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Gli effetti della vicenda Fiat sulle rappresentanze nei luoghi di

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Gli effetti della vicenda Fiat sulle rappresentanze nei luoghi di
Un’arancia meccanica: l’accordo separato Fiat - Mirafiori e
le rappresentanze nei luoghi di lavoro. Quali prospettive?
di Stefania Scarponi
Sommario: 1. Un’arancia meccanica. - 2. Il diritto a costituire r.s.a. nel
quadro della giurisprudenza in materia di art.19 St. Lav. – 3. Le conseguenze
dell’accordo separato nei confronti delle r.s.u. – 4. I diritti di partecipazione
alle decisioni dell’impresa. – 5. Cenni conclusivi: le proposte di riforma.
1. Un’arancia meccanica
La vicenda Fiat ha assunto nel suo andamento complessivo la
caratteristica di un meccanismo ad orologeria, ponendo in luce
quale fosse la posta in gioco nei confronti dell’assetto
storicamente consolidato delle relazioni sindacali e
dell’interazione tra ordinamento intersindacale e quadro legale,
con effetto dirompente sul complesso dei diritti e prerogative
proprie delle rappresentanze nei luoghi di lavoro. Rinviando alla
parte finale del contributo qualche osservazione sul modello
imposto dall’impresa transnazionale, si vuole puntualizzare fin
d’ora che la scelta di incentrare sulla dimensione aziendale lo
sviluppo della contrattazione collettiva rende ancor più
significative le modifiche richiamate.
La nuova architettura conseguente al succedersi delle
scelte operate da parte della Fiat nel corso dell’ultimo anno
(Carinci 2010) è basata su un complesso sviluppo di tecniche
volte a rendere inapplicabile la disciplina dei contratti collettivi,
e di conseguenza anche quella in materia di r.s.u., mediante il
combinarsi della disdetta da parte della Confindustria del
contratto nazionale di lavoro del settore metalmeccanico
stipulato unitariamente nel 2008, disdetta la cui portata è tuttavia
discussa (Roccella 2010a), con la revoca da parte della Fiat
dell’iscrizione alla Confindustria in modo da far cessare ogni
vincolo negoziale (De Luca Tamajo 2010, p. 797) compreso
quello derivante dall’accordo interconfederale (d’ora in poi AI)
del 2009; ed infine mediante la costituzione di una nuova società
New-co, stipulante l’accordo Mirafiori del 23 dicembre 2010,
accompagnato dalla cessione dei contratti di lavoro e dalla
sottoscrizione di nuovi contratti individuali che rinviano a tale
accordo.
In materia di r.s.u, la disciplina nazionale rimasta invariata
anche dopo l’AI che si è limitato a rinviare ad una successiva
1
fase di contrattazione1 , è stata modificata dall’accordo Mirafiori
e da quello immediatamente successivo per lo stabilimento di
Pomigliano. Entrambi contengono un Allegato 1, dedicato ai
diritti sindacali, che prevede la clausola di “esclusiva” secondo
la quale solo le organizzazioni sindacali firmatarie dell’accordo
stesso hanno diritto a costituire proprie rappresentanze nei
luoghi di lavoro, r.s,a a cui sono riservate le prerogative e tutele
contemplate dal tit.III dello Statuto dei lavoratori e quelle
previste dall’accordo stesso.
L’assetto descritto pone in risalto in primo luogo le
conseguenze sistemiche indotte sul versante dei diritti sindacali
dal suo combinarsi con le regole statutarie, posto che la norma
chiave, l’art.19 St. Lav., secondo il testo di risulta successivo al
referendum del 1995, implicherebbe come conseguenza
l’esclusione della Fiom – Cgil dalla titolarità a rivendicare
l’applicazione dello statuto dei lavoratori in quanto non
firmataria dell’accordo aziendale e neppure di altri contratti
applicati nell’unità produttiva quando il contratto nazionale
cesserà di essere in vigore.
La vicenda complessiva ha fatto emergere in maniera
eclatante, dunque, le aporie del quadro normativo in materia di
rappresentanze nei luoghi di lavoro dovuto al sovrapporsi del
versante organizzativo, concernente la titolarità dei diritti
sindacali in azienda, a quello negoziale, consistente nella
stipulazione del contratto collettivo quale sua condizione
essenziale, e rendendo in tal modo il secondo funzionale al
primo. La consapevolezza di tale anomalia aveva indotto fin dal
momento successivo all’esito referendario la dottrina più
avvertita a sollecitare un’immediata riforma legislativa (Ferraro
1996; Mariucci 1996). Il rischio, segnalato altresì dal “padre
dello Statuto” (Giugni 1995), era fondato non soltanto sul timore
che la volontà di non perdere la titolarità delle prerogative
potesse influenzare le organizzazioni dei lavoratori nell’attività
di sottoscrizione dei contratti collettivi, ma soprattutto
sull’eventualità che la mancata sottoscrizione di contratti
collettivi determinasse la perdita dei poteri, diritti e tutele
riconosciute dallo Statuto anche in capo ad organizzazioni
sindacali ad alto seguito associativo o elettivo. Esito a suo
tempo non considerato dai proponenti del referendum al punto
da giustificare il giudizio sferzante di “apprendisti stregoni”
1
Il punto 7.1 dell’accordo interconfederale attuativo rinvia «ad uno
specifico accordo interconfederale per rivedere ed aggiornare le regole
pattizie che disciplinano la rappresentanza dei lavoratori nei luoghi di lavoro,
valutando le diverse ipotesi che possono essere adottate con accordo ivi
compresa la certificazione all’Inps dei dati di iscrizione sindacale».
2
espresso nei loro confronti da chi pure aveva condiviso le
critiche
al
precedente
modello
statutario
fondato
prevalentemente sul criterio della maggiore rappresentatività
delle confederazioni nazionali (Ghezzi 1996). In sostanza, il
modello post-referendario deve (doveva) essere valutato non
tanto sulla sua maggiore o minore “inclusività”, quanto sulla
trasformazione del titolo III in una legislazione servente del
sistema contrattuale, che differenzia il trattamento tra diverse
organizzazioni secondo il loro “rendimento contrattuale”, e può
così influenzare il comportamento negoziale sia del datore di
lavoro nell’esercizio del suo potere di accreditamento, sia delle
organizzazioni sindacali, che potrebbero essere indotte ad
atteggiamenti esclusivi (per un riepilogo del dibattito mi
permetto di rinviare a Scarponi 2005).
La vicenda Fiat, rendendo concreto l’evento a suo tempo
ipotizzato, si è incaricata di smentire la tranquillità con cui molta
parte della dottrina ha considerato positivamente l’ingresso della
disciplina legale sulle r.s.a basata sul nuovo testo dell’art.19 St.
Lav., ritenendola un opportuno completamento di quella sulle
r.s.u (per tutti Gragnoli 2003) per preservare il modello
associativo del sindacato, storicamente e costituzionalmente
imprescindibile. L’opinione trascurava, peraltro, che la
soluzione accolta dal Protocollo del 1993 permette comunque di
assicurare la tutela del versante associativo, data la sua
composizione che riserva un terzo dei seggi alle organizzazioni
sindacali firmatarie del contratto nazionale; soluzione criticata e
suscettibile di modifiche migliorative (Fontana 2004), ma pur
sempre tale da superare le preoccupazioni di chi temeva la
scomparsa della dimensione associativa nelle rappresentanze sui
luoghi di lavoro.
L’esito paradossale prevalso a seguito degli accordi Fiat
è di aver provocato la conseguenza esattamente opposta,
favorendo le r.s.a e determinando la scomparsa delle r.s.u negli
stabilimenti cui si applica il nuovo assetto negoziale, privando
così i lavoratori di un organismo di rappresentanza costituito in
modo universalistico con elezioni a partecipazione estesa a tutti
i dipendenti (Mariucci 2011, nonché infra § 3).
Per comprendere l’esatta natura della situazione venutasi a
creare ed i possibili rimedi in chiave interpretativa e/o
legislativa, è opportuno ripercorrere brevemente le
argomentazioni della giurisprudenza costituzionale in materia,
formata dalle pronunce degli anni ’90, mediante le quali si è
tentata la razionalizzazione della soluzione inerente l’art.19 St.
Lav. escludendone i profili di incostituzionalità attraverso
un’interpretazione “adeguatrice” rispetto ai valori del pluralismo
3
e della libertà di organizzazione sindacale incorporati nella
Carta costituzionale.
2. Il diritto a costituire r.s.a. e la giurisprudenza in materia di
art.19 St. Lav.
E’ utile ricordare che il presupposto su cui si è fondata
la proposta referendaria era costituito dalla critica al modello
fondato sul criterio della maggiore rappresentatività confederale,
in quanto non idoneo ad evitare i rischi derivanti sia dall’
“autoreferenzialità” propria del riferimento alla maggiore
rappresentatività confederale, privo di strumenti efficaci di
verifica, sia dalla c.d. “rappresentatività irradiata” - per cui era
sufficiente ad un’organizzazione sindacale aderire ad una
confederazione maggiormente rappresentativa sul piano
nazionale per aver diritto automaticamente alla titolarità dei
diritti di organizzazione nei luoghi di lavoro. Tali ragioni
critiche erano state accolte dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 30/90, il cui contenuto più condivisibile è di
riconoscere l’esigenza di misurare l’effettivo seguito raggiunto
da ciascun sindacato come presupposto per l’attribuzione dei
diritti aggiuntivi in azienda propri del Tit. III dello Statuto dei
lavoratori. La Corte in quell’occasione aveva, infatti, sollecitato
il legislatore ad approntare strumenti di misurazione
dell’effettivo seguito conseguito da ciascuna organizzazione
sindacale anche secondo parametri quantitativi, invocando
l’integrazione del quadro normativo mediante: « gli indici di
rappresentatività, i modi di verifica del consenso, l’ambito in
cui questo deve essere effettuato, i criteri di proporzionalità
della rappresentanza e gli strumenti di salvaguardia degli
obiettivi solidaristici ed egualitari del sindacato ».
La rilevanza della rappresentatività effettiva posseduta
dalle organizzazioni sindacali è stata affermata dopo il
referendum dalla sentenza C. Cost. n. 495/96 che, offrendo una
lettura “unificante” del nuovo sistema, ha affermato due principi
cardine: il riferimento al criterio della stipulazione dei contratti
collettivi è un indice presuntivo del possesso della
rappresentatività sindacale; quest’ultima è un valore immanente
all’ordinamento costituzionale che conferisce “razionalità”
all’intero sistema e richiede la misurazione del seguito di
consensi raggiunto da ogni organizzazione sindacale.
La
rappresentatività “verificata” sembra assumere, secondo la
pronuncia, una valenza anche superiore allo stesso criterio di
“effettività” pure prevalso nel testo della norma modificata. Di
4
conseguenza, la firma del contratto collettivo è ritenuta rilevante
non di per sé, ma come indice della rappresentatività del
sindacato che, dunque, potrà essere dimostrata altrimenti,
rendendo opportuno un intervento legislativo che anche tale
sentenza esorta ad adottare.
Ispirandosi a tale orientamento, non si può che convenire
con la tesi formulata in merito alla vicenda Fiat (Romagnoli
2010; Ferraro 2010) secondo la quale, se l’art.19 St. Lav. fosse
interpretato nel senso di impedire alla Fiom di rivendicare i
diritti e le prerogative di costituire proprie r.s.a., tenuto conto
della sua consistenza associativa e del consenso elettorale
raggiunto nell’elezione delle r.s.u., non si potrebbe sfuggire alla
incostituzionalità della norma.
Non si può tuttavia trascurare, in merito alla
costituzionalità della norma “di risulta”, la portata della sentenza
di poco successiva a quella appena richiamata, C. Cost. n.
244/1995, che ne ha condiviso solo parzialmente
l’argomentazione. Secondo la sentenza, il requisito contenuto
nella norma “di risulta” corrisponde a “criteri ragionevoli di
differenziazione” tra organizzazioni sindacali, e pertanto non è
considerata indispensabile ai fini della sua costituzionalità la
possibilità di dimostrare altrimenti il possesso di
rappresentatività. L’affermazione pare dovuta prevalentemente
all’assenza di strumenti adeguati di verifica del seguito effettivo
delle organizzazioni sindacali, tant’è che la stessa pronuncia non
ha negato l’eventualità di un intervento legislativo per introdurre
criteri alternativi, proponendo quello associativo oppure quello
elettorale, «se attuato in modo trasparente e universalistico», in
cui si può leggere la critica della soluzione accolta dal
Protocollo del 1993 in materia di r.s.u., per l’assenza di piena
trasparenza delle sue modalità di costituzione data la soluzione
concernente il c.d. “terzo riservato”.
Anche quest’ultima sentenza, dunque, pur assumendo un
tenore leggermente diverso dalle precedenti, non nega
l’importanza della verifica del seguito ottenuto da ogni
sindacato, da considerare dunque a stregua di criterio che ne
dovrebbe permettere l’accertamento della rappresentatività in
modo alternativo, ma certo non incompatibile con quello
costituito dalla sottoscrizione del contratto collettivo 2 .
2
In senso oscillante si è espressa la giurisprudenza di legittimità. Cfr.
Cass. sez. lav. n. 12584/2002 che ha ribadito essere «il criterio della
sottoscrizione dei contratti collettivi rientrante nei canoni della razionalità,
divenendo di conseguenza irrilevante la possibilità per le medesime
dimostrare altrimenti la propria rappresentatività»; contra Cass. sez. lav.
12584/2002 afferma: «il criterio del grado di rappresentatività continua ad
5
D’altra parte, legittimando l’esclusione dal godimento dei
diritti in azienda del sindacato dotato di effettivo consenso da
parte dei lavoratori, ma non firmatario di alcun contratto
collettivo, si privilegia come criterio dirimente soltanto lo
svolgimento dell’attività sindacale. Di conseguenza, si trascura
completamente il versante dell’organizzazione sindacale tutelato
dall’art.39, 1 co. Cost., intesa come coalizione volta alla
protezione degli interessi dei lavoratori, che è distinto da quello
concernente l’azione negoziale, pur costituendo una naturale
proiezione del profilo dinamico della prima (Bellocchi 1998, p.
381 ss.). Tesi da condividere a maggior ragione in un sistema di
relazioni sindacali privo di regole in merito alla sottoscrizione
ed efficacia dei contratti collettivi, basato sul pluralismo
competitivo e in assenza di unità di azione tra le maggiori
confederazioni.
Altre
ragioni
a
conferma
della
correttezza
dell’interpretazione “adeguatrice” ai valori costituzionali
risiedono nel contenuto della teoria basata sull’“effettività”, che
la norma ha accolto, e che si fonda sull’auto-legittimazione per
mutuo riconoscimento tra le organizzazioni sindacali che
permette anzitutto di accedere al tavolo delle trattative. In tal
senso, nonostante il tenore letterale della norma si riferisca ai
sindacati “firmatari” – indotto dalla tecnica tipica del
referendum abrogativo che ha ritagliato una parte del testo
precedente - può essere ritenuta condizione necessaria e
sufficiente per soddisfare il requisito previsto dall’art.19 quella
di aver partecipato alle trattative, senza necessità di sottoscrivere
effettivamente il contratto collettivo (Garofalo 1995; contra
Maresca 2010). Sotto il profilo sistematico, la tesi è coerente
con l’irrilevanza che la stessa giurisprudenza costituzionale ha
attribuito alla mera sottoscrizione del contratto collettivo se non
vi sia stata effettiva partecipazione alle trattative3 . Essa
permetterebbe, altresì, di superare il dubbio che la norma attuale
induca il rischio di atteggiamenti opportunistici in capo ai
sindacati stipulanti, dubbio non pienamente dissipato dalla citata
sentenza n. 244/96, che si limita a giustificare la costituzionalità
del nuovo art.19 St. Lav. sotto il profilo del principio di libertà
avere la sua rilevanza …venendosi in tal modo a valorizzare l’effettività
dell’azione sindacale – desumibile dalla partecipazione alla formazione della
normativa contrattuale collettiva – quale presunzione di detta maggiore
rappresentatività».
3
Cfr. C. Cost. n. 30/1990 e n. 244/96 secondo le quali: «la mera
sottoscrizione di un contratto negoziato da altri non solo non indica tale
capacità (rappresentativa), ma anzi costituisce un indice del contrario,
rilevando invece la partecipazione attiva al processo di formazione del
contratto collettivo».
6
sindacale riportando la scelta in merito alla stipulazione o meno
del contratto collettivo agli “interna corporis” di ciascun
sindacato, che ne risponderà esclusivamente ai propri iscritti.
Per altro verso, la sentenza esclude possa essere
considerato utile ai fini della titolarità delle prerogative
statutarie un contratto collettivo aziendale avente ad oggetto
esclusivamente il riconoscimento di diritti sindacali nei
confronti di un’organizzazione sindacale, richiedendo viceversa
che si tratti di un contratto collettivo a rilevante contenuto
normativo. Tale conclusione, pur criticata in quanto “additiva”,
da un lato, porta ad escludere la possibilità di rinvenire una
soluzione alla vicenda Fiat che sia basata sulla eventuale
sottoscrizione tra la Fiom e la direzione aziendale di uno
specifico contratto collettivo avente ad oggetto esclusivamente
tale riconoscimento, come pure prospettato da autorevole
dottrina (Angiolini 2011), a tacere della plausibilità che tale
ipotesi trovi effettivo accoglimento tra le parti. D’altro lato,
peraltro, l’argomentazione della Corte costituzionale conferma
l’idea che, pur senza affermarlo espressamente, consideri la
firma del contratto collettivo come un “indizio” del possesso di
rappresentatività effettiva tale da giustificare il riconoscimento
delle prerogative sindacali in azienda, e non un suo elemento
costitutivo.
Da ultimo, per arricchire la riflessione indotta dal
dibattito in corso, ci si permette di proporre una tesi
interpretativa della norma diversa da quelle finora esaminate, ma
che va nello stesso senso.
Considerando la formulazione testuale dell’art.19 – che si
riferisce ai «contratti collettivi applicati nell’unità produttiva» –
si può affermare che essa si presta ad un’ interpretazione
diacronica, nel senso di alludere non solo agli accordi sindacali
attualmente in vigore (e infatti la formulazione non dice “ che
siano applicati”), ma anche a quelli che siano stati applicati in
passato. Tale approccio sembra molto più convincente della tesi
opposta, che indurrebbe a sottoporre la titolarità dei diritti
sindacali ad alterne vicende, a seconda della sottoscrizione o
meno dei contratti collettivi che si succedono nel tempo,
permettendo solo al sindacato che ha firmato il contratto
attualmente in vigore di godere delle prerogative concernenti
l’organizzazione sindacale, e dando luogo così ad un aperto
contrasto con il principio di libertà sindacale
Nel caso, è ben noto che la Fiom ha sottoscritto non soltanto
il contratto nazionale di categoria del 2008, ma anche il
contratto collettivo aziendale precedente al più recente accordo
Mirafiori, avendo rifiutato la firma soltanto di quest’ultimo. Il
7
fatto di avere sottoscritto altri contratti collettivi aziendali
applicati nell’unità produttiva, salvo l’ultimo, può dunque essere
considerato come elemento sufficiente per non perdere la
titolarità sindacale dei diritti in azienda, intendendo il requisito
previsto dall’art.19 St. Lav. come un rinvio al sistema
contrattuale e non al singolo contratto collettivo vigente al
momento.
3. Le conseguenze dell’accordo separato nei confronti
delle r.s.u.
Il secondo profilo di riflessione suscitato dalla vicenda
Fiat - Mirafiori in materia di rappresentanze nei luoghi di lavoro
riguarda il ruolo dell’organismo unitario. Come è noto, nel
processo che ha contrassegnato la stagione della ritrovata unità
sindacale agli inizi degli anni ’90, esso è stato riconosciuto come
subentrante nelle prerogative organizzative riconosciute in capo
alle r.s.a. ed altresì quale agente negoziale unitario per la
stipulazione dei contratti collettivi aziendali, a fianco delle oo.ss.
nazionali. Le r.s.u. hanno svolto, così, ad un tempo il ruolo di
strumento di rinnovata legittimazione delle maggiori
confederazioni all’insegna della democrazia sindacale e di
inclusione verso le formazioni anche extra confederali ammesse
a presentare liste elettorali a condizione di aver un certo seguito
in azienda.
La loro origine negoziale e la loro natura non ben definita
dal Protocollo del 1993 sono state sovente oggetto di critica, ma
ciò non ha impedito la loro diffusione e il loro successo, dando
luogo anche alla proposta di recepirne la disciplina in legge
onde evitare uno dei principali elementi di debolezza che si sono
manifestati in modo dirompente nell’ultima fase della dinamica
concernente la contrattazione agli stabilimenti Fiat, ovvero
l’origine e la disciplina negoziale priva di adeguate sanzioni.
Come si è detto ( supra § 1), le r.s.u. non sono menzionate
dall’Allegato 1 all’accordo Mirafiori, intitolato ai “Diritti
sindacali”, che riconosce esclusivamente nei confronti delle
r.s.a delle associazioni sindacali stipulanti tale contratto
collettivo i diritti sindacali disciplinati nel successivo contenuto
dell’allegato, sul presupposto che non trovino applicazione le
clausole del contratto collettivo nazionale inerenti le prerogative
riconosciute dalle r.s.u. nella parte specifica dedicata ai diritti
8
sindacali 4 . Il disconoscimento nei loro confronti lungi dal
costituire, dunque, un effetto non voluto della revoca
dell’iscrizione alla Confindustria da parte della Fiat, o della
disdetta del contratto collettivo nazionale di lavoro, rappresenta
un passaggio cruciale della strategia più complessiva che
persegue un modello di relazioni industriali centrato sul livello
aziendale, in cui le rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro
sono esclusivamente quelle collegate in modo organico con i
sindacati stipulanti il contratto collettivo applicato nell’unità
produttiva.
L’emarginazione delle r.s.u., già avvenuta nel corso del
processo di contrattazione in contrasto con la loro formale
qualificazione come agenti negoziali, è stata motivata dalla
difficoltà di reperire con chiarezza le regole del loro
funzionamento ed in particolare l’applicazione della regola di
maggioranza per la formazione della volontà negoziale (De
Luca Tamajo 2010, p. 806). In effetti, l’assenza di specifiche
previsioni della disciplina sul punto non è mai stata colmata, a
differenza di quanto avvenuto nel settore pubblico, ma va
ricordato che buona parte della dottrina ha affermato la tesi
dell’applicazione della regola maggioritaria in conseguenza
della loro natura collegiale, desumibile dal metodo di
costituzione e dal loro riconoscimento quali agenti negoziali a
livello aziendale, espressione dell’interesse collettivo del gruppo
dei lavoratori anche non iscritti ai sindacati stipulanti.
L’applicazione della regola della maggioranza si deduce,
pertanto, dalle costanti proprie degli organismi collegiali
(Monaco 2003; Gragnoli 2004; dubitativamente Santoro
Passarelli 2010, p. 521).
In ogni caso, il loro disconoscimento quali agenti
negoziali e quali soggetti titolari delle prerogative sindacali in
azienda è a prima vista in contrasto con il fatto che si tratta di un
organismo la cui esistenza non è stata oggetto di alcuna
revisione nel corso del processo di rinnovo del sistema
contrattuale approdato all’AI del gennaio 2009 e in seguito a
quello dell’aprile 2009, peraltro accordi separati, che anzi, come
4
Ai sensi del ccnl, le r.s.u fanno parte di alcuni organismi paritetici
costituiti a livello aziendale, come la Commissione per le pari opportunità,
che diventano i soggetti destinatari del rapporto biennale sulla situazione del
personale cui sono tenute le aziende con un organico superiore a 50
dipendenti; esse sono inoltre destinatarie, ai sensi dell’art.7, insieme alle oo.
ss. territoriali, di tutte le informazioni sull’andamento occupazionale, sulle
modifiche organizzative interne, sulle operazioni di scorporo etc. nonché le
informazioni cui sono tenute le imprese con più di 150 dipendenti. Inoltre
sono i soggetti della contrattazione degli istituti disciplinati dal contratto
collettivo, quale l’orario di lavoro straordinario in determinate ipotesi.
9
si è già ricordato, prevedono un nuovo accordo in materia in
attesa del quale le regole attuali sono da ritenere ancora in
vigore.
Il nuovo assetto derivante dalla revoca del legame
associativo con la Confindustria da parte della Fiat e dalla
costituzione della New-co, solleva pertanto una prima questione
che riguarda la sorte dell’organismo dopo la sottoscrizione
dell’accordo
aziendale
separato,
accompagnato
dal
perfezionamento dei contratti individuali dei lavoratori che
rinviano a quest’ultimo, e non essendo la New-co aderente alla
Confindustria firmataria degli AI che hanno disciplinato
l’organismo elettivo. Tali circostanze complicano il quadro di
riferimento, in particolare lo scioglimento dei vincoli associativi
del datore di lavoro e la costituzione di una nuova società,
nell’intento di creare una cesura con la società datrice di lavoro
precedente e di rendere inapplicabili i contratti collettivi di cui
era stata firmataria anche la Fiom – Cgil. La New- co a sua volta
è firmataria del contratto collettivo qualificato come di “primo
livello” allo scopo di rimarcare la non applicazione del contratto
collettivo nazionale; infine, la cessione dei rapporti di lavoro
mediante contratti individuali sottoscritti dai singoli dipendenti
contenenti la dichiarazione di accettare esplicitamente tale
nuovo contratto collettivo sembra implicare adesione al nuovo
assetto.
Occorre, tuttavia, considerare la natura dell’organismo
unitario e la disciplina invocabile a tutela del diritto inderogabile
alle rappresentanze nei luoghi di lavoro riconosciuto in capo ai
lavoratori.
a) Quanto al primo profilo, pur essendo l’origine delle r.s.u.
dipendente da una fonte negoziale, la costituzione elettiva,
mediante partecipazione da parte di tutti i lavoratori, iscritti e
non iscritti, pone in risalto il nesso che lega l’organismo al
proprio corpo elettorale. Se quest’ultimo si mantiene identico
anche dopo il cambiamento del datore di lavoro, non si vede
ragione di escludere che resti in carica la loro istanza
rappresentativa. Nel caso, poi, la costituzione della New – co
non impedisce l’applicazione della disciplina sul trasferimento
d’azienda, trattandosi di scissione societaria contemplata dalla
normativa come rientrante nel campo di applicazione della
disciplina in materia. A tal proposito, la declaratoria delle parti
che esclude trattarsi di trasferimento d’azienda, e la c.d.
“cessione contrattuale” dei singoli rapporti di lavoro non sono in
grado di dispiegare efficacia irreversibile, data l’inderogabilità
della disciplina legislativa tesa a salvaguardare la continuità dei
diritti individuali anche in materia sindacale, e dunque non
10
preclude la verifica giudiziale delle circostanze emergenti dalla
vicenda (Ferraro 2010, Angiolini 2011, Scarpelli 2010).
L’analisi della situazione di fatto mostra che ricorrono tutti i
presupposti stabiliti dalla legge e dalla giurisprudenza
consolidata per la qualificazione dell’operazione a stregua di un
vero e proprio trasferimento d’azienda, come si desume dal fatto
che l’unità produttiva nella sua materialità è rimasta tale e che i
lavoratori sono passati tutti alle dipendenze della nuova società
la quale continuerà nella medesima attività produttiva.
Alla luce di ciò, sono da ritenere applicabili le norme che
regolano, tra l’altro, i profili collettivi ed il mantenimento in
capo ai lavoratori trasferiti del trattamento già applicato nella
medesima unità produttiva almeno per la durata di un anno,
garanzia sostanziale che resta immune dall’effetto della revoca
dell’iscrizione del datore di lavoro all’associazione di categoria
si desume e dalla disdetta del contratto collettivo nazionale. Ai
sensi dell’art.2112, 1°c., fra i diritti la cui conservazione è
garantita al lavoratore trasferito include quello di esercitare le
funzioni e di godere delle prerogative di componente delle r.s.u.
onde conservare «quel vincolo fra elettori ed eletti che sta alla
base di ogni sistema elettorale» (Cester 2006, p. 177). La
garanzia non viene meno neppure a causa della sottoscrizione da
parte dei dipendenti del contratto individuale che contiene
l’accettazione dell’accordo Mirafiori, che non è in grado di
costituire una revoca del mandato elettorale, e di conseguenza le
r.s.u. resteranno in carica quanto meno fino alla scadenza del
loro mandato.
Un’ulteriore obiezione potrebbe consistere nell’invocare
l’effetto sostitutivo del precedente contratto in vigore, ai sensi
dell’art. 2112, c. 3, che verrebbe dispiegato dall’accordo
separato. In senso contrario, tuttavia, occorre puntualizzare che
esso non appartiene allo stesso livello di quello a cui sono
imputabili le r.s.u., disciplinate dell’AI del 1993 e dal contratto
collettivo nazionale. Nonostante sia qualificato formalmente
dalle parti stipulanti come contratto di primo livello, neppure in
questo caso la declaratoria è da considerare valida ai fini
dell’applicazione della legge, dovendosi anche in questo caso
privilegiare l’elemento sostanziale di essere stato sottoscritto
direttamente dal datore di lavoro che lo rende, secondo la
consolidata dottrina, un contratto collettivo aziendale.
b) Un ostacolo alla stabilità dall’organismo unitario
potrebbe derivare dalla circostanza della fuoriuscita da parte
delle componenti che sono andate a formare le r.s.a. riconosciute
dall’accordo Mirafiori in contrasto con la clausola di
“salvaguardia” contemplata dal Protocollo del 1993
11
appositamente per evitare le conseguenze negative prodottesi al
momento della prima rottura tra le maggiori confederazioni sul
versante dei Consigli di Fabbrica. Il Protocollo, prevedendo che
le r.s.u. subentrino nella titolarità delle prerogative dalla legge
assegnate alle r.s.a. 5 , impegna altresì le oo.ss. che partecipano
all’elezione a non rivendicare la costituzione di proprie r.s.a.
(art. 8, parte I, AI sulle r.s.u. del 19.12.93), rinuncia
controbilanciata dalla garanzia della titolarità diretta stabilita nei
confronti dei sindacati stipulanti il contratto nazionale di lavoro
di una quota delle prerogative spettanti all’organismo unitario.
La costituzione delle r.s.a. da parte dei sindacati stipulanti
l’accordo separato solleva dunque la questione se ne derivi la
conseguenza dell’automatico venir meno dell’organismo elettivo
a causa della c.d. “doppia legittimazione” di cui godono le r.s.u.
Il venir meno del loro riconoscimento da parte di alcune
organizzazioni sindacali determinerebbe, in sostanza, la
mancanza di una condizione essenziale per la loro esistenza.
E’ noto che si tratta di materia controversa, ma è opportuno
richiamare quanto già detto in merito alla composizione
dell’organismo unitario, che si distingue fra una componente
tipicamente associativa, il c.d. terzo riservato, ed una
componente eletta da tutti i lavoratori dell’impresa o unità
produttiva. Mentre le r.s.u. di matrice strettamente associativa
possono essere considerate organi del sindacato che le designa,
le altre traggono direttamente la loro legittimazione dall’esito
elettorale (Mariucci 1995; Ferraro 1996; Campanella 1998,
Cester 2006; Scarponi 2006) che non è soltanto strumento di
misurazione della rappresentatività dei sindacati che vi
partecipano.
Di conseguenza, le caratteristiche genetiche
dell’organismo prevalgono sulle vicende inerenti il suo
funzionamento e ciò implica che le componenti residue delle
r.s.u. elette da tutti i dipendenti dello stabilimento restano in
carica almeno fino alla loro scadenza. Per ciò che riguarda la
sopravvivenza dell’organismo è del resto lo stesso AI che all’art.
6, co. 2, a stabilirne la decadenza in caso di dimissioni solo se
esse raggiungono più del 50% dei suoi membri, e prevedendo in
questo caso che siano indette nuove elezioni.
La tesi è coerente con il fatto che, pur trattandosi di un
organismo collegiale, la sua natura - come propende la
maggioranza della dottrina e della giurisprudenza alla luce dalle
5
Ai sensi dell’art. 5, parte I dell’AI del 19.12.1993, «le r.s.u.
subentrano alle r.s.a. ... nella titolarità dei poteri e nell’esercizio delle
funzioni ad essi spettanti per effetto di disposizioni di legge», e ai sensi
dell’art.4, parte I, «i suoi componenti succedono ai dirigenti delle r.s.a. per
quanto concerne la titolarità dei diritti di cui al Tit. III St. Lav.».
12
regole contenute nella disciplina negoziale valida nel settore
privato, 6 è a carattere unitario ma plurisoggettivo 7 , dando luogo
alla titolarità separata delle prerogative in materia di permessi e
di assemblea (Campanella 1998; Scarponi 2006, contra Cester
2006). L’uscita di alcune componenti dall’organismo al fine
costituire le r.s.a. separate non è idonea, pertanto, a provocare
automaticamente né la decadenza dell’organismo né la perdita
della titolarità dei diritti di organizzazione proprie delle
componenti residue. Si potrà porre semmai il dubbio se anche le
organizzazioni sindacali nazionali non firmatarie dell’accordo
Mirafiori, ma del ccnl del 2008, possano continuare a fruire
della loro quota di permessi e ore di assemblea (Santoro
Passarelli 2010, p. 521). Nei loro confronti non si può, infatti,
invocare la legittimazione elettiva, e dunque la loro posizione al
riguardo segue la sorte del contratto nazionale.
Per concludere su questo punto, se il valore rilevante è la
tutela sindacale dei lavoratori che hanno eletto i propri
rappresentanti e beneficiano della loro attività, la decadenza
dallo status di delegato delle r.s.u. non può dipendere
dall’operare dei diversi tasselli posti in essere nella vicenda Fiat.
4. I diritti di partecipazione alle decisioni dell’impresa
Un altro profilo controverso riguarda la soluzione
negoziale che riserva i diritti di partecipazione alle decisioni
dell’impresa alle sole r.s.a. delle oo.ss. stipulanti l’accordo
separato sul presupposto della inapplicabilità della disciplina
prevista dal ccnl del 2008. Non si possono trascurare, al
riguardo, i vincoli di sistema derivanti dal diritto comunitario
del lavoro che impongono di rispettare i diritti di informazione e
consultazione previsti nei confronti “dei lavoratori e delle loro
rappresentanze”, e conferiscono pertanto una doppia titolarità
(da ultimo Alaimo 2009, p. 692) che riveste essa stessa natura
inderogabile mediante il significativo riconoscimento da parte
dell’art. 27 della Carta europea dei diritti fondamentali che
completa le direttive in materia 8 . Il rango primario assunto dai
diritti fondamentali europei si traduce nel loro grado rafforzato
6
In particolare dalle formulazione degli artt. 4 e 5 dell’AI del 1993
che si riferiscono alle “componenti” delle r.s.u. e utilizzano il plurale.
7
Cfr. Cass. 1892/2005 che sostiene la titolarità disgiunta delle
prerogative in materia di assemblea argomentando sulla base del testo
dell’art. 4 e 5 dell’AI del 1993, e sulla base del coordinamento con l’art. 20
St. Lav.
8
13
di efficacia, che può essere fatta valere anche nelle controversie
tra privati, secondo le conclusioni ribadite in più occasioni da
parte della giurisprudenza della Corte di giustizia, benché
criticata ( Ballestrero 2011). Inoltre, sebbene le rappresentanze
dei lavoratori seguano diverse discipline nell’ambito dei paesi
aderenti alla UE, a seconda della prevalenza o meno del “doppio
canale” di rappresentanza, il dato comune ontologicamente
necessario è che si tratti di rappresentanze permanenti di tutti i
lavoratori, la cui costituzione non può dipendere dalla mera
volontà del datore di lavoro o di altri sindacati di riconoscerne
l’esistenza (Roccella – Treu 2010, p. 361) 9 . In modo conforme
alla disciplina europea, la legislazione italiana di trasposizione
della D. 2002/14/Ce, direttiva - quadro sul diritto di
informazione e consultazione dei lavoratori, ha dato
significativa conferma sia alle r.s.a. che alle r.s.u. quali
organismi di rappresentanza dei lavoratori 10 .
Dal quadro descritto emergono, dunque, sufficienti
indicazioni per ritenere che il diritto di ogni lavoratore ad avere
proprie rappresentanze ai fini degli istituti partecipativi non
possa essere limitato da soluzioni come quella prevalsa
nell’accordo che intende ridurre il riconoscimento delle r.s.a.
alle sole organizzazioni stipulanti, al cui consenso è
ulteriormente subordinata l’eventuale successiva sottoscrizione
da parte di altri sindacati, configurandosi in tal modo benefici
riservati estendibili esclusivamente in via potestativa. L’assetto
così delineato, oltre a contrastare palesemente con il dettato
legislativo comunitario e interno appena richiamato, e a
sollevare dubbi di contrasto con il divieto sancito dall’art.17 St.
Lav. , si traduce in un’ipertrofia del modello associativo che
crea una lacuna di rappresentanza nei confronti di una parte dei
dipendenti, in contrasto con la valenza di diritto fondamentale
rivestita dal diritto in questione.
5. Cenni conclusivi: le proposte di riforma
Si è cercato fin qui di individuare un percorso ricostruttivo
in grado di fronteggiare quello di decostruzione derivante dalle
9
Si veda la famosa sentenza Cgue 8 giugno 1994, C-383/92,
Commissione v. Regno Unito.
10
Ai sensi dell’art.2, d.lgs. 25/2007, lett d)
i rappresentanti dei
lavoratori sono individuati mediante rinvio alla disciplina legislativa – id est
l’art.19 St. Lav. - e a quella contrattuale, richiamandosi a tal fine
espressamente l’AI del 1993 sulle r.s.u. nonché quello gemello attinente il
settore pubblico del 1994, e rinviando, in difetto di applicazione di tali
accordi, ai contratti collettivi nazionali.
14
ultime tappe della vicenda Fiat. Ciò non implica sottovalutare le
difficoltà del sistema normativo attuale relativo alle
rappresentanze nei luoghi di lavoro, caratterizzato dalla difficile
convivenza dei due modelli di organizzazione sindacale,
associativo ed elettivo, rispetto al quale sarebbe stato opportuno
giungere da tempo ad una riforma legislativa che, tuttavia, è
stata impedita dall’approccio omnicomprensivo che ha
caratterizzato il dibattito sulle proposte di riforma, ormai
pluridecennale. Non si è mai inteso, in sostanza, scindere la
questione della disciplina sulle rappresentanze nei luoghi di
lavoro da quelle inerente l’efficacia del contratto collettivo, tema
riattualizzato dopo l’AI separato del 2009 ( Roccella 2010, p.
249), ma incontrando in tal modo ostacoli ideologici difficili da
superare tenuto conto delle peculiarità del sistema italiano,
caratterizzato dalla prevalenza del sistema sindacale “di fatto” e
dal c.d. “canale unico” di rappresentanza nei luoghi di lavoro.
Sotto quest’ultimo punto di vista, la vicenda in oggetto
potrebbe suggerire l’idea che sia tempo di abbandonare tale
“felice anomalia”, soprattutto se si condivide l’ipotesi che si
tratti di un “prototipo” destinato ad estendersi a macchia d’olio
nelle altre imprese, soprattutto quelle a carattere multinazionale
(Bavaro 2010; contra Scarpelli 2010; Mariucci 2011). In senso
contrario non vanno trascurati, tuttavia, alcuni elementi
rilevanti, pur essendo evidente la fragilità dell’attuale sistema di
relazioni sindacali.
Occorre, infatti, considerare sia l’importanza della Fiom
– Cgil quale attore delle relazioni industriali nel Paese, sia la
propensione mostrata da altre imprese multinazionali dislocate
in Italia ad affrontato in modo ben diverso i problemi posti
dall’emergenza economica, percorrendo la via negoziale per
giungere alla stipulazione di accordi che hanno permesso di
evitare le delocalizzazioni mediante strategie che non hanno
rimesso in discussione il sistema di garanzie sostanziali e
sindacali proprie della tutela dei lavoratori (Scarponi 2011).
D’altra parte, è pur vero che i limiti del sistema attuale
sono stati posti in luce impietosamente, soprattutto sotto il
profilo della debolezza delle soluzioni basate prevalentemente
su regole negoziali in materia di relazioni sindacali, e
sull’assetto post-referendario concernente le rappresentanze
sindacali nei luoghi di lavoro. Pur essendo possibile, come si è
cercato di porre in luce (supra § 2), configurare in vari modi
un’interpretazione “adeguatrice” dell’art.19 St. Lav. in grado di
superare lo scoglio posto dal fatto che il sistema dei diritti di
organizzazione non può essere esclusivamente “servente”
15
rispetto a quello negoziale, non ci si può nascondere l’utilità di
un intervento legislativo.
A parere di chi scrive, contrariamente alle proposte
presentate finora 11 , per risolvere la contraddizione principale
originata dalla vicenda Fiat-Mirafiori, esso potrebbe assumere
una portata minimale limitandosi a fornire l’interpretazione
autentica della norma, stabilendo che il termine “sindacati
firmatari dei contratti collettivi” debba intendersi come sindacati
“effettivamente partecipanti alle trattative”, cosicché si giunga a
salvaguardare i valori del pluralismo e della libertà sindacale
propri del nostro ordinamento costituzionale e ad eliminare la
più vistosa aporia indotta dalla vicenda Fiat sul versante dei
diritti sindacali in azienda. L’approccio minimalista qui
caldeggiato non implica trascurare le altre ragioni di debolezza
emerse nel corso della vicenda Fiat, dovute sia alla carenza di
strumenti legali di misurazione della rappresentatività dei
sindacati ai fini della stipulazione del contratto collettivo, sia al
venir meno del ruolo di agenti negoziale delle r.s.u. e della loro
stessa sopravvivenza di fronte a mutamenti del quadro di regole
proprie del sistema basato sul principio volontaristico.
Affrontando la riflessione in proposito, occorre in primo
luogo chiedersi quanto del dibattito pluridecennale sulle nuove
regole sindacali sia ancora attuale: per es. la proposta di
applicare al settore privato le regole vigenti nel settore pubblico,
con gli adeguati aggiustamenti, ma pur sempre fondandosi sulla
costituzione di rappresentanze elettive a livello aziendale come
perno dell’intero sistema, a cui rapportare sia le regole di
misurazione della rappresentatività delle organizzazioni
sindacali e sia quelle della stipulazione dei contratti collettivi, di
qualunque livello siano. Soluzione da bilanciare altresì con la
salvaguardia del versante associativo ed il riconoscimento
dell’importanza delle organizzazioni sovra-aziendali.
In merito, è ancora valida la tesi formulata nel corso degli
anni ’90 da chi (D’Antona 1998, p.665) invocava un
provvedimento in grado di integrare la legislazione di sostegno
statutaria per rispondere all’evoluzione dell’ordinamento
lavoristico verso la costante interazione tra versante statuale e
11
Si tratta del d.d.l. 1872 del 2009, primo firmatario P. Ichino,
intitolato “Codice dei rapporti sindacali, modifica degli artt. 2063 – 2068 del
codice civile” e della Proposta di legge di iniziativa popolare “Regole
democratiche sulle rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro, la
rappresentatività delle organizzazioni sindacali e il referendum per l’efficacia
dei contratti collettivi di lavoro”, in G. U. n. 46 del 25 febbraio 2010. E’
tuttora in corso una discussione tra le maggiori confederazioni sindacali su
una diversa proposta.
16
versante sindacale, e l’attribuzione di prerogative anche di tipo
derogatorio in senso peggiorativo nei confronti di garanzie
legali, oltre che contrattuali, alle organizzazioni sindacali e alle
rappresentanze dei lavoratori nei luoghi di lavoro. Essa
presuppone la necessità di accertare la rappresentatività
sindacale effettiva, che non può sottrarsi ad una verifica del
consenso anche dal punto di vista elettorale, secondo elezioni
aperte a tutti i lavoratori, iscritti e non iscritti.
A tale esigenza si riallaccia la proposta di recente
formulata, anch’essa incentrata solo sulla riforma dell’art.19 St.
Lav. (Mariucci 2011), di una legge che dichiari il valore
meramente presuntivo da attribuire al criterio della stipulazione
del contratto collettivo, inserendo inoltre nella disposizione il
riconoscimento del diritto alle r.s.a. costituite nell’ambito delle
organizzazioni sindacali che raggiungano una soglia minima (
da determinare ) di consensi come mix tra iscritti ed eletti nelle
rappresentanze nei luoghi di lavoro. Un ulteriore contenuto
dell’ auspicata riforma riguarda il riconoscimento legislativo del
diritto di ciascun lavoratore ad eleggere proprie rappresentanze
nei luoghi di lavoro, coniugato a strumenti in grado di favorire
la misurazione della rappresentatività in modo universalistico e
trasparente, senza trascurare il versante associativo, a tal fine
riadattando opportunamente il sistema in vigore nel settore
pubblico. Quest’ultima scelta è condivisa, ma in un’ottica più
ampia, dalla proposta di iniziativa popolare avanzata dalla Cgil,
ed altresì dal d.d.l. n. 1872/2009 presentato al Senato di cui è
primo firmatario Pietro Ichino. Le due proposte si differenziano,
peraltro, nelle scelte circa le prerogative dell’organismo elettivo,
il rapporto con le organizzazioni sindacali sovra - aziendali, e le
regole decisionali.
Senza addentrarci in un’analisi dettagliata in questa sede,
occorre riprendere l’osservazione sull’assetto attuale delle r.s.u.
che, come mostra la vicenda Fiat, è molto debole e sottoposto a
tensioni continue in caso di disunità sindacale con il rischio che
l’organismo perda la propria autonomia decisionale e addirittura
decada anche in assenza di un accordo sindacale unitario sul
punto. Ciò rappresenta un nodo cruciale, rispetto al quale
l’alternativa del “doppio canale” di rappresentanza nei luoghi di
lavoro potrebbe essere ritenuta più opportuna e consona al
panorama europeo. In merito, ci si limita a puntualizzare che
occorrerebbe in questa logica scegliere quale dei diversi modelli
adottare fra quelli presenti negli ordinamenti europei, ed altresì
come ovviare alle perplessità dovute al fatto che sovente gli
organismi elettivi divengono di fatto agenti negoziali. Prima di
abbandonare pertanto la caratteristica storica del sindacalismo
17
italiano, pare più opportuno riflettere sull’importanza di
strumenti che favoriscano l’aggregazione anziché la divisione
tra le diverse componenti sindacali, dato che il pluralismo
competitivo, nella situazione attuale caratterizzata da una forte
concorrenzialità anche fra imprese e mercati nazionali, espone al
rischio di un indebolimento eccessivo della strategia
contrattuale.
Da ultimo, occorre soffermarsi su un altro elemento posto
in luce dalla vicenda in esame.
La complessità della
contrattazione con le imprese multinazionali, particolarmente in
situazione di crisi economica, come del resto emerge dalla
produzione dottrinale e giurisprudenziale maturata intorno agli
istituti giuridici tipici delle crisi di impresa, pone sovente il
quesito sul modo di risolvere il conflitto tra il sistema di
rappresentanza dei diritti e quello di rappresentanza degli
interessi. In questi casi, il ricorso a strumenti tipici della
democrazia diretta, quale il referendum, è complicato dal fatto
che a tali situazioni sono collegate una pluralità di istanze che
richiedono la ricerca di equilibri adeguati tra la tutela dei
lavoratori dell’azienda locale con quella dei lavoratori di altri
paesi. L’esigenza di trattare adeguatamente un conflitto più
ampio tra interessi divergenti richiederebbe, inoltre,
l’allargamento dei soggetti sindacali, non solo nazionali ma
anche europei e/o internazionali, ed un collegamento
organizzativo appropriato fra le diverse istanze che
rappresentano i lavoratori.
In tale situazione è evidente che il ricorso a strumenti di
verifica del consenso di tutti i rappresentati, come il referendum,
oltre alle perplessità ben note dovute alla sua valenza
antiassociativa, comporta altresì il rischio di esautorare le
rappresentanze dei lavoratori nei luoghi di lavoro, come è
avvenuto nel caso dell’accordo Mirafiori, e di essere inadeguato
rispetto alla complessità della situazione complessiva che rende
più opportuno privilegiare la democrazia rappresentativa rispetto
alla democrazia diretta. Soltanto con opportuni collegamenti
organizzativi allargati alla dimensione sovranazionale appare
più agevole reperire una soluzione adeguata alla dimensione
transnazionale dell’impresa che, peraltro, richiederebbe altresì
vincoli appropriati volti a restringerne l’estrema libertà
derivante dalle dinamiche insite nella globalizzazione
economica oramai ben note. La semplice minaccia di trasferire
la produzione altrove, o di de localizzare una parte dell’impresa
conferisce in tal senso un potere in capo alla direzione aziendale
molto simile all’antica manifestazione di lotta consistente nel
18
ricorso alla serrata, e che, a differenza di quella, resta privo di
alcun tipo di sanzione.
Occorre, dunque, essere consapevoli che in casi di tal
fatta il ricorso al referendum tra i lavoratori, che in generale può
ben svolgere una funzione utile a dirimere i conflitti emersi fra
lavoratori e propri rappresentanti, o anche fra diverse
organizzazioni sindacali, rischia di essere svolto in assenza di
effettiva libertà di scelta da parte dei lavoratori. Nel caso
dell’accordo Mirafiori, come a suo tempo ha rilevato Massimo
Roccella, non è neppure stata rispettata la titolarità ad indire il
referendum in capo alle r.s.u., ed ha assunto la connotazione di
una ratifica che, nelle condizioni date, era agevole prevedere vi
sarebbe stata. Si è verificata, in tal modo, un’alterazione del
normale funzionamento del rapporto tra organismo elettivo e
ricorso allo strumento referendario data la mancanza, che
andrebbe colmata in chiave di riforma, di regole adeguate di
garanzia che consentano di mantenere un equilibrio tra i diversi
momenti in cui si realizza il sistema di democrazia sindacale
tenendo conto, altresì, dell’esigenza di definire le regole circa le
procedure, le soglie decisionali e le sanzioni. L’esigenza di
evitare rischi di fratture dirompenti tra i lavoratori, oppure di
atteggiamenti opportunistici, suggerisce in questi casi di
considerarlo come extrema ratio.
I nodi da affrontare in chiave di più ampia riforma sono
dunque molteplici, dovendosi affrontare il problema del
riconoscimento delle competenze delle r.s.a. e delle r.s.u., e
quello del coordinamento con le istanze rappresentative a livello
trasnanzionale, nonché con i sindacati sovraziendali nazionali ed
europei.
Data l’ampia gamma degli attori in campo, è ancor
più arduo individuare il criterio per l’adozione delle decisioni in
caso di dissenso tra le diverse istanze di rappresentanza dei
lavoratori.
L’applicazione del principio di maggioranza
semplice appare riduttiva della complessità delle situazioni in
gioco, senza contare che esso non è adeguato al versante
privatistico cui sono ascrivibili i prodotti dell’autonomia
collettiva, e a cui è più proprio il criterio dell’unanimità secondo
l’insegnamento di autorevole dottrina.
Sembra più opportuno allora concepire modi adeguati di
coordinamento tra le organizzazioni sovraziendali nazionali,
come per es. la necessaria approvazione del sindacato
maggioritario a livello di categoria che in prospettiva di riforma
appare molto più coerente con il modello costituzionale fatto
proprio dall’art. 39, seconda parte. Senza dimenticare, infine,
che le imprese transnazionali impongono una visione diversa
anche dal lato delle organizzazioni sindacali, tale da far
19
emergere il più possibile l’interesse transnazionale dei
lavoratori, ed un’adeguata capacità di regolamentazione sia a
livello nazionale che transnazionale delle prerogative
imprenditoriali.
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