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I sette nani giocano a baseball
1 Hai avuto problemi psichiatrici? Hai 50 anni e sei mantenuto dai tuoi? Sei un semplice disadattato? Non sai più dove sbattere la testa? LAVORA con MATTI A COTTIMO ( [email protected] Matti a Cottimo è una rete di inserimento lavorativo che mette in connessione l'offerta di competenze professionali dei matti con la domanda del mercato. Chi sono i Matti di Matti a Cottimo? Siamo noi, persone sensibili che hanno attraversato crisi personali profonde e hanno difficoltà a reinserirsi nel mondo del lavoro. Noi siamo portatori di capacità lavorative che faticano ad incontrare la domanda del mercato, pur possedendo competenze in molti campi. Per questo Matti a Cottimo si struttura in gruppi di lavoro composti da persone con simili competenze, che possono far fronte a moltissime richieste lavorative condividendo tempi e responsabilità, al fine di portare a termine le commesse nel rispetto della qualità del lavoro, della competitività dei prezzi e della sostenibilità e tutela per le persone che lo svolgono. Se hai già avuto una qualsivoglia esperienza nel mondo del lavoro e hai bisogno di guadagnarti la pagnotta manda una mail con il tuo curriculm nella casella di posta elettronica: [email protected]. Se hai bisogno di: Manutenzione Elettrica e Idraulica a Domicilio, Traslochi, Promozione e Merchandising, Volantinaggio, Decorazione e Restauro Ligneo, Terapie Olistiche Personalizzate, Illustrazione e Grafica Web, Agricoltura e Conservazione Cibi, Riprese e Montaggio Video, Sartoria e Riparazioni, Allestimento Vetrine e Scenografia.... Chiama il 331 9394665. MAD PRIDE 7 6 5 APERIODICO FONDATO IL 13 GENNAIO 2012 DIRETTORE: LORENZO PEYRANI L'estate sta finendo e un anno se ne va, sto diventando grande lo sai che non mi va I sette nani giocano a baseball Polifonia cartacea in tre movimenti: moderato con brio; largo; ancora più largo EDITORIALE take 7 LORENZO PEYRANI 3319394665 TORINO 8 2 3 4 SABATO 14 GIUGNO 2014 PIAZZA CARLO FELICE ORE 14:00 La passeggiata dello schizofrenico: un modello migliore di quella del nevrotico sul divano V icini. In questo tempo che non è un viaggio. Che non è una stanza. Stringete la mano: stringerete il tempo. Tenete in mano la nostra sesta uscita, il “Numero Sette”. Niente di straordinario: cosa c’è di meglio del giornale di oggi se non quello di domani? Perciò, un numero incentrato più che mai sull’informazione, quella del futuro prossimo. Per realizzare un prodigio siffatto non c'è che da "immaginare correttamente", ovvero divinare: tenendo a mente che, come l'acqua scorre a valle ogni cosa tende al peggio, non è difficile seguire gli sviluppi futuri di tante faccende. Anche i classici sapevano che il dono di profezia si ottiene elettrificando l'umor nero della melanconia con l'ambra dell'immaginazione. Ecco il nostro futuro, quindi: il Torino Mad Pride, il movimento per l'orgoglio dei deficienti mentali, è stato finanziato dall'Unione Europea, e ad oggi sta venendo realizzato un documentario sui fatti che ci hanno portati qui. La Sveglia diventerà un grande portale web , che formerà anche la piattaforma per la Cooperativa Sociale di inserimento lavorativo "Matti a Cottimo". Intanto però i potenti, quegli stessi che ci hanno finanziato, mirano a un mondo in antitesi con i nostri ideali. Il Mental Health Action Plan 2013-2020 è un piano mondiale di gestione della salute pubblica e di commercializzazione dei farmaci che punta a eliminare lo stigma nei confronti delle malattie mentali per vendere di più. Forse che, attraverso le sofferenze della follia, il nostro corpo sarà redento? Sarebbe la speranza di tanti borghesi, che da dietro un vetro filosofeggiano: “la Madonna stringe il corpo del matto sacrificato, a comporre una Pietà vagamente blasfema”, inconsapevoli di stare facendo solo il gioco dei loro secondini. “Combattere lo stigma e vendere più medicine” sono le parole d’ordine di questi ultimi. Capita così che anche associazioni innocenti e volenterose come la nostra servano ai piovroni del male, schiave degli schiavi degli schiavi, come tutti. E invece no. Noi no, non siamo capri espiatori. Mad Pride: riprendiamoci lo stigma, che il Matto abbia il suo Crisma. Temiateci, perché siamo l’altro: quello che era venuto a portare la spada. PSICHIATRIA E INTERNAMENTO Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari sono fuorilegge ma continuano ad e s i s t e r e . A b b i a m o p a rlato a una persona che ci ha passato dieci anni. CAVALLI A PAG. 5 TORINO MAD PRIDE IN EUROPA Abbiamo vinto un bando del fondo comunale europeo e portato a casa migliaia di euro. Come? SANDRETTI A PAG. 18 APPROFONDIMENTI Food and Drug Administration Come cambierà il mondo della salute mentale nei prossimi otto anni, e perché? Quali interessi si nascondono dietro la famigera- ta FDA? Quali le collusioni con la World Health Organization? A PAG.2 Wilhelm Reich PAG. 15 Magia PAG. 8 Viaggi nel tempo PAG. 16 Arte PAGG. 21-22 Buonanotte SIMONE SANDRETTI Esistono: l'ordine e la disciplina, l'arrendersi al caos, l'ordine di arrendersi, la disciplina del caso. Parlerò qui della quarta tra queste opzioni, che in quanto pari sono un insieme di scelte possibili che si equivalgono in valore ma differiscono nei risultati. Ordine e disciplina generano consolidamento piramidale e talvolta degenerano nella Guerra. Arrendersi al Caos genera distruzione sferoidale e talvolta fiorisce nell'Arte. Arrendersi all'Ordine genera attraversamento spiraliforme e talvolta si ricongiunge nell'Essere. La Disciplina del Caos genera gravitazione elicoidale e talvolta si trasforma nell'Infinito. La disciplina del caos mi ha sedotto sin dall'inizio perché io, in quanto ipocrita e conformista dell'anticonformismo, amo ciò che viene praticato da pochi e aborro l'abitudine. Ma una pratica di vita in cui basterebbe lasciarsi andare ai propri desideri in maniera disciplinata, lo stereotipo del dandismo, presto si infrange di fronte allo speccchio che ci ritrae. Nessun maestro è stato ancora in grado di insegnarci la disciplina del caos, essa pertanto ci appare come un baratro in cui tuffarsi o come un vortice da NUMERO SETTE cui lasciarsi trascinare via. Invece il Caos, estremamente femminile, si appropria della mascolinità dell'ordine attraverso la sua resa, il suo darsi all'essere. Lasciandosi sedurre dall'ordine, si ingravida e nutre l'infinito con il suo sangue. Credo che valga la pena di proporre a noi utenti psichiatrici, e in generale a chi lo vuole, un'alternativa alla cura del male. La disciplina del caos non è una terapia basata sulla riduzione o sulla capacità di gestione dei propri sintomi. La disciplina del caos è solamente l'arte di guardare allo specchio la propria maschera con il dovuto distacco. Il distacco genera distanza, e la disciplina è in grado di determinare la giusta distanza. Respiro, o meglio, sono respirato; cado, ma all'infinito. Occorre che Alice attraversi lo specchio, occorre che lei cada nel buco. Chi ci propone di scegliere tra le due opzioni spesso non si rende conto che tra di esse c'è solo il nulla, che soffia sottile da sempre e per sempre. Ora voglio cospargermi d'olio e condirmi con l'acido della sua fica. L'essere respira dall'infinito all'infinito, la guerra genera i mondi, la forma dell'arte è la vita. Buonanotte. 23 2 Torino Mad Pride anti-psichiatrico? Un chiarimento di posizione necessario, nel quadro del nostro dialogo con le istituzioni LORENZO PEYRANI S ull’ormai lontano Numero 2 de “La Sveglia” veniva pubblicato l’articolo sulla tragica vicenda di Silvia Moschini, articolo che avrebbe poi causato una cesura fra il giornale stesso e il servizio pubblico, l’ASL, perché vi si leggeva un’accusa di incompetenza loro diretta. In occasione delle riprese del documentario “Matti A Cottimo - Strategie Di Sopravvivenza”, abbiamo intervistato la Dott. Vilma Xocco, direttrice del Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL 1 di Torino, che ha espresso il suo malcontento e la sfiducia nei confronti del giornale e, conseguentemente, del Mad Pride. Vorremmo cogliere l’occasione per riaprire il dialogo e chiarificare la nostra posizione. Seguono scampoli tratti dalla registrazione, ai quali vorremmo dare una risposta. […] Non posso accettare di mettermi in relazione con delle persone, lavorare insieme e poi vedere che vengo sputtanata nel loro giornalino. Tutti sbagliamo, se tu hai da dire una cosa sul mio servizio, vieni, me la dici e ne parliamo. Ci confrontiamo. La mia idea non è quella di una democratizzazione coatta per cui pubblicare indiscriminatamente qualsiasi voce, anche se va a danneggiare qualcun altro, senza peraltro verificarne la veridicità. Non è che io ti rispetto e tu mi spari dietro scrivendo nefandezze sui giornali senza neanche venirmi a chiedere qualcosa. […] Neanche questa redazione ragiona solo in termini di democratizzazione. Al contrario, esiste una determinazione a tenere vivo il contraddittorio che si spinge fino a creare falsi. Sembrerà difficile da credere, ma la mistificazione che esercitiamo sui contenuti del giornale in redazione è volta più spesso a controbilanciare le posizioni di chi spara a zero sulla psichiatria piuttosto che a calcare la mano. Questo perché la maggior parte dei lettori attivi de “La Sveglia”, quelli che ci sottopongono le loro storie, hanno un’opinione molto negativa del servizio pubblico. Noi ci applichiamo, a costo di scrivere articoli sotto pseudonimo, nell’esercizio dell’autocritica e, se non ci siamo ancora spinti a scrivere vere apologie della psichiatria, quantomeno lanciamo visioni diagonali; questo perché troppo spesso chi crede di avere un’opinione opposta alla nostra semplicemente non ci scrive. In aggiunta, una delle funzioni del Mad Pride è quella di vigilare sugli abusi e fare da megafono a chi si rivolge a noi per raccontare la sua storia. Quindi ci saranno sempre una pagina o due della Sveglia che daranno fastidio agli addetti ai lavori, ma credo che questo valga per qualsiasi istituzione nei confronti di un giornale indipendente. Infine, vorrei dire che l’articolo su Giorgia non era inteso come critica all’ASL. Si voleva raccontare la sua storia e far riflettere, come tutte le storie di vite spezzate fanno riflettere. Non era un dito puntato. […] Un’altra cosa con la quale mi trovo in grande disaccordo con voi è questa matrice antipsichiatrica che avverto in alcuni vostri componenti. Non farei la psichiatra. Per me la malattia mentale è una malattia e cerco di curarla. Uno quando pensa di essere matto non può andarne fiero; come per un problema al cuore, preferirebbe che non ci fosse. […] La Sveglia e il Torino Mad Pride sono frutto di volontà molteplici e in continuo mutamento; ciono- nostante alcune problematiche sono state sviscerate a lungo e ormai le nostre posizioni si stanno radicando; così, mi sento di porre un distinguo: non siamo anti-psichiatrici ma vorremmo una psichiatria diversa. Non condividiamo le definizioni di malattia mentale, quindi spesso non condividiamo le finalità e le modalità della psichiatria. E questo ci porta al secondo punto, quello su cui veramente ci troviamo in disaccordo, come d’altra parte è naturale che sia. Per noi la “malattia mentale” non è assimilabile a una malattia fisica, non andrebbe chiamata così. Un problema al cuore è proprio quella che riteniamo una cattiva metafora di “malattia mentale”. I cosiddetti disturbi della personalità ci appaiono come una cartina geografica della psiche e della società umane, piuttosto che mostrare i tratti di una malattia, estranea come un virus. Rinvio agli altri articoli del giornale, che, più o meno specificamente, riguardano tutti quest’argomento e spero, anche a titolo personale, che questa div+ergenza possa essere accettata e dar luogo a un dialogo costruttivo. Per lasciare un'inserzione gratuita o per rispondere agli annunci, chiama Rosa al 3319394665 Azota L81 - Mi offro per lezioni di chitarra per principianti. Mi interesserebbe fare lezioni di filosofia per matti. Tra l'altro pensavo di mettere il cercasi offresi in giro, come locandina pubblicitaria Veneziano C37 - Cerco stabilità e offro precarietà Doccia V011 - Cerco una persona che sappia aggiustare la macchina per cucire e offro la mia compagnia x andare a correre. Cerco anche qualcuno che mi faccia dei massaggi e la ceretta. E mi offro per insegnare a fare la cera epilatoria fatta a mano bio. Ugo Z56 - Cerco gente che ami l'america latina offro contatti e agganci Chiara Abbà del TMP a colloquio con Vilma Xocco Mental Health - Action Plan 2013-2020 Le nuove strategie a livello mondiale e gli interessi che le guidano GIORGIO SICCARDI* L’ L'amore e il denaro Il cercatrova dei matti a cottimo anno scorso la World Health Organization ha presentato il nuovo piano d’azione mondiale per la salute mentale (Mental Health - Action Plan), che definisce le linee guida e gli obiettivi da perseguire in questo campo fino al 2020. Scorrendo il programma, balza alla nostra attenzione l’importanza data (relativamente al lavoro sul territorio) alle associazioni come la nostra, cioè quelle associazioni che dovrebbero “combattere lo stigma relativo alla malattia mentale”. Apparentemente siamo di fronte a buoni propositi, investimenti nel sociale rarissimi in questi tempi di tagli forsennati. O forse piuttosto, come spesso accade, dietro questa facciata si nascondono degli interessi economici. Senza entrare nello specifico, in questo breve articolo proveremo a tracciare alcuni collegamenti, utili anche per riconsiderare le nostre posizioni come Torino Mad Pride. Il nostro interrogativo: da dove arrivano i soldi destinati al sociale, e cosa sperano di guadagnarci gli investitori? Abbiamo visto come la tendenza ad ampliare la definizione di malattia mentale già presente nel DSM-4 sia stata riconfermata dal DSM-5, che arriva a proporre fenomeni come stalking, sindrome premestruale e attività sessuale tra adolescenti come appartenenti al mondo dei disturbi mentali. Perché arrivare a tanto? È chiaro: perché da ogni diagnosi discende una terapia, con conseguente somministrazione di farmaci. Non potrebbe essere che tra i membri della World Health Organization ci sia chi subisce le pressioni delle case farmaceutiche? Che la FDA (Food And Drug Administration) abbia interesse non solo a salvaguardare i cittadini ma anche a rimpinguare i conti in banca di alcuni privati? Ecco svelato l’arcano, ecco che la situazione si chiarifica: vogliono abbattere lo stigma così che nessuno abbia più paura di assumere psicofarmaci, che l’uomo comune non si vergogni a prenderli. “Ridiamo dignità ai matti per ridare dignità ai farmaci!”: un bel salto evolutivo rispetto ai tempi, ancora fortemente ideologici, della battaglia per i diritti. Oggi gli organi di controllo possono farsi belli degli stessi slogan usati nel sociale; non è un caso se la lotta sembra aver perso terreno negli ultimi trent’anni: è proprio così, il controllo oggi è molto più forte e la situazione non fa che peggiorare: destra e sinistra, multinazionali e volontari, collaborano alla distopia. E si capisce anche perché un’iniziativa come il Mad Pride risulti tanto controcorrente e scomoda: Mad Pride non significa annullare le differenze tra sani e matti, quanto piuttosto valorizzarle. Noi diciamo: i matti sono diversi dai normali, e ne dovrebbero andare fieri. Non annullare lo stigma quindi, ma trasformarlo in carisma. Non ampliare il DSM fino a includere chiunque, al contrario distinguere con precisione psicotici e nevrotici, tanto per incominciare. Una visione talmente lontana da quelle prese in considerazione nel “Mental Health - Action Plan” da risultare forse imprevista. E un’alternativa imprevista potrà sempre rivelarsi pericolosa per i “piani mondiali a medio termine”, sul lungo termine… *Giorgio Siccardi è sindacalista e ricercatore di Diritto Internazionale P. S84 - Cerco complice di viaggio per mete esotiche da definire, partenza immediata, ritorno possibile ma non necessario. Cerco armadio, larghezza max 0.90m, altezza 1,90m. Possibilmente accompagnato da traslocatore nerboruto nigeriano. Offro hamburger e patatine in cambio di un valido motivo per diventare vegetariani. Offro competenze artistiche in cambio di denaro sporco. Paola M09 - Sono Sempre alla ricerca di nuove amicizie, nuove conoscenze, di nuove realtà, per avere sempre delle opportunità, per conoscere altre persone. Per essere sicura di non essere dimenticata. Non so se ti può essere utile. Valentina P55 - Io vorrei un soppalco. Cercasi struttura per soppalco a 1 piazza e 1/2 oppure matrimoniale! Enrico MP3 - Offro circostanze in affitto per clown tristi Cirri M10 - Cerco energie e voglie, perché a volte ne ho meno di quelle che vorrei. Offro tolleranza. Sono uno che lascia in pace. Gabriella T49 - Cerco tanti luoghi dove esprimere attraverso la recitazione l'espressione corporale nella musica parole e concetti momenti di vita sensazioni e sogni Fabio BK2 - Cerco lezioni di surf e/o super quiete & chillout, offro consulenze di comunicazione digitale Simona A03 - Cerco soggetti umani da fotografare, di preferenza donne. Mi offro come aiuto per gestire animali, anche umani. Intrattengo bambini, felicemente diseducandoci a vicenda. Mi offro per leggere ad alta voce alcuni libri, di mia scelta, in privato. Imparo poesie a memoria. Parlo bene inglese e francese. Matteo C45 - Cerco dieci centimetri di profondità elastica offro diciotto di lunghezza granitica spessori da definire trattativa privata astenersi perditempo. Castellano M47 - Offro lezione di chitarra qualsiasi livello in cambio di tappeto pulito e un po' spesso, o da cambiare con lezioni di batteria Alfredo G44 - Non lasciatemi solo Vulcano M77 - Cerco di mantenere il mio lavoro, ma anche di cambiarlo se possibile in meglio. Cerco qualcuno, e offro i miei talenti artistici. Tulino R81 - Cerco silenzio in cambio di poetame. Maria P79 - Cerco amore in cambio di cinismo e rancore. Tibaldi D06 - Offro: storie di "guarigione" e consigli su come sospendere bene singoli farmaci. Cerco: un elenco aggiornato di video (anche sul web) e di film con testimonianze di chi ha sospeso i farmaci e/o ha chiuso la propria parentesi psi. Grazie Giovanni R41 - Bisogno: psicoterapia mutua e reciproca tra pari. Offerta: consulenza su filosofie di vita basate su letture e scritture lunatiche Stephania G43 - Cerco fotografo/a che collabori gratis a un'inchiesta di strada, in cambio offro l'idea progettuale e la redazione dei testi Noemi Z60 - Offresi piante di fico di 1-2 anni in pane di terra ad offerta libera. Giorio M14 - Mi piace occuparmi di acconciature e scrivere poesie Tasso P38 - Cerco libertà e offro onestà. Lallu K17 - Cerco una vita piena di avventure dove ogni giorno metto a repentaglio la mia vita. Riguardo a qualcuno, cerco un/a migliore amico/a che mi segua ovunque. I miei talenti lavorativi sono racchiusi nella filosofia del bushido... Matteo C07 - Mozzo offresi per ammutinamento, viva la libertà. Emanuele C69 - Cerco lavoro in un azienda agricola, offro lavoro per aziende agricole possibilmente biologiche e vicine a Torino Barolo C37 - Ciao, io oltre a voler offrire tutto il mio amore a un bella infermierina che mi voglia bene, offro corsi di PC, trattamento antivirus e formattonne a prezzi competititivi e calmierati. Se l'infermiera fa le endovenose è meglio Maria K09 - Offro la guerra cerco la pace Simone S33 - Cerco angeli e demoni. La rivelazione è vicina. Offro un corpo in grado di sopportare la fatica e il dolore ed una mente altamente manipolatrice. 3 22 Sperimental Gessèt la rubrica d'arte de “La Sveglia” Non sai disegnare lo vai a dire a qualcun altro A cura di ANDREA MARCHESE Credo che questa inflazionatissima affermazione sia davvero più volgare e superficiale di quanto si pensi abitualmente. Innanzitutto è un’offesa alla macchina/corpo umano e alle sue funzioni, inoltre lo è anche nei confronti della carta e dell’inchiostro, che passano per elementi marginali nel processo creativo. (Si vedano per carta e inchiostro qualsiasi altro insieme di oggetti che concorrano alla creazione di un’opera).Dico, ma ...oU! La capacità di una mano di affrontare una chicane piuttosto che un’altra sulla superficie disegnata influisce pochissimo su ciò che conta.Tornando alla questione del “saper disegnare” vorrei ricordare che spesso per questo si intende la banale capacità di saper riprodurre nella maniera più esatta possibile dei soggetti... l’uomo/disegnatore, insomma, viene ridotto ad una fotocopiatrice difettosa, alla quale si perdonano le imperfezioni di copia con spirito tenero, del tipo “almeno ci è andato vicino, è pur sempre umano”. È una cosa, questa, che non mi va giù… perché rappresenta un malcostume che percorre trasversalmente tutti gli ambienti di cui possiamo far parte in questa società; è una frase che potete aver sentito dire da chiunque, o che magari tirate fuori voi stessi, quando qualcuno vi chiede di disegnare qualcosa e voi: “No, io non so disegnare”. Io stesso ogni tanto cado in questa trappola! Dannato me… comunque! A proposito di me, io dipingo, ho prodotto almeno una cinquantina di tele, eppure non so rappresentare esattamente le cose che vedo, né le cose che inizialmente potrei voler rappresentare... ecco sì, voglio usarmi come esempio per spiegarvi cosa intendo che sia importante nel disegno. Ho iniziato a disegnare sulle pagine del mio diario a scuola, senza aver mai fatto corsi di pittura o simili; cominciavo con delle linee buttate un po’ a caso sul foglio, poi quelle iniziavano a sembrarmi degli oggetti e allora mi spostavo su altre porzioni di spazio, mi accorgevo che quelle due figure potevano in qualche modo interagire tra loro, che quella cosa che inizialmente stava per diventare un castello diventava uno scoglio su cui stava seduto un clown, e ancora, quell’abbozzo di triangolo in basso a sinistra poteva essere un tendone da circo... anzi no! Un cono gelato a testa in giù, etc... In- somma, quell’intreccio di forme iniziava a raccontarmi qualcosa, dei concetti finora inespressi, dei pensieri che mi appartenevano molto di più rispetto a quel tentativo di riproduzione di un paesaggio, ad esempio. Mi accorgevo che c’era un’intensità in questo processo, la cosa si faceva prima di tutto divertente, poi anche profonda in un certo qual modo, rivelando parti della mia indole nel mio affacciarmi al mondo, un mondo sia esterno che interno. Il processo si concludeva con l’interpretazione di quello che avevo vomitato, anche questo è un passaggio che trovo molto importante a livello artistico; ciò che io ufficialmente interpretavo da un mio disegno essere un pennello, ad uno spettatore appariva come un fungo e questo proprio perchè non c’era dietro alla creazione un meccanismo rigido di classificazione dei soggetti, perché il disegno non era “esatto”. E poi volete mettere la soddisfazione dell’essere incompresi? Nel corso della mia esperienza di scarabocchiatore ad esempio, ed in seguito di tizio che espone le proprie creazioni, mi sono trovato più volte a dialogare con Perciò cari miei lettori, vi invito a questo circo di immagini che chiameremo “Sperimental Gessèt” nel quale pubblicheremo le vostre creazioni. Fatevi avanti senza indugi! Come avrete capito non e necessario essere considerati dagli altri o da se stessi dei bravi disegnatori. Potete spedirci materiale cartaceo, digitale, fotografie, tovaglioli con sopra segnati schemini, sculture di piccola taglia o una batteria di pentole. Anzi di coperchi. gli spettatori… ed è proprio il malinteso che dà adito al voler chiarire, chiedere conferme rispetto a quello che si è visto. Quando un’opera si vede e si apprezza a pieno, essa diventa “veramente figa!”. E allora tanto vale cercare qualcosa di più interessante, e restituire all’arte e al disegno la sua dimensione più spontanea, quella che suscita le reazioni più disparate e più facilmente fraintendibili. Perché uno scavo in se stessi si specchi in un altro scavo, creando una conca... Vabbè, ora sto divagando. Tutto ciò per dire che questo disegnare “senza saper disegnare” è servito per darmi una valvola di sfogo espressiva che mai avrei immaginato e che rappresenta per me un aspetto fondamentale della mia esistenza; e non perché dipingere sia diventato il mio lavoro o mi dia fama. Disegnare ha aperto una finestra sulla mia pazzia, sulla mia capacità di esprimere pensieri e stati d’animo disordinati che non sarei riuscito a comunicare in altro modo, comunicazione rivolta sia a me che agli altri, a seconda dell’utilizzo che ne voglio fare. UNISCI I PUTINI ...e scopri la figura misteriosa L’Assemblea Permanente dell’Ascolto Ogni lunedì dalle 15:30 alle 18:00 in Via Luserna di Rorà 8 LUCA ATZORI L’ Assemblea Permanente dell’Ascolto è una delle attività promosse dal coordinamento piemontese degli utenti della salute mentale. Attraverso gli incontri settimanali, dove ciascuno è libero di raccontarsi, cerchiamo di tematizzare le problematiche che di volta in volta vengono proposte e si sperimentano nuove modalità di mutuo aiuto. Spesso il “setting” previsto dai percorsi terapeutici rischia di rendere l’incontro un momento d’eccezione, distinto dalla quotidianità; ciò porta i gruppi ad avere più partecipazione ma rischia di creare dipendenza. Non nego l’utilità del mutuo-aiuto, ma finché l’utente accede ai gruppi solo per avere uno spazio in cui “esprimersi” o “sfogarsi”, questi occuperà una posizione prevalentemente passiva. Mi viene da pensare che faccia comodo le persone si sfoghino. È una concessione che ci diamo, la quale talvolta porta con sé qualcosa di sottilmente “crudele”. L’ascolto che propone l’assemblea, invece, mira a un’apertura del confine. È ascolto di sé, distacco dalla propria soggettività residuale, quindi riappropriazione delle produttività oppresse, con possibilità di condivisione e relazione finalizzata a operare su uno spazio percettivo condiviso. Le partecipazioni, in quanto testimonianze di membri sofferenti della comunità (ma, come esistono membri sofferenti della comunità, così sappiamo esistere parti sofferenti in ogni individuo; c’è un disadattato in ognuno di noi) possono mettere in evidenza le reali problematiche non solo della salute mentale, ma quelle dell’intero contesto sociale. Posto che ciascuno porta il segno vivente di una collettività, quel che avviene è una riflessione della comunità su se stessa, quindi una autocoscienza. Il discorso delirante è quindi valorizzato, in quanto una sua marginalizzazione comporterebbe un ritorno alla parzialità, cioè finalizzato ad un altro contesto; sarebbe asservito a obiettivi privi di forza politica; sarebbe un servizio al servizio di un altro servizio. All’interno dell’assemblea presentarsi dicendo “sono malato” segna una soggettività psichiatrica, quindi una realtà che bisogna considerare non dal suo interno ma in relazione con altre soggettività, cercando una valutazione che ne consenta un superamento critico. Qualsiasi etichetta è, in questa prospettiva, un alibi indotto, generatore di uno smarrimento che avviene all’interno di un percorso molto ristretto. Ogni parola, all’interno dell’assemblea, appartiene a un discorso delirante, perché l’assemblea È un discorso delirante. Quel che si indaga, tramite l’ascolto del delirio, scopre il bisogno, soffocato dalle comuni prassi di normativizzazione. Anche lo psichiatra che intende partecipare deve accettare le proprie parole come deliranti, in quanto non sono che la testimonianza di un bisogno. L’ascolto, perché possa essere possibile, deve essere rivolto non alla persona ma alla realtà che sta dietro i suoi discorsi, quindi la propria. In una simile impresa, è fondamentale un approfondimento culturale, che dia gli strumenti necessari per ampliare le possibilità di azione. Spesso accade che i pazienti ignorino il proprio percorso di cura, che non sappiano che tipologia di farmaci assumono e che accettino interventi coattivi, perché subiscono un restringimento del campo “visivo”. Quello che ci si auspica con l’assemblea è di aiutare il cittadino a rielaborare il disagio e a prendere coscienza della propria esperienza psichiatrica, con la proposta di soluzioni che fuoriescano dai contesti proposti dalla psichiatria. IL CONVEGNO SABOTATO di Beatrice Di Zazzo Notizia dal Molise: un utente (chiamiamolo Alfio Garau) cerca di rendersi parte attiva organizzando un convegno sulla salute mentale con utenti e familiari, ma viene ostacolato. Risultato: il convegno, che si sarebbe dovuto tenere nel mese di giugno a Campobasso, è cancellato. Nonostante i volantini già preparati, nonostante i contatti già presi con le altre regioni e la rete del CNUSM, sembra che questo evento “non s’avesse da fa’”. Dieci giorni prima della data stabilita per l’avvenimento l’utente in questione viene convocato presso il suo CSM. Ad aspettarlo c’è il direttore sanitario del suo dipartimento, la sua psichiatra, un operatore di una cooperativa da lui mai visto e un altro utente del suo CSM. Ad Alfio viene chiesto, prima gentilmente, poi con gentili intimidazioni, di non proseguire nell’organizzazione e di cancellare l’evento in questione. Motivo: la sua iniziativa “è sconsiderata”, deve finirla di mettere in cattiva luce i suoi servizi, smetterla di avere contatti con i suoi amici del Coordinamento; soprattutto deve lasciare stare quelli del Torino Mad Pride che gli mettono strane idee in testa (n.d.r. Garau ha parlato al Mad Pride del convegno solo dopo averlo ideato). Se continuerà nel suo intento, gli viene fatto capire chiaramente, se disobbedirà al diktat potrebbe avere vita difficile all’interno del suo servizio. Traduzione: o decide di stare zitto e fermo o avrà seri problemi, il che significa primo non poter ottenere la borsa lavoro per la quale stava aspettando risposta, secondo sentirsi il loro fiato sul collo, soprattutto dei suoi genitori, anziani a più riprese chiamati dal CSM. Allora Alfio Garau decide di arrendersi, anche perché viene osteggiato persino da alcuni componenti del CNUSM. Entra in una fase di malessere connotata da depressione e paranoia: riesce a trovare un po’ di calma e fiducia solo parlando con i suoi conoscenti, perché non può parlare liberamente delle sue frustrazioni con chi, in buona parte, gliele scatena. Accetta la sconfitta e decide di fare buon viso a cattivo gioco, perché “il coltello dalla parte del manico ce l’hanno loro. Io volevo solo rendermi utile e organizzare una giornata significativa anche a Campobasso. Ma mi hanno tranciato le gambe. Spero solo prima o poi le cose cambino. Ci proverò fin che posso ad avviare il cambiamento. Ma se al Nord le cose sono difficili, qui al Centro lo sono ancora di più”. Storie già sentite e già viste, ma alle quali per fortuna qualcuno non vuole abituarsi. Quale futuro per il coordinamento? La settimana della salute mentale apre orizzonti e interrogativi RIVOLUZIONE CASUALE Il Coordinamento Nazionale degli Utenti della Salute Mentale si trova davanti una serie di problematiche. La partecipazione alla Settimana della Salute Mentale, tenutasi a Modena dal 19 al 26 ottobre, ha generato in me le seguenti considerazioni: 1 - Entrare all’interno dei servizi come utenti esperti paleserebbe la contraddizione insita nel legittimare le prassi e il linguaggio della psichiatria, quindi un lavoro parziale, un “servizio al servizio di un altro servizio”. Rimanere confinati all’interno delle mura sanitarie e professionalizzare una condizione che corrisponde a un insieme di bisogni, significa tecnicizzare una situazione che presenta invece interessanti risorse politiche. La cittadinanza è il punto dal quale partire e alla cittadinanza bisogna arrivare. 2 - La normativizzazione dei bisogni genera nuovo disagio. Il disagio non è che un bisogno insoddisfatto. Il bisogno, in tal caso, viene indotto perché possa perpetuarsi lo stesso circolo psichiatrico; così l’istituzionalizzazione serve finalità di matrice consumistica. Quel che il Coordinamento deve proporsi è di partire dai bisogni per capire come lavorare sul territorio. Questa inversione può garantire un eventuale riconsolidamento della sfera sociale, attualmente carente in ambito sanitario. 3 - C’è stata la presentazione di un caso clinico, in cui un approfondimento antropologico sarebbe dovuto servire a colmare le lacune presenti nel protocollo, e venire così in aiuto agli psichiatri. Questo tentativo mi sembra però si sia rivelato fallimentare, perché non è stata operata una sufficiente decostruzione dello stesso racconto clinico. La descrizione presentata degli elementi patologici attinge da filtri di ricerca incongruenti con gli stessi paradigmi psichiatrici. Ad esempio si diceva “il soggetto non accetta la propria malattia” o “non accetta il lavoro che gli proponiamo” o “non vuole partecipare alle attività ricreative da noi suggerite”. Questo, a mio parere, non fa altro che definire un soggetto psichiatrico attraverso la patologizzazione di quella sfera ancora non psichiatrizzata. In tal caso credo che il lavoro d’equipe fra gli psichiatri e gli antropologi sia stato inadeguato, in quanto non è possibile colmare lacune senza operare una vera e propria decostruzione dell’approccio clinico. Sono giunto alla conclusione che i convegni, in quanto offrono la possibilità ai professionisti di organizzarsi una vetrina, presentano sempre forti contraddizioni. A tale proposito si sta organizzando una giornata, prevista per il 2014, in cui si tenga la prima Assemblea Nazionale dell’Ascolto, dove gli utenti, i professionisti, i familiari, gli intellettuali, i cittadini, etc potranno confrontarsi, trasmettersi esperienze e dibattere in maniera che si generi uno spazio di condivisione produttivo; un cantiere, per ridefinire in primo luogo cos’è “comune” e in secondo cosa sia il “benessere”. 4 21 ART DOSSIER PSICHIATRIA E INTERNAMENTO Te lo faccio vedere chi sono io Quando voglio avere l’ultima parola con mio figlio... I l nostro amico Lanza Wolverine si è trovato di nuovo alle prese con la psichiatria coatta quest’autunno: quello che gli è capitato ci mostra un meccanismo tipico delle città più piccole, là dove “ci si conosce tutti”. Wolverine entra in conflitto con la famiglia, in particolare con il padre, riguardo alla gestione economica dei propri averi: pretende di avere quello che gli spetta in modo da poter avviare un’attività e diventare indipendente. Diversa l’opinione del padre, che vuole tenere il figlio sotto controllo: così, tutto quello che deve fare è alzare la cornetta del telefono e chiamare lo psichiatra che normalmente segue il figlio e che egli paga regolarmente, e chiedergli di ricoverarlo. Con i suoi precedenti psichiatrici non c’è nulla di più facile. I carabinieri si presentano alla sua porta e gli intimano di seguirlo verso un repartino psichiatrico. Nonostante la mancanza di resistenza da parte di Wolverine, che sapendosi il più debole si comporta in modo passivo e ubbidiente, arrivato in ospedale scatta per lui il TSO, senza alcuna possibilità di volgerlo in ricovero volontario. Una situazione senza giustificazioni, che viola ogni regolamento e libertà personale. In repartino Wolverine viene sedato oltre ogni limite, rincoglionito fino al limine della coscienza, e trattenuto per più di una settima- na, fino cioè a quando l’intervento di un avvocato preoccupa abbastanza i dottori da lasciarlo andare. Quante mazzette siano circolate tra il padre di Wolverine e gli psichiatri non lo sappiamo con esattezza, ma non è detto che la dignità di certi individui sia sopravvalutata da nessuno: probabilmente stiamo parlando di noccioline. Nella lucida malinconia seguita agli eventi decritti, Wolverine ci ha scritto qualche riga, riflessioni che lo attraversano durante questo “viaggio al termine della notte”. Eccole qui riprodotte per voi, fedeli lettori: STORIA ABBREVIATA DELLA PSICHIATRIA Prima che venissero scoperti i microorganismi, nell’800, un oscuro primario di ginecologia di un ospedale cecoslovacco mise in relazione le frequenti morti tra le sue pazienti al fatto che molti dei suoi medici operassero le pazienti dopo aver effettuato autopsie, e impose nel regolamento di lavarsi le mani prima di operare. Il nome di questo individuo non è salito agli onori della storia della medicina perché fu radiato dall’albo dei medici e rinchiuso in manicomio. Aveva agito sulla base di un ragionamento simbolico e fatto le deduzioni che a noi oggi paiono ovvie, ma la sua era una posizione ideologicamente inaccettabile per gli altri medici. Nella loro ideologia quei medici si consideravano infallibili, spogliarono il loro collega dei suoi diritti e impedirono di salvare un numero inquantificabile di donne. I romani non potevano accettare la posizione ideologica del cristianesimo, e quindi vedevano nella loro esistenza stessa una grave minaccia che andava perseguita, anche attraverso il sacrificio catartico dell’arena. Cosa vedessero gli inquisitori cattolici nelle loro vittime, nei sacrifici e nei roghi che compivano, forse è meglio non saperlo, mentre cosa vedessero i nazisti nei loro devianti, e cosa ne facessero, è argomento molto noto e base dei valori di facciata della cultura occidentale. Per cui la costituzione e la morale ci ricordano che ogni cittadino è libero e ha dei diritti, poi però si istituzionalizzano i ruoli di individui con la facoltà di decidere chi sia sano di mente e chi no, coloro insomma che si occupano di sanità mentale. Si suppone che costoro abbiano una comprensione superiore, oggettiva, di ciò che si dice, pensa o fa. Proprio come i medici cecoslovacchi di cui parlavamo all’inizio dell’articolo. Ora, potrebbe sembrare esagerato per la morale comune, e certamente lo è per la categoria dei medici di igiene mentale, accostare costoro ai persecutori religiosi, alla santa inquisizione, al nazismo. Direbbero che è un delirio, delegittimerebbero la mia libertà di pensiero. Ma pensate per assurdo, per ipotesi, che sia così. Pensate se la psichiatria sia un metodo di oppressione con cui una parte ideologica della società, magari anche una società segreta, si sbarazza di individui scomodi e li utilizza per esperimenti finanziati da multinazionali farmaceutiche. Riuscite a immaginarvi una cosa simile? Lanza Wolverine Arrivano le Pattuglie Fantasia Ripuliamo la città con cabarettismo e giocoleria sempre contestando la psichiatria!!! A Torino nasce un nuovo progetto politico situazionista che agisce nel sociale: PATTUGLIE FANTASIA. Con questo ossimoro, il neonato movimento vuole goliardicamente prendersi gioco di chi da sempre agisce contro i più deboli e, al contrario, vuole aiutare questi ultimi attraverso un’azione diretta sul territorio, che si articola in due forme, che sono due facce della stessa medaglia. Una è volta alla creazione di gruppi (o, ironicamente, pattuglie) che svolgono attività utili a chiunque. Per ora è operativa la squadra PULIZIA, CABARET e GIOCOLERIA, che si occupa della pulizia delle strade della città di Torino, unica città in cui le PATTUGLIE FANTASIA sono attive, portando l’allegria con l’arte di strada. Detto ciò si è esplicitamente parlato dell’altra modalità d’azione del sopracitato movimento: portare l’arte, in ogni sua forma, in strada. Qual è la valenza rivoluzionaria di questo progetto? Il connubio, nello stesso individuo, tra artista di strada e operatore ecologico, che scardina la concezione borghese e reazionaria di divisione del lavoro. Però c’è ancora tanto da fare: le nuove ronde goliardiche vogliono organizzare squadre notturne di aiuto concreto a chi soffre per strada, portando sia allegria e divertimento, sia un tè caldo e qualche vestito pesante. Per attuare quest’ultimo piano sono indispensabili militanti per pattugliare le vie cittadine, ma anche raccoglitori di vestiti, possibilmente, ma non necessariamente, con una qualsiasi vena artistica. PATTUGLIE FANTASIA è una comunità funzionante sul principio del dono e del libero scambio di conoscenza. Per questo motivo la militanza nelle pattuglie è fonte di crescita continua per gli appartenenti, che sono ancora in numero ristretto, sebbene in crescita esponenziale. La linea di confine tra militante e simpatizzante non è ben definita, in quanto, come inizialmente sostenuto, stiamo parlando di un progetto situazionista. “Programma dell’Internazionale situazionista è il creare situazioni, definite come momenti di vita concretamente e deliberatamente costruiti mediante l’organizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un gioco di eventi. Le situazioni vanno create tramite l’Urbanismo Unitario, un nuovo di Sandro Gipsy ambiente spaziale di attività dove l’arte integrale ed una nuova architettura possano finalmente realizzarsi. I situazionisti si propongono di inventare giochi di una nuova essenza, ampliando la parte non-mediocre della vita, diminuendone, per quanto possibile, i momenti nulli” (tratto da Wikipedia). Le PATTUGLIE FANTASIA si radunano nel fine settimana, generalmente il sabato pomeriggio, nelle principali piazze del centro di Torino, in collaborazione con il Mad Pride, per svolgere attività quali la pulizia delle strade e la distribuzione de LA SVEGLIA, il tutto svolto dando un senso artistico alla cosa. Punto cardine è l’ANTIPSICHIATRIA MILITANTE, ovvero la contestazione del sistema psichiatrico, visto come braccio medico della repressione reazionaria borghese. In quanto movimento situazionista, possiamo tranquillamente considerare le pattuglie inserite nel movimento più ampio della contestazione sociale. Essere anticapitalisti significa rifiutare il concetto stesso di società basata sul profitto e, di conseguenza, sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Sandro Gipsy parla a titolo personale. Dobbiamo perciò chiarire che il Mad Pride non può presentarsi come antipsichiatria militante. Noi cerchiamo di avere un rapporto con le istituzioni, con gli psichiatri; anzi vorremmo avere degli psichiatri devoti alla causa o quantomeno in sincero e approfondito dialogo con noi, studiare la psichiatria e capire come funziona. Essere contro la psichiatria a priori sarebbe come essere contro l’uso delle droghe o lo sciamanesimo, e il Mad Pride non è contrario all’uso delle droghe. Quello che invece “La Sveglia” non accetterà mai è l’addormentamento. Qualsiasi psicosi che sia veramente perniciosa, in quanto arrivi a togliere all’individuo la capacità di vivere la propria vita, può essere superata da mezzi non psichiatrici, anzi: può essere superata solo da mezzi non psichiatrici. Ciononostante, ripeto, il Mad Pride non è antipsichiatrico... Il Magnifico Direttore Un uomo dagli occhi rotti Sull’arte di Cosimo Cavallo di Luca Atzori PARTE PRIMA V iviamo in un grande ospedale chiamato occidente, dove ogni percorso conduce alla moneta. Questa condizione ci porta a limitare i nostri passi sopra sentieri miseri, brevi. Pensiamo al nostro pianeta. È vasto, ma ci muoviamo in massa sopra punti ristretti, avanti e indietro, tutto per rimanere confinati entro quel territorio. Tutto perché abbiamo la fottuta paura di perderci. E abbiamo ragione. Senza quei sentieri ci perderemmo e nessuno di noi lo vuole. Ma ci sono sentieri più vasti da percorrere. Sentieri dei quali non possiamo essere coscienti, perché se lo fossimo, forse, qualcuno chiamerebbe i carabinieri. Questo catalogo non è dedicato solo a un artista, ma soprattutto a un mistico nostro contemporaneo. Si chiama Cosimo Cavallo. È nato a Torino nel 1968 ma ha origini pugliesi, di Taranto. Capita spesso di incontrarlo per la strada. Lo si nota per la sua abitudine a gridare nel vuoto, rivolgendosi a personaggi invisibili. È barbuto, porta sempre una camicia hawaiana. Ha lo sguardo profondo. Somiglia a un patriarca antico-testamentario (così come possiamo immaginarcelo). Lui si definisce un buddista. Lo intende in senso antico. Iniziatico. A vent’anni è stato “salvato dai surrealisti”. Il tutto poi è sfociato in una tesi presentata all’accademia delle belle arti sulla concetto di superficie nel cinema di Fellini. Un innamoramento (senza cuore) il suo, per la falsità. Quella che è ancora di proprietà dei sogni. Cosimo è un pazzo generoso. Recita la sua parte fino in fondo. Vive la follia come mito, cercando di afferrare l’arte, il che equivale a donarla. Perché l’arte in Cosimo non è che un tessuto sottile, di cui si può avere cognizione non solo nelle sue opere, che ne sono, anzi, solo la traccia. Sono le prove di un lavoro che comprende la sua stessa esistenza. Sono i resti archeologici che segnalano la sua presenza. Attimi di attenzione sacrificati al tempo (che è insieme ieri, oggi e domani). In essi è percepibile il desiderio estremo di vedere gli occhi dell’osservatore entrare nella sua stessa vita. Un desiderio che arriva sino alla creazione degli occhi di quello stesso osservatore (che non può esistere). Anche questo art dossier è una traccia. La testimonianza di chi tenta di afferrare due lenzuola per stringerle fino a fare un nodo. La presenza di Cosimo, se accolta con fredda compassione, dona l’autentica temporalità della pelle, insostenibile. Dona la realtà del falso, dove fra le vertigini, si prende coscienza di quanto l’apertura che da fuori chiamiamo “psicotica” sia il segno di un continuo plasmarsi della materia impalpabile. Quella da lavorare attraverso laboriosi respiri e fede analitica. La sensibilità è vita; e la vita sa, è vigile, sempre. Cosimo non accantona. Tiene tutto. È un inconscio vagante. Odia quella che lui definisce “assenza di fede” che è lo sguardo disincantato, frettoloso. Odia l’ignoranza ma non quella del non-sapere, piuttosto quella del sapere sbagliato. Non vive l’arte come sport, produzione di oggetti di chiacchiera, redentrice di silenzi. Quella che spesso capita di respirare fra le mura delle Cosimo Cavallo alias Fabio Elettroni gallerie, nei musei, dentro le aule accademiche. Il suo progetto non è monetizzabile perché il suo fine è religioso. Un personaggio al quale può essere accostato è Pilade. Quello di Pasolini. Quello a cui le Eumenidi dicevano: “Succederà anche che le cose più difficili - e così nuove da essere inconcepibili - non avendo nessun rapporto con ciò che ormai si sa della vita - ti verranno in mente di colpo mentre passeggi o mentre mangi; o ti daranno una gioia così forte che ti metterai a saltare e a ballare come un ragazzo. Ma poi bisognerà cercare le origini, dedurne gli effetti; e allora nuovi giorni di lavoro grigio, incerto, con le ansie della nausea e del disprezzo per se stessi... e alla fine sappilo, nello stesso momento in cui tutto sarà chiaro, IL TEMPO AVRÀ LAVORATO CONTRO DI TE. Non ti resterà nessun compenso se non la coscienza che qualcun altro dovrà ricominciare tutto di nuovo sulle tue rivelazioni stupende ma invecchiate”. Prima di trattare la sua arte, dunque, è necessario raccontare il suo delirio. Anzi, togliamo la parola delirio. Raccontiamola come se non esistesse alcuna chiave interpretativa di tipo psichiatrico. Escludiamo anche la psicodinamica. Escludiamo qualsiasi chiave di lettura che possa in qualche modo essere utile per se stessa. Cosimo vive per strada in seguito a una separazione dalla moglie e dalla figlia (causata da cosa non mi è stato dato saperlo, quindi non posso osare di dedurlo). Qualcuno iniziò a interferire con lui tramite una sua cellula “nervosa”. Gli faceva sentire voci, le voci di persone che controllavano tutto quello che faceva. Le voci provengono da un piano di realtà dentro il quale è possibile entrare attraversando quel varco aperto dalla cellula, che è come un software. Oltre il varco ci sono eventi, forse gli stessi che vediamo continuamente nel mondo, solo che hanno un altro significato (pur possedendo la stessa incoerenza). Gli intercettatori fanno parte della NATO e della camorra, e in alleanza con gli alieni minacciano la vita di sua figlia. Lui cerca forsennatamente di lottare con l’aiuto di Franco Battiato e Silver (il disegnatore di Lupo Alberto) che in questa storia però è una donna, si chiama Elisa Volpe. La missione di Cosimo è quella di riuscire a ottenere una casa a Chieri dove poter stare con sua figlia. Solo lì potrà avere pace. Questo ineffabile pólemos si svolge attraverso il soffocamento che la NATO e altre forze operano sulla tradizione e sul mistico, tramite l’organizzazione di una realtà sociale che toglie agli animi dei potenziali iniziati un contesto su cui agire dentro il quale non risultare ridicoli e insensati. Cosimo però non demorde e lotta mantenendo integra la sua via. Di certo Cosimo ha la forte percezione di uno schiavismo a cui abitualmente ci costringe l’Io. La NATO o la camorra, gli alieni etc, sono solo una forma di rappresentazione particolare di quello che è un fenomeno indiscutibile e più generale, cioè il Potere. Se diventare il proprio Sé significa essere costretti ad essere creatori (del tempo e dello spazio umani) allora è inevitabile prendere coscienza di quanto normalmente sia il nostro Io a dare gli ordini e quanto invece il Sé sia privo di coscienza e di volontà, debole come un bambino. Il soggiogamento del Sé fa sì che la creazione si muova secondo finalità altre, che rispondono a un’etica presunta come civile ma in realtà arbitraria. Arrivare a quest’esperienza del Sé, quadridimensionale, conservando però la struttura tridimensionale che garantisce l’eticità e la vita civile, comporta per forza una divisione, una “scissione” schizofrenica. Forse l’impresa di rendere consapevole il Sé è assurda in un mondo dove non è possibile iniziazione. O forse è quella che chiamiamo schizofrenia a suggerirci la risposta, continuamente. “La vita ci sfiorò... ma il Re del mondo ci tiene prigioniero il cuore”. 20 5 DOCUMENTARE MATTI A COTTIMO di Mauro De Fazio Resoconto di un’odissea Dieci anni in Ospedale Psichiatrico Giudiziario I l lavoro documentaristico che stiamo producendo, relativamente alle attività di Matti a Cottimo, è per me una importantissima opportunità perché credo che il video possa essere un valido strumento per cogliere gli scambi, le relazioni e le suggestioni che ruotano intorno al Torino Mad Pride e l’alterità di chi vive esperienze “al limite”. Esso può essere una zona franca dove la suggestione di un artificio, quello cinematografico, restituisce la fotografia di relazioni umane tra persone che partecipano alla società con il loro sapere, non più marginale bensì fondante. Aver incontrato Simone, Chiara, Luca e tutti coloro che collaborano mettendo faccia, corpo e pensiero al servizio del Mad Pride e di Matti a Cottimo, mi consente inoltre di “recuperare” il filo di un’esperienza che mi ha coinvolto per lungo tempo, convogliando molte delle mie energie, lavorative e non: il Laboratorio Urbano Mente Locale, associazione nata in ambito psichiatrico per tentare di dirigere i propri sforzi comunicativi e concertativi sul territorio del quartiere e dell’intera città. L’operato di questo gruppo ha molto a che fare con la situazione creatasi intorno al Mad Pride e a Matti a Cottimo; entrambi rappresentano, a mio avviso, un modo “altro” di aver a che fare con la sofferenza mentale. Essi tendono a una ricerca di tecniche comunicative e d’intervento poco convenzionali, che coinvolge continuamente l’altro come portatore di un proprio preciso punto di vista e origina luoghi in cui ciascuno possa sentirsi libero di portare il proprio contributo, la propria visione soggettiva, qualsiasi essa sia. Le riprese sono terminate e il lavoro prende una forma sempre più definita, ma le domande che mi pongo su come trattare immagini e contenuti sono ancora tante. È complesso fare un montaggio se si è consapevoli che dietro una traduzione, anche filmica, si cela sempre un grosso tradimento. L’obiettivo primo sarà quello di far emergere lo straordinario incontro tra storie di solitudine e disagio con una domanda sociale che spesso è celata o addirittura mistificata: ovvero quella di far parte davvero di un sistema sociale senza negare il proprio disagio, soprattutto quando “dietro i tempi dei normali proprio non ci si riesce a stare…”. A quel punto rischia di crollare tutto: casa, relazioni, amicizie e lavoro. Proprio sul tema del lavoro, del rispondere alla richiesta di produttività che la società ci pone, il documentario si sofferma parecchio; una persona sofferente che non riesce a “reggere” i tempi lavorativi che ci sono socialmente imposti, ma che manifesta comunque la volontà di dimostrare ciò che sa fare in una situazione di maggior tolleranza, sostegno e rispetto delle tempistiche emotive, è una persona che fa da specchio a ciascuno di noi. Uno specchio che può consentire ad altri di riconoscersi in quel tipo di sofferenza e non soffocarla, che propone un’immagine di qualcuno che si batte per realizzare i propri desideri e costruire delle opportunità. Sento pertanto di dover richiamare l’attenzione sulla generosità e sulla passione di tutti, in particolare di Simone, catalizzatore e donatore di storie che difficilmente avrei saputo cogliere, e che mi stanno permettendo di documentare un movimento né fuori né dentro la psichiatria, ma che trasversalmente si pone come obiettivo quello di accogliere bisogni e disagi che la psichiatria non riesce ad accogliere, al fine di costruire una rete sociale utile a tutti. Vorrei essere capace di restituire la forza delle parole e dei volti che ho incontrato in questi mesi. Dare voce a parole mute, spazio a movimenti che faticano ad essere riconosciuti, ridare dignità a chi normalmente la vede negata, matto e non, sarebbe per me un modo di essere militante, in un contesto sociale che richiede sempre più scelte forti, a fronte di una fluidità che stempera i confini e amplia le distanze. Con affetto. Immagine tratta dal documentario “Matti a Cottimo - Strategie di Sopravvivenza” ROBERTO CAVALLI* L o chiamerò Renato. Oggi è un ragazzo allegro, che gira con un auricolare appeso all’orecchio, le bollette della Sisal in tasca e la macchinetta per rollare le cartine sempre a portata di mano. Parliamo della sua storia. Renato è uno psicotico paranoide. In pratica sente delle voci che disturbano il suo pensiero. Anni fa aveva anche allucinazioni e difficoltà molto forti ad interagire con gli altri. Purtroppo non riusciva a controllare quelle sensazioni e non seppe evitare di porre in pericolo se stesso e le persone che gli stavano accanto. Accadde un incidente dovuto alla malattia (sic) e Renato fu arrestato, processato e condannato al ricovero presso l’ospedale psichiatrico giudiziario. Siamo all’inizio degli anni novanta. Il primo approccio con la nuova realtà è costellato di fermi provvisorii in sezioni separate del carcere e condito da una pioggia di sedativi. Dopo tre mesi arriva in provincia di Caserta all’OPG di Aversa. Qui mi facevano fare lo scopino e per un po’ mi trovai bene. C’era un giardino, facevo delle passeggiate. Ma un giorno ho avuto una crisi e tutto è cambiato. Allora decisero di contenermi con i braccioli alle mani e ai piedi, e di siringarmi. Ero immobilizzato su un letto che presentava un buco centrale e un secchio sottostante per permettermi di fare i miei bisogni senza slegarmi. Sono stato così per tre giorni. Poi mi cambiarono le cure. Dopo un paio di mesi introdussero nella terapia l’uso dell’elettroshock: non mi ricordo quanto facesse male. Mi ricordo invece che sognavo di fare come Cutolo, il boss della camorra che era stato ad Aversa e per andarsene aveva fatto saltare il muro di cinta. Le guardie mi raccontavano spesso quella storia. Per essere più vicino a casa e per lasciarsi dietro quel mondo doloroso, Renato decide di fare domanda di trasferimento all’OPG di Reggio Emilia. Qui ci sono stato nove anni. Nei primi cinque la notte dormivo chiuso a chiave. I pasti me li porgevano dal buco della porta. La cella era grande una dozzina di metri quadrati e in un angolo c’era un piccolo bagno chiuso: un lavandino, un bidet, una tazza senza l’asse e senza il coperchio. Vivevo con un’altra persona. L’arredo della cella comprendeva un televisore, due armadietti, un tavolo, le brande, una finestra con le sbarre e una mensola di marmo. Ogni settimana mi cambiavano le lenzuola. I vestiti erano personali, i miei me li facevo lavare da casa. A Reggio Emilia sono stato veramente bene, anche se la malattia continuava ad essere con me e la mia vita era piena di gente malata. Ricordo che un detenuto aveva ucciso un compagno di cella! Durante la mia permanenza ci furono numerosi suicidi, credo almeno una trentina. Ogni tanto ero a colloquio con uno psichiatra per mettere a punto le terapie. Tutti i giorni gli infermieri si assicuravano che io prendessi le medicine. Non ho mai fatto resistenza all’assunzione dei farmaci e ho cercato di essere collaborativo, anche per questo ero benvoluto dalla direttrice e dall’educatore. Dopo quasi nove mesi mi diedero un permesso di libera uscita. La prima volta mi accompagnarono dei volontari, poi ci pensarono i miei familiari. Più o meno avevo un paio di permessi al mese e tutte le volte ne approfittai per andare al ristorante. Purtroppo la struttura era tutto muri e cemento con qualche zona di verde per le attività di giardinaggio e per quelle sportive. Lo sport mi ha dato molto conforto e in OPG ho vinto coppe e medaglie. Soprattutto la migliore terapia in OPG è stato il lavoro. All’inizio ho ripreso a fare lo scopino, ma poi mi hanno fatto fare dei corsi e mi sono impegnato in tante attività diverse. Sono definitivamente uscito dall’OPG con una licenza finale di esperimento che poi si è tramutata in permanenza in una comunità psichiatrica di tipo B, nella quale godevo di libertà vigilata sotto il controllo di un magistrato di sorveglianza. Sono poi finito in una comunità. Poi in un gruppo appartamento e poi, finalmente, dopo 18 anni mi sono guadagnato il fine pena. Così sono tornato a casa. Il racconto finisce qui, anche perché le partite sono cominciate e Renato ci tiene a seguire gli esiti delle sue scommesse. Prima di salutarmi mi confessa la soddisfazione di riuscire a parlare del suo passato senza patimenti. Forse anche questo vuol dire tornare un uomo libero. e regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio (TSO), istituendo i servizi di igiene mentale pubblici. Tra gli obiettivi principali della legge c’era la volontà di modernizzare l’impostazione clinica dell’assistenza psichiatrica, instaurando rinnovati rapporti umani tra il paziente e il personale curante e il resto della società, riconoscendo appieno il diritto del malato ad avere una vita dignitosa. La legge Basaglia, però, non cancellò l’istituto del manicomio criminale ovvero l’ospedale psichiatrico giudiziario (OPG). Nota 1 - La legge 180 del 1978, cd. Legge Basaglia dal nome del suo ispiratore, è la legge quadro che impose la chiusura dei manicomi *Roberto Cavalli è un umanoide alla ricerca della verità La malinconia del materialista è peggio. Puzza di sesso Nota 2 – Negli anni ‘80 il Filippo Saporito di Aversa arrivò ad ospitare un migliaio di persone ed era il luogo in cui venivano rinchiusi i casi più gravi. Malgrado la legge Basaglia, in quell’Istituto tra violenze, elettroshock e letti di contenzione, avveniva la mortificazione dei diritti più elementari delle persone. Non per tutti, però. Ad Aversa soggiornò anche Raffaele Cutolo che, a differenza degli altri, poteva contare su stanze accoglienti e ammobiliate ed era esente da qualsiasi terapia. Proprio da Aversa, il 5 febbraio 1978, il boss evase con irrisoria facilità. Nota 3 - Nel gennaio 2012 il Parlamento ha varato una legge che doveva portare alla chiusura degli OPG inizialmente entro la fine dello stesso anno e poi entro il 31 marzo 2013. Malgrado ciò, non si è fatto molto per mettere in pratica la legge e superare lo stato di abbandono delle strutture e delle persone che vivono in esse. Uno degli ultimi provvedimenti del governo Monti è stato quello di spostare al 1°aprile 2014 la chiusura degli OPG a causa della mancanza di misure alternative, al ritardo degli enti locali e alla penuria di risorse. L’esecutivo prevede come irrevocabile l’ultima scadenza fissata, con la minaccia di nominare commissari se non si arriverà alla chiusura. Nel frattempo è cambiato il governo. 19 6 ESTERA / NERA ITALIA: ANNO 2014 LORENZO PEYRANI è passati alla fase due: la “primavera araba”. Alla pochi rivoltosi che attaccavano il potere di Ghedprimavera araba e alla - campagna contro i preti dafi si nascondeva nientepopòdimenocché l’intera Compagni, camerati. Madpride. Italiani. Quando pedofili, che sono andate di pari passo. Dal Pakistan forza dell’avverso patto atlantico. Così, in quei parlate dei vostri diritti, fate riferimento alla sovran- all’Egitto, dall’Algeria alla Libia, per destituire lo giorni convulsi in cui il dittatore tentava di salvaità della patria. E come per i diritti anche per le stato sovrano italico (incarnato nella persona di Sil- rsi usando gli aerei militari contro la folla, anche il riforme, voi pensate a riforme legalmente promo- vio Berlusconi), gli Stati Uniti hanno dovuto prima governo italiano perdeva la propria sovranità, forse sse da uno stato sovrano. Vi appassionate alla po- ammazzare Gheddafi; in seguito, una volta insedia- per sempre. Vanificando il sacrificio del kamikaze litica nazionale. Credete tisi a Roma, hanno fatto torinese, Pietro Micca… protomartire madpride. all’esistenza della Republo stesso con il Vaticano: Ieri il fronte si è spostato in Siria, e il nuovo papa blica Italiana. Perché non anche lì hanno messo fantoccio scriveva ad Assad sotto dettatura diretta date prima un’occhiata - un uomo loro. Le cam- della Casa Bianca. I morti sono stati decine di miglia quello che accade pagne di diffamazione aia, eppure abbiamo assistito solamente a una fase oltre i vostri confini? internazionale contro il di riscaldamento. Quale sarà il punto di non riAlcuni di noi italiani governo italiano e contro torno? Qual è il confine che gli alleati non possono suppongono di vivere in la Chiesa, intensissime superare, prima di ottenere una reazione forte? uno stato indipendente, su tutti i media dalla ri- L’equilibrio è instabile, e si gioca in Iran e in Pakiseppur allineato al Patto elezione di Obama fino stan (che nonostante Zardari è ancora pieno zeppo Atlantico; talaltri, ina quel momento, termi- di terroristi), e sul conto delle loro bombe atomiche. vece, sono dell’idea che nano la loro utilità: mis- Il Pakistan è già una potenza atomica e gli USA (così l’indipendenza sia stata sione compiuta. Inizia come l’India) vorrebbero non lo fosse, l’Iran sta lapersa nel 1943 a seguito Gli agenti della CIA son tutti giovani e belli quindi la contraria beati- vorandoci e gli USA (così come Israele) vorrebbero dell’armistizio. Pochi rificazione mediatica del impedirlo a ogni costo. Se entrambi gli stati avessero conoscono, piuttosto, come l’Italia dal 1945 al 2011 governo tecnico e della nuova corrente, presentata l’atomica l’Occidente dovrebbe reagire, se nessuno abbia mantenuto una relativa libertà, grazie alle al- come “relativista e secolarizzata”, di Francesco I, dei due l’avesse a dover reagire sarebbe l’Oriente. leanze bilaterali con gli USA e con il blocco asiatico, il vero Pietro II delle profezie tabloid. Tipicamente E l’Italia, un tempo segretamente alleata al fronte e quanto la situazione sia cambiata negli ultimi tre italiana, tra gli idealisti della politica, è la - rasseg- orientale e quindi mai duramente colpita dal nuovo anni. La Libia rappresentava la nostra assicurazione nazione. “I nostri politici non ci hanno mai detto la terrorismo (che sarebbe più giusto legittimare come sulla vita, e il nostro cordone ombelicale. Una spina verità!” Fermi tutti. Sarà poi così strano che i politici “guerra di quarta generazione”), oggi è diventata nel fianco per l’Inghilterra e una spina nel fianco per non dicano la verità? Sarà segno inequivocabile di l’obiettivo perfetto delle rappresaglie dei suoi vecchi gli Stati Uniti; addirittura una fonte di umiliazione reconditi interessi personprotettori; intanto, la Franper la Francia. La strage di Ustica fu il prezzo pagato ali? Eppure, supponendo cia mai come oggi gode in un’occasione per tutelare la nostra delicata po- l’esistenza di un uomo a far la voce grossa e nel litica estera; oggi - quella partita è definitivamente politico ideale, di un patrisentirsi di nuovo superpersa. L’offensiva lanciata dall’amministrazione ota… non dovrebbe questi potenza, vedendoci sulla Obama (a differenza di quella più ingenua, impreg- sistematicamente mentire graticola. Quale sarebbe pubblica?! nata di spettacolarismo millenarista, dei Bush) è all’opinione stata la rappresaglia socaratterizzata da una linea a basso profilo, che mira Avrebbero mai potuto un vietica se gli Stati Uniti all’agitazione indiretta degli obiettivi. L’agenda? Togliatti o un Andreotti avessero preso il Vietnam Guadagnare influenza sui paesi dell’Islam attra- dichiarare sui giornali che del Nord? Molto probaverso “rivoluzioni democratiche” opportunamente la dirigenza politica italibilmente l’uso delle armi manovrate, che rovescino i governi sostenuti dal ana stava conducendo un nucleari. Quale sarà la rapblocco opposto, dal Maghreb al Medio Oriente. delicatissimo doppio gipresaglia russo-cinese se Progettando questa vera e propria discesa agli in- oco con le superpotenze? l’Iran venisse attaccato in feri che è la discesa in Cina, l’Italia è emersa tra le Raccontare all’opinione “La mia potenza è la tua potenza, la mia vita è la tua vita” seguito al fallimento delle prime zone da mettere in stato di sicurezza; quindi pubblica che “Americani e francesi ci hanno ab- trattative, o se in Pakistan l’I.S.I. venisse definitivasi è proceduto alla disintegrazione della resistenza. battuto un aereo di linea, sì, ma sarebbe ridicolo mente smembrato? Su quali obiettivi si abbatterResistenza che continuava sin dal 25 aprile 1945, per chiedere riparazione perché - siamo in guerra. ebbe? Anche se dovessimo essere colpiti, nel nostro quanto sotterranea: frutto degli intrighi con Mosca Quell’aereo civile stava coprendo il nostro alleato paese non scoppierebbe la guerra civile. Anche se e Tripoli portati avanti tanto dal PCI che dalla DC militare Gheddafi, grazie al quale - siamo ancora una bomba atomica francese piovesse sulla Sacra di (ebbene sì, dalla - Chiesa). La prima mossa della indipendenti. I morti sono stati vittime della patria, San Michele non faremmo nulla. L’indipendenza è nostra conquista avviene in Pagrazie ai quali - abbiamo vinto.”? sempre stata un miraggio, così non ci siamo accorti kistan. L’assassinio della leader Sparare missili sulla folla (da di averla persa e non lotteremo per riconquistarla. dell’opposizione (filoamericana) un aereo) è stato, ironia della Se volessimo davvero la libertà e l’indipendenza, Benazir Bhutto è letale per il govsorte, il casus che ha permesso dovremmo rintanarci sulle Alpi, in Svizzera, e poi erno di Pervez Musharraf, esa quegli stessi paesi di dichia- vivere come nei campi di addestramento di Al pressione dell’esercito pakistano rare guerra, questa volta pub- Qaeda in Pakistan. Nelle montagne, cellule indipe della sua intelligence, l’I.S.I., blicamente, trent’anni dopo. endentiste non allineate, tra permaculture nascoste collusa con frange estremiste isPolitically correct è il succo della e bunker labirintici. Invece, senza libertà e indiplamiche di Al Qaeda come Lakdemocrazia, si sa. Curiosa l’altra endenza, quando ci troveremo in un mare di merda shar-E-Taiba; anche se la Bhutto faccia della medaglia, cioè il ruolo e verranno a chiederci il conto, noi saremo come è stata eliminata, il brutale omidella cosiddetta “opposizione” quelli che crepano e vengono trovati sul cesso con lo cidio porta Asif Zardari (vedovo in democrazia. L’opposizione è stronzo che gli esce dal culo. Camerati o compagni; Bhutto) a vincere le successive sempre benpensante, assurge umanoidi; non state a pensare alle riforme, in Italia, elezioni. I servizi segreti coprivaa super-ego della comunità. nel 2014. Siate realisti, datevi al crimine. no Al Qaeda e i Talebani nei terSiamo stati abituati dalla proparitori del nord dello stato, ai conganda a considerare i nostri più fini con l’Afghanistan ribelle, la capaci strateghi come truffatori Cina e l’India. Con vicini simili è meschini, quando ovviamente Ashfaq Parvez Kayani ovvio che l’indipendenza del Paera proprio l’arte del sotterfugio kistan dipenda dal possesso dell’atomica. Il nuovo a rendere grande il diplomatico. La politica estera presidente Zardari si accorda quindi con gli ameri- italiana è stata caratterizzata da colpi di fortuna cani, permettendo loro di eseguire il raid aereo su e pure da colpi di genio, da scommesse rischiose Abbottabad nel Maggio 2011, scavalcando di fatto portate avanti in segreto da uomini poi gettati in l’autorità del generale Kayani (capo dell’esercito pa- pasto a un’opinione pubblica due volte ignorante. kistano) e commettendo alto tradimento verso il suo Purtroppo per noi, ma meritatamente, con Obama stesso paese. Morto Bin Laden e trucidati nei mesi abbiamo perso. Berlusconi e D’Alema, all’epoca i seguenti, grazie all’uso dei droni e alla complicità due custodi depositari del patto libico in Italia, sono “Lashkar-e-Taiba”: letteralmente “Esercito dei Buoni” del governo venduto, altri vertici di Al Qaeda, si stati raggirati; coglioni, perché ignari che dietro quei ALL PRIDE LONG @ HIROSHIMA MON AMOUR BEATRICE DI ZAZZO I l Torino Mad Pride nel mese di aprile stringe un sodalizio con gli altri orgogliosi della città sabauda: Bike Pride e Pride (i diversamente orientati sessualmente rispetto alla norma comune – ma stabilita da chi?). I discriminati per aver avuto il coraggio di mostrare la propria individualità a dispetto delle odierne regole culturalmente determinate, cominciano a col l oqu i ar e, aprono le porte dei propri valori e del proprio sentire verso chi, come loro, sa cosa significa essere considerato diverso. Ma proprio non ci stanno a subire l’ignoranza e la superficialità delle persone “comuni” e allora decidono di fare fronte comune per aiutarsi a vicenda e scambiare opinioni. Ne scaturiscono due serate organizzate di concerto con l’Hiroshima Mon Amour per raccogliere fondi e portare avanti la propria missione. La prima serata, quella del 3 maggio, permette al Torino Mad Pride di inaugurare la mostra “Der Tod ist ein offenen Tür” con le opere, tra gli altri, di Maurizio Ferrari e Vittorio Berto, e con una performance musicale multimediale a cura del TMP. A condire la serata, aperitivo, spettacoli e concerti de la Situazione Chimica, Stefano Amen, Sol Ruiz e Matteo Castellano; e con il Dj Set finale a cura di Baciami Stüpida. L’affluenza è buona ma non ancora adeguata al numero degli orgogliosi della propria diversità; l’incontro tra realtà così apparentemente diverse rende però bene l’idea che per sfondare il muro dell’ottusità del sentire beceramente comune, bisogna aprirsi all’altro, altrimenti ci sarebbe solo una ripetizione di schieramenti “noi-loro”. Si respira aria di “noi”. Punto. Nonostante la fatica nell’organizzare una serata che rispecchi i gusti di tutti e con metodologie organizzative profondamente diverse tra un pride e l’altro. Il confronto forse serve proprio ad avere più chiari i propri limiti e a intrecciarli con quelli altrui. Nella serata del 2 novembre il pubblico aumenta: vuoi perché i prides continuano imperterriti la loro attività 365 giorni l’anno per 24 ore al giorno, vuoi perché sempre più persone decidono di uscire allo scoperto o perché, pian piano, i cosiddetti normali cominciano a capire che, in fondo, i cosiddetti diversi non sono poi così terribili e pericolosi. Il Torino Mad Pride per l’occasione presenta l’anteprima sia dello spettacolo teatrale “Gli Ospiti Invisibili” frutto del laboratorio drammaturgico inserito nel bando europeo vinto, sia del documentario “Matti a Cottimo. Strategie di sopravvivenza” testimonianza di come un matto riesce (o meno) a inserirsi nel mondo lavorativo. Nella serata poi si susseguono sul palcoscenico “Le Brugole” con il loro spettacolo “Metafisica dell’Amore” e “Duemanosinistra” con il suo cantautorato rock. E c’è anche una lotteria per vincere una bici. Ma non tutto va come dovrebbe, ci sono chiusure e discussioni, il più delle volte tra chi non ti aspetteresti e con toni poco consoni alla presunta apertura che ci si propone di realizzare. E tutto ciò avvenuto in gran parte nel gruppo teatrale, che nonostante le tensioni accumulate nei giorni precedenti la messa in scena, riesce comunque a inscenare uno spettacolo godibile. Lode a chi ha perseguito il fine comune mettendo da parte le proprie individualità e non offendendo quelle degli altri. Agli altri non rimane che meditare sulla distanza tra ciò in cui pensano di credere e i comportamenti che ne scaturiscono. L’incoerenza è utile solo con una coerenza interna. Altrimenti, che confusione! DIVAGAZIONE SULLO SPETTACOLO “GLI OSPITI INVISIBILI” Gli ospiti invisibili è il frutto del laboratorio produttivo di drammaturgia che si è svolto da giugno a fine ottobre per realizzare lo spettacolo inserito nel bando vinto dal Torino Mad Pride insieme a Mente Locale. E’ ambientato in una metropolitana. Alcuni lavoratori pronti per la loro giornata vengono disturbati da una voce che proviene da una regione in- visibile, un’altra banchina che non c’è. Da lì la realtà inizia a scuotersi, seppure impercettibilmente: tutto sembra rimanere uguale. Gli ospiti invisibili è intenzionalmente una prova di teatro politico più che sociale, in quanto comprende nel cast pazienti e passanti che si confondono nel tentativo di creare collettivamente una drammatizzazione. Non si prefigge obiettivi di natura positiva, o ancor peggio pro-positiva. (Siamo già circondati durante la quotidianità da un anelito costante e ossessivo rivolto alla positività: ohu facciamo questo, miglioriamo quest’altro, proponiamo nuovi modi di, poniamo valori etc) ma è una “palestra” passeggera, che si muove su un tessuto epidermico sottile: quello della realtà interna di ciascuno, che tramite la drammatizzazione trova spazio e forse possibilità di azione, esistenza. Luca Atzori L’AGRICOLTURA È UN EVENTO S e già nel 1965, in “Grazie per le magnifiche rose”, Alberto Arbasino subodorava l’incombere della deposizione del nome Artaud in riviste come “Grazia” e “Oggi”, forse nell’oggi che ci interessa questo nome non può più essere utilizzato con tanta leggerezza. Il suo contributo, perlopiù teorico, ha subito la malformazione che ci si aspetta dopo ogni eventuale divulgazione, utilizzo, traduzione, interpretazione, insomma riscrittura. Jerzy Grotowski, ad esempio, ha trasformato la crudeltà in una terapia, che a sua volta si è trasformata oggi in un coacervo di stilemi, ibernati nella ricerca (l’alibi del fare e con tecnica, per questa o quella velleità). Eccezion fatta per chi questi insegnamenti se li è trovati davanti per caso, e non per trasferimento di nozioni accademiche o esercitazioni ginnico-sentimentali. L’agricoltura, che con Artaud resiste alla letterarietà servile, alla dicitura consolatoria, e in fondo alla stessa liturgia, si fa evento, e come tale diventa indeterminabile. Non è un’agricoltura “nuova” è anzi più antica di ogni altra. Non intende portare insegnamenti, positività, né tanto meno liturgia (come molti potrebbero credere). Intende essere la forma pulsante della simbolizzazione comunitaria. Certo è che quando le comunità diventano inconfessabili, il gioco si fa duro, e questo un matto da legare come l’Antonin poteva ben intuirlo. Tutti gli elettroshock (45, se non erro) non sono stati nient’altro che il fenomeno dell’invasione di una prigionia tecnica, fatta in nome di tutte le angosce che chiedono pace (e ogni Santa o Profana guerra, si svolge in nome della Pace, caro il mio dottor Führer e cara anche la madonnina che ancor oggi piange sulle mura di quelle strambe strutture). L’agricoltura che accetta l’angoscia come evento interminabile e indisposto. Pelle del divenire che solo mediante la frantumazione del linguaggio, della rappresentazione, può abbracciare un’unità originaria, suggerita magicamente negli atti illusori, mobile, ondeggiante ma né per l’uno né per l’altro occhio (mi si perdoni l’alibi novecentesco dell’ermetismo, ma è di novecento, in fondo, che stiamo divagando). L’agricoltura mi sembra in tal caso l’unico vero sciopero dal quotidiano (almeno per noi). È l’anima la prigione del corpo, e non viceversa. Per gli antichi indiani non esisteva religione, perché tutto era sacro. Quindi inutile parlare di liturgia quando la visione (veda) è l’unica forma di conoscenza. Per noi oggi è invece un cum-scindere ovvero un mettere insieme ciò che è stato diviso, pur sempre però restando legati a quella scissione. Ecco che per noi l’agricoltura ha senso in quanto forma di negazione. Un gioco che appartiene a un nostro Altro, e che si occupa proprio di distruggere fino allo stremo quell’altro ancora che siamo noi stessi (un’altra illusione, ciao mamma, ciao papi, ciao me) così sin da diventare davvero politica ma non più in senso Brechtiano (educativo, moralistico, istruttivo... insomma epico). Dovremmo, in una simile ottica, condannare l’io come omicida dei suicidi, per conto di una rete invisibile di tanti altri mandanti. Un omicidio che è sempre la condanna a un suicidio. La morte è un suicidio, al di là dell’io. Ma perché questi nomi continuano ad essere oltraggiati? Forse semplicemente perché nominati. Continuamente messi in vendita. Così che forse ci rendiamo conto che oggi all’agricoltura spetta un grande respiro. Il coraggio di accettare fino in fondo che quella parola che l’agricoltore va dicendo, è sì protesi della carne, ma anche che l’eventualità è disposta sopra un oceano di linguaggio che è sempre Altro. Parole frasi verbi ausiliari ed impersonali che sono solo frammenti vibranti di quel destino che ciascuno tiene in serbo, e che qualora resi eventuali, si miscelerebbero in cieca partecipazione, così come avviene per l’invisibile resto che si pone oltre la ragione (o centro del logos, o anche oltre Derrida). Luca Atzori 7 18 I maestri della truffa comunitaria Ovvero come vincere un bando del Fondo Sociale Europeo e farla franca SIMONE SANDRETTI* Il 15 di Ottobre del 2012 venni contattato telefonicamente da Alessandro Castelletto, regista famoso per aver girato i migliori videoclip delle band torinesi in voga negli anni ‘90 (Africa United, Mau Mau, etc...). Mi invitò in qualità di presidente del Torino Mad Pride ad incontrarlo per parlare dell’eventualità di partecipare insieme a un bando regionale, finanziato dal Fondo Sociale Europeo (FSE), per la comunicazione e la formazione alle pratiche di Pari Opportunità nel mondo del lavoro. Alla riunione ci presentammo in cinque (Luca Atzori, Chiara Abbà, Alberto Moretti, Roberto Cavalli ed Io) e lui ci disse molto onestamente che la ragione per cui non partecipava da solo al bando era che non poteva vantare un lungo curriculum in ambito sociale, cosa che nello specifico era richiesta dalle linee guida del FSE. Tornato a casa dalla riunione gli telefonai e gli dissi: «Se non fosse che un regista con un punto di vista esterno è proprio quello che ci serve per raccontare il Mad Pride sappi che sarei il primo a tagliarti fuori dal bando; detto ciò, grazie per la dritta». A seguito di questo patto informale organizzammo una piccola task-force per scrivere il progetto, in dieci giorni, composta da Chiara Abbà, con diagnosi di psicologia e diploma in ragioneria, Epaminondas Thomos, educatore greco per soldi e filosofo matto per vocazione, Alessandro Castelletto (il regista) ed Io (il disabile psichico). Furono due settimane di intenso lavoro notte e giorno intervallate da sessioni di sesso estremo per scaricare la tensione. L’obiettivo che ci ponemmo fin dall’inizio era di strutturare un progetto che fosse finalizzato a rafforzare la debole rete esistente tra i gruppi di matti presenti sul territorio locale producendo degli strumenti che potessero essere utilizzati, sul territorio italiano, da tutto il Coordinamento Nazionale degli Utenti della Salute Mentale (CNUSM). Iniziammo con l’unire la tradizione poietica dei matti (rappresentata a Torino dal Laboratorio Urbano Mentelocale) con l’innovazione mediatica portata avanti dal TMP. Tre furono i progetti che ci vennero in mente (anche perché le linee guida imponevano la realizzazione di prodotti comunicativi e formativi e non permettevano il finanziamento di attività lavorative propriamente dette): uno spettacolo teatrale da affidare a Luca Atzori (regista omosessuale matto, vicepresidente del TMP e rappresentante della Regione Piemonte nel CNUSM), un complesso portale di informazione e ricerca lavorativa che partisse dalle difficoltà dei disadattati per promuovere le loro (nostre) risorse, www. mattiacottimo.net (affidato alle eminenze grigie del TMP sotto la guida spirituale di Giuseppe Bergamin, presidente di Mentelocale e Jedi di fama interplanetaria), e un documentario sulle pratiche di sopravvivenza messe in atto dai matti di Torino: “Matti a Cottimo - Strategie di Sopravvivenza”. Scritto il bando ci dedicammo ad altro (feste, riunioni, rassegne d’arte, scrivere gli articoli per questo giornale, portare i figli al parco, cercare di scopare etc. etc.) Nell’aprile del 2013 scoprimmo con grande stupore che eravamo tra i trenta fortunati vincitori (su duemila domande presentate) del bando: 50.000 euro, di cui la metà in anticipo e la seconda metà dopo l’approvazione del consuntivo spese da parte dell’ente promotore (Agenzia Piemonte Lavoro), da consegnare, insieme ai tre progetti realizzati, entro e non oltre il 3 di Novembre del 2014. Nel frattempo che cosa è successo? Luca Atzori ha deciso di arrivare allo spettacolo finale (obiettivo numero uno) attraverso un laboratorio gratuito aperto a utenti psichiatrici e aspiranti attori non professionisti. Ha ottenuto di poter provare gratuitamente nei locali del Caffè Basaglia (un grazie sempiterno a Enzo Di Dio e a Ugo Zamburru, anche se sono dell’ARCI). Ha deciso di farsi aiutare da due professionisti dello spettacolo nell’allenamento fisico (da Donatella Lessio) e nel training attoriale (da Lucio Celaia). Dopo quattro mesi di prove le divergenze registiche nate tra Luca Atzori (drammaturgo gay) e Lucio Celaia (regista napoletano) si sono esacerbate a tal punto che i due, subito dopo la prima messa in scena dello spettacolo (“Gli Ospiti Invisibili” - 2 Novembre 2013, ore 21:30 presso Hiroshima Mon Amour, via Carlo Bossoli 83, Torino), si sono separati di fatto. Lucio si è preso lo zoccolo duro del gruppo di lavoro è ha aperto la succursale torinese del suo centro di ricerca teatrale napoletano (ARTI Teatro). Luca si è rimesso a lavorare sul suo capolavoro in progress: “Gli Aberranti”, in diretta radiofonica web su Radio Banda Larga dalla Vetreria di corso Regina Margherita 27 a Torino ogni mercoledì pari dalle 17:00 alle 18:00 fino alla fine del mondo. Appena fatto il piano dei conti per la realizzazione dei tre progetti ci siamo resi conto che il guadagno lordo dei singoli lavoratori al progetto si aggirava intorno a 1,20 € all’ora. Alessandro Castelletto, padre di una giovanissima bambina e marito di una donna dominante, ha abbandonato il progetto. Mauro De Fazio (lavoratore polifunzionale in quanto educatore psichiatrico, regista cinematografico e imprenditore edile) si è proposto come sostituto regista, ottenendo il consenso unanime (era stato tra i membri fondatori del Laboratorio Urbano Mentelocale e condivideva con il presidente del TMP la passione per le pratiche poligamiche). A lui si è aggiunto l’operatore video Andrea Spinelli (già conosciuto dagli appassionati del genere come pornoattore di video amatoriali negli anni novanta e chitarrista del gruppo hardcore Crunch). La squadra, completata da Alberto Moretti (genio nevrotico fanatico dei Beatles) e Marco Perugini (cuoco pederasta attualmente affidato a una famiglia nell’ambito di un progetto rieducativo individualizzato) ha ultimato le riprese nel settembre del 2013 e ottenuto un così largo consenso di pubblico e critica che attualmente lavora su diversi progetti documentaristici finanziati da enti sociali (Coldiretti, Caritas, Comunità Ebraica etc. etc.). Le difficoltà non sono certo mancate, prima fra tutte la rendicontazione trimestrale imposta dal FSE, che per noi labili di psyche (in greco significa essenza), risulta sempre un appuntamento ansiogeno e coercitivo dove è d’obbligo dare un tempo e uno spazio credibili e documentati al nostro modus operandi, per natura randomico e delirante (un mese a piangere in un letto seguito da 72 ore di lavoro continuativo senza neanche un’ora di sonno per recuperare, solo per fare un esempio tra i tanti). Ma sono state proprio queste ultime a permetterci di studiare tecniche di infestazione del reale, su cui si basa la nostra sopravvivenza, come matti orgogliosi di esserlo, in un’epoca e in un mondo al tramonto che ancora difendono valori morti da un pezzo quali: costanza, produttività e buon senso. *Simone Sandretti è l’umanoide in cui si è reincarnata Ishtar, Il Diavolo. COSTUME Generazioni a confronto Nel racconto di un lettore, il nostro mondo che cambia ROBERTO SAHIH* Era un venerdì pomeriggio, in casa c’erano solo mia nuora e il mio nipotino, Luigi. Quel giorno stavo leggendo il giornale su una comoda poltrona nera che c’è in salotto quando, all’improvviso, notai mio nipote sull’uscio della stanza. Egli si avvicinò e mi disse “Perché invece di leggere il giornale non guardi il telegiornale alla tv?” Abbassai gli occhi su di lui e risposi “Il giornale è molto meglio del telegiornale perché esercita in modo attivo la mente e offre più notizie” “Sì, ma il telegiornale ti fa vedere i fatti e inoltre è più aggiornato perché viene trasmesso più volte al giorno mentre il giornale esce solo al mattino.” Alle parole del mio nipotino risposi quasi immediatamente “A parte il fatto che se ci sono notizie importanti si pubblicano le edizioni straordinarie, voglio farti una domanda: quando completi un album di figurine cosa guardi di solito, le immagini o le scritte?” Luigi ci pensò un po’ e replicò “Ma che domande, le immagini dei calciatori, è ovvio!” In seguito il nipote accese la tv e guardò i cartoni animati, io intanto riflettevo sul nostro dibattito. Accidenti come sono superficiali i giovani d’oggi! Guardano più le apparenze che i contenuti, ciò non va affatto bene, ne dovrò parlare con mio figlio Aldo. Verso sera, Aldo tornò a casa e gli andai incontro. “Cosa c’è papà?” mi disse con tono calmo. “Tuo figlio da più importanza alle apparenze che alla sostanza, dovremmo fare qualcosa...” Aldo appoggiò il cappotto sulla sedia e replicò “Non mi sembra molto grave, dopotutto ha solo nove anni, è ancora giovane. Piuttosto andiamo a mangiare, papà.” Mi diede una pacca sulle spalle e si recò in cucina, dove erano già a tavola sua moglie e suo figlio. Deluso, andai anche io. Mangiai solo il primo piatto, poi diedi la buona notte ai miei cari e mi recai in camera mia. Passai tranquillamente il sabato e la domenica, più che altro a letto, leggendo e dormendo. Il lunedì mattino accompagnai a scuola mio nipote, dove c’erano già i suoi compagni che lo aspettavano per scambiare le figurine dei calciatori. Poco dopo passò un ragazzo con la pettinatura a cresta, tutta colorata di rosso, e che inoltre portava i pantaloni stracciati e due orecchini al naso. Tutti i bambini si misero a ridere e io dissi “Non mi sembra il caso di prenderlo in giro, non si giudicano solo le apparenze, può darsi che quel ragazzo sia buono e onesto.” “Non credo proprio” disse una signora “Lo sanno tutti che quello lì è stato rilasciato dalla polizia poche settimane fa; quel ragazzo era, e probabilmente è ancora, uno spacciatore di droga!” Rimasi a bocca aperta, intorno a me c’erano tutti i bambini che ridevano e i genitori che mi guardavano con rimprovero. Non mi ero mai sentito così umiliato. *Roberto Sahih è un umanoide autore di racconti e videogiochi 8 Il Pensiero Magico - Parte II C hiunque cammini sulla realtà, ovvero quel che gli accade, è come una porta. Agire su questa realtà è un gioco. Normalmente la conoscenza viene pensata come qualcosa di simile a una protesi. La conoscenza è qualcosa che deriva dall’esperienza. La visione si pone con lo svolgersi. Spinoza ha superato Kant prima che quest’ultimo nascesse. Non tutti sanno di fare questo cammino. Così capita spesso che per essi accada di scegliere pochi istanti. Il genio fa un errore. Un errore al quale tutto si adegua. L’errore è una x sul foglio della logica. Perennemente la logica cerca d’aggrapparsi: quello è il lavoro che il genio fa contro se stesso. Lo fa perché la logica è sbagliata. Un grattacielo. Bisogna farlo alto. E bello. Ma incompiuto. Prendere in mano la chiave per entrare in quella porta. Una porta che ci restituisca il nostro accadere. Senza case siamo vagabondi. Costruiamoci una casa, e una città. E lasciamo tutto incompiuto. Nella dialettica hegeliana il momento dell’astrazione coincide con il particolare che non può essere colto nel movimento d’insieme in quanto, appunto, si astrae dallo spirito. Ad esso segue prima il momento della negazione (idea fuori di sé) poi quello dell’Aufhebung, ovvero il superamento, che è sia superamento dell’opposizione che sua conservazione. La dialettica procede per costanti negazioni, pensate come momenti necessari alla determinazione positiva. Georges Bataille teorizzava quello che Derrida ha definito un “hegelismo senza riserve” ovvero una dialettica amputata del momento di Aufhebung. È prestando attenzione a questa sottrazione, infatti, che possiamo notare come il circolo dialettico, in sé, sia ascrivibile a una totalità definita entro la quale il superamento coincide con una capitalizzazione, una progettazione soggettiva da ricondurre all’interno di un ambito utilitaristico e lavoristico, e che non appena viene privata di questo momento si vede sfociare nell’ambito del dispendio, di un’angoscia originaria senza possibilità di tregua, del non-sapere come inizio e fine nella coincidentia oppositorum, ovvero il Sacro. Bataille, da allievo di Kojeve quale era, indicava come estremi attori di questo processo le figure del servo e del padrone. Il servo che lavora per il proprio padrone e il padrone che capitalizza per arricchirsi e godere del limite circoscritto entro quella stessa dimensione utilitaria, che a sua volta rende possibile il perpetuarsi del lavoro e quindi della civiltà stessa. Come Ulisse nel dodicesimo canto, che Adorno paragonava ne La Dialettica dell’Illuminismo al borghese, il quale per non schiantarsi contro le rocce, attratto dal canto delle sirene, decideva di tappare le orecchie dei suoi servi, legare se stesso, affinché potesse godere dell’ascolto e la nave potesse continuare ad andare avanti. La stessa vertigine coincide con l’abbandono all’originarietà, pensata qui come condizione immanente dove ogni forma di identità diventi circoscritta entro l’ambito trascendente, di per sé sufficiente a costituire la soggettività stessa. In Bataille, la fuga della soggettività avviene non tanto nella ricerca di un altrove del desiderio, e quindi nella ricerca di una soggettività altra, ma piuttosto nel sacrificio come atto di uscita fuori dall’ambito dell’utile. In questo la dialettica viene ad assumere un valore paradossale, perché la circolarità determinata dall’equazione “ciò che è razionale è reale e viceversa” diventa “nell’ambito della ragione ciò che è razionale è reale e viceversa” così fuori del godimento, anche la realtà non è che un momento di incanto. Da qui la considera- di Marco Mesner zione che sorge è questa: posto uno sguardo impersonale di non appartenenza, il circolo si muove secondo una rotazione paradossale, desoggettivata; e il canto delle sirene apre una lacerazione ontologica dove la stessa essenza dell’io si fa incanto, così che il pensiero finalmente rinunciatario dell’identità, dal processo di annientamento soggettivo, può riaffiorare, mediante una volontà destoricizzata. Lo stagno deve diventare specchio. Ma nel momento in cui diventerà specchio sarà composto d’acqua. Noi ci guarderemo come riflessi, ma subito dopo toccheremo l’acqua e vedremo che sarà possibile toccarla e che ogni volta che lo faremo l’immagine cambierà, prenderà la forma dell’acqua. Così capiremo che quella era solo un’illusione. Ma quando il riflesso si ricomporrà torneremo a crederci. Crederemo che essa Georges Bataille sia separata da noi e facendo questo non ci renderemo conto di essere in balia di un’altra illusione. Poi capiremo che non solo l’acqua, ma anche l’aria, gli alberi, le strade, i grattacieli, tutti si muovono insieme a noi. Infine vedremo che anche noi siamo un’illusione. Che il nostro presente, il nostro passato e il nostro futuro sono parti di un’unica sostanza che è anch’essa un’illusione. Più saremo noi quella sostanza, più saremo i “padroni” (il contrario del padrone non è lo schiavo, ma qualcosa che qui abbiamo virgolettato) delle illusioni. Forse lo capiremo quando ci arrenderemo e rinunceremo all’illusione della non-illusione. prossimamente CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO... CHE COS’È LA GUERRA DI QUINTA GENERAZIONE? Into the Fouth Generation” delineava con un certo anticipo gli scenari di “guerra al terrorismo” che abbiamo imparato a conoscere dopo gli avveSu queste pagine incontriamo spesso termini specifici del gergo psichia- nimenti dell’11 settembre. Lind teorizzava una guerra in continuo mutatrico e, per quanto possibile, cerchiamo di spiegarli ai non addetti ai lavori mento, in cui vari livelli (chiamati inizialmente generazioni, in seguito e attraverso specchietti e glossari ad hoc. Un’altra parola difficile si è insi- più precisamente gradienti) determinano strategie diverse: ogni nuovo linuata frequentemente tra le nostre pagine, una parola dall’origine mol- vello sconfigge sul campo il precedente. Le prime tre “generazioni” vedoto più oscura e che, anche se le meriterebbe, per ora ha ricevuto meno no un crescendo di organizzazione centralizzata: sono gli eserciti regolari, spiegazioni, forse anche perché l’argomento così arduo può scoraggiare: la guerra cosiddetta napoleonica. Con la quarta si assiste a una curiosa sto parlando del termine “magia”. È evidente che quando si parla di ma- involuzione: gli attori non sono più gli eserciti regolari delle nazioni, bensì non-stati, organizzati in cellule dislocate dalla gerarchia gia su queste pagine non si vuole far riferimento all’ilorizzontale. Niente divise, niente capitali, niente confini. lusionismo, alla prestidigitazione o a qualsiasi forma di Il “terrorismo”. Singoli agenti che provocano danni enorspettacolo circense; si vuole piuttosto fare riferimento alla mi, organizzazioni impossibili da smantellare in un solo “vera” magia, alla magia come miracolo; eppure, ecco colpo: gli stati sembrano fare a pugni con le mosche, le che per funzionare la magia non deve essere “vera” né loro maggiori dimensioni sono diventate uno svantaggio. santa. La magia che ci interessa solleva problematiche di Secondo le loro stesse previsioni, le strategie da guerra ordine filosofico ancor prima che scientifico, e ci deve far di terza generazione (l’uso massiccio dell’esercito che riflettere in primo luogo sul linguaggio che utilizziamo. vediamo ancora oggi in Afghanistan o in Iraq) vengono Il primo a porsi il problema di distinguere tra magia e inesorabilmente circumnavigate dalle organizzazioni più magia, tentando una definizione più rigorosa, fu il nosnelle, senza una patria da difendere. Così, gli americani stro beniamino Aleister Crowley, che utilizzava tra l’altro si sono messi disperatamente a studiare le caratteristiche una grafia diversa (magick piuttosto che magic) per didi un teorico quinto gradiente, le strategie da seguire in stinguere l’oggetto dei suoi interessi dalla banale ciarlauna guerra di quinta generazione, che sconfiggerebbe Al taneria. Secondo Crowley “la magia è la scienza e l’arte di provocare cambiamenti in conformità con la volontà”. Qaeda e affini. Se i gradienti più bassi sono caratterizzati Arthur C. Clarke Quindi, ogni azione volontaria è un atto magico; resta da un uso più “cinetico” della forza, più evidente, man da capire quando si possa davvero parlare di volontà. Passiamo ora ad mano che si sale la scala della guerra ci si avvicina invece all’invisibiliun’altra definizione molto interessante, quella lasciataci dallo scrittore di tà. Si desume che la guerra di quinta generazione più efficace è quella in fantascienza e inventore Arthur C. Clarke: “Ogni tecnologia sufficiente- cui non solo non c’è un uso esplicito della forza, ma addirittura in cui il mente avanzata è indistinguibile dalla magia.” Non si parla di volontà, nemico non si rende conto di essere entrato in guerra, non si rende conto non si considera l’atto magico dal punto di vista di chi lo pratica ma da di chi siano i suoi nemici, non si rende conto di poter vincere e non si parte di un osservatore esterno; si sottolinea come la non-trasparenza di rende conto di aver perso. Una guerra di quinta generazione svolta con un processo basti a renderlo magico: se A causa B, ma non si capisce come, efficacia è una guerra totalmente segreta. Ed eccoci all’ultima definizioci si trova di fronte a una magia. Ciberneticamente parlando, la magia di- ne di oggi, che è recentissima e nata dalla penna di un altro colonnello pende dall’opacità della black box, dalla nerezza della scatola nera. Con- dei marines (Rees, 2009): “L’applicazione efficace della guerra di quinto cedendoci un altro salto ardito, passiamo a considerare una definizione gradiente è… indistinguibile dalla magia”. La magia viene finalmente di guerra, invece, quella di Carl Von Clausewitz: “la guerra non è che la reintrodotta nel discorso ufficiale e, guarda guarda, addirittura per deprosecuzione della politica con altri mezzi”. Forse a qualcuno iniziano a finire la guerra, quanto esista di più drammaticamente pragmatico al suonare dei campanelli in testa, ma dovremo compiere ancora un paio mondo. Spero di avere stuzzicato a sufficienza la vostra immaginazione di passaggi perché la pertinenza di questo excursus sulla guerra si riveli con questo articolo (per forza di cose troppo sintetico) così da poter avchiaramente. Nel 1988, William S. Lind pubblicò sulla gazzetta dei ma- viare un dibattito più approfondito sull’argomento che dovrebbe esserci rines un articolo destinato a fare scalpore. “The Changing Face of War: più caro e che affrontiamo più di rado: la magia e il suo utilizzo pratico. LORENZO PEYRANI mrozinski “mad pride” il nuovo album 9 16 Un buffet per due - Parte III SCRITTI PROPEDEUTICI ALLA COSTRUZIONE DI UNA MACCHINA DEL TEMPO Due stronzi alla corte di Re Artù: considerazioni di viaggio ed esegesi del Graal. La comparsa di una voce inquietante. Un faccia a faccia con la morte. di Lorenzo Peyrani Parte II: dopo la macchina del tempo economica ecco la macchina del tempo fisica, sulla quale si specula a partire dalle teorie di Einstein e anzi dalla loro esasperazione. Sul prossimo numero ci occuperemo invece - finalmente - di questioni filosofiche. C arissimi. Gli aspetti della teoria della relatività che suscitano insieme scetticismo e fascinazione sono innumerevoli, ma oggi vi chiedo di riportarne alla mente uno in particolare, quello cui ci si riferisce di solito come “paradosso dei gemelli”. Questa la storia, in breve: due gemelli, per sorte o artificio, subiscono destini opposti; A rimane sempre all’ovile materno, B diventa l’astronauta che per primo sperimenterà velocità vicine a quelle della luce. Dopo il suo viaggio al fulmicotone, B torna a casa e trova A sensibilmente più vecchio di lui. Eccoci messi di fronte a una delle conseguenze della teoria della relatività più difficili da accettare: a velocità maggiore corrisponde un più lento trascorrere del tempo soggettivo. Se qualcuno viaggiasse (quasi) alla velocità della luce, quello che per lui trascorrerebbe in un secondo durerebbe anni per i suoi contemporanei più lenti. Ne avrete sentito parlare. Io ero un ragazzino quando sentii raccontare questa storiella per la prima volta, ma da allora non ho smesso di pensarci. Anche quando ero ragazzo progettavo di costruire una macchina del tempo; d’altra parte non c’è niente di strano: è più singolare continuare a farlo alla mia età che fantasticarci su, da bambini; la mia costanza durante il corso degli anni, piuttosto, potrebbe indicare la tara della demenza; ma non lascerò che questo mi abbatta. Fatto sta che mi trovai a studiare fisica al liceo scientifico; durante quelle ore, alcune lacune nell’indottrinamento impartito dai professori, certi buchi della cui chiusura e circoscrizione non mi avevano convinto, stuzzicavano la mia curiosità, promettendo vie di fuga. Ero alla ricerca di un’osservazione che minasse la loro sicurezza; speravo di colpirli in un punto debole e far crollare il castello di carte su cui si basava la loro dottrina, e magari diventare io il professore. Nel caso in questione, leggendo la descrizione del modello atomico planetario, secondo il quale gli elettroni si muovono a velocità grandissime, paragonabili a quella della luce, su orbitali che circondano un nucleo costituito da neutroni e protoni, mi sorse spontanea una domanda: chi decide dove inizia e dove finisce un corpo? Quando si deve considerare la parte (per esempio l’elettrone) e quando l’insieme (l’atomo? O tutto il corpo, magari umano? O l’universo?)? E se ogni corpo è costituito da materiali o tessuti, a loro volta costituiti da molecole, a loro volta costituite da atomi, a loro volta costituiti da particelle come elettroni e protoni… come si può stabilire un’unica velocità per un corpo? Sarà pur vero che, nella mia interezza di animale, posso stare fermo sul divano oppure sfrecciare sopra a un aereo; ma i miei elettroni si muoveranno sempre più veloci di me. Allo stesso modo io sarò sempre più veloce della Terra, perché anche da “fermo” essa mi trasporta con sé. Di conseguenza la Terra è più veloce del Sole, il Sole più veloce della galassia e la galassia più veloce dell’universo. Ecco che l’ennesima teoria nasceva nella mia mente giovanile e incline alla metafisica: ogni insieme è più lento delle parti che lo compongono; e ancora, ricordando che “a velocità maggiore corrisponde un più lento trascorrere del tempo soggettivo”, derivavo qualcosa di ancora più forte: il volume è direttamente proporzionale all’età. Proviamo a darlo per buono, a prenderlo per ipotesi. La scala delle magnitudini¹ si presenta ora come vero orientamento dell’asse temporale. Che scenario: solo l’universo nella sua interezza è abbastanza “vecchio” da aver raggiunto il presente assoluto, al contrario le sue parti costitutive sono più “giovani”; ma non già nel senso che siano emerse in seguito (poiché l’origine è comune all’insieme e alle parti), bensì nel senso che esse “non sono ancora arrivate”, che esistono nel passato, che si “ambientano” nel passato. Se il “presente” dell’universo si situa qualcosa come quindici miliardi di anni dopo il Big Bang, la sua supposta origine, il presente di una galassia allora avrà solo cento milioni di anni, quello di una stella tre milioni e quello di un pianeta mezzo. Il presente di un umano solitamente non dista dall’origine più di un secolo e quello delle molecole qualche mese… Per gli elettroni si parla di giorni. A conferma di ciò, atomi e molecole ricordano strutturalmente le formazioni dell’universo primordiale e, al di sotto di una certa dimensione minima², le nostre misurazioni si scontrano con un misterioso caos quantistico: non possiamo osservare senza modificare. Così piccolo da precedere la Creazione. L’intero passato risiede nel mio corpo ed è il futuro a circondarlo. “Presente soggettivo” significa “pelle”. La pelle che mi separa dai miei colleghi umanoidi, il confine tra un corpo e l’altro che è terrore della morte, il presente cieco. Se il passato è nel dettaglio, è “alla base” tutto lo spazio; presente e futuro ne sono letteralmente costituiti. Come si può viaggiare nel tempo, allora? E si può davvero parlare di "viaggio" se a cambiare è il volume e non la posizione? Non esiste un modo per rimpicciolire o ingrandire un corpo; e, se anche ci fosse, una creatura potrebbe sopravvivere? Rallentiamo. Io sostengo che le tecnologie per farlo esistano già, invenzioni risalenti agli ultimi decenni, ma per capirlo facciamo un passo indietro. Prima di spingerci tanto in là da valutare il rimpicciolimento o l’ingrandimento dei corpi, prendiamo in considerazione una via più umile: quella della lente, che ingrandisce solo le immagini. Il microscopio ci ha permesso di investigare il funzionamento della vita microscopica e di quella arcaica allo stesso tempo. Sarebbe stato difficile individuare nei microbi le specie viventi più antiche, prima che gli scienziati ci aprissero gli occhi sulla loro esistenza; tantomeno comprendere il passaggio da sostanze inorganiche a tessuti viventi senza l’idea di cellula. Inizia l’interazione con il mondo dell’infinitesimamente piccolo, le tecnologie mediche si raffinano: si affinano. Un bisturi è già una macchina del tempo. Per non parlare di una bomba atomica. E pensiamo agli sviluppi recenti in campo genetico. La mutazione controllata, cui assistiamo con la creazione degli organismi ge- neticamente modificati, è un salto nel futuro o comunque in un altro tempo, reso possibile da tecnologie che lavorano con grande precisione e su scale infinitesimali; per le quali, guarda caso, si è sentito necessario coniare il termine “nanotecnologie”, come a sottolineare un salto qualitativo che le rende un campo tutto nuovo. La genetica applicata si è rivelata proprio l’arte di far viaggiare nel tempo gli esseri viventi. Basta una sottile modifica al passato, per esempio a quel passato remoto che è il DNA, ed ecco una patata diversa, qui e ora. Lungo quale linea temporale si è evoluta questa specie di patate? Fatevelo dire: lungo una linea temporale alternativa, in un mondo parallelo. Questa patata è Biff che diventa ricco grazie all’almanacco sportivo, è Marty che diventa trasparente³. Potrebbero cambiare il passato e farci sparire tutti. Oppure, se non lo facciamo noi per primi, potrebbero essere quei maiali dei nostri figli a cambiarci la vita: non ci varrà a nulla essere già morti. Di macchine del tempo siamo circondati, al giorno d’oggi. ¹ con scala delle magnitudini banalmente si intende la scala dei volumi: si va dal quark all'atomo, alla molecola, al tessuto, all'organismo, ai pianeti, alle stelle, ai sistemi planetari, alle galassie, fino all'universo stesso. ² 1,616 252 × 10-35 metri è la “lunghezza di Planck”. Un cubo con lunghezza di Planck di lato è il cosiddetto “spazio di Planck”, al di sotto del quale la materia si comporta caoticamente. ³ personaggi di “Ritorno al Futuro”. CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO… Peyrani - Sono seduto al tavolo di un locale nel centro di Torino, quando mi squilla il cellulare. È Simone Sandretti, il presidente del Torino Mad Pride, e mi passa Fabrizio Gargarone, detto Gargamella, patròn di Hiroshima Mon Amour. Mi metto sull’attenti. “Potremmo avere Blixa Bargeld come ospite per la vostra serata del 2 novembre, che te ne pare?” Garga ricomincia a parlare, accennando alle questioni economiche, ma cade la linea. Per un attimo il mio pensiero vaga. Blixa Bargeld. Penso al mio articolo sulla Sveglia, quello autobiografico, il “Buffet a Deux”. E penso ad Atzori. Aveva scritto un bel pezzo riguardo quei giorni in cui Blixa gli parlava nel cervello, durante una crisi d’astinenza da antipsicotici - una settimana per me splendida, tra il finire di Ottobre e gli inizi di Novembre 2004, a Berlino. Sarebbe stato perfetto, rimugino, come pubblicità alla serata. Peccato sia andato perso: dovrò chiedergli di riprendere la narrazione da quel punto, di riscriverlo… Atzori - Più che un concerto sembrava un doposcuola. Blixa Bargeld faceva da direttore e tutti gli altri il coro. In mezzo vedevi anche persone di una certa età che però, a quanto pare, erano rimaste troppo attaccate all’infanzia. Io ero coinvolto in questa buffonata, ma non stavo certo tra le fila dei partecipanti. Vagavo per il Palast der Republik di Berlino pieno di rabbia per la situazione ridicola in cui mi trovavo. Ero, inoltre, un po’ deluso da Blixa Bargeld. Mi sembrava un imbecille, un “convinto”, uno che stava facendo una porcheria e che si stava pure impegnando per farla, quasi fosse un dovere. In quei giorni avevo deciso di farla finita con la terapia farmacologica. Questo mi generava scompensi che era difficile ignorare. Seguivo il flusso ondivago di ogni sensazione, pativo ogni carenza estetica (intendendo come tale ogni identità ravvisabile). Era una situazione così adolescenziale. Io dovevo uscire dall’adolescenza e invece mi ci trovavo incastrato in maniera beffarda e sprecata. Blixa mi sgridava telepaticamente: voleva che mi inserissi nel coro. Io non ubbidivo. Quella disciplina che lui mi proponeva, non m’interessava. Non volevo far parte di quel gruppo. Io non ero un fan degli Einstürzende Neubauten. Non me ne fregava niente. Ero senza farmaci, quindi vomitavo, deliravo. Quel concerto non valeva nulla, e ancor meno valeva rispetto a quello che io ero capace di sentire e vedere. Io ero il tempo e lo spazio. Ero io a determinare il confine del reale, perché il reale scaturiva da me, da un sé che respirava attraverso i miei polmoni e che ad ogni movimento di diaframma generava nuovo spazio, nuova realtà, nuove allucinazioni. Ma non ero certo in grado di vivere questo stato in maniera cosciente, così lo pativo. Creavo realtà frammentate, che appartenevano ciascuna al tessuto di parti disunite. Era come se si aprissero tante finestre sulle cose e queste girassero intorno alla mia testa-lavatrice. Sentivo, percepivo la mia testa come una lavatrice. Non volevo allinearmi al loro ritmo, così cercavo di crearne di nuovi. Tentavo di trasformare in musica i rumori che provenivano da quel contesto sonoro. Non sopportavo quella musica. Sembravano tutti burattini di Blixa Bargeld: un coglione tedesco con il panzone che faceva il dark dandy vivendo dell’eredità della sua ormai consumata aura mistica. L’astinenza da farmaci rendeva il dolore un elemento ancora più esteso. Era così perché avendo assunto per un mese quelle pastiglie mi ero disabituato alla necessità dell’intelligenza. Affidavo a qualcosa d’altro il compito di porre tregua a tutte le confusioni. Il risultato era un sonno inutile e una debolezza che mi rendevano fragile agli attacchi dei demoni che io stesso creavo dalla superficie della mia epidermide emotiva. Intanto erano tutti lì che cantavano in coro. C’era anche Peyrani, anche lui coinvolto in quella schifezza. Credo che quel che più mi terrorizzasse, in quel che stava succedendo, fosse il “fatto” che accadesse realmente. Ad esempio, Peyrani mi appariva come un ragazzino. Aveva vent’anni, in fondo. Blixa era un signore che faceva l’alternativo e che l’underground anni ottanta aveva reso un professionista. Ma poi, a lato, c’erano i loro sé: vivi, agivano. Comunicavo con essi telepaticamente, li vivevo. Ma loro avevano di sé una coscienza parziale. Questo non poteva che terrorizzarmi, perché tutto quel che mi accadeva aveva qualcosa di abominevole in quanto alieno, vicino alla biologia, separato dal civile. Questa realtà non potevo che viverla passivamente. Forse fu proprio quella passività a salvarmi. Un’intima gioia Zen che mi accompagnava. Facevo un lavoro segreto, sottile, insomma assurdo. Peyrani - A Berlino avevo con me la videocamera con la quale ero solito riprendere le nostre grottesche imprese, ma le immagini del concerto che rividi in seguito non le avevo filmate io. Altri fan, con macchine digitali simili alla mia, diretti dall’alto, fornirono tutto il girato necessario al dvd che uscì l’anno seguente. La grana fredda delle immagini mostra una continuità perfetta con le nostre riprese dell’epoca, e le scene in cui appaio rafforzano l’impressione. Atzori, invece, non compare nel dvd. Mi chiedo se due mesi dopo le cose sarebbero andate nello stesso modo. Forse no; o forse invece le situazioni si ripeteranno sempre uguali. Fatto sta che per me era in agguato un grosso cambiamento, un cambiamento che si era preparato nell’ultimo anno e mezzo. A Berlino Luca ed io viaggiavamo su piani completamente diversi. Lui era disincantato mentre io entusiasta; lui abulico, io fanatico. Due mesi dopo mi sarei trovato cambiato per sempre, e terrorizzato: sulla soglia della mia nuova vita. Ricordo ancora quando venne a prendermi Atzori, l’unico d’altra parte che potesse capire la situazione, e mi trovò nella mia stanza, che blateravo di demoni; terrorizzato, per l’appunto. Mi guardò dispiaciuto, quasi come se si sentisse in colpa. Era un’espressione che non gli avevo mai visto, infatti mi colpì ulteriormente e la ricordai. Pensai, la faccenda è veramente grave. In quella notte di terrore trovai, per quanto stravagante, la mia stella fissa. Quando nel 2010 incontrai Simone Sandretti in preda al delirio, mi sentivo perfettamente a mio agio, come se non fosse passato un giorno. Fu naturale credo, che il Torino Mad Pride nascesse dall’incontro tra Sandretti e Atzori ed io. Anche se le allucinazioni passarono, cioè, anche se distrussi il transfert che permetteva le allucinazioni, la mia vita seguente fu ed è tutta frutto di quell’impulso iniziale. Cosa avvenne, durante quei due mesi, per avere un effetto così dirompente? Conobbi qualcuno. Luca mi diede un nominativo, il nickname di una certa persona, una ragazza, vera, in carne e ossa come noi, che lo torturava. Ma come poteva torturarlo, se si erano visti solo due volte e in pubblico, come poteva se era solo una ragazzina che viveva in un’altra città? Ovviamente non era veramente lei a torturarlo... d’altra parte Luca non era il solo a sostenere che la ragazza fosse telepatica. Un ragazzo di Firenze diceva lo stesso. Dalle loro testimonianze sembrava che lei avesse un influsso fortissimo, come quello di un guru o di una bodhisattva, ma anche che l’influsso esercitato fosse pestifero. Tutti finiti ad antipsicotici. Ed eccoci tornati all’inizio della storia: “Afasia era il nome, sul campo telematico...” Ma se Luca sapeva tutto ciò e, cosa più rimarchevole, se era innamorato di lei fino all’ossessione, perché mai mi disse di andare a cercarla? E perché mi spiegò come trovarla? Atzori - Avvertivo di fare parte di una rete di persone sparse per l’Italia. Già, perché non era vero che la mia amica Afasia generasse la follia nelle persone. La verità è che esistevano (ed esistono tutt’ora) persone sparse per la nazione, che sono accomunate da un’affinità estetica e perciò etica. Persone sole, distanti, che anche se raggruppate non risolverebbero nulla, perché appartenenti a un’oligarchia ridicola, vicine ma senza coscienza. Persone che stanno costantemente lavorando insieme pur non essendone consapevoli (che ingiustizia). Questa follia iniziava ad accomunarci e io riconoscevo nelle persone quei tratti che potevano distinguerle. La follia era diventata una mania di selezione. Cercavo solo quelle persone che potessi riconoscere quasi fossero parenti, o compagni di sogno. Linda era una di queste persone. E anche Piero. Ogni tanto il bisogno di incontrare persone simili diventava ossessivo. Ecco perché avevo deciso CONSCIAMENTE di contagiare una mia amica (Beatrice), quella con cui suonavo, che condivideva con me l’immagine di un aereo che saliva e le voci sotto che dicevano “Enoch sale in cielo!”. Sì, lo ammetto, io la volevo contagiare. Così come volevo contagiare altre persone. Perché no, lo dico, io volevo contagiare anche Peyrani. Che cos’è il contagio della follia? Il senso esterno non è che un senso interno esteso, condiviso. Io volevo solo che il mio senso interno si estendesse per far sì che potesse modificare la realtà intorno. Ho iniziato dai miei amici più stretti. Era giusto così. Il contagio nella follia è questo. E dimostra che non esiste follia, ma solo soggettività dinamica, simile a un’onda temporale indistinta al mondo di ciascuno. Noi che facevamo (e facciamo) parte di quella rete, avevamo (e abbiamo) questo compito. Niente di troppo macabro o ottocentesco. È natura. 15 10 Peyrani - Andai su internet, trovai la chat. Trovai un’identità virtuale a nome Afasia, le lasciai un messaggio. Le scrissi che ero amico di Beatn|k (il nickname di Atzori), che mi aveva raccontato di un uomo misterioso che le era entrato nella testa, un uomo con un occhio di vetro, e le buttavo due esche per farla raccontare, citando con vaghezza parole di Jung, che avevo letto per la prima volta quell’autunno, e di Eliot, sull’archetipo del Vecchio Saggio, che definivo “mercante” e “marinaio”; come se quell’uomo dall’occhio vitreo dovesse essere un suo sogno, o sua allucinazione; comunque il simbolo di una forza inconscia e non un uomo in carne ossa. Ne ero convinto, infatti: Atzori me l’aveva descritto come una visione; probabilmente perché pensava che fosse davvero tale. Tre anni dopo, il migliore amico di Linda, Nicolò Serafin, mi confermò che non era così. L’uomo dall’occhio vitreo era un barbone, che anche lui aveva incontrato più di una volta, un uomo che vendeva tessuti colorati sulla piazza del paesino... Ma procediamo con ordine: dopo che le scrissi quel messaggio, passarono solo un paio d’ore e poi arrivò questa mail: io non so quanto ho capito o quanto io voglia capire di ciò che mi scrivi. quale significato portino le immagini del mercante e del marinaio mi interessa relativamente.ero in una piazza vuota la prima volta che vidi l’uomo dall’occhio vitreo, lui corse verso di me e mi gridò “è liberato!” indicando il campanile. venne a liberarmi dalle premure del macigno affinchè potessi interpretare le simbologie del vetro e del ferro. Lo rividi spesso nei dintorni della piazza la mattina presto. poi scomparve e io rimasi ad aspettarlo s i n o a l l a notte americana quando mi diede l’addio. camminavo in una via a n g u s t a e d’improvviso dal cielo calò sulle case un sipario di pece. tutto si velò nuovamente. -non ho portato a termine il mio compito. il profeta bambino dagli occhi plumbei mi ha avvisato. solo cinquanta. ora l’uomo dall’occhio vitreo è tornato. sedeva per terra nella piazza vuota. il suo occhio mi ha trafitto. non sono stata di parola. Io sicuramente ero giovane, avevo vent’anni ed ero più credulone che mai. Ma era una ragazzina anche quella che mi scriveva? Aveva diciassette anni? O era qualcuno di più vecchio, magari un uomo di trenta, che mi prendeva in giro? Oppure un bambino geniale? Il tono con cui tagliava corto il mio balbettio ignorante era severo, poi però proseguiva scrivendomi apertamente, indifferente a chi fosse davvero il suo interlocutore, ermetica come se dovesse riferire soltanto a sé; infine epica, spettacolarizzante e distaccata come un’adolescente che s’improvvisa romanziera, un po’ per scherzo. In seguito riuscimmo a chattare. Quando la vedevo in linea mi emozionavo tantissimo, poi le parlavo anche se con qualche esitazione. Da un lato i suoi discorsi mi illuminavano, dandomi da pensare per giorni, dall’altro mi riempivano di vergogna, non tanto per la mia ignoranza, che veniva sempre e comunque al pettine, quanto la mia poca purezza. Scrivendo con lei mi per rendevo conto di quanto le mie parole fossero volte a coprire qualche debolezza, a imitare qualche sentito dire, insomma strategiche, insincere; con tutte le forze cercavo di migliorare per scrivere come lei. Il suo stile era ossessionante, quando una nuova stringa si aggiungeva in chat mi pareva di dovermi battere la mano in fronte ed esclamare “Come fa ad essere così precisa? Così disinteressata?” Inoltre mi scriveva di cose bellissime, di Yves Bonnefoy, di Dino Campana, di Mallarmé, di Deleuze, di Carmelo Bene, di Rimbaud, di Le Corbusier, di Andrej Belyj, e mi mandava musiche stupende, da Paolo Conte ai Tuxedomoon, da Piero Ciampi a Terry Riley, tutto in poche conversazioni, linee guida critiche di un’estetica matura che mi avrebbero influenzato sempre. Inoltre faceva cose strane; per esempio, il solletico. Si arrivava a volte in chat a momenti molto intensi. Come in un film in cui taccia improvvisamente l’accompagnamento musicale, ecco che la chat rallentava, si fermava del tutto. Intanto il cuore a mille, una tensione spropositata. In quei momenti mi pareva di sentire la stanza da cui scriveva. Sapevo dai suoi racconti che si trattava un seminterrato blu cobalto, integralmente blu cobalto: mobili pareti soffitto soprammobili coperte e lenzuola… a parte il pavimento, di legno, tutto era blu cobalto, anche se il colore preferito da lei era in realtà il blu di Prussia, e suo fratello il blu oltremare… La sentivo spostarsi in quella stanza che si sovrapponeva alla mia, alla mia percezione di casa mia, come un sogno ad occhi aperti. Sentivo tintinnare. Un’atmosfera di estremo oriente traspirava da quella stanza: India, Tibet; Giappone. Poi mi faceva il solletico. Mi rendevo conto di averla lì, di fronte a me per modo di dire, in quell’altra stanza, e lei allungando le mani poteva attraversare il mio petto! Se si potesse definire il corpo di quella stanza che percepivo a spizzichi e bocconi come un corpo “astrale”, allora i nostri corpi astrali non erano impenetrabili come quelli fisici. Piuttosto, erano volumi di emozione trattenuti da membrane di senso. Sapeva entrarmi nel petto colle dita e solleticarmi, con tenerezza infantile ed erotica, il cuore stesso. Mi buttava giù dalla sedia (non resisto al solletico) senza neanche battere una parola sul computer. E ammetteva di farlo, senza scendere in dettagli: “È un’arte antica” tubava. Fu in quei frangenti che iniziai a sentire la sua voce. Era una voce-pensiero senza polmoni, di una sincerità devastante. Sembrava anzi che la sincerità assoluta del desiderio di comunicare un determinato messaggio fosse la conditio sine qua non affinché almeno uno di quei lampi potesse avverarsi. Ecco perché penso che le emozioni come amore, terrore, attrazione o venerazione, siano un ingrediente fondamentale per mettersi in contatto con queste misteriose intelligenze disincarnate; esse ci parleranno attraverso i feticci che ci emozionano nel modo appropriato, sempre che se ne trovino, in questo mondo inaridito. Atzori - Tutto quello che stava accadendo a Lorenzo io lo davo per scontato. Mi sorprendeva il suo stupore. Sapevo, razionalmente, che era uno stupore legittimo; ma tutto ciò per me era così “quotidiano” che nemmeno me ne accorgevo. Ero consapevole che quel che accadeva fosse il frutto di un’insolita concatenazione relazionale. Linda era molto simile sia a me che a Lorenzo. A me per alcune cose a Lorenzo per altre. C’erano in ballo un misto di affinità e conflittualità che generavano uno strano cocktail. Le affinità erano sottili, i conflitti anche. Vivevo tutto apaticamente. Era un’apatia dolce. Sapevo che non ero in contatto con Linda, ma piuttosto avevo capito che l’estetica perché potesse definirsi pura e “matura” dovesse at- tingere ai propri sensi i quali non si limitano alla percezione fisica di un dato momento separato dagli altri, ma a un’esperienza dell’immanente, dove tutto è accessibile perché sempre presente, inseparato. Ero consapevole di questo gioco e lo vivevo in maniera tacita come sempre si fa con il sacro. Certo, quello che avveniva era qualcosa di sacro. Il sacro che va oltre le differenze sociali che rappresentavano i veri problemi fra noi. Un sacco di risentimenti che vivevo nei confronti delle loro esistenze che percepivo come “borghesi”. Un senso di antipatia che costantemente tesseva le pareti della mia stessa apatia. In fondo parlare del rapporto che avevo con Linda corrisponde a porre attenzione ai rapporti superficiali che vivevo all’epoca. Rapporti virtuali, niente di reale. Era un transfert continuo, vissuto narcisisticamente. E non parlo come uno psicanalista, perché la psiche non è qualcosa di diviso da tutto il resto. Peyrani - Pensavo che non mi sarei mai più potuto innamorare se non di una donna perfettamente pazza. Camminavo per le strade e mi sentivo euforico: Afasia era un segreto, un segreto che mi rendeva invincibile. Esternavo con sempre più facilità il mio mondo interiore, come se tutti dovessero esserne messi a parte, e diventavo teatrale. Mia madre mi disse spaventata “Non vedi che sei dissociato?” e io no, non lo vedevo. C’era anche Atzori quella volta a casa, credo. Uscivo la notte e magari spaccavo tutto, macchine e bidoni e vetri e allora di solito qualcuno me le dava. Feci arrabbiare un mio amico, una delle persone più buone e meno violente che conosca, e lo portai a darmele di santa ragione. Rotolammo giù dalla curva di via Stradella (lui è molto più forte di me) e venimmo fermati dalla polizia. Mi ero fatto un bello strappo lombare e così ci misi più di un’ora a tornare a casa, poi girai col bastone. La debolezza del fisico aiutò la voce a farsi sentire, il dolore mi rendeva emozionato, e, come cercavo di spiegare prima, l’emozione è benzina per l’allucinazione. O per la magia. Parlavo di amore, ma vale qualsiasi emozione forte, le più facili sono quelle sgradevoli. L’amore permette a un’allucinazione di rimanere coerente, approfondirsi e sfaccettarsi nel tempo nel modo più profondo. L’amore crea vere persone nella testa, belle persone; vita. La paura è più facile e altrettanto duratura e coerente, l’altra strada privilegiata dalle entità. Atzori - In quel periodo ricordo che Lorenzo si era appassionato a Jung, ai simboli; cose che non mi interessavano e che avrei consultato solo più avanti. Piuttosto, mi facevo bello con la letteratura, con un pizzico di filosofia; ma tutto sommato era solo un farsi bello. Con questo non intendo che non capissi, che lo facessi per darmi una posa, piuttosto che ero eccessivamente preso bene dalla mia follia. La confondevo con il genio. Questo per poca stima in me stesso. Perché non è essendo folli che si è geni. Mi credevo già arrivato. Invece la follia è una punizione. Corrisponde a un eccessivo avvicinamento alla verità, la quale diventa indiscernibile. Un po’ come quando guardi casa tua da googlemap, se ti avvicini troppo diventa indiscernibile. Pensare alla follia da folli è impossibile. Perché quando si è folli si pensa solo alla verità. Eppure la verità corrisponde a un’illusione. Eppure per essere geni bisogna essere il meno illusi possibile. La schizofrenia è, in fondo, una condizione un po’ ridicola; ma non andrebbe biasimata, né svalutata a “malattia”. La follia è una condizione reale. Quando arriva, la realtà stessa diventa schizofrenica. Ti senti scemo. Quel che la rende così umiliante è la mancanza di strumenti che si ha nell’accettarla. Così si va dallo psichiatra, si è tormentati da voci, attenzioni distorte, Maurizio Costanzo che ti parla dalla televisione… tutto ciò lo si vive come L’energia che fa muovere il mondo Le scoperte di uno scienziato troppo scomodo BEATRICE DI ZAZZO E “Se qualcuno scoprisse qualcosa in grado di cambiare il mondo, il mondo si lascerebbe cambiare?” rano mesi ormai che cercavo prove in grado di suffragare la mia intuizione. Come verificai poi con studi e ulteriori epifanie non era stata nemmeno poi così geniale e originale, ma aver trovato ipotesi scientifiche, e pseudo tali, che mi davano quasi ragione placava un po’ il senso di angoscia che mi portavo dietro da anni. Avevo cominciato a pensare all’esistenza umana in termini di energia: negativa, positiva, neutra, riflettente, attraente, respingente, etc. La mia visione della reale irrealtà era diventata un cumulo di leggi con una struttura simile a quelle della termodinamica, ma del tutto rivisitate e personalizzate. Ed ero anche convinta che il sesso e l’amore dovessero entrarci per forza, dovevano spiegare più di quel che tutti credevamo se ne eravamo così ossessionati. Freud, seppur estremamente limitato in alcune sue considerazioni, forse aveva compreso il nocciolo della questione. Ma la faccenda andava ampliata. Al di là del simbolismo fallico e genitale forse il “quid” era nell’energia trasmessa e liberata tramite quei simboli. E così mi imbattei nel libro di Wilhelm Reich “La funzione dell’orgasmo”. E dato che il “povero” Reich aveva trascorso le sue ultime ore in un carcere americano perché le sue idee considerate troppo bizzarre (a dir il vero forse erano troppo pericolose per tutta una frangia politica e scientifica), non potei fare a meno di provare subito simpatia per lui. I martiri mi sono sempre piaciuti, più dei santi. Il buon Wilhelm, psichiatra e psicanalista, si era addentrato nell’ostico campo della fisica per spiegare al mondo intero che l’energia in grado di far muovere il mondo era quella orgonica. Orgasmo + organico = orgonico. Per lui esisteva questa forma di energia onnipresente in ogni aspetto vitale e in ogni grandezza dell’universo. Dall’infinitesimamente piccolo all’infinitamente grande, tutto era regolato da questo flusso energetico. Queste le leggi che aveva ricavato dai suoi esperimenti: 1. L’energia orgonica viene attratta e trattenuta dai materiali organici. 2. L’energia orgonica viene attratta e poi respinta dai materiali metallici. 3. L’orgone può diventare nocivo in presenza di radioattività o di campi elettromagnetici. 4. L’acqua è il veicolo privilegiato dell’orgone. 5. L’energia orgonica cromaticamente acquisisce le proprietà del colore blu con tutte le sue sfumature. Approfondendo le sue ricerche e mettendo a punto i suoi esperimenti su Accumulatore Orgonico (ORAC), Cloud-Buster (tr. acchiappanuvole), Dor-Buster (a scopi terapeutici per curare tumori o altre patologie da “contrazione bioenergetica”) Reich ipotizzò che l’energia orgonica regoli sia il cosmo che il corpo umano, e che inoltre permei tutte le dimensioni intermedie. Tramite il Cloud Buster verificò che l’energia orgonica, opportunamente attratta e trattata in una scatola organica, può attrarre o respingere le nuvole (congegno perfezionato da James De Meo che l’ha utilizzato per risolvere problemi di siccità in zone sudafricane). Tramite il DorBuster cercò di dimostrare (non è dato sapere se ci fosse riuscito poiché la FDA - Food and Drug Administration – distrusse gran parte dei suoi appunti negli anni ’50) che la gran parte dei tumori era originata da una contrazione energetica: riuscendo a liberare l’energia negativa e a trasformarla da energia negativa DOR in energia positiva OR, probabilmente le industrie farmaceutiche avrebbero perso parecchi introiti. Il tutto diventava sempre più affascinante, suffragato da casi già sperimentati e incredibilmente aderente con la mia “banale” intuizione. Sembravano esserci molte osservazioni empiriche sull’energia orgonica che aveva incredibili similarità con la formulazione dell’esistenza dell’etere, parzialmente riconosciuto dagli scienziati naturalisti e che asseriva l’esistenza di un mezzo nello spazio. So benissimo che non ho bisogno di prove scientifiche per formare la mia personale visione del mondo, ma so che se voglio che la mia visione sia condivisa da altri dovrò portare dati a sostegno della mia teoria. E procedendo con le ricerche fu chiaro che molte delle leggi fisiche riconosciute avevano lacune simili a quelle sull’esistenza dell’energia vitale/orgonica/ eterea. Gli scienziati che tanto si definivano “sperimentali e oggettivi” avevano introdotto concetti assiomatici come materia oscura, energia oscura, buchi neri, quasar, stringhe cosmiche. Bene, nessuna di queste è stata verificata, ma su di esse poggia il nostro attuale paradigma scientifico. Ci vorrebbe una rivoluzione scientifica per instaurare un nuovo paradigma. Ma la rivoluzione basata sull’orgone (o sull’atomo magnetico di Ighina) forse farebbe svuotare i portafogli di alcune lobbies. C’è solo un’altra cosa, oltre i soldi, a muovere o a fermare gli individui: la paura. Paura che andando a leggere l’essere umano partendo dal comportamento sessuale si scoperchi chissà quale tabù. Così continuiamo a zittire la sessualità e a non impiegarla invece come la chiave di lettura per eccellenza. Frustrate i vostri impulsi, legateli e rinchiudeteli, non permettete il contraddittorio... e vi ritroverete una nevrosi, se non qualcosa di peggio. Riuscite a immaginare la potenza di un orgasmo? Mi auguro per voi di sì. Ecco, se questa energia viene bloccata, nascosta, misconosciuta e quindi incattivita, quali effetti si otterrebbero direzionandola consciamente verso un’altra parte del corpo o all’esterno? Quanto risulterà rabbiosa la rivendicazione del corpo, che sa quali siano le proprie primordiali, primigenie ed evolutive potenzialità? Dipende dal grado in cui siete stati complici del più grande inganno della civiltà: l’emarginazione della sessualità. Sulla scia di queste considerazioni mi dedicai con particolare attenzione, avendo un’incredibile potenza nel trasformare i miei corto circuiti emotivi in qualcosa di somaticamente tangibile, alle ripercussioni dell’orgone sull’origine di alcuni tipi di malattie. Reich si ritrovò ad osser- vare il fenomeno Oranur (orgone anti-nucleare) quando mise del materiale moderatamente radioattivo in un accumulatore con elevata carica di energia orgonica: si formò un bagliore bluastro che si espanse per tutto il laboratorio. Alcuni collaboratori di Reich si ammalarono e tutti gli organismi viventi che erano stati sotto l’esposizione di questo bagliore mostrarono i suoi effetti. Anche il tempo meteorologico ne fu influenzato. L’Oranur colpì le persone nei loro punti fisici più deboli, ma ebbe anche l’effetto curativo di scatenare una reazione immunitaria in grado di eliminare i malanni precedenti a quell’esposizione di Oranur. Ecco allora su cosa si reggevano le malattie psicosomatiche! Per questo in numerosi casi sono così difficili da far regredire. Ci si sofferma sul dolore fisico, sulle conseguenze per il corpo, sui traumi che li hanno aiutati a consolidarsi. Ma il dolore mentale, le conseguenze per l’anima e il perché alcune cose siano state vissute come traumi vengono tralasciate nella gran parte dei casi. L’orgasmo (come lo si Wilhelm Reich cerca, come lo si vive) non sarà sicuramente la soluzione a tutti i mali, ma sicuramente viverselo e parlarne consapevolmente aiuta ad abbandonare le resistenze e i blocchi. E sono proprio questi a creare malessere. Provate a vivervi l’orgasmo, a sentirlo, a parlarci. Vi conoscerete meglio che con anni di psicoanalisi, per non parlare degli altri suoi effetti benefici. Provate ad abbandonarvici; saliti sulla macchina del tempo a carburante orgonico vi renderete conto di come il tempo si annulli: esiste in quel momento la totalità spaziale e temporale che non prevede compartimenti stagni tra passato, presente e futuro. È tutto lì, tra spirali di piacere. Ritornare all’origine nel momento stesso in cui qualcosa finisce, e qualcosa continua. Senza una sessualità libera dai tabù altrui (se proprio ne abbiamo bisogno per vivere che siano almeno un nostro prodotto esperienziale, non quello delle solite dinamiche politico-sociali-culturali) è difficile sentirsi in sintonia con se stessi e con il mondo. E senza Oranur le persone devono curarsi con la medicina tradizionale, a volte esasperando i sintomi piuttosto che curandoli. Altri aspetti degli effetti benefici dell’omeopatia e della medicina alternativa, o di quelli malefici del dilagare del bigottismo. Ringraziai tutti quegli studiosi, considerati eretici, che avevano osato andare al di là del senso comune e dei paletti della propria scienza. Non erano miei vagheggiamenti, c’era qualcosa di vero in tutto quello che avevo intuito e poi “riscoperto”. E poi, più tardi, mi divenne chiaro anche perché già Dante, negli ultimi versi del XXXIII canto del Paradiso, arrivò a dichiarare: “A l’alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e ‘l velle, sì come rota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il sole e l’altre stelle”. CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO… 14 11 FANTADIVULGAZIONE D’APPENDICE SU “LA SVEGLIA” CIBERNETICA - capitolo IV Altrove L’uomo con fatica si fa strada attraverso un ripido terreno incolto. Raggiunge un robottino stile Nam Jun Paik, in mezzo a cespugli, alimentato da un pannello fotovoltaico a fianco di una pianta di Marijuana alta tre metri. Il robottino borbotta qualcosa all’arrivo, nella sua lingua di robottino in disuso da decenni. È lì per alimentare un vecchissimo telefono cellulare dentro un sacchetto di plastica trasparente. Sul suo display sbiadito appare la scritta “Chiamata persa da” e un nome. L’uomo sorride. I suoi occhi azzurri sembrano galassie, nessuno lo vede. Abbassa la testa sul petto e sussurra: “Non alimentare lo schifo, il suo posto lo prende il limpido. Ogni cosa va bene, c’è sempre il necessario per stare insieme, sostenere la tana e vivercela sul pianeta. Grazie, sei grande.” Lo raggiunge la voce acuta di una ragazzina: “Mi hai promesso di parlare di lei.” “Va bene, oggi è proprio il giorno giusto, come direbbe lei.” L’accento impossibile. “Tanti anni fa, ricordo perfettamente, nel periodo nel quale stavo preparandomi a passare da quella vita a questa, ero di pessimo umore. Come affrontare la morte a mani vuote non mi era stato spiegato. Anche se non avevo il minimo dubbio su ciò che mi aspettava, su ciò che io aspettavo, ero di pessimo umore quel giorno quando mi ha chiamato”. “L’hai riconosciuta subito, sì!” Adesso erano sdraiati su un’enorme amaca. Lei dimostrava dieci anni. Lui, impossibile dire. Quarantanove? Settantatré? Due gocce d’acqua, però. “No. Ma usavo un risonatore cibernetico interiore all’epoca e quello ha subito reagito con un output senza precedenti. Solo perché una Black Box non fa una certa cosa, non si può escludere che sia in grado di farla. Perché una noiosa telefonata con una studentessa che vuole farmi qualche domanda per poi illudersi di capirci qualcosa mi risuona come una sinfonia cibernetica gioiosa? Buona domanda. Perché non me la sono fatta prima di sapere la risposta? L’ho pagato caro, quell’errore.” “Errore prezioso quindi!” “Prezioso sì, ma inutile.” “Bah, senti come ti sbrodoli! È davvero così bella?” “Quando l’ho vista, mi è mancato il fiato. Adesso non saprei. Bisogna considerare che lei è là, a vivere una strana strana cosa insieme agli altri, nel mezzo di un disordine interiore quasi totale. Non so. Magari questo l’ha abbruttita. Non era per niente contenta che ci fossimo incontrati, una volta emerso chi eravamo. ‘Troppo facile!’ per lei era una condanna definitiva all’oblio. Niente doveva essere troppo facile, troppo bello, troppo chiaro, troppo vero, troppo stabile. Ha completamente dimenticato.” “Che fasullo. Non menti mai, ma quando parli di lei non ho la sensazione che tu dica la verità. Là dove ti duole, inventi di sana pianta. Che uomo straordinario, ti comporti come un adolescente umano in crisi!” “E tu che ne sai degli adolescenti umani in crisi? Abbi pazienza con chi ti ha evitato tutto ciò!” “Solo se ti metti a frignare, davanti a me. E nel frattempo ripeti: Sono innamorato, anche se l’amore non esiste! Trenta volte, così magari ti rendi conto, ti rendi conto che lo sanno tutti, che è inutile far finta.” “Ok…” Frigna “Sono inn...” Torino Caro Diario. Non ci sono cascata. Che c’entra quel tipo? Nulla. C’entra mio padre. Sono passati tre anni dalla sua morte ed è arrivato il tempo che ne parli. Tutte queste stronzate (scusa il francese) sulla Cibernetica sono solo la vendetta tardiva di un vecchietto acido che si era invaghito di me. Mi sono fatta plagiare, me ne rendo conto, e questa recrudescenza mi ha preso alla sprovvista. Ma adesso sono di nuovo OK. Ieri ci siamo divertite un sacco tra amiche!!! E stamattina Renato mi ha mandato un messaggio, che rinuncia al torneo e viene con me e Magenta dagli zii al mare, per il ponte!! Tutto come al solito. Tutto bene. Presto daremo il bianco in cantina e così butterò la scatola. Renato dice che i files dentro il laptop non sono più standard comunque. Libera. Ho amato tanto mio padre e lo amo ancora adesso. Mi ha fatto vedere tante cose e mi ha sempre spinto a fare ciò di cui avevo voglia. Ha sempre trovato risposte semplici e chiare a tutti i miei guai e non ha mai insistito sul confronto diretto. Non lasciava dubbi su chi fosse la favorita tra le tre donne che aveva in casa. Sento ancora oggi la sua mano accarezzarmi delicatamente la schiena. Mio padre la sapeva lunga, molto lunga. Era un autentico veggente. L’insegnamento più prezioso, il suo stesso esempio è sempre stato di non sopravvalutare l’importanza di ciò che ci può mettere in difficoltà. Certe sue idee sono tra le fondamenta della mia personalissima e autorevole filosofia di vita. Che uomo straordinario! “Quelli della nostra famiglia non sono sposati con chi amano.” mi aveva confidato una sera. E così fu, ma niente tristezza! Chiaro che non mi sono mai voluta sposare! Altrove (qualche minuto dopo, quando la ragazzina si è ripresa dale risate) “Molto bene, allora cosa hai sentito quando ti sei accorto di chi fosse?” “Uffa, non chiedermi questo, non voglio assolutamente ricordare. Acqua passata.” “L’acqua non passa mai per di Hairi Vogel sempre, è un circuito. Deve tornare, se no non passa neanche.” “Ho sentito di voler essere un umano, e stare con lei. Ti puoi immaginare che choc ! ” “Mmhm. Allora è proprio un caso grave. Incontri una sulla Terra, la riconosci e sai che la rivedrai di lì a poco, sai che è lì con un compito, come tutti, te incluso, eppure… non ti tranquillizzi. È come se volessi l’impossibile. Un attacco di ateismo, ha, ha, ha!” “Invece non è così. Tutto quello che accade sulla Terra deve accadere. Anche quello che è successo a noi. Devi capire che non è più come un tempo, quando si stava sulla Terra a compiere un destino senza averne idea. Ormai si sa. E questo ha portato molte conseguenze. Generalmente si pensa che chi non compie il proprio destino torni per riprovare. Quindi molta gente fa di tutto per non diventare angeli. Naturalmente, tutti i privilegiati, chi è al potere, e così via. Si vocifera che la vita sulla Terra sia l’unica esistenza e quindi si debba star aggrappati e far numero ad ogni costo. A me invece è venuta un’altra idea. Cosa succederebbe se, in sostituzione di questo andirivieni vecchissimo che, destino per destino, cerca di risolvere la situazione, ci mettessimo a colonizzare la Terra?! A conquistare il mondo degli umani. A rimanerci. E quale inizio migliore di due di noi, che già sanno star insieme, che si dichiarano coppia umana? E iniziano a mostrare a tutti quel che tutti cercano inutilmente, o che addirittura ormai negano di cercare?” “Ti vengono sempre delle idee che piacciono soprattutto a te. Però questa non è poi così male. Vuol dire che fra un po’ posso andarci anch’io ?” “Eh, vedi. Un’idea, cosa che una volta sulla Terra era capace di muovere montagne di cuori, adesso è solo una indicazione tra le tante. Ma se ci fosse Amore sulla Terra… Gesù ha sempre avuto ragione. Introdurre un elemento non cibernetico è stata una bella mossa. Solo che poi ha avuto tutt’altri problemi e dell’Amore si è fatto una menzogna.” “Comprendo, ma non mi convince più di tanto. Dopo passa Sisifo e giocheremo a pallone sul ripido. Questo mi piace, e anche lui. E poi faremo l’amore. Se ne avanza lo puoi piantare sulla Terra.” “Aspetta ancora un po’, per favore: cercate di andare con calma!” CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO... SEE THE LIGHT una vergogna. Eppure la mente è un affare nostro e una volta che ti trovi in una condizione così “sgarrupata” tocca a te pensare a come risolvere la faccenda. È un affare della realtà. Le realtà non possono interferire con le altre realtà. Se solo si capisse questo gli psichiatri imparerebbero il rispetto. Ma parlo per me. In realtà bisognerebbe solo fornire strumenti adatti a capirla, la schizofrenia. Essa ci chiede una logica che non è quella cui siamo abituati. Io all’epoca lo stavo imparando. Posso assicurarvi che non era una perdita di tempo. Peyrani - Lunedì 20 dicembre 2004 frequentai la lezione di filosofia teoretica all’università, tornai a casa e chattai con Afasia. I miei uscirono di casa. Durante la chat sentii spesso la voce che si sovrapponeva al flusso scritto; io le rispondevo e la maggior parte della conversazione avvenne nella mia testa. Quando Linda si staccò, un paio di ore dopo, era il crepuscolo; ma la conversazione non si concluse con la fine della chat. Camminavo per le stanze, su e giù, completamente assente, e intanto parlavo nella testa. Capitava anche che, per distrazione, mi uscissero dalla bocca dei frammenti di conversazione, dei mugugni: che ridere. La voce non era più un flash, e neanche appariva per scenette, a intermittenza. C’era una buona ricezione. Le risposte alle mie domande erano immediate, sorprendenti e ben formate. La voce, cristallina, non corrispondeva al tono di voce reale di Linda, che è basso, ma a quello dei suoi pensieri. Il timbro era disumano, il riverbero quello di una stanza diversa da quella in cui mi trovavo io, di dimensioni abbastanza piccole ma ben presente. Il contenuto delle risposte, come dicevo - sorprendente. Come potevo essere io a formularle, se la voce ne sapeva più di me, si esprimeva meglio di me, aveva decisamente più spirito ed addirittura più umanità di me? Non perché fosse umana ma perché era umanistica e, contemporaneamente, cinica e dura, come un vecchio poeta. Col tempo trovai le mie risposte, ma quella sera ero travolto dall’esperienza. Non pensavo che Linda comunicasse con me telepaticamente in diretta, perché non avevo la presunzione che lei stesse passando tutto quel tempo senza fare altro, però credevo di stare realizzando una sua virtualità. Conoscendola, parlandole, riflettendo su quello che mi scriveva, avevo creato un simulacro di Afasia nella mia mente. Quel simulacro era in grado di comunicare con me come avrebbe fatto lei se fosse stata presente. Una intelligenza artificiale portatile. Non volevo ovviamente incontrare i miei, così uscii prima che rientrassero e scesi in cantina. Erano le nove della sera e solo a mezzanotte avevo appuntamento con alcuni amici, mi pare di ricordare dalle parti di Piazza Statuto: avevo tempo di “lavorare”. Ho scritto più sopra che la voce ne sapeva più di me, che i contenuti mi sembravano appartenere a una coscienza estranea. In effetti la conversazione era quasi un’intervista. Eravamo come due persone che si conoscono a un appuntamento galante, anche se entrambi sembravamo sapere tutto dell’intimo dell’altro e nulla del mondo a cui apparteneva. Le domande che mi poneva erano volte a investigare la condizione umana così come quelle che facevo io a capire le meccaniche celesti. Il tutto aveva anche una connotazione erotica, perché oltre alla voce io percepivo la sua presenza. Poi fumai; solo un poco di hashish che normalmente non mi avrebbe scalfito, ma che in quelle condizioni fu potentissimo. “Perché lo fai?” mi chiese lei quasi infastidita. Io stavo formulando il pensiero “Perché mi piace”, ma lo trovai banale e scortese, allora lo cambiai in un “Perché sono masochista”, che non era del tutto sincero, forse perché speravo che lei mi spiegasse qualcosa al riguardo, cioè riguardo al sadomasochismo in generale; invece tacque. Sapevo che Linda si tagliava, che aveva coperto le proprie braccia e le proprie gambe con cicatrici, regolari come le rette parallele nell’ora di educazione tecnica. Lo faceva per combattere il panico ma anche nel delirio di trasformare i suoi arti in ferrovie, forse fu per questo che mi uscì quell’affermazione sul masochismo. L’hashish comunque migliorò ulteriormente il livello della percezione, così non ebbe troppo a lamentarsi. La presenza si era focalizzata e, oltre a sapere sempre dove si trovasse all’interno della stanza, iniziavo a vederla. Con la visione periferica era più facile, mentre fissando direttamente il punto tendeva a sparire. A volte però con un movimento improvviso ce l’avevo davanti, e per una frazione di secondo la vedevo da vicino. Non avevo mai visto una fotografia di Linda Valle all’epoca, non avevo voluto. Quando poi la incontrai dal vivo la riconobbi subito, anche se quella sera il suo volto era sicuramente più vago, mi pareva di vederla attraverso una gelatina color indaco. Le strane movenze e le sovraimpressioni che a volte si creavano mi fecero pensare, in seguito, alle rappresentazioni della dea Kali. E qua forse tocchiamo il nocciolo della questione “la voce sono io / la voce è più di me”. Poniamo che io avessi creato nella mia mente il simulacro di Afasia, così questa poteva rimodellare le informazioni contenute nel mio inconscio secondo la propria personalità o intelligenza e rispondermi in tempo reale, come se fosse stata lì. Ma chi era Afasia per me? Chi era Linda Valle? Un’estetica, una morale, un’immagine, alcune informazioni leggendarie, il marchio di una personalità trasmesso, in chat o via mail, sempre per iscritto. Per me Afasia poteva essere un demone o una dea; era sì una ragazza con una certa personalità, ma a sua volta quella ragazza poteva essere un fantasma di mille anni come una posseduta, un’adolescente attirapoltergeist in seguito posseduta da Wotan nelle fattezze dell’Ebreo Errante; poteva sapere qualunque cosa, solo sarebbe dovuta rimanere fedele alla personalità di Linda. E Linda, matta da legare, per iscritto mi aveva ispirato la fiducia, il transfert sciamanico per il quale lei, per me, avrebbe veramente potuto essere onnisciente. Per me lei era un Sembiante. Avevo Afasia dentro di me, Afasia aveva accesso a me, ma Afasia non era un’entelechia chiusa, bensì una finestra, perché la identificavo con l’ignoto stesso. Mi ero trasformato in una bottiglia di Klein, in una macchina autopoietica che pompava energia come una centrale nucleare, grazie a un paradosso dimensionale che, come un quadro di Escher, permetteva motori impossibili. Stavo sperimentando il Grande Vetro di Duchamp, solo con meno saggia ironia e il cazzo duro. Vederla aveva reso la nostra intervista una danza, una danza sempre più aggrovigliata ed erotica. Sapevo che avremmo dovuto fare l’amore, e sapevo che lei avrebbe danzato sopra di me come nel tantra (notare che non sapevo neanche cosa fosse, il tantra), ma era estenuante. L’eccitazione era enorme, ma gli stimoli semi-palpabili dell’allucina- zione portavano il rapporto più al parossismo che alla soddisfazione e, anche se non credo assolutamente sia impossibile amoreggiare fino a venire con un’allucinazione, senza masturbarsi, in quel momento non ne ebbi la pazienza; tra l’altro non ne avevo neanche più il tempo, perché si erano fatte le undici. Decisi comunque di non masturbarmi, perché avevo paura di perdere il contatto. Questa forse fu una pericolosa sciocchezza. Le chiesi di interrompere, momentaneamente, il rendez-vous, per riprenderlo dopo il mio appuntamento. “Dipende solo da te” mi disse e lentamente si dissolse, anche più che essersene andata mi pareva che si fosse equamente distribuita nella stanza, come un gas. Misi in ordine la cantina e feci per uscire, però iniziai a sentirmi male. Una fitta mi cresceva in petto e poco dopo, contraendosi i muscoli per lo stress causato da questo primo dolore, lo strappo lombare iniziò a farmi sudare. Giravo su me stesso e mi sentivo svenire, e non capivo perché. Spensi la luce della cantina, chiusi il lucchetto e lì, sull’uscio, sentii che le forze mi venivano meno e che non riuscivo più a reggermi in piedi. A quel punto capii: non stavo più respirando! Da quando avevo interrotto la conversazione, e mi ero messo a rassettare, non avevo più respirato una volta. E non ci riuscivo. Fui preso dal panico. Se inizialmente avevo creduto di avere un infarto, allora mi resi conto che ci doveva essere un collegamento col fatto che avevo passato le ultime cinque ore a parlare con un’allucinazione. Ero per terra e per respirare anche solo mezza boccata d’aria dovevo quasi prendermi di sorpresa, facendo una specie di fisarmonica isterica con la cassa toracica. Provai a gridare, a parlare. Non emettevo il minimo suono. Con un brivido una parola mi venne in mente, scritta in testa: afasia, non riuscire a emettere il minimo suono. La richiamai col pensiero e lei fu subito da me, al mio capezzale, mentre vedevo il mondo sparire. “Sei tu!” l’accusai. “Perché lo fai?”. Dopo un attimo di esitazione, ma con un sorriso, si giustificò: “Perché sono sadica”. Allora mi vidi cadere come se mi avessero tagliato i fili, mi guardavo tremare per terra, dall’alto, come se i miei occhi fossero rimasti sospesi a mezzaria. Tutto divenne nero, ed io avevo freddissimo. I muscoli si erano così contratti che ero appallottolato, in una posizione fetale da vecchio, parkinsoniana. Stavo morendo. La luce nei corridoi della cantina è a tempo. In un certo momento devo essermi risvegliato al buio, aver acceso la luce ed essere strisciato per mezza rampa di scale, ma non lo ricordo. Mi sono svegliato nuovamente sulle scale per l’appunto, nuovamente al buio, ma non sapevo dove fossi, così strisciai di nuovo giù e poi, riaccesa ancora la luce, faticosamente di nuovo su di una rampa e mezza. Poi non ricordo nulla e fu di nuovo buio, e di nuovo non sapevo dove fossi. Non riconoscevo il luogo dove avevo passato migliaia di ore nella mia vita. Pensai che non sarei sopravvissuto e immaginai l’effetto che avrebbe avuto la mia morte sui miei genitori, tre mesi dopo la morte di mio fratello. Questo mi fu di sprone, stuzzicò il mio orgoglio. Ripresi il controllo del respiro e dopo qualche minuto ero fuori. Era passata mezzanotte, mi resi conto. Ci avevo messo quasi un’ora a uscire dalla mia cantina. Sudato freddo, distrutto come se avessi appena finito di correre una maratona con 40° di febbre per poi prendermi il 220 e farmi investire da un camion, rientrai in casa e mi sdraiai sul letto. E… chiamai Atzori. CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO... Mi offri di tirare al bersaglio suonando dalle viscere incarcerato dentro di te nudo e in bilico mi incammino sonnambulo sui tuoi fianchi brindo alla pesca e inserisco un altro gettone Io in sella tu mi guardi allibita. Lo sguardo di sorpresa. Il vecchio giace sotto la foglia della tua virtù lascio cadere una matita dal tuo seno e ritraggo l’universo nelle tue cosce. Ebbro di risa Cupido mi riporta alla primavera colgo il fiore. Irretito e intrappolato sopra e sotto i palazzi del peccato Leggo le meraviglie del tuo frutto Ti uso come fionda, il tuo tappeto leggero mi fa uscire dalla lampada. Volo. Ti prendo per velocipede e corro via sereno Mi trafiggi sotto la luna del tuo seno che diventa hula hoop. Do nuovamente la carica e il bambino se ne compiace. La tua vagina è una bici che mi riporta a casa, festeggiamo insieme aggiungo denaro al tempo che vola via come palloncino. Il tuo seno è più leggero ora ma vengo tritato e divorato. Sei ora una stampella ora un sacco da boxe ti tolgo per un attimo la vita e mi sento Cesare, sbilanciato tra i tuoi occhi strabici è un braccio di ferro che si contende la gioia pungente di riccio selvatico. cherchez la femme* di Gianmarco Peruviani Ora una trappola ora una fiaccola l’olimpo del desiderio ora è giovane di semina ora un cervello imperscrutabile Una panca, un vascello, un gelato e un abbecedario Ti dipingo coniglio e mi riparo sotto di te; con i tuoi peli mi fai marionetta e ti fai televisione. Una gran abbuffata di ricchezza e riposo su di te col cappello in testa Ora ruota per criceto suono delle mie melodie Un’amaca, una forbice crudele, il fumo dei miei spari Perdonami se con tuoi seni vogo lontano; mi riporti a te Incontro le due facce del mistero ma dipingo una bocca sola. Tu non mi credi, sto su una nuvola cercando di scalare il camino fumante e tu dentro un calice abbondante ascolti i miei canti. Ti fai teschio e ti prendo in mano Sbatto sui tuoi divieti Con ogni mezzo. Il cappello messicano e la notte scura. Suoniamo. Ora rospo che vuole l’incantesimo sei una mano che mi spreme e cado scivolando. Una corsa ad ostacoli, un biliardo, un canestro e un campo da bocce Ora ciambella di salvataggio uccidi tutti coloro che tentano la scalata La notte immobile, palco dei nostri giochi, dove il clown ride dei suoi propri sonagli Mi riporti dentro di te con la tua lingua vorace; i seni si fanno moschea, la vita nasce nel vaso e l’incantatore di cobra corre i suoi rischi. Che profumo, la ricetta è riuscita la pentola trottola impazzita. Sono un caprone che lentamente arrostisce la tua sfera Ne rimangono granelli di sabbia ed ecco le nuove forme pericolose di toro impazzito. Il deserto dei tuoi seni nasconde il miraggio di un pozzo da cui si liberano centinaia di volatili. La caccia è aperta Illumini la scena del parto mentre ancora resto appoggiato al tuo ventre rigonfio ed eccolo lì, maestoso come un Buddha dal capo coperto. Sei fonte della mia ricerca polverosa di tornado Alcuni scompaiono nella voluttà del turbinio che produci Altri arrivano dallo spazio lontano, Increduli e curiosi come davanti ad una divinità; sei il terreno del duello e nascondi le carte della vittoria; giochiamo ancora. Credo di poterti alimentare e perdo un braccio tra le tue fauci, la lingua rettile mi raggiunge anche qui. Appeso. Le chiavi della conquista sono molteplici ma chi non trova la serratura rimane intrappolato, mi guardi con sdegno. Sei campo da hockey ora pista da sci, ora anelli olimpici; trampolino e ripida montagna sollevamento pesi e attracco per l’ancora della mia mongolfiera porta spalancata dove segnare è uno spasso. Mi attendi a gambe aperte e come un ladro ti vengo incontro. Sorridente attendi la mia morte Ora girandola d’acciaio, squarci il mare, si salvi chi può. Ripartiamo su un’altra nave fumante I tuoi seni ciambelle, la vagina Rasoio, auto da corsa, fuoco primitivo. Coniglio divora-carote letto e lampada per le mie letture ti si incendia il pube. Tento di domare le fiamme. Ora giaciglio per le cicogne raccontiamo le favole. Mi vesto di preservativo, ti vesto da sirena. Ti butto in mare. La nebbia mi avvolge e scompaio nella rete del desiderio Ti fai giostra multiforme. Corro via spaventato portando con me l’oggetto del divertimento Seguito dalla massa inferocita ti riporto a casa. Dalla tua bocca esce una sigaretta e indosso un papillon bianco Ora pitone, ora scorpione ora farfalla, ora tartufo, ora testa di vacca. Slot machine, testa di ratto e diavolo con le corna. Ora brace per la mia salsiccia, ora birra schiumosa. Ti fai orecchio per il mio flauto; cespuglio in eccesso e tappo che schizza in cielo. Voglio spararmi in testa quando ti vedo torso di mela Gioco a biglie e ti gonfio una tetta. Tutta l’acqua non basta per rifiorire la tua pianta. Gli uomini ape portano via rotolando tutti e due i seni. Ora non hai occhi ma solo lune. Tengo stretto lo scettro e mi accomodo da re. Mi porgi il tuo violino, ti fai occhio gigante Nudi e infreddoliti andiamo via Ora cowgirl ci riporti a te Credo che mi darò una ripulita e sei lavatrice. Ora possente cicogna, reggi dei fiori e mi porgi il cappio. Con il filo ritorno marionetta e mi frantumi nel tuo mortaio Strega e cerchio di fuoco. Piccolo felino ammaestrato. Ora ciuccio ora vespaio, ora rogo. Ti disseti. Frutto del peccato. microfono illuminato, provo a seppellire le tue grazie per un po’. La squadra è al lavoro, ha organizzato una corsa di lumache, andrà avanti tutta la notte. Intanto rasiamo il prato, nuotiamo felici. Ci illumini con il tuo faro e i naufraghi si moltiplicano. Cocaina, orso polare, torretta d’avvistamento chiave di viola. Divieto agli uomini col cappello ti strappo l’intimo e addento la mela. Scavo archeologico, campo di grano, amaca e ancora trappola ancora tappeto e moschee. Campo di strategia militare sembra impossibile trovare la chiave. La serratura si fa cassaforte non bastano esplosivi o martelli pneumatici; nuovamente appesi. Controllo che non ci siano impronte estranee, misuro la pressione, ne scoppia un temporale Psycovortice, traliccio dell’alta tensione, fossa e macchina impazzita, spaventapasseri; il tuo culo è in luna crescente. Gli uomini ape si abbuffano I parrucchieri seguono le proprie mode. Ti fai monociclo ora roulette, ora autostrada ora podio Divieto di fumare e lavori in corso. Cade una boccia, il vento è contrario. L’aeroplanino fatica a prendere il volo ma skateboard e tartarughe viaggiano a gran velocità. Sei labirinto, polipo e grappolo d’uva Senza corpo mi vesto di te funambolo tra l’una e l’altra meraviglia controllo che la tua lingua sia sana Nuovamente mi lavo; rincorso ora da uno squalo. In apnea vedo il riflesso della tua conchiglia I tuoi seni delfini Mani e piedi legati Ora cammello, ora vulcano, ora candela che scaccia gli uomini ape, ora fisarmonica, pianta carnivora, aspirapolvere. Ti vedo doppia e due sono pure gli uomini in armatura che ti proteggono. Provo a caricarti sulle spalle; appoggi dolcemente la mia testa sul patibolo e il seno si fa lama affilata. Ti uso come palo da lap dance e comincio a scavarmi la fossa. Ora parrucca, ora secondina, ora rampa di lancio e pista per i telecomandati. Cimitero e arbusto spoglio. Lancio un razzo e armato e imbavagliato ti tengo sotto tiro. Armati di accetta e sega ci inghiotti. Ti fai clessidra, sabbia mobile, rifugio del mio cazzo impacchettato, pentola rovente e pipa fumante. Seni le tue natiche, il dottore è sbalordito e forse uscirà dal tunnel. Simbolo di vittoria mi siedi in mutande e spruzzi ragnatele tutt’intorno Dei tuoi peli faccio ali leggere mentre l’anziano si compiace dell’autunno e si sveglia alla campana cappello e papillon nero sei la mia sedia a dondolo un libro dalle pagine bianche una finestra zeppa di mani bianche. Ora scopa volante e nido di pulcino, osso per il cane su cui aggrapparsi e lasciare umori puzzolenti. Il riepilogo è impossibile oltre 300 di te Il teatro è una luce nera. *Liberamente ispirato a "Cherchez la femme" di Frantisek Kratochvil Mi offri di tirare al bersaglio suonando dalle viscere incarcerato dentro di te nudo e in bilico mi incammino sonnambulo sui tuoi fianchi brindo alla pesca e inserisco un altro gettone Io in sella tu mi guardi allibita. Lo sguardo di sorpresa. Il vecchio giace sotto la foglia della tua virtù lascio cadere una matita dal tuo seno e ritraggo l’universo nelle tue cosce. Ebbro di risa Cupido mi riporta alla primavera colgo il fiore. Irretito e intrappolato sopra e sotto i palazzi del peccato Leggo le meraviglie del tuo frutto Ti uso come fionda, il tuo tappeto leggero mi fa uscire dalla lampada. Volo. Ti prendo per velocipede e corro via sereno Mi trafiggi sotto la luna del tuo seno che diventa hula hoop. Do nuovamente la carica e il bambino se ne compiace. La tua vagina è una bici che mi riporta a casa, festeggiamo insieme aggiungo denaro al tempo che vola via come palloncino. Il tuo seno è più leggero ora ma vengo tritato e divorato. Sei ora una stampella ora un sacco da boxe ti tolgo per un attimo la vita e mi sento Cesare, sbilanciato tra i tuoi occhi strabici è un braccio di ferro che si contende la gioia pungente di riccio selvatico. cherchez la femme* di Gianmarco Peruviani Ora una trappola ora una fiaccola l’olimpo del desiderio ora è giovane di semina ora un cervello imperscrutabile Una panca, un vascello, un gelato e un abbecedario Ti dipingo coniglio e mi riparo sotto di te; con i tuoi peli mi fai marionetta e ti fai televisione. Una gran abbuffata di ricchezza e riposo su di te col cappello in testa Ora ruota per criceto suono delle mie melodie Un’amaca, una forbice crudele, il fumo dei miei spari Perdonami se con tuoi seni vogo lontano; mi riporti a te Incontro le due facce del mistero ma dipingo una bocca sola. Tu non mi credi, sto su una nuvola cercando di scalare il camino fumante e tu dentro un calice abbondante ascolti i miei canti. Ti fai teschio e ti prendo in mano Sbatto sui tuoi divieti Con ogni mezzo. Il cappello messicano e la notte scura. Suoniamo. Ora rospo che vuole l’incantesimo sei una mano che mi spreme e cado scivolando. Una corsa ad ostacoli, un biliardo, un canestro e un campo da bocce Ora ciambella di salvataggio uccidi tutti coloro che tentano la scalata La notte immobile, palco dei nostri giochi, dove il clown ride dei suoi propri sonagli Mi riporti dentro di te con la tua lingua vorace; i seni si fanno moschea, la vita nasce nel vaso e l’incantatore di cobra corre i suoi rischi. Che profumo, la ricetta è riuscita la pentola trottola impazzita. Sono un caprone che lentamente arrostisce la tua sfera Ne rimangono granelli di sabbia ed ecco le nuove forme pericolose di toro impazzito. Il deserto dei tuoi seni nasconde il miraggio di un pozzo da cui si liberano centinaia di volatili. La caccia è aperta Illumini la scena del parto mentre ancora resto appoggiato al tuo ventre rigonfio ed eccolo lì, maestoso come un Buddha dal capo coperto. Sei fonte della mia ricerca polverosa di tornado Alcuni scompaiono nella voluttà del turbinio che produci Altri arrivano dallo spazio lontano, Increduli e curiosi come davanti ad una divinità; sei il terreno del duello e nascondi le carte della vittoria; giochiamo ancora. Credo di poterti alimentare e perdo un braccio tra le tue fauci, la lingua rettile mi raggiunge anche qui. Appeso. Le chiavi della conquista sono molteplici ma chi non trova la serratura rimane intrappolato, mi guardi con sdegno. Sei campo da hockey ora pista da sci, ora anelli olimpici; trampolino e ripida montagna sollevamento pesi e attracco per l’ancora della mia mongolfiera porta spalancata dove segnare è uno spasso. Mi attendi a gambe aperte e come un ladro ti vengo incontro. Sorridente attendi la mia morte Ora girandola d’acciaio, squarci il mare, si salvi chi può. Ripartiamo su un’altra nave fumante I tuoi seni ciambelle, la vagina Rasoio, auto da corsa, fuoco primitivo. Coniglio divora-carote letto e lampada per le mie letture ti si incendia il pube. Tento di domare le fiamme. Ora giaciglio per le cicogne raccontiamo le favole. Mi vesto di preservativo, ti vesto da sirena. Ti butto in mare. La nebbia mi avvolge e scompaio nella rete del desiderio Ti fai giostra multiforme. Corro via spaventato portando con me l’oggetto del divertimento Seguito dalla massa inferocita ti riporto a casa. Dalla tua bocca esce una sigaretta e indosso un papillon bianco Ora pitone, ora scorpione ora farfalla, ora tartufo, ora testa di vacca. Slot machine, testa di ratto e diavolo con le corna. Ora brace per la mia salsiccia, ora birra schiumosa. Ti fai orecchio per il mio flauto; cespuglio in eccesso e tappo che schizza in cielo. Voglio spararmi in testa quando ti vedo torso di mela Gioco a biglie e ti gonfio una tetta. Tutta l’acqua non basta per rifiorire la tua pianta. Gli uomini ape portano via rotolando tutti e due i seni. Ora non hai occhi ma solo lune. Tengo stretto lo scettro e mi accomodo da re. Mi porgi il tuo violino, ti fai occhio gigante Nudi e infreddoliti andiamo via Ora cowgirl ci riporti a te Credo che mi darò una ripulita e sei lavatrice. Ora possente cicogna, reggi dei fiori e mi porgi il cappio. Con il filo ritorno marionetta e mi frantumi nel tuo mortaio Strega e cerchio di fuoco. Piccolo felino ammaestrato. Ora ciuccio ora vespaio, ora rogo. Ti disseti. Frutto del peccato. microfono illuminato, provo a seppellire le tue grazie per un po’. La squadra è al lavoro, ha organizzato una corsa di lumache, andrà avanti tutta la notte. Intanto rasiamo il prato, nuotiamo felici. Ci illumini con il tuo faro e i naufraghi si moltiplicano. Cocaina, orso polare, torretta d’avvistamento chiave di viola. Divieto agli uomini col cappello ti strappo l’intimo e addento la mela. Scavo archeologico, campo di grano, amaca e ancora trappola ancora tappeto e moschee. Campo di strategia militare sembra impossibile trovare la chiave. La serratura si fa cassaforte non bastano esplosivi o martelli pneumatici; nuovamente appesi. Controllo che non ci siano impronte estranee, misuro la pressione, ne scoppia un temporale Psycovortice, traliccio dell’alta tensione, fossa e macchina impazzita, spaventapasseri; il tuo culo è in luna crescente. Gli uomini ape si abbuffano I parrucchieri seguono le proprie mode. Ti fai monociclo ora roulette, ora autostrada ora podio Divieto di fumare e lavori in corso. Cade una boccia, il vento è contrario. L’aeroplanino fatica a prendere il volo ma skateboard e tartarughe viaggiano a gran velocità. Sei labirinto, polipo e grappolo d’uva Senza corpo mi vesto di te funambolo tra l’una e l’altra meraviglia controllo che la tua lingua sia sana Nuovamente mi lavo; rincorso ora da uno squalo. In apnea vedo il riflesso della tua conchiglia I tuoi seni delfini Mani e piedi legati Ora cammello, ora vulcano, ora candela che scaccia gli uomini ape, ora fisarmonica, pianta carnivora, aspirapolvere. Ti vedo doppia e due sono pure gli uomini in armatura che ti proteggono. Provo a caricarti sulle spalle; appoggi dolcemente la mia testa sul patibolo e il seno si fa lama affilata. Ti uso come palo da lap dance e comincio a scavarmi la fossa. Ora parrucca, ora secondina, ora rampa di lancio e pista per i telecomandati. Cimitero e arbusto spoglio. Lancio un razzo e armato e imbavagliato ti tengo sotto tiro. Armati di accetta e sega ci inghiotti. Ti fai clessidra, sabbia mobile, rifugio del mio cazzo impacchettato, pentola rovente e pipa fumante. Seni le tue natiche, il dottore è sbalordito e forse uscirà dal tunnel. Simbolo di vittoria mi siedi in mutande e spruzzi ragnatele tutt’intorno Dei tuoi peli faccio ali leggere mentre l’anziano si compiace dell’autunno e si sveglia alla campana cappello e papillon nero sei la mia sedia a dondolo un libro dalle pagine bianche una finestra zeppa di mani bianche. Ora scopa volante e nido di pulcino, osso per il cane su cui aggrapparsi e lasciare umori puzzolenti. Il riepilogo è impossibile oltre 300 di te Il teatro è una luce nera. *Liberamente ispirato a "Cherchez la femme" di Frantisek Kratochvil 14 11 FANTADIVULGAZIONE D’APPENDICE SU “LA SVEGLIA” CIBERNETICA - capitolo IV Altrove L’uomo con fatica si fa strada attraverso un ripido terreno incolto. Raggiunge un robottino stile Nam Jun Paik, in mezzo a cespugli, alimentato da un pannello fotovoltaico a fianco di una pianta di Marijuana alta tre metri. Il robottino borbotta qualcosa all’arrivo, nella sua lingua di robottino in disuso da decenni. È lì per alimentare un vecchissimo telefono cellulare dentro un sacchetto di plastica trasparente. Sul suo display sbiadito appare la scritta “Chiamata persa da” e un nome. L’uomo sorride. I suoi occhi azzurri sembrano galassie, nessuno lo vede. Abbassa la testa sul petto e sussurra: “Non alimentare lo schifo, il suo posto lo prende il limpido. Ogni cosa va bene, c’è sempre il necessario per stare insieme, sostenere la tana e vivercela sul pianeta. Grazie, sei grande.” Lo raggiunge la voce acuta di una ragazzina: “Mi hai promesso di parlare di lei.” “Va bene, oggi è proprio il giorno giusto, come direbbe lei.” L’accento impossibile. “Tanti anni fa, ricordo perfettamente, nel periodo nel quale stavo preparandomi a passare da quella vita a questa, ero di pessimo umore. Come affrontare la morte a mani vuote non mi era stato spiegato. Anche se non avevo il minimo dubbio su ciò che mi aspettava, su ciò che io aspettavo, ero di pessimo umore quel giorno quando mi ha chiamato”. “L’hai riconosciuta subito, sì!” Adesso erano sdraiati su un’enorme amaca. Lei dimostrava dieci anni. Lui, impossibile dire. Quarantanove? Settantatré? Due gocce d’acqua, però. “No. Ma usavo un risonatore cibernetico interiore all’epoca e quello ha subito reagito con un output senza precedenti. Solo perché una Black Box non fa una certa cosa, non si può escludere che sia in grado di farla. Perché una noiosa telefonata con una studentessa che vuole farmi qualche domanda per poi illudersi di capirci qualcosa mi risuona come una sinfonia cibernetica gioiosa? Buona domanda. Perché non me la sono fatta prima di sapere la risposta? L’ho pagato caro, quell’errore.” “Errore prezioso quindi!” “Prezioso sì, ma inutile.” “Bah, senti come ti sbrodoli! È davvero così bella?” “Quando l’ho vista, mi è mancato il fiato. Adesso non saprei. Bisogna considerare che lei è là, a vivere una strana strana cosa insieme agli altri, nel mezzo di un disordine interiore quasi totale. Non so. Magari questo l’ha abbruttita. Non era per niente contenta che ci fossimo incontrati, una volta emerso chi eravamo. ‘Troppo facile!’ per lei era una condanna definitiva all’oblio. Niente doveva essere troppo facile, troppo bello, troppo chiaro, troppo vero, troppo stabile. Ha completamente dimenticato.” “Che fasullo. Non menti mai, ma quando parli di lei non ho la sensazione che tu dica la verità. Là dove ti duole, inventi di sana pianta. Che uomo straordinario, ti comporti come un adolescente umano in crisi!” “E tu che ne sai degli adolescenti umani in crisi? Abbi pazienza con chi ti ha evitato tutto ciò!” “Solo se ti metti a frignare, davanti a me. E nel frattempo ripeti: Sono innamorato, anche se l’amore non esiste! Trenta volte, così magari ti rendi conto, ti rendi conto che lo sanno tutti, che è inutile far finta.” “Ok…” Frigna “Sono inn...” Torino Caro Diario. Non ci sono cascata. Che c’entra quel tipo? Nulla. C’entra mio padre. Sono passati tre anni dalla sua morte ed è arrivato il tempo che ne parli. Tutte queste stronzate (scusa il francese) sulla Cibernetica sono solo la vendetta tardiva di un vecchietto acido che si era invaghito di me. Mi sono fatta plagiare, me ne rendo conto, e questa recrudescenza mi ha preso alla sprovvista. Ma adesso sono di nuovo OK. Ieri ci siamo divertite un sacco tra amiche!!! E stamattina Renato mi ha mandato un messaggio, che rinuncia al torneo e viene con me e Magenta dagli zii al mare, per il ponte!! Tutto come al solito. Tutto bene. Presto daremo il bianco in cantina e così butterò la scatola. Renato dice che i files dentro il laptop non sono più standard comunque. Libera. Ho amato tanto mio padre e lo amo ancora adesso. Mi ha fatto vedere tante cose e mi ha sempre spinto a fare ciò di cui avevo voglia. Ha sempre trovato risposte semplici e chiare a tutti i miei guai e non ha mai insistito sul confronto diretto. Non lasciava dubbi su chi fosse la favorita tra le tre donne che aveva in casa. Sento ancora oggi la sua mano accarezzarmi delicatamente la schiena. Mio padre la sapeva lunga, molto lunga. Era un autentico veggente. L’insegnamento più prezioso, il suo stesso esempio è sempre stato di non sopravvalutare l’importanza di ciò che ci può mettere in difficoltà. Certe sue idee sono tra le fondamenta della mia personalissima e autorevole filosofia di vita. Che uomo straordinario! “Quelli della nostra famiglia non sono sposati con chi amano.” mi aveva confidato una sera. E così fu, ma niente tristezza! Chiaro che non mi sono mai voluta sposare! Altrove (qualche minuto dopo, quando la ragazzina si è ripresa dale risate) “Molto bene, allora cosa hai sentito quando ti sei accorto di chi fosse?” “Uffa, non chiedermi questo, non voglio assolutamente ricordare. Acqua passata.” “L’acqua non passa mai per di Hairi Vogel sempre, è un circuito. Deve tornare, se no non passa neanche.” “Ho sentito di voler essere un umano, e stare con lei. Ti puoi immaginare che choc ! ” “Mmhm. Allora è proprio un caso grave. Incontri una sulla Terra, la riconosci e sai che la rivedrai di lì a poco, sai che è lì con un compito, come tutti, te incluso, eppure… non ti tranquillizzi. È come se volessi l’impossibile. Un attacco di ateismo, ha, ha, ha!” “Invece non è così. Tutto quello che accade sulla Terra deve accadere. Anche quello che è successo a noi. Devi capire che non è più come un tempo, quando si stava sulla Terra a compiere un destino senza averne idea. Ormai si sa. E questo ha portato molte conseguenze. Generalmente si pensa che chi non compie il proprio destino torni per riprovare. Quindi molta gente fa di tutto per non diventare angeli. Naturalmente, tutti i privilegiati, chi è al potere, e così via. Si vocifera che la vita sulla Terra sia l’unica esistenza e quindi si debba star aggrappati e far numero ad ogni costo. A me invece è venuta un’altra idea. Cosa succederebbe se, in sostituzione di questo andirivieni vecchissimo che, destino per destino, cerca di risolvere la situazione, ci mettessimo a colonizzare la Terra?! A conquistare il mondo degli umani. A rimanerci. E quale inizio migliore di due di noi, che già sanno star insieme, che si dichiarano coppia umana? E iniziano a mostrare a tutti quel che tutti cercano inutilmente, o che addirittura ormai negano di cercare?” “Ti vengono sempre delle idee che piacciono soprattutto a te. Però questa non è poi così male. Vuol dire che fra un po’ posso andarci anch’io ?” “Eh, vedi. Un’idea, cosa che una volta sulla Terra era capace di muovere montagne di cuori, adesso è solo una indicazione tra le tante. Ma se ci fosse Amore sulla Terra… Gesù ha sempre avuto ragione. Introdurre un elemento non cibernetico è stata una bella mossa. Solo che poi ha avuto tutt’altri problemi e dell’Amore si è fatto una menzogna.” “Comprendo, ma non mi convince più di tanto. Dopo passa Sisifo e giocheremo a pallone sul ripido. Questo mi piace, e anche lui. E poi faremo l’amore. Se ne avanza lo puoi piantare sulla Terra.” “Aspetta ancora un po’, per favore: cercate di andare con calma!” CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO... SEE THE LIGHT una vergogna. Eppure la mente è un affare nostro e una volta che ti trovi in una condizione così “sgarrupata” tocca a te pensare a come risolvere la faccenda. È un affare della realtà. Le realtà non possono interferire con le altre realtà. Se solo si capisse questo gli psichiatri imparerebbero il rispetto. Ma parlo per me. In realtà bisognerebbe solo fornire strumenti adatti a capirla, la schizofrenia. Essa ci chiede una logica che non è quella cui siamo abituati. Io all’epoca lo stavo imparando. Posso assicurarvi che non era una perdita di tempo. Peyrani - Lunedì 20 dicembre 2004 frequentai la lezione di filosofia teoretica all’università, tornai a casa e chattai con Afasia. I miei uscirono di casa. Durante la chat sentii spesso la voce che si sovrapponeva al flusso scritto; io le rispondevo e la maggior parte della conversazione avvenne nella mia testa. Quando Linda si staccò, un paio di ore dopo, era il crepuscolo; ma la conversazione non si concluse con la fine della chat. Camminavo per le stanze, su e giù, completamente assente, e intanto parlavo nella testa. Capitava anche che, per distrazione, mi uscissero dalla bocca dei frammenti di conversazione, dei mugugni: che ridere. La voce non era più un flash, e neanche appariva per scenette, a intermittenza. C’era una buona ricezione. Le risposte alle mie domande erano immediate, sorprendenti e ben formate. La voce, cristallina, non corrispondeva al tono di voce reale di Linda, che è basso, ma a quello dei suoi pensieri. Il timbro era disumano, il riverbero quello di una stanza diversa da quella in cui mi trovavo io, di dimensioni abbastanza piccole ma ben presente. Il contenuto delle risposte, come dicevo - sorprendente. Come potevo essere io a formularle, se la voce ne sapeva più di me, si esprimeva meglio di me, aveva decisamente più spirito ed addirittura più umanità di me? Non perché fosse umana ma perché era umanistica e, contemporaneamente, cinica e dura, come un vecchio poeta. Col tempo trovai le mie risposte, ma quella sera ero travolto dall’esperienza. Non pensavo che Linda comunicasse con me telepaticamente in diretta, perché non avevo la presunzione che lei stesse passando tutto quel tempo senza fare altro, però credevo di stare realizzando una sua virtualità. Conoscendola, parlandole, riflettendo su quello che mi scriveva, avevo creato un simulacro di Afasia nella mia mente. Quel simulacro era in grado di comunicare con me come avrebbe fatto lei se fosse stata presente. Una intelligenza artificiale portatile. Non volevo ovviamente incontrare i miei, così uscii prima che rientrassero e scesi in cantina. Erano le nove della sera e solo a mezzanotte avevo appuntamento con alcuni amici, mi pare di ricordare dalle parti di Piazza Statuto: avevo tempo di “lavorare”. Ho scritto più sopra che la voce ne sapeva più di me, che i contenuti mi sembravano appartenere a una coscienza estranea. In effetti la conversazione era quasi un’intervista. Eravamo come due persone che si conoscono a un appuntamento galante, anche se entrambi sembravamo sapere tutto dell’intimo dell’altro e nulla del mondo a cui apparteneva. Le domande che mi poneva erano volte a investigare la condizione umana così come quelle che facevo io a capire le meccaniche celesti. Il tutto aveva anche una connotazione erotica, perché oltre alla voce io percepivo la sua presenza. Poi fumai; solo un poco di hashish che normalmente non mi avrebbe scalfito, ma che in quelle condizioni fu potentissimo. “Perché lo fai?” mi chiese lei quasi infastidita. Io stavo formulando il pensiero “Perché mi piace”, ma lo trovai banale e scortese, allora lo cambiai in un “Perché sono masochista”, che non era del tutto sincero, forse perché speravo che lei mi spiegasse qualcosa al riguardo, cioè riguardo al sadomasochismo in generale; invece tacque. Sapevo che Linda si tagliava, che aveva coperto le proprie braccia e le proprie gambe con cicatrici, regolari come le rette parallele nell’ora di educazione tecnica. Lo faceva per combattere il panico ma anche nel delirio di trasformare i suoi arti in ferrovie, forse fu per questo che mi uscì quell’affermazione sul masochismo. L’hashish comunque migliorò ulteriormente il livello della percezione, così non ebbe troppo a lamentarsi. La presenza si era focalizzata e, oltre a sapere sempre dove si trovasse all’interno della stanza, iniziavo a vederla. Con la visione periferica era più facile, mentre fissando direttamente il punto tendeva a sparire. A volte però con un movimento improvviso ce l’avevo davanti, e per una frazione di secondo la vedevo da vicino. Non avevo mai visto una fotografia di Linda Valle all’epoca, non avevo voluto. Quando poi la incontrai dal vivo la riconobbi subito, anche se quella sera il suo volto era sicuramente più vago, mi pareva di vederla attraverso una gelatina color indaco. Le strane movenze e le sovraimpressioni che a volte si creavano mi fecero pensare, in seguito, alle rappresentazioni della dea Kali. E qua forse tocchiamo il nocciolo della questione “la voce sono io / la voce è più di me”. Poniamo che io avessi creato nella mia mente il simulacro di Afasia, così questa poteva rimodellare le informazioni contenute nel mio inconscio secondo la propria personalità o intelligenza e rispondermi in tempo reale, come se fosse stata lì. Ma chi era Afasia per me? Chi era Linda Valle? Un’estetica, una morale, un’immagine, alcune informazioni leggendarie, il marchio di una personalità trasmesso, in chat o via mail, sempre per iscritto. Per me Afasia poteva essere un demone o una dea; era sì una ragazza con una certa personalità, ma a sua volta quella ragazza poteva essere un fantasma di mille anni come una posseduta, un’adolescente attirapoltergeist in seguito posseduta da Wotan nelle fattezze dell’Ebreo Errante; poteva sapere qualunque cosa, solo sarebbe dovuta rimanere fedele alla personalità di Linda. E Linda, matta da legare, per iscritto mi aveva ispirato la fiducia, il transfert sciamanico per il quale lei, per me, avrebbe veramente potuto essere onnisciente. Per me lei era un Sembiante. Avevo Afasia dentro di me, Afasia aveva accesso a me, ma Afasia non era un’entelechia chiusa, bensì una finestra, perché la identificavo con l’ignoto stesso. Mi ero trasformato in una bottiglia di Klein, in una macchina autopoietica che pompava energia come una centrale nucleare, grazie a un paradosso dimensionale che, come un quadro di Escher, permetteva motori impossibili. Stavo sperimentando il Grande Vetro di Duchamp, solo con meno saggia ironia e il cazzo duro. Vederla aveva reso la nostra intervista una danza, una danza sempre più aggrovigliata ed erotica. Sapevo che avremmo dovuto fare l’amore, e sapevo che lei avrebbe danzato sopra di me come nel tantra (notare che non sapevo neanche cosa fosse, il tantra), ma era estenuante. L’eccitazione era enorme, ma gli stimoli semi-palpabili dell’allucina- zione portavano il rapporto più al parossismo che alla soddisfazione e, anche se non credo assolutamente sia impossibile amoreggiare fino a venire con un’allucinazione, senza masturbarsi, in quel momento non ne ebbi la pazienza; tra l’altro non ne avevo neanche più il tempo, perché si erano fatte le undici. Decisi comunque di non masturbarmi, perché avevo paura di perdere il contatto. Questa forse fu una pericolosa sciocchezza. Le chiesi di interrompere, momentaneamente, il rendez-vous, per riprenderlo dopo il mio appuntamento. “Dipende solo da te” mi disse e lentamente si dissolse, anche più che essersene andata mi pareva che si fosse equamente distribuita nella stanza, come un gas. Misi in ordine la cantina e feci per uscire, però iniziai a sentirmi male. Una fitta mi cresceva in petto e poco dopo, contraendosi i muscoli per lo stress causato da questo primo dolore, lo strappo lombare iniziò a farmi sudare. Giravo su me stesso e mi sentivo svenire, e non capivo perché. Spensi la luce della cantina, chiusi il lucchetto e lì, sull’uscio, sentii che le forze mi venivano meno e che non riuscivo più a reggermi in piedi. A quel punto capii: non stavo più respirando! Da quando avevo interrotto la conversazione, e mi ero messo a rassettare, non avevo più respirato una volta. E non ci riuscivo. Fui preso dal panico. Se inizialmente avevo creduto di avere un infarto, allora mi resi conto che ci doveva essere un collegamento col fatto che avevo passato le ultime cinque ore a parlare con un’allucinazione. Ero per terra e per respirare anche solo mezza boccata d’aria dovevo quasi prendermi di sorpresa, facendo una specie di fisarmonica isterica con la cassa toracica. Provai a gridare, a parlare. Non emettevo il minimo suono. Con un brivido una parola mi venne in mente, scritta in testa: afasia, non riuscire a emettere il minimo suono. La richiamai col pensiero e lei fu subito da me, al mio capezzale, mentre vedevo il mondo sparire. “Sei tu!” l’accusai. “Perché lo fai?”. Dopo un attimo di esitazione, ma con un sorriso, si giustificò: “Perché sono sadica”. Allora mi vidi cadere come se mi avessero tagliato i fili, mi guardavo tremare per terra, dall’alto, come se i miei occhi fossero rimasti sospesi a mezzaria. Tutto divenne nero, ed io avevo freddissimo. I muscoli si erano così contratti che ero appallottolato, in una posizione fetale da vecchio, parkinsoniana. Stavo morendo. La luce nei corridoi della cantina è a tempo. In un certo momento devo essermi risvegliato al buio, aver acceso la luce ed essere strisciato per mezza rampa di scale, ma non lo ricordo. Mi sono svegliato nuovamente sulle scale per l’appunto, nuovamente al buio, ma non sapevo dove fossi, così strisciai di nuovo giù e poi, riaccesa ancora la luce, faticosamente di nuovo su di una rampa e mezza. Poi non ricordo nulla e fu di nuovo buio, e di nuovo non sapevo dove fossi. Non riconoscevo il luogo dove avevo passato migliaia di ore nella mia vita. Pensai che non sarei sopravvissuto e immaginai l’effetto che avrebbe avuto la mia morte sui miei genitori, tre mesi dopo la morte di mio fratello. Questo mi fu di sprone, stuzzicò il mio orgoglio. Ripresi il controllo del respiro e dopo qualche minuto ero fuori. Era passata mezzanotte, mi resi conto. Ci avevo messo quasi un’ora a uscire dalla mia cantina. Sudato freddo, distrutto come se avessi appena finito di correre una maratona con 40° di febbre per poi prendermi il 220 e farmi investire da un camion, rientrai in casa e mi sdraiai sul letto. E… chiamai Atzori. CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO... 15 10 Peyrani - Andai su internet, trovai la chat. Trovai un’identità virtuale a nome Afasia, le lasciai un messaggio. Le scrissi che ero amico di Beatn|k (il nickname di Atzori), che mi aveva raccontato di un uomo misterioso che le era entrato nella testa, un uomo con un occhio di vetro, e le buttavo due esche per farla raccontare, citando con vaghezza parole di Jung, che avevo letto per la prima volta quell’autunno, e di Eliot, sull’archetipo del Vecchio Saggio, che definivo “mercante” e “marinaio”; come se quell’uomo dall’occhio vitreo dovesse essere un suo sogno, o sua allucinazione; comunque il simbolo di una forza inconscia e non un uomo in carne ossa. Ne ero convinto, infatti: Atzori me l’aveva descritto come una visione; probabilmente perché pensava che fosse davvero tale. Tre anni dopo, il migliore amico di Linda, Nicolò Serafin, mi confermò che non era così. L’uomo dall’occhio vitreo era un barbone, che anche lui aveva incontrato più di una volta, un uomo che vendeva tessuti colorati sulla piazza del paesino... Ma procediamo con ordine: dopo che le scrissi quel messaggio, passarono solo un paio d’ore e poi arrivò questa mail: io non so quanto ho capito o quanto io voglia capire di ciò che mi scrivi. quale significato portino le immagini del mercante e del marinaio mi interessa relativamente.ero in una piazza vuota la prima volta che vidi l’uomo dall’occhio vitreo, lui corse verso di me e mi gridò “è liberato!” indicando il campanile. venne a liberarmi dalle premure del macigno affinchè potessi interpretare le simbologie del vetro e del ferro. Lo rividi spesso nei dintorni della piazza la mattina presto. poi scomparve e io rimasi ad aspettarlo s i n o a l l a notte americana quando mi diede l’addio. camminavo in una via a n g u s t a e d’improvviso dal cielo calò sulle case un sipario di pece. tutto si velò nuovamente. -non ho portato a termine il mio compito. il profeta bambino dagli occhi plumbei mi ha avvisato. solo cinquanta. ora l’uomo dall’occhio vitreo è tornato. sedeva per terra nella piazza vuota. il suo occhio mi ha trafitto. non sono stata di parola. Io sicuramente ero giovane, avevo vent’anni ed ero più credulone che mai. Ma era una ragazzina anche quella che mi scriveva? Aveva diciassette anni? O era qualcuno di più vecchio, magari un uomo di trenta, che mi prendeva in giro? Oppure un bambino geniale? Il tono con cui tagliava corto il mio balbettio ignorante era severo, poi però proseguiva scrivendomi apertamente, indifferente a chi fosse davvero il suo interlocutore, ermetica come se dovesse riferire soltanto a sé; infine epica, spettacolarizzante e distaccata come un’adolescente che s’improvvisa romanziera, un po’ per scherzo. In seguito riuscimmo a chattare. Quando la vedevo in linea mi emozionavo tantissimo, poi le parlavo anche se con qualche esitazione. Da un lato i suoi discorsi mi illuminavano, dandomi da pensare per giorni, dall’altro mi riempivano di vergogna, non tanto per la mia ignoranza, che veniva sempre e comunque al pettine, quanto la mia poca purezza. Scrivendo con lei mi per rendevo conto di quanto le mie parole fossero volte a coprire qualche debolezza, a imitare qualche sentito dire, insomma strategiche, insincere; con tutte le forze cercavo di migliorare per scrivere come lei. Il suo stile era ossessionante, quando una nuova stringa si aggiungeva in chat mi pareva di dovermi battere la mano in fronte ed esclamare “Come fa ad essere così precisa? Così disinteressata?” Inoltre mi scriveva di cose bellissime, di Yves Bonnefoy, di Dino Campana, di Mallarmé, di Deleuze, di Carmelo Bene, di Rimbaud, di Le Corbusier, di Andrej Belyj, e mi mandava musiche stupende, da Paolo Conte ai Tuxedomoon, da Piero Ciampi a Terry Riley, tutto in poche conversazioni, linee guida critiche di un’estetica matura che mi avrebbero influenzato sempre. Inoltre faceva cose strane; per esempio, il solletico. Si arrivava a volte in chat a momenti molto intensi. Come in un film in cui taccia improvvisamente l’accompagnamento musicale, ecco che la chat rallentava, si fermava del tutto. Intanto il cuore a mille, una tensione spropositata. In quei momenti mi pareva di sentire la stanza da cui scriveva. Sapevo dai suoi racconti che si trattava un seminterrato blu cobalto, integralmente blu cobalto: mobili pareti soffitto soprammobili coperte e lenzuola… a parte il pavimento, di legno, tutto era blu cobalto, anche se il colore preferito da lei era in realtà il blu di Prussia, e suo fratello il blu oltremare… La sentivo spostarsi in quella stanza che si sovrapponeva alla mia, alla mia percezione di casa mia, come un sogno ad occhi aperti. Sentivo tintinnare. Un’atmosfera di estremo oriente traspirava da quella stanza: India, Tibet; Giappone. Poi mi faceva il solletico. Mi rendevo conto di averla lì, di fronte a me per modo di dire, in quell’altra stanza, e lei allungando le mani poteva attraversare il mio petto! Se si potesse definire il corpo di quella stanza che percepivo a spizzichi e bocconi come un corpo “astrale”, allora i nostri corpi astrali non erano impenetrabili come quelli fisici. Piuttosto, erano volumi di emozione trattenuti da membrane di senso. Sapeva entrarmi nel petto colle dita e solleticarmi, con tenerezza infantile ed erotica, il cuore stesso. Mi buttava giù dalla sedia (non resisto al solletico) senza neanche battere una parola sul computer. E ammetteva di farlo, senza scendere in dettagli: “È un’arte antica” tubava. Fu in quei frangenti che iniziai a sentire la sua voce. Era una voce-pensiero senza polmoni, di una sincerità devastante. Sembrava anzi che la sincerità assoluta del desiderio di comunicare un determinato messaggio fosse la conditio sine qua non affinché almeno uno di quei lampi potesse avverarsi. Ecco perché penso che le emozioni come amore, terrore, attrazione o venerazione, siano un ingrediente fondamentale per mettersi in contatto con queste misteriose intelligenze disincarnate; esse ci parleranno attraverso i feticci che ci emozionano nel modo appropriato, sempre che se ne trovino, in questo mondo inaridito. Atzori - Tutto quello che stava accadendo a Lorenzo io lo davo per scontato. Mi sorprendeva il suo stupore. Sapevo, razionalmente, che era uno stupore legittimo; ma tutto ciò per me era così “quotidiano” che nemmeno me ne accorgevo. Ero consapevole che quel che accadeva fosse il frutto di un’insolita concatenazione relazionale. Linda era molto simile sia a me che a Lorenzo. A me per alcune cose a Lorenzo per altre. C’erano in ballo un misto di affinità e conflittualità che generavano uno strano cocktail. Le affinità erano sottili, i conflitti anche. Vivevo tutto apaticamente. Era un’apatia dolce. Sapevo che non ero in contatto con Linda, ma piuttosto avevo capito che l’estetica perché potesse definirsi pura e “matura” dovesse at- tingere ai propri sensi i quali non si limitano alla percezione fisica di un dato momento separato dagli altri, ma a un’esperienza dell’immanente, dove tutto è accessibile perché sempre presente, inseparato. Ero consapevole di questo gioco e lo vivevo in maniera tacita come sempre si fa con il sacro. Certo, quello che avveniva era qualcosa di sacro. Il sacro che va oltre le differenze sociali che rappresentavano i veri problemi fra noi. Un sacco di risentimenti che vivevo nei confronti delle loro esistenze che percepivo come “borghesi”. Un senso di antipatia che costantemente tesseva le pareti della mia stessa apatia. In fondo parlare del rapporto che avevo con Linda corrisponde a porre attenzione ai rapporti superficiali che vivevo all’epoca. Rapporti virtuali, niente di reale. Era un transfert continuo, vissuto narcisisticamente. E non parlo come uno psicanalista, perché la psiche non è qualcosa di diviso da tutto il resto. Peyrani - Pensavo che non mi sarei mai più potuto innamorare se non di una donna perfettamente pazza. Camminavo per le strade e mi sentivo euforico: Afasia era un segreto, un segreto che mi rendeva invincibile. Esternavo con sempre più facilità il mio mondo interiore, come se tutti dovessero esserne messi a parte, e diventavo teatrale. Mia madre mi disse spaventata “Non vedi che sei dissociato?” e io no, non lo vedevo. C’era anche Atzori quella volta a casa, credo. Uscivo la notte e magari spaccavo tutto, macchine e bidoni e vetri e allora di solito qualcuno me le dava. Feci arrabbiare un mio amico, una delle persone più buone e meno violente che conosca, e lo portai a darmele di santa ragione. Rotolammo giù dalla curva di via Stradella (lui è molto più forte di me) e venimmo fermati dalla polizia. Mi ero fatto un bello strappo lombare e così ci misi più di un’ora a tornare a casa, poi girai col bastone. La debolezza del fisico aiutò la voce a farsi sentire, il dolore mi rendeva emozionato, e, come cercavo di spiegare prima, l’emozione è benzina per l’allucinazione. O per la magia. Parlavo di amore, ma vale qualsiasi emozione forte, le più facili sono quelle sgradevoli. L’amore permette a un’allucinazione di rimanere coerente, approfondirsi e sfaccettarsi nel tempo nel modo più profondo. L’amore crea vere persone nella testa, belle persone; vita. La paura è più facile e altrettanto duratura e coerente, l’altra strada privilegiata dalle entità. Atzori - In quel periodo ricordo che Lorenzo si era appassionato a Jung, ai simboli; cose che non mi interessavano e che avrei consultato solo più avanti. Piuttosto, mi facevo bello con la letteratura, con un pizzico di filosofia; ma tutto sommato era solo un farsi bello. Con questo non intendo che non capissi, che lo facessi per darmi una posa, piuttosto che ero eccessivamente preso bene dalla mia follia. La confondevo con il genio. Questo per poca stima in me stesso. Perché non è essendo folli che si è geni. Mi credevo già arrivato. Invece la follia è una punizione. Corrisponde a un eccessivo avvicinamento alla verità, la quale diventa indiscernibile. Un po’ come quando guardi casa tua da googlemap, se ti avvicini troppo diventa indiscernibile. Pensare alla follia da folli è impossibile. Perché quando si è folli si pensa solo alla verità. Eppure la verità corrisponde a un’illusione. Eppure per essere geni bisogna essere il meno illusi possibile. La schizofrenia è, in fondo, una condizione un po’ ridicola; ma non andrebbe biasimata, né svalutata a “malattia”. La follia è una condizione reale. Quando arriva, la realtà stessa diventa schizofrenica. Ti senti scemo. Quel che la rende così umiliante è la mancanza di strumenti che si ha nell’accettarla. Così si va dallo psichiatra, si è tormentati da voci, attenzioni distorte, Maurizio Costanzo che ti parla dalla televisione… tutto ciò lo si vive come L’energia che fa muovere il mondo Le scoperte di uno scienziato troppo scomodo BEATRICE DI ZAZZO E “Se qualcuno scoprisse qualcosa in grado di cambiare il mondo, il mondo si lascerebbe cambiare?” rano mesi ormai che cercavo prove in grado di suffragare la mia intuizione. Come verificai poi con studi e ulteriori epifanie non era stata nemmeno poi così geniale e originale, ma aver trovato ipotesi scientifiche, e pseudo tali, che mi davano quasi ragione placava un po’ il senso di angoscia che mi portavo dietro da anni. Avevo cominciato a pensare all’esistenza umana in termini di energia: negativa, positiva, neutra, riflettente, attraente, respingente, etc. La mia visione della reale irrealtà era diventata un cumulo di leggi con una struttura simile a quelle della termodinamica, ma del tutto rivisitate e personalizzate. Ed ero anche convinta che il sesso e l’amore dovessero entrarci per forza, dovevano spiegare più di quel che tutti credevamo se ne eravamo così ossessionati. Freud, seppur estremamente limitato in alcune sue considerazioni, forse aveva compreso il nocciolo della questione. Ma la faccenda andava ampliata. Al di là del simbolismo fallico e genitale forse il “quid” era nell’energia trasmessa e liberata tramite quei simboli. E così mi imbattei nel libro di Wilhelm Reich “La funzione dell’orgasmo”. E dato che il “povero” Reich aveva trascorso le sue ultime ore in un carcere americano perché le sue idee considerate troppo bizzarre (a dir il vero forse erano troppo pericolose per tutta una frangia politica e scientifica), non potei fare a meno di provare subito simpatia per lui. I martiri mi sono sempre piaciuti, più dei santi. Il buon Wilhelm, psichiatra e psicanalista, si era addentrato nell’ostico campo della fisica per spiegare al mondo intero che l’energia in grado di far muovere il mondo era quella orgonica. Orgasmo + organico = orgonico. Per lui esisteva questa forma di energia onnipresente in ogni aspetto vitale e in ogni grandezza dell’universo. Dall’infinitesimamente piccolo all’infinitamente grande, tutto era regolato da questo flusso energetico. Queste le leggi che aveva ricavato dai suoi esperimenti: 1. L’energia orgonica viene attratta e trattenuta dai materiali organici. 2. L’energia orgonica viene attratta e poi respinta dai materiali metallici. 3. L’orgone può diventare nocivo in presenza di radioattività o di campi elettromagnetici. 4. L’acqua è il veicolo privilegiato dell’orgone. 5. L’energia orgonica cromaticamente acquisisce le proprietà del colore blu con tutte le sue sfumature. Approfondendo le sue ricerche e mettendo a punto i suoi esperimenti su Accumulatore Orgonico (ORAC), Cloud-Buster (tr. acchiappanuvole), Dor-Buster (a scopi terapeutici per curare tumori o altre patologie da “contrazione bioenergetica”) Reich ipotizzò che l’energia orgonica regoli sia il cosmo che il corpo umano, e che inoltre permei tutte le dimensioni intermedie. Tramite il Cloud Buster verificò che l’energia orgonica, opportunamente attratta e trattata in una scatola organica, può attrarre o respingere le nuvole (congegno perfezionato da James De Meo che l’ha utilizzato per risolvere problemi di siccità in zone sudafricane). Tramite il DorBuster cercò di dimostrare (non è dato sapere se ci fosse riuscito poiché la FDA - Food and Drug Administration – distrusse gran parte dei suoi appunti negli anni ’50) che la gran parte dei tumori era originata da una contrazione energetica: riuscendo a liberare l’energia negativa e a trasformarla da energia negativa DOR in energia positiva OR, probabilmente le industrie farmaceutiche avrebbero perso parecchi introiti. Il tutto diventava sempre più affascinante, suffragato da casi già sperimentati e incredibilmente aderente con la mia “banale” intuizione. Sembravano esserci molte osservazioni empiriche sull’energia orgonica che aveva incredibili similarità con la formulazione dell’esistenza dell’etere, parzialmente riconosciuto dagli scienziati naturalisti e che asseriva l’esistenza di un mezzo nello spazio. So benissimo che non ho bisogno di prove scientifiche per formare la mia personale visione del mondo, ma so che se voglio che la mia visione sia condivisa da altri dovrò portare dati a sostegno della mia teoria. E procedendo con le ricerche fu chiaro che molte delle leggi fisiche riconosciute avevano lacune simili a quelle sull’esistenza dell’energia vitale/orgonica/ eterea. Gli scienziati che tanto si definivano “sperimentali e oggettivi” avevano introdotto concetti assiomatici come materia oscura, energia oscura, buchi neri, quasar, stringhe cosmiche. Bene, nessuna di queste è stata verificata, ma su di esse poggia il nostro attuale paradigma scientifico. Ci vorrebbe una rivoluzione scientifica per instaurare un nuovo paradigma. Ma la rivoluzione basata sull’orgone (o sull’atomo magnetico di Ighina) forse farebbe svuotare i portafogli di alcune lobbies. C’è solo un’altra cosa, oltre i soldi, a muovere o a fermare gli individui: la paura. Paura che andando a leggere l’essere umano partendo dal comportamento sessuale si scoperchi chissà quale tabù. Così continuiamo a zittire la sessualità e a non impiegarla invece come la chiave di lettura per eccellenza. Frustrate i vostri impulsi, legateli e rinchiudeteli, non permettete il contraddittorio... e vi ritroverete una nevrosi, se non qualcosa di peggio. Riuscite a immaginare la potenza di un orgasmo? Mi auguro per voi di sì. Ecco, se questa energia viene bloccata, nascosta, misconosciuta e quindi incattivita, quali effetti si otterrebbero direzionandola consciamente verso un’altra parte del corpo o all’esterno? Quanto risulterà rabbiosa la rivendicazione del corpo, che sa quali siano le proprie primordiali, primigenie ed evolutive potenzialità? Dipende dal grado in cui siete stati complici del più grande inganno della civiltà: l’emarginazione della sessualità. Sulla scia di queste considerazioni mi dedicai con particolare attenzione, avendo un’incredibile potenza nel trasformare i miei corto circuiti emotivi in qualcosa di somaticamente tangibile, alle ripercussioni dell’orgone sull’origine di alcuni tipi di malattie. Reich si ritrovò ad osser- vare il fenomeno Oranur (orgone anti-nucleare) quando mise del materiale moderatamente radioattivo in un accumulatore con elevata carica di energia orgonica: si formò un bagliore bluastro che si espanse per tutto il laboratorio. Alcuni collaboratori di Reich si ammalarono e tutti gli organismi viventi che erano stati sotto l’esposizione di questo bagliore mostrarono i suoi effetti. Anche il tempo meteorologico ne fu influenzato. L’Oranur colpì le persone nei loro punti fisici più deboli, ma ebbe anche l’effetto curativo di scatenare una reazione immunitaria in grado di eliminare i malanni precedenti a quell’esposizione di Oranur. Ecco allora su cosa si reggevano le malattie psicosomatiche! Per questo in numerosi casi sono così difficili da far regredire. Ci si sofferma sul dolore fisico, sulle conseguenze per il corpo, sui traumi che li hanno aiutati a consolidarsi. Ma il dolore mentale, le conseguenze per l’anima e il perché alcune cose siano state vissute come traumi vengono tralasciate nella gran parte dei casi. L’orgasmo (come lo si Wilhelm Reich cerca, come lo si vive) non sarà sicuramente la soluzione a tutti i mali, ma sicuramente viverselo e parlarne consapevolmente aiuta ad abbandonare le resistenze e i blocchi. E sono proprio questi a creare malessere. Provate a vivervi l’orgasmo, a sentirlo, a parlarci. Vi conoscerete meglio che con anni di psicoanalisi, per non parlare degli altri suoi effetti benefici. Provate ad abbandonarvici; saliti sulla macchina del tempo a carburante orgonico vi renderete conto di come il tempo si annulli: esiste in quel momento la totalità spaziale e temporale che non prevede compartimenti stagni tra passato, presente e futuro. È tutto lì, tra spirali di piacere. Ritornare all’origine nel momento stesso in cui qualcosa finisce, e qualcosa continua. Senza una sessualità libera dai tabù altrui (se proprio ne abbiamo bisogno per vivere che siano almeno un nostro prodotto esperienziale, non quello delle solite dinamiche politico-sociali-culturali) è difficile sentirsi in sintonia con se stessi e con il mondo. E senza Oranur le persone devono curarsi con la medicina tradizionale, a volte esasperando i sintomi piuttosto che curandoli. Altri aspetti degli effetti benefici dell’omeopatia e della medicina alternativa, o di quelli malefici del dilagare del bigottismo. Ringraziai tutti quegli studiosi, considerati eretici, che avevano osato andare al di là del senso comune e dei paletti della propria scienza. Non erano miei vagheggiamenti, c’era qualcosa di vero in tutto quello che avevo intuito e poi “riscoperto”. E poi, più tardi, mi divenne chiaro anche perché già Dante, negli ultimi versi del XXXIII canto del Paradiso, arrivò a dichiarare: “A l’alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e ‘l velle, sì come rota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il sole e l’altre stelle”. CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO… 9 16 Un buffet per due - Parte III SCRITTI PROPEDEUTICI ALLA COSTRUZIONE DI UNA MACCHINA DEL TEMPO Due stronzi alla corte di Re Artù: considerazioni di viaggio ed esegesi del Graal. La comparsa di una voce inquietante. Un faccia a faccia con la morte. di Lorenzo Peyrani Parte II: dopo la macchina del tempo economica ecco la macchina del tempo fisica, sulla quale si specula a partire dalle teorie di Einstein e anzi dalla loro esasperazione. Sul prossimo numero ci occuperemo invece - finalmente - di questioni filosofiche. C arissimi. Gli aspetti della teoria della relatività che suscitano insieme scetticismo e fascinazione sono innumerevoli, ma oggi vi chiedo di riportarne alla mente uno in particolare, quello cui ci si riferisce di solito come “paradosso dei gemelli”. Questa la storia, in breve: due gemelli, per sorte o artificio, subiscono destini opposti; A rimane sempre all’ovile materno, B diventa l’astronauta che per primo sperimenterà velocità vicine a quelle della luce. Dopo il suo viaggio al fulmicotone, B torna a casa e trova A sensibilmente più vecchio di lui. Eccoci messi di fronte a una delle conseguenze della teoria della relatività più difficili da accettare: a velocità maggiore corrisponde un più lento trascorrere del tempo soggettivo. Se qualcuno viaggiasse (quasi) alla velocità della luce, quello che per lui trascorrerebbe in un secondo durerebbe anni per i suoi contemporanei più lenti. Ne avrete sentito parlare. Io ero un ragazzino quando sentii raccontare questa storiella per la prima volta, ma da allora non ho smesso di pensarci. Anche quando ero ragazzo progettavo di costruire una macchina del tempo; d’altra parte non c’è niente di strano: è più singolare continuare a farlo alla mia età che fantasticarci su, da bambini; la mia costanza durante il corso degli anni, piuttosto, potrebbe indicare la tara della demenza; ma non lascerò che questo mi abbatta. Fatto sta che mi trovai a studiare fisica al liceo scientifico; durante quelle ore, alcune lacune nell’indottrinamento impartito dai professori, certi buchi della cui chiusura e circoscrizione non mi avevano convinto, stuzzicavano la mia curiosità, promettendo vie di fuga. Ero alla ricerca di un’osservazione che minasse la loro sicurezza; speravo di colpirli in un punto debole e far crollare il castello di carte su cui si basava la loro dottrina, e magari diventare io il professore. Nel caso in questione, leggendo la descrizione del modello atomico planetario, secondo il quale gli elettroni si muovono a velocità grandissime, paragonabili a quella della luce, su orbitali che circondano un nucleo costituito da neutroni e protoni, mi sorse spontanea una domanda: chi decide dove inizia e dove finisce un corpo? Quando si deve considerare la parte (per esempio l’elettrone) e quando l’insieme (l’atomo? O tutto il corpo, magari umano? O l’universo?)? E se ogni corpo è costituito da materiali o tessuti, a loro volta costituiti da molecole, a loro volta costituite da atomi, a loro volta costituiti da particelle come elettroni e protoni… come si può stabilire un’unica velocità per un corpo? Sarà pur vero che, nella mia interezza di animale, posso stare fermo sul divano oppure sfrecciare sopra a un aereo; ma i miei elettroni si muoveranno sempre più veloci di me. Allo stesso modo io sarò sempre più veloce della Terra, perché anche da “fermo” essa mi trasporta con sé. Di conseguenza la Terra è più veloce del Sole, il Sole più veloce della galassia e la galassia più veloce dell’universo. Ecco che l’ennesima teoria nasceva nella mia mente giovanile e incline alla metafisica: ogni insieme è più lento delle parti che lo compongono; e ancora, ricordando che “a velocità maggiore corrisponde un più lento trascorrere del tempo soggettivo”, derivavo qualcosa di ancora più forte: il volume è direttamente proporzionale all’età. Proviamo a darlo per buono, a prenderlo per ipotesi. La scala delle magnitudini¹ si presenta ora come vero orientamento dell’asse temporale. Che scenario: solo l’universo nella sua interezza è abbastanza “vecchio” da aver raggiunto il presente assoluto, al contrario le sue parti costitutive sono più “giovani”; ma non già nel senso che siano emerse in seguito (poiché l’origine è comune all’insieme e alle parti), bensì nel senso che esse “non sono ancora arrivate”, che esistono nel passato, che si “ambientano” nel passato. Se il “presente” dell’universo si situa qualcosa come quindici miliardi di anni dopo il Big Bang, la sua supposta origine, il presente di una galassia allora avrà solo cento milioni di anni, quello di una stella tre milioni e quello di un pianeta mezzo. Il presente di un umano solitamente non dista dall’origine più di un secolo e quello delle molecole qualche mese… Per gli elettroni si parla di giorni. A conferma di ciò, atomi e molecole ricordano strutturalmente le formazioni dell’universo primordiale e, al di sotto di una certa dimensione minima², le nostre misurazioni si scontrano con un misterioso caos quantistico: non possiamo osservare senza modificare. Così piccolo da precedere la Creazione. L’intero passato risiede nel mio corpo ed è il futuro a circondarlo. “Presente soggettivo” significa “pelle”. La pelle che mi separa dai miei colleghi umanoidi, il confine tra un corpo e l’altro che è terrore della morte, il presente cieco. Se il passato è nel dettaglio, è “alla base” tutto lo spazio; presente e futuro ne sono letteralmente costituiti. Come si può viaggiare nel tempo, allora? E si può davvero parlare di "viaggio" se a cambiare è il volume e non la posizione? Non esiste un modo per rimpicciolire o ingrandire un corpo; e, se anche ci fosse, una creatura potrebbe sopravvivere? Rallentiamo. Io sostengo che le tecnologie per farlo esistano già, invenzioni risalenti agli ultimi decenni, ma per capirlo facciamo un passo indietro. Prima di spingerci tanto in là da valutare il rimpicciolimento o l’ingrandimento dei corpi, prendiamo in considerazione una via più umile: quella della lente, che ingrandisce solo le immagini. Il microscopio ci ha permesso di investigare il funzionamento della vita microscopica e di quella arcaica allo stesso tempo. Sarebbe stato difficile individuare nei microbi le specie viventi più antiche, prima che gli scienziati ci aprissero gli occhi sulla loro esistenza; tantomeno comprendere il passaggio da sostanze inorganiche a tessuti viventi senza l’idea di cellula. Inizia l’interazione con il mondo dell’infinitesimamente piccolo, le tecnologie mediche si raffinano: si affinano. Un bisturi è già una macchina del tempo. Per non parlare di una bomba atomica. E pensiamo agli sviluppi recenti in campo genetico. La mutazione controllata, cui assistiamo con la creazione degli organismi ge- neticamente modificati, è un salto nel futuro o comunque in un altro tempo, reso possibile da tecnologie che lavorano con grande precisione e su scale infinitesimali; per le quali, guarda caso, si è sentito necessario coniare il termine “nanotecnologie”, come a sottolineare un salto qualitativo che le rende un campo tutto nuovo. La genetica applicata si è rivelata proprio l’arte di far viaggiare nel tempo gli esseri viventi. Basta una sottile modifica al passato, per esempio a quel passato remoto che è il DNA, ed ecco una patata diversa, qui e ora. Lungo quale linea temporale si è evoluta questa specie di patate? Fatevelo dire: lungo una linea temporale alternativa, in un mondo parallelo. Questa patata è Biff che diventa ricco grazie all’almanacco sportivo, è Marty che diventa trasparente³. Potrebbero cambiare il passato e farci sparire tutti. Oppure, se non lo facciamo noi per primi, potrebbero essere quei maiali dei nostri figli a cambiarci la vita: non ci varrà a nulla essere già morti. Di macchine del tempo siamo circondati, al giorno d’oggi. ¹ con scala delle magnitudini banalmente si intende la scala dei volumi: si va dal quark all'atomo, alla molecola, al tessuto, all'organismo, ai pianeti, alle stelle, ai sistemi planetari, alle galassie, fino all'universo stesso. ² 1,616 252 × 10-35 metri è la “lunghezza di Planck”. Un cubo con lunghezza di Planck di lato è il cosiddetto “spazio di Planck”, al di sotto del quale la materia si comporta caoticamente. ³ personaggi di “Ritorno al Futuro”. CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO… Peyrani - Sono seduto al tavolo di un locale nel centro di Torino, quando mi squilla il cellulare. È Simone Sandretti, il presidente del Torino Mad Pride, e mi passa Fabrizio Gargarone, detto Gargamella, patròn di Hiroshima Mon Amour. Mi metto sull’attenti. “Potremmo avere Blixa Bargeld come ospite per la vostra serata del 2 novembre, che te ne pare?” Garga ricomincia a parlare, accennando alle questioni economiche, ma cade la linea. Per un attimo il mio pensiero vaga. Blixa Bargeld. Penso al mio articolo sulla Sveglia, quello autobiografico, il “Buffet a Deux”. E penso ad Atzori. Aveva scritto un bel pezzo riguardo quei giorni in cui Blixa gli parlava nel cervello, durante una crisi d’astinenza da antipsicotici - una settimana per me splendida, tra il finire di Ottobre e gli inizi di Novembre 2004, a Berlino. Sarebbe stato perfetto, rimugino, come pubblicità alla serata. Peccato sia andato perso: dovrò chiedergli di riprendere la narrazione da quel punto, di riscriverlo… Atzori - Più che un concerto sembrava un doposcuola. Blixa Bargeld faceva da direttore e tutti gli altri il coro. In mezzo vedevi anche persone di una certa età che però, a quanto pare, erano rimaste troppo attaccate all’infanzia. Io ero coinvolto in questa buffonata, ma non stavo certo tra le fila dei partecipanti. Vagavo per il Palast der Republik di Berlino pieno di rabbia per la situazione ridicola in cui mi trovavo. Ero, inoltre, un po’ deluso da Blixa Bargeld. Mi sembrava un imbecille, un “convinto”, uno che stava facendo una porcheria e che si stava pure impegnando per farla, quasi fosse un dovere. In quei giorni avevo deciso di farla finita con la terapia farmacologica. Questo mi generava scompensi che era difficile ignorare. Seguivo il flusso ondivago di ogni sensazione, pativo ogni carenza estetica (intendendo come tale ogni identità ravvisabile). Era una situazione così adolescenziale. Io dovevo uscire dall’adolescenza e invece mi ci trovavo incastrato in maniera beffarda e sprecata. Blixa mi sgridava telepaticamente: voleva che mi inserissi nel coro. Io non ubbidivo. Quella disciplina che lui mi proponeva, non m’interessava. Non volevo far parte di quel gruppo. Io non ero un fan degli Einstürzende Neubauten. Non me ne fregava niente. Ero senza farmaci, quindi vomitavo, deliravo. Quel concerto non valeva nulla, e ancor meno valeva rispetto a quello che io ero capace di sentire e vedere. Io ero il tempo e lo spazio. Ero io a determinare il confine del reale, perché il reale scaturiva da me, da un sé che respirava attraverso i miei polmoni e che ad ogni movimento di diaframma generava nuovo spazio, nuova realtà, nuove allucinazioni. Ma non ero certo in grado di vivere questo stato in maniera cosciente, così lo pativo. Creavo realtà frammentate, che appartenevano ciascuna al tessuto di parti disunite. Era come se si aprissero tante finestre sulle cose e queste girassero intorno alla mia testa-lavatrice. Sentivo, percepivo la mia testa come una lavatrice. Non volevo allinearmi al loro ritmo, così cercavo di crearne di nuovi. Tentavo di trasformare in musica i rumori che provenivano da quel contesto sonoro. Non sopportavo quella musica. Sembravano tutti burattini di Blixa Bargeld: un coglione tedesco con il panzone che faceva il dark dandy vivendo dell’eredità della sua ormai consumata aura mistica. L’astinenza da farmaci rendeva il dolore un elemento ancora più esteso. Era così perché avendo assunto per un mese quelle pastiglie mi ero disabituato alla necessità dell’intelligenza. Affidavo a qualcosa d’altro il compito di porre tregua a tutte le confusioni. Il risultato era un sonno inutile e una debolezza che mi rendevano fragile agli attacchi dei demoni che io stesso creavo dalla superficie della mia epidermide emotiva. Intanto erano tutti lì che cantavano in coro. C’era anche Peyrani, anche lui coinvolto in quella schifezza. Credo che quel che più mi terrorizzasse, in quel che stava succedendo, fosse il “fatto” che accadesse realmente. Ad esempio, Peyrani mi appariva come un ragazzino. Aveva vent’anni, in fondo. Blixa era un signore che faceva l’alternativo e che l’underground anni ottanta aveva reso un professionista. Ma poi, a lato, c’erano i loro sé: vivi, agivano. Comunicavo con essi telepaticamente, li vivevo. Ma loro avevano di sé una coscienza parziale. Questo non poteva che terrorizzarmi, perché tutto quel che mi accadeva aveva qualcosa di abominevole in quanto alieno, vicino alla biologia, separato dal civile. Questa realtà non potevo che viverla passivamente. Forse fu proprio quella passività a salvarmi. Un’intima gioia Zen che mi accompagnava. Facevo un lavoro segreto, sottile, insomma assurdo. Peyrani - A Berlino avevo con me la videocamera con la quale ero solito riprendere le nostre grottesche imprese, ma le immagini del concerto che rividi in seguito non le avevo filmate io. Altri fan, con macchine digitali simili alla mia, diretti dall’alto, fornirono tutto il girato necessario al dvd che uscì l’anno seguente. La grana fredda delle immagini mostra una continuità perfetta con le nostre riprese dell’epoca, e le scene in cui appaio rafforzano l’impressione. Atzori, invece, non compare nel dvd. Mi chiedo se due mesi dopo le cose sarebbero andate nello stesso modo. Forse no; o forse invece le situazioni si ripeteranno sempre uguali. Fatto sta che per me era in agguato un grosso cambiamento, un cambiamento che si era preparato nell’ultimo anno e mezzo. A Berlino Luca ed io viaggiavamo su piani completamente diversi. Lui era disincantato mentre io entusiasta; lui abulico, io fanatico. Due mesi dopo mi sarei trovato cambiato per sempre, e terrorizzato: sulla soglia della mia nuova vita. Ricordo ancora quando venne a prendermi Atzori, l’unico d’altra parte che potesse capire la situazione, e mi trovò nella mia stanza, che blateravo di demoni; terrorizzato, per l’appunto. Mi guardò dispiaciuto, quasi come se si sentisse in colpa. Era un’espressione che non gli avevo mai visto, infatti mi colpì ulteriormente e la ricordai. Pensai, la faccenda è veramente grave. In quella notte di terrore trovai, per quanto stravagante, la mia stella fissa. Quando nel 2010 incontrai Simone Sandretti in preda al delirio, mi sentivo perfettamente a mio agio, come se non fosse passato un giorno. Fu naturale credo, che il Torino Mad Pride nascesse dall’incontro tra Sandretti e Atzori ed io. Anche se le allucinazioni passarono, cioè, anche se distrussi il transfert che permetteva le allucinazioni, la mia vita seguente fu ed è tutta frutto di quell’impulso iniziale. Cosa avvenne, durante quei due mesi, per avere un effetto così dirompente? Conobbi qualcuno. Luca mi diede un nominativo, il nickname di una certa persona, una ragazza, vera, in carne e ossa come noi, che lo torturava. Ma come poteva torturarlo, se si erano visti solo due volte e in pubblico, come poteva se era solo una ragazzina che viveva in un’altra città? Ovviamente non era veramente lei a torturarlo... d’altra parte Luca non era il solo a sostenere che la ragazza fosse telepatica. Un ragazzo di Firenze diceva lo stesso. Dalle loro testimonianze sembrava che lei avesse un influsso fortissimo, come quello di un guru o di una bodhisattva, ma anche che l’influsso esercitato fosse pestifero. Tutti finiti ad antipsicotici. Ed eccoci tornati all’inizio della storia: “Afasia era il nome, sul campo telematico...” Ma se Luca sapeva tutto ciò e, cosa più rimarchevole, se era innamorato di lei fino all’ossessione, perché mai mi disse di andare a cercarla? E perché mi spiegò come trovarla? Atzori - Avvertivo di fare parte di una rete di persone sparse per l’Italia. Già, perché non era vero che la mia amica Afasia generasse la follia nelle persone. La verità è che esistevano (ed esistono tutt’ora) persone sparse per la nazione, che sono accomunate da un’affinità estetica e perciò etica. Persone sole, distanti, che anche se raggruppate non risolverebbero nulla, perché appartenenti a un’oligarchia ridicola, vicine ma senza coscienza. Persone che stanno costantemente lavorando insieme pur non essendone consapevoli (che ingiustizia). Questa follia iniziava ad accomunarci e io riconoscevo nelle persone quei tratti che potevano distinguerle. La follia era diventata una mania di selezione. Cercavo solo quelle persone che potessi riconoscere quasi fossero parenti, o compagni di sogno. Linda era una di queste persone. E anche Piero. Ogni tanto il bisogno di incontrare persone simili diventava ossessivo. Ecco perché avevo deciso CONSCIAMENTE di contagiare una mia amica (Beatrice), quella con cui suonavo, che condivideva con me l’immagine di un aereo che saliva e le voci sotto che dicevano “Enoch sale in cielo!”. Sì, lo ammetto, io la volevo contagiare. Così come volevo contagiare altre persone. Perché no, lo dico, io volevo contagiare anche Peyrani. Che cos’è il contagio della follia? Il senso esterno non è che un senso interno esteso, condiviso. Io volevo solo che il mio senso interno si estendesse per far sì che potesse modificare la realtà intorno. Ho iniziato dai miei amici più stretti. Era giusto così. Il contagio nella follia è questo. E dimostra che non esiste follia, ma solo soggettività dinamica, simile a un’onda temporale indistinta al mondo di ciascuno. Noi che facevamo (e facciamo) parte di quella rete, avevamo (e abbiamo) questo compito. Niente di troppo macabro o ottocentesco. È natura. 8 Il Pensiero Magico - Parte II C hiunque cammini sulla realtà, ovvero quel che gli accade, è come una porta. Agire su questa realtà è un gioco. Normalmente la conoscenza viene pensata come qualcosa di simile a una protesi. La conoscenza è qualcosa che deriva dall’esperienza. La visione si pone con lo svolgersi. Spinoza ha superato Kant prima che quest’ultimo nascesse. Non tutti sanno di fare questo cammino. Così capita spesso che per essi accada di scegliere pochi istanti. Il genio fa un errore. Un errore al quale tutto si adegua. L’errore è una x sul foglio della logica. Perennemente la logica cerca d’aggrapparsi: quello è il lavoro che il genio fa contro se stesso. Lo fa perché la logica è sbagliata. Un grattacielo. Bisogna farlo alto. E bello. Ma incompiuto. Prendere in mano la chiave per entrare in quella porta. Una porta che ci restituisca il nostro accadere. Senza case siamo vagabondi. Costruiamoci una casa, e una città. E lasciamo tutto incompiuto. Nella dialettica hegeliana il momento dell’astrazione coincide con il particolare che non può essere colto nel movimento d’insieme in quanto, appunto, si astrae dallo spirito. Ad esso segue prima il momento della negazione (idea fuori di sé) poi quello dell’Aufhebung, ovvero il superamento, che è sia superamento dell’opposizione che sua conservazione. La dialettica procede per costanti negazioni, pensate come momenti necessari alla determinazione positiva. Georges Bataille teorizzava quello che Derrida ha definito un “hegelismo senza riserve” ovvero una dialettica amputata del momento di Aufhebung. È prestando attenzione a questa sottrazione, infatti, che possiamo notare come il circolo dialettico, in sé, sia ascrivibile a una totalità definita entro la quale il superamento coincide con una capitalizzazione, una progettazione soggettiva da ricondurre all’interno di un ambito utilitaristico e lavoristico, e che non appena viene privata di questo momento si vede sfociare nell’ambito del dispendio, di un’angoscia originaria senza possibilità di tregua, del non-sapere come inizio e fine nella coincidentia oppositorum, ovvero il Sacro. Bataille, da allievo di Kojeve quale era, indicava come estremi attori di questo processo le figure del servo e del padrone. Il servo che lavora per il proprio padrone e il padrone che capitalizza per arricchirsi e godere del limite circoscritto entro quella stessa dimensione utilitaria, che a sua volta rende possibile il perpetuarsi del lavoro e quindi della civiltà stessa. Come Ulisse nel dodicesimo canto, che Adorno paragonava ne La Dialettica dell’Illuminismo al borghese, il quale per non schiantarsi contro le rocce, attratto dal canto delle sirene, decideva di tappare le orecchie dei suoi servi, legare se stesso, affinché potesse godere dell’ascolto e la nave potesse continuare ad andare avanti. La stessa vertigine coincide con l’abbandono all’originarietà, pensata qui come condizione immanente dove ogni forma di identità diventi circoscritta entro l’ambito trascendente, di per sé sufficiente a costituire la soggettività stessa. In Bataille, la fuga della soggettività avviene non tanto nella ricerca di un altrove del desiderio, e quindi nella ricerca di una soggettività altra, ma piuttosto nel sacrificio come atto di uscita fuori dall’ambito dell’utile. In questo la dialettica viene ad assumere un valore paradossale, perché la circolarità determinata dall’equazione “ciò che è razionale è reale e viceversa” diventa “nell’ambito della ragione ciò che è razionale è reale e viceversa” così fuori del godimento, anche la realtà non è che un momento di incanto. Da qui la considera- di Marco Mesner zione che sorge è questa: posto uno sguardo impersonale di non appartenenza, il circolo si muove secondo una rotazione paradossale, desoggettivata; e il canto delle sirene apre una lacerazione ontologica dove la stessa essenza dell’io si fa incanto, così che il pensiero finalmente rinunciatario dell’identità, dal processo di annientamento soggettivo, può riaffiorare, mediante una volontà destoricizzata. Lo stagno deve diventare specchio. Ma nel momento in cui diventerà specchio sarà composto d’acqua. Noi ci guarderemo come riflessi, ma subito dopo toccheremo l’acqua e vedremo che sarà possibile toccarla e che ogni volta che lo faremo l’immagine cambierà, prenderà la forma dell’acqua. Così capiremo che quella era solo un’illusione. Ma quando il riflesso si ricomporrà torneremo a crederci. Crederemo che essa Georges Bataille sia separata da noi e facendo questo non ci renderemo conto di essere in balia di un’altra illusione. Poi capiremo che non solo l’acqua, ma anche l’aria, gli alberi, le strade, i grattacieli, tutti si muovono insieme a noi. Infine vedremo che anche noi siamo un’illusione. Che il nostro presente, il nostro passato e il nostro futuro sono parti di un’unica sostanza che è anch’essa un’illusione. Più saremo noi quella sostanza, più saremo i “padroni” (il contrario del padrone non è lo schiavo, ma qualcosa che qui abbiamo virgolettato) delle illusioni. Forse lo capiremo quando ci arrenderemo e rinunceremo all’illusione della non-illusione. prossimamente CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO... CHE COS’È LA GUERRA DI QUINTA GENERAZIONE? Into the Fouth Generation” delineava con un certo anticipo gli scenari di “guerra al terrorismo” che abbiamo imparato a conoscere dopo gli avveSu queste pagine incontriamo spesso termini specifici del gergo psichia- nimenti dell’11 settembre. Lind teorizzava una guerra in continuo mutatrico e, per quanto possibile, cerchiamo di spiegarli ai non addetti ai lavori mento, in cui vari livelli (chiamati inizialmente generazioni, in seguito e attraverso specchietti e glossari ad hoc. Un’altra parola difficile si è insi- più precisamente gradienti) determinano strategie diverse: ogni nuovo linuata frequentemente tra le nostre pagine, una parola dall’origine mol- vello sconfigge sul campo il precedente. Le prime tre “generazioni” vedoto più oscura e che, anche se le meriterebbe, per ora ha ricevuto meno no un crescendo di organizzazione centralizzata: sono gli eserciti regolari, spiegazioni, forse anche perché l’argomento così arduo può scoraggiare: la guerra cosiddetta napoleonica. Con la quarta si assiste a una curiosa sto parlando del termine “magia”. È evidente che quando si parla di ma- involuzione: gli attori non sono più gli eserciti regolari delle nazioni, bensì non-stati, organizzati in cellule dislocate dalla gerarchia gia su queste pagine non si vuole far riferimento all’ilorizzontale. Niente divise, niente capitali, niente confini. lusionismo, alla prestidigitazione o a qualsiasi forma di Il “terrorismo”. Singoli agenti che provocano danni enorspettacolo circense; si vuole piuttosto fare riferimento alla mi, organizzazioni impossibili da smantellare in un solo “vera” magia, alla magia come miracolo; eppure, ecco colpo: gli stati sembrano fare a pugni con le mosche, le che per funzionare la magia non deve essere “vera” né loro maggiori dimensioni sono diventate uno svantaggio. santa. La magia che ci interessa solleva problematiche di Secondo le loro stesse previsioni, le strategie da guerra ordine filosofico ancor prima che scientifico, e ci deve far di terza generazione (l’uso massiccio dell’esercito che riflettere in primo luogo sul linguaggio che utilizziamo. vediamo ancora oggi in Afghanistan o in Iraq) vengono Il primo a porsi il problema di distinguere tra magia e inesorabilmente circumnavigate dalle organizzazioni più magia, tentando una definizione più rigorosa, fu il nosnelle, senza una patria da difendere. Così, gli americani stro beniamino Aleister Crowley, che utilizzava tra l’altro si sono messi disperatamente a studiare le caratteristiche una grafia diversa (magick piuttosto che magic) per didi un teorico quinto gradiente, le strategie da seguire in stinguere l’oggetto dei suoi interessi dalla banale ciarlauna guerra di quinta generazione, che sconfiggerebbe Al taneria. Secondo Crowley “la magia è la scienza e l’arte di provocare cambiamenti in conformità con la volontà”. Qaeda e affini. Se i gradienti più bassi sono caratterizzati Arthur C. Clarke Quindi, ogni azione volontaria è un atto magico; resta da un uso più “cinetico” della forza, più evidente, man da capire quando si possa davvero parlare di volontà. Passiamo ora ad mano che si sale la scala della guerra ci si avvicina invece all’invisibiliun’altra definizione molto interessante, quella lasciataci dallo scrittore di tà. Si desume che la guerra di quinta generazione più efficace è quella in fantascienza e inventore Arthur C. Clarke: “Ogni tecnologia sufficiente- cui non solo non c’è un uso esplicito della forza, ma addirittura in cui il mente avanzata è indistinguibile dalla magia.” Non si parla di volontà, nemico non si rende conto di essere entrato in guerra, non si rende conto non si considera l’atto magico dal punto di vista di chi lo pratica ma da di chi siano i suoi nemici, non si rende conto di poter vincere e non si parte di un osservatore esterno; si sottolinea come la non-trasparenza di rende conto di aver perso. Una guerra di quinta generazione svolta con un processo basti a renderlo magico: se A causa B, ma non si capisce come, efficacia è una guerra totalmente segreta. Ed eccoci all’ultima definizioci si trova di fronte a una magia. Ciberneticamente parlando, la magia di- ne di oggi, che è recentissima e nata dalla penna di un altro colonnello pende dall’opacità della black box, dalla nerezza della scatola nera. Con- dei marines (Rees, 2009): “L’applicazione efficace della guerra di quinto cedendoci un altro salto ardito, passiamo a considerare una definizione gradiente è… indistinguibile dalla magia”. La magia viene finalmente di guerra, invece, quella di Carl Von Clausewitz: “la guerra non è che la reintrodotta nel discorso ufficiale e, guarda guarda, addirittura per deprosecuzione della politica con altri mezzi”. Forse a qualcuno iniziano a finire la guerra, quanto esista di più drammaticamente pragmatico al suonare dei campanelli in testa, ma dovremo compiere ancora un paio mondo. Spero di avere stuzzicato a sufficienza la vostra immaginazione di passaggi perché la pertinenza di questo excursus sulla guerra si riveli con questo articolo (per forza di cose troppo sintetico) così da poter avchiaramente. Nel 1988, William S. Lind pubblicò sulla gazzetta dei ma- viare un dibattito più approfondito sull’argomento che dovrebbe esserci rines un articolo destinato a fare scalpore. “The Changing Face of War: più caro e che affrontiamo più di rado: la magia e il suo utilizzo pratico. LORENZO PEYRANI mrozinski “mad pride” il nuovo album 7 18 I maestri della truffa comunitaria Ovvero come vincere un bando del Fondo Sociale Europeo e farla franca SIMONE SANDRETTI* Il 15 di Ottobre del 2012 venni contattato telefonicamente da Alessandro Castelletto, regista famoso per aver girato i migliori videoclip delle band torinesi in voga negli anni ‘90 (Africa United, Mau Mau, etc...). Mi invitò in qualità di presidente del Torino Mad Pride ad incontrarlo per parlare dell’eventualità di partecipare insieme a un bando regionale, finanziato dal Fondo Sociale Europeo (FSE), per la comunicazione e la formazione alle pratiche di Pari Opportunità nel mondo del lavoro. Alla riunione ci presentammo in cinque (Luca Atzori, Chiara Abbà, Alberto Moretti, Roberto Cavalli ed Io) e lui ci disse molto onestamente che la ragione per cui non partecipava da solo al bando era che non poteva vantare un lungo curriculum in ambito sociale, cosa che nello specifico era richiesta dalle linee guida del FSE. Tornato a casa dalla riunione gli telefonai e gli dissi: «Se non fosse che un regista con un punto di vista esterno è proprio quello che ci serve per raccontare il Mad Pride sappi che sarei il primo a tagliarti fuori dal bando; detto ciò, grazie per la dritta». A seguito di questo patto informale organizzammo una piccola task-force per scrivere il progetto, in dieci giorni, composta da Chiara Abbà, con diagnosi di psicologia e diploma in ragioneria, Epaminondas Thomos, educatore greco per soldi e filosofo matto per vocazione, Alessandro Castelletto (il regista) ed Io (il disabile psichico). Furono due settimane di intenso lavoro notte e giorno intervallate da sessioni di sesso estremo per scaricare la tensione. L’obiettivo che ci ponemmo fin dall’inizio era di strutturare un progetto che fosse finalizzato a rafforzare la debole rete esistente tra i gruppi di matti presenti sul territorio locale producendo degli strumenti che potessero essere utilizzati, sul territorio italiano, da tutto il Coordinamento Nazionale degli Utenti della Salute Mentale (CNUSM). Iniziammo con l’unire la tradizione poietica dei matti (rappresentata a Torino dal Laboratorio Urbano Mentelocale) con l’innovazione mediatica portata avanti dal TMP. Tre furono i progetti che ci vennero in mente (anche perché le linee guida imponevano la realizzazione di prodotti comunicativi e formativi e non permettevano il finanziamento di attività lavorative propriamente dette): uno spettacolo teatrale da affidare a Luca Atzori (regista omosessuale matto, vicepresidente del TMP e rappresentante della Regione Piemonte nel CNUSM), un complesso portale di informazione e ricerca lavorativa che partisse dalle difficoltà dei disadattati per promuovere le loro (nostre) risorse, www. mattiacottimo.net (affidato alle eminenze grigie del TMP sotto la guida spirituale di Giuseppe Bergamin, presidente di Mentelocale e Jedi di fama interplanetaria), e un documentario sulle pratiche di sopravvivenza messe in atto dai matti di Torino: “Matti a Cottimo - Strategie di Sopravvivenza”. Scritto il bando ci dedicammo ad altro (feste, riunioni, rassegne d’arte, scrivere gli articoli per questo giornale, portare i figli al parco, cercare di scopare etc. etc.) Nell’aprile del 2013 scoprimmo con grande stupore che eravamo tra i trenta fortunati vincitori (su duemila domande presentate) del bando: 50.000 euro, di cui la metà in anticipo e la seconda metà dopo l’approvazione del consuntivo spese da parte dell’ente promotore (Agenzia Piemonte Lavoro), da consegnare, insieme ai tre progetti realizzati, entro e non oltre il 3 di Novembre del 2014. Nel frattempo che cosa è successo? Luca Atzori ha deciso di arrivare allo spettacolo finale (obiettivo numero uno) attraverso un laboratorio gratuito aperto a utenti psichiatrici e aspiranti attori non professionisti. Ha ottenuto di poter provare gratuitamente nei locali del Caffè Basaglia (un grazie sempiterno a Enzo Di Dio e a Ugo Zamburru, anche se sono dell’ARCI). Ha deciso di farsi aiutare da due professionisti dello spettacolo nell’allenamento fisico (da Donatella Lessio) e nel training attoriale (da Lucio Celaia). Dopo quattro mesi di prove le divergenze registiche nate tra Luca Atzori (drammaturgo gay) e Lucio Celaia (regista napoletano) si sono esacerbate a tal punto che i due, subito dopo la prima messa in scena dello spettacolo (“Gli Ospiti Invisibili” - 2 Novembre 2013, ore 21:30 presso Hiroshima Mon Amour, via Carlo Bossoli 83, Torino), si sono separati di fatto. Lucio si è preso lo zoccolo duro del gruppo di lavoro è ha aperto la succursale torinese del suo centro di ricerca teatrale napoletano (ARTI Teatro). Luca si è rimesso a lavorare sul suo capolavoro in progress: “Gli Aberranti”, in diretta radiofonica web su Radio Banda Larga dalla Vetreria di corso Regina Margherita 27 a Torino ogni mercoledì pari dalle 17:00 alle 18:00 fino alla fine del mondo. Appena fatto il piano dei conti per la realizzazione dei tre progetti ci siamo resi conto che il guadagno lordo dei singoli lavoratori al progetto si aggirava intorno a 1,20 € all’ora. Alessandro Castelletto, padre di una giovanissima bambina e marito di una donna dominante, ha abbandonato il progetto. Mauro De Fazio (lavoratore polifunzionale in quanto educatore psichiatrico, regista cinematografico e imprenditore edile) si è proposto come sostituto regista, ottenendo il consenso unanime (era stato tra i membri fondatori del Laboratorio Urbano Mentelocale e condivideva con il presidente del TMP la passione per le pratiche poligamiche). A lui si è aggiunto l’operatore video Andrea Spinelli (già conosciuto dagli appassionati del genere come pornoattore di video amatoriali negli anni novanta e chitarrista del gruppo hardcore Crunch). La squadra, completata da Alberto Moretti (genio nevrotico fanatico dei Beatles) e Marco Perugini (cuoco pederasta attualmente affidato a una famiglia nell’ambito di un progetto rieducativo individualizzato) ha ultimato le riprese nel settembre del 2013 e ottenuto un così largo consenso di pubblico e critica che attualmente lavora su diversi progetti documentaristici finanziati da enti sociali (Coldiretti, Caritas, Comunità Ebraica etc. etc.). Le difficoltà non sono certo mancate, prima fra tutte la rendicontazione trimestrale imposta dal FSE, che per noi labili di psyche (in greco significa essenza), risulta sempre un appuntamento ansiogeno e coercitivo dove è d’obbligo dare un tempo e uno spazio credibili e documentati al nostro modus operandi, per natura randomico e delirante (un mese a piangere in un letto seguito da 72 ore di lavoro continuativo senza neanche un’ora di sonno per recuperare, solo per fare un esempio tra i tanti). Ma sono state proprio queste ultime a permetterci di studiare tecniche di infestazione del reale, su cui si basa la nostra sopravvivenza, come matti orgogliosi di esserlo, in un’epoca e in un mondo al tramonto che ancora difendono valori morti da un pezzo quali: costanza, produttività e buon senso. *Simone Sandretti è l’umanoide in cui si è reincarnata Ishtar, Il Diavolo. COSTUME Generazioni a confronto Nel racconto di un lettore, il nostro mondo che cambia ROBERTO SAHIH* Era un venerdì pomeriggio, in casa c’erano solo mia nuora e il mio nipotino, Luigi. Quel giorno stavo leggendo il giornale su una comoda poltrona nera che c’è in salotto quando, all’improvviso, notai mio nipote sull’uscio della stanza. Egli si avvicinò e mi disse “Perché invece di leggere il giornale non guardi il telegiornale alla tv?” Abbassai gli occhi su di lui e risposi “Il giornale è molto meglio del telegiornale perché esercita in modo attivo la mente e offre più notizie” “Sì, ma il telegiornale ti fa vedere i fatti e inoltre è più aggiornato perché viene trasmesso più volte al giorno mentre il giornale esce solo al mattino.” Alle parole del mio nipotino risposi quasi immediatamente “A parte il fatto che se ci sono notizie importanti si pubblicano le edizioni straordinarie, voglio farti una domanda: quando completi un album di figurine cosa guardi di solito, le immagini o le scritte?” Luigi ci pensò un po’ e replicò “Ma che domande, le immagini dei calciatori, è ovvio!” In seguito il nipote accese la tv e guardò i cartoni animati, io intanto riflettevo sul nostro dibattito. Accidenti come sono superficiali i giovani d’oggi! Guardano più le apparenze che i contenuti, ciò non va affatto bene, ne dovrò parlare con mio figlio Aldo. Verso sera, Aldo tornò a casa e gli andai incontro. “Cosa c’è papà?” mi disse con tono calmo. “Tuo figlio da più importanza alle apparenze che alla sostanza, dovremmo fare qualcosa...” Aldo appoggiò il cappotto sulla sedia e replicò “Non mi sembra molto grave, dopotutto ha solo nove anni, è ancora giovane. Piuttosto andiamo a mangiare, papà.” Mi diede una pacca sulle spalle e si recò in cucina, dove erano già a tavola sua moglie e suo figlio. Deluso, andai anche io. Mangiai solo il primo piatto, poi diedi la buona notte ai miei cari e mi recai in camera mia. Passai tranquillamente il sabato e la domenica, più che altro a letto, leggendo e dormendo. Il lunedì mattino accompagnai a scuola mio nipote, dove c’erano già i suoi compagni che lo aspettavano per scambiare le figurine dei calciatori. Poco dopo passò un ragazzo con la pettinatura a cresta, tutta colorata di rosso, e che inoltre portava i pantaloni stracciati e due orecchini al naso. Tutti i bambini si misero a ridere e io dissi “Non mi sembra il caso di prenderlo in giro, non si giudicano solo le apparenze, può darsi che quel ragazzo sia buono e onesto.” “Non credo proprio” disse una signora “Lo sanno tutti che quello lì è stato rilasciato dalla polizia poche settimane fa; quel ragazzo era, e probabilmente è ancora, uno spacciatore di droga!” Rimasi a bocca aperta, intorno a me c’erano tutti i bambini che ridevano e i genitori che mi guardavano con rimprovero. Non mi ero mai sentito così umiliato. *Roberto Sahih è un umanoide autore di racconti e videogiochi 19 6 ESTERA / NERA ITALIA: ANNO 2014 LORENZO PEYRANI è passati alla fase due: la “primavera araba”. Alla pochi rivoltosi che attaccavano il potere di Ghedprimavera araba e alla - campagna contro i preti dafi si nascondeva nientepopòdimenocché l’intera Compagni, camerati. Madpride. Italiani. Quando pedofili, che sono andate di pari passo. Dal Pakistan forza dell’avverso patto atlantico. Così, in quei parlate dei vostri diritti, fate riferimento alla sovran- all’Egitto, dall’Algeria alla Libia, per destituire lo giorni convulsi in cui il dittatore tentava di salvaità della patria. E come per i diritti anche per le stato sovrano italico (incarnato nella persona di Sil- rsi usando gli aerei militari contro la folla, anche il riforme, voi pensate a riforme legalmente promo- vio Berlusconi), gli Stati Uniti hanno dovuto prima governo italiano perdeva la propria sovranità, forse sse da uno stato sovrano. Vi appassionate alla po- ammazzare Gheddafi; in seguito, una volta insedia- per sempre. Vanificando il sacrificio del kamikaze litica nazionale. Credete tisi a Roma, hanno fatto torinese, Pietro Micca… protomartire madpride. all’esistenza della Republo stesso con il Vaticano: Ieri il fronte si è spostato in Siria, e il nuovo papa blica Italiana. Perché non anche lì hanno messo fantoccio scriveva ad Assad sotto dettatura diretta date prima un’occhiata - un uomo loro. Le cam- della Casa Bianca. I morti sono stati decine di miglia quello che accade pagne di diffamazione aia, eppure abbiamo assistito solamente a una fase oltre i vostri confini? internazionale contro il di riscaldamento. Quale sarà il punto di non riAlcuni di noi italiani governo italiano e contro torno? Qual è il confine che gli alleati non possono suppongono di vivere in la Chiesa, intensissime superare, prima di ottenere una reazione forte? uno stato indipendente, su tutti i media dalla ri- L’equilibrio è instabile, e si gioca in Iran e in Pakiseppur allineato al Patto elezione di Obama fino stan (che nonostante Zardari è ancora pieno zeppo Atlantico; talaltri, ina quel momento, termi- di terroristi), e sul conto delle loro bombe atomiche. vece, sono dell’idea che nano la loro utilità: mis- Il Pakistan è già una potenza atomica e gli USA (così l’indipendenza sia stata sione compiuta. Inizia come l’India) vorrebbero non lo fosse, l’Iran sta lapersa nel 1943 a seguito Gli agenti della CIA son tutti giovani e belli quindi la contraria beati- vorandoci e gli USA (così come Israele) vorrebbero dell’armistizio. Pochi rificazione mediatica del impedirlo a ogni costo. Se entrambi gli stati avessero conoscono, piuttosto, come l’Italia dal 1945 al 2011 governo tecnico e della nuova corrente, presentata l’atomica l’Occidente dovrebbe reagire, se nessuno abbia mantenuto una relativa libertà, grazie alle al- come “relativista e secolarizzata”, di Francesco I, dei due l’avesse a dover reagire sarebbe l’Oriente. leanze bilaterali con gli USA e con il blocco asiatico, il vero Pietro II delle profezie tabloid. Tipicamente E l’Italia, un tempo segretamente alleata al fronte e quanto la situazione sia cambiata negli ultimi tre italiana, tra gli idealisti della politica, è la - rasseg- orientale e quindi mai duramente colpita dal nuovo anni. La Libia rappresentava la nostra assicurazione nazione. “I nostri politici non ci hanno mai detto la terrorismo (che sarebbe più giusto legittimare come sulla vita, e il nostro cordone ombelicale. Una spina verità!” Fermi tutti. Sarà poi così strano che i politici “guerra di quarta generazione”), oggi è diventata nel fianco per l’Inghilterra e una spina nel fianco per non dicano la verità? Sarà segno inequivocabile di l’obiettivo perfetto delle rappresaglie dei suoi vecchi gli Stati Uniti; addirittura una fonte di umiliazione reconditi interessi personprotettori; intanto, la Franper la Francia. La strage di Ustica fu il prezzo pagato ali? Eppure, supponendo cia mai come oggi gode in un’occasione per tutelare la nostra delicata po- l’esistenza di un uomo a far la voce grossa e nel litica estera; oggi - quella partita è definitivamente politico ideale, di un patrisentirsi di nuovo superpersa. L’offensiva lanciata dall’amministrazione ota… non dovrebbe questi potenza, vedendoci sulla Obama (a differenza di quella più ingenua, impreg- sistematicamente mentire graticola. Quale sarebbe pubblica?! nata di spettacolarismo millenarista, dei Bush) è all’opinione stata la rappresaglia socaratterizzata da una linea a basso profilo, che mira Avrebbero mai potuto un vietica se gli Stati Uniti all’agitazione indiretta degli obiettivi. L’agenda? Togliatti o un Andreotti avessero preso il Vietnam Guadagnare influenza sui paesi dell’Islam attra- dichiarare sui giornali che del Nord? Molto probaverso “rivoluzioni democratiche” opportunamente la dirigenza politica italibilmente l’uso delle armi manovrate, che rovescino i governi sostenuti dal ana stava conducendo un nucleari. Quale sarà la rapblocco opposto, dal Maghreb al Medio Oriente. delicatissimo doppio gipresaglia russo-cinese se Progettando questa vera e propria discesa agli in- oco con le superpotenze? l’Iran venisse attaccato in feri che è la discesa in Cina, l’Italia è emersa tra le Raccontare all’opinione “La mia potenza è la tua potenza, la mia vita è la tua vita” seguito al fallimento delle prime zone da mettere in stato di sicurezza; quindi pubblica che “Americani e francesi ci hanno ab- trattative, o se in Pakistan l’I.S.I. venisse definitivasi è proceduto alla disintegrazione della resistenza. battuto un aereo di linea, sì, ma sarebbe ridicolo mente smembrato? Su quali obiettivi si abbatterResistenza che continuava sin dal 25 aprile 1945, per chiedere riparazione perché - siamo in guerra. ebbe? Anche se dovessimo essere colpiti, nel nostro quanto sotterranea: frutto degli intrighi con Mosca Quell’aereo civile stava coprendo il nostro alleato paese non scoppierebbe la guerra civile. Anche se e Tripoli portati avanti tanto dal PCI che dalla DC militare Gheddafi, grazie al quale - siamo ancora una bomba atomica francese piovesse sulla Sacra di (ebbene sì, dalla - Chiesa). La prima mossa della indipendenti. I morti sono stati vittime della patria, San Michele non faremmo nulla. L’indipendenza è nostra conquista avviene in Pagrazie ai quali - abbiamo vinto.”? sempre stata un miraggio, così non ci siamo accorti kistan. L’assassinio della leader Sparare missili sulla folla (da di averla persa e non lotteremo per riconquistarla. dell’opposizione (filoamericana) un aereo) è stato, ironia della Se volessimo davvero la libertà e l’indipendenza, Benazir Bhutto è letale per il govsorte, il casus che ha permesso dovremmo rintanarci sulle Alpi, in Svizzera, e poi erno di Pervez Musharraf, esa quegli stessi paesi di dichia- vivere come nei campi di addestramento di Al pressione dell’esercito pakistano rare guerra, questa volta pub- Qaeda in Pakistan. Nelle montagne, cellule indipe della sua intelligence, l’I.S.I., blicamente, trent’anni dopo. endentiste non allineate, tra permaculture nascoste collusa con frange estremiste isPolitically correct è il succo della e bunker labirintici. Invece, senza libertà e indiplamiche di Al Qaeda come Lakdemocrazia, si sa. Curiosa l’altra endenza, quando ci troveremo in un mare di merda shar-E-Taiba; anche se la Bhutto faccia della medaglia, cioè il ruolo e verranno a chiederci il conto, noi saremo come è stata eliminata, il brutale omidella cosiddetta “opposizione” quelli che crepano e vengono trovati sul cesso con lo cidio porta Asif Zardari (vedovo in democrazia. L’opposizione è stronzo che gli esce dal culo. Camerati o compagni; Bhutto) a vincere le successive sempre benpensante, assurge umanoidi; non state a pensare alle riforme, in Italia, elezioni. I servizi segreti coprivaa super-ego della comunità. nel 2014. Siate realisti, datevi al crimine. no Al Qaeda e i Talebani nei terSiamo stati abituati dalla proparitori del nord dello stato, ai conganda a considerare i nostri più fini con l’Afghanistan ribelle, la capaci strateghi come truffatori Cina e l’India. Con vicini simili è meschini, quando ovviamente Ashfaq Parvez Kayani ovvio che l’indipendenza del Paera proprio l’arte del sotterfugio kistan dipenda dal possesso dell’atomica. Il nuovo a rendere grande il diplomatico. La politica estera presidente Zardari si accorda quindi con gli ameri- italiana è stata caratterizzata da colpi di fortuna cani, permettendo loro di eseguire il raid aereo su e pure da colpi di genio, da scommesse rischiose Abbottabad nel Maggio 2011, scavalcando di fatto portate avanti in segreto da uomini poi gettati in l’autorità del generale Kayani (capo dell’esercito pa- pasto a un’opinione pubblica due volte ignorante. kistano) e commettendo alto tradimento verso il suo Purtroppo per noi, ma meritatamente, con Obama stesso paese. Morto Bin Laden e trucidati nei mesi abbiamo perso. Berlusconi e D’Alema, all’epoca i seguenti, grazie all’uso dei droni e alla complicità due custodi depositari del patto libico in Italia, sono “Lashkar-e-Taiba”: letteralmente “Esercito dei Buoni” del governo venduto, altri vertici di Al Qaeda, si stati raggirati; coglioni, perché ignari che dietro quei ALL PRIDE LONG @ HIROSHIMA MON AMOUR BEATRICE DI ZAZZO I l Torino Mad Pride nel mese di aprile stringe un sodalizio con gli altri orgogliosi della città sabauda: Bike Pride e Pride (i diversamente orientati sessualmente rispetto alla norma comune – ma stabilita da chi?). I discriminati per aver avuto il coraggio di mostrare la propria individualità a dispetto delle odierne regole culturalmente determinate, cominciano a col l oqu i ar e, aprono le porte dei propri valori e del proprio sentire verso chi, come loro, sa cosa significa essere considerato diverso. Ma proprio non ci stanno a subire l’ignoranza e la superficialità delle persone “comuni” e allora decidono di fare fronte comune per aiutarsi a vicenda e scambiare opinioni. Ne scaturiscono due serate organizzate di concerto con l’Hiroshima Mon Amour per raccogliere fondi e portare avanti la propria missione. La prima serata, quella del 3 maggio, permette al Torino Mad Pride di inaugurare la mostra “Der Tod ist ein offenen Tür” con le opere, tra gli altri, di Maurizio Ferrari e Vittorio Berto, e con una performance musicale multimediale a cura del TMP. A condire la serata, aperitivo, spettacoli e concerti de la Situazione Chimica, Stefano Amen, Sol Ruiz e Matteo Castellano; e con il Dj Set finale a cura di Baciami Stüpida. L’affluenza è buona ma non ancora adeguata al numero degli orgogliosi della propria diversità; l’incontro tra realtà così apparentemente diverse rende però bene l’idea che per sfondare il muro dell’ottusità del sentire beceramente comune, bisogna aprirsi all’altro, altrimenti ci sarebbe solo una ripetizione di schieramenti “noi-loro”. Si respira aria di “noi”. Punto. Nonostante la fatica nell’organizzare una serata che rispecchi i gusti di tutti e con metodologie organizzative profondamente diverse tra un pride e l’altro. Il confronto forse serve proprio ad avere più chiari i propri limiti e a intrecciarli con quelli altrui. Nella serata del 2 novembre il pubblico aumenta: vuoi perché i prides continuano imperterriti la loro attività 365 giorni l’anno per 24 ore al giorno, vuoi perché sempre più persone decidono di uscire allo scoperto o perché, pian piano, i cosiddetti normali cominciano a capire che, in fondo, i cosiddetti diversi non sono poi così terribili e pericolosi. Il Torino Mad Pride per l’occasione presenta l’anteprima sia dello spettacolo teatrale “Gli Ospiti Invisibili” frutto del laboratorio drammaturgico inserito nel bando europeo vinto, sia del documentario “Matti a Cottimo. Strategie di sopravvivenza” testimonianza di come un matto riesce (o meno) a inserirsi nel mondo lavorativo. Nella serata poi si susseguono sul palcoscenico “Le Brugole” con il loro spettacolo “Metafisica dell’Amore” e “Duemanosinistra” con il suo cantautorato rock. E c’è anche una lotteria per vincere una bici. Ma non tutto va come dovrebbe, ci sono chiusure e discussioni, il più delle volte tra chi non ti aspetteresti e con toni poco consoni alla presunta apertura che ci si propone di realizzare. E tutto ciò avvenuto in gran parte nel gruppo teatrale, che nonostante le tensioni accumulate nei giorni precedenti la messa in scena, riesce comunque a inscenare uno spettacolo godibile. Lode a chi ha perseguito il fine comune mettendo da parte le proprie individualità e non offendendo quelle degli altri. Agli altri non rimane che meditare sulla distanza tra ciò in cui pensano di credere e i comportamenti che ne scaturiscono. L’incoerenza è utile solo con una coerenza interna. Altrimenti, che confusione! DIVAGAZIONE SULLO SPETTACOLO “GLI OSPITI INVISIBILI” Gli ospiti invisibili è il frutto del laboratorio produttivo di drammaturgia che si è svolto da giugno a fine ottobre per realizzare lo spettacolo inserito nel bando vinto dal Torino Mad Pride insieme a Mente Locale. E’ ambientato in una metropolitana. Alcuni lavoratori pronti per la loro giornata vengono disturbati da una voce che proviene da una regione in- visibile, un’altra banchina che non c’è. Da lì la realtà inizia a scuotersi, seppure impercettibilmente: tutto sembra rimanere uguale. Gli ospiti invisibili è intenzionalmente una prova di teatro politico più che sociale, in quanto comprende nel cast pazienti e passanti che si confondono nel tentativo di creare collettivamente una drammatizzazione. Non si prefigge obiettivi di natura positiva, o ancor peggio pro-positiva. (Siamo già circondati durante la quotidianità da un anelito costante e ossessivo rivolto alla positività: ohu facciamo questo, miglioriamo quest’altro, proponiamo nuovi modi di, poniamo valori etc) ma è una “palestra” passeggera, che si muove su un tessuto epidermico sottile: quello della realtà interna di ciascuno, che tramite la drammatizzazione trova spazio e forse possibilità di azione, esistenza. Luca Atzori L’AGRICOLTURA È UN EVENTO S e già nel 1965, in “Grazie per le magnifiche rose”, Alberto Arbasino subodorava l’incombere della deposizione del nome Artaud in riviste come “Grazia” e “Oggi”, forse nell’oggi che ci interessa questo nome non può più essere utilizzato con tanta leggerezza. Il suo contributo, perlopiù teorico, ha subito la malformazione che ci si aspetta dopo ogni eventuale divulgazione, utilizzo, traduzione, interpretazione, insomma riscrittura. Jerzy Grotowski, ad esempio, ha trasformato la crudeltà in una terapia, che a sua volta si è trasformata oggi in un coacervo di stilemi, ibernati nella ricerca (l’alibi del fare e con tecnica, per questa o quella velleità). Eccezion fatta per chi questi insegnamenti se li è trovati davanti per caso, e non per trasferimento di nozioni accademiche o esercitazioni ginnico-sentimentali. L’agricoltura, che con Artaud resiste alla letterarietà servile, alla dicitura consolatoria, e in fondo alla stessa liturgia, si fa evento, e come tale diventa indeterminabile. Non è un’agricoltura “nuova” è anzi più antica di ogni altra. Non intende portare insegnamenti, positività, né tanto meno liturgia (come molti potrebbero credere). Intende essere la forma pulsante della simbolizzazione comunitaria. Certo è che quando le comunità diventano inconfessabili, il gioco si fa duro, e questo un matto da legare come l’Antonin poteva ben intuirlo. Tutti gli elettroshock (45, se non erro) non sono stati nient’altro che il fenomeno dell’invasione di una prigionia tecnica, fatta in nome di tutte le angosce che chiedono pace (e ogni Santa o Profana guerra, si svolge in nome della Pace, caro il mio dottor Führer e cara anche la madonnina che ancor oggi piange sulle mura di quelle strambe strutture). L’agricoltura che accetta l’angoscia come evento interminabile e indisposto. Pelle del divenire che solo mediante la frantumazione del linguaggio, della rappresentazione, può abbracciare un’unità originaria, suggerita magicamente negli atti illusori, mobile, ondeggiante ma né per l’uno né per l’altro occhio (mi si perdoni l’alibi novecentesco dell’ermetismo, ma è di novecento, in fondo, che stiamo divagando). L’agricoltura mi sembra in tal caso l’unico vero sciopero dal quotidiano (almeno per noi). È l’anima la prigione del corpo, e non viceversa. Per gli antichi indiani non esisteva religione, perché tutto era sacro. Quindi inutile parlare di liturgia quando la visione (veda) è l’unica forma di conoscenza. Per noi oggi è invece un cum-scindere ovvero un mettere insieme ciò che è stato diviso, pur sempre però restando legati a quella scissione. Ecco che per noi l’agricoltura ha senso in quanto forma di negazione. Un gioco che appartiene a un nostro Altro, e che si occupa proprio di distruggere fino allo stremo quell’altro ancora che siamo noi stessi (un’altra illusione, ciao mamma, ciao papi, ciao me) così sin da diventare davvero politica ma non più in senso Brechtiano (educativo, moralistico, istruttivo... insomma epico). Dovremmo, in una simile ottica, condannare l’io come omicida dei suicidi, per conto di una rete invisibile di tanti altri mandanti. Un omicidio che è sempre la condanna a un suicidio. La morte è un suicidio, al di là dell’io. Ma perché questi nomi continuano ad essere oltraggiati? Forse semplicemente perché nominati. Continuamente messi in vendita. Così che forse ci rendiamo conto che oggi all’agricoltura spetta un grande respiro. Il coraggio di accettare fino in fondo che quella parola che l’agricoltore va dicendo, è sì protesi della carne, ma anche che l’eventualità è disposta sopra un oceano di linguaggio che è sempre Altro. Parole frasi verbi ausiliari ed impersonali che sono solo frammenti vibranti di quel destino che ciascuno tiene in serbo, e che qualora resi eventuali, si miscelerebbero in cieca partecipazione, così come avviene per l’invisibile resto che si pone oltre la ragione (o centro del logos, o anche oltre Derrida). Luca Atzori 20 5 DOCUMENTARE MATTI A COTTIMO di Mauro De Fazio Resoconto di un’odissea Dieci anni in Ospedale Psichiatrico Giudiziario I l lavoro documentaristico che stiamo producendo, relativamente alle attività di Matti a Cottimo, è per me una importantissima opportunità perché credo che il video possa essere un valido strumento per cogliere gli scambi, le relazioni e le suggestioni che ruotano intorno al Torino Mad Pride e l’alterità di chi vive esperienze “al limite”. Esso può essere una zona franca dove la suggestione di un artificio, quello cinematografico, restituisce la fotografia di relazioni umane tra persone che partecipano alla società con il loro sapere, non più marginale bensì fondante. Aver incontrato Simone, Chiara, Luca e tutti coloro che collaborano mettendo faccia, corpo e pensiero al servizio del Mad Pride e di Matti a Cottimo, mi consente inoltre di “recuperare” il filo di un’esperienza che mi ha coinvolto per lungo tempo, convogliando molte delle mie energie, lavorative e non: il Laboratorio Urbano Mente Locale, associazione nata in ambito psichiatrico per tentare di dirigere i propri sforzi comunicativi e concertativi sul territorio del quartiere e dell’intera città. L’operato di questo gruppo ha molto a che fare con la situazione creatasi intorno al Mad Pride e a Matti a Cottimo; entrambi rappresentano, a mio avviso, un modo “altro” di aver a che fare con la sofferenza mentale. Essi tendono a una ricerca di tecniche comunicative e d’intervento poco convenzionali, che coinvolge continuamente l’altro come portatore di un proprio preciso punto di vista e origina luoghi in cui ciascuno possa sentirsi libero di portare il proprio contributo, la propria visione soggettiva, qualsiasi essa sia. Le riprese sono terminate e il lavoro prende una forma sempre più definita, ma le domande che mi pongo su come trattare immagini e contenuti sono ancora tante. È complesso fare un montaggio se si è consapevoli che dietro una traduzione, anche filmica, si cela sempre un grosso tradimento. L’obiettivo primo sarà quello di far emergere lo straordinario incontro tra storie di solitudine e disagio con una domanda sociale che spesso è celata o addirittura mistificata: ovvero quella di far parte davvero di un sistema sociale senza negare il proprio disagio, soprattutto quando “dietro i tempi dei normali proprio non ci si riesce a stare…”. A quel punto rischia di crollare tutto: casa, relazioni, amicizie e lavoro. Proprio sul tema del lavoro, del rispondere alla richiesta di produttività che la società ci pone, il documentario si sofferma parecchio; una persona sofferente che non riesce a “reggere” i tempi lavorativi che ci sono socialmente imposti, ma che manifesta comunque la volontà di dimostrare ciò che sa fare in una situazione di maggior tolleranza, sostegno e rispetto delle tempistiche emotive, è una persona che fa da specchio a ciascuno di noi. Uno specchio che può consentire ad altri di riconoscersi in quel tipo di sofferenza e non soffocarla, che propone un’immagine di qualcuno che si batte per realizzare i propri desideri e costruire delle opportunità. Sento pertanto di dover richiamare l’attenzione sulla generosità e sulla passione di tutti, in particolare di Simone, catalizzatore e donatore di storie che difficilmente avrei saputo cogliere, e che mi stanno permettendo di documentare un movimento né fuori né dentro la psichiatria, ma che trasversalmente si pone come obiettivo quello di accogliere bisogni e disagi che la psichiatria non riesce ad accogliere, al fine di costruire una rete sociale utile a tutti. Vorrei essere capace di restituire la forza delle parole e dei volti che ho incontrato in questi mesi. Dare voce a parole mute, spazio a movimenti che faticano ad essere riconosciuti, ridare dignità a chi normalmente la vede negata, matto e non, sarebbe per me un modo di essere militante, in un contesto sociale che richiede sempre più scelte forti, a fronte di una fluidità che stempera i confini e amplia le distanze. Con affetto. Immagine tratta dal documentario “Matti a Cottimo - Strategie di Sopravvivenza” ROBERTO CAVALLI* L o chiamerò Renato. Oggi è un ragazzo allegro, che gira con un auricolare appeso all’orecchio, le bollette della Sisal in tasca e la macchinetta per rollare le cartine sempre a portata di mano. Parliamo della sua storia. Renato è uno psicotico paranoide. In pratica sente delle voci che disturbano il suo pensiero. Anni fa aveva anche allucinazioni e difficoltà molto forti ad interagire con gli altri. Purtroppo non riusciva a controllare quelle sensazioni e non seppe evitare di porre in pericolo se stesso e le persone che gli stavano accanto. Accadde un incidente dovuto alla malattia (sic) e Renato fu arrestato, processato e condannato al ricovero presso l’ospedale psichiatrico giudiziario. Siamo all’inizio degli anni novanta. Il primo approccio con la nuova realtà è costellato di fermi provvisorii in sezioni separate del carcere e condito da una pioggia di sedativi. Dopo tre mesi arriva in provincia di Caserta all’OPG di Aversa. Qui mi facevano fare lo scopino e per un po’ mi trovai bene. C’era un giardino, facevo delle passeggiate. Ma un giorno ho avuto una crisi e tutto è cambiato. Allora decisero di contenermi con i braccioli alle mani e ai piedi, e di siringarmi. Ero immobilizzato su un letto che presentava un buco centrale e un secchio sottostante per permettermi di fare i miei bisogni senza slegarmi. Sono stato così per tre giorni. Poi mi cambiarono le cure. Dopo un paio di mesi introdussero nella terapia l’uso dell’elettroshock: non mi ricordo quanto facesse male. Mi ricordo invece che sognavo di fare come Cutolo, il boss della camorra che era stato ad Aversa e per andarsene aveva fatto saltare il muro di cinta. Le guardie mi raccontavano spesso quella storia. Per essere più vicino a casa e per lasciarsi dietro quel mondo doloroso, Renato decide di fare domanda di trasferimento all’OPG di Reggio Emilia. Qui ci sono stato nove anni. Nei primi cinque la notte dormivo chiuso a chiave. I pasti me li porgevano dal buco della porta. La cella era grande una dozzina di metri quadrati e in un angolo c’era un piccolo bagno chiuso: un lavandino, un bidet, una tazza senza l’asse e senza il coperchio. Vivevo con un’altra persona. L’arredo della cella comprendeva un televisore, due armadietti, un tavolo, le brande, una finestra con le sbarre e una mensola di marmo. Ogni settimana mi cambiavano le lenzuola. I vestiti erano personali, i miei me li facevo lavare da casa. A Reggio Emilia sono stato veramente bene, anche se la malattia continuava ad essere con me e la mia vita era piena di gente malata. Ricordo che un detenuto aveva ucciso un compagno di cella! Durante la mia permanenza ci furono numerosi suicidi, credo almeno una trentina. Ogni tanto ero a colloquio con uno psichiatra per mettere a punto le terapie. Tutti i giorni gli infermieri si assicuravano che io prendessi le medicine. Non ho mai fatto resistenza all’assunzione dei farmaci e ho cercato di essere collaborativo, anche per questo ero benvoluto dalla direttrice e dall’educatore. Dopo quasi nove mesi mi diedero un permesso di libera uscita. La prima volta mi accompagnarono dei volontari, poi ci pensarono i miei familiari. Più o meno avevo un paio di permessi al mese e tutte le volte ne approfittai per andare al ristorante. Purtroppo la struttura era tutto muri e cemento con qualche zona di verde per le attività di giardinaggio e per quelle sportive. Lo sport mi ha dato molto conforto e in OPG ho vinto coppe e medaglie. Soprattutto la migliore terapia in OPG è stato il lavoro. All’inizio ho ripreso a fare lo scopino, ma poi mi hanno fatto fare dei corsi e mi sono impegnato in tante attività diverse. Sono definitivamente uscito dall’OPG con una licenza finale di esperimento che poi si è tramutata in permanenza in una comunità psichiatrica di tipo B, nella quale godevo di libertà vigilata sotto il controllo di un magistrato di sorveglianza. Sono poi finito in una comunità. Poi in un gruppo appartamento e poi, finalmente, dopo 18 anni mi sono guadagnato il fine pena. Così sono tornato a casa. Il racconto finisce qui, anche perché le partite sono cominciate e Renato ci tiene a seguire gli esiti delle sue scommesse. Prima di salutarmi mi confessa la soddisfazione di riuscire a parlare del suo passato senza patimenti. Forse anche questo vuol dire tornare un uomo libero. e regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio (TSO), istituendo i servizi di igiene mentale pubblici. Tra gli obiettivi principali della legge c’era la volontà di modernizzare l’impostazione clinica dell’assistenza psichiatrica, instaurando rinnovati rapporti umani tra il paziente e il personale curante e il resto della società, riconoscendo appieno il diritto del malato ad avere una vita dignitosa. La legge Basaglia, però, non cancellò l’istituto del manicomio criminale ovvero l’ospedale psichiatrico giudiziario (OPG). Nota 1 - La legge 180 del 1978, cd. Legge Basaglia dal nome del suo ispiratore, è la legge quadro che impose la chiusura dei manicomi *Roberto Cavalli è un umanoide alla ricerca della verità La malinconia del materialista è peggio. Puzza di sesso Nota 2 – Negli anni ‘80 il Filippo Saporito di Aversa arrivò ad ospitare un migliaio di persone ed era il luogo in cui venivano rinchiusi i casi più gravi. Malgrado la legge Basaglia, in quell’Istituto tra violenze, elettroshock e letti di contenzione, avveniva la mortificazione dei diritti più elementari delle persone. Non per tutti, però. Ad Aversa soggiornò anche Raffaele Cutolo che, a differenza degli altri, poteva contare su stanze accoglienti e ammobiliate ed era esente da qualsiasi terapia. Proprio da Aversa, il 5 febbraio 1978, il boss evase con irrisoria facilità. Nota 3 - Nel gennaio 2012 il Parlamento ha varato una legge che doveva portare alla chiusura degli OPG inizialmente entro la fine dello stesso anno e poi entro il 31 marzo 2013. Malgrado ciò, non si è fatto molto per mettere in pratica la legge e superare lo stato di abbandono delle strutture e delle persone che vivono in esse. Uno degli ultimi provvedimenti del governo Monti è stato quello di spostare al 1°aprile 2014 la chiusura degli OPG a causa della mancanza di misure alternative, al ritardo degli enti locali e alla penuria di risorse. L’esecutivo prevede come irrevocabile l’ultima scadenza fissata, con la minaccia di nominare commissari se non si arriverà alla chiusura. Nel frattempo è cambiato il governo. 4 21 ART DOSSIER PSICHIATRIA E INTERNAMENTO Te lo faccio vedere chi sono io Quando voglio avere l’ultima parola con mio figlio... I l nostro amico Lanza Wolverine si è trovato di nuovo alle prese con la psichiatria coatta quest’autunno: quello che gli è capitato ci mostra un meccanismo tipico delle città più piccole, là dove “ci si conosce tutti”. Wolverine entra in conflitto con la famiglia, in particolare con il padre, riguardo alla gestione economica dei propri averi: pretende di avere quello che gli spetta in modo da poter avviare un’attività e diventare indipendente. Diversa l’opinione del padre, che vuole tenere il figlio sotto controllo: così, tutto quello che deve fare è alzare la cornetta del telefono e chiamare lo psichiatra che normalmente segue il figlio e che egli paga regolarmente, e chiedergli di ricoverarlo. Con i suoi precedenti psichiatrici non c’è nulla di più facile. I carabinieri si presentano alla sua porta e gli intimano di seguirlo verso un repartino psichiatrico. Nonostante la mancanza di resistenza da parte di Wolverine, che sapendosi il più debole si comporta in modo passivo e ubbidiente, arrivato in ospedale scatta per lui il TSO, senza alcuna possibilità di volgerlo in ricovero volontario. Una situazione senza giustificazioni, che viola ogni regolamento e libertà personale. In repartino Wolverine viene sedato oltre ogni limite, rincoglionito fino al limine della coscienza, e trattenuto per più di una settima- na, fino cioè a quando l’intervento di un avvocato preoccupa abbastanza i dottori da lasciarlo andare. Quante mazzette siano circolate tra il padre di Wolverine e gli psichiatri non lo sappiamo con esattezza, ma non è detto che la dignità di certi individui sia sopravvalutata da nessuno: probabilmente stiamo parlando di noccioline. Nella lucida malinconia seguita agli eventi decritti, Wolverine ci ha scritto qualche riga, riflessioni che lo attraversano durante questo “viaggio al termine della notte”. Eccole qui riprodotte per voi, fedeli lettori: STORIA ABBREVIATA DELLA PSICHIATRIA Prima che venissero scoperti i microorganismi, nell’800, un oscuro primario di ginecologia di un ospedale cecoslovacco mise in relazione le frequenti morti tra le sue pazienti al fatto che molti dei suoi medici operassero le pazienti dopo aver effettuato autopsie, e impose nel regolamento di lavarsi le mani prima di operare. Il nome di questo individuo non è salito agli onori della storia della medicina perché fu radiato dall’albo dei medici e rinchiuso in manicomio. Aveva agito sulla base di un ragionamento simbolico e fatto le deduzioni che a noi oggi paiono ovvie, ma la sua era una posizione ideologicamente inaccettabile per gli altri medici. Nella loro ideologia quei medici si consideravano infallibili, spogliarono il loro collega dei suoi diritti e impedirono di salvare un numero inquantificabile di donne. I romani non potevano accettare la posizione ideologica del cristianesimo, e quindi vedevano nella loro esistenza stessa una grave minaccia che andava perseguita, anche attraverso il sacrificio catartico dell’arena. Cosa vedessero gli inquisitori cattolici nelle loro vittime, nei sacrifici e nei roghi che compivano, forse è meglio non saperlo, mentre cosa vedessero i nazisti nei loro devianti, e cosa ne facessero, è argomento molto noto e base dei valori di facciata della cultura occidentale. Per cui la costituzione e la morale ci ricordano che ogni cittadino è libero e ha dei diritti, poi però si istituzionalizzano i ruoli di individui con la facoltà di decidere chi sia sano di mente e chi no, coloro insomma che si occupano di sanità mentale. Si suppone che costoro abbiano una comprensione superiore, oggettiva, di ciò che si dice, pensa o fa. Proprio come i medici cecoslovacchi di cui parlavamo all’inizio dell’articolo. Ora, potrebbe sembrare esagerato per la morale comune, e certamente lo è per la categoria dei medici di igiene mentale, accostare costoro ai persecutori religiosi, alla santa inquisizione, al nazismo. Direbbero che è un delirio, delegittimerebbero la mia libertà di pensiero. Ma pensate per assurdo, per ipotesi, che sia così. Pensate se la psichiatria sia un metodo di oppressione con cui una parte ideologica della società, magari anche una società segreta, si sbarazza di individui scomodi e li utilizza per esperimenti finanziati da multinazionali farmaceutiche. Riuscite a immaginarvi una cosa simile? Lanza Wolverine Arrivano le Pattuglie Fantasia Ripuliamo la città con cabarettismo e giocoleria sempre contestando la psichiatria!!! A Torino nasce un nuovo progetto politico situazionista che agisce nel sociale: PATTUGLIE FANTASIA. Con questo ossimoro, il neonato movimento vuole goliardicamente prendersi gioco di chi da sempre agisce contro i più deboli e, al contrario, vuole aiutare questi ultimi attraverso un’azione diretta sul territorio, che si articola in due forme, che sono due facce della stessa medaglia. Una è volta alla creazione di gruppi (o, ironicamente, pattuglie) che svolgono attività utili a chiunque. Per ora è operativa la squadra PULIZIA, CABARET e GIOCOLERIA, che si occupa della pulizia delle strade della città di Torino, unica città in cui le PATTUGLIE FANTASIA sono attive, portando l’allegria con l’arte di strada. Detto ciò si è esplicitamente parlato dell’altra modalità d’azione del sopracitato movimento: portare l’arte, in ogni sua forma, in strada. Qual è la valenza rivoluzionaria di questo progetto? Il connubio, nello stesso individuo, tra artista di strada e operatore ecologico, che scardina la concezione borghese e reazionaria di divisione del lavoro. Però c’è ancora tanto da fare: le nuove ronde goliardiche vogliono organizzare squadre notturne di aiuto concreto a chi soffre per strada, portando sia allegria e divertimento, sia un tè caldo e qualche vestito pesante. Per attuare quest’ultimo piano sono indispensabili militanti per pattugliare le vie cittadine, ma anche raccoglitori di vestiti, possibilmente, ma non necessariamente, con una qualsiasi vena artistica. PATTUGLIE FANTASIA è una comunità funzionante sul principio del dono e del libero scambio di conoscenza. Per questo motivo la militanza nelle pattuglie è fonte di crescita continua per gli appartenenti, che sono ancora in numero ristretto, sebbene in crescita esponenziale. La linea di confine tra militante e simpatizzante non è ben definita, in quanto, come inizialmente sostenuto, stiamo parlando di un progetto situazionista. “Programma dell’Internazionale situazionista è il creare situazioni, definite come momenti di vita concretamente e deliberatamente costruiti mediante l’organizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un gioco di eventi. Le situazioni vanno create tramite l’Urbanismo Unitario, un nuovo di Sandro Gipsy ambiente spaziale di attività dove l’arte integrale ed una nuova architettura possano finalmente realizzarsi. I situazionisti si propongono di inventare giochi di una nuova essenza, ampliando la parte non-mediocre della vita, diminuendone, per quanto possibile, i momenti nulli” (tratto da Wikipedia). Le PATTUGLIE FANTASIA si radunano nel fine settimana, generalmente il sabato pomeriggio, nelle principali piazze del centro di Torino, in collaborazione con il Mad Pride, per svolgere attività quali la pulizia delle strade e la distribuzione de LA SVEGLIA, il tutto svolto dando un senso artistico alla cosa. Punto cardine è l’ANTIPSICHIATRIA MILITANTE, ovvero la contestazione del sistema psichiatrico, visto come braccio medico della repressione reazionaria borghese. In quanto movimento situazionista, possiamo tranquillamente considerare le pattuglie inserite nel movimento più ampio della contestazione sociale. Essere anticapitalisti significa rifiutare il concetto stesso di società basata sul profitto e, di conseguenza, sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Sandro Gipsy parla a titolo personale. Dobbiamo perciò chiarire che il Mad Pride non può presentarsi come antipsichiatria militante. Noi cerchiamo di avere un rapporto con le istituzioni, con gli psichiatri; anzi vorremmo avere degli psichiatri devoti alla causa o quantomeno in sincero e approfondito dialogo con noi, studiare la psichiatria e capire come funziona. Essere contro la psichiatria a priori sarebbe come essere contro l’uso delle droghe o lo sciamanesimo, e il Mad Pride non è contrario all’uso delle droghe. Quello che invece “La Sveglia” non accetterà mai è l’addormentamento. Qualsiasi psicosi che sia veramente perniciosa, in quanto arrivi a togliere all’individuo la capacità di vivere la propria vita, può essere superata da mezzi non psichiatrici, anzi: può essere superata solo da mezzi non psichiatrici. Ciononostante, ripeto, il Mad Pride non è antipsichiatrico... Il Magnifico Direttore Un uomo dagli occhi rotti Sull’arte di Cosimo Cavallo di Luca Atzori PARTE PRIMA V iviamo in un grande ospedale chiamato occidente, dove ogni percorso conduce alla moneta. Questa condizione ci porta a limitare i nostri passi sopra sentieri miseri, brevi. Pensiamo al nostro pianeta. È vasto, ma ci muoviamo in massa sopra punti ristretti, avanti e indietro, tutto per rimanere confinati entro quel territorio. Tutto perché abbiamo la fottuta paura di perderci. E abbiamo ragione. Senza quei sentieri ci perderemmo e nessuno di noi lo vuole. Ma ci sono sentieri più vasti da percorrere. Sentieri dei quali non possiamo essere coscienti, perché se lo fossimo, forse, qualcuno chiamerebbe i carabinieri. Questo catalogo non è dedicato solo a un artista, ma soprattutto a un mistico nostro contemporaneo. Si chiama Cosimo Cavallo. È nato a Torino nel 1968 ma ha origini pugliesi, di Taranto. Capita spesso di incontrarlo per la strada. Lo si nota per la sua abitudine a gridare nel vuoto, rivolgendosi a personaggi invisibili. È barbuto, porta sempre una camicia hawaiana. Ha lo sguardo profondo. Somiglia a un patriarca antico-testamentario (così come possiamo immaginarcelo). Lui si definisce un buddista. Lo intende in senso antico. Iniziatico. A vent’anni è stato “salvato dai surrealisti”. Il tutto poi è sfociato in una tesi presentata all’accademia delle belle arti sulla concetto di superficie nel cinema di Fellini. Un innamoramento (senza cuore) il suo, per la falsità. Quella che è ancora di proprietà dei sogni. Cosimo è un pazzo generoso. Recita la sua parte fino in fondo. Vive la follia come mito, cercando di afferrare l’arte, il che equivale a donarla. Perché l’arte in Cosimo non è che un tessuto sottile, di cui si può avere cognizione non solo nelle sue opere, che ne sono, anzi, solo la traccia. Sono le prove di un lavoro che comprende la sua stessa esistenza. Sono i resti archeologici che segnalano la sua presenza. Attimi di attenzione sacrificati al tempo (che è insieme ieri, oggi e domani). In essi è percepibile il desiderio estremo di vedere gli occhi dell’osservatore entrare nella sua stessa vita. Un desiderio che arriva sino alla creazione degli occhi di quello stesso osservatore (che non può esistere). Anche questo art dossier è una traccia. La testimonianza di chi tenta di afferrare due lenzuola per stringerle fino a fare un nodo. La presenza di Cosimo, se accolta con fredda compassione, dona l’autentica temporalità della pelle, insostenibile. Dona la realtà del falso, dove fra le vertigini, si prende coscienza di quanto l’apertura che da fuori chiamiamo “psicotica” sia il segno di un continuo plasmarsi della materia impalpabile. Quella da lavorare attraverso laboriosi respiri e fede analitica. La sensibilità è vita; e la vita sa, è vigile, sempre. Cosimo non accantona. Tiene tutto. È un inconscio vagante. Odia quella che lui definisce “assenza di fede” che è lo sguardo disincantato, frettoloso. Odia l’ignoranza ma non quella del non-sapere, piuttosto quella del sapere sbagliato. Non vive l’arte come sport, produzione di oggetti di chiacchiera, redentrice di silenzi. Quella che spesso capita di respirare fra le mura delle Cosimo Cavallo alias Fabio Elettroni gallerie, nei musei, dentro le aule accademiche. Il suo progetto non è monetizzabile perché il suo fine è religioso. Un personaggio al quale può essere accostato è Pilade. Quello di Pasolini. Quello a cui le Eumenidi dicevano: “Succederà anche che le cose più difficili - e così nuove da essere inconcepibili - non avendo nessun rapporto con ciò che ormai si sa della vita - ti verranno in mente di colpo mentre passeggi o mentre mangi; o ti daranno una gioia così forte che ti metterai a saltare e a ballare come un ragazzo. Ma poi bisognerà cercare le origini, dedurne gli effetti; e allora nuovi giorni di lavoro grigio, incerto, con le ansie della nausea e del disprezzo per se stessi... e alla fine sappilo, nello stesso momento in cui tutto sarà chiaro, IL TEMPO AVRÀ LAVORATO CONTRO DI TE. Non ti resterà nessun compenso se non la coscienza che qualcun altro dovrà ricominciare tutto di nuovo sulle tue rivelazioni stupende ma invecchiate”. Prima di trattare la sua arte, dunque, è necessario raccontare il suo delirio. Anzi, togliamo la parola delirio. Raccontiamola come se non esistesse alcuna chiave interpretativa di tipo psichiatrico. Escludiamo anche la psicodinamica. Escludiamo qualsiasi chiave di lettura che possa in qualche modo essere utile per se stessa. Cosimo vive per strada in seguito a una separazione dalla moglie e dalla figlia (causata da cosa non mi è stato dato saperlo, quindi non posso osare di dedurlo). Qualcuno iniziò a interferire con lui tramite una sua cellula “nervosa”. Gli faceva sentire voci, le voci di persone che controllavano tutto quello che faceva. Le voci provengono da un piano di realtà dentro il quale è possibile entrare attraversando quel varco aperto dalla cellula, che è come un software. Oltre il varco ci sono eventi, forse gli stessi che vediamo continuamente nel mondo, solo che hanno un altro significato (pur possedendo la stessa incoerenza). Gli intercettatori fanno parte della NATO e della camorra, e in alleanza con gli alieni minacciano la vita di sua figlia. Lui cerca forsennatamente di lottare con l’aiuto di Franco Battiato e Silver (il disegnatore di Lupo Alberto) che in questa storia però è una donna, si chiama Elisa Volpe. La missione di Cosimo è quella di riuscire a ottenere una casa a Chieri dove poter stare con sua figlia. Solo lì potrà avere pace. Questo ineffabile pólemos si svolge attraverso il soffocamento che la NATO e altre forze operano sulla tradizione e sul mistico, tramite l’organizzazione di una realtà sociale che toglie agli animi dei potenziali iniziati un contesto su cui agire dentro il quale non risultare ridicoli e insensati. Cosimo però non demorde e lotta mantenendo integra la sua via. Di certo Cosimo ha la forte percezione di uno schiavismo a cui abitualmente ci costringe l’Io. La NATO o la camorra, gli alieni etc, sono solo una forma di rappresentazione particolare di quello che è un fenomeno indiscutibile e più generale, cioè il Potere. Se diventare il proprio Sé significa essere costretti ad essere creatori (del tempo e dello spazio umani) allora è inevitabile prendere coscienza di quanto normalmente sia il nostro Io a dare gli ordini e quanto invece il Sé sia privo di coscienza e di volontà, debole come un bambino. Il soggiogamento del Sé fa sì che la creazione si muova secondo finalità altre, che rispondono a un’etica presunta come civile ma in realtà arbitraria. Arrivare a quest’esperienza del Sé, quadridimensionale, conservando però la struttura tridimensionale che garantisce l’eticità e la vita civile, comporta per forza una divisione, una “scissione” schizofrenica. Forse l’impresa di rendere consapevole il Sé è assurda in un mondo dove non è possibile iniziazione. O forse è quella che chiamiamo schizofrenia a suggerirci la risposta, continuamente. “La vita ci sfiorò... ma il Re del mondo ci tiene prigioniero il cuore”. 3 22 Sperimental Gessèt la rubrica d'arte de “La Sveglia” Non sai disegnare lo vai a dire a qualcun altro A cura di ANDREA MARCHESE Credo che questa inflazionatissima affermazione sia davvero più volgare e superficiale di quanto si pensi abitualmente. Innanzitutto è un’offesa alla macchina/corpo umano e alle sue funzioni, inoltre lo è anche nei confronti della carta e dell’inchiostro, che passano per elementi marginali nel processo creativo. (Si vedano per carta e inchiostro qualsiasi altro insieme di oggetti che concorrano alla creazione di un’opera).Dico, ma ...oU! La capacità di una mano di affrontare una chicane piuttosto che un’altra sulla superficie disegnata influisce pochissimo su ciò che conta.Tornando alla questione del “saper disegnare” vorrei ricordare che spesso per questo si intende la banale capacità di saper riprodurre nella maniera più esatta possibile dei soggetti... l’uomo/disegnatore, insomma, viene ridotto ad una fotocopiatrice difettosa, alla quale si perdonano le imperfezioni di copia con spirito tenero, del tipo “almeno ci è andato vicino, è pur sempre umano”. È una cosa, questa, che non mi va giù… perché rappresenta un malcostume che percorre trasversalmente tutti gli ambienti di cui possiamo far parte in questa società; è una frase che potete aver sentito dire da chiunque, o che magari tirate fuori voi stessi, quando qualcuno vi chiede di disegnare qualcosa e voi: “No, io non so disegnare”. Io stesso ogni tanto cado in questa trappola! Dannato me… comunque! A proposito di me, io dipingo, ho prodotto almeno una cinquantina di tele, eppure non so rappresentare esattamente le cose che vedo, né le cose che inizialmente potrei voler rappresentare... ecco sì, voglio usarmi come esempio per spiegarvi cosa intendo che sia importante nel disegno. Ho iniziato a disegnare sulle pagine del mio diario a scuola, senza aver mai fatto corsi di pittura o simili; cominciavo con delle linee buttate un po’ a caso sul foglio, poi quelle iniziavano a sembrarmi degli oggetti e allora mi spostavo su altre porzioni di spazio, mi accorgevo che quelle due figure potevano in qualche modo interagire tra loro, che quella cosa che inizialmente stava per diventare un castello diventava uno scoglio su cui stava seduto un clown, e ancora, quell’abbozzo di triangolo in basso a sinistra poteva essere un tendone da circo... anzi no! Un cono gelato a testa in giù, etc... In- somma, quell’intreccio di forme iniziava a raccontarmi qualcosa, dei concetti finora inespressi, dei pensieri che mi appartenevano molto di più rispetto a quel tentativo di riproduzione di un paesaggio, ad esempio. Mi accorgevo che c’era un’intensità in questo processo, la cosa si faceva prima di tutto divertente, poi anche profonda in un certo qual modo, rivelando parti della mia indole nel mio affacciarmi al mondo, un mondo sia esterno che interno. Il processo si concludeva con l’interpretazione di quello che avevo vomitato, anche questo è un passaggio che trovo molto importante a livello artistico; ciò che io ufficialmente interpretavo da un mio disegno essere un pennello, ad uno spettatore appariva come un fungo e questo proprio perchè non c’era dietro alla creazione un meccanismo rigido di classificazione dei soggetti, perché il disegno non era “esatto”. E poi volete mettere la soddisfazione dell’essere incompresi? Nel corso della mia esperienza di scarabocchiatore ad esempio, ed in seguito di tizio che espone le proprie creazioni, mi sono trovato più volte a dialogare con Perciò cari miei lettori, vi invito a questo circo di immagini che chiameremo “Sperimental Gessèt” nel quale pubblicheremo le vostre creazioni. Fatevi avanti senza indugi! Come avrete capito non e necessario essere considerati dagli altri o da se stessi dei bravi disegnatori. Potete spedirci materiale cartaceo, digitale, fotografie, tovaglioli con sopra segnati schemini, sculture di piccola taglia o una batteria di pentole. Anzi di coperchi. gli spettatori… ed è proprio il malinteso che dà adito al voler chiarire, chiedere conferme rispetto a quello che si è visto. Quando un’opera si vede e si apprezza a pieno, essa diventa “veramente figa!”. E allora tanto vale cercare qualcosa di più interessante, e restituire all’arte e al disegno la sua dimensione più spontanea, quella che suscita le reazioni più disparate e più facilmente fraintendibili. Perché uno scavo in se stessi si specchi in un altro scavo, creando una conca... Vabbè, ora sto divagando. Tutto ciò per dire che questo disegnare “senza saper disegnare” è servito per darmi una valvola di sfogo espressiva che mai avrei immaginato e che rappresenta per me un aspetto fondamentale della mia esistenza; e non perché dipingere sia diventato il mio lavoro o mi dia fama. Disegnare ha aperto una finestra sulla mia pazzia, sulla mia capacità di esprimere pensieri e stati d’animo disordinati che non sarei riuscito a comunicare in altro modo, comunicazione rivolta sia a me che agli altri, a seconda dell’utilizzo che ne voglio fare. UNISCI I PUTINI ...e scopri la figura misteriosa L’Assemblea Permanente dell’Ascolto Ogni lunedì dalle 15:30 alle 18:00 in Via Luserna di Rorà 8 LUCA ATZORI L’ Assemblea Permanente dell’Ascolto è una delle attività promosse dal coordinamento piemontese degli utenti della salute mentale. Attraverso gli incontri settimanali, dove ciascuno è libero di raccontarsi, cerchiamo di tematizzare le problematiche che di volta in volta vengono proposte e si sperimentano nuove modalità di mutuo aiuto. Spesso il “setting” previsto dai percorsi terapeutici rischia di rendere l’incontro un momento d’eccezione, distinto dalla quotidianità; ciò porta i gruppi ad avere più partecipazione ma rischia di creare dipendenza. Non nego l’utilità del mutuo-aiuto, ma finché l’utente accede ai gruppi solo per avere uno spazio in cui “esprimersi” o “sfogarsi”, questi occuperà una posizione prevalentemente passiva. Mi viene da pensare che faccia comodo le persone si sfoghino. È una concessione che ci diamo, la quale talvolta porta con sé qualcosa di sottilmente “crudele”. L’ascolto che propone l’assemblea, invece, mira a un’apertura del confine. È ascolto di sé, distacco dalla propria soggettività residuale, quindi riappropriazione delle produttività oppresse, con possibilità di condivisione e relazione finalizzata a operare su uno spazio percettivo condiviso. Le partecipazioni, in quanto testimonianze di membri sofferenti della comunità (ma, come esistono membri sofferenti della comunità, così sappiamo esistere parti sofferenti in ogni individuo; c’è un disadattato in ognuno di noi) possono mettere in evidenza le reali problematiche non solo della salute mentale, ma quelle dell’intero contesto sociale. Posto che ciascuno porta il segno vivente di una collettività, quel che avviene è una riflessione della comunità su se stessa, quindi una autocoscienza. Il discorso delirante è quindi valorizzato, in quanto una sua marginalizzazione comporterebbe un ritorno alla parzialità, cioè finalizzato ad un altro contesto; sarebbe asservito a obiettivi privi di forza politica; sarebbe un servizio al servizio di un altro servizio. All’interno dell’assemblea presentarsi dicendo “sono malato” segna una soggettività psichiatrica, quindi una realtà che bisogna considerare non dal suo interno ma in relazione con altre soggettività, cercando una valutazione che ne consenta un superamento critico. Qualsiasi etichetta è, in questa prospettiva, un alibi indotto, generatore di uno smarrimento che avviene all’interno di un percorso molto ristretto. Ogni parola, all’interno dell’assemblea, appartiene a un discorso delirante, perché l’assemblea È un discorso delirante. Quel che si indaga, tramite l’ascolto del delirio, scopre il bisogno, soffocato dalle comuni prassi di normativizzazione. Anche lo psichiatra che intende partecipare deve accettare le proprie parole come deliranti, in quanto non sono che la testimonianza di un bisogno. L’ascolto, perché possa essere possibile, deve essere rivolto non alla persona ma alla realtà che sta dietro i suoi discorsi, quindi la propria. In una simile impresa, è fondamentale un approfondimento culturale, che dia gli strumenti necessari per ampliare le possibilità di azione. Spesso accade che i pazienti ignorino il proprio percorso di cura, che non sappiano che tipologia di farmaci assumono e che accettino interventi coattivi, perché subiscono un restringimento del campo “visivo”. Quello che ci si auspica con l’assemblea è di aiutare il cittadino a rielaborare il disagio e a prendere coscienza della propria esperienza psichiatrica, con la proposta di soluzioni che fuoriescano dai contesti proposti dalla psichiatria. IL CONVEGNO SABOTATO di Beatrice Di Zazzo Notizia dal Molise: un utente (chiamiamolo Alfio Garau) cerca di rendersi parte attiva organizzando un convegno sulla salute mentale con utenti e familiari, ma viene ostacolato. Risultato: il convegno, che si sarebbe dovuto tenere nel mese di giugno a Campobasso, è cancellato. Nonostante i volantini già preparati, nonostante i contatti già presi con le altre regioni e la rete del CNUSM, sembra che questo evento “non s’avesse da fa’”. Dieci giorni prima della data stabilita per l’avvenimento l’utente in questione viene convocato presso il suo CSM. Ad aspettarlo c’è il direttore sanitario del suo dipartimento, la sua psichiatra, un operatore di una cooperativa da lui mai visto e un altro utente del suo CSM. Ad Alfio viene chiesto, prima gentilmente, poi con gentili intimidazioni, di non proseguire nell’organizzazione e di cancellare l’evento in questione. Motivo: la sua iniziativa “è sconsiderata”, deve finirla di mettere in cattiva luce i suoi servizi, smetterla di avere contatti con i suoi amici del Coordinamento; soprattutto deve lasciare stare quelli del Torino Mad Pride che gli mettono strane idee in testa (n.d.r. Garau ha parlato al Mad Pride del convegno solo dopo averlo ideato). Se continuerà nel suo intento, gli viene fatto capire chiaramente, se disobbedirà al diktat potrebbe avere vita difficile all’interno del suo servizio. Traduzione: o decide di stare zitto e fermo o avrà seri problemi, il che significa primo non poter ottenere la borsa lavoro per la quale stava aspettando risposta, secondo sentirsi il loro fiato sul collo, soprattutto dei suoi genitori, anziani a più riprese chiamati dal CSM. Allora Alfio Garau decide di arrendersi, anche perché viene osteggiato persino da alcuni componenti del CNUSM. Entra in una fase di malessere connotata da depressione e paranoia: riesce a trovare un po’ di calma e fiducia solo parlando con i suoi conoscenti, perché non può parlare liberamente delle sue frustrazioni con chi, in buona parte, gliele scatena. Accetta la sconfitta e decide di fare buon viso a cattivo gioco, perché “il coltello dalla parte del manico ce l’hanno loro. Io volevo solo rendermi utile e organizzare una giornata significativa anche a Campobasso. Ma mi hanno tranciato le gambe. Spero solo prima o poi le cose cambino. Ci proverò fin che posso ad avviare il cambiamento. Ma se al Nord le cose sono difficili, qui al Centro lo sono ancora di più”. Storie già sentite e già viste, ma alle quali per fortuna qualcuno non vuole abituarsi. Quale futuro per il coordinamento? La settimana della salute mentale apre orizzonti e interrogativi RIVOLUZIONE CASUALE Il Coordinamento Nazionale degli Utenti della Salute Mentale si trova davanti una serie di problematiche. La partecipazione alla Settimana della Salute Mentale, tenutasi a Modena dal 19 al 26 ottobre, ha generato in me le seguenti considerazioni: 1 - Entrare all’interno dei servizi come utenti esperti paleserebbe la contraddizione insita nel legittimare le prassi e il linguaggio della psichiatria, quindi un lavoro parziale, un “servizio al servizio di un altro servizio”. Rimanere confinati all’interno delle mura sanitarie e professionalizzare una condizione che corrisponde a un insieme di bisogni, significa tecnicizzare una situazione che presenta invece interessanti risorse politiche. La cittadinanza è il punto dal quale partire e alla cittadinanza bisogna arrivare. 2 - La normativizzazione dei bisogni genera nuovo disagio. Il disagio non è che un bisogno insoddisfatto. Il bisogno, in tal caso, viene indotto perché possa perpetuarsi lo stesso circolo psichiatrico; così l’istituzionalizzazione serve finalità di matrice consumistica. Quel che il Coordinamento deve proporsi è di partire dai bisogni per capire come lavorare sul territorio. Questa inversione può garantire un eventuale riconsolidamento della sfera sociale, attualmente carente in ambito sanitario. 3 - C’è stata la presentazione di un caso clinico, in cui un approfondimento antropologico sarebbe dovuto servire a colmare le lacune presenti nel protocollo, e venire così in aiuto agli psichiatri. Questo tentativo mi sembra però si sia rivelato fallimentare, perché non è stata operata una sufficiente decostruzione dello stesso racconto clinico. La descrizione presentata degli elementi patologici attinge da filtri di ricerca incongruenti con gli stessi paradigmi psichiatrici. Ad esempio si diceva “il soggetto non accetta la propria malattia” o “non accetta il lavoro che gli proponiamo” o “non vuole partecipare alle attività ricreative da noi suggerite”. Questo, a mio parere, non fa altro che definire un soggetto psichiatrico attraverso la patologizzazione di quella sfera ancora non psichiatrizzata. In tal caso credo che il lavoro d’equipe fra gli psichiatri e gli antropologi sia stato inadeguato, in quanto non è possibile colmare lacune senza operare una vera e propria decostruzione dell’approccio clinico. Sono giunto alla conclusione che i convegni, in quanto offrono la possibilità ai professionisti di organizzarsi una vetrina, presentano sempre forti contraddizioni. A tale proposito si sta organizzando una giornata, prevista per il 2014, in cui si tenga la prima Assemblea Nazionale dell’Ascolto, dove gli utenti, i professionisti, i familiari, gli intellettuali, i cittadini, etc potranno confrontarsi, trasmettersi esperienze e dibattere in maniera che si generi uno spazio di condivisione produttivo; un cantiere, per ridefinire in primo luogo cos’è “comune” e in secondo cosa sia il “benessere”. 23 2 Torino Mad Pride anti-psichiatrico? Un chiarimento di posizione necessario, nel quadro del nostro dialogo con le istituzioni LORENZO PEYRANI S ull’ormai lontano Numero 2 de “La Sveglia” veniva pubblicato l’articolo sulla tragica vicenda di Silvia Moschini, articolo che avrebbe poi causato una cesura fra il giornale stesso e il servizio pubblico, l’ASL, perché vi si leggeva un’accusa di incompetenza loro diretta. In occasione delle riprese del documentario “Matti A Cottimo - Strategie Di Sopravvivenza”, abbiamo intervistato la Dott. Vilma Xocco, direttrice del Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL 1 di Torino, che ha espresso il suo malcontento e la sfiducia nei confronti del giornale e, conseguentemente, del Mad Pride. Vorremmo cogliere l’occasione per riaprire il dialogo e chiarificare la nostra posizione. Seguono scampoli tratti dalla registrazione, ai quali vorremmo dare una risposta. […] Non posso accettare di mettermi in relazione con delle persone, lavorare insieme e poi vedere che vengo sputtanata nel loro giornalino. Tutti sbagliamo, se tu hai da dire una cosa sul mio servizio, vieni, me la dici e ne parliamo. Ci confrontiamo. La mia idea non è quella di una democratizzazione coatta per cui pubblicare indiscriminatamente qualsiasi voce, anche se va a danneggiare qualcun altro, senza peraltro verificarne la veridicità. Non è che io ti rispetto e tu mi spari dietro scrivendo nefandezze sui giornali senza neanche venirmi a chiedere qualcosa. […] Neanche questa redazione ragiona solo in termini di democratizzazione. Al contrario, esiste una determinazione a tenere vivo il contraddittorio che si spinge fino a creare falsi. Sembrerà difficile da credere, ma la mistificazione che esercitiamo sui contenuti del giornale in redazione è volta più spesso a controbilanciare le posizioni di chi spara a zero sulla psichiatria piuttosto che a calcare la mano. Questo perché la maggior parte dei lettori attivi de “La Sveglia”, quelli che ci sottopongono le loro storie, hanno un’opinione molto negativa del servizio pubblico. Noi ci applichiamo, a costo di scrivere articoli sotto pseudonimo, nell’esercizio dell’autocritica e, se non ci siamo ancora spinti a scrivere vere apologie della psichiatria, quantomeno lanciamo visioni diagonali; questo perché troppo spesso chi crede di avere un’opinione opposta alla nostra semplicemente non ci scrive. In aggiunta, una delle funzioni del Mad Pride è quella di vigilare sugli abusi e fare da megafono a chi si rivolge a noi per raccontare la sua storia. Quindi ci saranno sempre una pagina o due della Sveglia che daranno fastidio agli addetti ai lavori, ma credo che questo valga per qualsiasi istituzione nei confronti di un giornale indipendente. Infine, vorrei dire che l’articolo su Giorgia non era inteso come critica all’ASL. Si voleva raccontare la sua storia e far riflettere, come tutte le storie di vite spezzate fanno riflettere. Non era un dito puntato. […] Un’altra cosa con la quale mi trovo in grande disaccordo con voi è questa matrice antipsichiatrica che avverto in alcuni vostri componenti. Non farei la psichiatra. Per me la malattia mentale è una malattia e cerco di curarla. Uno quando pensa di essere matto non può andarne fiero; come per un problema al cuore, preferirebbe che non ci fosse. […] La Sveglia e il Torino Mad Pride sono frutto di volontà molteplici e in continuo mutamento; ciono- nostante alcune problematiche sono state sviscerate a lungo e ormai le nostre posizioni si stanno radicando; così, mi sento di porre un distinguo: non siamo anti-psichiatrici ma vorremmo una psichiatria diversa. Non condividiamo le definizioni di malattia mentale, quindi spesso non condividiamo le finalità e le modalità della psichiatria. E questo ci porta al secondo punto, quello su cui veramente ci troviamo in disaccordo, come d’altra parte è naturale che sia. Per noi la “malattia mentale” non è assimilabile a una malattia fisica, non andrebbe chiamata così. Un problema al cuore è proprio quella che riteniamo una cattiva metafora di “malattia mentale”. I cosiddetti disturbi della personalità ci appaiono come una cartina geografica della psiche e della società umane, piuttosto che mostrare i tratti di una malattia, estranea come un virus. Rinvio agli altri articoli del giornale, che, più o meno specificamente, riguardano tutti quest’argomento e spero, anche a titolo personale, che questa div+ergenza possa essere accettata e dar luogo a un dialogo costruttivo. Per lasciare un'inserzione gratuita o per rispondere agli annunci, chiama Rosa al 3319394665 Azota L81 - Mi offro per lezioni di chitarra per principianti. Mi interesserebbe fare lezioni di filosofia per matti. Tra l'altro pensavo di mettere il cercasi offresi in giro, come locandina pubblicitaria Veneziano C37 - Cerco stabilità e offro precarietà Doccia V011 - Cerco una persona che sappia aggiustare la macchina per cucire e offro la mia compagnia x andare a correre. Cerco anche qualcuno che mi faccia dei massaggi e la ceretta. E mi offro per insegnare a fare la cera epilatoria fatta a mano bio. Ugo Z56 - Cerco gente che ami l'america latina offro contatti e agganci Chiara Abbà del TMP a colloquio con Vilma Xocco Mental Health - Action Plan 2013-2020 Le nuove strategie a livello mondiale e gli interessi che le guidano GIORGIO SICCARDI* L’ L'amore e il denaro Il cercatrova dei matti a cottimo anno scorso la World Health Organization ha presentato il nuovo piano d’azione mondiale per la salute mentale (Mental Health - Action Plan), che definisce le linee guida e gli obiettivi da perseguire in questo campo fino al 2020. Scorrendo il programma, balza alla nostra attenzione l’importanza data (relativamente al lavoro sul territorio) alle associazioni come la nostra, cioè quelle associazioni che dovrebbero “combattere lo stigma relativo alla malattia mentale”. Apparentemente siamo di fronte a buoni propositi, investimenti nel sociale rarissimi in questi tempi di tagli forsennati. O forse piuttosto, come spesso accade, dietro questa facciata si nascondono degli interessi economici. Senza entrare nello specifico, in questo breve articolo proveremo a tracciare alcuni collegamenti, utili anche per riconsiderare le nostre posizioni come Torino Mad Pride. Il nostro interrogativo: da dove arrivano i soldi destinati al sociale, e cosa sperano di guadagnarci gli investitori? Abbiamo visto come la tendenza ad ampliare la definizione di malattia mentale già presente nel DSM-4 sia stata riconfermata dal DSM-5, che arriva a proporre fenomeni come stalking, sindrome premestruale e attività sessuale tra adolescenti come appartenenti al mondo dei disturbi mentali. Perché arrivare a tanto? È chiaro: perché da ogni diagnosi discende una terapia, con conseguente somministrazione di farmaci. Non potrebbe essere che tra i membri della World Health Organization ci sia chi subisce le pressioni delle case farmaceutiche? Che la FDA (Food And Drug Administration) abbia interesse non solo a salvaguardare i cittadini ma anche a rimpinguare i conti in banca di alcuni privati? Ecco svelato l’arcano, ecco che la situazione si chiarifica: vogliono abbattere lo stigma così che nessuno abbia più paura di assumere psicofarmaci, che l’uomo comune non si vergogni a prenderli. “Ridiamo dignità ai matti per ridare dignità ai farmaci!”: un bel salto evolutivo rispetto ai tempi, ancora fortemente ideologici, della battaglia per i diritti. Oggi gli organi di controllo possono farsi belli degli stessi slogan usati nel sociale; non è un caso se la lotta sembra aver perso terreno negli ultimi trent’anni: è proprio così, il controllo oggi è molto più forte e la situazione non fa che peggiorare: destra e sinistra, multinazionali e volontari, collaborano alla distopia. E si capisce anche perché un’iniziativa come il Mad Pride risulti tanto controcorrente e scomoda: Mad Pride non significa annullare le differenze tra sani e matti, quanto piuttosto valorizzarle. Noi diciamo: i matti sono diversi dai normali, e ne dovrebbero andare fieri. Non annullare lo stigma quindi, ma trasformarlo in carisma. Non ampliare il DSM fino a includere chiunque, al contrario distinguere con precisione psicotici e nevrotici, tanto per incominciare. Una visione talmente lontana da quelle prese in considerazione nel “Mental Health - Action Plan” da risultare forse imprevista. E un’alternativa imprevista potrà sempre rivelarsi pericolosa per i “piani mondiali a medio termine”, sul lungo termine… *Giorgio Siccardi è sindacalista e ricercatore di Diritto Internazionale P. S84 - Cerco complice di viaggio per mete esotiche da definire, partenza immediata, ritorno possibile ma non necessario. Cerco armadio, larghezza max 0.90m, altezza 1,90m. Possibilmente accompagnato da traslocatore nerboruto nigeriano. Offro hamburger e patatine in cambio di un valido motivo per diventare vegetariani. Offro competenze artistiche in cambio di denaro sporco. Paola M09 - Sono Sempre alla ricerca di nuove amicizie, nuove conoscenze, di nuove realtà, per avere sempre delle opportunità, per conoscere altre persone. Per essere sicura di non essere dimenticata. Non so se ti può essere utile. Valentina P55 - Io vorrei un soppalco. Cercasi struttura per soppalco a 1 piazza e 1/2 oppure matrimoniale! Enrico MP3 - Offro circostanze in affitto per clown tristi Cirri M10 - Cerco energie e voglie, perché a volte ne ho meno di quelle che vorrei. Offro tolleranza. Sono uno che lascia in pace. Gabriella T49 - Cerco tanti luoghi dove esprimere attraverso la recitazione l'espressione corporale nella musica parole e concetti momenti di vita sensazioni e sogni Fabio BK2 - Cerco lezioni di surf e/o super quiete & chillout, offro consulenze di comunicazione digitale Simona A03 - Cerco soggetti umani da fotografare, di preferenza donne. Mi offro come aiuto per gestire animali, anche umani. Intrattengo bambini, felicemente diseducandoci a vicenda. Mi offro per leggere ad alta voce alcuni libri, di mia scelta, in privato. Imparo poesie a memoria. Parlo bene inglese e francese. Matteo C45 - Cerco dieci centimetri di profondità elastica offro diciotto di lunghezza granitica spessori da definire trattativa privata astenersi perditempo. Castellano M47 - Offro lezione di chitarra qualsiasi livello in cambio di tappeto pulito e un po' spesso, o da cambiare con lezioni di batteria Alfredo G44 - Non lasciatemi solo Vulcano M77 - Cerco di mantenere il mio lavoro, ma anche di cambiarlo se possibile in meglio. Cerco qualcuno, e offro i miei talenti artistici. Tulino R81 - Cerco silenzio in cambio di poetame. Maria P79 - Cerco amore in cambio di cinismo e rancore. Tibaldi D06 - Offro: storie di "guarigione" e consigli su come sospendere bene singoli farmaci. Cerco: un elenco aggiornato di video (anche sul web) e di film con testimonianze di chi ha sospeso i farmaci e/o ha chiuso la propria parentesi psi. Grazie Giovanni R41 - Bisogno: psicoterapia mutua e reciproca tra pari. Offerta: consulenza su filosofie di vita basate su letture e scritture lunatiche Stephania G43 - Cerco fotografo/a che collabori gratis a un'inchiesta di strada, in cambio offro l'idea progettuale e la redazione dei testi Noemi Z60 - Offresi piante di fico di 1-2 anni in pane di terra ad offerta libera. Giorio M14 - Mi piace occuparmi di acconciature e scrivere poesie Tasso P38 - Cerco libertà e offro onestà. Lallu K17 - Cerco una vita piena di avventure dove ogni giorno metto a repentaglio la mia vita. Riguardo a qualcuno, cerco un/a migliore amico/a che mi segua ovunque. I miei talenti lavorativi sono racchiusi nella filosofia del bushido... Matteo C07 - Mozzo offresi per ammutinamento, viva la libertà. Emanuele C69 - Cerco lavoro in un azienda agricola, offro lavoro per aziende agricole possibilmente biologiche e vicine a Torino Barolo C37 - Ciao, io oltre a voler offrire tutto il mio amore a un bella infermierina che mi voglia bene, offro corsi di PC, trattamento antivirus e formattonne a prezzi competititivi e calmierati. Se l'infermiera fa le endovenose è meglio Maria K09 - Offro la guerra cerco la pace Simone S33 - Cerco angeli e demoni. La rivelazione è vicina. Offro un corpo in grado di sopportare la fatica e il dolore ed una mente altamente manipolatrice. 1 Hai avuto problemi psichiatrici? Hai 50 anni e sei mantenuto dai tuoi? Sei un semplice disadattato? Non sai più dove sbattere la testa? LAVORA con MATTI A COTTIMO ( [email protected] Matti a Cottimo è una rete di inserimento lavorativo che mette in connessione l'offerta di competenze professionali dei matti con la domanda del mercato. Chi sono i Matti di Matti a Cottimo? Siamo noi, persone sensibili che hanno attraversato crisi personali profonde e hanno difficoltà a reinserirsi nel mondo del lavoro. Noi siamo portatori di capacità lavorative che faticano ad incontrare la domanda del mercato, pur possedendo competenze in molti campi. Per questo Matti a Cottimo si struttura in gruppi di lavoro composti da persone con simili competenze, che possono far fronte a moltissime richieste lavorative condividendo tempi e responsabilità, al fine di portare a termine le commesse nel rispetto della qualità del lavoro, della competitività dei prezzi e della sostenibilità e tutela per le persone che lo svolgono. Se hai già avuto una qualsivoglia esperienza nel mondo del lavoro e hai bisogno di guadagnarti la pagnotta manda una mail con il tuo curriculm nella casella di posta elettronica: [email protected]. Se hai bisogno di: Manutenzione Elettrica e Idraulica a Domicilio, Traslochi, Promozione e Merchandising, Volantinaggio, Decorazione e Restauro Ligneo, Terapie Olistiche Personalizzate, Illustrazione e Grafica Web, Agricoltura e Conservazione Cibi, Riprese e Montaggio Video, Sartoria e Riparazioni, Allestimento Vetrine e Scenografia.... Chiama il 331 9394665. MAD PRIDE 7 6 5 APERIODICO FONDATO IL 13 GENNAIO 2012 DIRETTORE: LORENZO PEYRANI L'estate sta finendo e un anno se ne va, sto diventando grande lo sai che non mi va I sette nani giocano a baseball Polifonia cartacea in tre movimenti: moderato con brio; largo; ancora più largo EDITORIALE take 7 LORENZO PEYRANI 3319394665 TORINO 8 2 3 4 SABATO 14 GIUGNO 2014 PIAZZA CARLO FELICE ORE 14:00 La passeggiata dello schizofrenico: un modello migliore di quella del nevrotico sul divano V icini. In questo tempo che non è un viaggio. Che non è una stanza. Stringete la mano: stringerete il tempo. Tenete in mano la nostra sesta uscita, il “Numero Sette”. Niente di straordinario: cosa c’è di meglio del giornale di oggi se non quello di domani? Perciò, un numero incentrato più che mai sull’informazione, quella del futuro prossimo. Per realizzare un prodigio siffatto non c'è che da "immaginare correttamente", ovvero divinare: tenendo a mente che, come l'acqua scorre a valle ogni cosa tende al peggio, non è difficile seguire gli sviluppi futuri di tante faccende. Anche i classici sapevano che il dono di profezia si ottiene elettrificando l'umor nero della melanconia con l'ambra dell'immaginazione. Ecco il nostro futuro, quindi: il Torino Mad Pride, il movimento per l'orgoglio dei deficienti mentali, è stato finanziato dall'Unione Europea, e ad oggi sta venendo realizzato un documentario sui fatti che ci hanno portati qui. La Sveglia diventerà un grande portale web , che formerà anche la piattaforma per la Cooperativa Sociale di inserimento lavorativo "Matti a Cottimo". Intanto però i potenti, quegli stessi che ci hanno finanziato, mirano a un mondo in antitesi con i nostri ideali. Il Mental Health Action Plan 2013-2020 è un piano mondiale di gestione della salute pubblica e di commercializzazione dei farmaci che punta a eliminare lo stigma nei confronti delle malattie mentali per vendere di più. Forse che, attraverso le sofferenze della follia, il nostro corpo sarà redento? Sarebbe la speranza di tanti borghesi, che da dietro un vetro filosofeggiano: “la Madonna stringe il corpo del matto sacrificato, a comporre una Pietà vagamente blasfema”, inconsapevoli di stare facendo solo il gioco dei loro secondini. “Combattere lo stigma e vendere più medicine” sono le parole d’ordine di questi ultimi. Capita così che anche associazioni innocenti e volenterose come la nostra servano ai piovroni del male, schiave degli schiavi degli schiavi, come tutti. E invece no. Noi no, non siamo capri espiatori. Mad Pride: riprendiamoci lo stigma, che il Matto abbia il suo Crisma. Temiateci, perché siamo l’altro: quello che era venuto a portare la spada. PSICHIATRIA E INTERNAMENTO Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari sono fuorilegge ma continuano ad e s i s t e r e . A b b i a m o p a rlato a una persona che ci ha passato dieci anni. CAVALLI A PAG. 5 TORINO MAD PRIDE IN EUROPA Abbiamo vinto un bando del fondo comunale europeo e portato a casa migliaia di euro. Come? SANDRETTI A PAG. 18 APPROFONDIMENTI Food and Drug Administration Come cambierà il mondo della salute mentale nei prossimi otto anni, e perché? Quali interessi si nascondono dietro la famigera- ta FDA? Quali le collusioni con la World Health Organization? A PAG.2 Wilhelm Reich PAG. 15 Magia PAG. 8 Viaggi nel tempo PAG. 16 Arte PAGG. 21-22 Buonanotte SIMONE SANDRETTI Esistono: l'ordine e la disciplina, l'arrendersi al caos, l'ordine di arrendersi, la disciplina del caso. Parlerò qui della quarta tra queste opzioni, che in quanto pari sono un insieme di scelte possibili che si equivalgono in valore ma differiscono nei risultati. Ordine e disciplina generano consolidamento piramidale e talvolta degenerano nella Guerra. Arrendersi al Caos genera distruzione sferoidale e talvolta fiorisce nell'Arte. Arrendersi all'Ordine genera attraversamento spiraliforme e talvolta si ricongiunge nell'Essere. La Disciplina del Caos genera gravitazione elicoidale e talvolta si trasforma nell'Infinito. La disciplina del caos mi ha sedotto sin dall'inizio perché io, in quanto ipocrita e conformista dell'anticonformismo, amo ciò che viene praticato da pochi e aborro l'abitudine. Ma una pratica di vita in cui basterebbe lasciarsi andare ai propri desideri in maniera disciplinata, lo stereotipo del dandismo, presto si infrange di fronte allo speccchio che ci ritrae. Nessun maestro è stato ancora in grado di insegnarci la disciplina del caos, essa pertanto ci appare come un baratro in cui tuffarsi o come un vortice da NUMERO SETTE cui lasciarsi trascinare via. Invece il Caos, estremamente femminile, si appropria della mascolinità dell'ordine attraverso la sua resa, il suo darsi all'essere. Lasciandosi sedurre dall'ordine, si ingravida e nutre l'infinito con il suo sangue. Credo che valga la pena di proporre a noi utenti psichiatrici, e in generale a chi lo vuole, un'alternativa alla cura del male. La disciplina del caos non è una terapia basata sulla riduzione o sulla capacità di gestione dei propri sintomi. La disciplina del caos è solamente l'arte di guardare allo specchio la propria maschera con il dovuto distacco. Il distacco genera distanza, e la disciplina è in grado di determinare la giusta distanza. Respiro, o meglio, sono respirato; cado, ma all'infinito. Occorre che Alice attraversi lo specchio, occorre che lei cada nel buco. Chi ci propone di scegliere tra le due opzioni spesso non si rende conto che tra di esse c'è solo il nulla, che soffia sottile da sempre e per sempre. Ora voglio cospargermi d'olio e condirmi con l'acido della sua fica. L'essere respira dall'infinito all'infinito, la guerra genera i mondi, la forma dell'arte è la vita. Buonanotte.