Gli effetti della vicenda Fiat sulle rappresentanze nei luoghi di
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Gli effetti della vicenda Fiat sulle rappresentanze nei luoghi di
Un’arancia meccanica: l’accordo separato Fiat - Mirafiori e le rappresentanze nei luoghi di lavoro. Quali prospettive? di Stefania Scarponi Sommario: 1. Un’arancia meccanica. - 2. Il diritto a costituire r.s.a. nel quadro della giurisprudenza in materia di art.19 St. Lav. – 3. Le conseguenze dell’accordo separato nei confronti delle r.s.u. – 4. I diritti di partecipazione alle decisioni dell’impresa. – 5. Cenni conclusivi: le proposte di riforma. 1. Un’arancia meccanica La vicenda Fiat ha assunto nel suo andamento complessivo la caratteristica di un meccanismo ad orologeria, ponendo in luce quale fosse la posta in gioco nei confronti dell’assetto storicamente consolidato delle relazioni sindacali e dell’interazione tra ordinamento intersindacale e quadro legale, con effetto dirompente sul complesso dei diritti e prerogative proprie delle rappresentanze nei luoghi di lavoro. Rinviando alla parte finale del contributo qualche osservazione sul modello imposto dall’impresa transnazionale, si vuole puntualizzare fin d’ora che la scelta di incentrare sulla dimensione aziendale lo sviluppo della contrattazione collettiva rende ancor più significative le modifiche richiamate. La nuova architettura conseguente al succedersi delle scelte operate da parte della Fiat nel corso dell’ultimo anno (Carinci 2010) è basata su un complesso sviluppo di tecniche volte a rendere inapplicabile la disciplina dei contratti collettivi, e di conseguenza anche quella in materia di r.s.u., mediante il combinarsi della disdetta da parte della Confindustria del contratto nazionale di lavoro del settore metalmeccanico stipulato unitariamente nel 2008, disdetta la cui portata è tuttavia discussa (Roccella 2010a), con la revoca da parte della Fiat dell’iscrizione alla Confindustria in modo da far cessare ogni vincolo negoziale (De Luca Tamajo 2010, p. 797) compreso quello derivante dall’accordo interconfederale (d’ora in poi AI) del 2009; ed infine mediante la costituzione di una nuova società New-co, stipulante l’accordo Mirafiori del 23 dicembre 2010, accompagnato dalla cessione dei contratti di lavoro e dalla sottoscrizione di nuovi contratti individuali che rinviano a tale accordo. In materia di r.s.u, la disciplina nazionale rimasta invariata anche dopo l’AI che si è limitato a rinviare ad una successiva 1 fase di contrattazione1 , è stata modificata dall’accordo Mirafiori e da quello immediatamente successivo per lo stabilimento di Pomigliano. Entrambi contengono un Allegato 1, dedicato ai diritti sindacali, che prevede la clausola di “esclusiva” secondo la quale solo le organizzazioni sindacali firmatarie dell’accordo stesso hanno diritto a costituire proprie rappresentanze nei luoghi di lavoro, r.s,a a cui sono riservate le prerogative e tutele contemplate dal tit.III dello Statuto dei lavoratori e quelle previste dall’accordo stesso. L’assetto descritto pone in risalto in primo luogo le conseguenze sistemiche indotte sul versante dei diritti sindacali dal suo combinarsi con le regole statutarie, posto che la norma chiave, l’art.19 St. Lav., secondo il testo di risulta successivo al referendum del 1995, implicherebbe come conseguenza l’esclusione della Fiom – Cgil dalla titolarità a rivendicare l’applicazione dello statuto dei lavoratori in quanto non firmataria dell’accordo aziendale e neppure di altri contratti applicati nell’unità produttiva quando il contratto nazionale cesserà di essere in vigore. La vicenda complessiva ha fatto emergere in maniera eclatante, dunque, le aporie del quadro normativo in materia di rappresentanze nei luoghi di lavoro dovuto al sovrapporsi del versante organizzativo, concernente la titolarità dei diritti sindacali in azienda, a quello negoziale, consistente nella stipulazione del contratto collettivo quale sua condizione essenziale, e rendendo in tal modo il secondo funzionale al primo. La consapevolezza di tale anomalia aveva indotto fin dal momento successivo all’esito referendario la dottrina più avvertita a sollecitare un’immediata riforma legislativa (Ferraro 1996; Mariucci 1996). Il rischio, segnalato altresì dal “padre dello Statuto” (Giugni 1995), era fondato non soltanto sul timore che la volontà di non perdere la titolarità delle prerogative potesse influenzare le organizzazioni dei lavoratori nell’attività di sottoscrizione dei contratti collettivi, ma soprattutto sull’eventualità che la mancata sottoscrizione di contratti collettivi determinasse la perdita dei poteri, diritti e tutele riconosciute dallo Statuto anche in capo ad organizzazioni sindacali ad alto seguito associativo o elettivo. Esito a suo tempo non considerato dai proponenti del referendum al punto da giustificare il giudizio sferzante di “apprendisti stregoni” 1 Il punto 7.1 dell’accordo interconfederale attuativo rinvia «ad uno specifico accordo interconfederale per rivedere ed aggiornare le regole pattizie che disciplinano la rappresentanza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, valutando le diverse ipotesi che possono essere adottate con accordo ivi compresa la certificazione all’Inps dei dati di iscrizione sindacale». 2 espresso nei loro confronti da chi pure aveva condiviso le critiche al precedente modello statutario fondato prevalentemente sul criterio della maggiore rappresentatività delle confederazioni nazionali (Ghezzi 1996). In sostanza, il modello post-referendario deve (doveva) essere valutato non tanto sulla sua maggiore o minore “inclusività”, quanto sulla trasformazione del titolo III in una legislazione servente del sistema contrattuale, che differenzia il trattamento tra diverse organizzazioni secondo il loro “rendimento contrattuale”, e può così influenzare il comportamento negoziale sia del datore di lavoro nell’esercizio del suo potere di accreditamento, sia delle organizzazioni sindacali, che potrebbero essere indotte ad atteggiamenti esclusivi (per un riepilogo del dibattito mi permetto di rinviare a Scarponi 2005). La vicenda Fiat, rendendo concreto l’evento a suo tempo ipotizzato, si è incaricata di smentire la tranquillità con cui molta parte della dottrina ha considerato positivamente l’ingresso della disciplina legale sulle r.s.a basata sul nuovo testo dell’art.19 St. Lav., ritenendola un opportuno completamento di quella sulle r.s.u (per tutti Gragnoli 2003) per preservare il modello associativo del sindacato, storicamente e costituzionalmente imprescindibile. L’opinione trascurava, peraltro, che la soluzione accolta dal Protocollo del 1993 permette comunque di assicurare la tutela del versante associativo, data la sua composizione che riserva un terzo dei seggi alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto nazionale; soluzione criticata e suscettibile di modifiche migliorative (Fontana 2004), ma pur sempre tale da superare le preoccupazioni di chi temeva la scomparsa della dimensione associativa nelle rappresentanze sui luoghi di lavoro. L’esito paradossale prevalso a seguito degli accordi Fiat è di aver provocato la conseguenza esattamente opposta, favorendo le r.s.a e determinando la scomparsa delle r.s.u negli stabilimenti cui si applica il nuovo assetto negoziale, privando così i lavoratori di un organismo di rappresentanza costituito in modo universalistico con elezioni a partecipazione estesa a tutti i dipendenti (Mariucci 2011, nonché infra § 3). Per comprendere l’esatta natura della situazione venutasi a creare ed i possibili rimedi in chiave interpretativa e/o legislativa, è opportuno ripercorrere brevemente le argomentazioni della giurisprudenza costituzionale in materia, formata dalle pronunce degli anni ’90, mediante le quali si è tentata la razionalizzazione della soluzione inerente l’art.19 St. Lav. escludendone i profili di incostituzionalità attraverso un’interpretazione “adeguatrice” rispetto ai valori del pluralismo 3 e della libertà di organizzazione sindacale incorporati nella Carta costituzionale. 2. Il diritto a costituire r.s.a. e la giurisprudenza in materia di art.19 St. Lav. E’ utile ricordare che il presupposto su cui si è fondata la proposta referendaria era costituito dalla critica al modello fondato sul criterio della maggiore rappresentatività confederale, in quanto non idoneo ad evitare i rischi derivanti sia dall’ “autoreferenzialità” propria del riferimento alla maggiore rappresentatività confederale, privo di strumenti efficaci di verifica, sia dalla c.d. “rappresentatività irradiata” - per cui era sufficiente ad un’organizzazione sindacale aderire ad una confederazione maggiormente rappresentativa sul piano nazionale per aver diritto automaticamente alla titolarità dei diritti di organizzazione nei luoghi di lavoro. Tali ragioni critiche erano state accolte dalla sentenza della Corte costituzionale n. 30/90, il cui contenuto più condivisibile è di riconoscere l’esigenza di misurare l’effettivo seguito raggiunto da ciascun sindacato come presupposto per l’attribuzione dei diritti aggiuntivi in azienda propri del Tit. III dello Statuto dei lavoratori. La Corte in quell’occasione aveva, infatti, sollecitato il legislatore ad approntare strumenti di misurazione dell’effettivo seguito conseguito da ciascuna organizzazione sindacale anche secondo parametri quantitativi, invocando l’integrazione del quadro normativo mediante: « gli indici di rappresentatività, i modi di verifica del consenso, l’ambito in cui questo deve essere effettuato, i criteri di proporzionalità della rappresentanza e gli strumenti di salvaguardia degli obiettivi solidaristici ed egualitari del sindacato ». La rilevanza della rappresentatività effettiva posseduta dalle organizzazioni sindacali è stata affermata dopo il referendum dalla sentenza C. Cost. n. 495/96 che, offrendo una lettura “unificante” del nuovo sistema, ha affermato due principi cardine: il riferimento al criterio della stipulazione dei contratti collettivi è un indice presuntivo del possesso della rappresentatività sindacale; quest’ultima è un valore immanente all’ordinamento costituzionale che conferisce “razionalità” all’intero sistema e richiede la misurazione del seguito di consensi raggiunto da ogni organizzazione sindacale. La rappresentatività “verificata” sembra assumere, secondo la pronuncia, una valenza anche superiore allo stesso criterio di “effettività” pure prevalso nel testo della norma modificata. Di 4 conseguenza, la firma del contratto collettivo è ritenuta rilevante non di per sé, ma come indice della rappresentatività del sindacato che, dunque, potrà essere dimostrata altrimenti, rendendo opportuno un intervento legislativo che anche tale sentenza esorta ad adottare. Ispirandosi a tale orientamento, non si può che convenire con la tesi formulata in merito alla vicenda Fiat (Romagnoli 2010; Ferraro 2010) secondo la quale, se l’art.19 St. Lav. fosse interpretato nel senso di impedire alla Fiom di rivendicare i diritti e le prerogative di costituire proprie r.s.a., tenuto conto della sua consistenza associativa e del consenso elettorale raggiunto nell’elezione delle r.s.u., non si potrebbe sfuggire alla incostituzionalità della norma. Non si può tuttavia trascurare, in merito alla costituzionalità della norma “di risulta”, la portata della sentenza di poco successiva a quella appena richiamata, C. Cost. n. 244/1995, che ne ha condiviso solo parzialmente l’argomentazione. Secondo la sentenza, il requisito contenuto nella norma “di risulta” corrisponde a “criteri ragionevoli di differenziazione” tra organizzazioni sindacali, e pertanto non è considerata indispensabile ai fini della sua costituzionalità la possibilità di dimostrare altrimenti il possesso di rappresentatività. L’affermazione pare dovuta prevalentemente all’assenza di strumenti adeguati di verifica del seguito effettivo delle organizzazioni sindacali, tant’è che la stessa pronuncia non ha negato l’eventualità di un intervento legislativo per introdurre criteri alternativi, proponendo quello associativo oppure quello elettorale, «se attuato in modo trasparente e universalistico», in cui si può leggere la critica della soluzione accolta dal Protocollo del 1993 in materia di r.s.u., per l’assenza di piena trasparenza delle sue modalità di costituzione data la soluzione concernente il c.d. “terzo riservato”. Anche quest’ultima sentenza, dunque, pur assumendo un tenore leggermente diverso dalle precedenti, non nega l’importanza della verifica del seguito ottenuto da ogni sindacato, da considerare dunque a stregua di criterio che ne dovrebbe permettere l’accertamento della rappresentatività in modo alternativo, ma certo non incompatibile con quello costituito dalla sottoscrizione del contratto collettivo 2 . 2 In senso oscillante si è espressa la giurisprudenza di legittimità. Cfr. Cass. sez. lav. n. 12584/2002 che ha ribadito essere «il criterio della sottoscrizione dei contratti collettivi rientrante nei canoni della razionalità, divenendo di conseguenza irrilevante la possibilità per le medesime dimostrare altrimenti la propria rappresentatività»; contra Cass. sez. lav. 12584/2002 afferma: «il criterio del grado di rappresentatività continua ad 5 D’altra parte, legittimando l’esclusione dal godimento dei diritti in azienda del sindacato dotato di effettivo consenso da parte dei lavoratori, ma non firmatario di alcun contratto collettivo, si privilegia come criterio dirimente soltanto lo svolgimento dell’attività sindacale. Di conseguenza, si trascura completamente il versante dell’organizzazione sindacale tutelato dall’art.39, 1 co. Cost., intesa come coalizione volta alla protezione degli interessi dei lavoratori, che è distinto da quello concernente l’azione negoziale, pur costituendo una naturale proiezione del profilo dinamico della prima (Bellocchi 1998, p. 381 ss.). Tesi da condividere a maggior ragione in un sistema di relazioni sindacali privo di regole in merito alla sottoscrizione ed efficacia dei contratti collettivi, basato sul pluralismo competitivo e in assenza di unità di azione tra le maggiori confederazioni. Altre ragioni a conferma della correttezza dell’interpretazione “adeguatrice” ai valori costituzionali risiedono nel contenuto della teoria basata sull’“effettività”, che la norma ha accolto, e che si fonda sull’auto-legittimazione per mutuo riconoscimento tra le organizzazioni sindacali che permette anzitutto di accedere al tavolo delle trattative. In tal senso, nonostante il tenore letterale della norma si riferisca ai sindacati “firmatari” – indotto dalla tecnica tipica del referendum abrogativo che ha ritagliato una parte del testo precedente - può essere ritenuta condizione necessaria e sufficiente per soddisfare il requisito previsto dall’art.19 quella di aver partecipato alle trattative, senza necessità di sottoscrivere effettivamente il contratto collettivo (Garofalo 1995; contra Maresca 2010). Sotto il profilo sistematico, la tesi è coerente con l’irrilevanza che la stessa giurisprudenza costituzionale ha attribuito alla mera sottoscrizione del contratto collettivo se non vi sia stata effettiva partecipazione alle trattative3 . Essa permetterebbe, altresì, di superare il dubbio che la norma attuale induca il rischio di atteggiamenti opportunistici in capo ai sindacati stipulanti, dubbio non pienamente dissipato dalla citata sentenza n. 244/96, che si limita a giustificare la costituzionalità del nuovo art.19 St. Lav. sotto il profilo del principio di libertà avere la sua rilevanza …venendosi in tal modo a valorizzare l’effettività dell’azione sindacale – desumibile dalla partecipazione alla formazione della normativa contrattuale collettiva – quale presunzione di detta maggiore rappresentatività». 3 Cfr. C. Cost. n. 30/1990 e n. 244/96 secondo le quali: «la mera sottoscrizione di un contratto negoziato da altri non solo non indica tale capacità (rappresentativa), ma anzi costituisce un indice del contrario, rilevando invece la partecipazione attiva al processo di formazione del contratto collettivo». 6 sindacale riportando la scelta in merito alla stipulazione o meno del contratto collettivo agli “interna corporis” di ciascun sindacato, che ne risponderà esclusivamente ai propri iscritti. Per altro verso, la sentenza esclude possa essere considerato utile ai fini della titolarità delle prerogative statutarie un contratto collettivo aziendale avente ad oggetto esclusivamente il riconoscimento di diritti sindacali nei confronti di un’organizzazione sindacale, richiedendo viceversa che si tratti di un contratto collettivo a rilevante contenuto normativo. Tale conclusione, pur criticata in quanto “additiva”, da un lato, porta ad escludere la possibilità di rinvenire una soluzione alla vicenda Fiat che sia basata sulla eventuale sottoscrizione tra la Fiom e la direzione aziendale di uno specifico contratto collettivo avente ad oggetto esclusivamente tale riconoscimento, come pure prospettato da autorevole dottrina (Angiolini 2011), a tacere della plausibilità che tale ipotesi trovi effettivo accoglimento tra le parti. D’altro lato, peraltro, l’argomentazione della Corte costituzionale conferma l’idea che, pur senza affermarlo espressamente, consideri la firma del contratto collettivo come un “indizio” del possesso di rappresentatività effettiva tale da giustificare il riconoscimento delle prerogative sindacali in azienda, e non un suo elemento costitutivo. Da ultimo, per arricchire la riflessione indotta dal dibattito in corso, ci si permette di proporre una tesi interpretativa della norma diversa da quelle finora esaminate, ma che va nello stesso senso. Considerando la formulazione testuale dell’art.19 – che si riferisce ai «contratti collettivi applicati nell’unità produttiva» – si può affermare che essa si presta ad un’ interpretazione diacronica, nel senso di alludere non solo agli accordi sindacali attualmente in vigore (e infatti la formulazione non dice “ che siano applicati”), ma anche a quelli che siano stati applicati in passato. Tale approccio sembra molto più convincente della tesi opposta, che indurrebbe a sottoporre la titolarità dei diritti sindacali ad alterne vicende, a seconda della sottoscrizione o meno dei contratti collettivi che si succedono nel tempo, permettendo solo al sindacato che ha firmato il contratto attualmente in vigore di godere delle prerogative concernenti l’organizzazione sindacale, e dando luogo così ad un aperto contrasto con il principio di libertà sindacale Nel caso, è ben noto che la Fiom ha sottoscritto non soltanto il contratto nazionale di categoria del 2008, ma anche il contratto collettivo aziendale precedente al più recente accordo Mirafiori, avendo rifiutato la firma soltanto di quest’ultimo. Il 7 fatto di avere sottoscritto altri contratti collettivi aziendali applicati nell’unità produttiva, salvo l’ultimo, può dunque essere considerato come elemento sufficiente per non perdere la titolarità sindacale dei diritti in azienda, intendendo il requisito previsto dall’art.19 St. Lav. come un rinvio al sistema contrattuale e non al singolo contratto collettivo vigente al momento. 3. Le conseguenze dell’accordo separato nei confronti delle r.s.u. Il secondo profilo di riflessione suscitato dalla vicenda Fiat - Mirafiori in materia di rappresentanze nei luoghi di lavoro riguarda il ruolo dell’organismo unitario. Come è noto, nel processo che ha contrassegnato la stagione della ritrovata unità sindacale agli inizi degli anni ’90, esso è stato riconosciuto come subentrante nelle prerogative organizzative riconosciute in capo alle r.s.a. ed altresì quale agente negoziale unitario per la stipulazione dei contratti collettivi aziendali, a fianco delle oo.ss. nazionali. Le r.s.u. hanno svolto, così, ad un tempo il ruolo di strumento di rinnovata legittimazione delle maggiori confederazioni all’insegna della democrazia sindacale e di inclusione verso le formazioni anche extra confederali ammesse a presentare liste elettorali a condizione di aver un certo seguito in azienda. La loro origine negoziale e la loro natura non ben definita dal Protocollo del 1993 sono state sovente oggetto di critica, ma ciò non ha impedito la loro diffusione e il loro successo, dando luogo anche alla proposta di recepirne la disciplina in legge onde evitare uno dei principali elementi di debolezza che si sono manifestati in modo dirompente nell’ultima fase della dinamica concernente la contrattazione agli stabilimenti Fiat, ovvero l’origine e la disciplina negoziale priva di adeguate sanzioni. Come si è detto ( supra § 1), le r.s.u. non sono menzionate dall’Allegato 1 all’accordo Mirafiori, intitolato ai “Diritti sindacali”, che riconosce esclusivamente nei confronti delle r.s.a delle associazioni sindacali stipulanti tale contratto collettivo i diritti sindacali disciplinati nel successivo contenuto dell’allegato, sul presupposto che non trovino applicazione le clausole del contratto collettivo nazionale inerenti le prerogative riconosciute dalle r.s.u. nella parte specifica dedicata ai diritti 8 sindacali 4 . Il disconoscimento nei loro confronti lungi dal costituire, dunque, un effetto non voluto della revoca dell’iscrizione alla Confindustria da parte della Fiat, o della disdetta del contratto collettivo nazionale di lavoro, rappresenta un passaggio cruciale della strategia più complessiva che persegue un modello di relazioni industriali centrato sul livello aziendale, in cui le rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro sono esclusivamente quelle collegate in modo organico con i sindacati stipulanti il contratto collettivo applicato nell’unità produttiva. L’emarginazione delle r.s.u., già avvenuta nel corso del processo di contrattazione in contrasto con la loro formale qualificazione come agenti negoziali, è stata motivata dalla difficoltà di reperire con chiarezza le regole del loro funzionamento ed in particolare l’applicazione della regola di maggioranza per la formazione della volontà negoziale (De Luca Tamajo 2010, p. 806). In effetti, l’assenza di specifiche previsioni della disciplina sul punto non è mai stata colmata, a differenza di quanto avvenuto nel settore pubblico, ma va ricordato che buona parte della dottrina ha affermato la tesi dell’applicazione della regola maggioritaria in conseguenza della loro natura collegiale, desumibile dal metodo di costituzione e dal loro riconoscimento quali agenti negoziali a livello aziendale, espressione dell’interesse collettivo del gruppo dei lavoratori anche non iscritti ai sindacati stipulanti. L’applicazione della regola della maggioranza si deduce, pertanto, dalle costanti proprie degli organismi collegiali (Monaco 2003; Gragnoli 2004; dubitativamente Santoro Passarelli 2010, p. 521). In ogni caso, il loro disconoscimento quali agenti negoziali e quali soggetti titolari delle prerogative sindacali in azienda è a prima vista in contrasto con il fatto che si tratta di un organismo la cui esistenza non è stata oggetto di alcuna revisione nel corso del processo di rinnovo del sistema contrattuale approdato all’AI del gennaio 2009 e in seguito a quello dell’aprile 2009, peraltro accordi separati, che anzi, come 4 Ai sensi del ccnl, le r.s.u fanno parte di alcuni organismi paritetici costituiti a livello aziendale, come la Commissione per le pari opportunità, che diventano i soggetti destinatari del rapporto biennale sulla situazione del personale cui sono tenute le aziende con un organico superiore a 50 dipendenti; esse sono inoltre destinatarie, ai sensi dell’art.7, insieme alle oo. ss. territoriali, di tutte le informazioni sull’andamento occupazionale, sulle modifiche organizzative interne, sulle operazioni di scorporo etc. nonché le informazioni cui sono tenute le imprese con più di 150 dipendenti. Inoltre sono i soggetti della contrattazione degli istituti disciplinati dal contratto collettivo, quale l’orario di lavoro straordinario in determinate ipotesi. 9 si è già ricordato, prevedono un nuovo accordo in materia in attesa del quale le regole attuali sono da ritenere ancora in vigore. Il nuovo assetto derivante dalla revoca del legame associativo con la Confindustria da parte della Fiat e dalla costituzione della New-co, solleva pertanto una prima questione che riguarda la sorte dell’organismo dopo la sottoscrizione dell’accordo aziendale separato, accompagnato dal perfezionamento dei contratti individuali dei lavoratori che rinviano a quest’ultimo, e non essendo la New-co aderente alla Confindustria firmataria degli AI che hanno disciplinato l’organismo elettivo. Tali circostanze complicano il quadro di riferimento, in particolare lo scioglimento dei vincoli associativi del datore di lavoro e la costituzione di una nuova società, nell’intento di creare una cesura con la società datrice di lavoro precedente e di rendere inapplicabili i contratti collettivi di cui era stata firmataria anche la Fiom – Cgil. La New- co a sua volta è firmataria del contratto collettivo qualificato come di “primo livello” allo scopo di rimarcare la non applicazione del contratto collettivo nazionale; infine, la cessione dei rapporti di lavoro mediante contratti individuali sottoscritti dai singoli dipendenti contenenti la dichiarazione di accettare esplicitamente tale nuovo contratto collettivo sembra implicare adesione al nuovo assetto. Occorre, tuttavia, considerare la natura dell’organismo unitario e la disciplina invocabile a tutela del diritto inderogabile alle rappresentanze nei luoghi di lavoro riconosciuto in capo ai lavoratori. a) Quanto al primo profilo, pur essendo l’origine delle r.s.u. dipendente da una fonte negoziale, la costituzione elettiva, mediante partecipazione da parte di tutti i lavoratori, iscritti e non iscritti, pone in risalto il nesso che lega l’organismo al proprio corpo elettorale. Se quest’ultimo si mantiene identico anche dopo il cambiamento del datore di lavoro, non si vede ragione di escludere che resti in carica la loro istanza rappresentativa. Nel caso, poi, la costituzione della New – co non impedisce l’applicazione della disciplina sul trasferimento d’azienda, trattandosi di scissione societaria contemplata dalla normativa come rientrante nel campo di applicazione della disciplina in materia. A tal proposito, la declaratoria delle parti che esclude trattarsi di trasferimento d’azienda, e la c.d. “cessione contrattuale” dei singoli rapporti di lavoro non sono in grado di dispiegare efficacia irreversibile, data l’inderogabilità della disciplina legislativa tesa a salvaguardare la continuità dei diritti individuali anche in materia sindacale, e dunque non 10 preclude la verifica giudiziale delle circostanze emergenti dalla vicenda (Ferraro 2010, Angiolini 2011, Scarpelli 2010). L’analisi della situazione di fatto mostra che ricorrono tutti i presupposti stabiliti dalla legge e dalla giurisprudenza consolidata per la qualificazione dell’operazione a stregua di un vero e proprio trasferimento d’azienda, come si desume dal fatto che l’unità produttiva nella sua materialità è rimasta tale e che i lavoratori sono passati tutti alle dipendenze della nuova società la quale continuerà nella medesima attività produttiva. Alla luce di ciò, sono da ritenere applicabili le norme che regolano, tra l’altro, i profili collettivi ed il mantenimento in capo ai lavoratori trasferiti del trattamento già applicato nella medesima unità produttiva almeno per la durata di un anno, garanzia sostanziale che resta immune dall’effetto della revoca dell’iscrizione del datore di lavoro all’associazione di categoria si desume e dalla disdetta del contratto collettivo nazionale. Ai sensi dell’art.2112, 1°c., fra i diritti la cui conservazione è garantita al lavoratore trasferito include quello di esercitare le funzioni e di godere delle prerogative di componente delle r.s.u. onde conservare «quel vincolo fra elettori ed eletti che sta alla base di ogni sistema elettorale» (Cester 2006, p. 177). La garanzia non viene meno neppure a causa della sottoscrizione da parte dei dipendenti del contratto individuale che contiene l’accettazione dell’accordo Mirafiori, che non è in grado di costituire una revoca del mandato elettorale, e di conseguenza le r.s.u. resteranno in carica quanto meno fino alla scadenza del loro mandato. Un’ulteriore obiezione potrebbe consistere nell’invocare l’effetto sostitutivo del precedente contratto in vigore, ai sensi dell’art. 2112, c. 3, che verrebbe dispiegato dall’accordo separato. In senso contrario, tuttavia, occorre puntualizzare che esso non appartiene allo stesso livello di quello a cui sono imputabili le r.s.u., disciplinate dell’AI del 1993 e dal contratto collettivo nazionale. Nonostante sia qualificato formalmente dalle parti stipulanti come contratto di primo livello, neppure in questo caso la declaratoria è da considerare valida ai fini dell’applicazione della legge, dovendosi anche in questo caso privilegiare l’elemento sostanziale di essere stato sottoscritto direttamente dal datore di lavoro che lo rende, secondo la consolidata dottrina, un contratto collettivo aziendale. b) Un ostacolo alla stabilità dall’organismo unitario potrebbe derivare dalla circostanza della fuoriuscita da parte delle componenti che sono andate a formare le r.s.a. riconosciute dall’accordo Mirafiori in contrasto con la clausola di “salvaguardia” contemplata dal Protocollo del 1993 11 appositamente per evitare le conseguenze negative prodottesi al momento della prima rottura tra le maggiori confederazioni sul versante dei Consigli di Fabbrica. Il Protocollo, prevedendo che le r.s.u. subentrino nella titolarità delle prerogative dalla legge assegnate alle r.s.a. 5 , impegna altresì le oo.ss. che partecipano all’elezione a non rivendicare la costituzione di proprie r.s.a. (art. 8, parte I, AI sulle r.s.u. del 19.12.93), rinuncia controbilanciata dalla garanzia della titolarità diretta stabilita nei confronti dei sindacati stipulanti il contratto nazionale di lavoro di una quota delle prerogative spettanti all’organismo unitario. La costituzione delle r.s.a. da parte dei sindacati stipulanti l’accordo separato solleva dunque la questione se ne derivi la conseguenza dell’automatico venir meno dell’organismo elettivo a causa della c.d. “doppia legittimazione” di cui godono le r.s.u. Il venir meno del loro riconoscimento da parte di alcune organizzazioni sindacali determinerebbe, in sostanza, la mancanza di una condizione essenziale per la loro esistenza. E’ noto che si tratta di materia controversa, ma è opportuno richiamare quanto già detto in merito alla composizione dell’organismo unitario, che si distingue fra una componente tipicamente associativa, il c.d. terzo riservato, ed una componente eletta da tutti i lavoratori dell’impresa o unità produttiva. Mentre le r.s.u. di matrice strettamente associativa possono essere considerate organi del sindacato che le designa, le altre traggono direttamente la loro legittimazione dall’esito elettorale (Mariucci 1995; Ferraro 1996; Campanella 1998, Cester 2006; Scarponi 2006) che non è soltanto strumento di misurazione della rappresentatività dei sindacati che vi partecipano. Di conseguenza, le caratteristiche genetiche dell’organismo prevalgono sulle vicende inerenti il suo funzionamento e ciò implica che le componenti residue delle r.s.u. elette da tutti i dipendenti dello stabilimento restano in carica almeno fino alla loro scadenza. Per ciò che riguarda la sopravvivenza dell’organismo è del resto lo stesso AI che all’art. 6, co. 2, a stabilirne la decadenza in caso di dimissioni solo se esse raggiungono più del 50% dei suoi membri, e prevedendo in questo caso che siano indette nuove elezioni. La tesi è coerente con il fatto che, pur trattandosi di un organismo collegiale, la sua natura - come propende la maggioranza della dottrina e della giurisprudenza alla luce dalle 5 Ai sensi dell’art. 5, parte I dell’AI del 19.12.1993, «le r.s.u. subentrano alle r.s.a. ... nella titolarità dei poteri e nell’esercizio delle funzioni ad essi spettanti per effetto di disposizioni di legge», e ai sensi dell’art.4, parte I, «i suoi componenti succedono ai dirigenti delle r.s.a. per quanto concerne la titolarità dei diritti di cui al Tit. III St. Lav.». 12 regole contenute nella disciplina negoziale valida nel settore privato, 6 è a carattere unitario ma plurisoggettivo 7 , dando luogo alla titolarità separata delle prerogative in materia di permessi e di assemblea (Campanella 1998; Scarponi 2006, contra Cester 2006). L’uscita di alcune componenti dall’organismo al fine costituire le r.s.a. separate non è idonea, pertanto, a provocare automaticamente né la decadenza dell’organismo né la perdita della titolarità dei diritti di organizzazione proprie delle componenti residue. Si potrà porre semmai il dubbio se anche le organizzazioni sindacali nazionali non firmatarie dell’accordo Mirafiori, ma del ccnl del 2008, possano continuare a fruire della loro quota di permessi e ore di assemblea (Santoro Passarelli 2010, p. 521). Nei loro confronti non si può, infatti, invocare la legittimazione elettiva, e dunque la loro posizione al riguardo segue la sorte del contratto nazionale. Per concludere su questo punto, se il valore rilevante è la tutela sindacale dei lavoratori che hanno eletto i propri rappresentanti e beneficiano della loro attività, la decadenza dallo status di delegato delle r.s.u. non può dipendere dall’operare dei diversi tasselli posti in essere nella vicenda Fiat. 4. I diritti di partecipazione alle decisioni dell’impresa Un altro profilo controverso riguarda la soluzione negoziale che riserva i diritti di partecipazione alle decisioni dell’impresa alle sole r.s.a. delle oo.ss. stipulanti l’accordo separato sul presupposto della inapplicabilità della disciplina prevista dal ccnl del 2008. Non si possono trascurare, al riguardo, i vincoli di sistema derivanti dal diritto comunitario del lavoro che impongono di rispettare i diritti di informazione e consultazione previsti nei confronti “dei lavoratori e delle loro rappresentanze”, e conferiscono pertanto una doppia titolarità (da ultimo Alaimo 2009, p. 692) che riveste essa stessa natura inderogabile mediante il significativo riconoscimento da parte dell’art. 27 della Carta europea dei diritti fondamentali che completa le direttive in materia 8 . Il rango primario assunto dai diritti fondamentali europei si traduce nel loro grado rafforzato 6 In particolare dalle formulazione degli artt. 4 e 5 dell’AI del 1993 che si riferiscono alle “componenti” delle r.s.u. e utilizzano il plurale. 7 Cfr. Cass. 1892/2005 che sostiene la titolarità disgiunta delle prerogative in materia di assemblea argomentando sulla base del testo dell’art. 4 e 5 dell’AI del 1993, e sulla base del coordinamento con l’art. 20 St. Lav. 8 13 di efficacia, che può essere fatta valere anche nelle controversie tra privati, secondo le conclusioni ribadite in più occasioni da parte della giurisprudenza della Corte di giustizia, benché criticata ( Ballestrero 2011). Inoltre, sebbene le rappresentanze dei lavoratori seguano diverse discipline nell’ambito dei paesi aderenti alla UE, a seconda della prevalenza o meno del “doppio canale” di rappresentanza, il dato comune ontologicamente necessario è che si tratti di rappresentanze permanenti di tutti i lavoratori, la cui costituzione non può dipendere dalla mera volontà del datore di lavoro o di altri sindacati di riconoscerne l’esistenza (Roccella – Treu 2010, p. 361) 9 . In modo conforme alla disciplina europea, la legislazione italiana di trasposizione della D. 2002/14/Ce, direttiva - quadro sul diritto di informazione e consultazione dei lavoratori, ha dato significativa conferma sia alle r.s.a. che alle r.s.u. quali organismi di rappresentanza dei lavoratori 10 . Dal quadro descritto emergono, dunque, sufficienti indicazioni per ritenere che il diritto di ogni lavoratore ad avere proprie rappresentanze ai fini degli istituti partecipativi non possa essere limitato da soluzioni come quella prevalsa nell’accordo che intende ridurre il riconoscimento delle r.s.a. alle sole organizzazioni stipulanti, al cui consenso è ulteriormente subordinata l’eventuale successiva sottoscrizione da parte di altri sindacati, configurandosi in tal modo benefici riservati estendibili esclusivamente in via potestativa. L’assetto così delineato, oltre a contrastare palesemente con il dettato legislativo comunitario e interno appena richiamato, e a sollevare dubbi di contrasto con il divieto sancito dall’art.17 St. Lav. , si traduce in un’ipertrofia del modello associativo che crea una lacuna di rappresentanza nei confronti di una parte dei dipendenti, in contrasto con la valenza di diritto fondamentale rivestita dal diritto in questione. 5. Cenni conclusivi: le proposte di riforma Si è cercato fin qui di individuare un percorso ricostruttivo in grado di fronteggiare quello di decostruzione derivante dalle 9 Si veda la famosa sentenza Cgue 8 giugno 1994, C-383/92, Commissione v. Regno Unito. 10 Ai sensi dell’art.2, d.lgs. 25/2007, lett d) i rappresentanti dei lavoratori sono individuati mediante rinvio alla disciplina legislativa – id est l’art.19 St. Lav. - e a quella contrattuale, richiamandosi a tal fine espressamente l’AI del 1993 sulle r.s.u. nonché quello gemello attinente il settore pubblico del 1994, e rinviando, in difetto di applicazione di tali accordi, ai contratti collettivi nazionali. 14 ultime tappe della vicenda Fiat. Ciò non implica sottovalutare le difficoltà del sistema normativo attuale relativo alle rappresentanze nei luoghi di lavoro, caratterizzato dalla difficile convivenza dei due modelli di organizzazione sindacale, associativo ed elettivo, rispetto al quale sarebbe stato opportuno giungere da tempo ad una riforma legislativa che, tuttavia, è stata impedita dall’approccio omnicomprensivo che ha caratterizzato il dibattito sulle proposte di riforma, ormai pluridecennale. Non si è mai inteso, in sostanza, scindere la questione della disciplina sulle rappresentanze nei luoghi di lavoro da quelle inerente l’efficacia del contratto collettivo, tema riattualizzato dopo l’AI separato del 2009 ( Roccella 2010, p. 249), ma incontrando in tal modo ostacoli ideologici difficili da superare tenuto conto delle peculiarità del sistema italiano, caratterizzato dalla prevalenza del sistema sindacale “di fatto” e dal c.d. “canale unico” di rappresentanza nei luoghi di lavoro. Sotto quest’ultimo punto di vista, la vicenda in oggetto potrebbe suggerire l’idea che sia tempo di abbandonare tale “felice anomalia”, soprattutto se si condivide l’ipotesi che si tratti di un “prototipo” destinato ad estendersi a macchia d’olio nelle altre imprese, soprattutto quelle a carattere multinazionale (Bavaro 2010; contra Scarpelli 2010; Mariucci 2011). In senso contrario non vanno trascurati, tuttavia, alcuni elementi rilevanti, pur essendo evidente la fragilità dell’attuale sistema di relazioni sindacali. Occorre, infatti, considerare sia l’importanza della Fiom – Cgil quale attore delle relazioni industriali nel Paese, sia la propensione mostrata da altre imprese multinazionali dislocate in Italia ad affrontato in modo ben diverso i problemi posti dall’emergenza economica, percorrendo la via negoziale per giungere alla stipulazione di accordi che hanno permesso di evitare le delocalizzazioni mediante strategie che non hanno rimesso in discussione il sistema di garanzie sostanziali e sindacali proprie della tutela dei lavoratori (Scarponi 2011). D’altra parte, è pur vero che i limiti del sistema attuale sono stati posti in luce impietosamente, soprattutto sotto il profilo della debolezza delle soluzioni basate prevalentemente su regole negoziali in materia di relazioni sindacali, e sull’assetto post-referendario concernente le rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro. Pur essendo possibile, come si è cercato di porre in luce (supra § 2), configurare in vari modi un’interpretazione “adeguatrice” dell’art.19 St. Lav. in grado di superare lo scoglio posto dal fatto che il sistema dei diritti di organizzazione non può essere esclusivamente “servente” 15 rispetto a quello negoziale, non ci si può nascondere l’utilità di un intervento legislativo. A parere di chi scrive, contrariamente alle proposte presentate finora 11 , per risolvere la contraddizione principale originata dalla vicenda Fiat-Mirafiori, esso potrebbe assumere una portata minimale limitandosi a fornire l’interpretazione autentica della norma, stabilendo che il termine “sindacati firmatari dei contratti collettivi” debba intendersi come sindacati “effettivamente partecipanti alle trattative”, cosicché si giunga a salvaguardare i valori del pluralismo e della libertà sindacale propri del nostro ordinamento costituzionale e ad eliminare la più vistosa aporia indotta dalla vicenda Fiat sul versante dei diritti sindacali in azienda. L’approccio minimalista qui caldeggiato non implica trascurare le altre ragioni di debolezza emerse nel corso della vicenda Fiat, dovute sia alla carenza di strumenti legali di misurazione della rappresentatività dei sindacati ai fini della stipulazione del contratto collettivo, sia al venir meno del ruolo di agenti negoziale delle r.s.u. e della loro stessa sopravvivenza di fronte a mutamenti del quadro di regole proprie del sistema basato sul principio volontaristico. Affrontando la riflessione in proposito, occorre in primo luogo chiedersi quanto del dibattito pluridecennale sulle nuove regole sindacali sia ancora attuale: per es. la proposta di applicare al settore privato le regole vigenti nel settore pubblico, con gli adeguati aggiustamenti, ma pur sempre fondandosi sulla costituzione di rappresentanze elettive a livello aziendale come perno dell’intero sistema, a cui rapportare sia le regole di misurazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali e sia quelle della stipulazione dei contratti collettivi, di qualunque livello siano. Soluzione da bilanciare altresì con la salvaguardia del versante associativo ed il riconoscimento dell’importanza delle organizzazioni sovra-aziendali. In merito, è ancora valida la tesi formulata nel corso degli anni ’90 da chi (D’Antona 1998, p.665) invocava un provvedimento in grado di integrare la legislazione di sostegno statutaria per rispondere all’evoluzione dell’ordinamento lavoristico verso la costante interazione tra versante statuale e 11 Si tratta del d.d.l. 1872 del 2009, primo firmatario P. Ichino, intitolato “Codice dei rapporti sindacali, modifica degli artt. 2063 – 2068 del codice civile” e della Proposta di legge di iniziativa popolare “Regole democratiche sulle rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro, la rappresentatività delle organizzazioni sindacali e il referendum per l’efficacia dei contratti collettivi di lavoro”, in G. U. n. 46 del 25 febbraio 2010. E’ tuttora in corso una discussione tra le maggiori confederazioni sindacali su una diversa proposta. 16 versante sindacale, e l’attribuzione di prerogative anche di tipo derogatorio in senso peggiorativo nei confronti di garanzie legali, oltre che contrattuali, alle organizzazioni sindacali e alle rappresentanze dei lavoratori nei luoghi di lavoro. Essa presuppone la necessità di accertare la rappresentatività sindacale effettiva, che non può sottrarsi ad una verifica del consenso anche dal punto di vista elettorale, secondo elezioni aperte a tutti i lavoratori, iscritti e non iscritti. A tale esigenza si riallaccia la proposta di recente formulata, anch’essa incentrata solo sulla riforma dell’art.19 St. Lav. (Mariucci 2011), di una legge che dichiari il valore meramente presuntivo da attribuire al criterio della stipulazione del contratto collettivo, inserendo inoltre nella disposizione il riconoscimento del diritto alle r.s.a. costituite nell’ambito delle organizzazioni sindacali che raggiungano una soglia minima ( da determinare ) di consensi come mix tra iscritti ed eletti nelle rappresentanze nei luoghi di lavoro. Un ulteriore contenuto dell’ auspicata riforma riguarda il riconoscimento legislativo del diritto di ciascun lavoratore ad eleggere proprie rappresentanze nei luoghi di lavoro, coniugato a strumenti in grado di favorire la misurazione della rappresentatività in modo universalistico e trasparente, senza trascurare il versante associativo, a tal fine riadattando opportunamente il sistema in vigore nel settore pubblico. Quest’ultima scelta è condivisa, ma in un’ottica più ampia, dalla proposta di iniziativa popolare avanzata dalla Cgil, ed altresì dal d.d.l. n. 1872/2009 presentato al Senato di cui è primo firmatario Pietro Ichino. Le due proposte si differenziano, peraltro, nelle scelte circa le prerogative dell’organismo elettivo, il rapporto con le organizzazioni sindacali sovra - aziendali, e le regole decisionali. Senza addentrarci in un’analisi dettagliata in questa sede, occorre riprendere l’osservazione sull’assetto attuale delle r.s.u. che, come mostra la vicenda Fiat, è molto debole e sottoposto a tensioni continue in caso di disunità sindacale con il rischio che l’organismo perda la propria autonomia decisionale e addirittura decada anche in assenza di un accordo sindacale unitario sul punto. Ciò rappresenta un nodo cruciale, rispetto al quale l’alternativa del “doppio canale” di rappresentanza nei luoghi di lavoro potrebbe essere ritenuta più opportuna e consona al panorama europeo. In merito, ci si limita a puntualizzare che occorrerebbe in questa logica scegliere quale dei diversi modelli adottare fra quelli presenti negli ordinamenti europei, ed altresì come ovviare alle perplessità dovute al fatto che sovente gli organismi elettivi divengono di fatto agenti negoziali. Prima di abbandonare pertanto la caratteristica storica del sindacalismo 17 italiano, pare più opportuno riflettere sull’importanza di strumenti che favoriscano l’aggregazione anziché la divisione tra le diverse componenti sindacali, dato che il pluralismo competitivo, nella situazione attuale caratterizzata da una forte concorrenzialità anche fra imprese e mercati nazionali, espone al rischio di un indebolimento eccessivo della strategia contrattuale. Da ultimo, occorre soffermarsi su un altro elemento posto in luce dalla vicenda in esame. La complessità della contrattazione con le imprese multinazionali, particolarmente in situazione di crisi economica, come del resto emerge dalla produzione dottrinale e giurisprudenziale maturata intorno agli istituti giuridici tipici delle crisi di impresa, pone sovente il quesito sul modo di risolvere il conflitto tra il sistema di rappresentanza dei diritti e quello di rappresentanza degli interessi. In questi casi, il ricorso a strumenti tipici della democrazia diretta, quale il referendum, è complicato dal fatto che a tali situazioni sono collegate una pluralità di istanze che richiedono la ricerca di equilibri adeguati tra la tutela dei lavoratori dell’azienda locale con quella dei lavoratori di altri paesi. L’esigenza di trattare adeguatamente un conflitto più ampio tra interessi divergenti richiederebbe, inoltre, l’allargamento dei soggetti sindacali, non solo nazionali ma anche europei e/o internazionali, ed un collegamento organizzativo appropriato fra le diverse istanze che rappresentano i lavoratori. In tale situazione è evidente che il ricorso a strumenti di verifica del consenso di tutti i rappresentati, come il referendum, oltre alle perplessità ben note dovute alla sua valenza antiassociativa, comporta altresì il rischio di esautorare le rappresentanze dei lavoratori nei luoghi di lavoro, come è avvenuto nel caso dell’accordo Mirafiori, e di essere inadeguato rispetto alla complessità della situazione complessiva che rende più opportuno privilegiare la democrazia rappresentativa rispetto alla democrazia diretta. Soltanto con opportuni collegamenti organizzativi allargati alla dimensione sovranazionale appare più agevole reperire una soluzione adeguata alla dimensione transnazionale dell’impresa che, peraltro, richiederebbe altresì vincoli appropriati volti a restringerne l’estrema libertà derivante dalle dinamiche insite nella globalizzazione economica oramai ben note. La semplice minaccia di trasferire la produzione altrove, o di de localizzare una parte dell’impresa conferisce in tal senso un potere in capo alla direzione aziendale molto simile all’antica manifestazione di lotta consistente nel 18 ricorso alla serrata, e che, a differenza di quella, resta privo di alcun tipo di sanzione. Occorre, dunque, essere consapevoli che in casi di tal fatta il ricorso al referendum tra i lavoratori, che in generale può ben svolgere una funzione utile a dirimere i conflitti emersi fra lavoratori e propri rappresentanti, o anche fra diverse organizzazioni sindacali, rischia di essere svolto in assenza di effettiva libertà di scelta da parte dei lavoratori. Nel caso dell’accordo Mirafiori, come a suo tempo ha rilevato Massimo Roccella, non è neppure stata rispettata la titolarità ad indire il referendum in capo alle r.s.u., ed ha assunto la connotazione di una ratifica che, nelle condizioni date, era agevole prevedere vi sarebbe stata. Si è verificata, in tal modo, un’alterazione del normale funzionamento del rapporto tra organismo elettivo e ricorso allo strumento referendario data la mancanza, che andrebbe colmata in chiave di riforma, di regole adeguate di garanzia che consentano di mantenere un equilibrio tra i diversi momenti in cui si realizza il sistema di democrazia sindacale tenendo conto, altresì, dell’esigenza di definire le regole circa le procedure, le soglie decisionali e le sanzioni. L’esigenza di evitare rischi di fratture dirompenti tra i lavoratori, oppure di atteggiamenti opportunistici, suggerisce in questi casi di considerarlo come extrema ratio. I nodi da affrontare in chiave di più ampia riforma sono dunque molteplici, dovendosi affrontare il problema del riconoscimento delle competenze delle r.s.a. e delle r.s.u., e quello del coordinamento con le istanze rappresentative a livello trasnanzionale, nonché con i sindacati sovraziendali nazionali ed europei. Data l’ampia gamma degli attori in campo, è ancor più arduo individuare il criterio per l’adozione delle decisioni in caso di dissenso tra le diverse istanze di rappresentanza dei lavoratori. L’applicazione del principio di maggioranza semplice appare riduttiva della complessità delle situazioni in gioco, senza contare che esso non è adeguato al versante privatistico cui sono ascrivibili i prodotti dell’autonomia collettiva, e a cui è più proprio il criterio dell’unanimità secondo l’insegnamento di autorevole dottrina. Sembra più opportuno allora concepire modi adeguati di coordinamento tra le organizzazioni sovraziendali nazionali, come per es. la necessaria approvazione del sindacato maggioritario a livello di categoria che in prospettiva di riforma appare molto più coerente con il modello costituzionale fatto proprio dall’art. 39, seconda parte. Senza dimenticare, infine, che le imprese transnazionali impongono una visione diversa anche dal lato delle organizzazioni sindacali, tale da far 19 emergere il più possibile l’interesse transnazionale dei lavoratori, ed un’adeguata capacità di regolamentazione sia a livello nazionale che transnazionale delle prerogative imprenditoriali. Riferimenti bibliografici Alleva P.G. (2010), Rappresentanza, rappresentatività sindacale e riforma del sistema contrattuale, in www.dirittisocialiecittadinanza.org. Angiolini V. (2011), Nota per la consulta giuridica, in www.cgil.it/tematiche/giuridica. Bavaro V. (2010a), Contrattazione collettiva e relazioni industriali nell’«archetipo» Fiat di Pomigliano d’Arco, in QRS, n. 3. Bavaro V. (2010b), Dall’archetipo al prototipo, in www.cgil.it/tematiche/giuridica. Bellocchi P. (1998), Libertà e pluralismo sindacale, Padova: Cedam. Campanella P. (2000), Rappresentatività sindacale: fattispecie ed effetti, Milano: Giuffré. Carinci F. 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