione di un’opera).Dico, ma ...oU! La capacità di una mano
di affrontare una chicane piuttosto che un’altra
sulla superficie disegnata influisce pochissimo
su ciò che conta.Tornando alla questione del
“saper disegnare” vorrei ricordare che spesso
per questo si intende la banale capacità di saper riprodurre nella maniera più esatta possibile dei soggetti... l’uomo/disegnatore, insomma,
viene ridotto ad una fotocopiatrice difettosa,
alla quale si perdonano le imperfezioni di copia con spirito tenero, del tipo “almeno ci è
andato vicino, è pur sempre umano”. È una
cosa, questa, che non mi va giù… perché rappresenta un malcostume che percorre trasversalmente tutti gli ambienti di cui possiamo far
parte in questa società; è una frase che potete
aver sentito dire da chiunque, o che magari tirate fuori voi stessi, quando qualcuno vi chiede di disegnare qualcosa e voi: “No, io non so
disegnare”. Io stesso ogni tanto cado in questa
trappola! Dannato me… comunque! A proposito di me, io dipingo, ho prodotto almeno una
cinquantina di tele, eppure non so rappresentare esattamente le cose che vedo, né le cose che
inizialmente potrei voler rappresentare... ecco
sì, voglio usarmi come esempio per spiegarvi
cosa intendo che sia importante nel disegno.
Ho iniziato a disegnare sulle pagine del mio
diario a scuola, senza aver mai fatto corsi di pittura o simili; cominciavo con delle linee buttate
un po’ a caso sul foglio, poi quelle iniziavano
a sembrarmi degli oggetti e allora mi spostavo
su altre porzioni di spazio, mi accorgevo che
quelle due figure potevano in qualche modo
interagire tra loro, che quella cosa che inizialmente stava per diventare un castello diventava uno scoglio su cui stava seduto un clown,
e ancora, quell’abbozzo di triangolo in basso
a sinistra poteva essere un tendone da circo...
anzi no! Un cono gelato a testa in giù, etc... In-
somma, quell’intreccio di forme iniziava a raccontarmi qualcosa, dei concetti finora inespressi, dei pensieri che mi appartenevano molto di
più rispetto a quel tentativo di riproduzione di
un paesaggio, ad esempio. Mi accorgevo che
c’era un’intensità in questo processo, la cosa
si faceva prima di tutto divertente, poi anche
profonda in un certo qual modo, rivelando
parti della mia indole nel mio affacciarmi al
mondo, un mondo sia esterno che
interno. Il processo si concludeva
con l’interpretazione di quello che
avevo vomitato, anche questo è un
passaggio che trovo molto importante a livello artistico; ciò che io
ufficialmente interpretavo da un
mio disegno essere un pennello,
ad uno spettatore appariva come
un fungo e questo proprio perchè
non c’era dietro alla creazione un
meccanismo rigido di classificazione dei soggetti, perché il disegno non era “esatto”. E poi volete
mettere la soddisfazione dell’essere incompresi? Nel corso della mia
esperienza di scarabocchiatore ad esempio, ed
in seguito di tizio che espone le proprie creazioni, mi sono trovato più volte a dialogare con
Perciò cari miei lettori, vi invito a questo circo di immagini che chiameremo
“Sperimental Gessèt” nel quale pubblicheremo le vostre creazioni. Fatevi avanti senza indugi! Come avrete
capito non e necessario essere considerati dagli altri o da se stessi dei
bravi disegnatori. Potete spedirci materiale cartaceo, digitale, fotografie,
tovaglioli con sopra segnati schemini,
sculture di piccola taglia o una batteria di pentole. Anzi di coperchi.
gli spettatori… ed è proprio il malinteso che
dà adito al voler chiarire, chiedere conferme
rispetto a quello che si è visto. Quando un’opera si vede e si apprezza a pieno, essa diventa
“veramente figa!”. E allora tanto vale cercare
qualcosa di più interessante, e restituire all’arte
e al disegno la sua dimensione più spontanea,
quella che suscita le reazioni più disparate e
più facilmente fraintendibili. Perché uno scavo in se stessi si specchi in un
altro scavo, creando una conca...
Vabbè, ora sto divagando. Tutto
ciò per dire che questo disegnare
“senza saper disegnare” è servito
per darmi una valvola di sfogo
espressiva che mai avrei immaginato e che rappresenta per me un
aspetto fondamentale della mia
esistenza; e non perché dipingere
sia diventato il mio lavoro o mi
dia fama. Disegnare ha aperto
una finestra sulla mia pazzia, sulla mia capacità di esprimere pensieri e stati d’animo disordinati
che non sarei riuscito a comunicare in altro modo, comunicazione rivolta sia
a me che agli altri, a seconda dell’utilizzo che
ne voglio fare.
UNISCI I PUTINI ...e scopri la figura misteriosa
L’Assemblea Permanente dell’Ascolto
Ogni lunedì dalle 15:30 alle 18:00 in Via Luserna di Rorà 8
LUCA ATZORI
L’
Assemblea Permanente dell’Ascolto è una delle attività promosse dal
coordinamento piemontese degli
utenti della salute mentale. Attraverso gli
incontri settimanali, dove ciascuno è libero
di raccontarsi, cerchiamo di tematizzare le
problematiche che di volta in volta vengono
proposte e si sperimentano nuove modalità
di mutuo aiuto. Spesso il “setting” previsto
dai percorsi terapeutici rischia di rendere
l’incontro un momento d’eccezione, distinto dalla quotidianità; ciò porta i gruppi
ad avere più partecipazione ma rischia di
creare dipendenza. Non nego l’utilità del
mutuo-aiuto, ma finché l’utente accede
ai gruppi solo per avere uno spazio in cui
“esprimersi” o “sfogarsi”, questi occuperà
una posizione prevalentemente passiva.
Mi viene da pensare che faccia comodo le
persone si sfoghino. È una concessione che
ci diamo, la quale talvolta porta con sé qualcosa di sottilmente “crudele”. L’ascolto che
propone l’assemblea, invece, mira a un’apertura del confine. È ascolto di sé, distacco
dalla propria soggettività residuale, quindi
riappropriazione delle produttività oppresse, con possibilità di condivisione e relazione finalizzata a operare su uno spazio
percettivo condiviso. Le partecipazioni, in
quanto testimonianze di membri sofferenti
della comunità (ma, come esistono membri
sofferenti della comunità, così sappiamo
esistere parti sofferenti in ogni individuo;
c’è un disadattato in ognuno di noi) possono mettere in evidenza le reali problematiche non solo della salute mentale, ma
quelle dell’intero contesto sociale. Posto
che ciascuno porta il segno vivente di una
collettività, quel che avviene è una riflessione della comunità su se stessa, quindi una
autocoscienza. Il discorso delirante è quindi
valorizzato, in quanto una sua marginalizzazione comporterebbe un ritorno alla parzialità, cioè finalizzato ad un altro contesto;
sarebbe asservito a obiettivi privi di forza
politica; sarebbe un servizio al servizio di
un altro servizio. All’interno dell’assemblea
presentarsi dicendo “sono malato” segna
una soggettività psichiatrica, quindi una realtà che bisogna considerare non dal suo interno ma in relazione con altre soggettività,
cercando una valutazione che ne consenta
un superamento critico. Qualsiasi etichetta
è, in questa prospettiva, un alibi indotto,
generatore di uno smarrimento che avviene all’interno di un percorso molto ristretto.
Ogni parola, all’interno dell’assemblea, appartiene a un discorso delirante, perché l’assemblea È un discorso delirante. Quel che si
indaga, tramite l’ascolto del delirio, scopre
il bisogno, soffocato dalle comuni prassi
di normativizzazione. Anche lo psichiatra
che intende partecipare deve accettare le
proprie parole come deliranti, in quanto
non sono che la testimonianza di un bisogno. L’ascolto, perché possa essere possibile, deve essere rivolto non alla persona ma
alla realtà che sta dietro
i suoi discorsi, quindi la
propria. In una simile
impresa, è fondamentale un approfondimento
culturale, che dia gli
strumenti necessari per
ampliare le possibilità
di azione. Spesso accade che i pazienti ignorino il proprio percorso
di cura, che non sappiano che tipologia di farmaci assumono e che
accettino interventi coattivi, perché subiscono
un restringimento del
campo “visivo”. Quello che ci si auspica
con l’assemblea è di aiutare il cittadino a
rielaborare il disagio e a prendere coscienza della propria esperienza psichiatrica,
con la proposta di soluzioni che fuoriescano dai contesti proposti dalla psichiatria.
IL CONVEGNO SABOTATO
di Beatrice Di Zazzo
Notizia dal Molise: un utente (chiamiamolo Alfio Garau) cerca
di rendersi parte attiva organizzando un convegno sulla salute
mentale con utenti e familiari, ma viene ostacolato. Risultato: il
convegno, che si sarebbe dovuto tenere nel mese di giugno a
Campobasso, è cancellato. Nonostante i volantini già preparati, nonostante i contatti già presi con le altre regioni e la rete del
CNUSM, sembra che questo evento “non s’avesse da fa’”. Dieci
giorni prima della data stabilita per l’avvenimento l’utente in
questione viene convocato presso il suo CSM. Ad aspettarlo c’è
il direttore sanitario del suo dipartimento, la sua psichiatra, un
operatore di una cooperativa da lui mai visto e un altro utente
del suo CSM. Ad Alfio viene chiesto, prima gentilmente, poi
con gentili intimidazioni, di non proseguire nell’organizzazione
e di cancellare l’evento in questione. Motivo: la sua iniziativa “è
sconsiderata”, deve finirla di mettere in cattiva luce i suoi servizi,
smetterla di avere contatti con i suoi amici del Coordinamento;
soprattutto deve lasciare stare quelli del Torino Mad Pride che
gli mettono strane idee in testa (n.d.r. Garau ha parlato al Mad
Pride del convegno solo dopo averlo ideato). Se continuerà nel
suo intento, gli viene fatto capire chiaramente, se disobbedirà
al diktat potrebbe avere vita difficile all’interno del suo servizio.
Traduzione: o decide di stare zitto e fermo o avrà seri problemi,
il che significa primo non poter ottenere la borsa lavoro per la
quale stava aspettando risposta, secondo
sentirsi il loro fiato sul collo, soprattutto
dei suoi genitori, anziani a più riprese
chiamati dal CSM. Allora Alfio Garau
decide di arrendersi, anche perché viene
osteggiato persino da alcuni componenti
del CNUSM. Entra in una fase di malessere connotata da depressione e paranoia:
riesce a trovare un po’ di calma e fiducia
solo parlando con i suoi conoscenti, perché non può parlare liberamente delle
sue frustrazioni con chi, in buona parte,
gliele scatena. Accetta la sconfitta e decide
di fare buon viso a cattivo gioco, perché
“il coltello dalla parte del manico ce l’hanno loro. Io volevo solo rendermi utile e
organizzare una giornata significativa
anche a Campobasso. Ma mi hanno tranciato le gambe. Spero solo prima o poi le cose cambino. Ci proverò fin che posso
ad avviare il cambiamento. Ma se al Nord le cose sono difficili, qui al Centro lo sono ancora di più”. Storie già sentite e già
viste, ma alle quali per fortuna qualcuno non vuole abituarsi.
Quale futuro per il coordinamento?
La settimana della salute mentale apre orizzonti e interrogativi
RIVOLUZIONE CASUALE
Il Coordinamento Nazionale degli Utenti
della Salute Mentale si trova davanti una
serie di problematiche. La partecipazione alla
Settimana della Salute Mentale, tenutasi a
Modena dal 19 al 26 ottobre, ha generato in me
le seguenti considerazioni:
1 - Entrare all’interno dei servizi come utenti
esperti paleserebbe la contraddizione insita
nel legittimare le prassi e il linguaggio della
psichiatria, quindi un lavoro parziale, un
“servizio al servizio di un altro servizio”.
Rimanere confinati all’interno delle mura
sanitarie e professionalizzare una condizione
che corrisponde a un insieme di bisogni,
significa tecnicizzare una situazione che
presenta invece interessanti risorse politiche.
La cittadinanza è il punto dal quale partire e
alla cittadinanza bisogna arrivare.
2 - La normativizzazione dei bisogni genera
nuovo disagio. Il disagio non è che un bisogno
insoddisfatto. Il bisogno, in tal caso, viene
indotto perché possa perpetuarsi lo stesso
circolo psichiatrico; così l’istituzionalizzazione
serve finalità di matrice consumistica. Quel
che il Coordinamento deve proporsi è di
partire dai bisogni per capire come lavorare sul
territorio. Questa inversione può garantire un
eventuale riconsolidamento della sfera sociale,
attualmente carente in ambito sanitario.
3 - C’è stata la presentazione di un caso clinico,
in cui un approfondimento antropologico
sarebbe dovuto servire a colmare le lacune
presenti nel protocollo, e venire così in aiuto
agli psichiatri. Questo tentativo mi sembra
però si sia rivelato fallimentare, perché non
è stata operata una sufficiente decostruzione
dello stesso racconto clinico. La descrizione
presentata degli elementi patologici attinge
da filtri di ricerca incongruenti con gli stessi
paradigmi psichiatrici. Ad esempio si diceva “il
soggetto non accetta la propria malattia” o “non
accetta il lavoro che gli proponiamo” o “non
vuole partecipare alle attività ricreative da noi
suggerite”. Questo, a mio parere, non fa altro
che definire un soggetto psichiatrico attraverso
la patologizzazione di quella sfera ancora non
psichiatrizzata. In tal caso credo che il lavoro
d’equipe fra gli psichiatri e gli antropologi sia
stato inadeguato, in quanto non è possibile
colmare lacune senza operare una vera e
propria decostruzione dell’approccio clinico.
Sono giunto alla conclusione che i convegni, in
quanto offrono la possibilità ai professionisti di
organizzarsi una vetrina, presentano sempre
forti contraddizioni. A tale proposito si sta
organizzando una giornata, prevista per il 2014,
in cui si tenga la prima Assemblea Nazionale
dell’Ascolto, dove gli utenti, i professionisti,
i familiari, gli intellettuali, i cittadini, etc
potranno confrontarsi, trasmettersi esperienze
e dibattere in maniera che si generi uno spazio
di condivisione produttivo; un cantiere, per
ridefinire in primo luogo cos’è “comune” e in
secondo cosa sia il “benessere”.
4
21
ART DOSSIER
PSICHIATRIA E INTERNAMENTO
Te lo faccio vedere chi sono io
Quando voglio avere l’ultima parola con mio figlio...
I
l nostro amico Lanza Wolverine si è trovato
di nuovo alle prese con la psichiatria coatta quest’autunno: quello che gli è capitato ci
mostra un meccanismo tipico delle città più piccole, là dove “ci si conosce tutti”. Wolverine entra in
conflitto con la famiglia, in particolare con il padre,
riguardo alla gestione economica dei propri averi:
pretende di avere quello che gli spetta in modo da
poter avviare un’attività e diventare indipendente.
Diversa l’opinione del padre, che vuole tenere il figlio sotto controllo: così, tutto quello che deve fare è
alzare la cornetta del telefono e chiamare lo psichiatra che normalmente segue il figlio e che egli paga
regolarmente, e chiedergli di ricoverarlo. Con i suoi
precedenti psichiatrici non c’è nulla di più facile.
I carabinieri si presentano alla sua porta e gli intimano di seguirlo verso
un repartino psichiatrico.
Nonostante la mancanza
di resistenza da parte di
Wolverine, che sapendosi
il più debole si comporta
in modo passivo e ubbidiente, arrivato in ospedale scatta per lui il TSO,
senza alcuna possibilità
di volgerlo in ricovero volontario. Una situazione
senza giustificazioni, che viola ogni regolamento e
libertà personale. In repartino Wolverine viene sedato oltre ogni limite, rincoglionito fino al limine
della coscienza, e trattenuto per più di una settima-
na, fino cioè a quando l’intervento di un avvocato
preoccupa abbastanza i dottori da lasciarlo andare.
Quante mazzette siano circolate tra il padre di Wolverine e gli psichiatri non lo sappiamo con esattezza, ma non è detto che la dignità di certi individui
sia sopravvalutata da nessuno: probabilmente stiamo parlando di noccioline. Nella lucida malinconia
seguita agli eventi decritti, Wolverine ci ha scritto
qualche riga, riflessioni che lo attraversano durante
questo “viaggio al termine della notte”. Eccole qui
riprodotte per voi, fedeli lettori:
STORIA ABBREVIATA DELLA PSICHIATRIA
Prima che venissero scoperti i microorganismi, nell’800,
un oscuro primario di ginecologia di un ospedale cecoslovacco mise in relazione
le frequenti morti tra le sue
pazienti al fatto che molti
dei suoi medici operassero le
pazienti dopo aver effettuato
autopsie, e impose nel regolamento di lavarsi le mani
prima di operare. Il nome
di questo individuo non è
salito agli onori della storia
della medicina perché fu
radiato dall’albo dei medici
e rinchiuso in manicomio. Aveva agito sulla base di un
ragionamento simbolico e fatto le deduzioni che a noi oggi
paiono ovvie, ma la sua era una posizione ideologicamente
inaccettabile per gli altri medici. Nella loro ideologia quei
medici si consideravano infallibili, spogliarono il loro collega dei suoi diritti e impedirono di salvare un numero
inquantificabile di donne. I romani non potevano accettare la posizione ideologica del cristianesimo, e quindi
vedevano nella loro esistenza stessa una grave minaccia
che andava perseguita, anche attraverso il sacrificio catartico dell’arena. Cosa vedessero gli inquisitori cattolici nelle
loro vittime, nei sacrifici e nei roghi che compivano, forse
è meglio non saperlo, mentre cosa vedessero i nazisti nei
loro devianti, e cosa ne facessero, è argomento molto noto e
base dei valori di facciata della cultura occidentale. Per cui
la costituzione e la morale ci ricordano che ogni cittadino
è libero e ha dei diritti, poi però si istituzionalizzano i ruoli
di individui con la facoltà di decidere chi sia sano di mente
e chi no, coloro insomma che si occupano di sanità mentale. Si suppone che costoro abbiano una comprensione
superiore, oggettiva, di ciò che si dice, pensa o fa. Proprio
come i medici cecoslovacchi di cui parlavamo all’inizio
dell’articolo. Ora, potrebbe sembrare esagerato per la morale comune, e certamente lo è per la categoria dei medici
di igiene mentale, accostare costoro ai persecutori religiosi, alla santa inquisizione, al nazismo. Direbbero che è un
delirio, delegittimerebbero la mia libertà di pensiero. Ma
pensate per assurdo, per ipotesi, che sia così. Pensate se
la psichiatria sia un metodo di oppressione con cui una
parte ideologica della società, magari anche una società
segreta, si sbarazza di individui scomodi e li utilizza per
esperimenti finanziati da multinazionali farmaceutiche.
Riuscite a immaginarvi una cosa simile?
Lanza Wolverine
Arrivano le Pattuglie Fantasia
Ripuliamo la città con cabarettismo e giocoleria sempre contestando la psichiatria!!!
A
Torino nasce un nuovo progetto politico situazionista che agisce
nel sociale: PATTUGLIE FANTASIA. Con questo ossimoro, il
neonato movimento vuole goliardicamente prendersi gioco di chi
da sempre agisce contro i più deboli e, al contrario, vuole aiutare questi
ultimi attraverso un’azione diretta sul territorio, che si articola in due forme,
che sono due facce della stessa medaglia. Una è volta alla creazione di
gruppi (o, ironicamente, pattuglie) che svolgono attività utili a chiunque.
Per ora è operativa la squadra PULIZIA, CABARET e GIOCOLERIA, che
si occupa della pulizia delle strade della città di Torino, unica città in cui
le PATTUGLIE FANTASIA sono attive, portando l’allegria con l’arte di
strada. Detto ciò si è esplicitamente parlato dell’altra modalità d’azione
del sopracitato movimento: portare l’arte, in ogni sua forma, in strada.
Qual è la valenza rivoluzionaria di questo progetto? Il connubio, nello
stesso individuo, tra artista di strada e operatore ecologico, che scardina
la concezione borghese e reazionaria di divisione del lavoro. Però c’è
ancora tanto da fare: le nuove ronde goliardiche vogliono organizzare
squadre notturne di aiuto concreto a chi soffre per strada, portando
sia allegria e divertimento, sia un tè caldo e qualche vestito pesante. Per
attuare quest’ultimo piano sono indispensabili militanti per pattugliare
le vie cittadine, ma anche raccoglitori di vestiti, possibilmente, ma non
necessariamente, con una qualsiasi vena artistica. PATTUGLIE FANTASIA
è una comunità funzionante sul principio del dono e del libero scambio di
conoscenza. Per questo motivo la militanza nelle pattuglie è fonte di crescita
continua per gli appartenenti, che sono ancora in numero ristretto, sebbene
in crescita esponenziale. La linea di confine tra militante e simpatizzante non
è ben definita, in quanto, come inizialmente sostenuto, stiamo parlando di
un progetto situazionista. “Programma dell’Internazionale situazionista è il
creare situazioni, definite come momenti di vita concretamente e deliberatamente
costruiti mediante l’organizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un gioco
di eventi. Le situazioni vanno create tramite l’Urbanismo Unitario, un nuovo
di Sandro Gipsy
ambiente spaziale di attività dove l’arte integrale ed una nuova architettura
possano finalmente realizzarsi. I situazionisti si propongono di inventare
giochi di una nuova essenza, ampliando la parte non-mediocre della vita,
diminuendone, per quanto possibile, i momenti nulli” (tratto da Wikipedia).
Le PATTUGLIE FANTASIA si radunano nel fine settimana, generalmente
il sabato pomeriggio, nelle principali piazze del centro di Torino, in
collaborazione con il Mad Pride, per svolgere attività quali la pulizia delle
strade e la distribuzione de LA SVEGLIA, il tutto svolto dando un senso
artistico alla cosa. Punto cardine è l’ANTIPSICHIATRIA MILITANTE,
ovvero la contestazione del sistema psichiatrico, visto come braccio medico
della repressione reazionaria borghese. In quanto movimento situazionista,
possiamo tranquillamente considerare le pattuglie inserite nel movimento
più ampio della contestazione sociale. Essere anticapitalisti significa
rifiutare il concetto stesso di società basata sul profitto e, di conseguenza,
sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Sandro Gipsy parla a titolo personale. Dobbiamo perciò chiarire che il Mad
Pride non può presentarsi come antipsichiatria militante. Noi cerchiamo di
avere un rapporto con le istituzioni, con gli psichiatri; anzi vorremmo avere
degli psichiatri devoti alla causa o quantomeno in sincero e approfondito
dialogo con noi, studiare la psichiatria e capire come funziona. Essere contro la psichiatria a priori sarebbe come essere contro l’uso delle droghe o lo
sciamanesimo, e il Mad Pride non è contrario all’uso delle droghe. Quello
che invece “La Sveglia” non accetterà mai è l’addormentamento. Qualsiasi psicosi che sia veramente perniciosa, in quanto arrivi a togliere all’individuo la capacità di vivere la propria vita, può essere superata da mezzi
non psichiatrici, anzi: può essere superata solo da mezzi non psichiatrici.
Ciononostante, ripeto, il Mad Pride non è antipsichiatrico...
Il Magnifico Direttore
Un uomo dagli occhi rotti
Sull’arte di Cosimo Cavallo
di Luca Atzori
PARTE PRIMA
V
iviamo in un grande ospedale chiamato
occidente, dove ogni percorso conduce
alla moneta. Questa condizione ci porta
a limitare i nostri passi sopra sentieri miseri,
brevi. Pensiamo al nostro pianeta. È vasto, ma
ci muoviamo in massa sopra punti ristretti,
avanti e indietro, tutto per rimanere confinati
entro quel territorio. Tutto perché abbiamo la
fottuta paura di perderci. E abbiamo ragione.
Senza quei sentieri ci perderemmo e nessuno
di noi lo vuole. Ma ci sono sentieri più vasti
da percorrere. Sentieri dei quali non possiamo
essere coscienti, perché se lo fossimo, forse,
qualcuno chiamerebbe i carabinieri. Questo
catalogo non è dedicato solo a un artista, ma
soprattutto a un mistico nostro contemporaneo.
Si chiama Cosimo Cavallo. È nato a Torino
nel 1968 ma ha origini pugliesi, di Taranto.
Capita spesso di incontrarlo per la strada. Lo si
nota per la sua abitudine a gridare nel vuoto,
rivolgendosi a personaggi invisibili. È barbuto,
porta sempre una camicia hawaiana. Ha lo
sguardo profondo. Somiglia a un patriarca
antico-testamentario (così come possiamo
immaginarcelo). Lui si definisce un buddista. Lo
intende in senso antico. Iniziatico. A vent’anni
è stato “salvato dai surrealisti”. Il tutto poi è
sfociato in una tesi presentata all’accademia
delle belle arti sulla concetto di superficie nel
cinema di Fellini. Un innamoramento (senza
cuore) il suo, per la falsità. Quella che è ancora
di proprietà dei sogni.
Cosimo è un pazzo generoso. Recita la sua
parte fino in fondo. Vive la follia come mito,
cercando di afferrare l’arte, il che equivale a
donarla. Perché l’arte in Cosimo non è che un
tessuto sottile, di cui si può avere cognizione
non solo nelle sue opere, che ne sono, anzi,
solo la traccia. Sono le prove di un lavoro che
comprende la sua stessa esistenza. Sono i resti
archeologici che segnalano la sua presenza.
Attimi di attenzione sacrificati al tempo
(che è insieme ieri, oggi e domani). In essi è
percepibile il desiderio estremo di vedere gli
occhi dell’osservatore entrare nella sua stessa
vita. Un desiderio che arriva sino alla creazione
degli occhi di quello stesso osservatore (che non
può esistere). Anche questo art dossier è una
traccia. La testimonianza di chi tenta di afferrare
due lenzuola per stringerle fino a fare un nodo.
La presenza di Cosimo, se accolta con fredda
compassione, dona l’autentica temporalità della
pelle, insostenibile. Dona la realtà del falso, dove
fra le vertigini, si prende coscienza di quanto
l’apertura che da fuori chiamiamo “psicotica” sia
il segno di un continuo plasmarsi della materia
impalpabile. Quella da lavorare attraverso
laboriosi respiri e fede analitica. La sensibilità è
vita; e la vita sa, è vigile, sempre. Cosimo non
accantona. Tiene tutto. È un inconscio vagante.
Odia quella che lui definisce “assenza di fede”
che è lo sguardo disincantato, frettoloso. Odia
l’ignoranza ma non quella del non-sapere,
piuttosto quella del sapere sbagliato. Non vive
l’arte come sport, produzione di oggetti di
chiacchiera, redentrice di silenzi. Quella che
spesso capita di respirare fra le mura delle
Cosimo Cavallo alias Fabio Elettroni
gallerie, nei musei, dentro le aule accademiche.
Il suo progetto non è monetizzabile perché il
suo fine è religioso. Un personaggio al quale
può essere accostato è Pilade. Quello di Pasolini.
Quello a cui le Eumenidi dicevano: “Succederà
anche che le cose più difficili - e così nuove
da essere inconcepibili - non avendo nessun
rapporto con ciò che ormai si sa della vita - ti
verranno in mente di colpo mentre passeggi
o mentre mangi; o ti daranno una gioia così
forte che ti metterai a saltare e a ballare come
un ragazzo. Ma poi bisognerà cercare le origini,
dedurne gli effetti; e allora nuovi giorni di
lavoro grigio, incerto, con le ansie della nausea
e del disprezzo per se stessi... e alla fine sappilo,
nello stesso momento in cui tutto sarà chiaro,
IL TEMPO AVRÀ LAVORATO CONTRO DI
TE. Non ti resterà nessun compenso se non la
coscienza che qualcun altro dovrà ricominciare
tutto di nuovo sulle tue rivelazioni stupende
ma invecchiate”. Prima di trattare la sua arte,
dunque, è necessario raccontare il suo delirio.
Anzi, togliamo la parola delirio. Raccontiamola
come se non esistesse alcuna chiave
interpretativa di tipo psichiatrico. Escludiamo
anche la psicodinamica. Escludiamo qualsiasi
chiave di lettura che possa in qualche modo
essere utile per se stessa.
Cosimo vive per strada in seguito a una
separazione dalla moglie e dalla figlia (causata
da cosa non mi è stato dato saperlo, quindi
non posso osare di dedurlo). Qualcuno
iniziò a interferire con lui tramite una sua
cellula “nervosa”. Gli faceva sentire voci,
le voci di persone che controllavano tutto
quello che faceva. Le voci provengono da
un piano di realtà dentro il quale è possibile
entrare attraversando quel varco aperto dalla
cellula, che è come un software. Oltre il varco
ci sono eventi, forse gli stessi che vediamo
continuamente nel mondo, solo che hanno
un altro significato (pur possedendo la stessa
incoerenza). Gli intercettatori fanno parte della
NATO e della camorra, e in alleanza con gli
alieni minacciano la vita di sua figlia. Lui cerca
forsennatamente di lottare con l’aiuto di Franco
Battiato e Silver (il disegnatore di Lupo Alberto)
che in questa storia però è una donna, si chiama
Elisa Volpe. La missione di Cosimo è quella di
riuscire a ottenere una casa a Chieri dove poter
stare con sua figlia. Solo lì potrà avere pace.
Questo ineffabile pólemos si svolge attraverso
il soffocamento che la NATO e altre forze
operano sulla tradizione e sul mistico, tramite
l’organizzazione di una realtà sociale che toglie
agli animi dei potenziali iniziati un contesto su
cui agire dentro il quale non risultare ridicoli
e insensati. Cosimo però non demorde e lotta
mantenendo integra la sua via. Di certo Cosimo
ha la forte percezione di uno schiavismo a cui
abitualmente ci costringe l’Io. La NATO o la
camorra, gli alieni etc, sono solo una forma di
rappresentazione particolare di quello che è un
fenomeno indiscutibile e più generale, cioè il
Potere. Se diventare il proprio Sé significa essere
costretti ad essere creatori (del tempo e dello
spazio umani) allora è inevitabile prendere
coscienza di quanto normalmente sia il nostro
Io a dare gli ordini e quanto invece il Sé sia
privo di coscienza e di volontà, debole come
un bambino. Il soggiogamento del Sé fa sì che
la creazione si muova secondo finalità altre, che
rispondono a un’etica presunta come civile ma
in realtà arbitraria. Arrivare a quest’esperienza
del Sé, quadridimensionale, conservando però
la struttura tridimensionale che garantisce
l’eticità e la vita civile, comporta per forza una
divisione, una “scissione” schizofrenica. Forse
l’impresa di rendere consapevole il Sé è assurda
in un mondo dove non è possibile iniziazione.
O forse è quella che chiamiamo schizofrenia a
suggerirci la risposta, continuamente.
“La vita ci sfiorò... ma il Re del mondo ci tiene
prigioniero il cuore”.
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5
DOCUMENTARE MATTI A COTTIMO di Mauro De Fazio
Resoconto di un’odissea
Dieci anni in Ospedale Psichiatrico Giudiziario
I
l lavoro documentaristico
che stiamo producendo, relativamente alle attività di
Matti a Cottimo, è per me una
importantissima
opportunità
perché credo che il video possa
essere un valido strumento per
cogliere gli scambi, le relazioni e le suggestioni che ruotano
intorno al Torino Mad Pride e
l’alterità di chi vive esperienze
“al limite”. Esso può essere una
zona franca dove la suggestione
di un artificio, quello cinematografico, restituisce la fotografia
di relazioni umane tra persone
che partecipano alla società con
il loro sapere, non più marginale
bensì fondante. Aver incontrato
Simone, Chiara, Luca e tutti coloro che collaborano mettendo
faccia, corpo e pensiero al servizio del Mad Pride e di Matti a
Cottimo, mi consente inoltre di
“recuperare” il filo di un’esperienza che mi ha coinvolto per
lungo tempo, convogliando molte delle mie energie, lavorative e
non: il Laboratorio Urbano Mente Locale, associazione nata in
ambito psichiatrico per tentare di
dirigere i propri sforzi comunicativi e concertativi sul territorio
del quartiere e dell’intera città.
L’operato di questo gruppo ha
molto a che fare con la situazione creatasi intorno al Mad Pride
e a Matti a Cottimo; entrambi
rappresentano, a mio avviso, un
modo “altro” di aver a che fare
con la sofferenza mentale. Essi
tendono a una ricerca di tecniche comunicative e d’intervento
poco convenzionali, che coinvolge continuamente l’altro come
portatore di un proprio preciso
punto di vista e origina luoghi
in cui ciascuno possa sentirsi
libero di portare il proprio contributo, la propria visione soggettiva, qualsiasi essa sia. Le riprese sono terminate e il lavoro
prende una forma sempre più
definita, ma le domande che mi
pongo su come trattare immagini
e contenuti sono ancora tante. È
complesso fare un montaggio se
si è consapevoli che dietro una
traduzione, anche filmica, si cela
sempre un grosso tradimento.
L’obiettivo primo sarà quello di
far emergere lo straordinario incontro tra storie di solitudine e
disagio con una domanda sociale
che spesso è celata o addirittura mistificata: ovvero quella di
far parte davvero di un sistema
sociale senza negare il proprio
disagio, soprattutto quando “dietro i tempi dei normali proprio
non ci si riesce a stare…”. A quel
punto rischia di crollare tutto:
casa, relazioni, amicizie e lavoro.
Proprio sul tema del lavoro, del
rispondere alla richiesta di produttività che la società ci pone, il
documentario si sofferma parecchio; una persona sofferente che
non riesce a “reggere” i tempi
lavorativi che ci sono socialmente imposti, ma che manifesta comunque la volontà di dimostrare
ciò che sa fare in una situazione
di maggior tolleranza, sostegno e rispetto delle tempistiche
emotive, è una persona che fa da
specchio a ciascuno di noi. Uno
specchio che può consentire ad
altri di riconoscersi in quel tipo
di sofferenza e non soffocarla,
che propone un’immagine di
qualcuno che si batte per realizzare i propri desideri e costruire
delle opportunità. Sento pertanto
di dover richiamare l’attenzione
sulla generosità e sulla passione di tutti, in particolare di Simone, catalizzatore e donatore
di storie che difficilmente avrei
saputo cogliere, e che mi stanno
permettendo di documentare un
movimento né fuori né dentro
la psichiatria, ma che trasversalmente si pone come obiettivo
quello di accogliere bisogni e disagi che la psichiatria non riesce
ad accogliere, al fine di costruire una rete sociale utile a tutti.
Vorrei essere capace di restituire
la forza delle parole e dei volti
che ho incontrato in questi mesi.
Dare voce a parole mute, spazio
a movimenti che faticano ad essere riconosciuti, ridare dignità
a chi normalmente la vede negata, matto e non, sarebbe per me
un modo di essere militante, in
un contesto sociale che richiede
sempre più scelte forti, a fronte di una fluidità che stempera
i confini e amplia le distanze.
Con affetto.
Immagine tratta dal documentario “Matti a Cottimo - Strategie di Sopravvivenza”
ROBERTO CAVALLI*
L
o chiamerò Renato. Oggi è un ragazzo
allegro, che gira con un auricolare appeso all’orecchio, le bollette della Sisal
in tasca e la macchinetta per rollare le cartine
sempre a portata di mano. Parliamo della sua
storia. Renato è uno psicotico paranoide. In
pratica sente delle voci che disturbano il suo
pensiero. Anni fa aveva anche allucinazioni
e difficoltà molto forti ad interagire con gli
altri. Purtroppo non riusciva a controllare
quelle sensazioni e non seppe evitare di porre in pericolo se stesso e le persone che gli
stavano accanto. Accadde un incidente dovuto alla malattia
(sic) e Renato fu
arrestato, processato e condannato al ricovero
presso l’ospedale
psichiatrico giudiziario. Siamo
all’inizio
degli
anni novanta. Il
primo approccio
con la nuova realtà è costellato di
fermi provvisorii
in sezioni separate del carcere e condito da
una pioggia di sedativi. Dopo tre mesi arriva in provincia di Caserta all’OPG di Aversa.
Qui mi facevano fare lo scopino e per un po’
mi trovai bene. C’era un giardino, facevo delle
passeggiate. Ma un giorno ho avuto una crisi e
tutto è cambiato. Allora decisero di contenermi
con i braccioli alle mani e ai piedi, e di siringarmi. Ero immobilizzato su un letto che presentava un buco centrale e un secchio sottostante
per permettermi di fare i miei bisogni senza
slegarmi. Sono stato così per tre giorni. Poi mi
cambiarono le cure. Dopo un paio di mesi introdussero nella terapia l’uso dell’elettroshock:
non mi ricordo quanto facesse male. Mi ricordo
invece che sognavo di fare come Cutolo, il boss
della camorra che era stato ad Aversa e per andarsene aveva fatto saltare il muro di cinta. Le
guardie mi raccontavano spesso quella storia.
Per essere più vicino a casa e per lasciarsi dietro quel mondo doloroso, Renato decide di fare domanda di trasferimento all’OPG di Reggio Emilia.
Qui ci sono stato nove anni. Nei primi cinque la
notte dormivo chiuso a chiave. I pasti me li porgevano dal buco della porta. La cella era grande
una dozzina di metri quadrati e in un angolo
c’era un piccolo bagno chiuso: un lavandino,
un bidet, una tazza senza l’asse e senza il coperchio. Vivevo con un’altra persona. L’arredo
della cella comprendeva un televisore, due armadietti, un tavolo, le brande, una finestra con
le sbarre e una mensola di marmo. Ogni settimana mi cambiavano le lenzuola. I vestiti erano personali, i miei me li facevo lavare da casa.
A Reggio Emilia sono stato veramente bene, anche se la malattia continuava ad essere con me
e la mia vita era piena di gente malata. Ricordo che un detenuto aveva ucciso un compagno
di cella! Durante la mia permanenza ci furono
numerosi suicidi, credo almeno una trentina.
Ogni tanto ero a colloquio con uno psichiatra per mettere a punto le terapie. Tutti i giorni
gli infermieri si assicuravano che io prendessi
le medicine. Non ho mai fatto resistenza all’assunzione dei farmaci e ho cercato di essere collaborativo, anche per questo ero benvoluto dalla direttrice e dall’educatore. Dopo quasi nove
mesi mi diedero un permesso di libera uscita.
La prima volta mi accompagnarono dei volontari, poi ci pensarono i miei familiari. Più o
meno avevo un paio di permessi al mese e tutte
le volte ne approfittai per andare al ristorante.
Purtroppo la struttura era tutto muri e cemento con qualche zona di verde per le attività di
giardinaggio e per quelle sportive. Lo sport mi
ha dato molto conforto e in OPG ho
vinto coppe e medaglie. Soprattutto
la migliore terapia
in OPG è stato il
lavoro. All’inizio
ho ripreso a fare
lo scopino, ma poi
mi hanno fatto fare
dei corsi e mi sono
impegnato in tante attività diverse.
Sono
definitivamente uscito dall’OPG con una licenza finale di
esperimento che poi si è tramutata in permanenza in una comunità psichiatrica di tipo B, nella
quale godevo di libertà vigilata sotto il controllo
di un magistrato di sorveglianza. Sono poi finito in una comunità. Poi in un gruppo appartamento e poi, finalmente, dopo 18 anni mi sono
guadagnato il fine pena. Così sono tornato a casa.
Il racconto finisce qui, anche perché le partite
sono cominciate e Renato ci tiene a seguire gli
esiti delle sue scommesse. Prima di salutarmi
mi confessa la soddisfazione di riuscire a parlare del suo passato senza patimenti. Forse anche questo vuol dire tornare un uomo libero.
e regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio (TSO), istituendo i servizi di igiene
mentale pubblici. Tra gli obiettivi principali
della legge c’era la volontà di modernizzare
l’impostazione clinica dell’assistenza psichiatrica, instaurando rinnovati rapporti umani tra il paziente e il personale curante e il
resto della società, riconoscendo appieno il
diritto del malato ad avere una vita dignitosa. La legge Basaglia, però, non cancellò
l’istituto del manicomio criminale ovvero
l’ospedale psichiatrico giudiziario (OPG).
Nota 1 - La legge 180 del 1978, cd. Legge Basaglia dal nome del suo ispiratore, è la legge
quadro che impose la chiusura dei manicomi
*Roberto Cavalli è un umanoide
alla ricerca della verità
La malinconia
del materialista
è peggio.
Puzza di sesso
Nota 2 – Negli anni ‘80 il Filippo Saporito di Aversa arrivò ad ospitare un migliaio
di persone ed era il luogo in cui venivano
rinchiusi i casi più gravi. Malgrado la legge Basaglia, in quell’Istituto tra violenze,
elettroshock e letti di contenzione, avveniva
la mortificazione dei diritti più elementari
delle persone. Non per tutti, però. Ad Aversa
soggiornò anche Raffaele Cutolo che, a differenza degli altri, poteva contare su stanze
accoglienti e ammobiliate ed era esente da
qualsiasi terapia. Proprio da Aversa, il 5 febbraio 1978, il boss evase con irrisoria facilità.
Nota 3 - Nel gennaio 2012 il Parlamento ha
varato una legge che doveva portare alla
chiusura degli OPG inizialmente entro la fine
dello stesso anno e poi entro il 31 marzo 2013.
Malgrado ciò, non si è fatto molto per mettere
in pratica la legge e superare lo stato di abbandono delle strutture e delle persone che vivono in esse. Uno degli ultimi provvedimenti
del governo Monti è stato quello di spostare
al 1°aprile 2014 la chiusura degli OPG a causa
della mancanza di misure alternative, al ritardo degli enti locali e alla penuria di risorse.
L’esecutivo prevede come irrevocabile l’ultima scadenza fissata, con la minaccia di nominare commissari se non si arriverà alla chiusura. Nel frattempo è cambiato il governo.
19
6
ESTERA / NERA
ITALIA: ANNO 2014
LORENZO PEYRANI
è passati alla fase due: la “primavera araba”. Alla pochi rivoltosi che attaccavano il potere di Ghedprimavera araba e alla - campagna contro i preti dafi si nascondeva nientepopòdimenocché l’intera
Compagni, camerati. Madpride. Italiani. Quando pedofili, che sono andate di pari passo. Dal Pakistan forza dell’avverso patto atlantico. Così, in quei
parlate dei vostri diritti, fate riferimento alla sovran- all’Egitto, dall’Algeria alla Libia, per destituire lo giorni convulsi in cui il dittatore tentava di salvaità della patria. E come per i diritti anche per le stato sovrano italico (incarnato nella persona di Sil- rsi usando gli aerei militari contro la folla, anche il
riforme, voi pensate a riforme legalmente promo- vio Berlusconi), gli Stati Uniti hanno dovuto prima governo italiano perdeva la propria sovranità, forse
sse da uno stato sovrano. Vi appassionate alla po- ammazzare Gheddafi; in seguito, una volta insedia- per sempre. Vanificando il sacrificio del kamikaze
litica nazionale. Credete
tisi a Roma, hanno fatto torinese, Pietro Micca… protomartire madpride.
all’esistenza della Republo stesso con il Vaticano: Ieri il fronte si è spostato in Siria, e il nuovo papa
blica Italiana. Perché non
anche lì hanno messo fantoccio scriveva ad Assad sotto dettatura diretta
date prima un’occhiata
- un uomo loro. Le cam- della Casa Bianca. I morti sono stati decine di miglia quello che accade
pagne di diffamazione aia, eppure abbiamo assistito solamente a una fase
oltre i vostri confini?
internazionale contro il di riscaldamento. Quale sarà il punto di non riAlcuni di noi italiani
governo italiano e contro torno? Qual è il confine che gli alleati non possono
suppongono di vivere in
la Chiesa, intensissime superare, prima di ottenere una reazione forte?
uno stato indipendente,
su tutti i media dalla ri- L’equilibrio è instabile, e si gioca in Iran e in Pakiseppur allineato al Patto
elezione di Obama fino stan (che nonostante Zardari è ancora pieno zeppo
Atlantico; talaltri, ina quel momento, termi- di terroristi), e sul conto delle loro bombe atomiche.
vece, sono dell’idea che
nano la loro utilità: mis- Il Pakistan è già una potenza atomica e gli USA (così
l’indipendenza sia stata
sione compiuta. Inizia come l’India) vorrebbero non lo fosse, l’Iran sta lapersa nel 1943 a seguito
Gli agenti della CIA son tutti giovani e belli quindi la contraria beati- vorandoci e gli USA (così come Israele) vorrebbero
dell’armistizio. Pochi rificazione mediatica del impedirlo a ogni costo. Se entrambi gli stati avessero
conoscono, piuttosto, come l’Italia dal 1945 al 2011 governo tecnico e della nuova corrente, presentata l’atomica l’Occidente dovrebbe reagire, se nessuno
abbia mantenuto una relativa libertà, grazie alle al- come “relativista e secolarizzata”, di Francesco I, dei due l’avesse a dover reagire sarebbe l’Oriente.
leanze bilaterali con gli USA e con il blocco asiatico, il vero Pietro II delle profezie tabloid. Tipicamente E l’Italia, un tempo segretamente alleata al fronte
e quanto la situazione sia cambiata negli ultimi tre italiana, tra gli idealisti della politica, è la - rasseg- orientale e quindi mai duramente colpita dal nuovo
anni. La Libia rappresentava la nostra assicurazione nazione. “I nostri politici non ci hanno mai detto la terrorismo (che sarebbe più giusto legittimare come
sulla vita, e il nostro cordone ombelicale. Una spina verità!” Fermi tutti. Sarà poi così strano che i politici “guerra di quarta generazione”), oggi è diventata
nel fianco per l’Inghilterra e una spina nel fianco per non dicano la verità? Sarà segno inequivocabile di l’obiettivo perfetto delle rappresaglie dei suoi vecchi
gli Stati Uniti; addirittura una fonte di umiliazione reconditi interessi personprotettori; intanto, la Franper la Francia. La strage di Ustica fu il prezzo pagato ali? Eppure, supponendo
cia mai come oggi gode
in un’occasione per tutelare la nostra delicata po- l’esistenza di un uomo
a far la voce grossa e nel
litica estera; oggi - quella partita è definitivamente politico ideale, di un patrisentirsi di nuovo superpersa. L’offensiva lanciata dall’amministrazione ota… non dovrebbe questi
potenza, vedendoci sulla
Obama (a differenza di quella più ingenua, impreg- sistematicamente mentire
graticola. Quale sarebbe
pubblica?!
nata di spettacolarismo millenarista, dei Bush) è all’opinione
stata la rappresaglia socaratterizzata da una linea a basso profilo, che mira Avrebbero mai potuto un
vietica se gli Stati Uniti
all’agitazione indiretta degli obiettivi. L’agenda? Togliatti o un Andreotti
avessero preso il Vietnam
Guadagnare influenza sui paesi dell’Islam attra- dichiarare sui giornali che
del Nord? Molto probaverso “rivoluzioni democratiche” opportunamente la dirigenza politica italibilmente l’uso delle armi
manovrate, che rovescino i governi sostenuti dal ana stava conducendo un
nucleari. Quale sarà la rapblocco opposto, dal Maghreb al Medio Oriente. delicatissimo doppio gipresaglia russo-cinese se
Progettando questa vera e propria discesa agli in- oco con le superpotenze?
l’Iran venisse attaccato in
feri che è la discesa in Cina, l’Italia è emersa tra le Raccontare all’opinione “La mia potenza è la tua potenza, la mia vita è la tua vita” seguito al fallimento delle
prime zone da mettere in stato di sicurezza; quindi pubblica che “Americani e francesi ci hanno ab- trattative, o se in Pakistan l’I.S.I. venisse definitivasi è proceduto alla disintegrazione della resistenza. battuto un aereo di linea, sì, ma sarebbe ridicolo mente smembrato? Su quali obiettivi si abbatterResistenza che continuava sin dal 25 aprile 1945, per chiedere riparazione perché - siamo in guerra. ebbe? Anche se dovessimo essere colpiti, nel nostro
quanto sotterranea: frutto degli intrighi con Mosca Quell’aereo civile stava coprendo il nostro alleato paese non scoppierebbe la guerra civile. Anche se
e Tripoli portati avanti tanto dal PCI che dalla DC militare Gheddafi, grazie al quale - siamo ancora una bomba atomica francese piovesse sulla Sacra di
(ebbene sì, dalla - Chiesa). La prima mossa della indipendenti. I morti sono stati vittime della patria, San Michele non faremmo nulla. L’indipendenza è
nostra conquista avviene in Pagrazie ai quali - abbiamo vinto.”? sempre stata un miraggio, così non ci siamo accorti
kistan. L’assassinio della leader
Sparare missili sulla folla (da di averla persa e non lotteremo per riconquistarla.
dell’opposizione (filoamericana)
un aereo) è stato, ironia della Se volessimo davvero la libertà e l’indipendenza,
Benazir Bhutto è letale per il govsorte, il casus che ha permesso dovremmo rintanarci sulle Alpi, in Svizzera, e poi
erno di Pervez Musharraf, esa quegli stessi paesi di dichia- vivere come nei campi di addestramento di Al
pressione dell’esercito pakistano
rare guerra, questa volta pub- Qaeda in Pakistan. Nelle montagne, cellule indipe della sua intelligence, l’I.S.I.,
blicamente, trent’anni dopo. endentiste non allineate, tra permaculture nascoste
collusa con frange estremiste isPolitically correct è il succo della e bunker labirintici. Invece, senza libertà e indiplamiche di Al Qaeda come Lakdemocrazia, si sa. Curiosa l’altra endenza, quando ci troveremo in un mare di merda
shar-E-Taiba; anche se la Bhutto
faccia della medaglia, cioè il ruolo e verranno a chiederci il conto, noi saremo come
è stata eliminata, il brutale omidella cosiddetta “opposizione” quelli che crepano e vengono trovati sul cesso con lo
cidio porta Asif Zardari (vedovo
in democrazia. L’opposizione è stronzo che gli esce dal culo. Camerati o compagni;
Bhutto) a vincere le successive
sempre benpensante, assurge umanoidi; non state a pensare alle riforme, in Italia,
elezioni. I servizi segreti coprivaa super-ego della comunità. nel 2014. Siate realisti, datevi al crimine.
no Al Qaeda e i Talebani nei terSiamo stati abituati dalla proparitori del nord dello stato, ai conganda a considerare i nostri più
fini con l’Afghanistan ribelle, la
capaci strateghi come truffatori
Cina e l’India. Con vicini simili è
meschini, quando ovviamente
Ashfaq Parvez Kayani
ovvio che l’indipendenza del Paera proprio l’arte del sotterfugio
kistan dipenda dal possesso dell’atomica. Il nuovo a rendere grande il diplomatico. La politica estera
presidente Zardari si accorda quindi con gli ameri- italiana è stata caratterizzata da colpi di fortuna
cani, permettendo loro di eseguire il raid aereo su e pure da colpi di genio, da scommesse rischiose
Abbottabad nel Maggio 2011, scavalcando di fatto portate avanti in segreto da uomini poi gettati in
l’autorità del generale Kayani (capo dell’esercito pa- pasto a un’opinione pubblica due volte ignorante.
kistano) e commettendo alto tradimento verso il suo Purtroppo per noi, ma meritatamente, con Obama
stesso paese. Morto Bin Laden e trucidati nei mesi abbiamo perso. Berlusconi e D’Alema, all’epoca i
seguenti, grazie all’uso dei droni e alla complicità due custodi depositari del patto libico in Italia, sono
“Lashkar-e-Taiba”: letteralmente “Esercito dei Buoni”
del governo venduto, altri vertici di Al Qaeda, si stati raggirati; coglioni, perché ignari che dietro quei
ALL PRIDE LONG @
HIROSHIMA MON AMOUR
BEATRICE DI ZAZZO
I
l Torino Mad Pride nel mese
di aprile stringe un sodalizio
con gli altri orgogliosi della
città sabauda: Bike Pride e Pride
(i diversamente orientati sessualmente rispetto alla norma comune – ma stabilita da chi?). I discriminati per aver avuto il coraggio
di mostrare la propria individualità a dispetto delle odierne regole culturalmente determinate,
cominciano a
col l oqu i ar e,
aprono le porte dei propri
valori e del
proprio sentire verso chi,
come loro, sa
cosa significa
essere considerato diverso. Ma proprio non ci stanno a
subire l’ignoranza e la superficialità delle persone “comuni”
e allora decidono di fare fronte
comune per aiutarsi a vicenda e
scambiare opinioni. Ne scaturiscono due serate organizzate di
concerto con l’Hiroshima Mon
Amour per raccogliere fondi e
portare avanti la propria missione. La prima serata, quella
del 3 maggio, permette
al Torino Mad Pride
di inaugurare la
mostra “Der Tod
ist ein offenen
Tür” con le
opere, tra gli
altri, di Maurizio Ferrari e
Vittorio Berto, e con una
performance
musicale
multimediale a
cura del TMP. A
condire la serata,
aperitivo, spettacoli
e concerti de la Situazione Chimica, Stefano
Amen, Sol Ruiz e Matteo Castellano; e con il Dj Set finale a cura
di Baciami Stüpida. L’affluenza è
buona ma non ancora adeguata
al numero degli orgogliosi della
propria diversità; l’incontro tra
realtà così apparentemente diverse rende però bene l’idea che
per sfondare il muro dell’ottusità
del sentire beceramente comune,
bisogna aprirsi all’altro, altrimenti ci sarebbe solo una ripetizione
di schieramenti “noi-loro”. Si respira aria di “noi”. Punto. Nonostante la fatica nell’organizzare
una serata che rispecchi i gusti
di tutti e con metodologie organizzative profondamente diverse
tra un pride e l’altro. Il confronto
forse serve proprio ad avere più
chiari i propri limiti e a intrecciarli con quelli altrui. Nella serata del 2 novembre il pubblico
aumenta: vuoi perché i prides
continuano imperterriti la loro
attività 365 giorni l’anno per 24
ore al giorno, vuoi perché sempre più persone decidono
di uscire allo scoperto o perché, pian piano, i cosiddetti
normali cominciano a capire che,
in fondo, i cosiddetti diversi non
sono poi così terribili e pericolosi.
Il Torino Mad Pride per l’occasione presenta l’anteprima sia dello
spettacolo teatrale “Gli Ospiti
Invisibili” frutto del laboratorio
drammaturgico inserito nel bando europeo
vinto, sia del
documentario “Matti a
Cottimo. Strategie di sopravvivenza”
testimonianza di come un
matto riesce
(o meno) a
inserirsi nel mondo lavorativo.
Nella serata poi si susseguono
sul palcoscenico “Le Brugole”
con il loro spettacolo “Metafisica dell’Amore” e “Duemanosinistra” con il suo cantautorato
rock. E c’è anche una lotteria per
vincere una bici. Ma non tutto va
come dovrebbe, ci sono chiusure
e discussioni, il più delle volte tra
chi non ti aspetteresti e con
toni poco consoni alla
presunta
apertura
che ci si propone di
realizzare. E tutto ciò avvenuto
in gran parte
nel
gruppo
teatrale, che
nonostante le
tensioni accumulate nei
giorni precedenti la messa
in scena, riesce comunque
a inscenare uno
spettacolo godibile.
Lode a chi ha perseguito il fine comune mettendo da parte le proprie individualità e non offendendo quelle
degli altri. Agli altri non rimane
che meditare sulla distanza tra
ciò in cui pensano di credere e i
comportamenti che ne scaturiscono. L’incoerenza è utile solo
con una coerenza interna. Altrimenti, che confusione!
DIVAGAZIONE SULLO SPETTACOLO
“GLI OSPITI INVISIBILI”
Gli ospiti invisibili è il frutto del laboratorio produttivo di drammaturgia
che si è svolto da giugno a fine ottobre
per realizzare lo spettacolo inserito
nel bando vinto dal Torino Mad
Pride insieme a Mente Locale. E’
ambientato in una metropolitana.
Alcuni lavoratori pronti per la loro
giornata vengono disturbati da una
voce che proviene da una regione in-
visibile, un’altra banchina che non c’è.
Da lì la realtà inizia a scuotersi, seppure impercettibilmente: tutto sembra
rimanere uguale. Gli ospiti invisibili
è intenzionalmente una prova di teatro politico più che sociale, in quanto
comprende nel cast pazienti e passanti che si confondono nel tentativo
di creare collettivamente una drammatizzazione. Non si prefigge obiettivi di natura positiva, o ancor peggio
pro-positiva. (Siamo già circondati
durante la quotidianità da un anelito
costante e ossessivo rivolto alla positività: ohu facciamo questo, miglioriamo
quest’altro, proponiamo nuovi modi
di, poniamo valori etc) ma è una “palestra” passeggera, che si muove su un
tessuto epidermico sottile: quello della
realtà interna di ciascuno, che tramite
la drammatizzazione trova spazio e
forse possibilità di azione, esistenza.
Luca Atzori
L’AGRICOLTURA È UN EVENTO
S
e già nel 1965, in “Grazie per le
magnifiche rose”, Alberto Arbasino subodorava l’incombere
della deposizione del nome Artaud
in riviste come “Grazia” e “Oggi”,
forse nell’oggi che ci interessa questo
nome non può più essere utilizzato
con tanta leggerezza. Il suo contributo, perlopiù teorico, ha subito la
malformazione che ci si aspetta dopo
ogni eventuale divulgazione, utilizzo,
traduzione, interpretazione, insomma riscrittura. Jerzy Grotowski, ad
esempio, ha trasformato la crudeltà
in una terapia, che a sua volta si è
trasformata oggi in un coacervo di stilemi, ibernati nella ricerca (l’alibi del
fare e con tecnica, per questa o quella
velleità). Eccezion fatta per chi questi
insegnamenti se li è trovati davanti
per caso, e non per trasferimento di
nozioni accademiche o esercitazioni
ginnico-sentimentali. L’agricoltura,
che con Artaud resiste alla letterarietà
servile, alla dicitura consolatoria, e in
fondo alla stessa liturgia, si fa evento,
e come tale diventa indeterminabile.
Non è un’agricoltura “nuova” è anzi
più antica di ogni altra. Non intende
portare insegnamenti, positività, né
tanto meno liturgia (come molti potrebbero credere). Intende essere la
forma pulsante della simbolizzazione
comunitaria. Certo è che quando le
comunità diventano inconfessabili,
il gioco si fa duro, e questo un matto
da legare come l’Antonin poteva ben
intuirlo. Tutti gli elettroshock (45, se
non erro) non sono stati nient’altro
che il fenomeno dell’invasione di una
prigionia tecnica, fatta in nome di
tutte le angosce che chiedono pace (e
ogni Santa o Profana guerra, si svolge
in nome della Pace, caro il mio dottor
Führer e cara anche la madonnina
che ancor oggi piange sulle mura di
quelle strambe strutture). L’agricoltura che accetta l’angoscia come evento
interminabile e indisposto. Pelle del
divenire che solo mediante la frantumazione del linguaggio, della rappresentazione, può abbracciare un’unità
originaria, suggerita magicamente
negli atti illusori, mobile, ondeggiante
ma né per l’uno né per l’altro occhio
(mi si perdoni l’alibi novecentesco
dell’ermetismo, ma è di novecento, in
fondo, che stiamo divagando). L’agricoltura mi sembra in tal caso l’unico
vero sciopero dal quotidiano (almeno per noi). È l’anima la prigione del
corpo, e non viceversa. Per gli antichi
indiani non esisteva religione, perché
tutto era sacro. Quindi inutile parlare
di liturgia quando la visione (veda) è
l’unica forma di conoscenza. Per noi
oggi è invece un cum-scindere ovvero
un mettere insieme ciò che è stato diviso, pur sempre però restando legati
a quella scissione. Ecco che per noi l’agricoltura ha senso in quanto forma di
negazione. Un gioco che appartiene a
un nostro Altro, e che si occupa proprio di distruggere fino allo stremo
quell’altro ancora che siamo noi stessi
(un’altra illusione, ciao mamma, ciao
papi, ciao me) così sin da diventare
davvero politica ma non più in senso
Brechtiano (educativo, moralistico,
istruttivo... insomma epico). Dovremmo, in una simile ottica, condannare
l’io come omicida dei suicidi, per conto di una rete invisibile di tanti altri
mandanti. Un omicidio che è sempre
la condanna a un suicidio. La morte è
un suicidio, al di là dell’io. Ma perché
questi nomi continuano ad essere oltraggiati? Forse semplicemente perché nominati. Continuamente messi
in vendita. Così che forse ci rendiamo
conto che oggi all’agricoltura spetta
un grande respiro. Il coraggio di accettare fino in fondo che quella parola
che l’agricoltore va dicendo, è sì protesi della carne, ma anche che l’eventualità è disposta sopra un oceano di
linguaggio che è sempre Altro. Parole
frasi verbi ausiliari ed impersonali che
sono solo frammenti vibranti di quel
destino che ciascuno tiene in serbo, e
che qualora resi eventuali, si miscelerebbero in cieca partecipazione, così
come avviene per l’invisibile resto
che si pone oltre la ragione (o centro del logos, o anche oltre Derrida).
Luca Atzori
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I maestri della truffa comunitaria
Ovvero come vincere un bando del Fondo Sociale Europeo e farla franca
SIMONE SANDRETTI*
Il 15 di Ottobre del 2012 venni contattato telefonicamente da Alessandro Castelletto, regista
famoso per aver girato i migliori videoclip delle
band torinesi in voga negli anni ‘90 (Africa United, Mau Mau, etc...). Mi invitò in qualità di presidente del Torino Mad Pride ad incontrarlo per
parlare dell’eventualità di partecipare insieme a
un bando regionale, finanziato dal Fondo Sociale
Europeo (FSE), per la comunicazione e la formazione alle pratiche di Pari Opportunità nel mondo
del lavoro. Alla riunione ci presentammo in cinque (Luca Atzori, Chiara Abbà, Alberto Moretti,
Roberto Cavalli ed Io) e lui ci disse molto onestamente che la ragione per cui non partecipava
da solo al bando era che non poteva vantare un
lungo curriculum in ambito sociale, cosa che nello
specifico era richiesta dalle linee guida del FSE.
Tornato a casa dalla riunione gli telefonai e gli
dissi: «Se non fosse che un regista con un punto
di vista esterno è proprio quello che ci serve per
raccontare il Mad Pride sappi che sarei il primo a
tagliarti fuori dal bando; detto ciò, grazie per la
dritta». A seguito di questo patto informale organizzammo una piccola task-force per scrivere
il progetto, in dieci giorni, composta da Chiara
Abbà, con diagnosi di psicologia e diploma in
ragioneria, Epaminondas Thomos, educatore
greco per soldi e filosofo matto per vocazione,
Alessandro Castelletto (il regista) ed Io (il disabile
psichico). Furono due settimane di intenso lavoro notte e giorno intervallate da sessioni di sesso
estremo per scaricare la tensione. L’obiettivo che
ci ponemmo fin dall’inizio era di strutturare un
progetto che fosse finalizzato a rafforzare la debole rete esistente tra i gruppi di matti presenti sul
territorio locale producendo degli strumenti che
potessero essere utilizzati, sul territorio italiano,
da tutto il Coordinamento Nazionale degli Utenti
della Salute Mentale (CNUSM). Iniziammo con
l’unire la tradizione poietica dei matti (rappresentata a Torino dal Laboratorio Urbano Mentelocale) con l’innovazione mediatica portata avanti
dal TMP. Tre furono i progetti che ci vennero in
mente (anche perché le linee guida imponevano
la realizzazione di prodotti comunicativi e formativi e non permettevano il finanziamento di attività lavorative propriamente dette): uno spettacolo
teatrale da affidare a Luca Atzori (regista omosessuale matto, vicepresidente del TMP e rappresentante della Regione Piemonte nel CNUSM),
un complesso portale di informazione e ricerca
lavorativa che partisse dalle difficoltà dei disadattati per promuovere le loro (nostre) risorse, www.
mattiacottimo.net (affidato alle eminenze grigie
del TMP sotto la guida
spirituale di Giuseppe
Bergamin, presidente
di Mentelocale e Jedi di
fama interplanetaria), e
un documentario sulle
pratiche di sopravvivenza messe in atto dai
matti di Torino: “Matti
a Cottimo - Strategie di
Sopravvivenza”. Scritto
il bando ci dedicammo ad altro (feste, riunioni,
rassegne d’arte, scrivere gli articoli per questo
giornale, portare i figli al parco, cercare di scopare etc. etc.) Nell’aprile del 2013 scoprimmo con
grande stupore che eravamo tra i trenta fortunati
vincitori (su duemila domande presentate) del
bando: 50.000 euro, di cui la metà in anticipo e la
seconda metà dopo l’approvazione del consuntivo spese da parte dell’ente promotore (Agenzia
Piemonte Lavoro), da consegnare, insieme ai tre
progetti realizzati, entro e non oltre il 3 di Novembre del 2014. Nel frattempo che cosa è successo?
Luca Atzori ha deciso di arrivare allo spettacolo
finale (obiettivo numero uno) attraverso un laboratorio gratuito aperto a utenti psichiatrici e
aspiranti attori non professionisti. Ha ottenuto di
poter provare gratuitamente nei locali del Caffè
Basaglia (un grazie sempiterno a Enzo Di Dio e
a Ugo Zamburru, anche se sono dell’ARCI). Ha
deciso di farsi aiutare da due professionisti dello
spettacolo nell’allenamento fisico (da Donatella
Lessio) e nel training attoriale (da Lucio Celaia).
Dopo quattro mesi di prove le divergenze registiche nate tra Luca Atzori (drammaturgo gay) e Lucio Celaia (regista napoletano) si sono esacerbate
a tal punto che i due, subito dopo la prima messa
in scena dello spettacolo (“Gli Ospiti Invisibili”
- 2 Novembre 2013, ore 21:30 presso Hiroshima
Mon Amour, via Carlo Bossoli 83, Torino), si sono
separati di fatto. Lucio si è preso lo zoccolo duro
del gruppo di lavoro è ha aperto la succursale torinese del suo centro di
ricerca teatrale napoletano (ARTI Teatro). Luca
si è rimesso a lavorare
sul suo capolavoro in
progress: “Gli Aberranti”, in diretta radiofonica web su Radio Banda
Larga dalla Vetreria di
corso Regina Margherita
27 a Torino ogni mercoledì pari dalle 17:00 alle
18:00 fino alla fine del
mondo. Appena fatto il piano dei conti per la realizzazione dei tre progetti ci siamo resi conto che
il guadagno lordo dei singoli lavoratori al progetto si aggirava intorno a 1,20 € all’ora. Alessandro
Castelletto, padre di una giovanissima bambina e
marito di una donna dominante, ha abbandonato
il progetto. Mauro De Fazio (lavoratore polifunzionale in quanto educatore psichiatrico, regista
cinematografico e imprenditore edile) si è proposto come sostituto regista, ottenendo il consenso
unanime (era stato tra i membri fondatori del
Laboratorio Urbano Mentelocale e condivideva
con il presidente del TMP la passione per le pratiche poligamiche). A lui si è aggiunto l’operatore
video Andrea Spinelli (già conosciuto dagli appassionati del genere come pornoattore di video
amatoriali negli anni novanta e chitarrista del
gruppo hardcore Crunch). La squadra, completata da Alberto Moretti (genio nevrotico fanatico
dei Beatles) e Marco Perugini (cuoco pederasta
attualmente affidato a una famiglia nell’ambito di
un progetto rieducativo individualizzato) ha ultimato le riprese nel settembre del 2013 e ottenuto
un così largo consenso di pubblico e critica che attualmente lavora su diversi progetti documentaristici finanziati da enti sociali (Coldiretti, Caritas,
Comunità Ebraica etc. etc.). Le difficoltà non sono
certo mancate, prima fra tutte la rendicontazione
trimestrale imposta dal FSE, che per noi labili di
psyche (in greco significa essenza), risulta sempre
un appuntamento ansiogeno e coercitivo dove è
d’obbligo dare un tempo e uno spazio credibili e
documentati al nostro modus operandi, per natura randomico e delirante (un mese a piangere in
un letto seguito da 72 ore di lavoro continuativo
senza neanche un’ora di sonno per recuperare,
solo per fare un esempio tra i tanti). Ma sono state
proprio queste ultime a permetterci di studiare
tecniche di infestazione del reale, su cui si basa
la nostra sopravvivenza, come matti orgogliosi di
esserlo, in un’epoca e in un mondo al tramonto
che ancora difendono valori morti da un pezzo quali: costanza, produttività e buon senso.
*Simone Sandretti è l’umanoide
in cui si è reincarnata Ishtar, Il Diavolo.
COSTUME
Generazioni a confronto
Nel racconto di un lettore, il nostro mondo che cambia
ROBERTO SAHIH*
Era un venerdì pomeriggio, in casa c’erano solo mia nuora e il mio nipotino, Luigi. Quel giorno stavo leggendo il giornale su una comoda
poltrona nera che c’è in salotto quando, all’improvviso, notai mio nipote
sull’uscio della stanza. Egli si avvicinò e mi disse “Perché invece di leggere il giornale non guardi il telegiornale alla tv?” Abbassai gli occhi su
di lui e risposi “Il giornale è molto meglio del telegiornale perché esercita in modo attivo la mente e offre più notizie” “Sì, ma il telegiornale ti fa
vedere i fatti e inoltre è più aggiornato perché viene trasmesso più volte
al giorno mentre il giornale esce solo al mattino.” Alle parole del mio
nipotino risposi quasi immediatamente “A parte il fatto che se ci sono
notizie importanti si pubblicano le edizioni straordinarie, voglio farti
una domanda: quando completi un album di figurine cosa guardi di
solito, le immagini o le scritte?” Luigi ci pensò un po’ e replicò “Ma che
domande, le immagini dei calciatori, è ovvio!” In seguito il nipote accese
la tv e guardò i cartoni animati, io intanto riflettevo sul nostro dibattito.
Accidenti come sono superficiali i giovani d’oggi! Guardano più le apparenze che i contenuti, ciò non va affatto bene, ne dovrò parlare con
mio figlio Aldo. Verso sera, Aldo tornò a casa e gli andai incontro. “Cosa
c’è papà?” mi disse con tono calmo. “Tuo figlio da più importanza alle
apparenze che alla sostanza, dovremmo fare qualcosa...” Aldo appoggiò
il cappotto sulla sedia e replicò “Non mi sembra molto grave, dopotutto ha solo nove anni, è ancora giovane. Piuttosto andiamo a mangiare,
papà.” Mi diede una pacca sulle spalle e si recò in cucina, dove erano già
a tavola sua moglie e suo figlio. Deluso, andai anche io. Mangiai solo il
primo piatto, poi diedi la buona notte ai miei cari e mi recai in camera
mia. Passai tranquillamente il sabato e la domenica, più che altro a letto,
leggendo e dormendo. Il lunedì mattino accompagnai a scuola mio nipote, dove c’erano già i suoi compagni che lo aspettavano per scambiare
le figurine dei calciatori. Poco dopo passò un ragazzo con la pettinatura
a cresta, tutta colorata di rosso, e che inoltre portava i pantaloni stracciati e due orecchini al naso. Tutti i bambini si misero a ridere e io dissi
“Non mi sembra il caso di prenderlo in giro, non si giudicano solo le
apparenze, può darsi che quel ragazzo sia buono e onesto.” “Non credo
proprio” disse una signora “Lo sanno tutti che quello lì è stato rilasciato
dalla polizia poche settimane fa; quel ragazzo era, e probabilmente è
ancora, uno spacciatore di droga!” Rimasi a bocca aperta, intorno a me
c’erano tutti i bambini che ridevano e i genitori che mi guardavano con
rimprovero. Non mi ero mai sentito così umiliato.
*Roberto Sahih è un umanoide autore di racconti e videogiochi
8
Il Pensiero Magico - Parte II
C
hiunque cammini sulla realtà, ovvero quel
che gli accade, è come una porta. Agire su
questa realtà è un gioco. Normalmente
la conoscenza viene pensata come qualcosa di simile a una protesi. La conoscenza è qualcosa che
deriva dall’esperienza. La visione si pone con lo
svolgersi. Spinoza ha superato Kant prima che
quest’ultimo nascesse. Non tutti sanno di fare questo cammino. Così capita spesso che per essi accada
di scegliere pochi istanti. Il genio fa un errore. Un
errore al quale tutto si adegua. L’errore è una x sul
foglio della logica. Perennemente la logica cerca
d’aggrapparsi: quello è il lavoro che il genio fa contro se stesso. Lo fa perché la logica è sbagliata. Un
grattacielo. Bisogna farlo alto. E bello. Ma incompiuto. Prendere in mano la chiave per entrare in
quella porta. Una porta che ci restituisca il nostro accadere. Senza case siamo vagabondi. Costruiamoci una casa, e una città. E lasciamo tutto incompiuto.
Nella dialettica hegeliana il momento dell’astrazione coincide con il particolare che non può essere
colto nel movimento d’insieme in quanto, appunto,
si astrae dallo spirito. Ad esso segue prima il momento della negazione (idea fuori di sé) poi quello
dell’Aufhebung, ovvero il superamento, che è sia
superamento dell’opposizione che sua conservazione. La dialettica procede per costanti negazioni,
pensate come momenti necessari alla determinazione positiva. Georges Bataille teorizzava quello
che Derrida ha definito un “hegelismo senza riserve” ovvero una dialettica amputata del momento
di Aufhebung. È prestando attenzione a questa sottrazione, infatti, che possiamo notare come il circolo
dialettico, in sé, sia ascrivibile a una totalità definita entro la quale il superamento coincide con una
capitalizzazione, una progettazione soggettiva da
ricondurre all’interno di un ambito utilitaristico e lavoristico, e che non appena viene privata di questo
momento si vede sfociare nell’ambito del dispendio,
di un’angoscia originaria senza possibilità di tregua,
del non-sapere come inizio e fine nella coincidentia
oppositorum, ovvero il Sacro. Bataille, da allievo di
Kojeve quale era, indicava come estremi attori di
questo processo le figure del servo e del padrone. Il
servo che lavora per il proprio padrone e il padrone che capitalizza per arricchirsi e godere del limite
circoscritto entro quella stessa dimensione utilitaria,
che a sua volta rende possibile il perpetuarsi del lavoro
e quindi della civiltà stessa.
Come Ulisse nel dodicesimo
canto, che Adorno paragonava ne La Dialettica dell’Illuminismo al borghese, il quale per
non schiantarsi contro le rocce,
attratto dal canto delle sirene,
decideva di tappare le orecchie dei suoi servi, legare se
stesso, affinché potesse godere
dell’ascolto e la nave potesse
continuare ad andare avanti.
La stessa vertigine coincide con l’abbandono all’originarietà, pensata qui come condizione immanente
dove ogni forma di identità diventi circoscritta entro l’ambito trascendente, di per sé sufficiente a costituire la soggettività stessa. In Bataille, la fuga della soggettività avviene non tanto nella ricerca di un
altrove del desiderio, e quindi nella ricerca di una
soggettività altra, ma piuttosto nel sacrificio come
atto di uscita fuori dall’ambito dell’utile. In questo la
dialettica viene ad assumere un valore paradossale,
perché la circolarità determinata dall’equazione “ciò
che è razionale è reale e viceversa” diventa “nell’ambito della ragione ciò che è razionale è reale e viceversa” così fuori del godimento, anche la realtà non
è che un momento di incanto. Da qui la considera-
di Marco Mesner
zione che sorge è questa: posto uno sguardo impersonale di non appartenenza, il circolo si muove
secondo una rotazione paradossale, desoggettivata;
e il canto delle sirene apre una lacerazione ontologica dove la stessa essenza dell’io si fa incanto, così
che il pensiero finalmente rinunciatario dell’identità, dal processo di annientamento soggettivo, può
riaffiorare, mediante una volontà destoricizzata.
Lo stagno deve diventare specchio. Ma nel momento in cui diventerà specchio
sarà composto d’acqua. Noi
ci guarderemo come riflessi,
ma subito dopo toccheremo
l’acqua e vedremo che sarà
possibile toccarla e che ogni
volta che lo faremo l’immagine cambierà, prenderà la
forma dell’acqua. Così capiremo che quella era solo un’illusione. Ma quando il riflesso
si ricomporrà torneremo a
crederci. Crederemo che essa
Georges Bataille sia separata da noi e facendo
questo non ci renderemo conto di essere in balia di
un’altra illusione. Poi capiremo che non solo l’acqua, ma anche l’aria, gli alberi, le strade, i grattacieli,
tutti si muovono insieme a noi. Infine vedremo che
anche noi siamo un’illusione. Che il nostro presente, il nostro passato e il nostro futuro sono parti
di un’unica sostanza che è anch’essa un’illusione.
Più saremo noi quella sostanza, più saremo i “padroni” (il contrario del padrone non è lo schiavo,
ma qualcosa che qui abbiamo virgolettato) delle
illusioni. Forse lo capiremo quando ci arrenderemo e rinunceremo all’illusione della non-illusione.
prossimamente
CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO...
CHE COS’È LA GUERRA DI QUINTA GENERAZIONE?
Into the Fouth Generation” delineava con un certo anticipo gli scenari di
“guerra al terrorismo” che abbiamo imparato a conoscere dopo gli avveSu queste pagine incontriamo spesso termini specifici del gergo psichia- nimenti dell’11 settembre. Lind teorizzava una guerra in continuo mutatrico e, per quanto possibile, cerchiamo di spiegarli ai non addetti ai lavori mento, in cui vari livelli (chiamati inizialmente generazioni, in seguito e
attraverso specchietti e glossari ad hoc. Un’altra parola difficile si è insi- più precisamente gradienti) determinano strategie diverse: ogni nuovo linuata frequentemente tra le nostre pagine, una parola dall’origine mol- vello sconfigge sul campo il precedente. Le prime tre “generazioni” vedoto più oscura e che, anche se le meriterebbe, per ora ha ricevuto meno no un crescendo di organizzazione centralizzata: sono gli eserciti regolari,
spiegazioni, forse anche perché l’argomento così arduo può scoraggiare: la guerra cosiddetta napoleonica. Con la quarta si assiste a una curiosa
sto parlando del termine “magia”. È evidente che quando si parla di ma- involuzione: gli attori non sono più gli eserciti regolari delle nazioni, bensì
non-stati, organizzati in cellule dislocate dalla gerarchia
gia su queste pagine non si vuole far riferimento all’ilorizzontale. Niente divise, niente capitali, niente confini.
lusionismo, alla prestidigitazione o a qualsiasi forma di
Il “terrorismo”. Singoli agenti che provocano danni enorspettacolo circense; si vuole piuttosto fare riferimento alla
mi, organizzazioni impossibili da smantellare in un solo
“vera” magia, alla magia come miracolo; eppure, ecco
colpo: gli stati sembrano fare a pugni con le mosche, le
che per funzionare la magia non deve essere “vera” né
loro maggiori dimensioni sono diventate uno svantaggio.
santa. La magia che ci interessa solleva problematiche di
Secondo le loro stesse previsioni, le strategie da guerra
ordine filosofico ancor prima che scientifico, e ci deve far
di terza generazione (l’uso massiccio dell’esercito che
riflettere in primo luogo sul linguaggio che utilizziamo.
vediamo ancora oggi in Afghanistan o in Iraq) vengono
Il primo a porsi il problema di distinguere tra magia e
inesorabilmente circumnavigate dalle organizzazioni più
magia, tentando una definizione più rigorosa, fu il nosnelle, senza una patria da difendere. Così, gli americani
stro beniamino Aleister Crowley, che utilizzava tra l’altro
si sono messi disperatamente a studiare le caratteristiche
una grafia diversa (magick piuttosto che magic) per didi un teorico quinto gradiente, le strategie da seguire in
stinguere l’oggetto dei suoi interessi dalla banale ciarlauna guerra di quinta generazione, che sconfiggerebbe Al
taneria. Secondo Crowley “la magia è la scienza e l’arte
di provocare cambiamenti in conformità con la volontà”.
Qaeda e affini. Se i gradienti più bassi sono caratterizzati
Arthur
C.
Clarke
Quindi, ogni azione volontaria è un atto magico; resta
da un uso più “cinetico” della forza, più evidente, man
da capire quando si possa davvero parlare di volontà. Passiamo ora ad mano che si sale la scala della guerra ci si avvicina invece all’invisibiliun’altra definizione molto interessante, quella lasciataci dallo scrittore di tà. Si desume che la guerra di quinta generazione più efficace è quella in
fantascienza e inventore Arthur C. Clarke: “Ogni tecnologia sufficiente- cui non solo non c’è un uso esplicito della forza, ma addirittura in cui il
mente avanzata è indistinguibile dalla magia.” Non si parla di volontà, nemico non si rende conto di essere entrato in guerra, non si rende conto
non si considera l’atto magico dal punto di vista di chi lo pratica ma da di chi siano i suoi nemici, non si rende conto di poter vincere e non si
parte di un osservatore esterno; si sottolinea come la non-trasparenza di rende conto di aver perso. Una guerra di quinta generazione svolta con
un processo basti a renderlo magico: se A causa B, ma non si capisce come, efficacia è una guerra totalmente segreta. Ed eccoci all’ultima definizioci si trova di fronte a una magia. Ciberneticamente parlando, la magia di- ne di oggi, che è recentissima e nata dalla penna di un altro colonnello
pende dall’opacità della black box, dalla nerezza della scatola nera. Con- dei marines (Rees, 2009): “L’applicazione efficace della guerra di quinto
cedendoci un altro salto ardito, passiamo a considerare una definizione gradiente è… indistinguibile dalla magia”. La magia viene finalmente
di guerra, invece, quella di Carl Von Clausewitz: “la guerra non è che la reintrodotta nel discorso ufficiale e, guarda guarda, addirittura per deprosecuzione della politica con altri mezzi”. Forse a qualcuno iniziano a finire la guerra, quanto esista di più drammaticamente pragmatico al
suonare dei campanelli in testa, ma dovremo compiere ancora un paio mondo. Spero di avere stuzzicato a sufficienza la vostra immaginazione
di passaggi perché la pertinenza di questo excursus sulla guerra si riveli con questo articolo (per forza di cose troppo sintetico) così da poter avchiaramente. Nel 1988, William S. Lind pubblicò sulla gazzetta dei ma- viare un dibattito più approfondito sull’argomento che dovrebbe esserci
rines un articolo destinato a fare scalpore. “The Changing Face of War: più caro e che affrontiamo più di rado: la magia e il suo utilizzo pratico.
LORENZO PEYRANI
mrozinski
“mad pride”
il nuovo album
9
16
Un buffet per due - Parte III
SCRITTI PROPEDEUTICI ALLA COSTRUZIONE
DI UNA MACCHINA DEL TEMPO
Due stronzi alla corte di Re Artù: considerazioni di viaggio ed esegesi del
Graal. La comparsa di una voce inquietante. Un faccia a faccia con la morte.
di Lorenzo Peyrani
Parte II: dopo la macchina del tempo economica ecco la macchina del tempo fisica,
sulla quale si specula a partire dalle teorie di Einstein e anzi dalla loro esasperazione.
Sul prossimo numero ci occuperemo invece - finalmente - di questioni filosofiche.
C
arissimi.
Gli aspetti della teoria della relatività
che suscitano insieme scetticismo e fascinazione sono innumerevoli, ma oggi vi chiedo di riportarne alla mente uno in particolare,
quello cui ci si riferisce di solito come “paradosso dei gemelli”. Questa la storia, in breve: due
gemelli, per sorte o artificio, subiscono destini
opposti; A rimane sempre all’ovile materno, B
diventa l’astronauta che per primo sperimenterà velocità vicine a quelle della luce. Dopo il suo
viaggio al fulmicotone, B torna a casa e trova A
sensibilmente più vecchio di lui. Eccoci messi di
fronte a una delle conseguenze della teoria della relatività più difficili da accettare: a velocità
maggiore corrisponde un più lento trascorrere
del tempo soggettivo. Se qualcuno viaggiasse
(quasi) alla velocità della luce, quello che per lui
trascorrerebbe in un secondo durerebbe anni
per i suoi contemporanei più lenti. Ne avrete
sentito parlare. Io ero un ragazzino quando
sentii raccontare questa storiella per la prima
volta, ma da allora non ho smesso di pensarci.
Anche quando ero ragazzo progettavo di costruire una macchina del tempo; d’altra parte
non c’è niente di strano: è più singolare continuare a farlo alla mia età che fantasticarci su, da
bambini; la mia costanza durante il corso degli
anni, piuttosto, potrebbe indicare la tara della
demenza; ma non lascerò che questo mi abbatta.
Fatto sta che mi trovai a studiare fisica al liceo
scientifico; durante quelle ore, alcune lacune
nell’indottrinamento impartito dai professori,
certi buchi della cui chiusura e circoscrizione non mi avevano convinto, stuzzicavano la mia curiosità, promettendo vie di fuga. Ero alla ricerca
di un’osservazione che minasse la
loro sicurezza; speravo di colpirli
in un punto debole e far crollare il
castello di carte su cui si basava la
loro dottrina, e magari diventare
io il professore. Nel caso in questione, leggendo la descrizione del
modello atomico planetario, secondo il quale gli elettroni si muovono
a velocità grandissime, paragonabili
a quella della luce, su orbitali che circondano un nucleo costituito da neutroni
e protoni, mi sorse spontanea una domanda:
chi decide dove inizia e dove finisce un corpo?
Quando si deve considerare la parte (per esempio l’elettrone) e quando l’insieme (l’atomo? O
tutto il corpo, magari umano? O l’universo?)?
E se ogni corpo è costituito da materiali o tessuti, a loro volta costituiti da molecole, a loro
volta costituite da atomi, a loro volta costituiti
da particelle come elettroni e protoni… come
si può stabilire un’unica velocità per un corpo? Sarà pur vero che, nella mia interezza di
animale, posso stare fermo sul divano oppure
sfrecciare sopra a un aereo; ma i miei elettroni si
muoveranno sempre più veloci di me. Allo stesso modo io sarò sempre più veloce della Terra,
perché anche da “fermo” essa mi trasporta con
sé. Di conseguenza la Terra è più veloce del
Sole, il Sole più veloce della galassia e la galassia più veloce dell’universo. Ecco che l’ennesima teoria nasceva nella mia mente giovanile e
incline alla metafisica: ogni insieme è più lento
delle parti che lo compongono; e ancora, ricordando che “a velocità maggiore corrisponde un
più lento trascorrere del tempo soggettivo”, derivavo qualcosa di ancora più forte: il volume è
direttamente proporzionale all’età.
Proviamo a darlo per buono, a prenderlo per
ipotesi. La scala delle magnitudini¹ si presenta
ora come vero orientamento dell’asse temporale. Che scenario: solo l’universo nella sua interezza è abbastanza “vecchio” da aver raggiunto il presente assoluto, al contrario le sue parti
costitutive sono più “giovani”; ma non già nel
senso che siano emerse in seguito (poiché l’origine è comune all’insieme e alle parti), bensì nel
senso che esse “non sono ancora arrivate”, che
esistono nel passato, che si “ambientano” nel
passato. Se il “presente” dell’universo si situa
qualcosa come quindici miliardi di anni dopo
il Big Bang, la sua supposta origine, il presente
di una galassia allora avrà solo cento milioni di
anni, quello di una stella tre milioni e quello di
un pianeta mezzo. Il presente di un umano solitamente non dista dall’origine più di un secolo
e quello delle molecole qualche mese… Per gli
elettroni si parla di giorni. A conferma di ciò,
atomi e molecole ricordano strutturalmente le
formazioni dell’universo primordiale e, al di
sotto di una certa dimensione minima², le nostre misurazioni si scontrano con un misterioso
caos quantistico: non possiamo osservare senza
modificare. Così piccolo da precedere la Creazione. L’intero passato risiede nel mio corpo ed
è il futuro a circondarlo. “Presente soggettivo”
significa “pelle”. La pelle che mi separa
dai miei colleghi umanoidi, il confine
tra un corpo e l’altro che è terrore della morte, il presente cieco.
Se il passato è nel dettaglio, è “alla
base” tutto lo spazio; presente e
futuro ne sono letteralmente costituiti. Come si può viaggiare nel
tempo, allora? E si può davvero
parlare di "viaggio" se a cambiare è il volume e non la posizione?
Non esiste un modo per rimpicciolire o ingrandire un corpo; e, se
anche ci fosse, una creatura potrebbe
sopravvivere? Rallentiamo. Io sostengo che le tecnologie per farlo esistano già,
invenzioni risalenti agli ultimi decenni, ma per
capirlo facciamo un passo indietro. Prima di
spingerci tanto in là da valutare il rimpicciolimento o l’ingrandimento dei corpi, prendiamo
in considerazione una via più umile: quella
della lente, che ingrandisce solo le immagini.
Il microscopio ci ha permesso di investigare
il funzionamento della vita microscopica e di
quella arcaica allo stesso tempo. Sarebbe stato difficile individuare nei microbi le specie
viventi più antiche, prima che gli scienziati ci
aprissero gli occhi sulla loro esistenza; tantomeno comprendere il passaggio da sostanze
inorganiche a tessuti viventi senza l’idea di cellula. Inizia l’interazione con il mondo dell’infinitesimamente piccolo, le tecnologie mediche si
raffinano: si affinano. Un bisturi è già una macchina del tempo. Per non parlare di una bomba
atomica. E pensiamo agli sviluppi recenti in
campo genetico. La mutazione controllata, cui
assistiamo con la creazione degli organismi ge-
neticamente modificati, è un salto nel
futuro o comunque in un altro tempo, reso possibile da tecnologie che
lavorano con grande precisione e su
scale infinitesimali; per le quali, guarda caso, si è sentito necessario coniare
il termine “nanotecnologie”, come a
sottolineare un salto qualitativo che
le rende un campo tutto nuovo. La
genetica applicata si è rivelata proprio l’arte di far viaggiare nel tempo
gli esseri viventi. Basta una sottile
modifica al passato, per esempio a
quel passato remoto che è il DNA, ed
ecco una patata diversa, qui e ora. Lungo quale
linea temporale si è evoluta questa specie di patate? Fatevelo dire: lungo una linea temporale
alternativa, in un mondo parallelo. Questa patata è Biff che diventa ricco grazie all’almanacco sportivo, è Marty che diventa trasparente³.
Potrebbero cambiare il passato e farci sparire
tutti. Oppure, se non lo facciamo noi per primi,
potrebbero essere quei maiali dei nostri figli a
cambiarci la vita: non ci varrà a nulla essere già
morti. Di macchine del tempo siamo circondati,
al giorno d’oggi.
¹ con scala delle magnitudini banalmente si intende
la scala dei volumi: si va dal quark all'atomo, alla
molecola, al tessuto, all'organismo, ai pianeti, alle
stelle, ai sistemi planetari, alle galassie, fino all'universo stesso.
² 1,616 252 × 10-35 metri è la “lunghezza di
Planck”. Un cubo con lunghezza di Planck di lato è
il cosiddetto “spazio di Planck”, al di sotto del quale
la materia si comporta caoticamente.
³ personaggi di “Ritorno al Futuro”.
CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO…
Peyrani - Sono seduto al tavolo di un locale nel
centro di Torino, quando mi squilla il cellulare.
È Simone Sandretti, il presidente del Torino Mad
Pride, e mi passa Fabrizio Gargarone, detto Gargamella, patròn di Hiroshima Mon Amour. Mi
metto sull’attenti. “Potremmo avere Blixa Bargeld
come ospite per la vostra serata del 2 novembre,
che te ne pare?” Garga ricomincia a parlare, accennando alle questioni economiche, ma cade la
linea. Per un attimo il mio pensiero vaga. Blixa
Bargeld. Penso al mio articolo sulla Sveglia, quello autobiografico, il “Buffet a Deux”. E penso ad
Atzori. Aveva scritto un bel pezzo riguardo quei
giorni in cui Blixa gli parlava nel cervello, durante una crisi d’astinenza da
antipsicotici - una settimana per me splendida, tra il
finire di Ottobre e gli inizi
di Novembre 2004, a Berlino. Sarebbe stato perfetto,
rimugino, come pubblicità alla serata. Peccato
sia andato perso: dovrò
chiedergli di riprendere la narrazione da quel
punto, di riscriverlo…
Atzori - Più che un concerto sembrava un doposcuola. Blixa Bargeld
faceva da direttore e tutti
gli altri il coro. In mezzo
vedevi anche persone di una certa età che però,
a quanto pare, erano rimaste troppo attaccate
all’infanzia. Io ero coinvolto in questa buffonata, ma non stavo certo tra le fila dei partecipanti. Vagavo per il Palast der Republik di Berlino
pieno di rabbia per la situazione ridicola in cui
mi trovavo. Ero, inoltre, un po’ deluso da Blixa
Bargeld. Mi sembrava un imbecille, un “convinto”, uno che stava facendo una porcheria e che
si stava pure impegnando per farla, quasi fosse
un dovere. In quei giorni avevo deciso di farla
finita con la terapia farmacologica. Questo mi
generava scompensi che era difficile ignorare.
Seguivo il flusso ondivago di ogni sensazione,
pativo ogni carenza estetica (intendendo come
tale ogni identità ravvisabile). Era una situazione così adolescenziale. Io dovevo uscire dall’adolescenza e invece mi ci trovavo incastrato in
maniera beffarda e sprecata. Blixa mi sgridava
telepaticamente: voleva che mi inserissi nel coro.
Io non ubbidivo. Quella disciplina che lui mi proponeva, non m’interessava. Non volevo far parte
di quel gruppo. Io non ero un fan degli Einstürzende Neubauten. Non me ne fregava niente.
Ero senza farmaci, quindi vomitavo, deliravo.
Quel concerto non valeva nulla, e ancor meno valeva rispetto a quello che io ero capace di sentire e
vedere. Io ero il tempo e lo spazio. Ero io a determinare il confine del reale, perché il reale scaturiva da me, da un sé che respirava attraverso i miei
polmoni e che ad ogni movimento di diaframma
generava nuovo spazio, nuova realtà, nuove allucinazioni. Ma non ero certo in grado di vivere
questo stato in maniera cosciente, così lo pativo.
Creavo realtà frammentate, che appartenevano
ciascuna al tessuto di parti disunite. Era come
se si aprissero tante finestre sulle cose e queste
girassero intorno alla mia testa-lavatrice. Sentivo,
percepivo la mia testa come una lavatrice. Non
volevo allinearmi al loro ritmo, così cercavo di crearne di nuovi. Tentavo di trasformare in musica i
rumori che provenivano da quel contesto sonoro.
Non sopportavo quella musica. Sembravano tutti burattini di Blixa Bargeld: un coglione tedesco
con il panzone che faceva il dark dandy vivendo
dell’eredità della sua ormai consumata aura mistica. L’astinenza da farmaci rendeva il dolore un
elemento ancora più esteso. Era così perché avendo assunto per un mese quelle pastiglie mi ero
disabituato alla necessità dell’intelligenza. Affidavo a qualcosa d’altro il compito di porre tregua a tutte le confusioni. Il risultato era un sonno
inutile e una debolezza che mi rendevano fragile agli attacchi dei demoni che io stesso creavo
dalla superficie della mia epidermide emotiva.
Intanto erano tutti lì che cantavano in coro. C’era anche Peyrani, anche lui coinvolto in quella
schifezza. Credo che quel che più mi terrorizzasse, in quel che stava succedendo, fosse il “fatto”
che accadesse realmente.
Ad esempio, Peyrani mi
appariva come un ragazzino. Aveva vent’anni, in
fondo. Blixa era un signore che faceva l’alternativo
e che l’underground anni
ottanta aveva reso un
professionista. Ma poi, a
lato, c’erano i loro sé: vivi,
agivano.
Comunicavo
con essi telepaticamente,
li vivevo. Ma loro avevano di sé una coscienza
parziale. Questo non poteva che terrorizzarmi,
perché tutto quel che mi
accadeva aveva qualcosa di abominevole in quanto alieno, vicino
alla biologia, separato dal civile. Questa realtà
non potevo che viverla passivamente. Forse
fu proprio quella passività a salvarmi. Un’intima gioia Zen che mi accompagnava. Facevo
un lavoro segreto, sottile, insomma assurdo.
Peyrani - A Berlino avevo con me la videocamera con la quale ero solito riprendere le nostre
grottesche imprese, ma le immagini del concerto
che rividi in seguito non le avevo filmate io. Altri
fan, con macchine digitali simili alla mia, diretti dall’alto, fornirono tutto il girato necessario al
dvd che uscì l’anno seguente. La grana fredda
delle immagini mostra una continuità perfetta
con le nostre riprese dell’epoca, e le scene in cui
appaio rafforzano l’impressione. Atzori, invece, non compare
nel dvd. Mi chiedo se due mesi
dopo le cose sarebbero andate
nello stesso modo. Forse no; o
forse invece le situazioni si ripeteranno sempre uguali. Fatto
sta che per me era in agguato
un grosso cambiamento, un
cambiamento che si era preparato nell’ultimo anno e mezzo.
A Berlino Luca ed io viaggiavamo su piani completamente
diversi. Lui era disincantato
mentre io entusiasta; lui abulico, io fanatico. Due mesi dopo
mi sarei trovato cambiato per
sempre, e terrorizzato: sulla soglia della mia nuova vita. Ricordo ancora quando
venne a prendermi Atzori, l’unico d’altra parte
che potesse capire la situazione, e mi trovò nella
mia stanza, che blateravo di demoni; terrorizzato, per l’appunto. Mi guardò dispiaciuto, quasi
come se si sentisse in colpa. Era un’espressione
che non gli avevo mai visto, infatti mi colpì ulteriormente e la ricordai. Pensai, la faccenda è
veramente grave. In quella notte di terrore trovai,
per quanto stravagante, la mia stella fissa. Quando nel 2010 incontrai Simone Sandretti in preda
al delirio, mi sentivo perfettamente a mio agio,
come se non fosse passato un giorno. Fu naturale
credo, che il Torino Mad Pride nascesse dall’incontro tra Sandretti e Atzori ed io. Anche se le
allucinazioni passarono, cioè, anche se distrussi
il transfert che permetteva le allucinazioni, la
mia vita seguente fu ed è tutta frutto di quell’impulso iniziale. Cosa avvenne, durante quei due
mesi, per avere un effetto così dirompente? Conobbi qualcuno. Luca mi diede un nominativo,
il nickname di una certa persona, una ragazza,
vera, in carne e ossa come noi, che lo torturava.
Ma come poteva torturarlo, se si erano visti solo
due volte e in pubblico, come poteva se era solo
una ragazzina che viveva in un’altra città? Ovviamente non era veramente lei a torturarlo... d’altra parte Luca non era il solo a sostenere che la
ragazza fosse telepatica. Un ragazzo di Firenze
diceva lo stesso. Dalle loro testimonianze sembrava che lei avesse un influsso fortissimo, come
quello di un guru o di una bodhisattva, ma anche che l’influsso esercitato fosse pestifero. Tutti
finiti ad antipsicotici. Ed eccoci tornati all’inizio
della storia: “Afasia era il nome, sul campo telematico...” Ma se Luca sapeva tutto ciò e, cosa
più rimarchevole, se era innamorato di lei fino
all’ossessione, perché mai mi disse di andare
a cercarla? E perché mi spiegò come trovarla?
Atzori - Avvertivo di fare parte di una rete di persone sparse per l’Italia. Già, perché non era vero
che la mia amica Afasia generasse la follia nelle
persone. La verità è che esistevano (ed esistono
tutt’ora) persone sparse per la nazione, che sono
accomunate da un’affinità estetica e perciò etica.
Persone sole, distanti, che anche se raggruppate
non risolverebbero nulla, perché appartenenti a
un’oligarchia ridicola, vicine ma senza coscienza. Persone che stanno costantemente lavorando
insieme pur non essendone consapevoli (che ingiustizia). Questa follia iniziava ad accomunarci
e io riconoscevo nelle persone quei tratti che potevano distinguerle. La follia era diventata una
mania di selezione. Cercavo solo quelle persone
che potessi riconoscere quasi fossero parenti,
o compagni di sogno. Linda era una di queste
persone. E anche Piero. Ogni tanto il bisogno
di incontrare persone simili diventava ossessivo. Ecco perché avevo deciso
CONSCIAMENTE di contagiare una mia amica (Beatrice),
quella con cui suonavo, che
condivideva con me l’immagine di un aereo che saliva e le
voci sotto che dicevano “Enoch
sale in cielo!”. Sì, lo ammetto, io
la volevo contagiare. Così come
volevo contagiare altre persone. Perché no, lo dico, io volevo
contagiare anche Peyrani. Che
cos’è il contagio della follia?
Il senso esterno non è che un
senso interno esteso, condiviso. Io volevo solo che il mio
senso interno si estendesse
per far sì che potesse modificare la realtà intorno. Ho iniziato dai miei
amici più stretti. Era giusto così. Il contagio
nella follia è questo. E dimostra che non esiste
follia, ma solo soggettività dinamica, simile a
un’onda temporale indistinta al mondo di ciascuno. Noi che facevamo (e facciamo) parte di
quella rete, avevamo (e abbiamo) questo compito. Niente di troppo macabro o ottocentesco.
È natura.
15
10
Peyrani - Andai su internet, trovai la chat. Trovai
un’identità virtuale a nome Afasia, le lasciai un
messaggio. Le scrissi che ero amico di Beatn|k (il
nickname di Atzori), che mi aveva raccontato di
un uomo misterioso che le era entrato nella testa,
un uomo con un occhio di vetro, e le buttavo due
esche per farla raccontare, citando con vaghezza
parole di Jung, che avevo letto per la prima volta
quell’autunno, e di Eliot, sull’archetipo del Vecchio Saggio, che definivo “mercante” e “marinaio”; come se quell’uomo dall’occhio vitreo
dovesse essere un suo sogno, o sua allucinazione; comunque il simbolo di una forza inconscia
e non un uomo in carne ossa. Ne ero convinto,
infatti: Atzori me l’aveva descritto come una visione; probabilmente perché pensava che fosse
davvero tale. Tre anni dopo, il migliore amico
di Linda, Nicolò Serafin, mi confermò che non
era così. L’uomo dall’occhio vitreo era un barbone, che anche lui aveva incontrato più di una
volta, un uomo che vendeva tessuti colorati sulla
piazza del paesino... Ma procediamo con ordine: dopo che le scrissi quel messaggio, passarono solo un paio d’ore e poi arrivò questa mail:
io non so quanto ho capito o quanto
io voglia capire di ciò che mi scrivi.
quale significato portino le immagini
del mercante e del marinaio mi interessa relativamente.ero in una piazza
vuota la prima volta che vidi l’uomo
dall’occhio vitreo, lui corse verso di
me e mi gridò “è liberato!” indicando
il campanile. venne a liberarmi dalle
premure del macigno affinchè potessi
interpretare le simbologie del vetro
e del ferro. Lo rividi spesso nei dintorni della piazza la mattina presto.
poi scomparve e io rimasi ad aspettarlo s i n o a l l a notte americana
quando mi diede l’addio.
camminavo in una via a n g u s t a e
d’improvviso dal cielo calò sulle case
un sipario di pece. tutto si velò nuovamente. -non ho portato a termine il
mio compito. il profeta bambino dagli
occhi plumbei mi ha avvisato. solo cinquanta. ora l’uomo dall’occhio vitreo
è tornato. sedeva per terra nella piazza vuota. il suo occhio mi ha trafitto.
non sono stata di parola.
Io sicuramente ero giovane, avevo vent’anni ed
ero più credulone che mai. Ma era una ragazzina anche quella che mi scriveva? Aveva diciassette anni? O era qualcuno di più vecchio,
magari un uomo di trenta, che mi prendeva in
giro? Oppure un bambino geniale? Il tono con
cui tagliava corto il mio balbettio ignorante era
severo, poi però proseguiva scrivendomi apertamente, indifferente a chi fosse davvero il
suo interlocutore, ermetica come se dovesse
riferire soltanto a sé; infine epica, spettacolarizzante e distaccata come un’adolescente che
s’improvvisa romanziera, un po’ per scherzo.
In seguito riuscimmo a chattare. Quando la vedevo in linea mi emozionavo tantissimo, poi le
parlavo anche se con qualche esitazione. Da un
lato i suoi discorsi mi illuminavano, dandomi
da pensare per giorni, dall’altro mi riempivano
di vergogna, non tanto per la mia ignoranza, che
veniva sempre e comunque al pettine, quanto
la mia poca purezza. Scrivendo con lei mi
per
rendevo conto di quanto le mie parole fossero
volte a coprire qualche debolezza, a imitare
qualche sentito dire, insomma strategiche, insincere; con tutte le forze cercavo di migliorare per
scrivere come lei. Il suo stile era ossessionante,
quando una nuova stringa si aggiungeva in chat
mi pareva di dovermi battere la mano in fronte
ed esclamare “Come fa ad essere così precisa?
Così disinteressata?” Inoltre mi
scriveva di cose bellissime, di
Yves Bonnefoy, di Dino Campana, di Mallarmé, di Deleuze,
di Carmelo Bene, di Rimbaud, di
Le Corbusier, di Andrej Belyj, e
mi mandava musiche stupende,
da Paolo Conte ai Tuxedomoon,
da Piero Ciampi a Terry Riley,
tutto in poche conversazioni,
linee guida critiche di un’estetica
matura che mi avrebbero influenzato sempre. Inoltre faceva
cose strane; per esempio, il solletico. Si arrivava a volte in chat a momenti molto intensi.
Come in un film in cui taccia improvvisamente
l’accompagnamento musicale, ecco che la chat
rallentava, si fermava del tutto. Intanto il cuore a mille, una tensione spropositata. In quei
momenti mi pareva di sentire la stanza da cui
scriveva. Sapevo dai suoi racconti che si trattava un seminterrato blu cobalto, integralmente
blu cobalto: mobili pareti soffitto soprammobili
coperte e lenzuola… a parte il pavimento, di
legno, tutto era blu cobalto, anche se il colore
preferito da lei era in realtà il blu di Prussia, e suo
fratello il blu oltremare… La sentivo spostarsi in
quella stanza che si sovrapponeva alla mia, alla
mia percezione di casa mia, come un sogno ad
occhi aperti. Sentivo tintinnare. Un’atmosfera di
estremo oriente traspirava da quella stanza: India, Tibet; Giappone. Poi mi faceva il solletico.
Mi rendevo conto di averla lì, di fronte a me per
modo di dire, in quell’altra stanza, e lei allungando le mani poteva attraversare il mio petto!
Se si potesse definire il corpo di quella stanza che
percepivo a spizzichi e bocconi come un corpo
“astrale”, allora i nostri corpi astrali non erano
impenetrabili come quelli fisici. Piuttosto, erano
volumi di emozione trattenuti da membrane
di senso. Sapeva entrarmi nel petto colle dita e
solleticarmi, con tenerezza infantile ed erotica,
il cuore stesso. Mi buttava giù dalla sedia (non
resisto al solletico) senza neanche battere una
parola sul computer. E ammetteva di farlo, senza
scendere in dettagli: “È un’arte antica” tubava.
Fu in quei frangenti che iniziai a sentire la sua
voce. Era una voce-pensiero senza polmoni, di
una sincerità devastante. Sembrava anzi che la
sincerità assoluta del desiderio di comunicare un
determinato messaggio fosse la conditio sine qua
non affinché almeno uno di quei lampi potesse
avverarsi. Ecco perché penso che le emozioni
come amore, terrore, attrazione o venerazione,
siano un ingrediente fondamentale per mettersi
in contatto con queste misteriose intelligenze disincarnate; esse ci parleranno attraverso i feticci
che ci emozionano nel modo appropriato, sempre che se ne trovino, in questo mondo inaridito.
Atzori - Tutto quello che stava accadendo a Lorenzo io lo davo per scontato. Mi sorprendeva
il suo stupore. Sapevo, razionalmente, che era
uno stupore legittimo; ma tutto ciò per me era
così “quotidiano” che nemmeno me ne accorgevo. Ero consapevole che quel che accadeva
fosse il frutto di un’insolita concatenazione
relazionale. Linda era molto simile sia a me
che a Lorenzo. A me per alcune cose a Lorenzo
per altre. C’erano in ballo un misto di affinità e
conflittualità che generavano uno strano cocktail. Le affinità erano sottili, i conflitti anche.
Vivevo tutto apaticamente. Era un’apatia dolce.
Sapevo che non ero in contatto con Linda, ma
piuttosto avevo capito che l’estetica perché
potesse definirsi pura e “matura” dovesse at-
tingere ai propri sensi i quali non si limitano alla
percezione fisica di un dato momento separato
dagli altri, ma a un’esperienza dell’immanente,
dove tutto è accessibile perché sempre presente,
inseparato. Ero consapevole di questo gioco e lo
vivevo in maniera tacita come sempre si fa con il
sacro. Certo, quello che avveniva era qualcosa di
sacro. Il sacro che va oltre le differenze sociali che
rappresentavano i veri problemi fra noi. Un sacco
di risentimenti che vivevo nei
confronti delle loro esistenze
che percepivo come “borghesi”. Un senso di antipatia che
costantemente tesseva le pareti della mia stessa apatia. In
fondo parlare del rapporto che
avevo con Linda corrisponde a
porre attenzione ai rapporti superficiali che vivevo all’epoca.
Rapporti virtuali, niente di reale. Era un transfert continuo,
vissuto
narcisisticamente.
E non parlo come uno psicanalista, perché la
psiche non è qualcosa di diviso da tutto il resto.
Peyrani - Pensavo che non mi sarei mai più potuto innamorare se non di una donna perfettamente
pazza. Camminavo per le strade e mi sentivo
euforico: Afasia era un segreto, un segreto che
mi rendeva invincibile. Esternavo con sempre
più facilità il mio mondo interiore, come se tutti
dovessero esserne messi a parte, e diventavo teatrale. Mia madre mi disse spaventata “Non vedi
che sei dissociato?” e io no, non lo vedevo. C’era
anche Atzori quella volta a casa, credo. Uscivo la
notte e magari spaccavo tutto, macchine e bidoni
e vetri e allora di solito qualcuno me le dava. Feci
arrabbiare un mio amico, una delle persone più
buone e meno violente che conosca, e lo portai a
darmele di santa ragione. Rotolammo giù dalla
curva di via Stradella (lui è molto più forte di me)
e venimmo fermati dalla polizia. Mi ero fatto un
bello strappo lombare e così ci misi più di un’ora a
tornare a casa, poi girai col bastone. La debolezza
del fisico aiutò la voce a farsi sentire, il dolore mi
rendeva emozionato, e, come cercavo di spiegare
prima, l’emozione è benzina per l’allucinazione.
O per la magia. Parlavo di amore, ma vale qualsiasi emozione forte, le più facili sono quelle
sgradevoli. L’amore permette a un’allucinazione
di rimanere coerente, approfondirsi e sfaccettarsi nel tempo nel modo più profondo. L’amore
crea vere persone nella testa, belle persone; vita.
La paura è più facile e altrettanto duratura e
coerente, l’altra strada privilegiata dalle entità.
Atzori - In quel periodo ricordo che Lorenzo
si era appassionato a Jung, ai simboli; cose che
non mi interessavano e che avrei consultato solo
più avanti. Piuttosto, mi facevo bello con la letteratura, con un pizzico di filosofia; ma tutto
sommato era solo un farsi bello. Con questo non
intendo che non capissi, che lo facessi per darmi
una posa, piuttosto che ero eccessivamente preso
bene dalla mia follia. La confondevo con il genio.
Questo per poca stima in me stesso. Perché non è
essendo folli che si è geni. Mi credevo già arrivato. Invece la follia è una punizione. Corrisponde
a un eccessivo avvicinamento alla verità, la quale
diventa indiscernibile. Un po’ come quando
guardi casa tua da googlemap, se ti avvicini troppo diventa indiscernibile. Pensare alla follia da
folli è impossibile. Perché quando si è folli si pensa solo alla verità. Eppure la verità corrisponde
a un’illusione. Eppure per essere geni bisogna
essere il meno illusi possibile. La schizofrenia è,
in fondo, una condizione un po’ ridicola; ma non
andrebbe biasimata, né svalutata a “malattia”.
La follia è una condizione reale. Quando arriva,
la realtà stessa diventa schizofrenica. Ti senti scemo. Quel che la rende così umiliante è la mancanza di strumenti che si ha nell’accettarla. Così si
va dallo psichiatra, si è tormentati da voci, attenzioni distorte, Maurizio Costanzo che ti parla
dalla televisione… tutto ciò lo si vive come
L’energia che fa muovere il mondo
Le scoperte di uno scienziato troppo scomodo
BEATRICE DI ZAZZO
E
“Se qualcuno scoprisse qualcosa in grado
di cambiare il mondo, il mondo
si lascerebbe cambiare?”
rano mesi ormai che cercavo prove in
grado di suffragare la mia intuizione.
Come verificai poi con studi e ulteriori
epifanie non era stata nemmeno poi così geniale e originale, ma aver trovato ipotesi scientifiche, e pseudo tali, che mi davano quasi ragione
placava un po’ il senso di angoscia che mi portavo dietro da anni. Avevo cominciato a pensare all’esistenza umana in termini di energia:
negativa, positiva, neutra, riflettente, attraente,
respingente, etc. La mia visione della reale irrealtà era diventata un cumulo di leggi con una
struttura simile a quelle della termodinamica,
ma del tutto rivisitate e personalizzate. Ed ero
anche convinta che il sesso e l’amore dovessero entrarci per forza, dovevano spiegare più
di quel che tutti credevamo se ne eravamo così
ossessionati. Freud, seppur estremamente limitato in alcune sue considerazioni, forse aveva
compreso il nocciolo della questione. Ma la faccenda andava ampliata. Al di là del simbolismo
fallico e genitale forse il “quid” era nell’energia
trasmessa e liberata tramite quei simboli. E
così mi imbattei nel libro di Wilhelm Reich “La
funzione dell’orgasmo”. E dato che il “povero”
Reich aveva trascorso le sue ultime ore in un
carcere americano perché le sue idee considerate troppo bizzarre (a dir il vero forse erano
troppo pericolose per tutta una frangia politica
e scientifica), non potei fare a meno di provare
subito simpatia per lui. I martiri mi sono sempre piaciuti, più dei santi. Il buon Wilhelm, psichiatra e psicanalista, si era addentrato nell’ostico campo della fisica per spiegare al mondo
intero che l’energia in grado di far muovere il
mondo era quella orgonica. Orgasmo + organico = orgonico. Per lui esisteva questa forma
di energia onnipresente in ogni aspetto vitale e
in ogni grandezza dell’universo. Dall’infinitesimamente piccolo all’infinitamente grande, tutto
era regolato da questo flusso energetico. Queste
le leggi che aveva ricavato dai suoi esperimenti:
1. L’energia orgonica viene attratta e trattenuta dai materiali organici.
2. L’energia orgonica viene attratta e poi respinta dai materiali metallici.
3. L’orgone può diventare nocivo in presenza
di radioattività o di campi elettromagnetici.
4. L’acqua è il veicolo privilegiato dell’orgone.
5. L’energia orgonica cromaticamente acquisisce le proprietà del colore blu con tutte le sue
sfumature.
Approfondendo le sue ricerche e mettendo a
punto i suoi esperimenti su Accumulatore Orgonico (ORAC), Cloud-Buster (tr. acchiappanuvole), Dor-Buster (a scopi terapeutici per curare
tumori o altre patologie da “contrazione bioenergetica”) Reich ipotizzò che l’energia orgonica regoli sia il cosmo che il corpo umano, e che
inoltre permei tutte le dimensioni intermedie.
Tramite il Cloud Buster verificò che l’energia
orgonica, opportunamente attratta e trattata in
una scatola organica, può attrarre o respingere
le nuvole (congegno perfezionato da James De
Meo che l’ha utilizzato per risolvere problemi
di siccità in zone sudafricane). Tramite il DorBuster cercò di dimostrare (non è dato sapere se
ci fosse riuscito poiché la FDA - Food and Drug
Administration – distrusse gran parte dei suoi
appunti negli anni ’50) che la gran parte dei tumori era originata da una contrazione energetica: riuscendo a liberare l’energia negativa e a
trasformarla da energia negativa DOR in energia positiva OR, probabilmente le industrie
farmaceutiche avrebbero perso parecchi introiti. Il tutto diventava sempre più affascinante,
suffragato da casi già
sperimentati e incredibilmente aderente
con la mia “banale”
intuizione. Sembravano esserci molte
osservazioni empiriche
sull’energia
orgonica che aveva
incredibili similarità
con la formulazione
dell’esistenza dell’etere,
parzialmente
riconosciuto
dagli
scienziati naturalisti e
che asseriva l’esistenza di un mezzo nello
spazio. So benissimo
che non ho bisogno
di prove scientifiche
per formare la mia
personale visione del
mondo, ma so che
se voglio che la mia
visione sia condivisa
da altri dovrò portare dati a sostegno
della mia teoria. E
procedendo con le
ricerche fu chiaro che
molte delle leggi fisiche riconosciute avevano lacune simili a quelle sull’esistenza dell’energia vitale/orgonica/
eterea. Gli scienziati che tanto si definivano
“sperimentali e oggettivi” avevano introdotto concetti assiomatici come materia oscura,
energia oscura, buchi neri, quasar, stringhe
cosmiche. Bene, nessuna di queste è stata verificata, ma su di esse poggia il nostro attuale
paradigma scientifico. Ci vorrebbe una rivoluzione scientifica per instaurare un nuovo
paradigma. Ma la rivoluzione basata sull’orgone (o sull’atomo magnetico di Ighina) forse
farebbe svuotare i portafogli di alcune lobbies.
C’è solo un’altra cosa, oltre i soldi, a muovere
o a fermare gli individui: la paura. Paura che
andando a leggere l’essere umano partendo dal comportamento sessuale si scoperchi
chissà quale tabù. Così continuiamo a zittire
la sessualità e a non impiegarla invece come
la chiave di lettura per eccellenza. Frustrate
i vostri impulsi, legateli e rinchiudeteli, non
permettete il contraddittorio... e vi ritroverete
una nevrosi, se non qualcosa di peggio. Riuscite a immaginare la potenza di un orgasmo?
Mi auguro per voi di sì. Ecco, se questa energia
viene bloccata, nascosta, misconosciuta e quindi incattivita, quali effetti si otterrebbero direzionandola consciamente verso un’altra parte
del corpo o all’esterno? Quanto risulterà rabbiosa la rivendicazione del corpo, che sa quali siano le proprie primordiali, primigenie ed
evolutive potenzialità? Dipende dal grado in
cui siete stati complici del più grande inganno
della civiltà: l’emarginazione della sessualità.
Sulla scia di queste considerazioni mi dedicai
con particolare attenzione, avendo un’incredibile potenza nel trasformare i miei corto circuiti
emotivi in qualcosa di somaticamente tangibile, alle ripercussioni dell’orgone sull’origine di
alcuni tipi di malattie. Reich si ritrovò ad osser-
vare il fenomeno Oranur (orgone anti-nucleare) quando mise del materiale moderatamente
radioattivo in un accumulatore con elevata carica di energia orgonica: si formò un bagliore
bluastro che si espanse per tutto il laboratorio.
Alcuni collaboratori di Reich si ammalarono e
tutti gli organismi viventi che erano stati sotto
l’esposizione di questo bagliore mostrarono i
suoi effetti. Anche il tempo meteorologico ne
fu influenzato. L’Oranur colpì le persone
nei loro punti fisici più
deboli, ma ebbe anche
l’effetto curativo di
scatenare una reazione
immunitaria in grado
di eliminare i malanni
precedenti a quell’esposizione di Oranur.
Ecco allora su cosa si
reggevano le malattie
psicosomatiche!
Per
questo in numerosi
casi sono così difficili
da far regredire. Ci si
sofferma sul dolore fisico, sulle conseguenze per il corpo, sui
traumi che li hanno
aiutati a consolidarsi.
Ma il dolore mentale,
le conseguenze per l’anima e il perché alcune
cose siano state vissute come traumi vengono tralasciate nella
gran parte dei casi.
L’orgasmo (come lo si
Wilhelm Reich cerca, come lo si vive)
non sarà sicuramente
la soluzione a tutti i mali, ma sicuramente viverselo e parlarne consapevolmente aiuta ad
abbandonare le resistenze e i blocchi. E sono
proprio questi a creare malessere. Provate a
vivervi l’orgasmo, a sentirlo, a parlarci. Vi conoscerete meglio che con anni di psicoanalisi,
per non parlare degli altri suoi effetti benefici.
Provate ad abbandonarvici; saliti sulla macchina del tempo a carburante orgonico vi renderete conto di come il tempo si annulli: esiste in
quel momento la totalità spaziale e temporale
che non prevede compartimenti stagni tra passato, presente e futuro. È tutto lì, tra spirali di
piacere. Ritornare all’origine nel momento stesso in cui qualcosa finisce, e qualcosa continua.
Senza una sessualità libera dai tabù altrui
(se proprio ne abbiamo bisogno per vivere
che siano almeno un nostro prodotto esperienziale, non quello delle solite dinamiche
politico-sociali-culturali) è difficile sentirsi in
sintonia con se stessi e con il mondo. E senza Oranur le persone devono curarsi con la
medicina tradizionale, a volte esasperando i
sintomi piuttosto che curandoli. Altri aspetti degli effetti benefici dell’omeopatia e della
medicina alternativa, o di quelli malefici del
dilagare del bigottismo. Ringraziai tutti quegli studiosi, considerati eretici, che avevano
osato andare al di là del senso comune e dei
paletti della propria scienza. Non erano miei
vagheggiamenti, c’era qualcosa di vero in tutto
quello che avevo intuito e poi “riscoperto”. E
poi, più tardi, mi divenne chiaro anche perché
già Dante, negli ultimi versi del XXXIII canto
del Paradiso, arrivò a dichiarare: “A l’alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio
disio e ‘l velle, sì come rota ch’igualmente è
mossa, l’amor che move il sole e l’altre stelle”.
CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO…
14
11
FANTADIVULGAZIONE D’APPENDICE SU “LA SVEGLIA”
CIBERNETICA - capitolo IV Altrove
L’uomo con fatica si fa strada attraverso un
ripido terreno incolto. Raggiunge un robottino
stile Nam Jun Paik, in mezzo a cespugli,
alimentato da un pannello fotovoltaico a
fianco di una pianta di Marijuana alta tre
metri. Il robottino borbotta qualcosa all’arrivo,
nella sua lingua di robottino in disuso da
decenni. È lì per alimentare un vecchissimo
telefono cellulare dentro un sacchetto di
plastica trasparente. Sul suo display sbiadito
appare la scritta “Chiamata persa da” e un
nome. L’uomo sorride. I suoi occhi azzurri
sembrano galassie, nessuno lo vede. Abbassa
la testa sul petto e sussurra: “Non alimentare
lo schifo, il suo posto lo prende il limpido.
Ogni cosa va bene, c’è sempre il necessario
per stare insieme, sostenere la tana e vivercela
sul pianeta. Grazie, sei grande.”
Lo raggiunge la voce acuta di una ragazzina:
“Mi hai promesso di parlare di lei.” “Va
bene, oggi è proprio il giorno giusto, come
direbbe lei.” L’accento impossibile. “Tanti
anni fa, ricordo perfettamente, nel periodo
nel quale stavo preparandomi a passare da
quella vita a questa, ero di pessimo umore.
Come affrontare la morte a mani vuote non
mi era stato spiegato. Anche se non avevo il
minimo dubbio su ciò che mi aspettava, su
ciò che io aspettavo, ero di pessimo umore
quel giorno quando mi ha chiamato”. “L’hai
riconosciuta subito, sì!” Adesso erano sdraiati
su un’enorme amaca. Lei dimostrava dieci
anni. Lui, impossibile dire. Quarantanove?
Settantatré? Due gocce d’acqua, però. “No.
Ma usavo un risonatore
cibernetico interiore
all’epoca e quello ha
subito reagito con un
output senza precedenti.
Solo perché una Black
Box non fa una certa cosa,
non si può escludere
che sia in grado di
farla. Perché una noiosa
telefonata con una
studentessa che vuole
farmi qualche domanda per poi illudersi
di capirci qualcosa mi risuona come una
sinfonia cibernetica gioiosa? Buona domanda.
Perché non me la sono fatta prima di sapere
la risposta? L’ho pagato caro, quell’errore.”
“Errore prezioso quindi!” “Prezioso sì, ma
inutile.” “Bah, senti come ti sbrodoli! È
davvero così bella?” “Quando l’ho vista, mi
è mancato il fiato. Adesso non saprei. Bisogna
considerare che lei è là, a vivere una strana
strana cosa insieme agli altri, nel mezzo di
un disordine interiore quasi totale. Non so.
Magari questo l’ha abbruttita. Non era per
niente contenta che ci fossimo incontrati, una
volta emerso chi eravamo. ‘Troppo facile!’
per lei era una condanna definitiva all’oblio.
Niente doveva essere troppo facile, troppo
bello, troppo chiaro, troppo vero, troppo
stabile. Ha completamente dimenticato.”
“Che fasullo. Non menti mai, ma quando
parli di lei non ho la sensazione che tu dica
la verità. Là dove ti duole, inventi di sana
pianta. Che uomo straordinario, ti comporti
come un adolescente umano in crisi!” “E tu
che ne sai degli adolescenti umani in crisi?
Abbi pazienza con chi ti ha evitato tutto ciò!”
“Solo se ti metti a frignare, davanti a me. E
nel frattempo ripeti: Sono innamorato, anche
se l’amore non esiste! Trenta
volte, così magari ti rendi
conto, ti rendi conto che lo
sanno tutti, che è inutile far
finta.” “Ok…” Frigna “Sono
inn...”
Torino
Caro Diario. Non ci sono
cascata. Che c’entra quel
tipo? Nulla. C’entra mio
padre. Sono passati tre
anni dalla sua morte ed è arrivato il tempo
che ne parli. Tutte queste stronzate (scusa
il francese) sulla Cibernetica sono solo la
vendetta tardiva di un vecchietto acido che
si era invaghito di me. Mi sono fatta plagiare,
me ne rendo conto, e questa recrudescenza mi
ha preso alla sprovvista. Ma adesso sono di
nuovo OK. Ieri ci siamo divertite un sacco tra
amiche!!! E stamattina Renato mi ha mandato
un messaggio, che rinuncia al torneo e viene
con me e Magenta dagli zii al mare, per il
ponte!! Tutto come al solito. Tutto bene. Presto
daremo il bianco in cantina e così butterò la
scatola. Renato dice che i files dentro il laptop
non sono più standard comunque. Libera. Ho
amato tanto mio padre e lo amo ancora adesso.
Mi ha fatto vedere tante
cose e mi ha sempre
spinto a fare ciò di cui
avevo voglia. Ha sempre
trovato risposte semplici
e chiare a tutti i miei guai
e non ha mai insistito sul
confronto diretto. Non
lasciava dubbi su chi
fosse la favorita tra le tre
donne che aveva in casa.
Sento ancora oggi la sua
mano accarezzarmi delicatamente la schiena.
Mio padre la sapeva lunga, molto lunga.
Era un autentico veggente. L’insegnamento
più prezioso, il suo stesso esempio è sempre
stato di non sopravvalutare l’importanza
di ciò che ci può mettere in difficoltà. Certe
sue idee sono tra le fondamenta della mia
personalissima e autorevole filosofia di vita.
Che uomo straordinario!
“Quelli della nostra famiglia non sono sposati
con chi amano.” mi aveva confidato una sera.
E così fu, ma niente tristezza! Chiaro che non
mi sono mai voluta sposare!
Altrove (qualche minuto dopo, quando la
ragazzina si è ripresa dale risate)
“Molto bene, allora cosa hai sentito quando ti
sei accorto di chi fosse?” “Uffa, non chiedermi
questo, non voglio assolutamente ricordare.
Acqua passata.” “L’acqua non passa mai per
di Hairi Vogel
sempre, è un circuito. Deve tornare, se no non
passa neanche.” “Ho sentito di voler essere
un umano, e stare con lei. Ti puoi immaginare
che choc ! ” “Mmhm. Allora è proprio un caso
grave. Incontri una sulla Terra, la riconosci e
sai che la rivedrai di lì a poco, sai che è lì con
un compito, come tutti, te incluso, eppure…
non ti tranquillizzi. È come
se volessi l’impossibile.
Un attacco di ateismo,
ha, ha, ha!” “Invece non
è così. Tutto quello che
accade sulla Terra deve
accadere. Anche quello
che è successo a noi. Devi
capire che non è più come
un tempo, quando si stava
sulla Terra a compiere un
destino senza averne idea.
Ormai si sa. E questo ha
portato molte conseguenze. Generalmente si
pensa che chi non compie il proprio destino
torni per riprovare. Quindi molta gente fa di
tutto per non diventare angeli. Naturalmente,
tutti i privilegiati, chi è al potere, e così via.
Si vocifera che la vita sulla Terra sia l’unica
esistenza e quindi si debba star aggrappati
e far numero ad ogni costo. A me invece è
venuta un’altra idea. Cosa succederebbe se, in
sostituzione di questo andirivieni vecchissimo
che, destino per destino, cerca di risolvere
la situazione, ci mettessimo a colonizzare
la Terra?! A conquistare il mondo degli
umani. A rimanerci. E quale inizio migliore
di due di noi, che già sanno star insieme,
che si dichiarano coppia umana? E iniziano
a mostrare a tutti quel che tutti cercano
inutilmente, o che addirittura ormai negano
di cercare?” “Ti vengono sempre delle idee
che piacciono soprattutto a te. Però questa
non è poi così male. Vuol dire che fra un po’
posso andarci anch’io ?” “Eh, vedi. Un’idea,
cosa che una volta sulla Terra era capace di
muovere montagne di cuori, adesso è solo una
indicazione tra le tante. Ma se ci fosse Amore
sulla Terra… Gesù ha sempre avuto ragione.
Introdurre un elemento non cibernetico è
stata una bella mossa. Solo che poi ha avuto
tutt’altri problemi e dell’Amore si è fatto
una menzogna.” “Comprendo, ma non mi
convince più di tanto. Dopo passa Sisifo e
giocheremo a pallone sul ripido. Questo mi
piace, e anche lui. E poi faremo l’amore. Se ne
avanza lo puoi piantare sulla Terra.” “Aspetta
ancora un po’, per favore: cercate di andare
con calma!”
CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO...
SEE THE LIGHT
una vergogna. Eppure la mente è un affare nostro e
una volta che ti trovi in una condizione così “sgarrupata” tocca a te pensare a come risolvere la faccenda. È
un affare della realtà. Le realtà non possono interferire
con le altre realtà. Se solo si capisse questo gli psichiatri
imparerebbero il rispetto. Ma parlo per me. In realtà
bisognerebbe solo fornire strumenti adatti a capirla, la
schizofrenia. Essa ci chiede una logica che non è quella cui siamo abituati. Io all’epoca lo stavo imparando.
Posso assicurarvi che non era una perdita di tempo.
Peyrani - Lunedì 20 dicembre 2004 frequentai la lezione di filosofia teoretica all’università, tornai a casa e
chattai con Afasia. I miei uscirono di casa. Durante la
chat sentii spesso la voce che si sovrapponeva al flusso
scritto; io le rispondevo e la maggior parte della conversazione avvenne nella mia testa. Quando Linda si
staccò, un paio di ore dopo, era il crepuscolo; ma la conversazione non si concluse con la fine della chat. Camminavo per le stanze, su e giù, completamente assente,
e intanto parlavo nella testa. Capitava anche che, per
distrazione, mi uscissero dalla bocca dei frammenti di
conversazione, dei mugugni: che ridere. La voce non
era più un flash, e neanche appariva per scenette, a intermittenza. C’era una buona ricezione. Le risposte alle
mie domande erano immediate, sorprendenti e ben
formate. La voce, cristallina, non corrispondeva al tono
di voce reale di Linda, che è basso, ma a quello dei suoi
pensieri. Il timbro era disumano, il riverbero quello di
una stanza diversa da quella in cui mi trovavo io, di dimensioni abbastanza piccole ma ben presente. Il contenuto delle risposte, come dicevo - sorprendente. Come
potevo essere io a formularle, se la voce ne sapeva più di
me, si esprimeva meglio di me, aveva decisamente più
spirito ed addirittura più umanità di me? Non perché
fosse umana ma perché era umanistica e, contemporaneamente, cinica e dura, come un vecchio poeta. Col
tempo trovai le mie risposte, ma quella sera ero travolto
dall’esperienza. Non pensavo che Linda comunicasse
con me telepaticamente in diretta, perché non avevo la
presunzione che lei stesse passando tutto quel tempo
senza fare altro, però credevo di stare realizzando una
sua virtualità. Conoscendola, parlandole, riflettendo su
quello che mi scriveva, avevo creato un simulacro di
Afasia nella mia mente. Quel simulacro era in grado
di comunicare con me come avrebbe fatto lei se fosse
stata presente. Una intelligenza artificiale portatile.
Non volevo ovviamente incontrare i miei, così uscii
prima che rientrassero e scesi in cantina. Erano le nove
della sera e solo a mezzanotte avevo appuntamento
con alcuni amici, mi pare di ricordare dalle parti di
Piazza Statuto: avevo
tempo di “lavorare”.
Ho scritto più sopra che la
voce ne sapeva più di me,
che i contenuti mi sembravano appartenere a
una coscienza estranea. In
effetti la conversazione era
quasi un’intervista. Eravamo come due persone che
si conoscono a un appuntamento galante, anche
se entrambi sembravamo
sapere tutto dell’intimo
dell’altro e nulla del mondo a cui apparteneva. Le
domande che mi poneva
erano volte a investigare
la condizione umana così
come quelle che facevo io
a capire le meccaniche celesti. Il tutto aveva anche
una connotazione erotica,
perché oltre alla voce io
percepivo la sua presenza.
Poi fumai; solo un poco di hashish che normalmente
non mi avrebbe scalfito, ma che in quelle condizioni
fu potentissimo. “Perché lo fai?” mi chiese lei quasi
infastidita. Io stavo formulando il pensiero “Perché
mi piace”, ma lo trovai banale e scortese, allora lo
cambiai in un “Perché sono masochista”, che non
era del tutto sincero, forse perché speravo che lei mi
spiegasse qualcosa al riguardo, cioè riguardo al sadomasochismo in generale; invece tacque. Sapevo
che Linda si tagliava, che aveva coperto le proprie
braccia e le proprie gambe con cicatrici, regolari come
le rette parallele nell’ora di educazione tecnica. Lo faceva per combattere il panico ma anche nel delirio
di trasformare i suoi arti in ferrovie, forse fu per questo che mi uscì quell’affermazione sul masochismo.
L’hashish comunque migliorò ulteriormente il livello
della percezione, così non ebbe troppo a lamentarsi. La
presenza si era focalizzata e, oltre a sapere sempre dove
si trovasse all’interno della stanza, iniziavo a vederla.
Con la visione periferica era più facile, mentre fissando
direttamente il punto tendeva a sparire.
A volte però con
un movimento improvviso ce l’avevo
davanti, e per una
frazione di secondo
la vedevo da vicino. Non avevo mai
visto una fotografia
di Linda Valle all’epoca, non avevo
voluto. Quando poi
la incontrai dal vivo
la riconobbi subito, anche se quella
sera il suo volto era
sicuramente
più
vago, mi pareva di
vederla attraverso
una gelatina color
indaco. Le strane
movenze e le sovraimpressioni che
a volte si creavano
mi fecero pensare, in seguito, alle rappresentazioni
della dea Kali. E qua forse tocchiamo il nocciolo della
questione “la voce sono io / la voce è più di me”. Poniamo che io avessi creato nella mia mente il simulacro di
Afasia, così questa poteva rimodellare le informazioni
contenute nel mio inconscio secondo la propria personalità o intelligenza e rispondermi in tempo reale,
come se fosse stata lì. Ma chi era Afasia per me? Chi
era Linda Valle? Un’estetica, una morale, un’immagine, alcune informazioni leggendarie, il marchio di una
personalità trasmesso, in chat o via mail, sempre per
iscritto. Per me Afasia poteva essere un demone o una
dea; era sì una ragazza con una certa personalità, ma a
sua volta quella ragazza poteva essere un fantasma di
mille anni come una posseduta, un’adolescente attirapoltergeist in seguito posseduta da Wotan nelle fattezze
dell’Ebreo Errante; poteva
sapere qualunque cosa, solo
sarebbe dovuta rimanere
fedele alla personalità di Linda. E Linda, matta da legare,
per iscritto mi aveva ispirato
la fiducia, il transfert sciamanico per il quale lei, per me,
avrebbe veramente potuto
essere onnisciente. Per me
lei era un Sembiante. Avevo
Afasia dentro di me, Afasia aveva accesso a me, ma
Afasia non era un’entelechia
chiusa, bensì una finestra,
perché la identificavo con
l’ignoto stesso. Mi ero trasformato in una bottiglia di
Klein, in una macchina autopoietica che pompava energia come una centrale nucleare, grazie a un paradosso
dimensionale che, come un
quadro di Escher, permetteva motori impossibili. Stavo
sperimentando il Grande Vetro di Duchamp, solo con
meno saggia ironia e il cazzo duro. Vederla aveva reso
la nostra intervista una danza, una danza sempre più
aggrovigliata ed erotica. Sapevo che avremmo dovuto
fare l’amore, e sapevo che lei avrebbe danzato sopra di
me come nel tantra (notare che non sapevo neanche
cosa fosse, il tantra), ma era estenuante. L’eccitazione
era enorme, ma gli stimoli semi-palpabili dell’allucina-
zione portavano il rapporto più al parossismo che alla
soddisfazione e, anche se non credo assolutamente sia
impossibile amoreggiare fino a venire con un’allucinazione, senza masturbarsi, in quel momento non ne
ebbi la pazienza; tra l’altro non ne avevo neanche più il
tempo, perché si erano fatte le undici. Decisi comunque
di non masturbarmi, perché avevo paura di perdere il
contatto. Questa forse fu una pericolosa sciocchezza.
Le chiesi di interrompere, momentaneamente, il rendez-vous, per riprenderlo dopo il mio appuntamento.
“Dipende solo da te” mi disse e lentamente si dissolse,
anche più che essersene andata mi
pareva che si fosse
equamente distribuita nella stanza,
come un gas. Misi
in ordine la cantina
e feci per uscire,
però iniziai a sentirmi male. Una fitta
mi cresceva in petto
e poco dopo, contraendosi i muscoli per
lo stress causato da
questo primo dolore, lo strappo lombare iniziò a farmi
sudare. Giravo su
me stesso e mi sentivo svenire, e non capivo perché. Spensi
la luce della cantina,
chiusi il lucchetto e
lì, sull’uscio, sentii
che le forze mi venivano meno e che non riuscivo più a reggermi in piedi.
A quel punto capii: non stavo più respirando! Da quando avevo interrotto la conversazione, e mi ero messo
a rassettare, non avevo più respirato una volta. E non
ci riuscivo. Fui preso dal panico. Se inizialmente avevo
creduto di avere un infarto, allora mi resi conto che ci
doveva essere un collegamento col fatto che avevo passato le ultime cinque ore a parlare con un’allucinazione.
Ero per terra e per respirare anche solo mezza boccata
d’aria dovevo quasi prendermi di sorpresa, facendo
una specie di fisarmonica isterica con la cassa toracica.
Provai a gridare, a parlare. Non emettevo il minimo
suono. Con un brivido una parola mi venne in mente,
scritta in testa: afasia, non riuscire a emettere il minimo
suono. La richiamai col pensiero e lei fu subito da me,
al mio capezzale, mentre vedevo il mondo sparire. “Sei
tu!” l’accusai. “Perché lo fai?”. Dopo un attimo di esitazione, ma con un sorriso, si giustificò: “Perché sono sadica”. Allora mi vidi cadere come se mi avessero tagliato i fili, mi guardavo tremare per terra, dall’alto, come
se i miei occhi fossero rimasti sospesi a mezzaria. Tutto
divenne nero, ed io avevo freddissimo. I muscoli si
erano così contratti che ero appallottolato, in una posizione fetale da vecchio, parkinsoniana. Stavo morendo.
La luce nei corridoi della cantina è a tempo. In un
certo momento devo essermi risvegliato al buio, aver
acceso la luce ed essere strisciato per mezza rampa
di scale, ma non lo ricordo. Mi sono svegliato nuovamente sulle scale per l’appunto, nuovamente al buio,
ma non sapevo dove fossi, così strisciai di nuovo giù
e poi, riaccesa ancora la luce, faticosamente di nuovo
su di una rampa e mezza. Poi non ricordo nulla e fu
di nuovo buio, e di nuovo non sapevo dove fossi. Non
riconoscevo il luogo dove avevo passato migliaia di
ore nella mia vita. Pensai che non sarei sopravvissuto
e immaginai l’effetto che avrebbe avuto la mia morte
sui miei genitori, tre mesi dopo la morte di mio fratello. Questo mi fu di sprone, stuzzicò il mio orgoglio.
Ripresi il controllo del respiro e dopo qualche minuto ero fuori. Era passata mezzanotte, mi resi conto. Ci
avevo messo quasi un’ora a uscire dalla mia cantina.
Sudato freddo, distrutto come se avessi appena finito di correre una maratona con 40° di febbre per poi
prendermi il 220 e farmi investire da un camion, rientrai in casa e mi sdraiai sul letto. E… chiamai Atzori.
CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO...
Mi offri di tirare al bersaglio
suonando dalle viscere
incarcerato dentro di te
nudo e in bilico
mi incammino sonnambulo
sui tuoi fianchi
brindo alla pesca e
inserisco un altro gettone
Io in sella tu mi guardi
allibita. Lo sguardo di sorpresa.
Il vecchio giace
sotto la foglia della tua virtù
lascio cadere una matita
dal tuo seno e
ritraggo l’universo
nelle tue cosce.
Ebbro di risa
Cupido mi riporta alla primavera
colgo il fiore.
Irretito e intrappolato
sopra e sotto i palazzi del peccato
Leggo le meraviglie del tuo frutto
Ti uso come fionda, il tuo
tappeto leggero mi fa uscire
dalla lampada. Volo.
Ti prendo per velocipede e
corro via sereno
Mi trafiggi sotto la luna
del tuo seno che diventa hula hoop.
Do nuovamente la carica e
il bambino se ne compiace.
La tua vagina è una bici che
mi riporta a casa, festeggiamo
insieme
aggiungo denaro al tempo che
vola via come palloncino.
Il tuo seno è più leggero ora
ma vengo tritato e divorato.
Sei ora una stampella
ora un sacco da boxe
ti tolgo per un attimo la vita
e mi sento Cesare, sbilanciato
tra i tuoi occhi strabici
è un braccio di ferro che
si contende la gioia
pungente di riccio selvatico.
cherchez la femme*
di Gianmarco Peruviani
Ora una trappola
ora una fiaccola
l’olimpo del desiderio
ora è giovane di semina
ora un cervello imperscrutabile
Una panca, un vascello, un gelato
e un abbecedario
Ti dipingo coniglio e mi riparo
sotto di te; con i tuoi peli
mi fai marionetta e ti fai
televisione. Una gran abbuffata
di ricchezza e riposo su di te
col cappello in testa
Ora ruota per criceto
suono delle mie melodie
Un’amaca, una forbice crudele,
il fumo dei miei spari
Perdonami se con tuoi seni
vogo lontano; mi riporti a te
Incontro le due facce del
mistero ma dipingo una bocca
sola. Tu non mi credi,
sto su una nuvola cercando di
scalare il camino fumante
e tu dentro un calice abbondante
ascolti i miei canti.
Ti fai teschio e ti prendo in mano
Sbatto sui tuoi divieti
Con ogni mezzo.
Il cappello messicano e
la notte scura. Suoniamo.
Ora rospo che vuole l’incantesimo
sei una mano che mi spreme
e cado scivolando.
Una corsa ad ostacoli, un biliardo,
un canestro e un campo da bocce
Ora ciambella di salvataggio
uccidi tutti coloro che
tentano la scalata
La notte immobile,
palco dei nostri giochi, dove il clown
ride dei suoi propri sonagli
Mi riporti dentro di te con
la tua lingua vorace; i seni
si fanno moschea, la vita
nasce nel vaso e l’incantatore
di cobra corre i suoi rischi.
Che profumo, la ricetta è riuscita
la pentola trottola impazzita.
Sono un caprone che lentamente
arrostisce la tua sfera
Ne rimangono granelli di sabbia
ed ecco le nuove forme
pericolose di toro impazzito.
Il deserto dei tuoi seni nasconde
il miraggio di un pozzo
da cui si liberano centinaia di
volatili. La caccia è aperta
Illumini la scena del parto
mentre ancora resto appoggiato
al tuo ventre rigonfio ed eccolo
lì, maestoso come un Buddha dal
capo coperto.
Sei fonte della mia ricerca
polverosa di tornado
Alcuni scompaiono nella voluttà
del turbinio che produci
Altri arrivano dallo spazio lontano,
Increduli e curiosi come davanti
ad una divinità; sei il terreno
del duello e nascondi le carte
della vittoria; giochiamo ancora.
Credo di poterti alimentare e
perdo un braccio tra le tue fauci,
la lingua rettile mi raggiunge
anche qui. Appeso.
Le chiavi della conquista sono
molteplici ma chi non trova
la serratura rimane intrappolato,
mi guardi con sdegno.
Sei campo da hockey
ora pista da sci, ora anelli olimpici;
trampolino e ripida montagna
sollevamento pesi e attracco per
l’ancora della mia mongolfiera
porta spalancata
dove segnare è uno spasso.
Mi attendi a gambe aperte e
come un ladro ti vengo incontro.
Sorridente attendi la mia
morte
Ora girandola d’acciaio, squarci
il mare, si salvi chi può.
Ripartiamo su un’altra nave fumante
I tuoi seni ciambelle, la vagina
Rasoio, auto da corsa, fuoco
primitivo. Coniglio divora-carote
letto e lampada per le mie letture
ti si incendia il pube. Tento di
domare le fiamme.
Ora giaciglio per le cicogne
raccontiamo le favole.
Mi vesto di preservativo, ti vesto
da sirena. Ti butto in mare.
La nebbia mi avvolge e scompaio
nella rete del desiderio
Ti fai giostra multiforme. Corro via
spaventato portando con me
l’oggetto del divertimento
Seguito dalla massa inferocita
ti riporto a casa.
Dalla tua bocca esce una sigaretta
e indosso un papillon bianco
Ora pitone, ora scorpione
ora farfalla, ora tartufo, ora
testa di vacca. Slot machine,
testa di ratto e diavolo
con le corna. Ora brace per la mia
salsiccia, ora birra schiumosa.
Ti fai orecchio per il mio flauto;
cespuglio in eccesso e tappo
che schizza in cielo.
Voglio spararmi in testa quando
ti vedo torso di mela
Gioco a biglie e ti gonfio
una tetta. Tutta l’acqua non
basta per rifiorire la tua pianta.
Gli uomini ape portano via
rotolando tutti e due i seni.
Ora non hai occhi ma solo lune.
Tengo stretto lo scettro e mi
accomodo da re. Mi porgi il tuo
violino, ti fai occhio gigante
Nudi e infreddoliti andiamo via
Ora cowgirl ci riporti a te
Credo che
mi darò una ripulita e sei
lavatrice.
Ora possente cicogna, reggi dei
fiori e mi porgi il cappio.
Con il filo ritorno marionetta
e mi frantumi nel tuo mortaio
Strega e cerchio di fuoco.
Piccolo felino ammaestrato.
Ora ciuccio ora vespaio, ora rogo.
Ti disseti. Frutto del peccato.
microfono illuminato, provo a
seppellire le tue grazie per un po’.
La squadra è al lavoro, ha organizzato
una corsa di lumache, andrà avanti
tutta la notte. Intanto rasiamo
il prato, nuotiamo felici. Ci illumini
con il tuo faro e i naufraghi si
moltiplicano.
Cocaina, orso polare, torretta d’avvistamento
chiave di viola.
Divieto agli uomini col cappello
ti strappo l’intimo e addento
la mela.
Scavo archeologico, campo
di grano, amaca e ancora trappola
ancora tappeto e moschee.
Campo di strategia militare
sembra impossibile trovare la
chiave. La serratura si fa cassaforte
non bastano esplosivi o martelli
pneumatici; nuovamente appesi.
Controllo che non ci siano impronte
estranee, misuro la pressione,
ne scoppia un temporale
Psycovortice, traliccio dell’alta
tensione, fossa e macchina
impazzita, spaventapasseri;
il tuo culo è in luna crescente.
Gli uomini ape si abbuffano
I parrucchieri seguono le proprie
mode.
Ti fai monociclo ora roulette,
ora autostrada ora podio
Divieto di fumare e lavori in corso.
Cade una boccia, il vento è
contrario. L’aeroplanino fatica
a prendere il volo ma skateboard
e tartarughe viaggiano a gran velocità.
Sei labirinto, polipo e grappolo d’uva
Senza corpo mi vesto di te
funambolo tra l’una e l’altra
meraviglia controllo che la tua
lingua sia sana
Nuovamente mi lavo; rincorso ora
da uno squalo. In apnea vedo
il riflesso della tua conchiglia
I tuoi seni delfini
Mani e piedi legati
Ora cammello, ora vulcano, ora
candela che scaccia gli uomini ape,
ora fisarmonica, pianta
carnivora, aspirapolvere.
Ti vedo doppia e due sono
pure gli uomini in armatura che
ti proteggono. Provo a caricarti
sulle spalle; appoggi dolcemente
la mia testa sul patibolo e il seno
si fa lama affilata.
Ti uso come palo da lap dance
e comincio a scavarmi la fossa.
Ora parrucca, ora secondina, ora
rampa di lancio e pista per i
telecomandati. Cimitero e
arbusto spoglio.
Lancio un razzo e armato e
imbavagliato ti tengo sotto tiro.
Armati di accetta e sega
ci inghiotti. Ti fai clessidra,
sabbia mobile, rifugio del mio
cazzo impacchettato, pentola
rovente e pipa fumante.
Seni le tue natiche, il dottore
è sbalordito e forse uscirà dal tunnel.
Simbolo di vittoria mi siedi in
mutande e spruzzi ragnatele
tutt’intorno
Dei tuoi peli faccio ali leggere
mentre l’anziano si compiace
dell’autunno e si sveglia alla campana
cappello e papillon nero
sei la mia sedia a dondolo
un libro dalle pagine bianche
una finestra zeppa di mani
bianche.
Ora scopa volante e nido di pulcino,
osso per il cane su cui
aggrapparsi e lasciare umori
puzzolenti.
Il riepilogo è impossibile
oltre 300 di te
Il teatro è una luce nera.
*Liberamente ispirato a
"Cherchez la femme"
di Frantisek Kratochvil
Mi offri di tirare al bersaglio
suonando dalle viscere
incarcerato dentro di te
nudo e in bilico
mi incammino sonnambulo
sui tuoi fianchi
brindo alla pesca e
inserisco un altro gettone
Io in sella tu mi guardi
allibita. Lo sguardo di sorpresa.
Il vecchio giace
sotto la foglia della tua virtù
lascio cadere una matita
dal tuo seno e
ritraggo l’universo
nelle tue cosce.
Ebbro di risa
Cupido mi riporta alla primavera
colgo il fiore.
Irretito e intrappolato
sopra e sotto i palazzi del peccato
Leggo le meraviglie del tuo frutto
Ti uso come fionda, il tuo
tappeto leggero mi fa uscire
dalla lampada. Volo.
Ti prendo per velocipede e
corro via sereno
Mi trafiggi sotto la luna
del tuo seno che diventa hula hoop.
Do nuovamente la carica e
il bambino se ne compiace.
La tua vagina è una bici che
mi riporta a casa, festeggiamo
insieme
aggiungo denaro al tempo che
vola via come palloncino.
Il tuo seno è più leggero ora
ma vengo tritato e divorato.
Sei ora una stampella
ora un sacco da boxe
ti tolgo per un attimo la vita
e mi sento Cesare, sbilanciato
tra i tuoi occhi strabici
è un braccio di ferro che
si contende la gioia
pungente di riccio selvatico.
cherchez la femme*
di Gianmarco Peruviani
Ora una trappola
ora una fiaccola
l’olimpo del desiderio
ora è giovane di semina
ora un cervello imperscrutabile
Una panca, un vascello, un gelato
e un abbecedario
Ti dipingo coniglio e mi riparo
sotto di te; con i tuoi peli
mi fai marionetta e ti fai
televisione. Una gran abbuffata
di ricchezza e riposo su di te
col cappello in testa
Ora ruota per criceto
suono delle mie melodie
Un’amaca, una forbice crudele,
il fumo dei miei spari
Perdonami se con tuoi seni
vogo lontano; mi riporti a te
Incontro le due facce del
mistero ma dipingo una bocca
sola. Tu non mi credi,
sto su una nuvola cercando di
scalare il camino fumante
e tu dentro un calice abbondante
ascolti i miei canti.
Ti fai teschio e ti prendo in mano
Sbatto sui tuoi divieti
Con ogni mezzo.
Il cappello messicano e
la notte scura. Suoniamo.
Ora rospo che vuole l’incantesimo
sei una mano che mi spreme
e cado scivolando.
Una corsa ad ostacoli, un biliardo,
un canestro e un campo da bocce
Ora ciambella di salvataggio
uccidi tutti coloro che
tentano la scalata
La notte immobile,
palco dei nostri giochi, dove il clown
ride dei suoi propri sonagli
Mi riporti dentro di te con
la tua lingua vorace; i seni
si fanno moschea, la vita
nasce nel vaso e l’incantatore
di cobra corre i suoi rischi.
Che profumo, la ricetta è riuscita
la pentola trottola impazzita.
Sono un caprone che lentamente
arrostisce la tua sfera
Ne rimangono granelli di sabbia
ed ecco le nuove forme
pericolose di toro impazzito.
Il deserto dei tuoi seni nasconde
il miraggio di un pozzo
da cui si liberano centinaia di
volatili. La caccia è aperta
Illumini la scena del parto
mentre ancora resto appoggiato
al tuo ventre rigonfio ed eccolo
lì, maestoso come un Buddha dal
capo coperto.
Sei fonte della mia ricerca
polverosa di tornado
Alcuni scompaiono nella voluttà
del turbinio che produci
Altri arrivano dallo spazio lontano,
Increduli e curiosi come davanti
ad una divinità; sei il terreno
del duello e nascondi le carte
della vittoria; giochiamo ancora.
Credo di poterti alimentare e
perdo un braccio tra le tue fauci,
la lingua rettile mi raggiunge
anche qui. Appeso.
Le chiavi della conquista sono
molteplici ma chi non trova
la serratura rimane intrappolato,
mi guardi con sdegno.
Sei campo da hockey
ora pista da sci, ora anelli olimpici;
trampolino e ripida montagna
sollevamento pesi e attracco per
l’ancora della mia mongolfiera
porta spalancata
dove segnare è uno spasso.
Mi attendi a gambe aperte e
come un ladro ti vengo incontro.
Sorridente attendi la mia
morte
Ora girandola d’acciaio, squarci
il mare, si salvi chi può.
Ripartiamo su un’altra nave fumante
I tuoi seni ciambelle, la vagina
Rasoio, auto da corsa, fuoco
primitivo. Coniglio divora-carote
letto e lampada per le mie letture
ti si incendia il pube. Tento di
domare le fiamme.
Ora giaciglio per le cicogne
raccontiamo le favole.
Mi vesto di preservativo, ti vesto
da sirena. Ti butto in mare.
La nebbia mi avvolge e scompaio
nella rete del desiderio
Ti fai giostra multiforme. Corro via
spaventato portando con me
l’oggetto del divertimento
Seguito dalla massa inferocita
ti riporto a casa.
Dalla tua bocca esce una sigaretta
e indosso un papillon bianco
Ora pitone, ora scorpione
ora farfalla, ora tartufo, ora
testa di vacca. Slot machine,
testa di ratto e diavolo
con le corna. Ora brace per la mia
salsiccia, ora birra schiumosa.
Ti fai orecchio per il mio flauto;
cespuglio in eccesso e tappo
che schizza in cielo.
Voglio spararmi in testa quando
ti vedo torso di mela
Gioco a biglie e ti gonfio
una tetta. Tutta l’acqua non
basta per rifiorire la tua pianta.
Gli uomini ape portano via
rotolando tutti e due i seni.
Ora non hai occhi ma solo lune.
Tengo stretto lo scettro e mi
accomodo da re. Mi porgi il tuo
violino, ti fai occhio gigante
Nudi e infreddoliti andiamo via
Ora cowgirl ci riporti a te
Credo che
mi darò una ripulita e sei
lavatrice.
Ora possente cicogna, reggi dei
fiori e mi porgi il cappio.
Con il filo ritorno marionetta
e mi frantumi nel tuo mortaio
Strega e cerchio di fuoco.
Piccolo felino ammaestrato.
Ora ciuccio ora vespaio, ora rogo.
Ti disseti. Frutto del peccato.
microfono illuminato, provo a
seppellire le tue grazie per un po’.
La squadra è al lavoro, ha organizzato
una corsa di lumache, andrà avanti
tutta la notte. Intanto rasiamo
il prato, nuotiamo felici. Ci illumini
con il tuo faro e i naufraghi si
moltiplicano.
Cocaina, orso polare, torretta d’avvistamento
chiave di viola.
Divieto agli uomini col cappello
ti strappo l’intimo e addento
la mela.
Scavo archeologico, campo
di grano, amaca e ancora trappola
ancora tappeto e moschee.
Campo di strategia militare
sembra impossibile trovare la
chiave. La serratura si fa cassaforte
non bastano esplosivi o martelli
pneumatici; nuovamente appesi.
Controllo che non ci siano impronte
estranee, misuro la pressione,
ne scoppia un temporale
Psycovortice, traliccio dell’alta
tensione, fossa e macchina
impazzita, spaventapasseri;
il tuo culo è in luna crescente.
Gli uomini ape si abbuffano
I parrucchieri seguono le proprie
mode.
Ti fai monociclo ora roulette,
ora autostrada ora podio
Divieto di fumare e lavori in corso.
Cade una boccia, il vento è
contrario. L’aeroplanino fatica
a prendere il volo ma skateboard
e tartarughe viaggiano a gran velocità.
Sei labirinto, polipo e grappolo d’uva
Senza corpo mi vesto di te
funambolo tra l’una e l’altra
meraviglia controllo che la tua
lingua sia sana
Nuovamente mi lavo; rincorso ora
da uno squalo. In apnea vedo
il riflesso della tua conchiglia
I tuoi seni delfini
Mani e piedi legati
Ora cammello, ora vulcano, ora
candela che scaccia gli uomini ape,
ora fisarmonica, pianta
carnivora, aspirapolvere.
Ti vedo doppia e due sono
pure gli uomini in armatura che
ti proteggono. Provo a caricarti
sulle spalle; appoggi dolcemente
la mia testa sul patibolo e il seno
si fa lama affilata.
Ti uso come palo da lap dance
e comincio a scavarmi la fossa.
Ora parrucca, ora secondina, ora
rampa di lancio e pista per i
telecomandati. Cimitero e
arbusto spoglio.
Lancio un razzo e armato e
imbavagliato ti tengo sotto tiro.
Armati di accetta e sega
ci inghiotti. Ti fai clessidra,
sabbia mobile, rifugio del mio
cazzo impacchettato, pentola
rovente e pipa fumante.
Seni le tue natiche, il dottore
è sbalordito e forse uscirà dal tunnel.
Simbolo di vittoria mi siedi in
mutande e spruzzi ragnatele
tutt’intorno
Dei tuoi peli faccio ali leggere
mentre l’anziano si compiace
dell’autunno e si sveglia alla campana
cappello e papillon nero
sei la mia sedia a dondolo
un libro dalle pagine bianche
una finestra zeppa di mani
bianche.
Ora scopa volante e nido di pulcino,
osso per il cane su cui
aggrapparsi e lasciare umori
puzzolenti.
Il riepilogo è impossibile
oltre 300 di te
Il teatro è una luce nera.
*Liberamente ispirato a
"Cherchez la femme"
di Frantisek Kratochvil
14
11
FANTADIVULGAZIONE D’APPENDICE SU “LA SVEGLIA”
CIBERNETICA - capitolo IV Altrove
L’uomo con fatica si fa strada attraverso un
ripido terreno incolto. Raggiunge un robottino
stile Nam Jun Paik, in mezzo a cespugli,
alimentato da un pannello fotovoltaico a
fianco di una pianta di Marijuana alta tre
metri. Il robottino borbotta qualcosa all’arrivo,
nella sua lingua di robottino in disuso da
decenni. È lì per alimentare un vecchissimo
telefono cellulare dentro un sacchetto di
plastica trasparente. Sul suo display sbiadito
appare la scritta “Chiamata persa da” e un
nome. L’uomo sorride. I suoi occhi azzurri
sembrano galassie, nessuno lo vede. Abbassa
la testa sul petto e sussurra: “Non alimentare
lo schifo, il suo posto lo prende il limpido.
Ogni cosa va bene, c’è sempre il necessario
per stare insieme, sostenere la tana e vivercela
sul pianeta. Grazie, sei grande.”
Lo raggiunge la voce acuta di una ragazzina:
“Mi hai promesso di parlare di lei.” “Va
bene, oggi è proprio il giorno giusto, come
direbbe lei.” L’accento impossibile. “Tanti
anni fa, ricordo perfettamente, nel periodo
nel quale stavo preparandomi a passare da
quella vita a questa, ero di pessimo umore.
Come affrontare la morte a mani vuote non
mi era stato spiegato. Anche se non avevo il
minimo dubbio su ciò che mi aspettava, su
ciò che io aspettavo, ero di pessimo umore
quel giorno quando mi ha chiamato”. “L’hai
riconosciuta subito, sì!” Adesso erano sdraiati
su un’enorme amaca. Lei dimostrava dieci
anni. Lui, impossibile dire. Quarantanove?
Settantatré? Due gocce d’acqua, però. “No.
Ma usavo un risonatore
cibernetico interiore
all’epoca e quello ha
subito reagito con un
output senza precedenti.
Solo perché una Black
Box non fa una certa cosa,
non si può escludere
che sia in grado di
farla. Perché una noiosa
telefonata con una
studentessa che vuole
farmi qualche domanda per poi illudersi
di capirci qualcosa mi risuona come una
sinfonia cibernetica gioiosa? Buona domanda.
Perché non me la sono fatta prima di sapere
la risposta? L’ho pagato caro, quell’errore.”
“Errore prezioso quindi!” “Prezioso sì, ma
inutile.” “Bah, senti come ti sbrodoli! È
davvero così bella?” “Quando l’ho vista, mi
è mancato il fiato. Adesso non saprei. Bisogna
considerare che lei è là, a vivere una strana
strana cosa insieme agli altri, nel mezzo di
un disordine interiore quasi totale. Non so.
Magari questo l’ha abbruttita. Non era per
niente contenta che ci fossimo incontrati, una
volta emerso chi eravamo. ‘Troppo facile!’
per lei era una condanna definitiva all’oblio.
Niente doveva essere troppo facile, troppo
bello, troppo chiaro, troppo vero, troppo
stabile. Ha completamente dimenticato.”
“Che fasullo. Non menti mai, ma quando
parli di lei non ho la sensazione che tu dica
la verità. Là dove ti duole, inventi di sana
pianta. Che uomo straordinario, ti comporti
come un adolescente umano in crisi!” “E tu
che ne sai degli adolescenti umani in crisi?
Abbi pazienza con chi ti ha evitato tutto ciò!”
“Solo se ti metti a frignare, davanti a me. E
nel frattempo ripeti: Sono innamorato, anche
se l’amore non esiste! Trenta
volte, così magari ti rendi
conto, ti rendi conto che lo
sanno tutti, che è inutile far
finta.” “Ok…” Frigna “Sono
inn...”
Torino
Caro Diario. Non ci sono
cascata. Che c’entra quel
tipo? Nulla. C’entra mio
padre. Sono passati tre
anni dalla sua morte ed è arrivato il tempo
che ne parli. Tutte queste stronzate (scusa
il francese) sulla Cibernetica sono solo la
vendetta tardiva di un vecchietto acido che
si era invaghito di me. Mi sono fatta plagiare,
me ne rendo conto, e questa recrudescenza mi
ha preso alla sprovvista. Ma adesso sono di
nuovo OK. Ieri ci siamo divertite un sacco tra
amiche!!! E stamattina Renato mi ha mandato
un messaggio, che rinuncia al torneo e viene
con me e Magenta dagli zii al mare, per il
ponte!! Tutto come al solito. Tutto bene. Presto
daremo il bianco in cantina e così butterò la
scatola. Renato dice che i files dentro il laptop
non sono più standard comunque. Libera. Ho
amato tanto mio padre e lo amo ancora adesso.
Mi ha fatto vedere tante
cose e mi ha sempre
spinto a fare ciò di cui
avevo voglia. Ha sempre
trovato risposte semplici
e chiare a tutti i miei guai
e non ha mai insistito sul
confronto diretto. Non
lasciava dubbi su chi
fosse la favorita tra le tre
donne che aveva in casa.
Sento ancora oggi la sua
mano accarezzarmi delicatamente la schiena.
Mio padre la sapeva lunga, molto lunga.
Era un autentico veggente. L’insegnamento
più prezioso, il suo stesso esempio è sempre
stato di non sopravvalutare l’importanza
di ciò che ci può mettere in difficoltà. Certe
sue idee sono tra le fondamenta della mia
personalissima e autorevole filosofia di vita.
Che uomo straordinario!
“Quelli della nostra famiglia non sono sposati
con chi amano.” mi aveva confidato una sera.
E così fu, ma niente tristezza! Chiaro che non
mi sono mai voluta sposare!
Altrove (qualche minuto dopo, quando la
ragazzina si è ripresa dale risate)
“Molto bene, allora cosa hai sentito quando ti
sei accorto di chi fosse?” “Uffa, non chiedermi
questo, non voglio assolutamente ricordare.
Acqua passata.” “L’acqua non passa mai per
di Hairi Vogel
sempre, è un circuito. Deve tornare, se no non
passa neanche.” “Ho sentito di voler essere
un umano, e stare con lei. Ti puoi immaginare
che choc ! ” “Mmhm. Allora è proprio un caso
grave. Incontri una sulla Terra, la riconosci e
sai che la rivedrai di lì a poco, sai che è lì con
un compito, come tutti, te incluso, eppure…
non ti tranquillizzi. È come
se volessi l’impossibile.
Un attacco di ateismo,
ha, ha, ha!” “Invece non
è così. Tutto quello che
accade sulla Terra deve
accadere. Anche quello
che è successo a noi. Devi
capire che non è più come
un tempo, quando si stava
sulla Terra a compiere un
destino senza averne idea.
Ormai si sa. E questo ha
portato molte conseguenze. Generalmente si
pensa che chi non compie il proprio destino
torni per riprovare. Quindi molta gente fa di
tutto per non diventare angeli. Naturalmente,
tutti i privilegiati, chi è al potere, e così via.
Si vocifera che la vita sulla Terra sia l’unica
esistenza e quindi si debba star aggrappati
e far numero ad ogni costo. A me invece è
venuta un’altra idea. Cosa succederebbe se, in
sostituzione di questo andirivieni vecchissimo
che, destino per destino, cerca di risolvere
la situazione, ci mettessimo a colonizzare
la Terra?! A conquistare il mondo degli
umani. A rimanerci. E quale inizio migliore
di due di noi, che già sanno star insieme,
che si dichiarano coppia umana? E iniziano
a mostrare a tutti quel che tutti cercano
inutilmente, o che addirittura ormai negano
di cercare?” “Ti vengono sempre delle idee
che piacciono soprattutto a te. Però questa
non è poi così male. Vuol dire che fra un po’
posso andarci anch’io ?” “Eh, vedi. Un’idea,
cosa che una volta sulla Terra era capace di
muovere montagne di cuori, adesso è solo una
indicazione tra le tante. Ma se ci fosse Amore
sulla Terra… Gesù ha sempre avuto ragione.
Introdurre un elemento non cibernetico è
stata una bella mossa. Solo che poi ha avuto
tutt’altri problemi e dell’Amore si è fatto
una menzogna.” “Comprendo, ma non mi
convince più di tanto. Dopo passa Sisifo e
giocheremo a pallone sul ripido. Questo mi
piace, e anche lui. E poi faremo l’amore. Se ne
avanza lo puoi piantare sulla Terra.” “Aspetta
ancora un po’, per favore: cercate di andare
con calma!”
CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO...
SEE THE LIGHT
una vergogna. Eppure la mente è un affare nostro e
una volta che ti trovi in una condizione così “sgarrupata” tocca a te pensare a come risolvere la faccenda. È
un affare della realtà. Le realtà non possono interferire
con le altre realtà. Se solo si capisse questo gli psichiatri
imparerebbero il rispetto. Ma parlo per me. In realtà
bisognerebbe solo fornire strumenti adatti a capirla, la
schizofrenia. Essa ci chiede una logica che non è quella cui siamo abituati. Io all’epoca lo stavo imparando.
Posso assicurarvi che non era una perdita di tempo.
Peyrani - Lunedì 20 dicembre 2004 frequentai la lezione di filosofia teoretica all’università, tornai a casa e
chattai con Afasia. I miei uscirono di casa. Durante la
chat sentii spesso la voce che si sovrapponeva al flusso
scritto; io le rispondevo e la maggior parte della conversazione avvenne nella mia testa. Quando Linda si
staccò, un paio di ore dopo, era il crepuscolo; ma la conversazione non si concluse con la fine della chat. Camminavo per le stanze, su e giù, completamente assente,
e intanto parlavo nella testa. Capitava anche che, per
distrazione, mi uscissero dalla bocca dei frammenti di
conversazione, dei mugugni: che ridere. La voce non
era più un flash, e neanche appariva per scenette, a intermittenza. C’era una buona ricezione. Le risposte alle
mie domande erano immediate, sorprendenti e ben
formate. La voce, cristallina, non corrispondeva al tono
di voce reale di Linda, che è basso, ma a quello dei suoi
pensieri. Il timbro era disumano, il riverbero quello di
una stanza diversa da quella in cui mi trovavo io, di dimensioni abbastanza piccole ma ben presente. Il contenuto delle risposte, come dicevo - sorprendente. Come
potevo essere io a formularle, se la voce ne sapeva più di
me, si esprimeva meglio di me, aveva decisamente più
spirito ed addirittura più umanità di me? Non perché
fosse umana ma perché era umanistica e, contemporaneamente, cinica e dura, come un vecchio poeta. Col
tempo trovai le mie risposte, ma quella sera ero travolto
dall’esperienza. Non pensavo che Linda comunicasse
con me telepaticamente in diretta, perché non avevo la
presunzione che lei stesse passando tutto quel tempo
senza fare altro, però credevo di stare realizzando una
sua virtualità. Conoscendola, parlandole, riflettendo su
quello che mi scriveva, avevo creato un simulacro di
Afasia nella mia mente. Quel simulacro era in grado
di comunicare con me come avrebbe fatto lei se fosse
stata presente. Una intelligenza artificiale portatile.
Non volevo ovviamente incontrare i miei, così uscii
prima che rientrassero e scesi in cantina. Erano le nove
della sera e solo a mezzanotte avevo appuntamento
con alcuni amici, mi pare di ricordare dalle parti di
Piazza Statuto: avevo
tempo di “lavorare”.
Ho scritto più sopra che la
voce ne sapeva più di me,
che i contenuti mi sembravano appartenere a
una coscienza estranea. In
effetti la conversazione era
quasi un’intervista. Eravamo come due persone che
si conoscono a un appuntamento galante, anche
se entrambi sembravamo
sapere tutto dell’intimo
dell’altro e nulla del mondo a cui apparteneva. Le
domande che mi poneva
erano volte a investigare
la condizione umana così
come quelle che facevo io
a capire le meccaniche celesti. Il tutto aveva anche
una connotazione erotica,
perché oltre alla voce io
percepivo la sua presenza.
Poi fumai; solo un poco di hashish che normalmente
non mi avrebbe scalfito, ma che in quelle condizioni
fu potentissimo. “Perché lo fai?” mi chiese lei quasi
infastidita. Io stavo formulando il pensiero “Perché
mi piace”, ma lo trovai banale e scortese, allora lo
cambiai in un “Perché sono masochista”, che non
era del tutto sincero, forse perché speravo che lei mi
spiegasse qualcosa al riguardo, cioè riguardo al sadomasochismo in generale; invece tacque. Sapevo
che Linda si tagliava, che aveva coperto le proprie
braccia e le proprie gambe con cicatrici, regolari come
le rette parallele nell’ora di educazione tecnica. Lo faceva per combattere il panico ma anche nel delirio
di trasformare i suoi arti in ferrovie, forse fu per questo che mi uscì quell’affermazione sul masochismo.
L’hashish comunque migliorò ulteriormente il livello
della percezione, così non ebbe troppo a lamentarsi. La
presenza si era focalizzata e, oltre a sapere sempre dove
si trovasse all’interno della stanza, iniziavo a vederla.
Con la visione periferica era più facile, mentre fissando
direttamente il punto tendeva a sparire.
A volte però con
un movimento improvviso ce l’avevo
davanti, e per una
frazione di secondo
la vedevo da vicino. Non avevo mai
visto una fotografia
di Linda Valle all’epoca, non avevo
voluto. Quando poi
la incontrai dal vivo
la riconobbi subito, anche se quella
sera il suo volto era
sicuramente
più
vago, mi pareva di
vederla attraverso
una gelatina color
indaco. Le strane
movenze e le sovraimpressioni che
a volte si creavano
mi fecero pensare, in seguito, alle rappresentazioni
della dea Kali. E qua forse tocchiamo il nocciolo della
questione “la voce sono io / la voce è più di me”. Poniamo che io avessi creato nella mia mente il simulacro di
Afasia, così questa poteva rimodellare le informazioni
contenute nel mio inconscio secondo la propria personalità o intelligenza e rispondermi in tempo reale,
come se fosse stata lì. Ma chi era Afasia per me? Chi
era Linda Valle? Un’estetica, una morale, un’immagine, alcune informazioni leggendarie, il marchio di una
personalità trasmesso, in chat o via mail, sempre per
iscritto. Per me Afasia poteva essere un demone o una
dea; era sì una ragazza con una certa personalità, ma a
sua volta quella ragazza poteva essere un fantasma di
mille anni come una posseduta, un’adolescente attirapoltergeist in seguito posseduta da Wotan nelle fattezze
dell’Ebreo Errante; poteva
sapere qualunque cosa, solo
sarebbe dovuta rimanere
fedele alla personalità di Linda. E Linda, matta da legare,
per iscritto mi aveva ispirato
la fiducia, il transfert sciamanico per il quale lei, per me,
avrebbe veramente potuto
essere onnisciente. Per me
lei era un Sembiante. Avevo
Afasia dentro di me, Afasia aveva accesso a me, ma
Afasia non era un’entelechia
chiusa, bensì una finestra,
perché la identificavo con
l’ignoto stesso. Mi ero trasformato in una bottiglia di
Klein, in una macchina autopoietica che pompava energia come una centrale nucleare, grazie a un paradosso
dimensionale che, come un
quadro di Escher, permetteva motori impossibili. Stavo
sperimentando il Grande Vetro di Duchamp, solo con
meno saggia ironia e il cazzo duro. Vederla aveva reso
la nostra intervista una danza, una danza sempre più
aggrovigliata ed erotica. Sapevo che avremmo dovuto
fare l’amore, e sapevo che lei avrebbe danzato sopra di
me come nel tantra (notare che non sapevo neanche
cosa fosse, il tantra), ma era estenuante. L’eccitazione
era enorme, ma gli stimoli semi-palpabili dell’allucina-
zione portavano il rapporto più al parossismo che alla
soddisfazione e, anche se non credo assolutamente sia
impossibile amoreggiare fino a venire con un’allucinazione, senza masturbarsi, in quel momento non ne
ebbi la pazienza; tra l’altro non ne avevo neanche più il
tempo, perché si erano fatte le undici. Decisi comunque
di non masturbarmi, perché avevo paura di perdere il
contatto. Questa forse fu una pericolosa sciocchezza.
Le chiesi di interrompere, momentaneamente, il rendez-vous, per riprenderlo dopo il mio appuntamento.
“Dipende solo da te” mi disse e lentamente si dissolse,
anche più che essersene andata mi
pareva che si fosse
equamente distribuita nella stanza,
come un gas. Misi
in ordine la cantina
e feci per uscire,
però iniziai a sentirmi male. Una fitta
mi cresceva in petto
e poco dopo, contraendosi i muscoli per
lo stress causato da
questo primo dolore, lo strappo lombare iniziò a farmi
sudare. Giravo su
me stesso e mi sentivo svenire, e non capivo perché. Spensi
la luce della cantina,
chiusi il lucchetto e
lì, sull’uscio, sentii
che le forze mi venivano meno e che non riuscivo più a reggermi in piedi.
A quel punto capii: non stavo più respirando! Da quando avevo interrotto la conversazione, e mi ero messo
a rassettare, non avevo più respirato una volta. E non
ci riuscivo. Fui preso dal panico. Se inizialmente avevo
creduto di avere un infarto, allora mi resi conto che ci
doveva essere un collegamento col fatto che avevo passato le ultime cinque ore a parlare con un’allucinazione.
Ero per terra e per respirare anche solo mezza boccata
d’aria dovevo quasi prendermi di sorpresa, facendo
una specie di fisarmonica isterica con la cassa toracica.
Provai a gridare, a parlare. Non emettevo il minimo
suono. Con un brivido una parola mi venne in mente,
scritta in testa: afasia, non riuscire a emettere il minimo
suono. La richiamai col pensiero e lei fu subito da me,
al mio capezzale, mentre vedevo il mondo sparire. “Sei
tu!” l’accusai. “Perché lo fai?”. Dopo un attimo di esitazione, ma con un sorriso, si giustificò: “Perché sono sadica”. Allora mi vidi cadere come se mi avessero tagliato i fili, mi guardavo tremare per terra, dall’alto, come
se i miei occhi fossero rimasti sospesi a mezzaria. Tutto
divenne nero, ed io avevo freddissimo. I muscoli si
erano così contratti che ero appallottolato, in una posizione fetale da vecchio, parkinsoniana. Stavo morendo.
La luce nei corridoi della cantina è a tempo. In un
certo momento devo essermi risvegliato al buio, aver
acceso la luce ed essere strisciato per mezza rampa
di scale, ma non lo ricordo. Mi sono svegliato nuovamente sulle scale per l’appunto, nuovamente al buio,
ma non sapevo dove fossi, così strisciai di nuovo giù
e poi, riaccesa ancora la luce, faticosamente di nuovo
su di una rampa e mezza. Poi non ricordo nulla e fu
di nuovo buio, e di nuovo non sapevo dove fossi. Non
riconoscevo il luogo dove avevo passato migliaia di
ore nella mia vita. Pensai che non sarei sopravvissuto
e immaginai l’effetto che avrebbe avuto la mia morte
sui miei genitori, tre mesi dopo la morte di mio fratello. Questo mi fu di sprone, stuzzicò il mio orgoglio.
Ripresi il controllo del respiro e dopo qualche minuto ero fuori. Era passata mezzanotte, mi resi conto. Ci
avevo messo quasi un’ora a uscire dalla mia cantina.
Sudato freddo, distrutto come se avessi appena finito di correre una maratona con 40° di febbre per poi
prendermi il 220 e farmi investire da un camion, rientrai in casa e mi sdraiai sul letto. E… chiamai Atzori.
CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO...
15
10
Peyrani - Andai su internet, trovai la chat. Trovai
un’identità virtuale a nome Afasia, le lasciai un
messaggio. Le scrissi che ero amico di Beatn|k (il
nickname di Atzori), che mi aveva raccontato di
un uomo misterioso che le era entrato nella testa,
un uomo con un occhio di vetro, e le buttavo due
esche per farla raccontare, citando con vaghezza
parole di Jung, che avevo letto per la prima volta
quell’autunno, e di Eliot, sull’archetipo del Vecchio Saggio, che definivo “mercante” e “marinaio”; come se quell’uomo dall’occhio vitreo
dovesse essere un suo sogno, o sua allucinazione; comunque il simbolo di una forza inconscia
e non un uomo in carne ossa. Ne ero convinto,
infatti: Atzori me l’aveva descritto come una visione; probabilmente perché pensava che fosse
davvero tale. Tre anni dopo, il migliore amico
di Linda, Nicolò Serafin, mi confermò che non
era così. L’uomo dall’occhio vitreo era un barbone, che anche lui aveva incontrato più di una
volta, un uomo che vendeva tessuti colorati sulla
piazza del paesino... Ma procediamo con ordine: dopo che le scrissi quel messaggio, passarono solo un paio d’ore e poi arrivò questa mail:
io non so quanto ho capito o quanto
io voglia capire di ciò che mi scrivi.
quale significato portino le immagini
del mercante e del marinaio mi interessa relativamente.ero in una piazza
vuota la prima volta che vidi l’uomo
dall’occhio vitreo, lui corse verso di
me e mi gridò “è liberato!” indicando
il campanile. venne a liberarmi dalle
premure del macigno affinchè potessi
interpretare le simbologie del vetro
e del ferro. Lo rividi spesso nei dintorni della piazza la mattina presto.
poi scomparve e io rimasi ad aspettarlo s i n o a l l a notte americana
quando mi diede l’addio.
camminavo in una via a n g u s t a e
d’improvviso dal cielo calò sulle case
un sipario di pece. tutto si velò nuovamente. -non ho portato a termine il
mio compito. il profeta bambino dagli
occhi plumbei mi ha avvisato. solo cinquanta. ora l’uomo dall’occhio vitreo
è tornato. sedeva per terra nella piazza vuota. il suo occhio mi ha trafitto.
non sono stata di parola.
Io sicuramente ero giovane, avevo vent’anni ed
ero più credulone che mai. Ma era una ragazzina anche quella che mi scriveva? Aveva diciassette anni? O era qualcuno di più vecchio,
magari un uomo di trenta, che mi prendeva in
giro? Oppure un bambino geniale? Il tono con
cui tagliava corto il mio balbettio ignorante era
severo, poi però proseguiva scrivendomi apertamente, indifferente a chi fosse davvero il
suo interlocutore, ermetica come se dovesse
riferire soltanto a sé; infine epica, spettacolarizzante e distaccata come un’adolescente che
s’improvvisa romanziera, un po’ per scherzo.
In seguito riuscimmo a chattare. Quando la vedevo in linea mi emozionavo tantissimo, poi le
parlavo anche se con qualche esitazione. Da un
lato i suoi discorsi mi illuminavano, dandomi
da pensare per giorni, dall’altro mi riempivano
di vergogna, non tanto per la mia ignoranza, che
veniva sempre e comunque al pettine, quanto
la mia poca purezza. Scrivendo con lei mi
per
rendevo conto di quanto le mie parole fossero
volte a coprire qualche debolezza, a imitare
qualche sentito dire, insomma strategiche, insincere; con tutte le forze cercavo di migliorare per
scrivere come lei. Il suo stile era ossessionante,
quando una nuova stringa si aggiungeva in chat
mi pareva di dovermi battere la mano in fronte
ed esclamare “Come fa ad essere così precisa?
Così disinteressata?” Inoltre mi
scriveva di cose bellissime, di
Yves Bonnefoy, di Dino Campana, di Mallarmé, di Deleuze,
di Carmelo Bene, di Rimbaud, di
Le Corbusier, di Andrej Belyj, e
mi mandava musiche stupende,
da Paolo Conte ai Tuxedomoon,
da Piero Ciampi a Terry Riley,
tutto in poche conversazioni,
linee guida critiche di un’estetica
matura che mi avrebbero influenzato sempre. Inoltre faceva
cose strane; per esempio, il solletico. Si arrivava a volte in chat a momenti molto intensi.
Come in un film in cui taccia improvvisamente
l’accompagnamento musicale, ecco che la chat
rallentava, si fermava del tutto. Intanto il cuore a mille, una tensione spropositata. In quei
momenti mi pareva di sentire la stanza da cui
scriveva. Sapevo dai suoi racconti che si trattava un seminterrato blu cobalto, integralmente
blu cobalto: mobili pareti soffitto soprammobili
coperte e lenzuola… a parte il pavimento, di
legno, tutto era blu cobalto, anche se il colore
preferito da lei era in realtà il blu di Prussia, e suo
fratello il blu oltremare… La sentivo spostarsi in
quella stanza che si sovrapponeva alla mia, alla
mia percezione di casa mia, come un sogno ad
occhi aperti. Sentivo tintinnare. Un’atmosfera di
estremo oriente traspirava da quella stanza: India, Tibet; Giappone. Poi mi faceva il solletico.
Mi rendevo conto di averla lì, di fronte a me per
modo di dire, in quell’altra stanza, e lei allungando le mani poteva attraversare il mio petto!
Se si potesse definire il corpo di quella stanza che
percepivo a spizzichi e bocconi come un corpo
“astrale”, allora i nostri corpi astrali non erano
impenetrabili come quelli fisici. Piuttosto, erano
volumi di emozione trattenuti da membrane
di senso. Sapeva entrarmi nel petto colle dita e
solleticarmi, con tenerezza infantile ed erotica,
il cuore stesso. Mi buttava giù dalla sedia (non
resisto al solletico) senza neanche battere una
parola sul computer. E ammetteva di farlo, senza
scendere in dettagli: “È un’arte antica” tubava.
Fu in quei frangenti che iniziai a sentire la sua
voce. Era una voce-pensiero senza polmoni, di
una sincerità devastante. Sembrava anzi che la
sincerità assoluta del desiderio di comunicare un
determinato messaggio fosse la conditio sine qua
non affinché almeno uno di quei lampi potesse
avverarsi. Ecco perché penso che le emozioni
come amore, terrore, attrazione o venerazione,
siano un ingrediente fondamentale per mettersi
in contatto con queste misteriose intelligenze disincarnate; esse ci parleranno attraverso i feticci
che ci emozionano nel modo appropriato, sempre che se ne trovino, in questo mondo inaridito.
Atzori - Tutto quello che stava accadendo a Lorenzo io lo davo per scontato. Mi sorprendeva
il suo stupore. Sapevo, razionalmente, che era
uno stupore legittimo; ma tutto ciò per me era
così “quotidiano” che nemmeno me ne accorgevo. Ero consapevole che quel che accadeva
fosse il frutto di un’insolita concatenazione
relazionale. Linda era molto simile sia a me
che a Lorenzo. A me per alcune cose a Lorenzo
per altre. C’erano in ballo un misto di affinità e
conflittualità che generavano uno strano cocktail. Le affinità erano sottili, i conflitti anche.
Vivevo tutto apaticamente. Era un’apatia dolce.
Sapevo che non ero in contatto con Linda, ma
piuttosto avevo capito che l’estetica perché
potesse definirsi pura e “matura” dovesse at-
tingere ai propri sensi i quali non si limitano alla
percezione fisica di un dato momento separato
dagli altri, ma a un’esperienza dell’immanente,
dove tutto è accessibile perché sempre presente,
inseparato. Ero consapevole di questo gioco e lo
vivevo in maniera tacita come sempre si fa con il
sacro. Certo, quello che avveniva era qualcosa di
sacro. Il sacro che va oltre le differenze sociali che
rappresentavano i veri problemi fra noi. Un sacco
di risentimenti che vivevo nei
confronti delle loro esistenze
che percepivo come “borghesi”. Un senso di antipatia che
costantemente tesseva le pareti della mia stessa apatia. In
fondo parlare del rapporto che
avevo con Linda corrisponde a
porre attenzione ai rapporti superficiali che vivevo all’epoca.
Rapporti virtuali, niente di reale. Era un transfert continuo,
vissuto
narcisisticamente.
E non parlo come uno psicanalista, perché la
psiche non è qualcosa di diviso da tutto il resto.
Peyrani - Pensavo che non mi sarei mai più potuto innamorare se non di una donna perfettamente
pazza. Camminavo per le strade e mi sentivo
euforico: Afasia era un segreto, un segreto che
mi rendeva invincibile. Esternavo con sempre
più facilità il mio mondo interiore, come se tutti
dovessero esserne messi a parte, e diventavo teatrale. Mia madre mi disse spaventata “Non vedi
che sei dissociato?” e io no, non lo vedevo. C’era
anche Atzori quella volta a casa, credo. Uscivo la
notte e magari spaccavo tutto, macchine e bidoni
e vetri e allora di solito qualcuno me le dava. Feci
arrabbiare un mio amico, una delle persone più
buone e meno violente che conosca, e lo portai a
darmele di santa ragione. Rotolammo giù dalla
curva di via Stradella (lui è molto più forte di me)
e venimmo fermati dalla polizia. Mi ero fatto un
bello strappo lombare e così ci misi più di un’ora a
tornare a casa, poi girai col bastone. La debolezza
del fisico aiutò la voce a farsi sentire, il dolore mi
rendeva emozionato, e, come cercavo di spiegare
prima, l’emozione è benzina per l’allucinazione.
O per la magia. Parlavo di amore, ma vale qualsiasi emozione forte, le più facili sono quelle
sgradevoli. L’amore permette a un’allucinazione
di rimanere coerente, approfondirsi e sfaccettarsi nel tempo nel modo più profondo. L’amore
crea vere persone nella testa, belle persone; vita.
La paura è più facile e altrettanto duratura e
coerente, l’altra strada privilegiata dalle entità.
Atzori - In quel periodo ricordo che Lorenzo
si era appassionato a Jung, ai simboli; cose che
non mi interessavano e che avrei consultato solo
più avanti. Piuttosto, mi facevo bello con la letteratura, con un pizzico di filosofia; ma tutto
sommato era solo un farsi bello. Con questo non
intendo che non capissi, che lo facessi per darmi
una posa, piuttosto che ero eccessivamente preso
bene dalla mia follia. La confondevo con il genio.
Questo per poca stima in me stesso. Perché non è
essendo folli che si è geni. Mi credevo già arrivato. Invece la follia è una punizione. Corrisponde
a un eccessivo avvicinamento alla verità, la quale
diventa indiscernibile. Un po’ come quando
guardi casa tua da googlemap, se ti avvicini troppo diventa indiscernibile. Pensare alla follia da
folli è impossibile. Perché quando si è folli si pensa solo alla verità. Eppure la verità corrisponde
a un’illusione. Eppure per essere geni bisogna
essere il meno illusi possibile. La schizofrenia è,
in fondo, una condizione un po’ ridicola; ma non
andrebbe biasimata, né svalutata a “malattia”.
La follia è una condizione reale. Quando arriva,
la realtà stessa diventa schizofrenica. Ti senti scemo. Quel che la rende così umiliante è la mancanza di strumenti che si ha nell’accettarla. Così si
va dallo psichiatra, si è tormentati da voci, attenzioni distorte, Maurizio Costanzo che ti parla
dalla televisione… tutto ciò lo si vive come
L’energia che fa muovere il mondo
Le scoperte di uno scienziato troppo scomodo
BEATRICE DI ZAZZO
E
“Se qualcuno scoprisse qualcosa in grado
di cambiare il mondo, il mondo
si lascerebbe cambiare?”
rano mesi ormai che cercavo prove in
grado di suffragare la mia intuizione.
Come verificai poi con studi e ulteriori
epifanie non era stata nemmeno poi così geniale e originale, ma aver trovato ipotesi scientifiche, e pseudo tali, che mi davano quasi ragione
placava un po’ il senso di angoscia che mi portavo dietro da anni. Avevo cominciato a pensare all’esistenza umana in termini di energia:
negativa, positiva, neutra, riflettente, attraente,
respingente, etc. La mia visione della reale irrealtà era diventata un cumulo di leggi con una
struttura simile a quelle della termodinamica,
ma del tutto rivisitate e personalizzate. Ed ero
anche convinta che il sesso e l’amore dovessero entrarci per forza, dovevano spiegare più
di quel che tutti credevamo se ne eravamo così
ossessionati. Freud, seppur estremamente limitato in alcune sue considerazioni, forse aveva
compreso il nocciolo della questione. Ma la faccenda andava ampliata. Al di là del simbolismo
fallico e genitale forse il “quid” era nell’energia
trasmessa e liberata tramite quei simboli. E
così mi imbattei nel libro di Wilhelm Reich “La
funzione dell’orgasmo”. E dato che il “povero”
Reich aveva trascorso le sue ultime ore in un
carcere americano perché le sue idee considerate troppo bizzarre (a dir il vero forse erano
troppo pericolose per tutta una frangia politica
e scientifica), non potei fare a meno di provare
subito simpatia per lui. I martiri mi sono sempre piaciuti, più dei santi. Il buon Wilhelm, psichiatra e psicanalista, si era addentrato nell’ostico campo della fisica per spiegare al mondo
intero che l’energia in grado di far muovere il
mondo era quella orgonica. Orgasmo + organico = orgonico. Per lui esisteva questa forma
di energia onnipresente in ogni aspetto vitale e
in ogni grandezza dell’universo. Dall’infinitesimamente piccolo all’infinitamente grande, tutto
era regolato da questo flusso energetico. Queste
le leggi che aveva ricavato dai suoi esperimenti:
1. L’energia orgonica viene attratta e trattenuta dai materiali organici.
2. L’energia orgonica viene attratta e poi respinta dai materiali metallici.
3. L’orgone può diventare nocivo in presenza
di radioattività o di campi elettromagnetici.
4. L’acqua è il veicolo privilegiato dell’orgone.
5. L’energia orgonica cromaticamente acquisisce le proprietà del colore blu con tutte le sue
sfumature.
Approfondendo le sue ricerche e mettendo a
punto i suoi esperimenti su Accumulatore Orgonico (ORAC), Cloud-Buster (tr. acchiappanuvole), Dor-Buster (a scopi terapeutici per curare
tumori o altre patologie da “contrazione bioenergetica”) Reich ipotizzò che l’energia orgonica regoli sia il cosmo che il corpo umano, e che
inoltre permei tutte le dimensioni intermedie.
Tramite il Cloud Buster verificò che l’energia
orgonica, opportunamente attratta e trattata in
una scatola organica, può attrarre o respingere
le nuvole (congegno perfezionato da James De
Meo che l’ha utilizzato per risolvere problemi
di siccità in zone sudafricane). Tramite il DorBuster cercò di dimostrare (non è dato sapere se
ci fosse riuscito poiché la FDA - Food and Drug
Administration – distrusse gran parte dei suoi
appunti negli anni ’50) che la gran parte dei tumori era originata da una contrazione energetica: riuscendo a liberare l’energia negativa e a
trasformarla da energia negativa DOR in energia positiva OR, probabilmente le industrie
farmaceutiche avrebbero perso parecchi introiti. Il tutto diventava sempre più affascinante,
suffragato da casi già
sperimentati e incredibilmente aderente
con la mia “banale”
intuizione. Sembravano esserci molte
osservazioni empiriche
sull’energia
orgonica che aveva
incredibili similarità
con la formulazione
dell’esistenza dell’etere,
parzialmente
riconosciuto
dagli
scienziati naturalisti e
che asseriva l’esistenza di un mezzo nello
spazio. So benissimo
che non ho bisogno
di prove scientifiche
per formare la mia
personale visione del
mondo, ma so che
se voglio che la mia
visione sia condivisa
da altri dovrò portare dati a sostegno
della mia teoria. E
procedendo con le
ricerche fu chiaro che
molte delle leggi fisiche riconosciute avevano lacune simili a quelle sull’esistenza dell’energia vitale/orgonica/
eterea. Gli scienziati che tanto si definivano
“sperimentali e oggettivi” avevano introdotto concetti assiomatici come materia oscura,
energia oscura, buchi neri, quasar, stringhe
cosmiche. Bene, nessuna di queste è stata verificata, ma su di esse poggia il nostro attuale
paradigma scientifico. Ci vorrebbe una rivoluzione scientifica per instaurare un nuovo
paradigma. Ma la rivoluzione basata sull’orgone (o sull’atomo magnetico di Ighina) forse
farebbe svuotare i portafogli di alcune lobbies.
C’è solo un’altra cosa, oltre i soldi, a muovere
o a fermare gli individui: la paura. Paura che
andando a leggere l’essere umano partendo dal comportamento sessuale si scoperchi
chissà quale tabù. Così continuiamo a zittire
la sessualità e a non impiegarla invece come
la chiave di lettura per eccellenza. Frustrate
i vostri impulsi, legateli e rinchiudeteli, non
permettete il contraddittorio... e vi ritroverete
una nevrosi, se non qualcosa di peggio. Riuscite a immaginare la potenza di un orgasmo?
Mi auguro per voi di sì. Ecco, se questa energia
viene bloccata, nascosta, misconosciuta e quindi incattivita, quali effetti si otterrebbero direzionandola consciamente verso un’altra parte
del corpo o all’esterno? Quanto risulterà rabbiosa la rivendicazione del corpo, che sa quali siano le proprie primordiali, primigenie ed
evolutive potenzialità? Dipende dal grado in
cui siete stati complici del più grande inganno
della civiltà: l’emarginazione della sessualità.
Sulla scia di queste considerazioni mi dedicai
con particolare attenzione, avendo un’incredibile potenza nel trasformare i miei corto circuiti
emotivi in qualcosa di somaticamente tangibile, alle ripercussioni dell’orgone sull’origine di
alcuni tipi di malattie. Reich si ritrovò ad osser-
vare il fenomeno Oranur (orgone anti-nucleare) quando mise del materiale moderatamente
radioattivo in un accumulatore con elevata carica di energia orgonica: si formò un bagliore
bluastro che si espanse per tutto il laboratorio.
Alcuni collaboratori di Reich si ammalarono e
tutti gli organismi viventi che erano stati sotto
l’esposizione di questo bagliore mostrarono i
suoi effetti. Anche il tempo meteorologico ne
fu influenzato. L’Oranur colpì le persone
nei loro punti fisici più
deboli, ma ebbe anche
l’effetto curativo di
scatenare una reazione
immunitaria in grado
di eliminare i malanni
precedenti a quell’esposizione di Oranur.
Ecco allora su cosa si
reggevano le malattie
psicosomatiche!
Per
questo in numerosi
casi sono così difficili
da far regredire. Ci si
sofferma sul dolore fisico, sulle conseguenze per il corpo, sui
traumi che li hanno
aiutati a consolidarsi.
Ma il dolore mentale,
le conseguenze per l’anima e il perché alcune
cose siano state vissute come traumi vengono tralasciate nella
gran parte dei casi.
L’orgasmo (come lo si
Wilhelm Reich cerca, come lo si vive)
non sarà sicuramente
la soluzione a tutti i mali, ma sicuramente viverselo e parlarne consapevolmente aiuta ad
abbandonare le resistenze e i blocchi. E sono
proprio questi a creare malessere. Provate a
vivervi l’orgasmo, a sentirlo, a parlarci. Vi conoscerete meglio che con anni di psicoanalisi,
per non parlare degli altri suoi effetti benefici.
Provate ad abbandonarvici; saliti sulla macchina del tempo a carburante orgonico vi renderete conto di come il tempo si annulli: esiste in
quel momento la totalità spaziale e temporale
che non prevede compartimenti stagni tra passato, presente e futuro. È tutto lì, tra spirali di
piacere. Ritornare all’origine nel momento stesso in cui qualcosa finisce, e qualcosa continua.
Senza una sessualità libera dai tabù altrui
(se proprio ne abbiamo bisogno per vivere
che siano almeno un nostro prodotto esperienziale, non quello delle solite dinamiche
politico-sociali-culturali) è difficile sentirsi in
sintonia con se stessi e con il mondo. E senza Oranur le persone devono curarsi con la
medicina tradizionale, a volte esasperando i
sintomi piuttosto che curandoli. Altri aspetti degli effetti benefici dell’omeopatia e della
medicina alternativa, o di quelli malefici del
dilagare del bigottismo. Ringraziai tutti quegli studiosi, considerati eretici, che avevano
osato andare al di là del senso comune e dei
paletti della propria scienza. Non erano miei
vagheggiamenti, c’era qualcosa di vero in tutto
quello che avevo intuito e poi “riscoperto”. E
poi, più tardi, mi divenne chiaro anche perché
già Dante, negli ultimi versi del XXXIII canto
del Paradiso, arrivò a dichiarare: “A l’alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio
disio e ‘l velle, sì come rota ch’igualmente è
mossa, l’amor che move il sole e l’altre stelle”.
CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO…
9
16
Un buffet per due - Parte III
SCRITTI PROPEDEUTICI ALLA COSTRUZIONE
DI UNA MACCHINA DEL TEMPO
Due stronzi alla corte di Re Artù: considerazioni di viaggio ed esegesi del
Graal. La comparsa di una voce inquietante. Un faccia a faccia con la morte.
di Lorenzo Peyrani
Parte II: dopo la macchina del tempo economica ecco la macchina del tempo fisica,
sulla quale si specula a partire dalle teorie di Einstein e anzi dalla loro esasperazione.
Sul prossimo numero ci occuperemo invece - finalmente - di questioni filosofiche.
C
arissimi.
Gli aspetti della teoria della relatività
che suscitano insieme scetticismo e fascinazione sono innumerevoli, ma oggi vi chiedo di riportarne alla mente uno in particolare,
quello cui ci si riferisce di solito come “paradosso dei gemelli”. Questa la storia, in breve: due
gemelli, per sorte o artificio, subiscono destini
opposti; A rimane sempre all’ovile materno, B
diventa l’astronauta che per primo sperimenterà velocità vicine a quelle della luce. Dopo il suo
viaggio al fulmicotone, B torna a casa e trova A
sensibilmente più vecchio di lui. Eccoci messi di
fronte a una delle conseguenze della teoria della relatività più difficili da accettare: a velocità
maggiore corrisponde un più lento trascorrere
del tempo soggettivo. Se qualcuno viaggiasse
(quasi) alla velocità della luce, quello che per lui
trascorrerebbe in un secondo durerebbe anni
per i suoi contemporanei più lenti. Ne avrete
sentito parlare. Io ero un ragazzino quando
sentii raccontare questa storiella per la prima
volta, ma da allora non ho smesso di pensarci.
Anche quando ero ragazzo progettavo di costruire una macchina del tempo; d’altra parte
non c’è niente di strano: è più singolare continuare a farlo alla mia età che fantasticarci su, da
bambini; la mia costanza durante il corso degli
anni, piuttosto, potrebbe indicare la tara della
demenza; ma non lascerò che questo mi abbatta.
Fatto sta che mi trovai a studiare fisica al liceo
scientifico; durante quelle ore, alcune lacune
nell’indottrinamento impartito dai professori,
certi buchi della cui chiusura e circoscrizione non mi avevano convinto, stuzzicavano la mia curiosità, promettendo vie di fuga. Ero alla ricerca
di un’osservazione che minasse la
loro sicurezza; speravo di colpirli
in un punto debole e far crollare il
castello di carte su cui si basava la
loro dottrina, e magari diventare
io il professore. Nel caso in questione, leggendo la descrizione del
modello atomico planetario, secondo il quale gli elettroni si muovono
a velocità grandissime, paragonabili
a quella della luce, su orbitali che circondano un nucleo costituito da neutroni
e protoni, mi sorse spontanea una domanda:
chi decide dove inizia e dove finisce un corpo?
Quando si deve considerare la parte (per esempio l’elettrone) e quando l’insieme (l’atomo? O
tutto il corpo, magari umano? O l’universo?)?
E se ogni corpo è costituito da materiali o tessuti, a loro volta costituiti da molecole, a loro
volta costituite da atomi, a loro volta costituiti
da particelle come elettroni e protoni… come
si può stabilire un’unica velocità per un corpo? Sarà pur vero che, nella mia interezza di
animale, posso stare fermo sul divano oppure
sfrecciare sopra a un aereo; ma i miei elettroni si
muoveranno sempre più veloci di me. Allo stesso modo io sarò sempre più veloce della Terra,
perché anche da “fermo” essa mi trasporta con
sé. Di conseguenza la Terra è più veloce del
Sole, il Sole più veloce della galassia e la galassia più veloce dell’universo. Ecco che l’ennesima teoria nasceva nella mia mente giovanile e
incline alla metafisica: ogni insieme è più lento
delle parti che lo compongono; e ancora, ricordando che “a velocità maggiore corrisponde un
più lento trascorrere del tempo soggettivo”, derivavo qualcosa di ancora più forte: il volume è
direttamente proporzionale all’età.
Proviamo a darlo per buono, a prenderlo per
ipotesi. La scala delle magnitudini¹ si presenta
ora come vero orientamento dell’asse temporale. Che scenario: solo l’universo nella sua interezza è abbastanza “vecchio” da aver raggiunto il presente assoluto, al contrario le sue parti
costitutive sono più “giovani”; ma non già nel
senso che siano emerse in seguito (poiché l’origine è comune all’insieme e alle parti), bensì nel
senso che esse “non sono ancora arrivate”, che
esistono nel passato, che si “ambientano” nel
passato. Se il “presente” dell’universo si situa
qualcosa come quindici miliardi di anni dopo
il Big Bang, la sua supposta origine, il presente
di una galassia allora avrà solo cento milioni di
anni, quello di una stella tre milioni e quello di
un pianeta mezzo. Il presente di un umano solitamente non dista dall’origine più di un secolo
e quello delle molecole qualche mese… Per gli
elettroni si parla di giorni. A conferma di ciò,
atomi e molecole ricordano strutturalmente le
formazioni dell’universo primordiale e, al di
sotto di una certa dimensione minima², le nostre misurazioni si scontrano con un misterioso
caos quantistico: non possiamo osservare senza
modificare. Così piccolo da precedere la Creazione. L’intero passato risiede nel mio corpo ed
è il futuro a circondarlo. “Presente soggettivo”
significa “pelle”. La pelle che mi separa
dai miei colleghi umanoidi, il confine
tra un corpo e l’altro che è terrore della morte, il presente cieco.
Se il passato è nel dettaglio, è “alla
base” tutto lo spazio; presente e
futuro ne sono letteralmente costituiti. Come si può viaggiare nel
tempo, allora? E si può davvero
parlare di "viaggio" se a cambiare è il volume e non la posizione?
Non esiste un modo per rimpicciolire o ingrandire un corpo; e, se
anche ci fosse, una creatura potrebbe
sopravvivere? Rallentiamo. Io sostengo che le tecnologie per farlo esistano già,
invenzioni risalenti agli ultimi decenni, ma per
capirlo facciamo un passo indietro. Prima di
spingerci tanto in là da valutare il rimpicciolimento o l’ingrandimento dei corpi, prendiamo
in considerazione una via più umile: quella
della lente, che ingrandisce solo le immagini.
Il microscopio ci ha permesso di investigare
il funzionamento della vita microscopica e di
quella arcaica allo stesso tempo. Sarebbe stato difficile individuare nei microbi le specie
viventi più antiche, prima che gli scienziati ci
aprissero gli occhi sulla loro esistenza; tantomeno comprendere il passaggio da sostanze
inorganiche a tessuti viventi senza l’idea di cellula. Inizia l’interazione con il mondo dell’infinitesimamente piccolo, le tecnologie mediche si
raffinano: si affinano. Un bisturi è già una macchina del tempo. Per non parlare di una bomba
atomica. E pensiamo agli sviluppi recenti in
campo genetico. La mutazione controllata, cui
assistiamo con la creazione degli organismi ge-
neticamente modificati, è un salto nel
futuro o comunque in un altro tempo, reso possibile da tecnologie che
lavorano con grande precisione e su
scale infinitesimali; per le quali, guarda caso, si è sentito necessario coniare
il termine “nanotecnologie”, come a
sottolineare un salto qualitativo che
le rende un campo tutto nuovo. La
genetica applicata si è rivelata proprio l’arte di far viaggiare nel tempo
gli esseri viventi. Basta una sottile
modifica al passato, per esempio a
quel passato remoto che è il DNA, ed
ecco una patata diversa, qui e ora. Lungo quale
linea temporale si è evoluta questa specie di patate? Fatevelo dire: lungo una linea temporale
alternativa, in un mondo parallelo. Questa patata è Biff che diventa ricco grazie all’almanacco sportivo, è Marty che diventa trasparente³.
Potrebbero cambiare il passato e farci sparire
tutti. Oppure, se non lo facciamo noi per primi,
potrebbero essere quei maiali dei nostri figli a
cambiarci la vita: non ci varrà a nulla essere già
morti. Di macchine del tempo siamo circondati,
al giorno d’oggi.
¹ con scala delle magnitudini banalmente si intende
la scala dei volumi: si va dal quark all'atomo, alla
molecola, al tessuto, all'organismo, ai pianeti, alle
stelle, ai sistemi planetari, alle galassie, fino all'universo stesso.
² 1,616 252 × 10-35 metri è la “lunghezza di
Planck”. Un cubo con lunghezza di Planck di lato è
il cosiddetto “spazio di Planck”, al di sotto del quale
la materia si comporta caoticamente.
³ personaggi di “Ritorno al Futuro”.
CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO…
Peyrani - Sono seduto al tavolo di un locale nel
centro di Torino, quando mi squilla il cellulare.
È Simone Sandretti, il presidente del Torino Mad
Pride, e mi passa Fabrizio Gargarone, detto Gargamella, patròn di Hiroshima Mon Amour. Mi
metto sull’attenti. “Potremmo avere Blixa Bargeld
come ospite per la vostra serata del 2 novembre,
che te ne pare?” Garga ricomincia a parlare, accennando alle questioni economiche, ma cade la
linea. Per un attimo il mio pensiero vaga. Blixa
Bargeld. Penso al mio articolo sulla Sveglia, quello autobiografico, il “Buffet a Deux”. E penso ad
Atzori. Aveva scritto un bel pezzo riguardo quei
giorni in cui Blixa gli parlava nel cervello, durante una crisi d’astinenza da
antipsicotici - una settimana per me splendida, tra il
finire di Ottobre e gli inizi
di Novembre 2004, a Berlino. Sarebbe stato perfetto,
rimugino, come pubblicità alla serata. Peccato
sia andato perso: dovrò
chiedergli di riprendere la narrazione da quel
punto, di riscriverlo…
Atzori - Più che un concerto sembrava un doposcuola. Blixa Bargeld
faceva da direttore e tutti
gli altri il coro. In mezzo
vedevi anche persone di una certa età che però,
a quanto pare, erano rimaste troppo attaccate
all’infanzia. Io ero coinvolto in questa buffonata, ma non stavo certo tra le fila dei partecipanti. Vagavo per il Palast der Republik di Berlino
pieno di rabbia per la situazione ridicola in cui
mi trovavo. Ero, inoltre, un po’ deluso da Blixa
Bargeld. Mi sembrava un imbecille, un “convinto”, uno che stava facendo una porcheria e che
si stava pure impegnando per farla, quasi fosse
un dovere. In quei giorni avevo deciso di farla
finita con la terapia farmacologica. Questo mi
generava scompensi che era difficile ignorare.
Seguivo il flusso ondivago di ogni sensazione,
pativo ogni carenza estetica (intendendo come
tale ogni identità ravvisabile). Era una situazione così adolescenziale. Io dovevo uscire dall’adolescenza e invece mi ci trovavo incastrato in
maniera beffarda e sprecata. Blixa mi sgridava
telepaticamente: voleva che mi inserissi nel coro.
Io non ubbidivo. Quella disciplina che lui mi proponeva, non m’interessava. Non volevo far parte
di quel gruppo. Io non ero un fan degli Einstürzende Neubauten. Non me ne fregava niente.
Ero senza farmaci, quindi vomitavo, deliravo.
Quel concerto non valeva nulla, e ancor meno valeva rispetto a quello che io ero capace di sentire e
vedere. Io ero il tempo e lo spazio. Ero io a determinare il confine del reale, perché il reale scaturiva da me, da un sé che respirava attraverso i miei
polmoni e che ad ogni movimento di diaframma
generava nuovo spazio, nuova realtà, nuove allucinazioni. Ma non ero certo in grado di vivere
questo stato in maniera cosciente, così lo pativo.
Creavo realtà frammentate, che appartenevano
ciascuna al tessuto di parti disunite. Era come
se si aprissero tante finestre sulle cose e queste
girassero intorno alla mia testa-lavatrice. Sentivo,
percepivo la mia testa come una lavatrice. Non
volevo allinearmi al loro ritmo, così cercavo di crearne di nuovi. Tentavo di trasformare in musica i
rumori che provenivano da quel contesto sonoro.
Non sopportavo quella musica. Sembravano tutti burattini di Blixa Bargeld: un coglione tedesco
con il panzone che faceva il dark dandy vivendo
dell’eredità della sua ormai consumata aura mistica. L’astinenza da farmaci rendeva il dolore un
elemento ancora più esteso. Era così perché avendo assunto per un mese quelle pastiglie mi ero
disabituato alla necessità dell’intelligenza. Affidavo a qualcosa d’altro il compito di porre tregua a tutte le confusioni. Il risultato era un sonno
inutile e una debolezza che mi rendevano fragile agli attacchi dei demoni che io stesso creavo
dalla superficie della mia epidermide emotiva.
Intanto erano tutti lì che cantavano in coro. C’era anche Peyrani, anche lui coinvolto in quella
schifezza. Credo che quel che più mi terrorizzasse, in quel che stava succedendo, fosse il “fatto”
che accadesse realmente.
Ad esempio, Peyrani mi
appariva come un ragazzino. Aveva vent’anni, in
fondo. Blixa era un signore che faceva l’alternativo
e che l’underground anni
ottanta aveva reso un
professionista. Ma poi, a
lato, c’erano i loro sé: vivi,
agivano.
Comunicavo
con essi telepaticamente,
li vivevo. Ma loro avevano di sé una coscienza
parziale. Questo non poteva che terrorizzarmi,
perché tutto quel che mi
accadeva aveva qualcosa di abominevole in quanto alieno, vicino
alla biologia, separato dal civile. Questa realtà
non potevo che viverla passivamente. Forse
fu proprio quella passività a salvarmi. Un’intima gioia Zen che mi accompagnava. Facevo
un lavoro segreto, sottile, insomma assurdo.
Peyrani - A Berlino avevo con me la videocamera con la quale ero solito riprendere le nostre
grottesche imprese, ma le immagini del concerto
che rividi in seguito non le avevo filmate io. Altri
fan, con macchine digitali simili alla mia, diretti dall’alto, fornirono tutto il girato necessario al
dvd che uscì l’anno seguente. La grana fredda
delle immagini mostra una continuità perfetta
con le nostre riprese dell’epoca, e le scene in cui
appaio rafforzano l’impressione. Atzori, invece, non compare
nel dvd. Mi chiedo se due mesi
dopo le cose sarebbero andate
nello stesso modo. Forse no; o
forse invece le situazioni si ripeteranno sempre uguali. Fatto
sta che per me era in agguato
un grosso cambiamento, un
cambiamento che si era preparato nell’ultimo anno e mezzo.
A Berlino Luca ed io viaggiavamo su piani completamente
diversi. Lui era disincantato
mentre io entusiasta; lui abulico, io fanatico. Due mesi dopo
mi sarei trovato cambiato per
sempre, e terrorizzato: sulla soglia della mia nuova vita. Ricordo ancora quando
venne a prendermi Atzori, l’unico d’altra parte
che potesse capire la situazione, e mi trovò nella
mia stanza, che blateravo di demoni; terrorizzato, per l’appunto. Mi guardò dispiaciuto, quasi
come se si sentisse in colpa. Era un’espressione
che non gli avevo mai visto, infatti mi colpì ulteriormente e la ricordai. Pensai, la faccenda è
veramente grave. In quella notte di terrore trovai,
per quanto stravagante, la mia stella fissa. Quando nel 2010 incontrai Simone Sandretti in preda
al delirio, mi sentivo perfettamente a mio agio,
come se non fosse passato un giorno. Fu naturale
credo, che il Torino Mad Pride nascesse dall’incontro tra Sandretti e Atzori ed io. Anche se le
allucinazioni passarono, cioè, anche se distrussi
il transfert che permetteva le allucinazioni, la
mia vita seguente fu ed è tutta frutto di quell’impulso iniziale. Cosa avvenne, durante quei due
mesi, per avere un effetto così dirompente? Conobbi qualcuno. Luca mi diede un nominativo,
il nickname di una certa persona, una ragazza,
vera, in carne e ossa come noi, che lo torturava.
Ma come poteva torturarlo, se si erano visti solo
due volte e in pubblico, come poteva se era solo
una ragazzina che viveva in un’altra città? Ovviamente non era veramente lei a torturarlo... d’altra parte Luca non era il solo a sostenere che la
ragazza fosse telepatica. Un ragazzo di Firenze
diceva lo stesso. Dalle loro testimonianze sembrava che lei avesse un influsso fortissimo, come
quello di un guru o di una bodhisattva, ma anche che l’influsso esercitato fosse pestifero. Tutti
finiti ad antipsicotici. Ed eccoci tornati all’inizio
della storia: “Afasia era il nome, sul campo telematico...” Ma se Luca sapeva tutto ciò e, cosa
più rimarchevole, se era innamorato di lei fino
all’ossessione, perché mai mi disse di andare
a cercarla? E perché mi spiegò come trovarla?
Atzori - Avvertivo di fare parte di una rete di persone sparse per l’Italia. Già, perché non era vero
che la mia amica Afasia generasse la follia nelle
persone. La verità è che esistevano (ed esistono
tutt’ora) persone sparse per la nazione, che sono
accomunate da un’affinità estetica e perciò etica.
Persone sole, distanti, che anche se raggruppate
non risolverebbero nulla, perché appartenenti a
un’oligarchia ridicola, vicine ma senza coscienza. Persone che stanno costantemente lavorando
insieme pur non essendone consapevoli (che ingiustizia). Questa follia iniziava ad accomunarci
e io riconoscevo nelle persone quei tratti che potevano distinguerle. La follia era diventata una
mania di selezione. Cercavo solo quelle persone
che potessi riconoscere quasi fossero parenti,
o compagni di sogno. Linda era una di queste
persone. E anche Piero. Ogni tanto il bisogno
di incontrare persone simili diventava ossessivo. Ecco perché avevo deciso
CONSCIAMENTE di contagiare una mia amica (Beatrice),
quella con cui suonavo, che
condivideva con me l’immagine di un aereo che saliva e le
voci sotto che dicevano “Enoch
sale in cielo!”. Sì, lo ammetto, io
la volevo contagiare. Così come
volevo contagiare altre persone. Perché no, lo dico, io volevo
contagiare anche Peyrani. Che
cos’è il contagio della follia?
Il senso esterno non è che un
senso interno esteso, condiviso. Io volevo solo che il mio
senso interno si estendesse
per far sì che potesse modificare la realtà intorno. Ho iniziato dai miei
amici più stretti. Era giusto così. Il contagio
nella follia è questo. E dimostra che non esiste
follia, ma solo soggettività dinamica, simile a
un’onda temporale indistinta al mondo di ciascuno. Noi che facevamo (e facciamo) parte di
quella rete, avevamo (e abbiamo) questo compito. Niente di troppo macabro o ottocentesco.
È natura.
8
Il Pensiero Magico - Parte II
C
hiunque cammini sulla realtà, ovvero quel
che gli accade, è come una porta. Agire su
questa realtà è un gioco. Normalmente
la conoscenza viene pensata come qualcosa di simile a una protesi. La conoscenza è qualcosa che
deriva dall’esperienza. La visione si pone con lo
svolgersi. Spinoza ha superato Kant prima che
quest’ultimo nascesse. Non tutti sanno di fare questo cammino. Così capita spesso che per essi accada
di scegliere pochi istanti. Il genio fa un errore. Un
errore al quale tutto si adegua. L’errore è una x sul
foglio della logica. Perennemente la logica cerca
d’aggrapparsi: quello è il lavoro che il genio fa contro se stesso. Lo fa perché la logica è sbagliata. Un
grattacielo. Bisogna farlo alto. E bello. Ma incompiuto. Prendere in mano la chiave per entrare in
quella porta. Una porta che ci restituisca il nostro accadere. Senza case siamo vagabondi. Costruiamoci una casa, e una città. E lasciamo tutto incompiuto.
Nella dialettica hegeliana il momento dell’astrazione coincide con il particolare che non può essere
colto nel movimento d’insieme in quanto, appunto,
si astrae dallo spirito. Ad esso segue prima il momento della negazione (idea fuori di sé) poi quello
dell’Aufhebung, ovvero il superamento, che è sia
superamento dell’opposizione che sua conservazione. La dialettica procede per costanti negazioni,
pensate come momenti necessari alla determinazione positiva. Georges Bataille teorizzava quello
che Derrida ha definito un “hegelismo senza riserve” ovvero una dialettica amputata del momento
di Aufhebung. È prestando attenzione a questa sottrazione, infatti, che possiamo notare come il circolo
dialettico, in sé, sia ascrivibile a una totalità definita entro la quale il superamento coincide con una
capitalizzazione, una progettazione soggettiva da
ricondurre all’interno di un ambito utilitaristico e lavoristico, e che non appena viene privata di questo
momento si vede sfociare nell’ambito del dispendio,
di un’angoscia originaria senza possibilità di tregua,
del non-sapere come inizio e fine nella coincidentia
oppositorum, ovvero il Sacro. Bataille, da allievo di
Kojeve quale era, indicava come estremi attori di
questo processo le figure del servo e del padrone. Il
servo che lavora per il proprio padrone e il padrone che capitalizza per arricchirsi e godere del limite
circoscritto entro quella stessa dimensione utilitaria,
che a sua volta rende possibile il perpetuarsi del lavoro
e quindi della civiltà stessa.
Come Ulisse nel dodicesimo
canto, che Adorno paragonava ne La Dialettica dell’Illuminismo al borghese, il quale per
non schiantarsi contro le rocce,
attratto dal canto delle sirene,
decideva di tappare le orecchie dei suoi servi, legare se
stesso, affinché potesse godere
dell’ascolto e la nave potesse
continuare ad andare avanti.
La stessa vertigine coincide con l’abbandono all’originarietà, pensata qui come condizione immanente
dove ogni forma di identità diventi circoscritta entro l’ambito trascendente, di per sé sufficiente a costituire la soggettività stessa. In Bataille, la fuga della soggettività avviene non tanto nella ricerca di un
altrove del desiderio, e quindi nella ricerca di una
soggettività altra, ma piuttosto nel sacrificio come
atto di uscita fuori dall’ambito dell’utile. In questo la
dialettica viene ad assumere un valore paradossale,
perché la circolarità determinata dall’equazione “ciò
che è razionale è reale e viceversa” diventa “nell’ambito della ragione ciò che è razionale è reale e viceversa” così fuori del godimento, anche la realtà non
è che un momento di incanto. Da qui la considera-
di Marco Mesner
zione che sorge è questa: posto uno sguardo impersonale di non appartenenza, il circolo si muove
secondo una rotazione paradossale, desoggettivata;
e il canto delle sirene apre una lacerazione ontologica dove la stessa essenza dell’io si fa incanto, così
che il pensiero finalmente rinunciatario dell’identità, dal processo di annientamento soggettivo, può
riaffiorare, mediante una volontà destoricizzata.
Lo stagno deve diventare specchio. Ma nel momento in cui diventerà specchio
sarà composto d’acqua. Noi
ci guarderemo come riflessi,
ma subito dopo toccheremo
l’acqua e vedremo che sarà
possibile toccarla e che ogni
volta che lo faremo l’immagine cambierà, prenderà la
forma dell’acqua. Così capiremo che quella era solo un’illusione. Ma quando il riflesso
si ricomporrà torneremo a
crederci. Crederemo che essa
Georges Bataille sia separata da noi e facendo
questo non ci renderemo conto di essere in balia di
un’altra illusione. Poi capiremo che non solo l’acqua, ma anche l’aria, gli alberi, le strade, i grattacieli,
tutti si muovono insieme a noi. Infine vedremo che
anche noi siamo un’illusione. Che il nostro presente, il nostro passato e il nostro futuro sono parti
di un’unica sostanza che è anch’essa un’illusione.
Più saremo noi quella sostanza, più saremo i “padroni” (il contrario del padrone non è lo schiavo,
ma qualcosa che qui abbiamo virgolettato) delle
illusioni. Forse lo capiremo quando ci arrenderemo e rinunceremo all’illusione della non-illusione.
prossimamente
CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO...
CHE COS’È LA GUERRA DI QUINTA GENERAZIONE?
Into the Fouth Generation” delineava con un certo anticipo gli scenari di
“guerra al terrorismo” che abbiamo imparato a conoscere dopo gli avveSu queste pagine incontriamo spesso termini specifici del gergo psichia- nimenti dell’11 settembre. Lind teorizzava una guerra in continuo mutatrico e, per quanto possibile, cerchiamo di spiegarli ai non addetti ai lavori mento, in cui vari livelli (chiamati inizialmente generazioni, in seguito e
attraverso specchietti e glossari ad hoc. Un’altra parola difficile si è insi- più precisamente gradienti) determinano strategie diverse: ogni nuovo linuata frequentemente tra le nostre pagine, una parola dall’origine mol- vello sconfigge sul campo il precedente. Le prime tre “generazioni” vedoto più oscura e che, anche se le meriterebbe, per ora ha ricevuto meno no un crescendo di organizzazione centralizzata: sono gli eserciti regolari,
spiegazioni, forse anche perché l’argomento così arduo può scoraggiare: la guerra cosiddetta napoleonica. Con la quarta si assiste a una curiosa
sto parlando del termine “magia”. È evidente che quando si parla di ma- involuzione: gli attori non sono più gli eserciti regolari delle nazioni, bensì
non-stati, organizzati in cellule dislocate dalla gerarchia
gia su queste pagine non si vuole far riferimento all’ilorizzontale. Niente divise, niente capitali, niente confini.
lusionismo, alla prestidigitazione o a qualsiasi forma di
Il “terrorismo”. Singoli agenti che provocano danni enorspettacolo circense; si vuole piuttosto fare riferimento alla
mi, organizzazioni impossibili da smantellare in un solo
“vera” magia, alla magia come miracolo; eppure, ecco
colpo: gli stati sembrano fare a pugni con le mosche, le
che per funzionare la magia non deve essere “vera” né
loro maggiori dimensioni sono diventate uno svantaggio.
santa. La magia che ci interessa solleva problematiche di
Secondo le loro stesse previsioni, le strategie da guerra
ordine filosofico ancor prima che scientifico, e ci deve far
di terza generazione (l’uso massiccio dell’esercito che
riflettere in primo luogo sul linguaggio che utilizziamo.
vediamo ancora oggi in Afghanistan o in Iraq) vengono
Il primo a porsi il problema di distinguere tra magia e
inesorabilmente circumnavigate dalle organizzazioni più
magia, tentando una definizione più rigorosa, fu il nosnelle, senza una patria da difendere. Così, gli americani
stro beniamino Aleister Crowley, che utilizzava tra l’altro
si sono messi disperatamente a studiare le caratteristiche
una grafia diversa (magick piuttosto che magic) per didi un teorico quinto gradiente, le strategie da seguire in
stinguere l’oggetto dei suoi interessi dalla banale ciarlauna guerra di quinta generazione, che sconfiggerebbe Al
taneria. Secondo Crowley “la magia è la scienza e l’arte
di provocare cambiamenti in conformità con la volontà”.
Qaeda e affini. Se i gradienti più bassi sono caratterizzati
Arthur
C.
Clarke
Quindi, ogni azione volontaria è un atto magico; resta
da un uso più “cinetico” della forza, più evidente, man
da capire quando si possa davvero parlare di volontà. Passiamo ora ad mano che si sale la scala della guerra ci si avvicina invece all’invisibiliun’altra definizione molto interessante, quella lasciataci dallo scrittore di tà. Si desume che la guerra di quinta generazione più efficace è quella in
fantascienza e inventore Arthur C. Clarke: “Ogni tecnologia sufficiente- cui non solo non c’è un uso esplicito della forza, ma addirittura in cui il
mente avanzata è indistinguibile dalla magia.” Non si parla di volontà, nemico non si rende conto di essere entrato in guerra, non si rende conto
non si considera l’atto magico dal punto di vista di chi lo pratica ma da di chi siano i suoi nemici, non si rende conto di poter vincere e non si
parte di un osservatore esterno; si sottolinea come la non-trasparenza di rende conto di aver perso. Una guerra di quinta generazione svolta con
un processo basti a renderlo magico: se A causa B, ma non si capisce come, efficacia è una guerra totalmente segreta. Ed eccoci all’ultima definizioci si trova di fronte a una magia. Ciberneticamente parlando, la magia di- ne di oggi, che è recentissima e nata dalla penna di un altro colonnello
pende dall’opacità della black box, dalla nerezza della scatola nera. Con- dei marines (Rees, 2009): “L’applicazione efficace della guerra di quinto
cedendoci un altro salto ardito, passiamo a considerare una definizione gradiente è… indistinguibile dalla magia”. La magia viene finalmente
di guerra, invece, quella di Carl Von Clausewitz: “la guerra non è che la reintrodotta nel discorso ufficiale e, guarda guarda, addirittura per deprosecuzione della politica con altri mezzi”. Forse a qualcuno iniziano a finire la guerra, quanto esista di più drammaticamente pragmatico al
suonare dei campanelli in testa, ma dovremo compiere ancora un paio mondo. Spero di avere stuzzicato a sufficienza la vostra immaginazione
di passaggi perché la pertinenza di questo excursus sulla guerra si riveli con questo articolo (per forza di cose troppo sintetico) così da poter avchiaramente. Nel 1988, William S. Lind pubblicò sulla gazzetta dei ma- viare un dibattito più approfondito sull’argomento che dovrebbe esserci
rines un articolo destinato a fare scalpore. “The Changing Face of War: più caro e che affrontiamo più di rado: la magia e il suo utilizzo pratico.
LORENZO PEYRANI
mrozinski
“mad pride”
il nuovo album
7
18
I maestri della truffa comunitaria
Ovvero come vincere un bando del Fondo Sociale Europeo e farla franca
SIMONE SANDRETTI*
Il 15 di Ottobre del 2012 venni contattato telefonicamente da Alessandro Castelletto, regista
famoso per aver girato i migliori videoclip delle
band torinesi in voga negli anni ‘90 (Africa United, Mau Mau, etc...). Mi invitò in qualità di presidente del Torino Mad Pride ad incontrarlo per
parlare dell’eventualità di partecipare insieme a
un bando regionale, finanziato dal Fondo Sociale
Europeo (FSE), per la comunicazione e la formazione alle pratiche di Pari Opportunità nel mondo
del lavoro. Alla riunione ci presentammo in cinque (Luca Atzori, Chiara Abbà, Alberto Moretti,
Roberto Cavalli ed Io) e lui ci disse molto onestamente che la ragione per cui non partecipava
da solo al bando era che non poteva vantare un
lungo curriculum in ambito sociale, cosa che nello
specifico era richiesta dalle linee guida del FSE.
Tornato a casa dalla riunione gli telefonai e gli
dissi: «Se non fosse che un regista con un punto
di vista esterno è proprio quello che ci serve per
raccontare il Mad Pride sappi che sarei il primo a
tagliarti fuori dal bando; detto ciò, grazie per la
dritta». A seguito di questo patto informale organizzammo una piccola task-force per scrivere
il progetto, in dieci giorni, composta da Chiara
Abbà, con diagnosi di psicologia e diploma in
ragioneria, Epaminondas Thomos, educatore
greco per soldi e filosofo matto per vocazione,
Alessandro Castelletto (il regista) ed Io (il disabile
psichico). Furono due settimane di intenso lavoro notte e giorno intervallate da sessioni di sesso
estremo per scaricare la tensione. L’obiettivo che
ci ponemmo fin dall’inizio era di strutturare un
progetto che fosse finalizzato a rafforzare la debole rete esistente tra i gruppi di matti presenti sul
territorio locale producendo degli strumenti che
potessero essere utilizzati, sul territorio italiano,
da tutto il Coordinamento Nazionale degli Utenti
della Salute Mentale (CNUSM). Iniziammo con
l’unire la tradizione poietica dei matti (rappresentata a Torino dal Laboratorio Urbano Mentelocale) con l’innovazione mediatica portata avanti
dal TMP. Tre furono i progetti che ci vennero in
mente (anche perché le linee guida imponevano
la realizzazione di prodotti comunicativi e formativi e non permettevano il finanziamento di attività lavorative propriamente dette): uno spettacolo
teatrale da affidare a Luca Atzori (regista omosessuale matto, vicepresidente del TMP e rappresentante della Regione Piemonte nel CNUSM),
un complesso portale di informazione e ricerca
lavorativa che partisse dalle difficoltà dei disadattati per promuovere le loro (nostre) risorse, www.
mattiacottimo.net (affidato alle eminenze grigie
del TMP sotto la guida
spirituale di Giuseppe
Bergamin, presidente
di Mentelocale e Jedi di
fama interplanetaria), e
un documentario sulle
pratiche di sopravvivenza messe in atto dai
matti di Torino: “Matti
a Cottimo - Strategie di
Sopravvivenza”. Scritto
il bando ci dedicammo ad altro (feste, riunioni,
rassegne d’arte, scrivere gli articoli per questo
giornale, portare i figli al parco, cercare di scopare etc. etc.) Nell’aprile del 2013 scoprimmo con
grande stupore che eravamo tra i trenta fortunati
vincitori (su duemila domande presentate) del
bando: 50.000 euro, di cui la metà in anticipo e la
seconda metà dopo l’approvazione del consuntivo spese da parte dell’ente promotore (Agenzia
Piemonte Lavoro), da consegnare, insieme ai tre
progetti realizzati, entro e non oltre il 3 di Novembre del 2014. Nel frattempo che cosa è successo?
Luca Atzori ha deciso di arrivare allo spettacolo
finale (obiettivo numero uno) attraverso un laboratorio gratuito aperto a utenti psichiatrici e
aspiranti attori non professionisti. Ha ottenuto di
poter provare gratuitamente nei locali del Caffè
Basaglia (un grazie sempiterno a Enzo Di Dio e
a Ugo Zamburru, anche se sono dell’ARCI). Ha
deciso di farsi aiutare da due professionisti dello
spettacolo nell’allenamento fisico (da Donatella
Lessio) e nel training attoriale (da Lucio Celaia).
Dopo quattro mesi di prove le divergenze registiche nate tra Luca Atzori (drammaturgo gay) e Lucio Celaia (regista napoletano) si sono esacerbate
a tal punto che i due, subito dopo la prima messa
in scena dello spettacolo (“Gli Ospiti Invisibili”
- 2 Novembre 2013, ore 21:30 presso Hiroshima
Mon Amour, via Carlo Bossoli 83, Torino), si sono
separati di fatto. Lucio si è preso lo zoccolo duro
del gruppo di lavoro è ha aperto la succursale torinese del suo centro di
ricerca teatrale napoletano (ARTI Teatro). Luca
si è rimesso a lavorare
sul suo capolavoro in
progress: “Gli Aberranti”, in diretta radiofonica web su Radio Banda
Larga dalla Vetreria di
corso Regina Margherita
27 a Torino ogni mercoledì pari dalle 17:00 alle
18:00 fino alla fine del
mondo. Appena fatto il piano dei conti per la realizzazione dei tre progetti ci siamo resi conto che
il guadagno lordo dei singoli lavoratori al progetto si aggirava intorno a 1,20 € all’ora. Alessandro
Castelletto, padre di una giovanissima bambina e
marito di una donna dominante, ha abbandonato
il progetto. Mauro De Fazio (lavoratore polifunzionale in quanto educatore psichiatrico, regista
cinematografico e imprenditore edile) si è proposto come sostituto regista, ottenendo il consenso
unanime (era stato tra i membri fondatori del
Laboratorio Urbano Mentelocale e condivideva
con il presidente del TMP la passione per le pratiche poligamiche). A lui si è aggiunto l’operatore
video Andrea Spinelli (già conosciuto dagli appassionati del genere come pornoattore di video
amatoriali negli anni novanta e chitarrista del
gruppo hardcore Crunch). La squadra, completata da Alberto Moretti (genio nevrotico fanatico
dei Beatles) e Marco Perugini (cuoco pederasta
attualmente affidato a una famiglia nell’ambito di
un progetto rieducativo individualizzato) ha ultimato le riprese nel settembre del 2013 e ottenuto
un così largo consenso di pubblico e critica che attualmente lavora su diversi progetti documentaristici finanziati da enti sociali (Coldiretti, Caritas,
Comunità Ebraica etc. etc.). Le difficoltà non sono
certo mancate, prima fra tutte la rendicontazione
trimestrale imposta dal FSE, che per noi labili di
psyche (in greco significa essenza), risulta sempre
un appuntamento ansiogeno e coercitivo dove è
d’obbligo dare un tempo e uno spazio credibili e
documentati al nostro modus operandi, per natura randomico e delirante (un mese a piangere in
un letto seguito da 72 ore di lavoro continuativo
senza neanche un’ora di sonno per recuperare,
solo per fare un esempio tra i tanti). Ma sono state
proprio queste ultime a permetterci di studiare
tecniche di infestazione del reale, su cui si basa
la nostra sopravvivenza, come matti orgogliosi di
esserlo, in un’epoca e in un mondo al tramonto
che ancora difendono valori morti da un pezzo quali: costanza, produttività e buon senso.
*Simone Sandretti è l’umanoide
in cui si è reincarnata Ishtar, Il Diavolo.
COSTUME
Generazioni a confronto
Nel racconto di un lettore, il nostro mondo che cambia
ROBERTO SAHIH*
Era un venerdì pomeriggio, in casa c’erano solo mia nuora e il mio nipotino, Luigi. Quel giorno stavo leggendo il giornale su una comoda
poltrona nera che c’è in salotto quando, all’improvviso, notai mio nipote
sull’uscio della stanza. Egli si avvicinò e mi disse “Perché invece di leggere il giornale non guardi il telegiornale alla tv?” Abbassai gli occhi su
di lui e risposi “Il giornale è molto meglio del telegiornale perché esercita in modo attivo la mente e offre più notizie” “Sì, ma il telegiornale ti fa
vedere i fatti e inoltre è più aggiornato perché viene trasmesso più volte
al giorno mentre il giornale esce solo al mattino.” Alle parole del mio
nipotino risposi quasi immediatamente “A parte il fatto che se ci sono
notizie importanti si pubblicano le edizioni straordinarie, voglio farti
una domanda: quando completi un album di figurine cosa guardi di
solito, le immagini o le scritte?” Luigi ci pensò un po’ e replicò “Ma che
domande, le immagini dei calciatori, è ovvio!” In seguito il nipote accese
la tv e guardò i cartoni animati, io intanto riflettevo sul nostro dibattito.
Accidenti come sono superficiali i giovani d’oggi! Guardano più le apparenze che i contenuti, ciò non va affatto bene, ne dovrò parlare con
mio figlio Aldo. Verso sera, Aldo tornò a casa e gli andai incontro. “Cosa
c’è papà?” mi disse con tono calmo. “Tuo figlio da più importanza alle
apparenze che alla sostanza, dovremmo fare qualcosa...” Aldo appoggiò
il cappotto sulla sedia e replicò “Non mi sembra molto grave, dopotutto ha solo nove anni, è ancora giovane. Piuttosto andiamo a mangiare,
papà.” Mi diede una pacca sulle spalle e si recò in cucina, dove erano già
a tavola sua moglie e suo figlio. Deluso, andai anche io. Mangiai solo il
primo piatto, poi diedi la buona notte ai miei cari e mi recai in camera
mia. Passai tranquillamente il sabato e la domenica, più che altro a letto,
leggendo e dormendo. Il lunedì mattino accompagnai a scuola mio nipote, dove c’erano già i suoi compagni che lo aspettavano per scambiare
le figurine dei calciatori. Poco dopo passò un ragazzo con la pettinatura
a cresta, tutta colorata di rosso, e che inoltre portava i pantaloni stracciati e due orecchini al naso. Tutti i bambini si misero a ridere e io dissi
“Non mi sembra il caso di prenderlo in giro, non si giudicano solo le
apparenze, può darsi che quel ragazzo sia buono e onesto.” “Non credo
proprio” disse una signora “Lo sanno tutti che quello lì è stato rilasciato
dalla polizia poche settimane fa; quel ragazzo era, e probabilmente è
ancora, uno spacciatore di droga!” Rimasi a bocca aperta, intorno a me
c’erano tutti i bambini che ridevano e i genitori che mi guardavano con
rimprovero. Non mi ero mai sentito così umiliato.
*Roberto Sahih è un umanoide autore di racconti e videogiochi
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ESTERA / NERA
ITALIA: ANNO 2014
LORENZO PEYRANI
è passati alla fase due: la “primavera araba”. Alla pochi rivoltosi che attaccavano il potere di Ghedprimavera araba e alla - campagna contro i preti dafi si nascondeva nientepopòdimenocché l’intera
Compagni, camerati. Madpride. Italiani. Quando pedofili, che sono andate di pari passo. Dal Pakistan forza dell’avverso patto atlantico. Così, in quei
parlate dei vostri diritti, fate riferimento alla sovran- all’Egitto, dall’Algeria alla Libia, per destituire lo giorni convulsi in cui il dittatore tentava di salvaità della patria. E come per i diritti anche per le stato sovrano italico (incarnato nella persona di Sil- rsi usando gli aerei militari contro la folla, anche il
riforme, voi pensate a riforme legalmente promo- vio Berlusconi), gli Stati Uniti hanno dovuto prima governo italiano perdeva la propria sovranità, forse
sse da uno stato sovrano. Vi appassionate alla po- ammazzare Gheddafi; in seguito, una volta insedia- per sempre. Vanificando il sacrificio del kamikaze
litica nazionale. Credete
tisi a Roma, hanno fatto torinese, Pietro Micca… protomartire madpride.
all’esistenza della Republo stesso con il Vaticano: Ieri il fronte si è spostato in Siria, e il nuovo papa
blica Italiana. Perché non
anche lì hanno messo fantoccio scriveva ad Assad sotto dettatura diretta
date prima un’occhiata
- un uomo loro. Le cam- della Casa Bianca. I morti sono stati decine di miglia quello che accade
pagne di diffamazione aia, eppure abbiamo assistito solamente a una fase
oltre i vostri confini?
internazionale contro il di riscaldamento. Quale sarà il punto di non riAlcuni di noi italiani
governo italiano e contro torno? Qual è il confine che gli alleati non possono
suppongono di vivere in
la Chiesa, intensissime superare, prima di ottenere una reazione forte?
uno stato indipendente,
su tutti i media dalla ri- L’equilibrio è instabile, e si gioca in Iran e in Pakiseppur allineato al Patto
elezione di Obama fino stan (che nonostante Zardari è ancora pieno zeppo
Atlantico; talaltri, ina quel momento, termi- di terroristi), e sul conto delle loro bombe atomiche.
vece, sono dell’idea che
nano la loro utilità: mis- Il Pakistan è già una potenza atomica e gli USA (così
l’indipendenza sia stata
sione compiuta. Inizia come l’India) vorrebbero non lo fosse, l’Iran sta lapersa nel 1943 a seguito
Gli agenti della CIA son tutti giovani e belli quindi la contraria beati- vorandoci e gli USA (così come Israele) vorrebbero
dell’armistizio. Pochi rificazione mediatica del impedirlo a ogni costo. Se entrambi gli stati avessero
conoscono, piuttosto, come l’Italia dal 1945 al 2011 governo tecnico e della nuova corrente, presentata l’atomica l’Occidente dovrebbe reagire, se nessuno
abbia mantenuto una relativa libertà, grazie alle al- come “relativista e secolarizzata”, di Francesco I, dei due l’avesse a dover reagire sarebbe l’Oriente.
leanze bilaterali con gli USA e con il blocco asiatico, il vero Pietro II delle profezie tabloid. Tipicamente E l’Italia, un tempo segretamente alleata al fronte
e quanto la situazione sia cambiata negli ultimi tre italiana, tra gli idealisti della politica, è la - rasseg- orientale e quindi mai duramente colpita dal nuovo
anni. La Libia rappresentava la nostra assicurazione nazione. “I nostri politici non ci hanno mai detto la terrorismo (che sarebbe più giusto legittimare come
sulla vita, e il nostro cordone ombelicale. Una spina verità!” Fermi tutti. Sarà poi così strano che i politici “guerra di quarta generazione”), oggi è diventata
nel fianco per l’Inghilterra e una spina nel fianco per non dicano la verità? Sarà segno inequivocabile di l’obiettivo perfetto delle rappresaglie dei suoi vecchi
gli Stati Uniti; addirittura una fonte di umiliazione reconditi interessi personprotettori; intanto, la Franper la Francia. La strage di Ustica fu il prezzo pagato ali? Eppure, supponendo
cia mai come oggi gode
in un’occasione per tutelare la nostra delicata po- l’esistenza di un uomo
a far la voce grossa e nel
litica estera; oggi - quella partita è definitivamente politico ideale, di un patrisentirsi di nuovo superpersa. L’offensiva lanciata dall’amministrazione ota… non dovrebbe questi
potenza, vedendoci sulla
Obama (a differenza di quella più ingenua, impreg- sistematicamente mentire
graticola. Quale sarebbe
pubblica?!
nata di spettacolarismo millenarista, dei Bush) è all’opinione
stata la rappresaglia socaratterizzata da una linea a basso profilo, che mira Avrebbero mai potuto un
vietica se gli Stati Uniti
all’agitazione indiretta degli obiettivi. L’agenda? Togliatti o un Andreotti
avessero preso il Vietnam
Guadagnare influenza sui paesi dell’Islam attra- dichiarare sui giornali che
del Nord? Molto probaverso “rivoluzioni democratiche” opportunamente la dirigenza politica italibilmente l’uso delle armi
manovrate, che rovescino i governi sostenuti dal ana stava conducendo un
nucleari. Quale sarà la rapblocco opposto, dal Maghreb al Medio Oriente. delicatissimo doppio gipresaglia russo-cinese se
Progettando questa vera e propria discesa agli in- oco con le superpotenze?
l’Iran venisse attaccato in
feri che è la discesa in Cina, l’Italia è emersa tra le Raccontare all’opinione “La mia potenza è la tua potenza, la mia vita è la tua vita” seguito al fallimento delle
prime zone da mettere in stato di sicurezza; quindi pubblica che “Americani e francesi ci hanno ab- trattative, o se in Pakistan l’I.S.I. venisse definitivasi è proceduto alla disintegrazione della resistenza. battuto un aereo di linea, sì, ma sarebbe ridicolo mente smembrato? Su quali obiettivi si abbatterResistenza che continuava sin dal 25 aprile 1945, per chiedere riparazione perché - siamo in guerra. ebbe? Anche se dovessimo essere colpiti, nel nostro
quanto sotterranea: frutto degli intrighi con Mosca Quell’aereo civile stava coprendo il nostro alleato paese non scoppierebbe la guerra civile. Anche se
e Tripoli portati avanti tanto dal PCI che dalla DC militare Gheddafi, grazie al quale - siamo ancora una bomba atomica francese piovesse sulla Sacra di
(ebbene sì, dalla - Chiesa). La prima mossa della indipendenti. I morti sono stati vittime della patria, San Michele non faremmo nulla. L’indipendenza è
nostra conquista avviene in Pagrazie ai quali - abbiamo vinto.”? sempre stata un miraggio, così non ci siamo accorti
kistan. L’assassinio della leader
Sparare missili sulla folla (da di averla persa e non lotteremo per riconquistarla.
dell’opposizione (filoamericana)
un aereo) è stato, ironia della Se volessimo davvero la libertà e l’indipendenza,
Benazir Bhutto è letale per il govsorte, il casus che ha permesso dovremmo rintanarci sulle Alpi, in Svizzera, e poi
erno di Pervez Musharraf, esa quegli stessi paesi di dichia- vivere come nei campi di addestramento di Al
pressione dell’esercito pakistano
rare guerra, questa volta pub- Qaeda in Pakistan. Nelle montagne, cellule indipe della sua intelligence, l’I.S.I.,
blicamente, trent’anni dopo. endentiste non allineate, tra permaculture nascoste
collusa con frange estremiste isPolitically correct è il succo della e bunker labirintici. Invece, senza libertà e indiplamiche di Al Qaeda come Lakdemocrazia, si sa. Curiosa l’altra endenza, quando ci troveremo in un mare di merda
shar-E-Taiba; anche se la Bhutto
faccia della medaglia, cioè il ruolo e verranno a chiederci il conto, noi saremo come
è stata eliminata, il brutale omidella cosiddetta “opposizione” quelli che crepano e vengono trovati sul cesso con lo
cidio porta Asif Zardari (vedovo
in democrazia. L’opposizione è stronzo che gli esce dal culo. Camerati o compagni;
Bhutto) a vincere le successive
sempre benpensante, assurge umanoidi; non state a pensare alle riforme, in Italia,
elezioni. I servizi segreti coprivaa super-ego della comunità. nel 2014. Siate realisti, datevi al crimine.
no Al Qaeda e i Talebani nei terSiamo stati abituati dalla proparitori del nord dello stato, ai conganda a considerare i nostri più
fini con l’Afghanistan ribelle, la
capaci strateghi come truffatori
Cina e l’India. Con vicini simili è
meschini, quando ovviamente
Ashfaq Parvez Kayani
ovvio che l’indipendenza del Paera proprio l’arte del sotterfugio
kistan dipenda dal possesso dell’atomica. Il nuovo a rendere grande il diplomatico. La politica estera
presidente Zardari si accorda quindi con gli ameri- italiana è stata caratterizzata da colpi di fortuna
cani, permettendo loro di eseguire il raid aereo su e pure da colpi di genio, da scommesse rischiose
Abbottabad nel Maggio 2011, scavalcando di fatto portate avanti in segreto da uomini poi gettati in
l’autorità del generale Kayani (capo dell’esercito pa- pasto a un’opinione pubblica due volte ignorante.
kistano) e commettendo alto tradimento verso il suo Purtroppo per noi, ma meritatamente, con Obama
stesso paese. Morto Bin Laden e trucidati nei mesi abbiamo perso. Berlusconi e D’Alema, all’epoca i
seguenti, grazie all’uso dei droni e alla complicità due custodi depositari del patto libico in Italia, sono
“Lashkar-e-Taiba”: letteralmente “Esercito dei Buoni”
del governo venduto, altri vertici di Al Qaeda, si stati raggirati; coglioni, perché ignari che dietro quei
ALL PRIDE LONG @
HIROSHIMA MON AMOUR
BEATRICE DI ZAZZO
I
l Torino Mad Pride nel mese
di aprile stringe un sodalizio
con gli altri orgogliosi della
città sabauda: Bike Pride e Pride
(i diversamente orientati sessualmente rispetto alla norma comune – ma stabilita da chi?). I discriminati per aver avuto il coraggio
di mostrare la propria individualità a dispetto delle odierne regole culturalmente determinate,
cominciano a
col l oqu i ar e,
aprono le porte dei propri
valori e del
proprio sentire verso chi,
come loro, sa
cosa significa
essere considerato diverso. Ma proprio non ci stanno a
subire l’ignoranza e la superficialità delle persone “comuni”
e allora decidono di fare fronte
comune per aiutarsi a vicenda e
scambiare opinioni. Ne scaturiscono due serate organizzate di
concerto con l’Hiroshima Mon
Amour per raccogliere fondi e
portare avanti la propria missione. La prima serata, quella
del 3 maggio, permette
al Torino Mad Pride
di inaugurare la
mostra “Der Tod
ist ein offenen
Tür” con le
opere, tra gli
altri, di Maurizio Ferrari e
Vittorio Berto, e con una
performance
musicale
multimediale a
cura del TMP. A
condire la serata,
aperitivo, spettacoli
e concerti de la Situazione Chimica, Stefano
Amen, Sol Ruiz e Matteo Castellano; e con il Dj Set finale a cura
di Baciami Stüpida. L’affluenza è
buona ma non ancora adeguata
al numero degli orgogliosi della
propria diversità; l’incontro tra
realtà così apparentemente diverse rende però bene l’idea che
per sfondare il muro dell’ottusità
del sentire beceramente comune,
bisogna aprirsi all’altro, altrimenti ci sarebbe solo una ripetizione
di schieramenti “noi-loro”. Si respira aria di “noi”. Punto. Nonostante la fatica nell’organizzare
una serata che rispecchi i gusti
di tutti e con metodologie organizzative profondamente diverse
tra un pride e l’altro. Il confronto
forse serve proprio ad avere più
chiari i propri limiti e a intrecciarli con quelli altrui. Nella serata del 2 novembre il pubblico
aumenta: vuoi perché i prides
continuano imperterriti la loro
attività 365 giorni l’anno per 24
ore al giorno, vuoi perché sempre più persone decidono
di uscire allo scoperto o perché, pian piano, i cosiddetti
normali cominciano a capire che,
in fondo, i cosiddetti diversi non
sono poi così terribili e pericolosi.
Il Torino Mad Pride per l’occasione presenta l’anteprima sia dello
spettacolo teatrale “Gli Ospiti
Invisibili” frutto del laboratorio
drammaturgico inserito nel bando europeo
vinto, sia del
documentario “Matti a
Cottimo. Strategie di sopravvivenza”
testimonianza di come un
matto riesce
(o meno) a
inserirsi nel mondo lavorativo.
Nella serata poi si susseguono
sul palcoscenico “Le Brugole”
con il loro spettacolo “Metafisica dell’Amore” e “Duemanosinistra” con il suo cantautorato
rock. E c’è anche una lotteria per
vincere una bici. Ma non tutto va
come dovrebbe, ci sono chiusure
e discussioni, il più delle volte tra
chi non ti aspetteresti e con
toni poco consoni alla
presunta
apertura
che ci si propone di
realizzare. E tutto ciò avvenuto
in gran parte
nel
gruppo
teatrale, che
nonostante le
tensioni accumulate nei
giorni precedenti la messa
in scena, riesce comunque
a inscenare uno
spettacolo godibile.
Lode a chi ha perseguito il fine comune mettendo da parte le proprie individualità e non offendendo quelle
degli altri. Agli altri non rimane
che meditare sulla distanza tra
ciò in cui pensano di credere e i
comportamenti che ne scaturiscono. L’incoerenza è utile solo
con una coerenza interna. Altrimenti, che confusione!
DIVAGAZIONE SULLO SPETTACOLO
“GLI OSPITI INVISIBILI”
Gli ospiti invisibili è il frutto del laboratorio produttivo di drammaturgia
che si è svolto da giugno a fine ottobre
per realizzare lo spettacolo inserito
nel bando vinto dal Torino Mad
Pride insieme a Mente Locale. E’
ambientato in una metropolitana.
Alcuni lavoratori pronti per la loro
giornata vengono disturbati da una
voce che proviene da una regione in-
visibile, un’altra banchina che non c’è.
Da lì la realtà inizia a scuotersi, seppure impercettibilmente: tutto sembra
rimanere uguale. Gli ospiti invisibili
è intenzionalmente una prova di teatro politico più che sociale, in quanto
comprende nel cast pazienti e passanti che si confondono nel tentativo
di creare collettivamente una drammatizzazione. Non si prefigge obiettivi di natura positiva, o ancor peggio
pro-positiva. (Siamo già circondati
durante la quotidianità da un anelito
costante e ossessivo rivolto alla positività: ohu facciamo questo, miglioriamo
quest’altro, proponiamo nuovi modi
di, poniamo valori etc) ma è una “palestra” passeggera, che si muove su un
tessuto epidermico sottile: quello della
realtà interna di ciascuno, che tramite
la drammatizzazione trova spazio e
forse possibilità di azione, esistenza.
Luca Atzori
L’AGRICOLTURA È UN EVENTO
S
e già nel 1965, in “Grazie per le
magnifiche rose”, Alberto Arbasino subodorava l’incombere
della deposizione del nome Artaud
in riviste come “Grazia” e “Oggi”,
forse nell’oggi che ci interessa questo
nome non può più essere utilizzato
con tanta leggerezza. Il suo contributo, perlopiù teorico, ha subito la
malformazione che ci si aspetta dopo
ogni eventuale divulgazione, utilizzo,
traduzione, interpretazione, insomma riscrittura. Jerzy Grotowski, ad
esempio, ha trasformato la crudeltà
in una terapia, che a sua volta si è
trasformata oggi in un coacervo di stilemi, ibernati nella ricerca (l’alibi del
fare e con tecnica, per questa o quella
velleità). Eccezion fatta per chi questi
insegnamenti se li è trovati davanti
per caso, e non per trasferimento di
nozioni accademiche o esercitazioni
ginnico-sentimentali. L’agricoltura,
che con Artaud resiste alla letterarietà
servile, alla dicitura consolatoria, e in
fondo alla stessa liturgia, si fa evento,
e come tale diventa indeterminabile.
Non è un’agricoltura “nuova” è anzi
più antica di ogni altra. Non intende
portare insegnamenti, positività, né
tanto meno liturgia (come molti potrebbero credere). Intende essere la
forma pulsante della simbolizzazione
comunitaria. Certo è che quando le
comunità diventano inconfessabili,
il gioco si fa duro, e questo un matto
da legare come l’Antonin poteva ben
intuirlo. Tutti gli elettroshock (45, se
non erro) non sono stati nient’altro
che il fenomeno dell’invasione di una
prigionia tecnica, fatta in nome di
tutte le angosce che chiedono pace (e
ogni Santa o Profana guerra, si svolge
in nome della Pace, caro il mio dottor
Führer e cara anche la madonnina
che ancor oggi piange sulle mura di
quelle strambe strutture). L’agricoltura che accetta l’angoscia come evento
interminabile e indisposto. Pelle del
divenire che solo mediante la frantumazione del linguaggio, della rappresentazione, può abbracciare un’unità
originaria, suggerita magicamente
negli atti illusori, mobile, ondeggiante
ma né per l’uno né per l’altro occhio
(mi si perdoni l’alibi novecentesco
dell’ermetismo, ma è di novecento, in
fondo, che stiamo divagando). L’agricoltura mi sembra in tal caso l’unico
vero sciopero dal quotidiano (almeno per noi). È l’anima la prigione del
corpo, e non viceversa. Per gli antichi
indiani non esisteva religione, perché
tutto era sacro. Quindi inutile parlare
di liturgia quando la visione (veda) è
l’unica forma di conoscenza. Per noi
oggi è invece un cum-scindere ovvero
un mettere insieme ciò che è stato diviso, pur sempre però restando legati
a quella scissione. Ecco che per noi l’agricoltura ha senso in quanto forma di
negazione. Un gioco che appartiene a
un nostro Altro, e che si occupa proprio di distruggere fino allo stremo
quell’altro ancora che siamo noi stessi
(un’altra illusione, ciao mamma, ciao
papi, ciao me) così sin da diventare
davvero politica ma non più in senso
Brechtiano (educativo, moralistico,
istruttivo... insomma epico). Dovremmo, in una simile ottica, condannare
l’io come omicida dei suicidi, per conto di una rete invisibile di tanti altri
mandanti. Un omicidio che è sempre
la condanna a un suicidio. La morte è
un suicidio, al di là dell’io. Ma perché
questi nomi continuano ad essere oltraggiati? Forse semplicemente perché nominati. Continuamente messi
in vendita. Così che forse ci rendiamo
conto che oggi all’agricoltura spetta
un grande respiro. Il coraggio di accettare fino in fondo che quella parola
che l’agricoltore va dicendo, è sì protesi della carne, ma anche che l’eventualità è disposta sopra un oceano di
linguaggio che è sempre Altro. Parole
frasi verbi ausiliari ed impersonali che
sono solo frammenti vibranti di quel
destino che ciascuno tiene in serbo, e
che qualora resi eventuali, si miscelerebbero in cieca partecipazione, così
come avviene per l’invisibile resto
che si pone oltre la ragione (o centro del logos, o anche oltre Derrida).
Luca Atzori
20
5
DOCUMENTARE MATTI A COTTIMO di Mauro De Fazio
Resoconto di un’odissea
Dieci anni in Ospedale Psichiatrico Giudiziario
I
l lavoro documentaristico
che stiamo producendo, relativamente alle attività di
Matti a Cottimo, è per me una
importantissima
opportunità
perché credo che il video possa
essere un valido strumento per
cogliere gli scambi, le relazioni e le suggestioni che ruotano
intorno al Torino Mad Pride e
l’alterità di chi vive esperienze
“al limite”. Esso può essere una
zona franca dove la suggestione
di un artificio, quello cinematografico, restituisce la fotografia
di relazioni umane tra persone
che partecipano alla società con
il loro sapere, non più marginale
bensì fondante. Aver incontrato
Simone, Chiara, Luca e tutti coloro che collaborano mettendo
faccia, corpo e pensiero al servizio del Mad Pride e di Matti a
Cottimo, mi consente inoltre di
“recuperare” il filo di un’esperienza che mi ha coinvolto per
lungo tempo, convogliando molte delle mie energie, lavorative e
non: il Laboratorio Urbano Mente Locale, associazione nata in
ambito psichiatrico per tentare di
dirigere i propri sforzi comunicativi e concertativi sul territorio
del quartiere e dell’intera città.
L’operato di questo gruppo ha
molto a che fare con la situazione creatasi intorno al Mad Pride
e a Matti a Cottimo; entrambi
rappresentano, a mio avviso, un
modo “altro” di aver a che fare
con la sofferenza mentale. Essi
tendono a una ricerca di tecniche comunicative e d’intervento
poco convenzionali, che coinvolge continuamente l’altro come
portatore di un proprio preciso
punto di vista e origina luoghi
in cui ciascuno possa sentirsi
libero di portare il proprio contributo, la propria visione soggettiva, qualsiasi essa sia. Le riprese sono terminate e il lavoro
prende una forma sempre più
definita, ma le domande che mi
pongo su come trattare immagini
e contenuti sono ancora tante. È
complesso fare un montaggio se
si è consapevoli che dietro una
traduzione, anche filmica, si cela
sempre un grosso tradimento.
L’obiettivo primo sarà quello di
far emergere lo straordinario incontro tra storie di solitudine e
disagio con una domanda sociale
che spesso è celata o addirittura mistificata: ovvero quella di
far parte davvero di un sistema
sociale senza negare il proprio
disagio, soprattutto quando “dietro i tempi dei normali proprio
non ci si riesce a stare…”. A quel
punto rischia di crollare tutto:
casa, relazioni, amicizie e lavoro.
Proprio sul tema del lavoro, del
rispondere alla richiesta di produttività che la società ci pone, il
documentario si sofferma parecchio; una persona sofferente che
non riesce a “reggere” i tempi
lavorativi che ci sono socialmente imposti, ma che manifesta comunque la volontà di dimostrare
ciò che sa fare in una situazione
di maggior tolleranza, sostegno e rispetto delle tempistiche
emotive, è una persona che fa da
specchio a ciascuno di noi. Uno
specchio che può consentire ad
altri di riconoscersi in quel tipo
di sofferenza e non soffocarla,
che propone un’immagine di
qualcuno che si batte per realizzare i propri desideri e costruire
delle opportunità. Sento pertanto
di dover richiamare l’attenzione
sulla generosità e sulla passione di tutti, in particolare di Simone, catalizzatore e donatore
di storie che difficilmente avrei
saputo cogliere, e che mi stanno
permettendo di documentare un
movimento né fuori né dentro
la psichiatria, ma che trasversalmente si pone come obiettivo
quello di accogliere bisogni e disagi che la psichiatria non riesce
ad accogliere, al fine di costruire una rete sociale utile a tutti.
Vorrei essere capace di restituire
la forza delle parole e dei volti
che ho incontrato in questi mesi.
Dare voce a parole mute, spazio
a movimenti che faticano ad essere riconosciuti, ridare dignità
a chi normalmente la vede negata, matto e non, sarebbe per me
un modo di essere militante, in
un contesto sociale che richiede
sempre più scelte forti, a fronte di una fluidità che stempera
i confini e amplia le distanze.
Con affetto.
Immagine tratta dal documentario “Matti a Cottimo - Strategie di Sopravvivenza”
ROBERTO CAVALLI*
L
o chiamerò Renato. Oggi è un ragazzo
allegro, che gira con un auricolare appeso all’orecchio, le bollette della Sisal
in tasca e la macchinetta per rollare le cartine
sempre a portata di mano. Parliamo della sua
storia. Renato è uno psicotico paranoide. In
pratica sente delle voci che disturbano il suo
pensiero. Anni fa aveva anche allucinazioni
e difficoltà molto forti ad interagire con gli
altri. Purtroppo non riusciva a controllare
quelle sensazioni e non seppe evitare di porre in pericolo se stesso e le persone che gli
stavano accanto. Accadde un incidente dovuto alla malattia
(sic) e Renato fu
arrestato, processato e condannato al ricovero
presso l’ospedale
psichiatrico giudiziario. Siamo
all’inizio
degli
anni novanta. Il
primo approccio
con la nuova realtà è costellato di
fermi provvisorii
in sezioni separate del carcere e condito da
una pioggia di sedativi. Dopo tre mesi arriva in provincia di Caserta all’OPG di Aversa.
Qui mi facevano fare lo scopino e per un po’
mi trovai bene. C’era un giardino, facevo delle
passeggiate. Ma un giorno ho avuto una crisi e
tutto è cambiato. Allora decisero di contenermi
con i braccioli alle mani e ai piedi, e di siringarmi. Ero immobilizzato su un letto che presentava un buco centrale e un secchio sottostante
per permettermi di fare i miei bisogni senza
slegarmi. Sono stato così per tre giorni. Poi mi
cambiarono le cure. Dopo un paio di mesi introdussero nella terapia l’uso dell’elettroshock:
non mi ricordo quanto facesse male. Mi ricordo
invece che sognavo di fare come Cutolo, il boss
della camorra che era stato ad Aversa e per andarsene aveva fatto saltare il muro di cinta. Le
guardie mi raccontavano spesso quella storia.
Per essere più vicino a casa e per lasciarsi dietro quel mondo doloroso, Renato decide di fare domanda di trasferimento all’OPG di Reggio Emilia.
Qui ci sono stato nove anni. Nei primi cinque la
notte dormivo chiuso a chiave. I pasti me li porgevano dal buco della porta. La cella era grande
una dozzina di metri quadrati e in un angolo
c’era un piccolo bagno chiuso: un lavandino,
un bidet, una tazza senza l’asse e senza il coperchio. Vivevo con un’altra persona. L’arredo
della cella comprendeva un televisore, due armadietti, un tavolo, le brande, una finestra con
le sbarre e una mensola di marmo. Ogni settimana mi cambiavano le lenzuola. I vestiti erano personali, i miei me li facevo lavare da casa.
A Reggio Emilia sono stato veramente bene, anche se la malattia continuava ad essere con me
e la mia vita era piena di gente malata. Ricordo che un detenuto aveva ucciso un compagno
di cella! Durante la mia permanenza ci furono
numerosi suicidi, credo almeno una trentina.
Ogni tanto ero a colloquio con uno psichiatra per mettere a punto le terapie. Tutti i giorni
gli infermieri si assicuravano che io prendessi
le medicine. Non ho mai fatto resistenza all’assunzione dei farmaci e ho cercato di essere collaborativo, anche per questo ero benvoluto dalla direttrice e dall’educatore. Dopo quasi nove
mesi mi diedero un permesso di libera uscita.
La prima volta mi accompagnarono dei volontari, poi ci pensarono i miei familiari. Più o
meno avevo un paio di permessi al mese e tutte
le volte ne approfittai per andare al ristorante.
Purtroppo la struttura era tutto muri e cemento con qualche zona di verde per le attività di
giardinaggio e per quelle sportive. Lo sport mi
ha dato molto conforto e in OPG ho
vinto coppe e medaglie. Soprattutto
la migliore terapia
in OPG è stato il
lavoro. All’inizio
ho ripreso a fare
lo scopino, ma poi
mi hanno fatto fare
dei corsi e mi sono
impegnato in tante attività diverse.
Sono
definitivamente uscito dall’OPG con una licenza finale di
esperimento che poi si è tramutata in permanenza in una comunità psichiatrica di tipo B, nella
quale godevo di libertà vigilata sotto il controllo
di un magistrato di sorveglianza. Sono poi finito in una comunità. Poi in un gruppo appartamento e poi, finalmente, dopo 18 anni mi sono
guadagnato il fine pena. Così sono tornato a casa.
Il racconto finisce qui, anche perché le partite
sono cominciate e Renato ci tiene a seguire gli
esiti delle sue scommesse. Prima di salutarmi
mi confessa la soddisfazione di riuscire a parlare del suo passato senza patimenti. Forse anche questo vuol dire tornare un uomo libero.
e regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio (TSO), istituendo i servizi di igiene
mentale pubblici. Tra gli obiettivi principali
della legge c’era la volontà di modernizzare
l’impostazione clinica dell’assistenza psichiatrica, instaurando rinnovati rapporti umani tra il paziente e il personale curante e il
resto della società, riconoscendo appieno il
diritto del malato ad avere una vita dignitosa. La legge Basaglia, però, non cancellò
l’istituto del manicomio criminale ovvero
l’ospedale psichiatrico giudiziario (OPG).
Nota 1 - La legge 180 del 1978, cd. Legge Basaglia dal nome del suo ispiratore, è la legge
quadro che impose la chiusura dei manicomi
*Roberto Cavalli è un umanoide
alla ricerca della verità
La malinconia
del materialista
è peggio.
Puzza di sesso
Nota 2 – Negli anni ‘80 il Filippo Saporito di Aversa arrivò ad ospitare un migliaio
di persone ed era il luogo in cui venivano
rinchiusi i casi più gravi. Malgrado la legge Basaglia, in quell’Istituto tra violenze,
elettroshock e letti di contenzione, avveniva
la mortificazione dei diritti più elementari
delle persone. Non per tutti, però. Ad Aversa
soggiornò anche Raffaele Cutolo che, a differenza degli altri, poteva contare su stanze
accoglienti e ammobiliate ed era esente da
qualsiasi terapia. Proprio da Aversa, il 5 febbraio 1978, il boss evase con irrisoria facilità.
Nota 3 - Nel gennaio 2012 il Parlamento ha
varato una legge che doveva portare alla
chiusura degli OPG inizialmente entro la fine
dello stesso anno e poi entro il 31 marzo 2013.
Malgrado ciò, non si è fatto molto per mettere
in pratica la legge e superare lo stato di abbandono delle strutture e delle persone che vivono in esse. Uno degli ultimi provvedimenti
del governo Monti è stato quello di spostare
al 1°aprile 2014 la chiusura degli OPG a causa
della mancanza di misure alternative, al ritardo degli enti locali e alla penuria di risorse.
L’esecutivo prevede come irrevocabile l’ultima scadenza fissata, con la minaccia di nominare commissari se non si arriverà alla chiusura. Nel frattempo è cambiato il governo.
4
21
ART DOSSIER
PSICHIATRIA E INTERNAMENTO
Te lo faccio vedere chi sono io
Quando voglio avere l’ultima parola con mio figlio...
I
l nostro amico Lanza Wolverine si è trovato
di nuovo alle prese con la psichiatria coatta quest’autunno: quello che gli è capitato ci
mostra un meccanismo tipico delle città più piccole, là dove “ci si conosce tutti”. Wolverine entra in
conflitto con la famiglia, in particolare con il padre,
riguardo alla gestione economica dei propri averi:
pretende di avere quello che gli spetta in modo da
poter avviare un’attività e diventare indipendente.
Diversa l’opinione del padre, che vuole tenere il figlio sotto controllo: così, tutto quello che deve fare è
alzare la cornetta del telefono e chiamare lo psichiatra che normalmente segue il figlio e che egli paga
regolarmente, e chiedergli di ricoverarlo. Con i suoi
precedenti psichiatrici non c’è nulla di più facile.
I carabinieri si presentano alla sua porta e gli intimano di seguirlo verso
un repartino psichiatrico.
Nonostante la mancanza
di resistenza da parte di
Wolverine, che sapendosi
il più debole si comporta
in modo passivo e ubbidiente, arrivato in ospedale scatta per lui il TSO,
senza alcuna possibilità
di volgerlo in ricovero volontario. Una situazione
senza giustificazioni, che viola ogni regolamento e
libertà personale. In repartino Wolverine viene sedato oltre ogni limite, rincoglionito fino al limine
della coscienza, e trattenuto per più di una settima-
na, fino cioè a quando l’intervento di un avvocato
preoccupa abbastanza i dottori da lasciarlo andare.
Quante mazzette siano circolate tra il padre di Wolverine e gli psichiatri non lo sappiamo con esattezza, ma non è detto che la dignità di certi individui
sia sopravvalutata da nessuno: probabilmente stiamo parlando di noccioline. Nella lucida malinconia
seguita agli eventi decritti, Wolverine ci ha scritto
qualche riga, riflessioni che lo attraversano durante
questo “viaggio al termine della notte”. Eccole qui
riprodotte per voi, fedeli lettori:
STORIA ABBREVIATA DELLA PSICHIATRIA
Prima che venissero scoperti i microorganismi, nell’800,
un oscuro primario di ginecologia di un ospedale cecoslovacco mise in relazione
le frequenti morti tra le sue
pazienti al fatto che molti
dei suoi medici operassero le
pazienti dopo aver effettuato
autopsie, e impose nel regolamento di lavarsi le mani
prima di operare. Il nome
di questo individuo non è
salito agli onori della storia
della medicina perché fu
radiato dall’albo dei medici
e rinchiuso in manicomio. Aveva agito sulla base di un
ragionamento simbolico e fatto le deduzioni che a noi oggi
paiono ovvie, ma la sua era una posizione ideologicamente
inaccettabile per gli altri medici. Nella loro ideologia quei
medici si consideravano infallibili, spogliarono il loro collega dei suoi diritti e impedirono di salvare un numero
inquantificabile di donne. I romani non potevano accettare la posizione ideologica del cristianesimo, e quindi
vedevano nella loro esistenza stessa una grave minaccia
che andava perseguita, anche attraverso il sacrificio catartico dell’arena. Cosa vedessero gli inquisitori cattolici nelle
loro vittime, nei sacrifici e nei roghi che compivano, forse
è meglio non saperlo, mentre cosa vedessero i nazisti nei
loro devianti, e cosa ne facessero, è argomento molto noto e
base dei valori di facciata della cultura occidentale. Per cui
la costituzione e la morale ci ricordano che ogni cittadino
è libero e ha dei diritti, poi però si istituzionalizzano i ruoli
di individui con la facoltà di decidere chi sia sano di mente
e chi no, coloro insomma che si occupano di sanità mentale. Si suppone che costoro abbiano una comprensione
superiore, oggettiva, di ciò che si dice, pensa o fa. Proprio
come i medici cecoslovacchi di cui parlavamo all’inizio
dell’articolo. Ora, potrebbe sembrare esagerato per la morale comune, e certamente lo è per la categoria dei medici
di igiene mentale, accostare costoro ai persecutori religiosi, alla santa inquisizione, al nazismo. Direbbero che è un
delirio, delegittimerebbero la mia libertà di pensiero. Ma
pensate per assurdo, per ipotesi, che sia così. Pensate se
la psichiatria sia un metodo di oppressione con cui una
parte ideologica della società, magari anche una società
segreta, si sbarazza di individui scomodi e li utilizza per
esperimenti finanziati da multinazionali farmaceutiche.
Riuscite a immaginarvi una cosa simile?
Lanza Wolverine
Arrivano le Pattuglie Fantasia
Ripuliamo la città con cabarettismo e giocoleria sempre contestando la psichiatria!!!
A
Torino nasce un nuovo progetto politico situazionista che agisce
nel sociale: PATTUGLIE FANTASIA. Con questo ossimoro, il
neonato movimento vuole goliardicamente prendersi gioco di chi
da sempre agisce contro i più deboli e, al contrario, vuole aiutare questi
ultimi attraverso un’azione diretta sul territorio, che si articola in due forme,
che sono due facce della stessa medaglia. Una è volta alla creazione di
gruppi (o, ironicamente, pattuglie) che svolgono attività utili a chiunque.
Per ora è operativa la squadra PULIZIA, CABARET e GIOCOLERIA, che
si occupa della pulizia delle strade della città di Torino, unica città in cui
le PATTUGLIE FANTASIA sono attive, portando l’allegria con l’arte di
strada. Detto ciò si è esplicitamente parlato dell’altra modalità d’azione
del sopracitato movimento: portare l’arte, in ogni sua forma, in strada.
Qual è la valenza rivoluzionaria di questo progetto? Il connubio, nello
stesso individuo, tra artista di strada e operatore ecologico, che scardina
la concezione borghese e reazionaria di divisione del lavoro. Però c’è
ancora tanto da fare: le nuove ronde goliardiche vogliono organizzare
squadre notturne di aiuto concreto a chi soffre per strada, portando
sia allegria e divertimento, sia un tè caldo e qualche vestito pesante. Per
attuare quest’ultimo piano sono indispensabili militanti per pattugliare
le vie cittadine, ma anche raccoglitori di vestiti, possibilmente, ma non
necessariamente, con una qualsiasi vena artistica. PATTUGLIE FANTASIA
è una comunità funzionante sul principio del dono e del libero scambio di
conoscenza. Per questo motivo la militanza nelle pattuglie è fonte di crescita
continua per gli appartenenti, che sono ancora in numero ristretto, sebbene
in crescita esponenziale. La linea di confine tra militante e simpatizzante non
è ben definita, in quanto, come inizialmente sostenuto, stiamo parlando di
un progetto situazionista. “Programma dell’Internazionale situazionista è il
creare situazioni, definite come momenti di vita concretamente e deliberatamente
costruiti mediante l’organizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un gioco
di eventi. Le situazioni vanno create tramite l’Urbanismo Unitario, un nuovo
di Sandro Gipsy
ambiente spaziale di attività dove l’arte integrale ed una nuova architettura
possano finalmente realizzarsi. I situazionisti si propongono di inventare
giochi di una nuova essenza, ampliando la parte non-mediocre della vita,
diminuendone, per quanto possibile, i momenti nulli” (tratto da Wikipedia).
Le PATTUGLIE FANTASIA si radunano nel fine settimana, generalmente
il sabato pomeriggio, nelle principali piazze del centro di Torino, in
collaborazione con il Mad Pride, per svolgere attività quali la pulizia delle
strade e la distribuzione de LA SVEGLIA, il tutto svolto dando un senso
artistico alla cosa. Punto cardine è l’ANTIPSICHIATRIA MILITANTE,
ovvero la contestazione del sistema psichiatrico, visto come braccio medico
della repressione reazionaria borghese. In quanto movimento situazionista,
possiamo tranquillamente considerare le pattuglie inserite nel movimento
più ampio della contestazione sociale. Essere anticapitalisti significa
rifiutare il concetto stesso di società basata sul profitto e, di conseguenza,
sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Sandro Gipsy parla a titolo personale. Dobbiamo perciò chiarire che il Mad
Pride non può presentarsi come antipsichiatria militante. Noi cerchiamo di
avere un rapporto con le istituzioni, con gli psichiatri; anzi vorremmo avere
degli psichiatri devoti alla causa o quantomeno in sincero e approfondito
dialogo con noi, studiare la psichiatria e capire come funziona. Essere contro la psichiatria a priori sarebbe come essere contro l’uso delle droghe o lo
sciamanesimo, e il Mad Pride non è contrario all’uso delle droghe. Quello
che invece “La Sveglia” non accetterà mai è l’addormentamento. Qualsiasi psicosi che sia veramente perniciosa, in quanto arrivi a togliere all’individuo la capacità di vivere la propria vita, può essere superata da mezzi
non psichiatrici, anzi: può essere superata solo da mezzi non psichiatrici.
Ciononostante, ripeto, il Mad Pride non è antipsichiatrico...
Il Magnifico Direttore
Un uomo dagli occhi rotti
Sull’arte di Cosimo Cavallo
di Luca Atzori
PARTE PRIMA
V
iviamo in un grande ospedale chiamato
occidente, dove ogni percorso conduce
alla moneta. Questa condizione ci porta
a limitare i nostri passi sopra sentieri miseri,
brevi. Pensiamo al nostro pianeta. È vasto, ma
ci muoviamo in massa sopra punti ristretti,
avanti e indietro, tutto per rimanere confinati
entro quel territorio. Tutto perché abbiamo la
fottuta paura di perderci. E abbiamo ragione.
Senza quei sentieri ci perderemmo e nessuno
di noi lo vuole. Ma ci sono sentieri più vasti
da percorrere. Sentieri dei quali non possiamo
essere coscienti, perché se lo fossimo, forse,
qualcuno chiamerebbe i carabinieri. Questo
catalogo non è dedicato solo a un artista, ma
soprattutto a un mistico nostro contemporaneo.
Si chiama Cosimo Cavallo. È nato a Torino
nel 1968 ma ha origini pugliesi, di Taranto.
Capita spesso di incontrarlo per la strada. Lo si
nota per la sua abitudine a gridare nel vuoto,
rivolgendosi a personaggi invisibili. È barbuto,
porta sempre una camicia hawaiana. Ha lo
sguardo profondo. Somiglia a un patriarca
antico-testamentario (così come possiamo
immaginarcelo). Lui si definisce un buddista. Lo
intende in senso antico. Iniziatico. A vent’anni
è stato “salvato dai surrealisti”. Il tutto poi è
sfociato in una tesi presentata all’accademia
delle belle arti sulla concetto di superficie nel
cinema di Fellini. Un innamoramento (senza
cuore) il suo, per la falsità. Quella che è ancora
di proprietà dei sogni.
Cosimo è un pazzo generoso. Recita la sua
parte fino in fondo. Vive la follia come mito,
cercando di afferrare l’arte, il che equivale a
donarla. Perché l’arte in Cosimo non è che un
tessuto sottile, di cui si può avere cognizione
non solo nelle sue opere, che ne sono, anzi,
solo la traccia. Sono le prove di un lavoro che
comprende la sua stessa esistenza. Sono i resti
archeologici che segnalano la sua presenza.
Attimi di attenzione sacrificati al tempo
(che è insieme ieri, oggi e domani). In essi è
percepibile il desiderio estremo di vedere gli
occhi dell’osservatore entrare nella sua stessa
vita. Un desiderio che arriva sino alla creazione
degli occhi di quello stesso osservatore (che non
può esistere). Anche questo art dossier è una
traccia. La testimonianza di chi tenta di afferrare
due lenzuola per stringerle fino a fare un nodo.
La presenza di Cosimo, se accolta con fredda
compassione, dona l’autentica temporalità della
pelle, insostenibile. Dona la realtà del falso, dove
fra le vertigini, si prende coscienza di quanto
l’apertura che da fuori chiamiamo “psicotica” sia
il segno di un continuo plasmarsi della materia
impalpabile. Quella da lavorare attraverso
laboriosi respiri e fede analitica. La sensibilità è
vita; e la vita sa, è vigile, sempre. Cosimo non
accantona. Tiene tutto. È un inconscio vagante.
Odia quella che lui definisce “assenza di fede”
che è lo sguardo disincantato, frettoloso. Odia
l’ignoranza ma non quella del non-sapere,
piuttosto quella del sapere sbagliato. Non vive
l’arte come sport, produzione di oggetti di
chiacchiera, redentrice di silenzi. Quella che
spesso capita di respirare fra le mura delle
Cosimo Cavallo alias Fabio Elettroni
gallerie, nei musei, dentro le aule accademiche.
Il suo progetto non è monetizzabile perché il
suo fine è religioso. Un personaggio al quale
può essere accostato è Pilade. Quello di Pasolini.
Quello a cui le Eumenidi dicevano: “Succederà
anche che le cose più difficili - e così nuove
da essere inconcepibili - non avendo nessun
rapporto con ciò che ormai si sa della vita - ti
verranno in mente di colpo mentre passeggi
o mentre mangi; o ti daranno una gioia così
forte che ti metterai a saltare e a ballare come
un ragazzo. Ma poi bisognerà cercare le origini,
dedurne gli effetti; e allora nuovi giorni di
lavoro grigio, incerto, con le ansie della nausea
e del disprezzo per se stessi... e alla fine sappilo,
nello stesso momento in cui tutto sarà chiaro,
IL TEMPO AVRÀ LAVORATO CONTRO DI
TE. Non ti resterà nessun compenso se non la
coscienza che qualcun altro dovrà ricominciare
tutto di nuovo sulle tue rivelazioni stupende
ma invecchiate”. Prima di trattare la sua arte,
dunque, è necessario raccontare il suo delirio.
Anzi, togliamo la parola delirio. Raccontiamola
come se non esistesse alcuna chiave
interpretativa di tipo psichiatrico. Escludiamo
anche la psicodinamica. Escludiamo qualsiasi
chiave di lettura che possa in qualche modo
essere utile per se stessa.
Cosimo vive per strada in seguito a una
separazione dalla moglie e dalla figlia (causata
da cosa non mi è stato dato saperlo, quindi
non posso osare di dedurlo). Qualcuno
iniziò a interferire con lui tramite una sua
cellula “nervosa”. Gli faceva sentire voci,
le voci di persone che controllavano tutto
quello che faceva. Le voci provengono da
un piano di realtà dentro il quale è possibile
entrare attraversando quel varco aperto dalla
cellula, che è come un software. Oltre il varco
ci sono eventi, forse gli stessi che vediamo
continuamente nel mondo, solo che hanno
un altro significato (pur possedendo la stessa
incoerenza). Gli intercettatori fanno parte della
NATO e della camorra, e in alleanza con gli
alieni minacciano la vita di sua figlia. Lui cerca
forsennatamente di lottare con l’aiuto di Franco
Battiato e Silver (il disegnatore di Lupo Alberto)
che in questa storia però è una donna, si chiama
Elisa Volpe. La missione di Cosimo è quella di
riuscire a ottenere una casa a Chieri dove poter
stare con sua figlia. Solo lì potrà avere pace.
Questo ineffabile pólemos si svolge attraverso
il soffocamento che la NATO e altre forze
operano sulla tradizione e sul mistico, tramite
l’organizzazione di una realtà sociale che toglie
agli animi dei potenziali iniziati un contesto su
cui agire dentro il quale non risultare ridicoli
e insensati. Cosimo però non demorde e lotta
mantenendo integra la sua via. Di certo Cosimo
ha la forte percezione di uno schiavismo a cui
abitualmente ci costringe l’Io. La NATO o la
camorra, gli alieni etc, sono solo una forma di
rappresentazione particolare di quello che è un
fenomeno indiscutibile e più generale, cioè il
Potere. Se diventare il proprio Sé significa essere
costretti ad essere creatori (del tempo e dello
spazio umani) allora è inevitabile prendere
coscienza di quanto normalmente sia il nostro
Io a dare gli ordini e quanto invece il Sé sia
privo di coscienza e di volontà, debole come
un bambino. Il soggiogamento del Sé fa sì che
la creazione si muova secondo finalità altre, che
rispondono a un’etica presunta come civile ma
in realtà arbitraria. Arrivare a quest’esperienza
del Sé, quadridimensionale, conservando però
la struttura tridimensionale che garantisce
l’eticità e la vita civile, comporta per forza una
divisione, una “scissione” schizofrenica. Forse
l’impresa di rendere consapevole il Sé è assurda
in un mondo dove non è possibile iniziazione.
O forse è quella che chiamiamo schizofrenia a
suggerirci la risposta, continuamente.
“La vita ci sfiorò... ma il Re del mondo ci tiene
prigioniero il cuore”.
3
22
Sperimental Gessèt
la rubrica d'arte de “La Sveglia”
Non sai disegnare
lo vai a dire
a qualcun altro
A cura di ANDREA MARCHESE
Credo che questa inflazionatissima affermazione sia davvero più volgare e superficiale di
quanto si pensi abitualmente. Innanzitutto è
un’offesa alla macchina/corpo umano e alle sue
funzioni, inoltre lo è anche nei confronti della
carta e dell’inchiostro, che passano per elementi marginali nel processo creativo. (Si vedano
per carta e inchiostro qualsiasi altro insieme di
oggetti che concorrano alla creazione di un’opera).Dico, ma ...oU! La capacità di una mano
di affrontare una chicane piuttosto che un’altra
sulla superficie disegnata influisce pochissimo
su ciò che conta.Tornando alla questione del
“saper disegnare” vorrei ricordare che spesso
per questo si intende la banale capacità di saper riprodurre nella maniera più esatta possibile dei soggetti... l’uomo/disegnatore, insomma,
viene ridotto ad una fotocopiatrice difettosa,
alla quale si perdonano le imperfezioni di copia con spirito tenero, del tipo “almeno ci è
andato vicino, è pur sempre umano”. È una
cosa, questa, che non mi va giù… perché rappresenta un malcostume che percorre trasversalmente tutti gli ambienti di cui possiamo far
parte in questa società; è una frase che potete
aver sentito dire da chiunque, o che magari tirate fuori voi stessi, quando qualcuno vi chiede di disegnare qualcosa e voi: “No, io non so
disegnare”. Io stesso ogni tanto cado in questa
trappola! Dannato me… comunque! A proposito di me, io dipingo, ho prodotto almeno una
cinquantina di tele, eppure non so rappresentare esattamente le cose che vedo, né le cose che
inizialmente potrei voler rappresentare... ecco
sì, voglio usarmi come esempio per spiegarvi
cosa intendo che sia importante nel disegno.
Ho iniziato a disegnare sulle pagine del mio
diario a scuola, senza aver mai fatto corsi di pittura o simili; cominciavo con delle linee buttate
un po’ a caso sul foglio, poi quelle iniziavano
a sembrarmi degli oggetti e allora mi spostavo
su altre porzioni di spazio, mi accorgevo che
quelle due figure potevano in qualche modo
interagire tra loro, che quella cosa che inizialmente stava per diventare un castello diventava uno scoglio su cui stava seduto un clown,
e ancora, quell’abbozzo di triangolo in basso
a sinistra poteva essere un tendone da circo...
anzi no! Un cono gelato a testa in giù, etc... In-
somma, quell’intreccio di forme iniziava a raccontarmi qualcosa, dei concetti finora inespressi, dei pensieri che mi appartenevano molto di
più rispetto a quel tentativo di riproduzione di
un paesaggio, ad esempio. Mi accorgevo che
c’era un’intensità in questo processo, la cosa
si faceva prima di tutto divertente, poi anche
profonda in un certo qual modo, rivelando
parti della mia indole nel mio affacciarmi al
mondo, un mondo sia esterno che
interno. Il processo si concludeva
con l’interpretazione di quello che
avevo vomitato, anche questo è un
passaggio che trovo molto importante a livello artistico; ciò che io
ufficialmente interpretavo da un
mio disegno essere un pennello,
ad uno spettatore appariva come
un fungo e questo proprio perchè
non c’era dietro alla creazione un
meccanismo rigido di classificazione dei soggetti, perché il disegno non era “esatto”. E poi volete
mettere la soddisfazione dell’essere incompresi? Nel corso della mia
esperienza di scarabocchiatore ad esempio, ed
in seguito di tizio che espone le proprie creazioni, mi sono trovato più volte a dialogare con
Perciò cari miei lettori, vi invito a questo circo di immagini che chiameremo
“Sperimental Gessèt” nel quale pubblicheremo le vostre creazioni. Fatevi avanti senza indugi! Come avrete
capito non e necessario essere considerati dagli altri o da se stessi dei
bravi disegnatori. Potete spedirci materiale cartaceo, digitale, fotografie,
tovaglioli con sopra segnati schemini,
sculture di piccola taglia o una batteria di pentole. Anzi di coperchi.
gli spettatori… ed è proprio il malinteso che
dà adito al voler chiarire, chiedere conferme
rispetto a quello che si è visto. Quando un’opera si vede e si apprezza a pieno, essa diventa
“veramente figa!”. E allora tanto vale cercare
qualcosa di più interessante, e restituire all’arte
e al disegno la sua dimensione più spontanea,
quella che suscita le reazioni più disparate e
più facilmente fraintendibili. Perché uno scavo in se stessi si specchi in un
altro scavo, creando una conca...
Vabbè, ora sto divagando. Tutto
ciò per dire che questo disegnare
“senza saper disegnare” è servito
per darmi una valvola di sfogo
espressiva che mai avrei immaginato e che rappresenta per me un
aspetto fondamentale della mia
esistenza; e non perché dipingere
sia diventato il mio lavoro o mi
dia fama. Disegnare ha aperto
una finestra sulla mia pazzia, sulla mia capacità di esprimere pensieri e stati d’animo disordinati
che non sarei riuscito a comunicare in altro modo, comunicazione rivolta sia
a me che agli altri, a seconda dell’utilizzo che
ne voglio fare.
UNISCI I PUTINI ...e scopri la figura misteriosa
L’Assemblea Permanente dell’Ascolto
Ogni lunedì dalle 15:30 alle 18:00 in Via Luserna di Rorà 8
LUCA ATZORI
L’
Assemblea Permanente dell’Ascolto è una delle attività promosse dal
coordinamento piemontese degli
utenti della salute mentale. Attraverso gli
incontri settimanali, dove ciascuno è libero
di raccontarsi, cerchiamo di tematizzare le
problematiche che di volta in volta vengono
proposte e si sperimentano nuove modalità
di mutuo aiuto. Spesso il “setting” previsto
dai percorsi terapeutici rischia di rendere
l’incontro un momento d’eccezione, distinto dalla quotidianità; ciò porta i gruppi
ad avere più partecipazione ma rischia di
creare dipendenza. Non nego l’utilità del
mutuo-aiuto, ma finché l’utente accede
ai gruppi solo per avere uno spazio in cui
“esprimersi” o “sfogarsi”, questi occuperà
una posizione prevalentemente passiva.
Mi viene da pensare che faccia comodo le
persone si sfoghino. È una concessione che
ci diamo, la quale talvolta porta con sé qualcosa di sottilmente “crudele”. L’ascolto che
propone l’assemblea, invece, mira a un’apertura del confine. È ascolto di sé, distacco
dalla propria soggettività residuale, quindi
riappropriazione delle produttività oppresse, con possibilità di condivisione e relazione finalizzata a operare su uno spazio
percettivo condiviso. Le partecipazioni, in
quanto testimonianze di membri sofferenti
della comunità (ma, come esistono membri
sofferenti della comunità, così sappiamo
esistere parti sofferenti in ogni individuo;
c’è un disadattato in ognuno di noi) possono mettere in evidenza le reali problematiche non solo della salute mentale, ma
quelle dell’intero contesto sociale. Posto
che ciascuno porta il segno vivente di una
collettività, quel che avviene è una riflessione della comunità su se stessa, quindi una
autocoscienza. Il discorso delirante è quindi
valorizzato, in quanto una sua marginalizzazione comporterebbe un ritorno alla parzialità, cioè finalizzato ad un altro contesto;
sarebbe asservito a obiettivi privi di forza
politica; sarebbe un servizio al servizio di
un altro servizio. All’interno dell’assemblea
presentarsi dicendo “sono malato” segna
una soggettività psichiatrica, quindi una realtà che bisogna considerare non dal suo interno ma in relazione con altre soggettività,
cercando una valutazione che ne consenta
un superamento critico. Qualsiasi etichetta
è, in questa prospettiva, un alibi indotto,
generatore di uno smarrimento che avviene all’interno di un percorso molto ristretto.
Ogni parola, all’interno dell’assemblea, appartiene a un discorso delirante, perché l’assemblea È un discorso delirante. Quel che si
indaga, tramite l’ascolto del delirio, scopre
il bisogno, soffocato dalle comuni prassi
di normativizzazione. Anche lo psichiatra
che intende partecipare deve accettare le
proprie parole come deliranti, in quanto
non sono che la testimonianza di un bisogno. L’ascolto, perché possa essere possibile, deve essere rivolto non alla persona ma
alla realtà che sta dietro
i suoi discorsi, quindi la
propria. In una simile
impresa, è fondamentale un approfondimento
culturale, che dia gli
strumenti necessari per
ampliare le possibilità
di azione. Spesso accade che i pazienti ignorino il proprio percorso
di cura, che non sappiano che tipologia di farmaci assumono e che
accettino interventi coattivi, perché subiscono
un restringimento del
campo “visivo”. Quello che ci si auspica
con l’assemblea è di aiutare il cittadino a
rielaborare il disagio e a prendere coscienza della propria esperienza psichiatrica,
con la proposta di soluzioni che fuoriescano dai contesti proposti dalla psichiatria.
IL CONVEGNO SABOTATO
di Beatrice Di Zazzo
Notizia dal Molise: un utente (chiamiamolo Alfio Garau) cerca
di rendersi parte attiva organizzando un convegno sulla salute
mentale con utenti e familiari, ma viene ostacolato. Risultato: il
convegno, che si sarebbe dovuto tenere nel mese di giugno a
Campobasso, è cancellato. Nonostante i volantini già preparati, nonostante i contatti già presi con le altre regioni e la rete del
CNUSM, sembra che questo evento “non s’avesse da fa’”. Dieci
giorni prima della data stabilita per l’avvenimento l’utente in
questione viene convocato presso il suo CSM. Ad aspettarlo c’è
il direttore sanitario del suo dipartimento, la sua psichiatra, un
operatore di una cooperativa da lui mai visto e un altro utente
del suo CSM. Ad Alfio viene chiesto, prima gentilmente, poi
con gentili intimidazioni, di non proseguire nell’organizzazione
e di cancellare l’evento in questione. Motivo: la sua iniziativa “è
sconsiderata”, deve finirla di mettere in cattiva luce i suoi servizi,
smetterla di avere contatti con i suoi amici del Coordinamento;
soprattutto deve lasciare stare quelli del Torino Mad Pride che
gli mettono strane idee in testa (n.d.r. Garau ha parlato al Mad
Pride del convegno solo dopo averlo ideato). Se continuerà nel
suo intento, gli viene fatto capire chiaramente, se disobbedirà
al diktat potrebbe avere vita difficile all’interno del suo servizio.
Traduzione: o decide di stare zitto e fermo o avrà seri problemi,
il che significa primo non poter ottenere la borsa lavoro per la
quale stava aspettando risposta, secondo
sentirsi il loro fiato sul collo, soprattutto
dei suoi genitori, anziani a più riprese
chiamati dal CSM. Allora Alfio Garau
decide di arrendersi, anche perché viene
osteggiato persino da alcuni componenti
del CNUSM. Entra in una fase di malessere connotata da depressione e paranoia:
riesce a trovare un po’ di calma e fiducia
solo parlando con i suoi conoscenti, perché non può parlare liberamente delle
sue frustrazioni con chi, in buona parte,
gliele scatena. Accetta la sconfitta e decide
di fare buon viso a cattivo gioco, perché
“il coltello dalla parte del manico ce l’hanno loro. Io volevo solo rendermi utile e
organizzare una giornata significativa
anche a Campobasso. Ma mi hanno tranciato le gambe. Spero solo prima o poi le cose cambino. Ci proverò fin che posso
ad avviare il cambiamento. Ma se al Nord le cose sono difficili, qui al Centro lo sono ancora di più”. Storie già sentite e già
viste, ma alle quali per fortuna qualcuno non vuole abituarsi.
Quale futuro per il coordinamento?
La settimana della salute mentale apre orizzonti e interrogativi
RIVOLUZIONE CASUALE
Il Coordinamento Nazionale degli Utenti
della Salute Mentale si trova davanti una
serie di problematiche. La partecipazione alla
Settimana della Salute Mentale, tenutasi a
Modena dal 19 al 26 ottobre, ha generato in me
le seguenti considerazioni:
1 - Entrare all’interno dei servizi come utenti
esperti paleserebbe la contraddizione insita
nel legittimare le prassi e il linguaggio della
psichiatria, quindi un lavoro parziale, un
“servizio al servizio di un altro servizio”.
Rimanere confinati all’interno delle mura
sanitarie e professionalizzare una condizione
che corrisponde a un insieme di bisogni,
significa tecnicizzare una situazione che
presenta invece interessanti risorse politiche.
La cittadinanza è il punto dal quale partire e
alla cittadinanza bisogna arrivare.
2 - La normativizzazione dei bisogni genera
nuovo disagio. Il disagio non è che un bisogno
insoddisfatto. Il bisogno, in tal caso, viene
indotto perché possa perpetuarsi lo stesso
circolo psichiatrico; così l’istituzionalizzazione
serve finalità di matrice consumistica. Quel
che il Coordinamento deve proporsi è di
partire dai bisogni per capire come lavorare sul
territorio. Questa inversione può garantire un
eventuale riconsolidamento della sfera sociale,
attualmente carente in ambito sanitario.
3 - C’è stata la presentazione di un caso clinico,
in cui un approfondimento antropologico
sarebbe dovuto servire a colmare le lacune
presenti nel protocollo, e venire così in aiuto
agli psichiatri. Questo tentativo mi sembra
però si sia rivelato fallimentare, perché non
è stata operata una sufficiente decostruzione
dello stesso racconto clinico. La descrizione
presentata degli elementi patologici attinge
da filtri di ricerca incongruenti con gli stessi
paradigmi psichiatrici. Ad esempio si diceva “il
soggetto non accetta la propria malattia” o “non
accetta il lavoro che gli proponiamo” o “non
vuole partecipare alle attività ricreative da noi
suggerite”. Questo, a mio parere, non fa altro
che definire un soggetto psichiatrico attraverso
la patologizzazione di quella sfera ancora non
psichiatrizzata. In tal caso credo che il lavoro
d’equipe fra gli psichiatri e gli antropologi sia
stato inadeguato, in quanto non è possibile
colmare lacune senza operare una vera e
propria decostruzione dell’approccio clinico.
Sono giunto alla conclusione che i convegni, in
quanto offrono la possibilità ai professionisti di
organizzarsi una vetrina, presentano sempre
forti contraddizioni. A tale proposito si sta
organizzando una giornata, prevista per il 2014,
in cui si tenga la prima Assemblea Nazionale
dell’Ascolto, dove gli utenti, i professionisti,
i familiari, gli intellettuali, i cittadini, etc
potranno confrontarsi, trasmettersi esperienze
e dibattere in maniera che si generi uno spazio
di condivisione produttivo; un cantiere, per
ridefinire in primo luogo cos’è “comune” e in
secondo cosa sia il “benessere”.
23
2
Torino Mad Pride anti-psichiatrico?
Un chiarimento di posizione necessario, nel quadro del nostro dialogo con le istituzioni
LORENZO PEYRANI
S
ull’ormai lontano Numero 2 de “La Sveglia”
veniva pubblicato l’articolo sulla tragica vicenda di Silvia Moschini, articolo che avrebbe poi causato una cesura fra il giornale stesso e
il servizio pubblico, l’ASL, perché vi si leggeva
un’accusa di incompetenza loro diretta. In occasione delle riprese del documentario “Matti A
Cottimo - Strategie Di Sopravvivenza”, abbiamo
intervistato la Dott. Vilma Xocco, direttrice del
Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL 1 di Torino, che ha espresso il suo malcontento e la sfiducia nei confronti del giornale e, conseguentemente, del Mad Pride. Vorremmo cogliere l’occasione
per riaprire il dialogo e chiarificare la nostra posizione. Seguono scampoli tratti dalla registrazione,
ai quali vorremmo dare una risposta.
[…] Non posso accettare di mettermi in relazione con delle persone, lavorare insieme e poi
vedere che vengo sputtanata nel loro giornalino.
Tutti sbagliamo, se tu hai da dire una cosa sul
mio servizio, vieni, me la dici e ne parliamo. Ci
confrontiamo. La mia idea non è quella di una
democratizzazione coatta per cui pubblicare indiscriminatamente qualsiasi voce, anche se va a
danneggiare qualcun altro, senza peraltro verificarne la veridicità. Non è che io ti rispetto e tu mi
spari dietro scrivendo nefandezze sui giornali
senza neanche venirmi a chiedere qualcosa. […]
Neanche questa redazione ragiona solo in termini di democratizzazione. Al contrario, esiste una
determinazione a tenere vivo il contraddittorio
che si spinge fino a creare falsi. Sembrerà difficile
da credere, ma la mistificazione che esercitiamo
sui contenuti del giornale in redazione è volta più
spesso a controbilanciare le posizioni di chi spara
a zero sulla psichiatria piuttosto che a calcare la
mano. Questo perché la maggior parte dei lettori
attivi de “La Sveglia”, quelli che ci sottopongono
le loro storie, hanno un’opinione molto negativa
del servizio pubblico. Noi ci applichiamo, a costo
di scrivere articoli sotto pseudonimo, nell’esercizio dell’autocritica e, se non ci siamo ancora spinti
a scrivere vere apologie della psichiatria, quantomeno lanciamo visioni diagonali; questo perché
troppo spesso chi crede di avere un’opinione
opposta alla nostra semplicemente non ci scrive.
In aggiunta, una delle funzioni del Mad Pride è
quella di vigilare sugli abusi e fare da megafono
a chi si rivolge a noi per raccontare la sua storia.
Quindi ci saranno sempre una pagina o due della
Sveglia che daranno fastidio agli addetti ai lavori,
ma credo che questo valga per qualsiasi istituzione nei confronti di un giornale indipendente.
Infine, vorrei dire che l’articolo su Giorgia non era
inteso come critica all’ASL. Si voleva raccontare la
sua storia e far riflettere, come tutte le storie di vite
spezzate fanno riflettere. Non era un dito puntato.
[…] Un’altra cosa con la quale mi trovo in grande disaccordo con voi è questa matrice antipsichiatrica che avverto in alcuni vostri componenti. Non farei la psichiatra. Per me la malattia
mentale è una malattia e cerco di curarla. Uno
quando pensa di essere matto non può andarne
fiero; come per un problema al cuore, preferirebbe che non ci fosse. […]
La Sveglia e il Torino Mad Pride sono frutto di volontà molteplici e in continuo mutamento; ciono-
nostante alcune problematiche sono state sviscerate a lungo e ormai le nostre posizioni si stanno
radicando; così, mi sento di porre un distinguo:
non siamo anti-psichiatrici ma vorremmo una
psichiatria diversa. Non condividiamo le definizioni di malattia mentale, quindi spesso non condividiamo le finalità e le modalità della psichiatria. E questo ci porta al secondo punto, quello su
cui veramente ci troviamo in disaccordo, come
d’altra parte è naturale che sia. Per noi la “malattia
mentale” non è assimilabile a una malattia fisica,
non andrebbe chiamata così. Un problema al cuore è proprio quella che riteniamo una cattiva metafora di “malattia mentale”. I cosiddetti disturbi
della personalità ci appaiono come una cartina
geografica della psiche e della società umane,
piuttosto che mostrare i tratti di una malattia,
estranea come un virus. Rinvio agli altri articoli
del giornale, che, più o meno specificamente, riguardano tutti quest’argomento e spero, anche a
titolo personale, che questa div+ergenza possa essere accettata e dar luogo a un dialogo costruttivo.
Per lasciare un'inserzione gratuita o per rispondere agli annunci, chiama Rosa al 3319394665
Azota L81 - Mi offro per
lezioni di chitarra per principianti. Mi interesserebbe
fare lezioni di filosofia per
matti. Tra l'altro pensavo di
mettere il cercasi offresi in
giro, come locandina pubblicitaria
Veneziano C37 - Cerco
stabilità e offro precarietà
Doccia V011 - Cerco una
persona che sappia aggiustare la macchina per
cucire e offro la mia compagnia x andare a correre.
Cerco anche qualcuno che
mi faccia dei massaggi e la
ceretta. E mi offro per insegnare a fare la cera epilatoria fatta a mano bio.
Ugo Z56 - Cerco gente
che ami l'america latina offro contatti e agganci
Chiara Abbà del TMP a colloquio con Vilma Xocco
Mental Health - Action Plan 2013-2020
Le nuove strategie a livello mondiale e gli interessi che le guidano
GIORGIO SICCARDI*
L’
L'amore e il denaro Il cercatrova dei matti a cottimo
anno scorso la World Health Organization ha presentato il nuovo piano
d’azione mondiale per la salute mentale (Mental Health - Action Plan),
che definisce le linee guida e gli obiettivi da perseguire in questo campo
fino al 2020. Scorrendo il programma, balza alla nostra attenzione l’importanza
data (relativamente al lavoro sul territorio) alle associazioni come la nostra, cioè
quelle associazioni che dovrebbero “combattere lo stigma relativo alla
malattia mentale”. Apparentemente siamo di fronte a buoni propositi,
investimenti nel sociale rarissimi in questi tempi di tagli forsennati.
O forse piuttosto, come spesso accade, dietro questa facciata si nascondono degli interessi economici. Senza entrare nello specifico,
in questo breve articolo proveremo a tracciare alcuni collegamenti,
utili anche per riconsiderare le nostre posizioni come Torino Mad
Pride. Il nostro interrogativo: da dove arrivano i soldi destinati al sociale, e cosa sperano di guadagnarci gli investitori? Abbiamo visto come
la tendenza ad ampliare la definizione di malattia mentale già presente nel
DSM-4 sia stata riconfermata dal DSM-5, che arriva a proporre fenomeni come
stalking, sindrome premestruale e attività sessuale tra adolescenti come appartenenti al mondo dei disturbi mentali. Perché arrivare a tanto? È chiaro: perché
da ogni diagnosi discende una terapia, con conseguente somministrazione di
farmaci. Non potrebbe essere che tra i membri della World Health Organization ci sia chi subisce le pressioni delle case farmaceutiche? Che la FDA (Food
And Drug Administration) abbia interesse non solo a salvaguardare i cittadini
ma anche a rimpinguare i conti in banca di alcuni privati? Ecco svelato l’arcano,
ecco che la situazione si chiarifica: vogliono abbattere lo stigma così che nessuno abbia più paura di assumere psicofarmaci, che l’uomo comune non si vergogni a prenderli. “Ridiamo dignità ai matti per ridare dignità ai farmaci!”: un bel
salto evolutivo rispetto ai tempi, ancora fortemente ideologici, della battaglia
per i diritti. Oggi gli organi di controllo possono farsi belli degli stessi slogan
usati nel sociale; non è un caso se la lotta sembra aver perso terreno negli
ultimi trent’anni: è proprio così, il controllo oggi è molto più forte e la
situazione non fa che peggiorare: destra e sinistra, multinazionali e
volontari, collaborano alla distopia. E si capisce anche perché un’iniziativa come il Mad Pride risulti tanto controcorrente e scomoda:
Mad Pride non significa annullare le differenze tra sani e matti,
quanto piuttosto valorizzarle. Noi diciamo: i matti sono diversi dai
normali, e ne dovrebbero andare fieri. Non annullare lo stigma quindi, ma trasformarlo in carisma. Non ampliare il DSM fino a includere
chiunque, al contrario distinguere con precisione psicotici e nevrotici, tanto per
incominciare. Una visione talmente lontana da quelle prese in considerazione
nel “Mental Health - Action Plan” da risultare forse imprevista. E un’alternativa imprevista potrà sempre rivelarsi pericolosa per i “piani mondiali a medio
termine”, sul lungo termine…
*Giorgio Siccardi è sindacalista e ricercatore di Diritto Internazionale
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privata astenersi perditempo.
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Vulcano M77 - Cerco di
mantenere il mio lavoro,
ma anche di cambiarlo se
possibile in meglio. Cerco
qualcuno, e offro i miei talenti artistici.
Tulino R81 - Cerco silenzio in cambio di poetame.
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piena di avventure dove
ogni giorno metto a repentaglio la mia vita. Riguardo
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L'estate sta finendo e un anno se ne va, sto diventando grande lo sai che non mi va
I sette nani giocano a baseball
Polifonia cartacea in tre movimenti: moderato con brio; largo; ancora più largo
EDITORIALE
take 7
LORENZO PEYRANI
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TORINO
8
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SABATO 14 GIUGNO 2014
PIAZZA CARLO FELICE ORE 14:00
La passeggiata dello schizofrenico:
un modello migliore
di quella del nevrotico sul divano
V
icini. In questo tempo che non è
un viaggio. Che non è una stanza. Stringete la mano: stringerete
il tempo. Tenete in mano la nostra sesta
uscita, il “Numero Sette”. Niente di straordinario: cosa c’è di meglio del giornale
di oggi se non quello di domani? Perciò,
un numero incentrato più che mai sull’informazione, quella del futuro prossimo.
Per realizzare un prodigio siffatto non c'è
che da "immaginare correttamente", ovvero divinare: tenendo a mente che, come
l'acqua scorre a valle ogni cosa tende al
peggio, non è difficile seguire gli sviluppi
futuri di tante faccende. Anche i classici
sapevano che il dono di profezia si ottiene
elettrificando l'umor nero della melanconia con l'ambra dell'immaginazione. Ecco
il nostro futuro, quindi: il Torino Mad
Pride, il movimento per l'orgoglio dei deficienti mentali, è stato finanziato dall'Unione Europea, e ad oggi sta venendo realizzato un documentario sui fatti che ci
hanno portati qui. La Sveglia diventerà un
grande portale web , che formerà anche la
piattaforma per la Cooperativa Sociale di
inserimento lavorativo "Matti a Cottimo".
Intanto però i potenti, quegli stessi che ci
hanno finanziato, mirano a un mondo in
antitesi con i nostri ideali. Il Mental Health
Action Plan 2013-2020 è un piano mondiale di gestione della salute pubblica e
di commercializzazione dei farmaci che
punta a eliminare lo stigma nei confronti
delle malattie mentali per vendere di più.
Forse che, attraverso le sofferenze della follia, il nostro corpo sarà redento?
Sarebbe la speranza di tanti borghesi,
che da dietro un vetro filosofeggiano:
“la Madonna stringe il corpo del matto
sacrificato, a comporre una Pietà vagamente blasfema”, inconsapevoli di stare
facendo solo il gioco dei loro secondini.
“Combattere lo stigma e vendere più
medicine” sono le parole d’ordine di
questi ultimi. Capita così che anche associazioni innocenti e volenterose come
la nostra servano ai piovroni del male,
schiave degli schiavi degli schiavi, come
tutti. E invece no. Noi no, non siamo
capri espiatori. Mad Pride: riprendiamoci lo stigma, che il Matto abbia il suo
Crisma. Temiateci, perché siamo l’altro:
quello che era venuto a portare la spada.
PSICHIATRIA
E INTERNAMENTO
Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari sono fuorilegge ma continuano ad
e s i s t e r e . A b b i a m o p a rlato a una persona che
ci ha passato dieci anni.
CAVALLI A PAG. 5
TORINO MAD PRIDE
IN EUROPA
Abbiamo vinto un bando del fondo comunale
europeo e portato a casa
migliaia di euro. Come?
SANDRETTI A PAG. 18
APPROFONDIMENTI
Food and Drug Administration
Come cambierà il mondo della
salute mentale nei prossimi otto
anni, e perché? Quali interessi si
nascondono dietro la famigera-
ta FDA? Quali le collusioni con
la World Health Organization?
A PAG.2
Wilhelm Reich PAG. 15
Magia PAG. 8
Viaggi nel tempo PAG. 16
Arte PAGG. 21-22
Buonanotte
SIMONE SANDRETTI
Esistono: l'ordine e la disciplina, l'arrendersi al caos, l'ordine di arrendersi, la disciplina del caso. Parlerò qui della
quarta tra queste opzioni, che in quanto pari sono un insieme di scelte possibili che si equivalgono in valore ma
differiscono nei risultati. Ordine e disciplina generano
consolidamento piramidale e talvolta degenerano nella
Guerra. Arrendersi al Caos genera distruzione sferoidale
e talvolta fiorisce nell'Arte. Arrendersi all'Ordine genera
attraversamento spiraliforme e talvolta si ricongiunge
nell'Essere. La Disciplina del Caos genera gravitazione
elicoidale e talvolta si trasforma nell'Infinito. La disciplina del caos mi ha sedotto sin dall'inizio perché io, in
quanto ipocrita e conformista dell'anticonformismo,
amo ciò che viene praticato da pochi e aborro l'abitudine.
Ma una pratica di vita in cui basterebbe lasciarsi andare
ai propri desideri in maniera disciplinata, lo stereotipo
del dandismo, presto si infrange di fronte allo speccchio
che ci ritrae. Nessun maestro è stato ancora in grado di
insegnarci la disciplina del caos, essa pertanto ci appare come un baratro in cui tuffarsi o come un vortice da
NUMERO SETTE
cui lasciarsi trascinare via. Invece il Caos, estremamente
femminile, si appropria della mascolinità dell'ordine attraverso la sua resa, il suo darsi all'essere. Lasciandosi sedurre dall'ordine, si ingravida e nutre l'infinito con il suo
sangue. Credo che valga la pena di proporre a noi utenti
psichiatrici, e in generale a chi lo vuole, un'alternativa
alla cura del male. La disciplina del caos non è una terapia basata sulla riduzione o sulla capacità di gestione dei
propri sintomi. La disciplina del caos è solamente l'arte
di guardare allo specchio la propria maschera con il dovuto distacco. Il distacco genera distanza, e la disciplina
è in grado di determinare la giusta distanza. Respiro, o
meglio, sono respirato; cado, ma all'infinito. Occorre che
Alice attraversi lo specchio, occorre che lei cada nel buco.
Chi ci propone di scegliere tra le due opzioni spesso non
si rende conto che tra di esse c'è solo il nulla, che soffia
sottile da sempre e per sempre. Ora voglio cospargermi
d'olio e condirmi con l'acido della sua fica. L'essere respira dall'infinito all'infinito, la guerra genera i mondi, la
forma dell'arte è la vita. Buonanotte.
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