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dalla tratta di schiavi alla tratta di migranti
DALLA TRATTA DI SCHIAVI ALLA TRATTA DI MIGRANTI CLANDESTINI.
EGUAGLIANZE E DIVERSITÀ NELLA PREVENZIONE E REPRESSIONE
INTERNAZIONALI DEL TRAFFICO DI ESSERI UMANI
Sommario: 1. La tratta degli schiavi quale delictum juris gentium – 2. La tratta di esseri umani quale
reato transnazionale. La ricerca di una mediazione tra prevenzione, contrasto e tutela dei diritti umani –
3. Segue: la tratta di migranti clandestini quale reato transnazionale. L’obiettivo della protezione delle
frontiere dello Stato – 4. Trade, trafficking e smuggling. Specificità nell’incriminazione da parte degli
strumenti internazionali convenzionali di prevenzione e contrasto – 5. Segue: eguaglianze e diversità
negli obblighi gravanti sugli Stati ai sensi degli strumenti internazionali convenzionali di prevenzione e
contrasto – 6. Le zone d’ombra nella distinzione tra traffico illecito di esseri umani e traffico illecito di
migranti clandestini.
1. LA TRATTA DEGLI SCHIAVI QUALE DELICTUM JURIS GENTIUM
La tratta degli esseri umani non è un fenomeno recente né un fenomeno che solo negli ultimi
decenni ha acquisito, a livello di ordinamento internazionale, una valutazione negativa, la quale ha
portato all’elaborazione ed all’adozione di accordi internazionali volti ad imporre in capo agli Stati
obblighi di prevenzione, repressione ed incriminazione del traffico di essere umani, in tutte le forme che
questo traffico può assumere. Già nel Congresso di Vienna del 1815, infatti, si rinviene l’affermazione
solenne della contrarietà al diritto delle genti ed alla moralità internazionale della tratta degli schiavi1. A
questa affermazione fece seguito l’adozione di numerosi accordi internazionali: il Trattato di Londra del
20 dicembre 1841, sull’eliminazione del commercio di schiavi dall’Africa2, la Convenzione di Bruxelles
del 2 luglio 1890, sulla tratta degli schiavi e l’importazione in Africa di armi, munizioni, e liquori 3, gli
Accordi internazionali di Parigi, rispettivamente del 18 maggio 1904 e del 4 maggio 1910, per
l’eliminazione del traffico delle “bianche”4, e la Convenzione di Ginevra del 25 settembre 1926, sulla
schiavitù5.
Tra questi accordi assume particolare rilievo quello del 1890, con il quale gli Stati parte
vietarono ogni commercio di schiavi da parte dei loro cittadini o tramite navi battenti la propria
bandiera e si riconobbero, a condizione di reciprocità, il diritto di visita alle rispettive navi in
determinate aree di alto mare. Nel caso in cui fosse risultato che la nave era dedita al traffico di schiavi,
questa poteva essere catturata, mentre il comandante e l’equipaggio potevano essere giudicati dai giudici
dello Stato di appartenenza della nave catturata o da quelli dello Stato più vicino e lo schiavo, rifugiatosi
sulla nave da guerra di uno Stato contraente, aveva diritto all’affrancazione. Le parti contraenti, infine,
assumevano anche l’obbligo di inserire nei rispettivi ordinamenti interni alcune misure di carattere
penale volte a rendere effettiva la lotta contro il traffico di schiavi.
Questo accordo si caratterizza, pertanto, per le misure incisive che impone agli Stati al fine della
riduzione e dell’eliminazione del fenomeno della tratta di schiavi ed anzi due di queste misure, la visita
Dichiarazione relativa all’abolizione a livello universale della tratta di schiavi (Congresso di Vienna, atto XV, 8 febbraio
1815, 2 Martens Nouveau Recueil, pp. 432 ss. e Bassiouni CH. (ed.), International Criminal Law Conventions and Their Penal
Provisions, Irvington-on-Hudson (NY), 1997, pp. 639 ss. Per commenti, Saulle M.R., Voce: Schiavitù (dir. internaz.), in
Enciclopedia del diritto, XLI, pp. 641 ss., in particolare, p. 643.
2 Testo in 2 Martens Nouveau Recueil (ser. 1), pp. 392 ss. e Bassiouni Ch. (ed.), International Criminal Law Convention, cit., pp. 641
ss..
3 Testo in 17 Martens Nouveau Recueil (ser. 2), pp. 345 ss. e Bassiouni Ch. (ed.), International Criminal Law Conventions, cit., pp.
648 ss..
4 Testi rispettivamente in 1 L.N.T.S., pp. 83 ss. e Bassiouni CH. (ed.), International Criminal Law Conventions, cit., pp. 659 ss. ed
in 7 Martens Nouveau Recueil (ser. 3), pp. 252 ss. e I D. (ed.), International Criminal Law Conventions, cit., pp. 663 ss.. Anche il
Trattato di pace di Saint Germain, si occupò della materia, nel suo art. 373, che impone alle parti contraenti l’obbligo
reciproco di conformarsi agli atti relativi al divieto della schiavitù in tutte le sue forme e della tratta per terra e per mare.
5 Testo in 60 L.N.T.S., p. 253, e 19 Martens Nouveau Recueil (ser. 3), p. 303 e Bassiouni Ch. (ed.), International Criminal Law
Convention, cit., pp. 674 ss..
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ed il fermo di navi straniere in alto mare, costituirono un’importante deroga ad una delle norme
consuetudinarie classiche del diritto internazionale del mare, quella sulla sottoposizione, in conseguenza
della libertà di navigazione in alto mare, delle navi solo alla sovranità dello Stato della bandiera, fatto
salvo il caso della nave pirata. Oggi la possibilità del fermo di navi dedite alla tratta di schiavi è sancita
da una norma consuetudinaria – codificata nell’art. 22, paragrafo 1, lett. b) della Convenzione di
Ginevra sull’alto mare, 110, paragrafo 1, lett. b) della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto
internazionale del mare del 1982 – che però non arriva ad ammettere, come avviene, invece, per la
pirateria, la possibilità del sequestro della nave dedita alla tratta di schiavi 6. A ciò si aggiunga che ha
assunto portata consuetudinaria anche la previsione, di cui alla Convenzione del 1890, del diritto alla
libertà ipso facto per ogni schiavo che si sia rifugiato a bordo di un’altra nave, quale che sia la sua
bandiera7.
Si consideri anche il rilievo dell’ampliamento, anche se limitato al riferimento allo Stato più
vicino all’area del fermo, dell’ambito della giurisdizione penale statale. In altri termini, si prevede un
criterio di collegamento nuovo, svincolato da ogni tipo di coinvolgimento materiale rispetto al reato
(luogo del fatto, autore del fatto o vittima del fatto), che, pur non giungendo all’idea dell’universalità
della giurisdizione, è finalizzato a rendere maggiormente effettiva la repressione del traffico di schiavi.
Dunque, con riferimento alla tratta degli schiavi, la reazione della Comunità internazionale si
sviluppa attraverso la previsione, prima soltanto a livello convenzionale, poi, sotto molti profili, anche a
livello consuetudinario, di un fascio di obblighi di diversa portata e natura a carico degli Stati, che dà
vita ad una sorta di tutela “rafforzata”. In particolare, all’obbligo di base di adozione di tutte le misure
legislative o di altro genere per abolire il traffico degli schiavi e della schiavitù in tutte le sue forme,
seguono, innanzitutto, l’obbligo di incriminazione nei rispettivi ordinamenti interni di quei
comportamenti che non solo si concretizzano nel traffico di schiavi ma anche in una serie di condotte
correlate, consistenti in lesioni alla persona od in diverse privazioni del diritto alla libertà personale; in
secondo luogo, l’obbligo di predisporre forme di cooperazione interstatale in materia penale al fine di
garantire l’effettività della repressione, che arriva a comprendere anche il diritto di visita.
Questa tutela rafforzata porta alla qualificazione giuridica della riduzione in schiavitù, della tratta
di schiavi e degli altri comportamenti analoghi quali delicta juris gentium. Non si è pertanto in presenza di
reati transnazionali, caratterizzati dallo svolgersi negli ambiti di sovranità o di gi urisdizione di diversi
Stati così da ledere l’ordine pubblico di tali diversi Stati e da spingerli alla conclusione di accordi
internazionali volti al coordinamento dei rispettivi sforzi al fine del raggiungimento di un effettivo
contrasto di questi illeciti. Bensì si è in presenza di comportamenti oramai incriminati dal diritto
consuetudinario, in quanto fortemente lesivi dei diritti umani, primi fra tutti, il diritto all’integrità
personale ed il diritto alla libertà personale. Anche se è al riguardo da rilevare che per i delicta juris gentium
non si arriva, come per i crimina juris gentium, alla previsione del principio della giurisdizione universale
né a livello convenzionale né a livello consuetudinario. Ciò avviene soltanto per la riduzione in schiavitù
la quale, ai sensi dell’art. 7, paragrafo 1, lettera c) dello Statuto di Roma istitutivo della Corte Penale
Internazionale, costituisce un crimine contro l’umanità se inserita nel quadro di un attacco generalizzato
o sistematico contro una popolazione civile e se vi è la conoscenza di questo attacco.
Ma vi è di più, alla luce dell’evoluzione della tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, con
riferimento alla reazione della Comunità internazionale intera contro le violazioni massicce e
generalizzate di questi diritti, può concludersi nel senso che la riduzione in schiavitù, la tratta di schiavi e
Ogni Stato, infatti, è obbligato ad adottare misure effettive per prevenire e punire il trasporto di schiavi sulle navi
autorizzate ad issare la sua bandiera e a prevenire l’uso illegittimo della sua bandiera allo stesso scopo. Nel caso in cui la nave
da guerra abbia il ragionevole sospetto che la nave mercantile sia impegnata nel traffico di schiavi può procedere a verificare
il diritto della nave ad issare la sua bandiera e a tale scopo può inviare un battello sotto il comando di un ufficiale verso la
nave sospetta. Se i sospetti rimangono dopo il controllo dei documenti, si può procedere ad un ulteriore controllo a bordo
della nave che deve essere condotto secondo tutte le possibili precauzioni. Qualora la visita abbia esito negativo, la nave
deve essere indennizzata di ogni danno o perdita subiti. La norma in esame, però, non dice quali saranno le conseguenze
della visita, nel caso in cui essa abbia esito positivo. La visita infatti attribuisce soltanto poteri di accertamento e non di
punizione. Questi saranno rimessi alla legge interna dello Stato di bandiera, sempre che questo non autorizzi ad hoc lo Stato
di ispezione od eventualmente altro Stato a reprimere la condotta penalmente rilevante della tratta di schiavi.
7 In tal senso anche gli artt. 14 e 99, rispettivamente della Convenzione del 1958 e della Convenzione del 1982. In materia v.
Leanza U. – Sico L., La sovranità territoriale. Il mare, Torino, 2001, pp. 77 ss..
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gli altri comportamenti correlati siano incriminati da una norma consuetudinaria cogente, ossia da una
norma accettata e riconosciuta come tale da tutta la Comunità internazionale nella sua globalità. E lo
stesso movimento ininterrotto ed universale verso la repressione della schiavitù costituisce la prova più
evidente di questa accettazione e di questo riconoscimento.
A partire dalla seconda guerra mondiale l’ottica del diritto internazionale convenzionale in
materia si allarga. Sulla base degli esistenti obblighi interstatali, oramai consuetudinari, di prevenire e
reprimere la tratta degli schiavi, anche consistenti nell’incriminazione del comportamento nei rispettivi
ordinamenti interni, il diritto internazionale convenzionale, nel ribadire detti obblighi, si occupa meno
del “traffico” in quanto tale e più della tutela dell’essere umano “dalla schiavitù”, sotto la spinta delle
Nazioni Unite, della riconosciuta centralità della persona umana anche a livello di ordinamento
internazionale, proprio per arrivare ad una protezione effettiva dei diritti umani.
In questo contesto, si inseriscono la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 10
dicembre 1948 che, all’art. 4, stabilisce che nessun individuo può essere tenuto in schiavitù e ribadisce il
divieto della tratta di schiavi e della schiavitù; il Patto sui diritti civili e politici del 19 dicembre 1966, in
cui le condotte vietate si allargano a comprendere non soltanto la schiavitù e la tratta, ma anche il tenere
qualcuno in stato di servitù, ossia la costrizione ad un lavoro forzato od obbligatorio (art. 8); e gli
accordi regionali in materia di tutela dei diritti umani che contengono disposizioni analoghe8.
2. LA
TRATTA DI ESSERI UMANI QUALE REATO TRANSNAZIONALE. LA RICERCA DI UNA
MEDIAZIONE TRA PREVENZIONE , CONTRASTO E TUTELA DEI DIRITTI UMANI
Allo stesso tempo il diritto internazionale convenzionale inizia ad occuparsi anche di altre
condotte analoghe alla tratta di schiavi. Ciò alla luce della circostanza che alla progressiva diminuzione
del traffico di schiavi, iniziata a partire dai primi del novecento, faceva riscontro un aumento di
comportamenti correlati o di nuovi comportamenti analoghi cui non era estensivamente applicabile la
normativa internazionale esistente così come, sovente, quella interna9. Tra questi nuovi comportamenti
rientrano la tratta di esseri umani, soprattutto donne e bambini, spesso a scopi di sfruttamento sessuale
– che costituisce oggi una vera e propria forma di “moderna schiavitù” – ed il traffico di migranti
clandestini10.
Così, già a partire dai primi anni del secolo scorso, vennero adottate la Convenzione
internazionale di Parigi del 18 maggio 1904, per l’eliminazione della tratta delle bianche e la
Convenzione internazionale di Parigi del 4 maggio 1910, per l’eliminazione del traffico di donne
bianche, entrambe poi modificate da due protocolli firmati a Lake Success il 4 maggio 1949 in ambito
Nazioni Unite11. Successivamente fu la Società delle Nazioni a farsi promotrice di accordi in materia,
quali la Convenzione internazionale di Ginevra, del 30 settembre 1921, sull’eliminazione del traffico di
donne e bambini, poi modificata dal Protocollo firmato a Lake Success il 12 novembre 1947 in ambito
Nazioni Unite12; la Convenzione di Ginevra dell’11 ottobre 1933, sull’eliminazione della tratta di donne
adulte, anch’essa modificata il 12 novembre 1947 con un protocollo firmato a Lake Success13.
Tra tutte, v. la Convenzione di Roma del 4 novembre 1950 sulla salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali
che, all’art. 4, vieta la schiavitù ed i lavori forzati e la Convenzione interamericana sui diritti umani, di San José de Costa Rica
del 22 novembre 1966, che, all’art. 6, sancisce la libertà dalla schiavitù. Si consideri, a livello settoriale, anche l’impegno
dell’Organizzazione internazionale del lavoro per eliminare lo sfruttamento degli esseri umani, dei migranti a partire dalla
Convenzione del 25 giugno 1957 n. 105sull’abolizione del lavoro forzato.
9 Osserva al riguardo Bassiouni (International Law Conventions, cit., p. 638) che “(…) the reason for this is that the commonly
shared values of the international community have coalesced and concurred with the political will of states to produce the
type of national and international action that resulted in this outcome. Probably no other category of international crime has
witnessed such a positive outcome, though much remains to be done in preventing related and similar practices”.
10 Il governo degli Stati Uniti reputa che annualmente siano oggetto di traffico illecito circa uno-due milioni di donne e
bambini.
11 Testi rispettivamente in 92 U.N.T.S., pp. 19 ss., e Bassiouni CH. (ed.), International Criminal Law Conventions, cit., pp. 699 ss.
e 702 ss. e 98 U.N.T.S., pp. 101 ss..
12 Testo in 53 U.N.T.S., pp. 13 ss. e Bassiouni CH. (ed.), International Criminal Law Conventions, cit., pp. 671 ss. e pp. 687 ss..
13 Testo in Ibid. e Bassiouni CH. (ed.) International Criminal Law Conventions, cit., pp.683 ss. e 687 ss..
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Infine le Nazioni Unite, oltre a favorire gli aggiornamenti e le modifiche degli accordi appena
citati, hanno operato per l’adozione di ulteriori strumenti convenzionali per fronteggiare le nuove forme
di schiavitù, ossia la Convenzione di Lake Success del 21 marzo 1950, sull’eliminazione del traffico di
persone a scopo di prostituzione14; la Convenzione supplementare di Ginevra del 7 settembre 1956,
sull’abolizione della schiavitù, il commercio di schiavi ed istituti e pratiche simili alla schiavitù15; il
Protocollo alla Convenzione contro il crimine organizzato transnazionale di Palermo, sulla prevenzione,
eliminazione e punizione del traffico di esseri umani, soprattutto donne e bambini del 15 novembre
2000, aperto alla firma a Palermo, unitamente alla Convenzione ed al Protocollo contro il traffico di
migranti, dal 12 al 15 dicembre 200016.
A questo vasto panorama di strumenti convenzionali si devono aggiungere la Convenzione delle
Nazioni Unite del 18 settembre 1979, sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le
donne, che ribadisce l’obbligo di eliminazione del traffico delle donne così come il loro sfruttamento
come prostitute (art. 6) e la Convenzione delle Nazioni Unite del 20 novembre 1989, sui diritti del
fanciullo che, all’art. 35, impone agli Stati parte di prevenire la sottrazione, la vendita od il traffico di
bambini per ogni scopo ed in ogni forma 17.
In linea di massima, gli accordi in tema di eliminazione della tratta di esseri umani presentano un
approccio diverso rispetto agli accordi in tema di traffico di schiavi. Essi, infatti, si presentano come
tipici accordi di cooperazione penale transnazionale che impongono l’obbligo in capo agli Stati di
prevenire e reprimere un determinato comportamento, che viene anche qualificato come illecito penale
grave, per il quale viene richiesta una punizione incisiva, e di procedere secondo i tipici canali della
cooperazione giudiziaria ad una efficace soppressione di detto comportamento nel pieno rispetto delle
rispettive sfere di giurisdizione penale statale. Si è dunque in presenza di reati transnazionali la cui
repressione può efficacemente prodursi soltanto se gli Stati coinvolti cooperano fra di loro e che spesso,
per le caratteristiche specifiche dagli stessi assunti, richiedono modalità particolari di cooperazione.
In particolare, il Protocollo di Palermo del 2000 si caratterizza per l’obbligo di incriminare il
traffico di esseri umani (art. 5); per prevedere un’ampia protezione delle persone oggetto del traffico, la
quale può, tra l’altro, concretizzarsi nella protezione della loro privacy; nella informativa alle stesse circa
gli strumenti nazionali giudiziari di tutela e la conseguente assistenza nel ricorso a tali strumenti; nella
predisposizione di misure per il loro recupero fisico, psicologico e sociale; e nella concessione di
permessi temporanei o permanenti di residenza e nella valutazione del loro status sotto un profilo
umanitario (artt. 6 e 7); per l’assunzione dell’obbligo da parte degli Stati di accettare il rientro dei propri
cittadini e dei residenti permanenti senza ritardo (art. 8); e per la predisposizione di specifici strumenti
amministrativi e tecnici di cooperazione interstatale, che vanno dai programmi volti alla prevenzione al
rafforzamento e perfezionamento della sicurezza e dei controlli alle frontiere (artt. 10 – 13).
Interessante, infine, è la clausola di salvaguardia, di cui all’art. 14, per cui nessuna disposizione del
Protocollo avrà effetto sui diritti ed obblighi ai sensi del diritto internazionale, in particolare, quelli
derivanti dalla Convenzione di Ginevra del 1951, sui rifugiati, e dal relativo Protocollo del 1967 e
nessuna misura prevista sarà applicata in modo discriminatorio.
Essendosi dunque in presenza di un reato transnazionale e di strumenti di cooperazione di
diritto penale internazionale, appare evidente come, salvo che non si riesca, con un’interpretazione
estensiva della fattispecie della tratta di schiavi, a ricomprendervi gli ultimi comportamenti, la fonte
giuridica della repressione della tratta di essere umani, non può che essere convenzionale, con i
conseguenti limiti di efficacia soggettiva e con l’impossibilità di rafforzare la tutela contro queste
violazioni del diritto internazionale, analogamente a quanto è avvenuto per le altre gross violations dei
diritti umani di natura cogente, tra cui il delictum juris gentium della tratta degli schiavi.
Come è noto anche l’Unione Europea ha adottato misure vincolanti sul fronte della lotta al
traffico degli esseri umani: si tratta della decisione-quadro del 19 luglio 2002 n. 2002/629/GAI del
Testo in 96 U.N.T.S., pp. 271 ss. e Bassiouni CH. (ed.), International Criminal Law Conventions, cit., pp.706 ss..
V. 182 U.N.T.S., pp. 51 ss. e Bassiouni CH. (ed), International Criminal Law Conventions, cit., pp. 711 ss..
16 V. Centre for International Crime Prevention, United Nations Convention against Transnational Organized Crime and the Protocols
thereto, New York, 2002.
17 Testi rispettivamente in 1249 U.N.T.S., pp. 13 ss. e U.N.G.A. Official Records 44th sess., Suppl. n. 49 del 1990.
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Consiglio, sulla lotta alla tratta di esseri umani, che contiene disposizioni relative ai comportamenti
incriminati ed alle questioni giudiziarie orizzontali18. Questo strumento, tenuto conto del contesto
regionale in cui è stato adottato, caratterizzato da un alto livello di integrazione e di sviluppo giuridico,
si qualifica per l’obiettivo della fissazione di norme minime relative agli elementi costituitivi dei reati di
tratta di esseri umani. Ancora, la decisione-quadro fissa una serie di criteri (principio di territorialità,
principio della personalità attiva e principio della commissione del reato a beneficio di una persona
giuridica avente la sede nel territorio di uno Stato membro) che conferiscono alle autorità giudiziarie e
di polizia nazionali la giurisdizione e la competenza per perseguire e giudicare i reati contemplati, pur
riconoscendo le specificità nazionali quanto ad esercizio dell’azione penale ed estradizione e nel
contempo rafforza la cooperazione penale tra Stati membri. Infine, tenuto conto dell’oggetto di tali
condotte, particolare rilievo viene dato all’assistenza delle vittime della tratta19. Dunque, risultano
superati i limiti degli strumenti convenzionali di cooperazione interstatale in materia penale nel senso di
un maggiore sforzo di armonizzazione.
3. SEGUE: LA TRATTA DI MIGRAN TI CLANDESTINI QUALE REATO
L’OBIETTIVO DELLA PROTEZIONE DELLE FRONTIERE DELLO STATO
TRANSNAZIONAL E.
Le migrazioni non sono un fenomeno recente, la storia degli uomini, infatti, si è sviluppata
attraverso gli spostamenti, spesso massicci e traumatici di esseri umani. Negli ultimi decenni, però,
questo fenomeno, per una serie di fattori, ampiamente illustrati nella prima sessione di questo
Convegno, ha assunto una nuova e più globale dimensione ed è divenuto oggetto di interesse per la
criminalità organizzata che ha trovato una ricca fonte di reddito proprio nel traffico illecito di migranti
clandestini, che coinvolge circa 800.000 clandestini l’anno20.
Questa situazione ha reso necessaria l’elaborazione di strumenti giuridici che permettano alle
autorità di polizia ed alle autorità giudiziarie degli Stati coinvolti in questo traffico illecito di cooperare
su basi globali per la prevenzione e la repressione di tale fenomeno che, proprio grazie alle differenze
tra ordinamenti giuridici quanto all’incriminazione ed alle sanzioni ed all’assenza di meccanismi
cooperativi, trovano una fonte di impunità e di conseguente rafforzamento. A riprova di ciò basti
pensare all’estrema flessibilità del traffico illecito di migranti clandestini come risposta alle misure
normative adottate unilateralmente o bilateralmente dagli Stati, che cambia le sue rotte per garantirsi la
sopravvivenza e che, per ridurre i rischi e maggiorare i profitti, aumenta il numero dei trasportati con
uno stesso viaggio21.
La risposta a livello di ordinamento internazionale al fenomeno del traffico illecito di migranti
clandestini è consistita, come è emerso dalla relazione del Professor Sico, nell’adozione del Protocollo
di Palermo sul traffico illecito di migranti clandestini che contiene meccanismi “ordinari”, sia pure
adattati alle particolarità del caso di specie, di cooperazione tra Stati, seguendo dunque il modello tipico
degli accordi di diritto penale internazionale.
Esso infatti impone agli Stati parte, innanzitutto, l’obbligo di incriminare i comportamenti
consistenti nel traffico di migranti ed i comportamenti ausiliari a questo reato e di tenere conto nella
In G.U. L 203 dell'1 agosto 2002.
Nel contesto dell’Unione Europea si possono anche ricordare i programmi d'incentivazione e di scambi STOP I e II, il
programma DAPHNE ed il Programma-quadro AGIS. E’ stato anche costituito il gruppo di esperti sulla tratta di esseri
umani (Decisione 2003/209/CE del 26 marzo 2003), chiamato a fornire in materia pareri alla Commissione europea.
20 V. e Bhabha J., Trafficking, Smuggling, and Human Beings, in Migration Information Source, March 1, 2005
(www.migrationinformation.org/ ) e Finckenauer J. O. (Migration and Organized: the Russian Connection, in Migration and Crime,
Proceedings of the International Conference on ‘Migration and Crime. Global Regional Problems and Responses’, Courmayeur, 5-8 Oct ober
1996, Milan, 1998, pp. 155 ss.) secondo il quale “(…) there can be organized crimes (alien smuggling being one possible
example) without there being organized crime. ‘Crime that is organized’ is characterized by the coordinated activity of a
number of actors. (…). Crime that is organized may also operate for long periods of time, as i the case of monopolization of
licit areas of the economy and long-term frauds. Once a venture is completed, however, the organized structure created to
carry it out may dissolve. In contrast, organized crime structures continue to exist outside of the specific criminal
undertaking or criminal opportunity. Organized crime involves coordination of a number of separate criminals activities in
different areas of criminal endeavor, whereas crime that is organized is usually focused on a single area”.
21 Per le rotte tipiche del traffico illecito di migranti clandestini v., tra gli altri, il sito dell’Interpol, www.interpol.int.
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determinazione delle sanzioni anche di determinate circostanze aggravanti (art. 6). Importante è al
riguardo la previsione di escludere ogni responsabilità penale di coloro che sono oggetto del traffico
illecito (art. 5).
Ai sensi del Protocollo in esame, gli Stati assumono poi l’obbligo di cooperare per prevenire e
sopprimere la tratta di migranti con il ricorso a strumenti di cooperazione tipici (artt. 10 – 15), tra cui lo
scambio di informazioni, il rafforzamento dei controlli alle frontiere, l’adozione di misure volte ad
assicurare che i titoli di viaggio non siano facilmente falsificati od alterati, duplicati, etc., od illegalmente
emessi, la cooperazione tecnica e la formazione delle forze impegnate nel contrasto al traffico illecito di
migranti clandestini. Una particolare forma di cooperazione è inoltre contemplata dall’art. 7 con
riferimento al contrasto del traffico illecito di migranti clandestini via mare, consistente in un
meccanismo di richiesta di assistenza ed in un meccanismo rapido di autorizzazione al fermo ed alla
visita della nave da parte della nave militare di un altro Stato rispetto alla quale vi sia il ragionevole
sospetto che sia impegnata nel traffico illecito di migranti. Tali misure sono accompagnate da obblighi
di protezione ed assistenza nei confronti dei migranti (art. 16) che si dettagliano in modo specifico, vista
la necessità di garantire la sicurezza della vita umana in mare.
Infine, il Protocollo contiene una clausola di salvaguardia analoga a quella di cui al Protocollo
sul traffico di esseri umani ed un obbligo a carico degli Stati di facilitare ed accettare il ritorno delle
persone oggetto del traffico illecito in esame (art. 18)22.
Pertanto, il traffico illecito di migranti clandestini si configura, alla luce del Protocollo del 2000,
come un reato tipicamente transnazionale, per la cui prevenzione e contrasto l’unico strumento efficace
è la cooperazione giudiziaria interstatale. Esso, tuttavia, rispetto alla tratta di esseri umani si è
progressivamente e globalmente espanso tanto da dare anche luogo ad una forma generalizzata di
violazione dei diritti umani e da essere divenuto esso stesso (in se stesso) una violazione dei diritti
umani. E’ poi anche da considerare che spesso questo traffico illegale ha ad oggetto non migranti che
sfuggono dalla povertà estrema dei loro paesi di origine ma persone che in questi Paesi sono sottoposte
a discriminazioni e persecuzioni in ragione di specifiche situazioni politiche, religiose od etniche;
persone quindi che sfuggono a sistematiche violazioni dei loro diritti umani per le quali l’asilo all’estero
è l’ultima soluzione quando tutti gli altri mezzi di protezione dei diritti umani sono stati esperiti senza
successo23.
4. TRADE,
TRAFFICKING E SMUGGLING . SPECIFICITÀ NELL’INCRIMINAZIONE DA PARTE
DEGLI STRUMENTI INTERNAZIONALI CONVENZIONALI DI PREVENZIONE E CONTRASTO
Per i reati transnazionali del traffico di esseri umani, in misura maggiore, e del traffico di
migranti clandestini, in misura minore, il sistema internazionale di repressione della tratta di schiavi
costituisce sicuramente un parametro di tutela effettiva e rafforzata che è auspicabile possa essere
autonomamente raggiunto ed al quale può farsi riferimento, in via analogica o di interpretazione
estensiva, al fine di potenziare la tutela contro la tratta di migranti clandestini, là dove le fattispecie
Al Protocollo sul traffico illecito di migranti clandestini, così come al Protocollo sulla tratta di esseri umani, si estende,
mutatis mutandis, l’applicazione della Convenzione di Palermo che, in linea generale, impone agli Stati contraenti diversi
obblighi, da quello di incriminare i reati indicati, a quelli di attuare le misure di prevenzione, di attivare meccanismi di tutela
delle vittime e dei testimoni, di predisporre un più efficace sistema di cooperazione al fine di individuare e processare e
punire i responsabili, a quello, infine, di promuovere o rafforzare programmi di sviluppo e cooperazione a livello nazionale,
regionale ed internazionale, rivolgendo una particolare attenzione alle zone economicamente e socialmente depresse, al fine
di combattere la povertà ed il sottosviluppo che favoriscono la tratta degli esseri umani. Si rinvia in materia a Saulle M.R.,
Trasporto illecito di migranti, crimine organizzato ed applicazione delle normative, in Affari Sociali Internazionali, 2000, 3, pp. 21 ss. e
Mucci F., La cooperazione internazionale multilaterale, in AAVV, Il controllo dei traffici migratori illeciti nel mare Mediterraneo, Roma,
2003, pp. 112 ss., in particolare, pp. 119 ss..
23 V. Harding J., The Uninvited: Refugees at the Rich Man’s Gate, London, 2000, che osserva come: “Human traffickers are simply
vectors of the contempt which exists at the two poles of the asylum seeker’s journey; they take their cue from the attitude of
warlords and dictators, on the one hand, and, on the other, of wealthy states whose citizens have come to see generosity as a
vice”.
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concrete presentino elementi tali da poter essere ricondotte anche alla fattispecie astratta della tratta
degli schiavi.
Per questi motivi è molto importante chiarire le definizioni di tratta di schiavi, tratta di esseri
umani e traffico di migranti clandestini al fine di cogliere le divergenze e le convergenze tra queste
fattispecie e le prospettive interpretative anche al fine di una maggiore effettività della disciplina, alla
luce dei profili di convergenza e di divergenza tra le fattispecie che concretano la categoria generale del
traffico di esseri umani.
Preliminarmente è interessante porre a confronto, da un punto di vista squisitamente semantico,
i termini di trade, trafficking e smuggling, che nella versione inglese degli accordi in materia, forniscono
all’interprete un primo ausilio, nella ricerca delle diversità e similitudini tra queste tre categorie di reati,
rispetto, soprattutto, al mutamento di attitudine della Comunità internazionale con riferimento al
traffico degli esseri umani.
Così, se per la tratta degli schiavi, viene utilizzato il termine neutro di trade che indica, nella sua
materialità e senza valutazioni negative, il commercio dello schiavo quale bene avente un valore
economico ed un mercato, per la tratta di esseri umani, emerge, con il ricorso all’espressione di
trafficking, l’elemento negativo dell’illegalità del commercio, in quanto avente ad oggetto un essere
umano e che si concretizza nella violazione di diritti umani, mentre, infine, per la tratta di migranti, il
termine smuggling sottolinea soltanto l’illiceità dell’ingresso, in violazione delle norme di immigrazione
dello Stato ricevente, anche sulla base, come si vedrà, del concorso del migrante nella condotta illecita.
Quanto alla tratta di schiavi, è nella Convenzione di Ginevra del 1926, all’art. I, che si rinviene
sia una dettagliata definizione di schiavitù, quale “(…) status or condition of a person over whom any
or all of the powers attaching to the right of ownership are exercised”, sia una chiara definizione di
tratta di schiavi, che comprende: “all acts involved in the capture, acquisition or disposal of a person
with intent to reduce him to slavery; all acts involved in the acquisition of a slave with a view to selling
or exchanging him; all acts of disposal by sale or exchange of a slave acquired with a view to being sold
or exchanged, and, in general, every act of trade or transport in slaves”.
Da questa definizione emergono gli elementi caratteristici della tratta degli schiavi; la condotta
incriminata è abbastanza ampia e generica e comprende fattispecie delittuose diverse, ossia tutti i
comportamenti direttamente od indirettamente connessi alla riduzione in schiavitù, tra i quali rientra
anche il commercio ed il trasporto degli schiavi, quali figure a condotta plurima, diversamente dalla
cattura, l’alienazione e l’acquisto.
L’elemento soggettivo consiste in un atteggiamento doloso specifico, poiché deve essere volto al
raggiungimento dell’obiettivo di determinare una situazione di possesso di un uomo e l’esercizio da
parte del possessore, sopra quest’uomo, di tutti o di alcuni attributi della proprietà. Evidentemente, la
mancanza di detto obiettivo non permette di qualificare un determinato comportamento quale schiavitù
ma, ad esempio, quale traffico di esseri umani o, nel caso in cui sussista il consenso del soggetto ad
essere trasportato ed essere fatto illegalmente entrare in uno Stato straniero, il traffico di migranti
clandestini. Diversamente lo scopo di guadagno non è un elemento costitutivo imprescindibile del
reato, se non per quelle condotte consistenti nella vendita od in atti analoghi sullo schiavo.
La norma tace infine – ovviamente – circa il consenso della vittima, trattandosi di un reato nel
quale l’assenza di questo consenso è presunto; tuttavia, oggi, che viene incriminato il traffico illecito di
migranti, la valutazione della sussistenza del consenso risulta molto importante per qualificare il
trasporto dell’essere umano come traffico di migranti clandestini o come tratta di schiavi.
Infine, assolutamente irrilevante ai fini della sussistenza del reato è l’elemento della
transnazionalità della condotta. Ciò determina, soprattutto sul fronte delle condotte plurime del
commercio e della tratta, che queste siano perseguibili ai sensi della Convenzione – oramai, come si è
anticipato, divenuta a portata consuetudinaria – anche quando abbiano avuto ruolo all’interno delle
frontiere di uno stesso Stato.
Quanto al traffico di essere umani, nonostante si tratti di un comportamento incriminato, come
si è visto, a partire dalla fine dell’ottocento, soltanto il Protocollo delle Nazioni Unite del 2000 arriva a
fornirne una definizione ampia e nel contempo dettagliata. Infatti, negli accordi in materia sopra citati,
nella maggior parte dei casi manca ogni definizione o questa riguarda la tratta delle bianche a fini di
7
prostituzione od analoghi24. Il Protocollo definisce, all’art. 2, lettera a), il trafficking in persons come il
“(…) recruitment, transportation, transfer, harbouring or receipt of persons, by means of the threat or
use of force or other forms of coercion, of abduction, of fraud, of deception, of the abuse of power or
of position of vulnerability or of the giving or receiving of payments or benefits to achieve the consent
of a person having control over another person, for the purpose of exploitation. Exploitation shall
include, at a minimum, the exploitation, forced labour or services, slavery or practices similar to slavery,
servitude or removal of organs”. La disposizione è completata dalla previsione dell’irrilevanza del
consenso della vittima, quando quest’ultima è divenuta oggetto del traffico a seguito di violenza o di
altri metodi di coercizione appena citati; dall’allargamento della definizione di traffico di esseri umani
con riferimento ai minori (coloro aventi un’età minore di diciotto anni) anche alle ipotesi di non utilizzo
di violenza o di altri mezzi di coercizione.
Si tratta di una definizione molto ampia e volutamente anche vaga, nei limiti, comunque, del
rispetto del principio di legalità, al fine di poter arrivare a coprire tutte le forme, spesso nuove e
mutevoli, che assume il traffico di esseri umani ed al fine di lasciare agli Stati nell’incriminazione di tali
azioni nei rispettivi ordinamenti penali nazionali un margine di discrezionalità. In altri termini, viene
fissato uno standard minimo della fattispecie astratta che gli Stati possono superare. D’altronde, all’art.
34, paragrafo 3, della Convenzione quadro di Palermo è espressamente sancita la possibilità per gli Stati
parte di adottare “(…) more strict or severe measures than those provided for by this Convention for
preventing and combating transnational organized crime”.
Il traffico di esseri umani è qualificabile come una fattispecie delittuosa complementare alla
tratta di schiavi, più ampia di quest’ultima, quasi in un rapporto di genus ad speciem, volta a reprimere,
dopo l’universale abolizione della schiavitù, dei comportamenti di “quasi schiavitù”. Questo reato è
caratterizzato dai seguenti elementi: l’obiettivo cui esso tende: lo sfruttamento di un altro essere umano
ed in tal senso esso è un tipico reato contro la persona; le modalità con cui si intende raggiungere
questo obiettivo, consistenti nel ricorso alla coazione fisica o morale dell’individuo da sfruttare o di
coloro che ne hanno il controllo legale o sociale e dunque il controllo sulla vittima; l’assenza del
consenso da parte della vittima; l’ampiezza della condotta che non comprende soltanto la tratta in sé ma
anche comportamenti preparatori o complementari o successivi e la sua transnazionalità25.
Tutti questi elementi sollevano difficoltà interpretative. Si pensi al concetto di sfruttamento. Ed,
infatti, nell’elaborazione del testo non si è giunti ad una definizione di sfruttamento ma ad una
esemplificazione di tipologie di sfruttamento, lasciando agli Stati, in sede di recepimento, ampia
discrezionalità a partire da un livello minimo. Non è poi necessario che l’obiettivo dello sfruttamento sia
raggiunto, visto che il Protocollo prevede l’incriminazione del tentativo e del concorso nel traffico
illecito di esseri umani.
E’ in ogni modo importante sottolineare che le modalità dello sfruttamento là dove determinino
una sorta di soggezione assoluta allo sfruttatore determinano, in effetti, una forma di schiavitù con il
problema, sia a livello di diritto internazionale sia di ordinamento interno, del coordinamento tra norme
sulla repressione della riduzione in schiavitù e la tratta degli schiavi e norme sulla repressione del
traffico di esseri umani26.
E’ questo il caso dell’art. I della Convenzione del 1910 sulla tratta delle bianche, ai sensi del quale: “Doit être puni
quiconque, pour satisfaire les passions d’autrui, a embauché, entraîné ou détourné, même avec son consentement, une
femme ou une fille mineure, en vue de la débauche, alors même que les divers actes qui sont les éléments constitutifs de
l’infraction auraient été accomplis dans des pays différentes”. Identica disposizione è rinvenibile nell’art. 1 della
Convenzione del 1933 sull’eliminazione del traffico di donne maggiori di età. La Convenzione poi sui diritti del fanciullo si
limita a distinguere la tratta di minori (traffick), caratterizzata dallo scopo dello sfruttamento del minore dalla sottrazione di
minori e conseguente espatrio illecito ad opera di un genitore (abduction).
25 Si pensi al caso della vendita da un gruppo criminale ad un altro della vittima dello sfruttamento. Sul punto Bhabha J., op.
cit., osserva come: “This definition of coercion is expansive, reflecting perhaps the concerted input and interest of the
human rights and feminist lobbies in the drafting of this protocol”, mentre l’individuazione dell’abuso “(…) may be as much
a question of assessing the market or ‘going’ rate for pricing a particular migration service as of characterizing a personal
interaction”.
26 L’art. 5 al paragrafo 2, incrimina oltre al tentativo ed al concorso anche l’organizzazione e direzione di altri soggetti poi
materialmente impegnati nella commissione della fattispecie criminosa.
24
8
Particolarmente delicata è anche la valutazione dell’assenza del consenso da parte della vittima,
consenso che è da reputarsi inesistente per il solo fatto che vi sia stato da parte dell’autore del traffico
un comportamento coercitivo, un abuso di potere, l’utilizzo di un mezzo fraudolento od ingannatorio,
o che la vittima versi in condizioni di vulnerabilità. Con quest’ultima espressione, di compromesso, si
intende fare riferimento a tutte le condizioni di fattuale inferiorità del soggetto, discendente da fattori
psichici, ma anche socio-economici tali da viziare il consenso. Quest’ultimo è viziato anche dal ricorso
al pagamento di denaro od alla concessione di benefici economici, quali mezzi idonei ad ottenere il
consenso a prelevare la vittima da chi ne ha il controllo. A completamento poi delle ipotesi di assenza o
di vizio del consenso, vi è l’irrilevanza dello stesso qualora emesso da minori di 18 anni. Da quanto
precede, emerge che il traffico illecito di minori per essere incriminato non richiede alcun metodo
violento, intimidatorio o fraudolento o di abuso e dunque appare più facilmente provabile.
La sussistenza o meno del consenso, inoltre, deve essere valutata globalmente, ossia nel corso
dell’intera vicenda. Si è così cercato di evitare che la presenza di un iniziale consenso da parte della
vittima, dovuto ad ignoranza o ad inganno circa la portata della proposta, possa determinare
l’insussistenza della fattispecie criminosa.
Anche la nozione di transnazionalità della tratta solleva dubbi interpretativi. Se la
transnazionalità della condotta non è, da un punto strettamente materiale, elemento costitutivo del reato
che, quindi, può essere posto in essere in tutte le sue componenti anche all’interno delle frontiere di un
unico Stato, tuttavia, dal punto di vista dell’applicazione del Protocollo, la stessa è un elemento
imprescindibile, come è sancito dall’art. 4, anche perché collegato al coinvolgimento di organizzazioni
criminali; il ché potrebbe limitare l’effettività del Protocollo in tutti i casi in cui non sia possibile provare
che il reato è stato commesso in più Stati o la partecipazione diretta od indiretta dell’organizzazione
criminosa27.
Dalla lettura della definizione del traffico illecito di esseri umani emerge come esso possa
facilmente coincidere con la tratta degli schiavi, là dove lo sfruttamento determini una situazione di
soggezione di schiavitù od analoga. In questo caso, si può ritenere che tutti gli strumenti internazionali
applicabili contro questa pratica saranno utilizzabili nella cooperazione interstatale, inclusi il fermo e la
visita della nave impegnata nel traffico da parte anche di una nave militare battente una diversa
bandiera.
Anche il traffico illecito di migranti clandestini è stato definito per la prima volta nel 2000 con il
relativo citato Protocollo che in questo modo ha però fronteggiato una fattispecie delittuosa più recente
nel panorama generale del traffico di esseri umani. Per il relativo art. 3 lo smuggling of migrants indica il
“(…) procurement, in order to obtain, directly or indirectly, a financial or other material benefit, of the
illegal entry of a person into a State party of which the person is not a national or a permanent resident;
(…)”. La norma continua definendo: l’ingresso illegale, ossia senza avere ottemperato alle condizioni
richieste dallo Stato ricevente per l’ingresso nel suo territorio, e il documento di identità o di viaggio
fraudolento, ossia il documento falsificato od alterato materialmente in qualche modo da un soggetto
diverso dalla persona o dall’ente autorizzato a rilasciarlo per conto dello Stato od il documento
impropriamente rilasciato od illecitamente ottenuto od ancora il documento utilizzato da persona
diversa dal suo legittimo titolare.
Dalla definizione contenuta dal Protocollo in esame, emerge che in tale ipotesi si è in presenza
di una fattispecie ben più circoscritta rispetto al traffico di esseri umani. I suoi elementi costitutivi
consistono nello scambio di benefici tra trafficante e migrante; nel dolo specifico dell’ingresso illegale in
uno Stato; nella portata plurima della condotta, nella sua transnazionalità e nel coinvolgimento di una
organizzazione criminale.
Il carattere transnazionale di un’attività criminale è individuato nella Convenzione di Palermo nella suddivisione tra più
Stati della stessa condotta criminale anche solo sotto il profilo delle azioni preparatorie, di pianificazione, di direzione e di
controllo, oppure nel collegamento con un gruppo criminale organizzato che opera in più di uno Stato, oppure
nell’estensione extraterritoriale degli effetti del crimine stesso (art. 3, paragrafo 2). Sulla tratta di esseri umani v. Scicchitano
S., La tratta degli esseri umani nel contesto dei processi migratori, in Affari Sociali Internazionali, 2, 2000, pp. 5 ss. e Commissione per le
politiche di integrazione degli immigrati, Secondo rapporto sull’integrazione degli immigrati in Italia, La tratta di esseri umani. Esperienza
italiana e strumenti internazionali, in www.cestim.it.
27
9
I termini dello scambio sono, da un canto, l’ottenimento, diretto od indiretto di un vantaggio
finanziario od altrimenti materiale, e, dall’altro, l’ingresso illecito in uno Stato di cui non si è cittadino o
residente permanente e nella volontà dolosa di entrambe le parti del rapporto. La fattispecie si presenta
quindi solo apparentemente circoscritta in quanto poi si allarga a comprendere, grazie all’art. 6 del
Protocollo, una serie di comportamenti, quali la falsificazione dei documenti o la fornitura, od il
possesso di tali documenti, ai fini dell’ingresso o della permanenza nello Stato, che si qualificano perciò
per il loro scopo finale che è quello specifico del traffico illecito di migranti. Egualmente punibili sono il
tentativo, il favoreggiamento, il concorso, l’organizzazione e la direzione di tutti i comportamenti
appena menzionati. Assume dunque un notevole rilievo l’obiettivo specifico, dolosamente perseguito,
dell’ingresso illegale che costituisce il collante di tutti i comportamenti indicati, anche quelli meramente
preparatori ed organizzativi così come rende illecita l’attività stessa di trasporto del migrante clandestino
altrimenti in sé neutra.
Eguale rilievo assume, ai sensi dell’art. 4 del Protocollo, la circostanza che i comportamenti
descritti non solo siano transnazionali, il ché può ritenersi in re ipsa, ossia inerente a questa fattispecie
delittuosa per il fatto stesso del risultato che con la stessa si persegue e per il necessario coinvolgimento
di una organizzazione criminale. Come osservato per il traffico di esseri umani, la non sussistenza di
una organizzazione criminale o la mancanza di collegamenti dell’autore o degli autori con una
organizzazione criminale impedisce l’applicazione di questo strumento convenzionale.
Per questo, appare un po’ fuori luogo, in quanto estranea alla logica del reato di criminalità
organizzata, che caratterizza il traffico illecito di migranti, ed estranea all’obiettivo, dolosamente
perseguito dell’ingresso illecito, la disposizione, di cui all’art. 11 del Protocollo, che prevede che gli Stati
possano imporre ai vettori commerciali, incluse le compagnie di trasporto, i proprietari o gli operatori di
ogni mezzo di trasporto, di accertare se i passeggeri siano in possesso di documenti validi per l’ingresso
nello Stato ricevente. E’ anche prevista la possibilità che la violazione di questo obbligo sia sanzionata
ed è da presumere che la sanzione possa avere, se così reputato dal legislatore nazionale, natura penale e
non amministrativa
Il migrante clandestino, dunque, non può essere considerato, diversamente da colui che è
oggetto del traffico di esseri umani, una vittima ma è soggetto attivo del reato, in quanto agisce
volontariamente per ottenere lo specifico risultato dell’ingresso illegale. Si è perciò in presenza di un
reato contro lo Stato e non contro l’individuo che è partecipe della condotta criminosa Si è perciò in
presenza di un reato contro lo Stato e non contro l’individuo che è partecipe della condotta criminosa
Tuttavia, a fini di tutela di colui che si trova comunque in una posizione di svantaggio ed è in
certo qual modo forzato alla commissione del reato, è stato inserito l’art. 4 del Protocollo che
espressamente esclude la responsabilità penale del migrante clandestino, anche se, come si vedrà in
seguito, non gli concede alcuna prospettiva di permanenza nel territorio dello Stato in cui è illegalmente
entrato. Ciò non esclude però la possibilità che lo stesso sia perseguito nello Stato ricevente per la
violazione delle sue leggi in materia di immigrazione. Allo stesso tempo costituiscono circostanze
aggravanti proprio quelle situazioni tali da porre in pericolo la vita o la sicurezza dei migranti o che
comportano trattamenti inumani o degradanti, incluso lo sfruttamento di tali migranti.
5. SEGUE: EGUAGLIANZE E DIVERSITÀ NEGLI OBBLIGHI GRAVANTI SUGLI STATI AI SENSI
DEGLI STRUMENTI INTERNAZIONALI CONVENZIONALI DI PREVENZIONE E CONTRASTO
Sul fronte degli obblighi gravanti sugli Stati al fine dell’eliminazione della schiavitù e della tratta
degli schiavi, occorre rilevare come essi si presentano meno articolati rispetto agli obblighi che
discendono dai Protocolli di Palermo del 2000 sul traffico illecito di esseri umani e di migranti
clandestini. Ciò evidentemente dipende dal diverso periodo storico in cui i comportamenti di tratta di
schiavi, di alienazione ed acquisto degli stessi e similari hanno assunto valenza di illecito penale; era
infatti un periodo storico caratterizzato da una maggiore omogeneità tra i membri della Comunità
internazionale, uniti nel contrasto a questo fenomeno che, inoltre, veniva a svolgersi quasi del tutto in
aree sottoposte alla loro sovranità, in quanto colonie, e caratterizzato anche da una minore sensibilità
circa la protezione delle vittime di questo traffico.
10
Conseguentemente, l’art. 2 della Convenzione del 1926, analogamente a quanto sancito nei
precedenti accordi in materia, configura due obblighi generali di prevenzione e di repressione della
riduzione in schiavitù e della tratta di schiavi e due obblighi specifici di assistenza interstatale
nell’abolizione della schiavitù e di modificazione delle norme interne, se necessario, al fine di
predisporre pene severe nei confronti della riduzione in schiavitù e della tratta degli schiavi.
Discende poi, come si è in precedenza visto, dalla Convenzione di Ginevra sull’alto mare del
1958 e dalla Convenzioni delle Nazioni Unite sul diritto internazionale del mare del 1982,
corrispondenti in materia al diritto consuetudinario vigente, l’obbligo per lo Stato di adottare tutte le
misure efficaci per prevenire e perseguire il trasporto di schiavi a bordo di navi battenti la propria
bandiera, ed il diritto di visita, di accertamento dei documenti e di indagini a bordo della nave battente
bandiera straniera da parte della nave da guerra là dove vi siano fondati motivi per sospettare che la
nave sia impegnata nella tratta di schiavi.
Unico profilo attinente alla protezione dello schiavo, indipendentemente dal risultato dello
sradicamento della pratica della riduzione in schiavitù e della tratta degli schiavi, emerge sempre nelle
citate convenzioni sul diritto del mare, con il riconoscimento della libertà per lo schiavo che si sia
rifugiato a bordo di una nave quale che sia la sua bandiera28.
Numerosi punti di contatto presentano, invece, i due Protocolli di Palermo in materia, molti dei
quali discendenti, evidentemente, anche dalla circostanza di trovare una disciplina di base comune nella
Convenzione-quadro cui gli stessi sono allegati. In questo senso, al traffico di esseri umani ed al traffico
illecito di migranti clandestini, con il coinvolgimento di un’organizzazione criminale, sono applicabili,
tra gli altri, l’art. 10 della Convenzione sulla responsabilità penale delle persone giuridiche; l’art. 15 sui
titoli di giurisdizione, contenente anche un loro ampliamento29; l’art. 16 sull’estradizione, ai sensi del
quale, i reati contrastati dalla Convenzione vanno inclusi in tutti gli accordi di estradizione già esistenti,
oltre che in quelli che verranno in futuro stipulati; l’art. 24 sulla protezione dei testimoni; l’art. 30
sull’attuazione della Convenzione anche per il tramite dello sviluppo economico e tecnico degli Stati in
via di sviluppo ed in transizione verso la sviluppo; e l’art. 31 sulla prevenzione dei reati di criminalità
organizzata.
Senza ritornare sugli obblighi sanciti da entrambi i Protocolli di incriminare il traffico illecito di
esseri umani e la tratta di migranti clandestini, di creare meccanismi nazionali di contrasto e di
cooperare a livello internazionale per la prevenzione e la punizione di questi traffici illeciti, è in questa
sede invece il caso di sottolineare l’innovazione interessante, rinvenibile nei due atti convenzionali, di
richiedere agli Stati parte di affrontare concretamente le cause che rendono determinate persone,
soprattutto donne e bambini, particolarmente vulnerabili al traffico di esseri umani (art. 9, paragrafo 4)
e le cause socio-economiche del traffico illecito di migranti clandestini (art. 13, paragrafo 3). Entrambi i
Protocolli, infine, non affrontano in alcun modo, e giustamente, nonostante le critiche rivolte al
riguardo da alcune organizzazioni non governative, le questioni delle politiche migratorie statali al fine
della regolarizzazione di determinate situazioni di illegalità e delle misure di intervento sul divario,
cronico, tra offerta e domanda di lavoro.
Per la verità, maggiore interesse per la tutela delle vittime della schiavitù sono rinvenibili nella Convenzione di Bruxelles
del 2 luglio 1890, che, all’art. II, si pone l’obiettivo di favorire il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni
africane, sia pure in un’ottica di prevalenza culturale e morale, ossia di diminuire le guerre intestine tra tribù, di iniziare
all’agricoltura, all’artigianato ed alle attività industriali queste popolazioni, di portarle alla civilizzazione e di sradicare
consuetudini barbare, quali il cannibalismo ed i sacrifici umani, di assistere le attività commerciali e controllare la liceità dei
rapporti economici con i nativi, di proteggere le missioni, di fornire servizi sanitari, di ampliare l’ospitalità ed aiutare gli
esploratori impegnato in Africa all’attività di eliminazione della riduzione in schiavitù e della tratta degli schiavi. La stessa
Convenzione amplia il titolo della giurisdizione penale, sancendo, all’art. V, la possibilità che il reo, che sia sfuggito alle
autorità dello Stato del locus commissi delicti possa essere arrestato e sottoposto a giudizio, su comunicazione delle autorità che
hanno accertato la commissione del reato o sulla base di qualsiasi altra prova fornita dalle autorità del luogo ove è stato
arrestato.
29 Si pensi alla possibilità di esercitare la giurisdizione quando l’illecito (di partecipazione ad una organizzazione criminale o
di riciclaggio del denaro sporco) è stato commesso fuori dal territorio dello Stato in vista della commissione di un reato
grave nell’ambito del territorio dello Stato (art. 15, paragrafo 2, lett. c)) ed alla possibilità per lo Stato di giudicare l’imputato
del reato quando è presente nel suo territorio e non si procede alla sua estradizione ed all’obbligo di giudicarlo, sussistendo
la stessa situazione, se è suo cittadino (art. 15, paragrafi 3 e 4).
28
11
I Protocolli di Palermo presentano però anche delle differenze, soprattutto con riferimento alla
protezione di coloro che sono coinvolti nel traffico illecito di esseri umani o nel traffico illecito di
migranti. In particolare, appare più sensibile alle esigenze di protezione il Protocollo sul traffico di esseri
umani alla luce della circostanza che in questa fattispecie delittuosa la persona vittima del traffico, non
avendo manifestato alcun consenso od avendo manifestato un consenso viziato, è in tutto e per tutto
vittima del reato. Per tali motivi, la parte II del Protocollo è dedicata a questa esigenza, attraverso la
previsione di specificate e dettagliate misure che vanno dalla tutela della privacy delle vittime,
all’assistenza e informativa sugli strumenti di tutela dei propri diritti, all’assistenza psicologica, medica e
sociale, materiale, volta anche all’inserimento nel mondo lavorativo, alla protezione fisica ed alla
possibilità di ottenere il risarcimento per i danni subiti, per culminare nella possibilità dell’ottenimento
di un permesso di soggiorno temporaneo o permanente, alla luce di valutazioni umanitarie e di
compassione. Al riguardo, è soltanto da notare come la terminologia utilizzata non appare strettamente
vincolante ma caratterizzata da opzionalità e discrezionalità30.
Proprio alla luce dello status di vittima del soggetto coinvolto nel traffico illecito di esseri umani
il suo rimpatrio (repatriation), le cui modalità sono indicate nell’art. 8, appare esente da valutazioni
“sanzionatorie” ma piuttosto caratterizzato da un’ottica di ritorno nel proprio ambiente di origine. In
questo senso, il rimpatrio deve avvenire nel rispetto della sicurezza della persona, dello stato in cui si
trovano eventuali procedimenti giudiziari collegati alla circostanza che tale persona è stata vittima di un
traffico illecito e deve essere preferibilmente volontario.
Diversamente, il Protocollo sul traffico illecito di migranti clandestini contiene riferimenti
minimi alla tutela del migrante, considerato che lo stesso, anche se non imputabile, è comunque di fatto
complice nel traffico illecito e consenziente pertanto allo stesso. Ciò non significa che il Protocollo si
disinteressi della tutela dei diritti umani, bensì che questa tutela si concentri su di uno standard minimo
avente ad oggetto i diritti umani inerenti o fondamentali. Così alla protezione del migrante clandestino è
dedicato un solo articolo, l’art. 16, che impone agli Stati l’obbligo di proteggere il diritto alla vita ed il
diritto a non essere sottoposto a tortura o ad altri trattamenti o pene inumani o degradanti, l’obbligo di
proteggerlo contro forme di violenza cui potrebbe essere sottoposto in quanto individuo o componente
di un gruppo e l’obbligo di rispettare il diritto alla protezione consolare. Particolari misure di protezione
sono inoltre predisposte, dall’art. 9, paragrafo 1, lettera a), nel caso di traffico illecito via mare. Per gli
stessi motivi, nulla si predispone circa l’assistenza, il reinserimento ed eventuali possibilità di permessi di
ingresso nei confronti del migrante, fatti salvi i casi di asilo ai sensi del diritto internazionale vigente.
Per contro, il Protocollo contiene due disposizioni aventi lo scopo di ostacolare il traffico
illecito di clandestini. La prima, di cui all’art. 8, è stata ampiamente commentata dal Professor Sico e
sarà approfondita dal Professor Palmisano, consiste nella cooperazione interstatale ai fini del fermo e
della visita in alto mare della nave sospettata di trasportare migranti clandestini; mentre la seconda, di
cui all’art. 18, è dedicata al ritorno del migrante clandestino. A quest’ultimo riguardo è illuminante
l’utilizzo del termine return invece di quello di repatriation, ad indicare che lo scopo non è quello di
reinserire nei luoghi di origine colui che vi è stato sradicato dal trafficante o da un complice ma di
evitare che il migrante, che è illecitamente entrato in uno Stato, possa usufruire dei vantaggi di tale
ingresso illegale rimanendo nello Stato ricevente. Si tratta inoltre di una norma quadro che, in effetti,
contiene un obbligo de contrahendo, un obbligo di stipulazione di accordi di riammissione a portata
bilaterale tra Stato ricevente e Stato di cittadinanza o di residenza od ancora, come mostra la prassi
statale, tra Stato ricevente e Stato di transito.
6. LE
ZONE D’OMBRA NELLA DISTINZIONE TRA TRAFFICO ILLECITO DI ESSERI UMANI E
TRAFFICO ILLECITO DI MIGRANTI CLANDESTIN I
Dal punto di vista teorico le due fattispecie delittuose del traffico illecito di esseri umani e del
traffico illecito di migranti appaiono facilmente distinguibili. Nella pratica però spesso questa
Si pensi alle espressioni utilizzate negli artt. 6 e 7 del Protocollo: “Each State shall consider (…). Each State shall take into
account (…). Each State shall endeavour (…)”.
30
12
distinzione appare ardua anche a causa delle diverse e mutevoli strategie migratorie, senza considerare
poi che entrambi i reati si presentano di durata e quindi nulla esclude che durante le vicende della tratta
il rapporto tra trafficante e trafficato o migrante muti ed, in particolare, che il consenso originariamente
reso sia ritirato senza alcun effetto sul trafficante.
Questa considerazione pone l’attenzione su quello che è l’elemento cruciale per la
differenziazione tra traffico di esseri umani e traffico di migranti clandestini: l’elemento del consenso.
Vari problemi pertanto si pongono all’interprete, tra i quali vale la pena di sottolineare quelli del
momento in cui il consenso deve essere manifestato ai fini della qualificazione della condotta e della
distinzione tra consenso e coercizione31.
Quanto al primo punto, la prassi mostra come si tenda ad individuare il momento rilevante per
la manifestazione del consenso nel momento della partenza ai fini di un ingresso illegale in un Paese
straniero, mentre sul fronte delle organizzazioni non governative e dei difensori dei migranti si sostiene
che le vere intenzioni debbano essere rilevate nel momento dell’arrivo o del soggiorno.
Quanto al secondo problema, esso consiste nell’accertamento se il consenso sia stato reso
spontaneamente o sotto coercizione. Evidentemente in situazioni di estrema povertà, di sottoposizione
a discriminazioni di vario genere, a disgregazioni di nuclei familiari in cui taluni dei componenti siano
già emigrati, risulta particolarmente arduo arrivare ad una definizione di coercizione che non sia tanto
ampia da dilatare a dismisura il concetto di traffico di esseri umani, tanto da svuotarlo di significato, o
che, al contrario, non tenga conto di alcune forme di coercizione indiretta od ambientale che possono
arrivare al punto di eliminare ogni volontà del soggetto.
Questo profilo si collega anche a quello dei mutui benefici per trasportante e trasportato tipico
del traffico illecito di migranti clandestini. In altri termini, si tratta di valutare quanto la speculazione del
trafficante sulla necessità di emigrare determini una situazione di sfruttamento e di coercizione che
rende irrilevante il consenso manifestato dal migrante, in quanto estorto o forzato, e determina,
comunque, una situazione di sfruttamento sull’essere umano, la quale, teoricamente parlando, può
determinare situazioni assimilabili alla schiavitù. Evidentemente le risposte a questi quesiti dipendono in
larga misura dalle pre-esistenti norme penali interne e dalle norme di recepimento interno della
Convenzione e dei Protocolli di Palermo, dalla loro giurisprudenza applicativa e da scelte di politica
criminale che gli Stati di immigrazione vorranno fare, presumibilmente in un’ottica di contrasto al
fenomeno.
Ida Caracciolo
Prof. Straordinario di Diritto Intenazionale
Facoltà di Studi Politici e per l’Alta Formazione Europea e Mediterranea “Jean Monnet”
della 2^ Università degli Studi di Napoli
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V. Bhabha J., op.cit..
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