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Post sotto l`albero 2004

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Post sotto l`albero 2004
Post sotto l’albero 2004
(Il Natale ai tempi del blog, un anno dopo)
K - Vic
Il giorno in cui diventai un folletto di Babbo Natale anche io - Manila
Il punto di vista natalizio della pera zen - Livefast
Ho visto l'uomo mettere piede sulla luna, e dello spazio farne progetto di guerra - Lizaveta
Stellette comete - Squonk
La notte delle stelle cadute - Fiottolino
Perché il mare sospira - Mitì Vigliero
Quella volta che P.A. si incazzò di brutto - Dust
C’era una volta virgola sette - Marquant
Come lo dico alla mamma? - Lester
Il derby di Natale - Severine
Attesa - AdRiX
la soluzione di natale - papoff
Il calcinculo - Antonio S.
A Christmas Carol - Loredana Lipperini
Marco - Hotel Messico
Buon Natale dal Papa - Personalità Confusa
Mostarda - Farfintadiesseresani
Vigilia - tt
Trio - B. Georg
La mattina di Natale - Maestrina Mafe
Shhht… - Sphera
Solstizio d’inverno - Gilgamesh
Scioglievolezza, resistibile scioglievolezza - Chettimar
Natale indossando gli anfibi - Floria1405
Strade - Carlo Annese
I cari involati - Jorma
A pranzo da Aby - Massimo Mantellini
Il Natale di alcuni - Spiritum
xmas of one's own - Sere
Terra e centro - Riccionascosto
Occhi - Buba
Sotto l’albero - Zu
Lanterne rosse – Tigro
Taxi & Zen (1, 2, 3 e 4) – Zoro
L’uomo della verità – La Pizia
On Air Revolution – Strelnik
Il Bignami del mondo – Marco Schwarz
Ci sentiamo una volta l’anno – Akille
L’idea, buona o meno è tutto da vedere, è cosa dell’anno scorso. I blogger che fanno un regalo di
Natale.
Sì, suona un po’ Telethon, in effetti.
E suona anche un po’ “da iniziati”. Dovresti sapere cos’è un blog, chi è un blogger, cose così.
Lasciamo perdere.
Mettiamola così: quella che hai in mano è una raccolta di regali di Natale. C’è gente che si è
messa davanti al computer, ed ha scritto qualcosa per te. A volte l’ha fatto ex novo, in altri casi
ha tirato fuori dall’hard disk una ventina di righe alle quali teneva parecchio.
Non ti aspettare chissà cosa. I blogger, spesso, scrivono bene, certo; ma questo non è importante.
In fondo, i lavoretti che i bambini fanno all’asilo valgono meno delle opere di Michelangelo?
Dipende dai punti di vista. In questo caso, ricordati che è Natale, che tutto questo è gratuito,
viene solo dal desiderio di regalare una cosa propria ad amici ma anche a sconosciuti che, forse,
un giorno in amici si potrebbero trasformare. Come si dice, quello che conta è il pensiero.
Fai finta di crederci, dai.
K
Vic (http://www.fozzdances.com/blog/)
Stasera è l'ultima. Quante volte me lo sono detto, poi qualcuno mi faceva "pensa ai bambini" e io,
ingenuo, ci sono ricascato. Ma stasera è l'ultima davvero.
Se solo riesco ad uscire di qua.
La spalla è quella che mi fa più male, non vorrei essermi rotto qualcosa; forse ruotando un po'...
ahia, no, meglio stare fermo. Dovrei trovare dove puntare i piedi, ma qui dentro non si vede un
accidente. Pure se ci fosse più luce. Con questa pancia che mi ritrovo, è una vita che non riesco a
vedermi i piedi. E io avrei voluto dimagrire, mica mi manca la forza di volontà. Poi qualcuno mi
faceva "pensa ai bambini", e lasciavo perdere.
Un bel cazzo di situazione, non c'è che dire. Non si va né su né giù, toccherebbe chiamare
qualcuno, sperando che mi sentano; ma poi chi glielo va a spiegare? Mica facile. Me la devo cavare
da solo, come sempre.
Si fa presto a dire "Nicola, pensa ai bambini"; fossero i miei, poi. Se non ci pensi tu, chi ci pensa.
Un santo. Sì, un santo, bravi, proprio. Incastrato. Letteralmente.
Manco sono più un ragazzino, e a lavorare di notte, qualsiasi tempo faccia, sempre col freddo, poi
dice perché uno rimane incriccato così.
"E quindi lei afferma che non ha mai sentito niente?"
"Ma no dottore... commissario? Commissario. Insomma, qualcosa sì, certo però chi andava a
pensare... l'anno scorso avevo fatto caso al caminetto che tirava male, ma lo accenderò al
massimo una volta l'anno, durante la cena di Nata le, non ci ho perso tanto tempo, ho rinunciato che mi si affumicavano gli ospiti - e stop. E' quando ho cominciato a sentire quell'odore, dopo
qualche tempo, che ho chiamato la ditta per vedere se ci avevano fatto un nido o qualcosa del
genere su per la cappa. Mi vengono i brividi, madonna mia."
"Resti umani. Capisco. E sul sacco pieno di giocattoli non sa darmi nessuna indicazione?"
Prima le consegne dei giornali. Freddo boia, sonno arretrato, ma almeno era qualcosa. Poi mi
hanno mandato via pure lì. Ma uno a cinquant'anni suonati mica lo ritrova così un lavoro.
Lei però ai suoi figli non vuole che manchi niente, pensa ai bambini, dice. Pure la playstation a
Natale: e chi me li dà i soldi? Nel giro di una settimana, poi. Non è che rubare mi piaccia, anzi. Mi
hanno educato col rispetto della proprietà e tutto il resto. Però cosa dovevo fare a un certo punto?
Secondo me tanti non se ne sono neanche accorti: lascio tutto pulito, prendo dove c'è troppo, è
come quando perdi qualcosa, lo cerchi per un po', poi se viene fuori bene, sennò amen. Ci sono
quelli che danno la colpa allo spiritello dispettoso; ma a volte sono io. Basta non strafare.
Stavolta però, a cercare proprio la playstation, un casino. Quante ne ho fatte di case stasera,
dieci? Troppe. Qualche giocattolo l'ho raccattato, ce ne sono montagne. Ai miei tempi dovevi
aspettare la Befana, e non sempre... manco al compleanno ti arrivava qualcosa. Oggi no, un regalo
al giorno. Come vuoi che vengano su?
Certo, parlo io. Come sono venuto su, che mi sono ridotto a frugare nelle stanze degli altri? E
guardami, incastrato in questo cazzo di camino; come mi è venuto in mente di fare batman, ti
pare che la corda non si rompeva? Peso troppo, è che mangio male. Ma da stasera si cambia, ho
deciso. Se riesco a tirarmi fuori di qua.
Devo solo tenere duro un altro po'. Una soluzione si trova sempre. Devo solo resistere un altro po'.
Come sempre.
Vedrai.
Il giorno in cui diventai un folletto di Babbo Natale anche
io
Manila (www.pproserpina.net)
Fiera del maglione che mi ero comprata e di quella sciarpa così colorata, infagottata nel mio
cappottino verde, camminavo sotto le luci della città canticchiando Let it snow.
Con esattamente 120 euro in tasca e la prospettiva di un Natale pieno di candele, guardavo le
vetrine gialle di luci e rosse di fiocchi.
“L’aria di Natale” aveva iniziato a fare capolino nelle mie sensazioni già un mese prima, quando il
primo gelo mi aveva congelato il naso uscendo di casa.
L’aria di Natale è la sensazione che qualcosa di bello può succedere anche sotto il freddo, e che la
notte sia quanto di meglio ci possa capitare, s’accendono le luci e le candele, così belle da vedere
e respirare.
Con esattamente 120 euro in tasca, guadagnati con una favola, la prospettiva di un Natale pieno di
candele, che avevo già comprato viola e argento, e la sensazione che qualcosa di bello potesse
succedere, me ne andavo per le strade illuminate della città canticchiando la speranza di una
nevicata.
Perché la neve la riconosci senza aprire le finestre. La riconosci p er il suono che fa e l’odore che
lascia. Quando inizia a nevicare c’è un fruscio uguale a quello del mio pigiama di cotone con i gatti
rosa che sfrega contro le lenzuola la mattina presto, appena sveglia, e un odore come quello di
notte e coccole che mi stringe a letto. La neve. Che ti svegli la mattina e non ci sono suoni e
odori, ma solo quel silenzio di coccole e notte.
Con i miei restanti 120 euro, le candele per il Natale, la gioia di cose belle che succedono,
sentendo il profumo della neve e stringendo al verde petto del mio cappottino i regali che avevo
appena comprato, passeggiavo per il centro città, tra le vetrine, con la voglia di sorridere alla
gente e cercando di scorgere, nascosti, allegri ed indaffarati come me, i folletti di Babbo Natale.
Sicura che li avrei visti, come mi succedeva tutti gli anni il 23 dicembre.
Let it snow, let it snow, let it snow.
Il punto di vista natalizio della pera zen
Livefast (http://sviluppina.co.uk/)
E' che dentro alla bottiglia della Zuegg ci sia un frullato fino-fino del fegato di tuo nonno. E che
una pera se lo stia bevendo. Riflettici la prossima volta che sei davanti al frigo.
Ho visto l'uomo mettere piede sulla luna, e dello spazio
farne progetto di guerra
Lizaveta (www.lizaveta.it)
Ho visto bombe dilaniare corpi
e la paura nelle piazze repressa con divise e manganelli,
mentre inconsapevoli ragazzi, fasciavano i loro volti tentando di nascondersi
dietro ad un crudele gioco.
Ho visto tre Papi,
e le ideologie cadere a pezzi.
Ho visto politici morire e portati in giro, pezzi di uomo, in un bagagliaio
o colpiti da monetine lanciate dalla folla.
Ho visto lanciare sorrisi, sopra il muro crollato di Berlino
ed agitar di braccia e di bandiere, in una frenesia di gioia.
Ho visto folle senza casa, guardarsi silenziose all'ombra
di fredde roulotte, appoggiate sui resti ormai distrutti di quella
che un tempo era la loro abitazione.
Ho visto gente senza patria tentare assalti
con lanci di sassi e urli alti, mentre dall'altra parte carriarmati
li guardavano con i loro occhi rombanti e indifferenti.
Ho visto del sospetto nella gente
quando decine di politici incupiti, tentavano con forza di
slegarsi, in tribunali, dagli anni di colpe densamente taciute.
Ho visto volti silenziosi guardare in mille pezzi un aereo senza
colpa, se non quella di attraversare lo spazio riservato a voli di missili
fantasma.
Ho visto risorgere traumatiche le guerre, che parevano lontane
e farsi ogni giorno più vicine, tanto da riuscire a sentirne quasi
l'odore.
Ho visto i denti dei bambini lanciare alti nel cielo
i loro acuti di risate, da sempre uguali, portarmi
piccoli frammenti di serenità.
Stellette comete
Squonk (www.blogsquonk.it)
Il giorno che ho trovato il mio nome nella lista di coloro che avrebbero fatto il servizio di guardia a
Natale non mi sono sorpreso. Sono qui da poco più di un mese, in totale non ho ancora tre mesi di
servizio sulle spalle: e in caserma, l'anzianità conta, eccome.
Così, alle sei del pomeriggio della vigilia del santo giorno, mi sono presentato al corpo di guardia
in compagnia di altri diciassette fortunati. Ci aspettavano ventiquattro ore da passare tra
pattugliamenti, tentativi di addormentarsi sulle brande disfatte da generazioni di Cavalieri di
Savoia, bestemmie e nostalgie. Poco prima di mezzanotte abbiamo sentito il suono delle campane
delle chiese, portato dall'aria tersa e gelida dell'inverno montano, ci siamo scambiati degli auguri
stanchi e veloci, abbiamo dato il cambio alla muta precedente ("muta", si chiama il gruppo da sei
che esce in pattugliamento. "Muta". Un giorno, forse, prima di congedarci, abbaieremo alla luna),
e siamo tornati sotto la neve.
Non so nemmeno cos'ho pensato, allo scoccare della mezzanotte di questo santonatale. Forse,
solamente a come avrei potuto sopravvivere ai dieci gradi sottozero, alla neve e al ghiaccio che
ricoprono gli scalini che portano alle garitte sopraelevate, a dove piazzarmi nella rimessa dei
Leopard per accorgermi dell'arrivo dell'ufficiale di picchetto senza farmi spaccare la faccia dal
vento. Non credo di aver pensato alla ragazza, ai genitori, agli amici, alla messa nel mio quartiere
di periferia di Milano; in certi momenti, è bene dare una priorità ai pensieri: alcuni servono, altri,
semplicemente, fanno male. E non è il caso di farsi del male da soli.
Adesso è mezzogiorno. Il capomuta mi ha messo in "Prima nord"; insomma, devo pattugliare
intorno al Circolo Ufficiali. Fanno festa, lì dentro. Ha smesso di nevicare, ed è venuta fuori una
giornata gelida ma senza una nuvola, di quelle che ti sembra di poter toccare le montagne
dell'Austria solo allungando la mano.
Ogni tanto, sento il rumore di una macchina che passa sulla strada che costeggia la caserma. La
immagino piena di gente che va a pranzo dai parenti, sul sedile posteriore due bambini assonnati,
la mad re che prega che la pentola di canederli nel bagagliaio non si rovesci alla prossima curva, il
padre che pensa a quanto avrebbe voluto starsene sul divano di casa, al caldo e in compagnia di
una weizen.
Arriva una famiglia di ritardatari al pranzo del Circolo Ufficiali. Il padre lo conosco, è un capitano
del Primo Squadrone Carri. Una brava persona, nulla da dire. Tiene al braccio la moglie, in un
gesto di intimità che qui dentro puoi vedere solo in queste occasioni. Cinque o sei passi dietro, due
ragazzine. Quattordici, quindici anni. Carine, vestite bene. Io sono ad una decina di metri da loro,
porto la mano alla fronte e saluto il capitano, che mi sorride di rimando. Guardo le due ragazzine,
e, Dio solo sa perchè, mi sento in imbarazzo, infagottato in questo cappotto pesantissimo, con gli
anfibi lucidati dalla neve e le occhiaie di una notte insonne. Mi fissano per qualche secondo, e poi,
senza alcun motivo, si mettono a ridere. Poi, entrano nel caldo e nel lusso del Circolo.
Sento nuovamente le campane della chiesa più vicina. Batte i dodici rintocchi di mezzogiorno. Tra
sei ore, anche questa sarà passata.
La notte delle stelle cadute
Fiottolino (www.lagatina.splinder.com)
La terra tremò di colpo e la donna ritornò improvvisamente in sé.
Per un attimo non capì dove si trovava. Poi realizzò. L’odore di paglia e di muschio, il tetto della
capanna, e a terra la mangiatoia con il bambinello che la guardava placidamente. Di fronte a lei, il
marito: sebbene avesse gli occhi aperti, sembrava che l’uomo, retto dal suo bastone, si fosse
assopito in piedi. Era comprensibile, anche lei si sentiva sopraffatta dalla stanchezza di quegli
ultimi giorni. Tutto era successo così in fretta che adesso i pensieri facevano fatica a rimettersi in
ordine. Fortunatamente, lì si stava bene. Nonostante fuori intravedesse qualche ammasso di neve
non ancora sciolta, si sentiva al caldo. Dietro di lei, le assi mal disposte del piccolo rifugio
lasciavano intravedere un paesino illuminato quasi a giorno e un cielo stellato su cui spiccavano
due stelle comete. Davanti a lei, un piccolo mondo bucolico fatto di pecore e pastorelli e
dominato da tre signori più alti rispetto agli altri di almeno una spanna. Tutti sembravano
guardare verso la capanna. Chissà cosa volevano. A guardarli bene avevano un aspetto inquietante.
Chi un occhio più basso dell’altro, chi senza una mano o una gamba, chi con la faccia un po’
cancellata. Eppure la donna sapeva che non aveva nulla da temere da quelle persone. E nemmeno
dalla lucertola gigante che poco più in là, all’interno di un cortile recintato, sembrava spaventare
delle oche, che però continuavano a nuotare tranquille nello stagno; o dagli uomini di fango duro,
che qua e là si trovavano accanto ai pastori.
La terra tremò ancora.
Una decina di pecore, vicino alla grotta, caddero all’unisono come morte stecchite. Un omino di
fango duro, rotolando giù, precipitò nel burrone che c’era a fondovalle.
Ancora un altro breve terremoto e i fuochi della cittadella si spensero all’unisono. Nel buio la
donna poté intravedere un mostro dalle proporzioni gigantesche che con un balzo saliva dal
burrone verso il villaggio. Tale era il suo peso, che sotto di lui cedevano le montagne,
fracassandosi letteralmente. La donna guardò il bambinello nella culla e il suo primo istinto fu di
proteggerlo e scappare via, ma evidentemente terrorizzata da quell’apparizione, non riuscì a
muovere un solo passo.
Poi, mentre il cielo stesso cadeva sotto la forza di quell’orrore, un urlo di terribile disperazione
squarciò l’aria. Si sarebbe detta la voce di Dio. Per la donna fu troppo, mentre rovinava giù a valle
con tutta la capannina, perse i sensi e cadde nell’oblio.
Nonostante le mie precauzioni, la mia gatta riuscì a salire sulla mensola dove avevo creato il
presepe. Dopo quella volta non lo feci mai più.
Perché il mare sospira
Mitì Vigliero (www.placidasignora.splinder.com)
Lo sapevate voi che, di notte, il mare sospira?
Sciaquio monotono all'apparenza tranquillo,
in ogni bolla della spuma salata che s'infrange a riva
sono raccolte le storie che ognuno di noi ha vissuto
in ogni ora della giornata appena passata.
Ogni risata, ogni sospiro, ogni lacrima, ogni imprecazione,
ogni pentimento, ogni spavento, ogni finzione, ogni confessione,
ogni malvagità, ogni atto di bontà, ogni vendetta, ogni perdono,
ogni ansia, ogni abbandono, ogni fiducia, ogni tradimento
ogni promessa, ogni mancamento, ogni sussurro, ogni alto grido,
ogni preghiera, ogni pianto antico di giorno s'innalzano nel cielo
e si compattano formando nubi grosse rosa e grigie
gonfie di lacrime gioiose o disperate, quelle che non versiamo
qui su questa terra, ma tratteniamo orgogliosi dentro il cuore.
Spinte da scirocchi e maestrali fin sul mare
le nuvole esplodono la nostra salata pioggia
che si mischia alla salata acqua del mare.
Ma giunta con l'onda alla sua madre terra,
l'acquea anima umana si distacca
e canta la sua storia infinita, da millenni uguale.
Ed è per questo che il mare, di notte, al posto nostro sospira.
Quella volta che P.A. si incazzò di brutto
Dust (www.dust-page.splinder.com)
Ralph: "Ehi, Rusty, dove te ne stai andando con in mano la pistola ?"
Sam: "Già, Rusty, dove te ne vai con quel ferro in mano ?"
Rusty: "Vado a sparare alla mia vecchia. Se la fa con un tizio, e insieme hanno steso il mio vecchio,
papà Gummy"
S: "Quella fulminata di tua sorella è della partita ?"
Ru: "Ci puoi scommettere, amico. Be', ci vediamo"
[ sparisce nella strada ]
R: "Dico, Rusty pare proprio deciso. Ma non farà un miglio prima che lo becchino"
S: "Non credo che la polizia muoverà un dito. Tanto, quello, la polizia se la porta dentro"
R: "Non l'ho mai saputa per intero, la storia di Gummy"
S: "Qui ci vuole Homer. Cominciò con la grande guerra fra bande, vero Homer ? Dai, raccontaci un
po' dell'incazzatura di P.A., che è costata la buccia a tanti bravi ragazzi"
H: "Eh, sì, se ne è portata un bel po' di gente nell'aldilà, quell'incazzatura, un sacco di ragazzi che
hanno stirato le zampe prima del tempo. Lasciati lì in mezzo alla strada alla portata del primo
barbone che passa. Be', di tutte le guerre fra bande, quella fu la più dura, senza meno. Il giovane
Perry della famiglia di Hector - "Faccia d'angelo", lo chiamavano, perché era davvero carino - soffiò
la donna a Manny. Ellie, si chiamava. Gran bella donna. Se la portò via nella zona di Hector, e lei
di tornare da quel depresso di Manny non se lo sognava nemmeno. Così lui decise di andarsela a
riprendere di persona"
S: "Mica poteva fargliela passare liscia"
H: "Dici bene, c'era da perderci la faccia. Così Manny e Gummy radunarono un po' di bande per
fare piazza pulita dei bastardi. C'era Spooky con un po' di ragazzi, c'era P.A. coi suoi e tanti altri.
Hector e la sua famiglia se ne stavano chiusi nella loro zona, una vera cittadella, praticamente un
campo minato. Ogni tanto ci si scontrava, e alla fine c'erano sull'asfalto un po' di salme assortite"
R: "E la polizia ?"
H: "Lo sai come vanno queste cose. Qualche divisa blu la pagavamo noi, qualcuna loro. E così ogni
tanto intervenivano per aiutare un gruppo o l'altro. Le cose andavano avanti così già da un po',
quando scoppiò il casino con Breezy"
S: "Il nome non mi dice niente"
H: "Era una troietta come tante, solo che P.A. le aveva messo gli occhi addosso e pretendeva che
lavorasse per lui. Ma Gummy non gliela voleva cedere a nessun costo. Ci si era impuntato sopra,
dio sa perché. Mai avuto fortuna con le donne, quel disgraziato"
S: "Così pare. La moglie e l'amante gli hanno fatto la festa, ci diceva Rusty"
H: "Sì, fu molto tempo dopo. Be', dicevo, P.A. s'incazza di brutto, si chiude nel suo bunker coi suoi
e pianta lì di combattere. P.A. era uno che faceva paura, davvero, era un mito per i ragazzi. Aveva
un fisico strepitoso e la potenza di fuoco di una portaerei. Passava senza neanche impolverarsi le
scarpe in mezzo alle sparatorie più scatenate. E con lui c'era Pat, un altro tipo tosto, il suo amico
più caro. Qualcuno diceva anche troppo caro, se capite cosa intendo"
R: "Ti facevo di vedute più larghe, Homer"
H: "Seeh, lo so, l'amicizia virile. Ma guarda, ti racconto questa. P.A. aveva un brutto
presentimento, su 'sto cazzo di guerra. Così decide di imboscarsi e ne inventa una davvero idiota.
Si traveste da donna - non riesco ancora oggi a crederci - e si nasconde fra le ragazze di un casino.
Una sera entra Spooky, che pare uno di casa. Le ragazze cominciano a coccolarselo e lui ha un
regalino per ognuna. Mi figuro P.A. rintanato in un angolo con parrucca, rossetto e tutto che prega
"Fa' che io non sia il suo tipo..". Poi Spooky butta lì 'Occhio, bellezze, che tiro fuori un gran pezzo
di artiglieria'. Gridolini e risate. 'Ma che avete capito ?' e ti sbatte con nonchalance sul tavolo una
pistola da urlo, l'ultimo modello di nonsoche, zeppa di gadgets, infrarossi e quant'altro. Un
gioiellino da assoluto superkiller cazzuto"
R: "E P.A. ?"
H: "Be', sapete come si dice: il prodotto bellezza X intelligenza è una costante. P.A. non resiste,
zompa fuori dall'ombra e si butta a limonare con il ferro. E Spooky che sogghigna per come se l'è
cuci nato. Ma torniamo a noi. Insomma, i nostri si demoralizzano e cominciano a perdere
veramente colpi. Non passa giorno senza che qualcuno finisca orizzontale. Aggiungi che una strana
intossicazione alimentare ne manda un bel po' al creatore. Ho sempre sospettato che ci fosse
dietro lo zampino di un certo capitano della polizia, ma lasciamo perdere. Come se non bastasse,
la banda di Hector ci manda in fumo un garage pieno di auto. A Pat questa inattività rodeva un po',
così pensa bene di guidare lui il suo branco e torna in campo a combattere. Hector non aspettava
altro. Si sfidarono, e Pat ebbe la peggio. Per P.A. fu un colpo tremendo, fece il diavolo a quattro e
giurò di vendicarsi. Spooky colse la palla al balzo, convinse Gummy a cedere Breezy e alla fine
P.A. si rimise in moto. Fu lui a stendere Hector - un duello leggendario"
R: "E' vero che poi P.A. fece una fine stupida ?"
H: "Sì, trascurò una ferita a un piede e l'infezione se lo portò via"
S: "Ma la vera svolta la diede Spooky con quella pensata del camion"
H: "Come è vero che mi chiamo Homer, fu una trovata fantastica e...hem..."
R: "Oh, capisco. Gola secca"
[ birra ]
H: "Grazie, amico. Allora. Una mattina, proprio nel bel mezzo della zona controllata dalla famiglia
del fu Hector trovano parcheggiato un grosso camion, apparentemente di una macelleria equina.
Qualcuno controlla senza troppo impegno. Il camion sembra pulito e vuoto, e così lo lasciano
dov'è. Ma quella notte, da lì dentro, saltano fuori Manny, Gummy e gli altri, e mettono la zona a
ferro e fuoco. Una mattanza: prendono la famiglia alla sprovvista, anche perché Spooky ha sparso
la voce che i nostri sono sfiduciati e ormai vogliono mollare tutto. Si salvano in pochi, fuggendo e
evaporando dalla circolazione. Appena ieri Virgil mi diceva che Pius E. si è infilato in una Little
Italy da qualche parte"
S: "E quando Gummy torna a casa la moglie e il suo ganzo gli aprono il cranio"
R: "Così va il mondo, ragazzi. Ehi, c'è Rusty. L'hai poi fatto, amico ?"
Ru: "Certo che l'ho fatto. L'ho stesa"
H: "Era giusto, cazzo. E dove te ne vai, adesso ?"
Ru: "Mi sa che vado verso Sud, in Georgia, dalle parti di Athens. Nessuno mi può beccare, là. O
almeno mi faranno un processo giusto"
[ sparisce all'orizzonte ]
S: "Qualche rimorso, però, mi sa che lo rode"
R: " Ehi, gente, chi diavolo sono quelle vecchiacce ?"
S: "Cristosanto, i più brutti esseri viventi che vedo da un bel po' di tempo a questa parte. Strano, si
direbbe quasi che stiano seguendo Rusty"
R: "Già. E vanno proprio di furia"
[ birra ]
C’era una volta virgola sette
Marquant (www.zittialcinema.splinder.com)
Una virgola sette. Vanno al cinema una virgola sette volte l’anno, e questa è una. Quanto al
rimanente zero virgola sette, ci penseremo. O forse, chissà, qualcun altro si prenderà quella quota
decimale per tornarci a Pasqua.
E’ tutto calcolato. In macchina fino al parcheggio di periferia. Quattro euro per la metropolitana,
trenta euro per i biglietti del cinema, sei euro per i popcorn, due per l’acqua minerale e altri sei
per la Coca-cola. Poi quattro euro per tornare alla macchina e altri quattro per il parcheggio.
Totale cinquantasei euro. Ma a Natale si può fare.
Ed eccoli, davanti al multisala vicino al multistore: Franco, trentotto anni, sua moglie Marika di
anni trentasei, e i piccoli Michele e Vanessa, rispettivamente di anni otto e dieci, come l’orario di
inizio del film. Adesso sono le otto meno cinque, ed è il momento di scegliere. Franco vorrebbe
vedere Aldo Giovanni e Giacomo, fanno ridere. Marika insiste per quello con Clunei e Bredpit,
fanno sognare. Insiste in modo sospetto, sospetto per Franco. Michele e Vanessa hanno in testa
solo Shrek.
Alle casse c’è la fila, ma se ne accorge solo Franco, che si ricorda anche perché al cinema ci vanno
solo una virgola sette volte l’anno: c’è la fila, e quest’anno più degli altri. Marika ha già smesso di
parlare: da un’occhiata di Franco ha capito che Clunei e Bredpit se li dovrà guardare a noleggio,
“e poi i bambini preferiscono l’altro, dai”. Michele e Vanessa, loro, hanno già cambiato nome: lui
è Shrek e lei è Fiona, ma nessuno dei due è sicuro che si tratti di un complimento.
Otto e cinque. Franco è davanti alla cassa, oltre il vetro una ragazza, microfonata e scortese, lo
tramortisce con un “Dica!”. Ma in quel momento Franco non ha nulla da dire: ha davanti lo
schermo con l’elenco delle sale e dei film e il numero dei posti disponibili: Shrek 2: zero; Tu la
conosci Claudia?: due. Ocean twelve: uno.
“Dica, signore!” insiste la ragazza facendo gracchiare l’altoparlante. “Un momento”, dice Franco
senza guardarla, e continua a scorrere il display elettronico: Christmas in love, tre posti (“Sfiga”,
pensa Franco, “Boldi e De Sica facevano ridere...”). Non c’è più tempo, neanche di consultare la
famiglia. “Sala sette, quattro posti”, spara a caso Franco, “S ono trenta”, risponde al fuoco la
cassiera.
In metropolitana, mentre tornano verso il parcheggio, nessuno parla. Franco conta mentalmente i
soldi buttati nel cesso per vedere un film incomprensibile, che non fa né ridere né piangere,
ripetitivo persino nel titolo: Melinda e Melinda. Marika tiene in braccio Vanessa, che non si è
ancora svegliata, e intanto cerca di ricordare qual è quel suo collega che parla sempre bene di
quel vecchio maniaco che fa ‘sti film: al rientro dalle ferie se lo farà spiegare. E Michele, ha già
dimenticato tutto. Ma sarà proprio Michele l’unico a ricordare con piacere questa giornata di
Natale, e la ricorderà come il più bel regalo mai ricevuto, così grande da non poterci stare sotto
nessun albero del mondo.
Molti anni dopo, di fronte alla proiezione di una retrospettiva su Woody Allen, il professor Michele
Benassi si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre l'aveva condotto a
conoscere il Cinema. Anche se per caso.
FINE
Si ringraziano L’Istat, Gabriel Garcia Marquez e Woody Allen.
Come lo dico alla mamma?
Lester (www.americanbeauty.splinder.com)
"Dovrei dirti una cosa, cara genitrice."
"Dimmi, frutto dei miei lombi."
"Sai, stavo pensando di andare un fine settimana a Milano."
"Tu vivi in Sardegna e vai a Milano per il fine settimana? Mi risulta che di solito si faccia il
contrario!"
"Sì, ma sai, ehm, così, volevo fare un viaggetto, Milano è molto bella in questa stagione..."
"Esiste una stagione in cui Milano è molto bella? Questa è una novità!"
"Ehm, in realtà il motivo principale è un altro... Insomma, c'è un raduno di quelli -che-hoconosciuto-su-internet, e volevo parteciparvi."
"Quelle persone che la stampa descrive usualmente come patologicamente introverse, dalla
scarsissima vita sociale e con una forte propensione al sesso solitario? Mi pare che la descrizione
ti si attagli assai bene, figliolo!"
"Ehm, sì, ma questo è un evento culturale! Vedi, ne hanno parlato pure su Repubblica!"
"Ah, già. E'interessante che Repubblica abbia illustrato l'articolo che parlava di questa elevata
iniziativa culturale con la foto di un'attrice con la quarta abbondante."
"..."
"Senti, figliolo, ormai sei grande, i soldi sono tuoi e puoi fare quello che vuoi. Solo, mi spieghi
una cosa?"
"Dimmi..."
"Perché piuttosto non vai ad Amsterdam a spendere i soldi con prostitute e sostanze illegali, come
fanno tutti?"
Il derby di Natale
Severine (www.severine.splinder.com)
A Natale sono tutti più buoni. Anche noi tifosi. Io per esempio sulla mazza ferrata che porto ogni
domenica allo stadio ci ho messo un rametto di vischio. Così a quelli della curva opposta li bacio e
gli faccio gli auguri prima di frantumargli le ossa del cranio.
Anche quest'anno il Natale lo passerò allo stadio. Lo stadio è la casa, anzi la culla, un'enorme culla
accogliente e calda. Soprattutto quando diamo fuoco ai sedili di plastica o ai venditori di bibite.
L'anno scorso per esempio c'è stato il derby Gesù Bambino contro Babbo Natale. Non sapendo bene
da che parte stare noi tifosi ci siamo scannati tutti, una vera festa, poi dicono che il Natale è
noioso.
In squadra con Gesù Bambino c'erano i Re Magi come attaccanti e qualcuno aveva anche pensato di
appendere una stella cometa di cartone sulla porta avversaria, se no quelli non avrebbero saputo
dove andare. A centrocampo due zampognari, un guardiano di oche e San Giuseppe che però è un
po' un legno. In difesa tutte pecore e in porta il bambinello completo di mangiatoia, asino e bue.
Una difesa impenetrabile.
Dall'altra parte erano schierati dieci Babbi Natale e un sosia di Elvis. Aveva sbagliato raduno e così
l'hanno messo in porta.
L'arbitro dell'incontro era un bambino di sei anni a cui avevano appena spiegato che Babbo Natale
e Gesù Bambino in realtà sono i genitori. Nel senso di chi porta i regali ovviamente, ma lui non ha
mica capito e l'ha presa alla lettera, quindi ha vissuto il trauma di arbitrare uno scontro tra sua
mamma e suo papà. Cosa che secondo me invece gli ha fatto un gran bene, poi dicono che andare
allo stadio non è educativo.
Al fischio d'inizio una pecora si è spaventata e ha subito preso l'uscita dello stadio di corsa.
Ovviamente tutte le altre l'hanno seguita, tirandosi dietro anche un guardialinee sardo. Poco male
però perché le hanno subito sostituite con il ragazzetto scalzo col cappello e due brocche d'acqua,
uno bravo, infatti secondo me c'è qualcosa di losco nel contenuto delle due brocche, dicono che è
acqua ma io non me la bevo. Solo che il nome ragazzetto scalzo eccetera scritto dietro alla maglia
non ci stava e allora l'hanno dovuto far giocare col mantello come Batman. Anche i cronisti un po'
lo odiano, perché quando la palla arriva a lui non fanno in tempo a pronunciare completamente il
suo nome che l'altra squadra ha già segnato due volte.
Comunque è stata una bella partita, di quelle combattute, veramente.
Quando qualcuno ha gridato cornuto all'arbitro, San Giuseppe si è offeso. I Babbi Natale hanno
fatto ricorso perché l'altra squadra aveva lo straniero, Baldassarre. Il team Gesù Bambino ha subito
fatto ricorso al ricorso per via di Elvis, ma ha perso la causa perché dal tesserino della Federazione
Calcio risultava che il signore vestito in pelle bianca con le frange era nato a Barletta.
Poi l'incontro è stato sospeso. Non so perché, in quel momento io e i miei amici eravamo impegnati
a buttare giù un po' di roba dagli spalti, così per ravvivare l'atmosfera. In tutto sono volati giù due
motorini Bmw col tettuccio, una lavatrice di quelle della lavanderia a gettone, l'unica pecora che
siamo riusciti a fermare, un signore anziano in ca rrozzella, un vagone della metropolitana linea 2 e
il servizio di piatti della dote di mia sorella.
Ci siamo proprio divertiti. Al telegiornale poi hanno detto che la partita era stata sospesa per
"anticipo di capodanno", chissà cosa vuol dire, ma tanto noi quest'anno lo rifacciamo.
Attesa
AdRiX (www.yaub.splinder.com)
Sapevamo di non doverlo fare, l'abbiamo fatto. Vederci, guardarci negli occhi, non pensare alla
conseguenze, e con insopprimibile foia d'amore, primevo impulso prenderci l'una con l'altro,
accoppiarci mentre i tuoni del non lecito e i fulmini del proibito ci rombavano accanto, creando
l'uragano che i mortali hanno visto e ricorderanno come la più spaventosa tempesta a loro
memoria è stato inevitabile.
Io non ero inviata, quando accadde. Sorvegliavo, in quel momento osservavo che il mio principio si
spandesse, la primavera della grande Terra culla degli uomini era cominciata, e mi beavo della
manifestazione. Ricca e feconda germogliava la terra, possenti arieti combattevano per
primeggiare, le belve generavano i loro cuccioli,
farfalle irididescenti erano ovunque, e l'acqua era ovunque, discreta e indispensabile, in un
immenso oceano di verde.
E lo vidi, lontanissimo. Nelle poche ore che trascorremo insieme dopo i furiosi amplessi, mentre
godevamo ancora degli spasimi morenti dei nostri lombi, mi raccontò che in quel momento era
occupato a spingere lontane le nubi gravide d'acqua che avevano regalato alla terra assetata la
fecondità di quella primavera.
Lui mi scorse, tornò indietro velocissimo. Per stirpe e scelte antiche siamo nemici, la mia Spada
balenò nelle mie mani mentre lui si preparava ad affrontarmi con la sua.
Ma ci fermammo. Ci incantammo, vidi in lui la qualità che indosso come nome, vide in me la forza
dell'impeto che porta nel suo. Le spade vennero gettate, una moltitudine di baci mai sazi furono
scambiati mentre parossisticamente ci congiungevamo.
Capimmo troppo tardi. Continuammo, volevamo godere del dono che l'incontro ci aveva offerto, e
ci lasciammo, disperati per l'enormità del nostro agire. E ora attendiamo. Attendiamo che, da
dove si può, vengano cconvocati i nomi di Tif'eret e Libicocco, i nostri nomi.
(Tif'eret nella Torah è Bellezza, Libicocco (Vento Impetuoso) è uno dei Malebranche)
la soluzione di natale
papoff (www.papoff.splinder.com)
[S] : sei pesante!
[T] : e tu troppo sognatore, poco concreto. non ti sopporto.
[S] : comunque dobbiamo convivere, ti devi rassegnare. ci dobbiamo sopportare.
[T] : ma perchè? perchè?
[S] : perchè siamo qua dentro. ci hanno messo qua e non possiamo fare altro.
[T] : ma siamo incompatibili.
[S] : non totalmente!
[T] : ma se tendiamo sempre ad allontanarci! a farci i fatti nostri. tu sei sbagliato!
[S] : nessuno di noi due è sbagliato. solo che è difficile. dobbiamo reagire! per stare insieme in
armonia, abbiamo solo bisogno di un po' di movimento, di un catalizzatore. di energia.
[T] : siamo un miscuglio disomogeneo, se ne sono accorti tutti! non leghiamo.
[S] : sei il solito pessimista! quando le cose non vanno ti butti sempre giù e speri di arrivare sul
fondo.
[T] : sì, per poi risalire e riuscire a trovare un equilibrio. e invece te? sempre a illuderti d'essere
leggero e libero? dove credi di andare?
...
[S] : buon natale
[T] : io odio il natale! sono costretto a confrontarmi con gli altri e vedere che hanno trovato un
loro equilibrio mentre io…
[S] : ti capisco. è la stessa cosa anche per me.
[T] : e allora perchè mi fai sti cazzo di auguri?
[S] : perchè così sei contento. così credi che io sia il tuo antagonista.
[T] : perchè invece? qual è la verità?
[S] : davvero la vuoi sapere? io no.
[T] : si che la voglio sapere! tu la conosci? dimmela!
[S] : la sai anche tu: siamo la stessa cosa. siamo una cosa sola.
[T] : non è possibile! io...io ti odio! cazzo, ma la soluzione qual è?
[S] : noi.
[T] : (in)soluto
[S] : (in)solvente
[la soluzione: Pa + P + ½O2 + F2 + ? ? papoff®]
l'enzima della sera:
a.a.a.
cercasi entropia per soluzione disomogenea in cerca di reazione.
astenersi droghe pesanti. no recettori a tempo.
Il calcinculo
Antonio S. (www.webgol.it)
Il calcinculo è più che un gioco, più che puro
divertimento, è un volo targato speranza. Se poi
c'è qualcuno che non conosce il calcinculo, per
punizione una settimana senza playstation ,
uscire fuori di casa e tour intensivo alle fiere di
paese, compresa quella del tortello. Ché lì il
calcinculo c'è di certo.
Il calcinculo non è mica una ruota panoramica,
che stai lì e ti guardi intorno; il calcinculo è
sfida inane, azione a vuoto, gioco di squadra,
grandi battute di cranio, e tintinnar di rotule
nel riacchiapparsi al volo. Nel calcinculo bisogna
volare in alto spinti da quello dietro di te e
prendere al volo uno straccino pesto che penzola dall'alto (spesso, chissà diavolo perchè, attaccato
ad un Super Santos giallo).
Se chiappi lo straccino, un giro gratis.
Il trucco è metter bene i piedi per lanciare il seggiolino davanti.
Almeno così sembra a vederli da giù.
Io, da quando son piccolo, sogno di chiappare lo straccino. Non ci sono mai riuscito, però,
all'epoca. Ero troppo piccolo, sia io che i miei amichetti - e i giri li passavamo a voltolare a
mezz'aria, a sfiancarci con scalciate di gambine smunte guardando dal basso i ragazzi più grandi
svolacchiare nell'empireo degli straccini. Acchiapparli ogni volta. Il peggio era quando lo facevano
ai primi giri (spesso in virtù di una rincorsa da terra al limite del mio personale regolamento
mentale): i giri dopo erano una noia infinita, senza nemmeno la speranza.
L'altro giorno ci ho riprovato, dopo forse 15 anni che non ci salivo. Ora son grande, mi son detto.
Ci riuscirò. Ci sono andato vicino, un giro che ero solo. Ho sfiorato lo straccino con la punta delle
dita; mi è parso morbidissimo, come seta raffinata, sedere di fanciulla, sogno che rimane. Non ho
potuto fare altro che sfiorarlo. Le ditine fantozziane mi si erano incartocciate dall'emozione. Il
giro dopo è arrivata la marmaglia che staziona dalle parti del Parco delle Cascine, in quel di
Firenze. Invidiosa, credo, del mio sfioramento.
Due loschi figuri l'hanno preso al primo giro, lo straccino, grazie ad una tecnica perfetta eppure
buzzurra, senza poesia.
A Christmas Carol
Loredana Lipperini (http://www.kataweb.it/kwblog/page/CLIP)
Sbircio da altrui posta e, come si suol dire, volentieri inoltro:
”Al direttore
Il sottoscritto, Charles Dickens, nato nel 1812 a Landport, esprime con la presente la propria
totale e profonda insoddisfazione per il reiterato quanto sciagurato utilizzo di una delle sue opere,
A Christmas Carol, che, come Ella sa, è uno dei cinque racconti raccolti sotto il titolo di Christmas
Books nel 1852.
E’ pur vero, signor direttore, che quelle opere ottennero un ragionevole successo, al punto che
alcuni scellerati li definiscono oggi il primo best seller della storia della letteratura. Ma è
altrettanto vero che nella produzione del sottoscritto entrano altre opere che il qui presente
riporta alla sua attenzione: da A Tale of Two Cities a Barnaby Rudge, oltre a Bleak House, Hard
Times e Great Expectations, per tacer del resto che sicuramente già vi è noto.
Ora, il sottoscritto nulla ha da obiettare sulla trasformazione di alcuni suoi scritti in quella che
suole chiamarsi fiction televisiva (anche se in realtà da obiettare ci sarebbe, signor mio, ma taccio
per amor di pace natalizia). Trova invece non più sopportabile la sorte toccata proprio a A
Christmas Carol, che negli anni è stata scempiata da Zio Paperone, Bill Murray, ed ora persino da
Linus.
Vede, signor direttore, a tutto c’è un limite: passi per gli ammodernamenti, le rivisitazioni,
financo le parodie. Ma quando il proprio nome, che si ritiene degno di una qualche stima, finisce
con l’identificarsi con un’unica storia, per di più dimenticata nella sua originale scrittura, è il
momento di dire basta.
Lo dicono, insieme al sottoscritto, alt ri colleghi di svariata estrazione. Per esempio il signor
Mark Twain, in preda a grave sconforto dopo che il suo Il principe e il povero è stato portato su
Dvd da due Barbie, una bionda e una bruna. Nonché il signor Kipling, che mai avrebbe desiderato
ritrovare la sua poesia Se nelle sale parto di mezza Italia, sulle riviste pediatriche e in un
consistente numero di siti personali (sorte ancor peggiore è toccata al signor Gibran, con il passo I
vostri figli non sono i vostri figli, e soprattutto all’infelice signor Wilde, ormai decaduto ad autore
testi per cioccolatai).
Alla protesta, ma per motivi assolutamente opposti, si associa il signor Lucrezio. Sostiene, il
medesimo, di non essere invece abbastanza citato. Eppure, sostiene, sarebbe oggi di qualche
pertinenza almeno un brano di una sua nota opera, De Rerum Natura, quanto mai attinente al
gran discorrere che si fa intorno alle due signore o signorine Lecciso, la cui fama giunge
tristemente fino a noi. Essendo il signor Lucrezio alquanto pignolo, mi prega di accludere alla
presente il brano in questione, che a suo dire potrebbe fornire la famosa chiave interpretativa
della cui assenza si dolgono diversi vostri studiosi.
Bello, quando sul mare si scontrano i venti
e la cupa vastità delle acque si turba,
guardare da terra il naufragio lontano:
non ti rallegra lo spettacolo dell'altrui rovina
ma la distanza da una simile sorte
Sperando che le risulti effettivamente utile, le auguro, come può immaginare, un felice Natale.
Suo
Charles”
Marco
Hotel Messico (http://www25.brinkster.com/hotelmessico)
Avevo appena finito di sciogliere nell'acido un venditore della folletto che aveva bussato alla mia
porta quando squillò il cellulare. Era mia madre che mi annunciava che mia sorella si era fidanzata
e che quella sera avrebbe portato a casa il nuovo fidanzato. Mi chiese gentilmente di non
presentarmi. Mentre rassicuravo mia madre sul fatto che non sarei andato, tirai fuori la camicia
nera delle grandi occasioni e le adidas rosse per l'evento mondano. Suonai alla porta verso le nove
calcolando che a quell'ora mio padre avesse gia raccontato al ragazzo la storia delle tasse che
aveva sempre pagato solo che quelli dell'inps non l'avevano scritto da nessuna parte e adesso dopo
vent'anni gli volevano fare il culo. Quando mia sorella mi vide, tirò fuori il suo cellulare e cominciò
ad eliminare dalla rubrica il numero di telefono del nuovo fidanzato. Io presi posto tra zia Ada e
mia madre, proprio di fronte a Marco, che poi era il nuovo fidanzato in questione. Zia Ada era la
mia zia preferita, aveva un occhio di vetro e l'altro strabico, capire che stava parlando con te era
praticamente impossibile. Zia Ada aveva condotto al suicidio diversi uomini tra cui un carabiniere
in pensione a cui aveva chiesto indicazioni per arrivare a piazza Vittoria. Capivi che parlava con te
solo quando ti dava le spalle.
Tesi la mano verso Marco e gli chiesi se lavorasse per la folletto e lui mi disse che faceva parte di
un gruppo di volontari che liberavano i castori e i visoni prima che diventassero pellicce. Era un
ragazzo di animo nobile e certe cose io le apprezzavo. Gli dissi che per lavoro passavo animali di
piccola taglia a laboratori di analisi e che mi occupavo di recuperare feti abortiti dalle discariche
delle cliniche private per conto di alcuni ristoranti cinesi di piazza Garibaldi. Zia Ada rideva così
forte che quasi gli cascava l'occhio di vetro nel piatto. Marco era un bravo ragazzo e durante la
serata lo ripetei diverse volte e pure zia Ada cominciò a imitarmi, guardava fuori dalla finestra
mentre diceva a Marco che era un bravo ragazzo.
Altri due bicchieri di vino e zia Ada partì. Cominciò a darci dei dettagli su un leggendario rapporto
carnale avvenuto quarantasette anni prima con un nano giocoliere del circo Livia Togni. Per
indicarci le dimensioni del pene del nano zia Ada usava un pezzo di sfilatino che stava sul tavolo.
Io giusto per il gusto di farle ripetere la scena facevo finta di non capire e lei di nuovo che
armeggiava con lo sfilatino per aria come fosse una spada e poi offriva a Marco del pane e lui per
rispetto non lo rifiutava. Poi ci raccontò che il nano ebbe un destino avverso perché finì in un
polmone artificiale. Nonostante tutto continuò ad esibirsi come giocoliere nel suo polmone
artificiale e anche se le palline cadevano tutte per terra la gente lo applaudiva lo stesso e alla fine
piangevano tutti. Il numero del nano era così triste che alla fine dovettero allontanarlo dal circo e
zia Ada perse il suo uomo e alla fine si mise insieme al trapezista che in una sventurata sera cadde
dal trapezio e continuò ad esibirsi con la sedia a rotelle sul trapezio solo che lo spettacolo era
troppo triste e alla fine cacciarono zia Ada additandola come portatrice di sfiga. A questo punto
della serata Marco si alzò e disse che doveva andare a controllare se l’antifurto della sua macchina
fosse inserito e chiaramente non tornò mai più. Guardammo l’orologio e mio padre appuntò sul
calendario l’ora alla quale Marco era scappato. Tutti temevamo l’ira di mio padre per quello che
era successo e stette in silenzio alcuni secondi solo per caricare di severità le sue parole.
“Stiamo peggiorando, prima questi bastardi duravano quaranta minuti, adesso lo sapete quanto
tempo ci abbiamo messo a farlo scappare? Un’ora e un quarto!”
Mia madre scoppiò in lacrime e per la vergogna si coprì il viso.
Buon Natale dal Papa
Personalità Confusa (www.personalitaconfusa.splinder.com)
Ciao a tuti, cari amici, sono ancora io, il Papa. Ecomi qui, sicome il confuso non sapeva cosa
scrivere mi a chiesto a me un post, e cosi poso facio io e ne aprofito per farvi gli auguri di Natale e
racontarvi un po di cose segrete che sui giornali non ve le dicono.
Alora, amici, volevo dirvi che ho comprato i regali di Natale. A Ruini li ho regalato un cilicio nuovo,
questo e di cuoio con i laceti streti, cosi Ruini impara. Al mio portavoce spaniolo Navaro, quela
specie di carceriere di papi, li ho preso una cravata orenda che lui eclaico e le cravate se le puo
metere, ma io l'ho scelta aposta bruta cosi quando apre il pacheto dovra soridermi e far finta che
li piace e invece io lo so che non li piace ah ah che scherso. Invece ho fato uncbel regalo al mio
amico e colega Dalai Lama, un paio di infradito colorate carinisime, liele o spedito col DHL a casa
sua sul'Hymalaia.
Il programma del mio natale non e tanto belo, amici. La sera dela vigilia dovro stare alzato fino a
tardi che cè la mesa di mezanote; dopo torniamo neli apartamenti e io e Ruini ci faciamo li auguri,
mangiamo asieme una fetina di pandoro e lui si beve un bichierino di rosolio ma a me non lo da,
dice che mi fa male.
Il 25 abiamo il pranzo: a me servono solo una minestrina in brodo, Ruini e Navaro invece si fano
preparare dai miei cuochi le lasagne e la faraona farcita, e mentre mangia Navaro lo fa aposta a
dire che "Mmm, la faraona e buonisima, pecato, karol, che tu non la puoi asagiare" - perche lui lo
sa che io ci resto male, ma io prima o poi lo licenzio quello li, lo mando a fare l'uficio stampa del
cardinale di Vladivostok, cosi vediamo se dopo ride ancora.
Invece, questo anno subito dopo il pranzo del 25 Navaro parte, va alle Canarie per le ferie, a me
mi toca restare qui a roma in sanpietro. L'unico vantagio e che qui poso andare a vedermi la Sistina
nel'orario
di chiusura, e senza fare code. Perche la sistina e' il saloto di casa mia. Ma per tuto il resto quelo
di papa e un lavoro faticoso.
Ragazi, io vi auguro un buon natale a tuti, vi volio tanto bene, amici, buone feste a tuti,
sinceramente.
Il Vostro,
Papa
Mostarda
Farfintadiesseresani (http://farfintadiesseresani.blog-city.com/)
Dice: il senso del Natale?
Si fa presto a dire: il senso del Natale.
Io, se proprio sono costretto, dico: la mostarda.
Innanzitutto, la precisione.
La mostarda di cui qui si ciancia ha poco a che fare con la mustard anglosassone. Quest’ultima è
semplicemente una variante di salsa alla senape (detta “mostarda” solo per pigrizia o per
deprecabili cedimenti alle mostruosità dell’itanglish), quella è una delle più mirabolanti invenzioni
gastronomiche che l’umanità abbia partorito, e cioè: frutta di ogni genere (albicocche, pere,
ciliegie, fichi, mandarini, mele…) messa a macerare per mesi in uno sciroppo di acqua, zucchero e
senape. Specialità mantovana (e cremonese, ma a Cremona la fanno un po’ diversa, vabbé
facciamo che la differenza la spiego un’altra volta).
Roba che ti chiedi a chi diavolo possa essere venuta in mente. E soprattutto quanti tentativi
abbiano fatto, prima. E quanti morti per la causa, va da sé.
Bene, si diceva, la mostarda.
Trattasi di punto di arrivo. Di vetta dell’Everest. Di esame di laurea. In altre parole: la mostrada
va affrontata armati di tutto punto. Il palato e il cervello devono essere pronti e l’apprendistato
può durare decenni.
Esempio: io, che sono padano figlio di padani, ci sono arrivato solo alla soglia dei trent’anni.
Perché ti frega, la mostarda.
È infingarda. È bastarda dentro, e in questo caso l’espressione possiede un accuratezza
devastante.
Infatti, è bellissima a vedersi, la mostarda. Affascinante. Ipnotica. Soprattutto nei negozi di
gastronomia di Milano e di gran parte del Lombardo- Veneto, laddove sovente è esposta alla
pubblica libido in enormi vasi multicolori dai riflessi ambrati, che spargono tutt’attorno le luci
calde del Natale imminente, in un indicibile gioco di rimandi. Dal mare aranciato in cui sono
sprofondati galleggiano e occhieggiano i globi rossi delle ciliegie, il pallore biancastro delle pere, il
verdino malsano dei fichi, le nuance ocra del mandarino malevolo. E tu, bambino, in quel mare ti
ci perdi rapito.
Il punto dolente tuttavia è: assaggiarla.
Già, perché quello che alla vista parrebbe un cibo fatto apposta per la pasticciosità affabulanda
del max decenne si rivela bomba atomica organolettica, capace di devastare papille e sinapsi.
Iniziamo a dire che è agrodolce, e l’agrodolce, di suo, è pedorefrattario: il bambino impara per
analisi e della capacità di analisi novellamente appresa usa bearsi. O è agro o è dolce, dice il
bimbo, inconsapevole seguace dell’Organon aristotelico. Principio di non contraddizione. A non è
non-A. Agrodolce sa tanto di giornonotte, di rumoresilenzio, di cerchioquadrato. Inconcepibile.
La mostrarda, di suo, è eraclitea o, al massimo, hegeliana. Tertium datur, eccome. La
contraddizione, in questo caso, sussiste in sé ed è motore della degustazione. Agrodolce, sintesi di
tesi e antitesi. Frutta piccante. Senape dolce.
Io mi ricordo pranzi e pranzi di Natale, con tutta la magia e il resto d’ordinanza. E la mostrada
portata in tavola. E tutte le volte la tentazione: “è troppo bella per essere cattiva”. E poi,
regolarmente, la disillusione, aggravata dall’impietoso confronto con i maschi alfa del gruppo: mio
padre e mio nonno che ne sbafavano a mestolate. Edipo a go-go. Freud trionfante dall’oltretomba.
Io, tapino, a commiserarmi e a temere che mai ne sarei stato capace, e a rimirare la struggente
bellezza dell’artefatto, aumentata dall’inattingibilità.
Finché uno capisce che il trucco è accompagnarla. Cioè: la mostrada non è stata creata per essere
mangiata da sola. Va impastata con i suoi naturali complementi, ovvero il lesso e la crescenza. La
qual cosa è un po’ l’uovo di Colombo, l’evidenza che ti si appalesa in tutto il suo folgorante e
abbagliante esser- lì-da-sempre, il riorientamento gestaltico che ti fa sentire al contempo
incommensurabilmente felice per esserci arrivato e incommensurabilmente pirla per non esserci
arrivato prima.
Quando conquisti la mostarda accadono due cose.
La prima: essa ti pare assolutamente meravigliosa. Non solo ne mangi a quintali e se ne manca in
dispensa ti senti pervadere da una strana agitazione anche se è luglio, ma rifiuti l’idea stessa di
bollito misto senza che essa, la mostarda, giunga a incoronarlo.
La seconda: ti bulli di conoscerla e apprezzarla con chicchessia, e col furore del convertito cerchi
di fare proseliti in ogni dove. Per dire: ci scrivi un post natalizio per il blog.
Vorrei vedere voi ad avere scalato l’Everest e a farne poca cosa senza dirlo in giro.
Vigilia
tt (http://stellefilanti.splinder.com)
la Vigilia si chiude sulla soglia
di un'ulteriore dilazione
nel tempo che sarà
o non sarà
davanti al crocevia delle svolte cieche
superflui gli affanni a cercare risposte
dove le domande di sempre
da sempre tentennano
prevedono il divergere delle intenzioni
quando l'ideale sarebbe
prendere cognizione dell'inventario delle speranze
dentro il nodo
insolubile
di un abbraccio stretto privo di contraddizioni.
Trio
B. Georg (http://falsoidillio.splinder.com)
Piove sui tuoi cigli la
contrizione dell’anima; goccia
a goccia il dolore si discioglie
in corsi dorati solca
e immobili la guancia, la volta
che appena vira e si corrompe
il frutto che maturo esala
il suo profumo.
Scintillante una goccia evapora sull’
incarnato i riflessi lenti del sogno
si rispecchia l’aria, ne raccoglie
i raggi come scrigno.
Ogni cosa sosta nella penombra
(qui una foglia verdissima), socchiude
le palpebre la materia al limite estremo
tra sé e il proprio disfacimento.
---------------------------Dopo la nostra scomparsa mostruosamente
silenziosa, universalmente
non registrata, le nostre macchine
fedeli prenderanno il posto (copie
solertissime e riproduzioni)
Noi
preso un cunicolo per Marte
o per qualche riviera semplicemente
svaniremo, come dissolvenze televisive.
Lo abbiamo già fatto
lo stiamo facendo.
I nostri sostituti
si troveranno benissimo.
---------------------------Angelus
Mi visita due volte, ad anello
alle quattro del mattino e della sera
lo leggo dalla traccia nel cervello
viene una volta sul più bello
del sonno, la seconda nella pausa
sigaretta
un'orbita perfetta e silenziosa
lo fa in un attimo e non posa
nemmeno di profumo una bavetta
La mattina di Natale
Maestrina Mafe (www.maestrinipercaso.it)
"Nonna, basta?"
"Ma ti sembra che basti?"
Girare e spingere, spingere e girare. La grattugia pesa, il parmigiano scivola.
"Nonna, ma quanto ne serve?"
"Devi r iempire tutto il contenitore. E attenta a non grattarti le dita".
E gira e spingi e spingi e gira, il parmigiano per i tortellini di Natale, ne farebbero tutti a meno, se
dovessero grattugiarselo da soli.
"Nonna, ma quanti siamo?"
"Non lo sai, quanti siamo"?
"Zia Marcella viene?"
"Ma certo che viene"
"E che le hai regalato?"
"Un ombrello"
"Zia Silvana viene?"
"Ma certo che viene"
"E che le hai regalato?"
"Chicca, che vuoi, l'elenco di tutti i regali? Non hai pazienza di aspettare che li apriamo tutti
insieme"?
"Ma mancano ore!"
"Piuttosto, la tua mamma quando viene"?
"E' giù da nonno Cesare a fare gli auguri"
"E tu non vai?"
"No, devo grattugiare"
La nonna sorride. E' presto, neanche le undici. La cucina è densa dei vapori del brodo di pollo, ma
non lo stesso pollo che giace disossato e ripieno in una teglia piena di patate crude, con un po' di
pangrattato sopra.
"E zia Betty c'è"?
"Certo che c'è: voglio vedere che non viene al pranzo di Natale. E tu, con tutte queste chiacchiere,
neanche il fondo hai coperto, e vai con quelle braccine"
"E a me l'hai fatto un regalo?"
"Sì, una bella grattugia"
Io rido. La nonna ride. Il brodo bolle.
"Meno male che ci sei tu che mi aiuti"
"Arrivano sempre tutti tardi, vero, nonna?"
"Sì, ma poi arrivano, e nel frattempo io e te stiamo qui tranquille, e a chi importa se si mangia alle
tre?"
A me no di certo.
Shhht…
Sphera (www.sphera.splinder.com)
Ti faccio dormire.
Ti racconto a bassa voce, vicino all'orecchio, che sei un sasso sulla riva del mare.
E ti insegno a respirare profondo e ogni respiro è un'onda che arriva e ti affonda un po' più nella
sabbia, morbida e calda.
Ti racconto che sei un albero che immerge le radici nella terra, sempre più dentro, e in alto il
vento è leggero e ti muove adagio le foglie.
Ti parlo sempre più piano e ti accompagno il respiro.
Ti passo addosso la mano per lisciarti muscoli e nervi e farti smettere di fremere con fantasmi di
calci e di corse da cucciolo inquieto.
Ti accarezzo piano la testa, amore mio bambino, finché sei intero, morbido e molle.
Ti accarezzo adagio le sopracciglia, amore mio uomo che sei stato o sarai, finché sono distese
nella curva di un quasi sorriso.
Ti accarezzo lenta la mano, amore mio nonna, finché le tue vecchissime dita leggere smettono di
avvinghiare e si lasciano andare.
Anche chi non ti ama può farti contento, può farti mangiare e farti giocare.
Non c'è bisogno di amarti per farti ridere, sospirare, godere.
Ma solo chi ti ama può farti dormire.
Un sacco di cose non so fare amor mio, ma, non sapessi far altro, so farti dormire.
Solstizio d’inverno
Gilgamesh (www.gilgamesh.splinder.com)
Un semplice messaggio per augurare a chi legge Buon Natale.
E per dirla con Sergio Stàino, ricordare che festeggiamo la nascita di chi predicò l'umiltà e la carità
con la più grande orgia consumistica dell'anno.
E per chi dice che poesia l'è morta e anche il povero usignolo oso quel che non ho mai osato, e
come suggeritomi da Gardenia a suo tempo, di poesia ne pubblico una mia, scritta sul momento,
che non necessita (spero) di alcuna traduzione.
Solstizio d'Inverno.
Il mio Sole è giunto al culmine,
la ruota ha completato il suo giro
col punto più alto, ed ora ricomincia
da quello che fu il principio.
Tutto si rinnova,
eppure tutto è uguale.
Vedremo ancora gli stessi luoghi,
anima mia, ma sarà come se fosse
la prima volta.
È un grande tesoro la memoria,
ma la capacità di dimenticare
è la benedizione più grande.
Vieni, dolce amica, attraversiamo
insieme il varco nell'oscurità verso la luce
e nuotiamo nelle fresche acque del Lete.
Ruote dentro ruote, istanti dentro istanti:
in questo universo meraviglioso e terribile,
io conosco molti luoghi che celano misteri,
ma l'es senza della Vita è il mistero più grande.
Buon Natale, amici miei.
Scioglievolezza, resistibile scioglievolezza
Chettimar (http://www.iftf.it/blog_chettimar/blog.asp)
Quando, in anticipo sul tuo stupore, verranno a chiederti “Coglione, hai messo la macchina in
garage ieri sera?”, tu constaterai con somma inquietudine che nella notte è arrivato il Grande
Freddo. Quello che imperversa nei telegiornali scandalistici, quello che trasforma la tua caldaietta
in un mostro d’acciaio tremante che sbuffa fumo bianco e spesso, quello che tu, borghese piccolo
piccolo, non hai sentito sotto la tua trapunta-sette strati di lana merinos made in Bovisio Masciago.
Novello omino Michelin, scenderai le scale imbacu ccato in ogni dove e troverai la tua carretta, da
nera che era, completamente bianca. Ghiaccio sulla carrozzeria, ghiaccio sui vetri, ghiaccio sui
fari, ghiaccio sui cerchioni e persino nella marmitta. Entrerai, misurerai nell’abitacolo una
temperatura di sette gradi Kelvin e recupererai l’ignobile triangolo rosso plasticato sbrinatutto.
Col suddetto triangolo sca lpellerai vanamente la lastra, ricorrendo successivamente alle unghie,
alle chiavi di casa e a un trinciapolli. L’unico risultato che otterrai sarà riempirti i guanti di brina
semisciolta e, conseguentemente, mandarti le mani in ipotermia. Dopo aver ripristinato la corretta
circolazione sanguigna periferica, constaterai che l’apposito liquido antighiaccio “speciale per
temperature polari treeuroenovantanove” ormai impregna il fetido tappetino lato passeggero. Ti
rivolgerai al meno altisonante alcool etilico, col quale irrorerai copiosamente l’auto. In men che
non si dica, la carrozzeria tornerà a respirare, ma i vetri resteranno irreversibilmente appannati.
Per non parlare del fatto che ti si prospettano svariati giorni di viaggio su una macchina che puzza
disgustosamente di disinfettante. Stringerai un volante gelato e partirai, su una strada intarsiata di
cristalli e riflessi di luce, verso nuove, incredibili derapate.
Natale indossando gli anfibi
Floria1405 (www.contaminazioni.splinder.com)
Ci risiamo. Troppo cresciuti e scettici perché la cosiddetta magia del Natale possa incantarci
davvero, ci pieghiamo tuttavia alla tirannia della tradizione. Questione di radici, dicono: e le
radici, si sa, minacciati come siamo dallo scontro fra civiltà, servono. E poi, vogliamo scontentare
i bambini? Potremmo persino immaginare di diventare più buoni, come stereotipo comanda.
Dunque, Natale è alle porte. Niente paura: questione di un giorno, poi passa, come una febbre.
Vabbè, cara mia, ammettilo: questa è retoricuzza di bassa lega. Sparare a zero sul Natale non è
nemmeno elegante: segno, tutto sommato, di intellettuale snobismo. Tipico di gente che non ha
mai superato la traumatica scoperta dell’inesistenza di Babbo Natale. Far mostra di aristocratico
distacco dall’usuale delirio consumistico in cui la massa cade il venticinque dicembre
salvaguarderà forse il tuo preziosissimo io? Ti senti più originale, intelligente e fine sbandierando il
tuo disincanto? Lascia perdere, cogliona. Le tue ragioni, riconoscilo, sono più terra terra.
La colpa, se di colpa si può parlare, fu dei tuoi adorati anfibi. Li avevi appena comprati, per un
imprevedibile capriccio prenatalizio, e ancora non li avevi domati: i piedi ti facevano un male
dell’accidente ma tutto sommato potevi sopportare. Perché i tuoi nuovissimi anfibi ti piacevano
davvero e ti sembravano adattarsi senza stonature al tuo stile abituale (e perché mai avresti
dovuto cambiare?), da sempre ostentatamente casual.
Ma a Natale (trascorso come sempre in casa dei tuoi suoceri, ospite anche la tua ipercritica
genitrice) una distinta signora quarantenne dovrebbe vestirsi in modo consono per il pranzo in
famiglia: possibilmente classico, gonna, camicetta e mocassino. Che c’entravano gli anfibi? Tua
madre non si lasciò sfuggire l’occasione, incoraggiata di sicuro dal tuo feroce mal di piedi, che
sembrava offrirle un movente in più. C’è il ragionevole sospetto che l’assalto fosse comunque
premeditato: esauriti nel corso degli anni i possibili argomenti sufficientemente credibili di lite
fra mamma anziana e figlia adulta (vietato, ormai, discutere di politica, alludere al lavoro,
accennare all’educazione della prole, parlare del suo divorzio, accennare alla casa che non ti sei
comprata, agli investimenti vantaggiosi di cui non hai saputo profittare e alla macchina nuova di
cui riesci comunque a fare a meno: insomma, la conversazione era ormai trasformata in un
difficoltoso slalom fra questioni tabù, slalom che tu però sapevi ormai percorrere con maestria),
le divergenze sul look rappresentavano pretesto troppo ghiotto che la terribile genitrice colse con
la consueta proterva abilità. Tanto più che le scarpe, effettivamente, erano più che scomode: dei
veri strumenti di tortura.
Si cominciò la mattina di Natale, si continuò per tutto il pranzo, si andò avanti per l’intero
pomeriggio, si proseguì festosamente la sera.
Ma come ti vesti? Ma guarda tua cognata com’è carina … Ma quelle … scarpe dove l’hai comprate?
Ma non ti rendi conto dell’età che hai? Ma non ti sembra di essere un po’ scema? Ti fanno male,
eh? Ben ti sta. Anna (la cognata di cui sopra, n.d. a.), ma quel bel vestitino dove l’hai trovato? Ma
insomma, a quarant’anni una dovrebbe regolarsi.Guarda lei com’è elegante. Ma non avevi
nient’altro da metterti? Ma devo comprati qualcosa io? Ma gli anfibi sono proprio … orribili.
La faccenda stava diventando imbarazzante per tutti. Tu tacevi, stringendo i denti (e contraendo
le doloranti dita dei piedi), o tentavi timidamente di buttarla sul ridere. I tuoi suoceri, i tuoi
cognati, tuo marito, impietositi, provavano a deviare la conversazione. Inutilmente. Tua madre,
implacabile, ritornava al punto: i tuoi orridi anfibi e la tua più che meritata (perché, a suo
giudizio, frutto di risibile giovanilismo) dolenzia alle estremità. Giunse la sera e ognuno a casa
sua. Rissa evitata, per un soffio. E, finalmente, pantofole.
Ma la provocazione doveva ripetersi, identica, per l’ulteriore appuntamento familiare di Santo
Stefano. Solito ritornello, condito stavolta dal perfido tentativo di coinvolgere i presenti nella
crociata contro gli anfibi (che tu stoicamente – o si trattava di incoscienza? – avevi nuovamente
indossato), crociata che sembrava essersi trasformata nell’ unica , vera missione natalizia di
mammà. Ma nessuno ti ha impedito di comprati quei cosi? Ma tu – rivolgendosi a tuo marito – non
gliel’hai detto che è proprio ridicola? E a questo punto non hai potuto impedirti di di sibilare: - Ma
perché non ti guardi per te? Ma cosa credi, di essere tanto distinta? Ma non lo vedi che la ridicola
sei tu? – Sapevi bene di colpire nel vivo, perché mammina, pur ritenendosi l’unico vero arbiter
elegantiarum della famiglia, al di fuori di qualche salda e generica convinzione maturata
all’incirca negli anni Quaranta, non ha il minimo criterio nella scelta dell’abbigliamento: ma
quando qualcuno glielo fa notare, e osa per soprammercato contraddirla, si offende mortalmente.
Tanto più che tuo marito pensò bene di rincarare la dose e aggiunse: “ Vuoi dire a tua madre di
farla finita, che hai quarant’anni e ti vestirai come cavolo ti pare, si spera ?!?”
Missione riuscita, trappola scattata. La scena madre, perseguita con insistenza per un giorno e
mezzo, era assicurata. Fra lo sconcerto di tutti (ricordi?) tua madre, rossa al limite del colpo
apoplettico, afferrò la sua stampella e cominciò a gridare: - Qui mi si offende. Qui mi si manca di
rispetto. Ad una povera invalida, voi date della ridicola! Perché zoppico, eh? Voglio andar via …
Portatemi via …” Onestamente eri un po’ sconcertata: non avevi fatto nessuna allusione alla sua
invalidità (più che altro eri tu che zoppicavi) e lo slittamento dell’argomentazione ti colse
impreparata. Tanto più che tua madre aveva cominciato a correre a velocità impressionante (per
un’invalida, e non solo) attorno al tavolo da pranzo, brandendo la stampella come un’arma e
gridando: “ Voglio andar via! Portatemi via! Voglio stare sola! Non ti voglio più vedere!” Ah, già: la
solita battuta della figlia rinnegata. Non era la prima volta che la sentivi. Mentre cercavi di
placcarla, correndo anche tu ( con i piedi, ahimè, sempre più congestionati) attorno al tavolo,
allo stesso tempo balbettando le tue smozzicate ragioni, provavi la quasi irresistibile tentazione di
afferrare il coltello dell’arrosto e farla stare zitta una volta per sempre.Ti sei trattenuta perché
non ti sembrava di buon gusto procedere ad un pubblico matricidio per un paio di scarpe, anche
ammesso che la tua soglia di sopportazione fosse stata drammaticamente abbassata dallo stato dei
tuoi calli: non ti sembrava un’ attenuante credibile.
In quel momento hai perso qualsiasi residua fiducia nello spirito del Natale. Non ti poteva salvare.
Non aveva mai potuto salvarti. Evidentemente la tragicommedia è l’unica vera vocazione della
tua famiglia. E non c’e’ stato Natale che non si trasformasse, malgrado ogni tuo festevole sforzo,
in una sciagurata pièce teatrale. Ci avevi provato da piccola. Hai ripetuto i tuoi sforzi da
adolescente. Hai tentato nuovamente da fidanzata. Hai riprovato da sposata, grazie al carattere
conviviale della tua buona suocera. Hai proseguito i tuoi sforzi con la nascita del primo figlio. E
del secondo. Nel corso degli anni, da quando puoi ricordarti, hai taciuto, abbozzato, attenuato,
minimizzato, sdrammatizzato. Hai fatto il muso, ma non più di tanto. Ti sei diplomaticamente
allontanata in altra stanza. Hai fatto finta di niente. Sei uscita, rientrata, uscita di nuovo. Il
risultato di tanta diplomazia? Tua madre che saltella attorno ad una tavola imbandita, gridandoti
contro improperi e maledizioni, mentre tu, nel silenzio sepolcrale dei presenti, la rincorri
cercando inutilmente di aggiustare la faccenda e persino scusandoti. Macchè tragicommedia: a
pensarci bene, si trattava dell’ennesima replica di una pessima sit-com. Mancavano solo le risate
preregistrate.
E qui, ti sei arrestata di botto. Tua madre sbraitava. Gli altri erano prudentemente fuggiti in
cucina. Allora hai avvertito l’ilarità che montava irresistibilmente dentro di te. Con un singulto, la
risata ti è arrivata alla bocca, al naso, agli occhi. Ridevi senza ritegno, piegata in due, fissando
con sguardo lacrimoso l’inusuale casus belli, i neri anfibi dalla suola a carrarmato, ornati di fibbie
lucenti e laccetti vari. Ridevi ridevi ridevi, tanto che ti pareva di soffocare. E la tua risata
seppelliva i lustrini, i pacchi, il presepe, le luci, il panettone, le file ai negozi, gli intasamenti del
traffico, la Messa di Mezzanotte, la benificenza, il pranzo in famiglia, l’Albero di Natale, Babbo
Natale, Bianco Natale e Tu scendi dalle stelle, i biglietti di auguri, le recite scolastiche, i vestiti
nuovi e le scarpe appena acquistate. Ridevi e brindavi, con lo spumante brut appena aperto prima
della lite, mentre gli altri ti guardavano stupiti e anche tua madre non urlava più.
Strade
Carlo Annese (www.fuoridalcoro.blogspot.com)
Oggi pomeriggio, attorno alle 3, in viale Marche a Milano. Un pullman al mio fianco si immette
nella corsia preferenziale. Guardo distrattamente oltre i finestrini: bambini e bambine, seduti in
maniera un po' disordinata. C'è qualcosa che mi colpisce, ma non capisco bene cosa. Continuo a
scrutare: le bambine hanno il velo; in mezzo a loro individuo alcune donne, saranno le madri,
anche loro hanno la testa coperta. Ora, però, quel qualcosa addirittura mi inquieta, non già
perché non riesca ancora a definirlo.
Seguo una rotatoria, il pullm an si allontana. Ma pochi metri più avanti mi ricongiungo, viaggiando
sempre sulla corsia parallela. Non posso farne a meno, giro di nuovo lo sguardo. Due secondi,
ecco: le bambine e le donne sono tutte sedute nella parte posteriore; davanti solo bambini.
I cari involati
Jorma (www.jorma.splinder.com)
omaggio a Icaro Involato di Queneau e al volo Blogger verso il sole di carta
Loredana entra alle Feltrinelli e come una bimba in cerca dei regali di Natale, senza distrazioni,
arriva alla pila della “Notte dei Blogger”.
Con calma misurata prende la prima copia, sfogliando il volume ad occhi chiusi annusa i fogli
freschi di stampa, lo apre per verificarne la qualità e…
foglio bianco, foglio bianco, foglio bianco. Altra copia, fogli bianchi, altra copia, bianchi, copia,
bianchi….
Gerry Focaccia a bordo del suo maggiolone attraversa la notte Romana e rivolgendosi a Soraya “ho
sentito che c’è una festa in via Zanetti, ci andiamo?”
Soraya:”ok, passiamo però a prendere anche la Gnappetta”
Gerry annuisce con un sorriso di convenienza, la Gnappetta non la sopporta ma a Soraya non ha
mai avuto il coraggio di confessarlo.
I tre arrivano alla festa a mani vuote, ad accoglierli centinaia di birre e decine di personaggi, si
comportano tutti come padroni di casata ma nessuno paga l’affitto.
In sala si imbattono nella compagnia del REM e Focaccia viene subito bersagliato dalle solite
battute sui prodotti da forno “come sta papà Baguette?”; Gerry rimonta l’ebete sorriso di
convenienza e si allontana alla ricerca di un bagno, bisognoso di stare da solo, Gnappetta e Soraya
sono scomparse chissà dove, bisognose l’una dell’altra.
Nel primo bagno ci trova Lo che limona con Lo, richiude in fretta la porta chiedendosi il nome di
un loro eventuale figlio, si allontana alla ricerca di un secondo bagno ma viene rapito da Ilenia che
ha nuovi entusiasmanti aneddoti sulla sua coinquilina “Gerry ti devo troppo raccontare le ultime di
Mery Terry”. Dopo 15 minuti di monologo Gerry riesce a liberarsi e ad entrare in un bagno pregno
di odor di zo lfo.
Seduto sul water (Gerry fa la pipì seduto) si rende conto che non è solo, nella vasca da bagno,
dietro la tendina c’è qualcuno, Gerry tira l’acqua e scosta la tenda.
Seth e Mimosa, rispettivamente un Dark satanista ed una ballerina sosia di Justine Mattera, si
stanno rollando una canna “vuoi provare? È una nuova pasta, il livefast!”.
Gerry accetta e alla seconda tirata si ritrova innanzi l’Arcangelo Sofronisco che, in lacrime, gli
racconta la sua vita “…mia madre avrebbe voluto che io facessi il dentista, ma io sono allergico al
tartaro…” le lacrime dell’Arcangelo bagnano copiose il pavimento, il livello sale rapidamente fin
sopra il ginocchio, Gerry rimane fermo nel suo viaggio.
La gatta Peggy lo prende per mano (probabilmente è Ilenia, ma Gerry è strafatto) “seguimi
focaccino mio, che ti stai bagnando le Clarks” e lo porta in sala.
Il solito stordito sta guardando il Tg “Continua a colpire la porno Killer, questa volta la vittima è
un single di Milano, trovato morto soffocato da 44 bustine di camomilla”.
Lo stordito con lo sguardo verso l’apparecchio, ma il cervello su un altro pianeta, inizia a
cantilenare ciondolando“ meno sette, meno sei, meno cinque…”, TOC TOC TOC, dei colpi dal
soffitto “saranno Fabio e Alice, quelli di sopra, sono trentenni ma sembrano mio nonno!” sentenzia
gelida Zina prima saltare dalla finestra.
“ferma Zinna! Smettiamola.”
“Gerry, non rompere, fammi godere della mia libertà.”
“Torniamo, torniamo a casa, qui fuori io e te abbiamo dei nomi di merda, qui fuori nessuno ci ama
e ci stiamo ammazzando tutti, là almeno qualcuno ci amava”
"Gerry, solo qui siamo liberi" disse Zinna prima di volare dalla finestra.
bianchi, sono tutti bianchi! Neppure una riga, niente, tutto perso!
Loredana stringe il libro al petto e una voce le si insinua nell’orecchio “Voi non ci avete.Non ci
avrete mai.”
A pranzo da Aby
Massimo Mantellini (www.mantellini.it)
Vediamo se ho capito bene. Aby Warburg era un signore tedesco con la fissa dei libri e della storia
dell'arte. Primogenito di quattro figli maschi di un banchiere di Amburgo lascio' volentieri al
fratello Max gli onori dell'alta finanza per dedicarsi ad una strana ossessione intellettuale. Quella
di creare una specie di biblioteca dei collegamenti nella quale storia, religioni, pittura e
letteratura, miti, astrologia e scienze alchemiche si incontrassero e si scambiassero spunti ed
informazioni. Dico io - da ignorante - cercando di immaginarmela, una specie di Internet dei
fogliettini e delle cartellette, nella quale riunire, sugli scaffali di una biblioteca fino ad allora mai
tentata, informazioni diversissime che si completassero l'una con l'altra.
Questa specie di mania, che con gli anni fece di Warburg un uomo coltissimo e della sua biblioteca
una specie di paradiso in terra per gli umanisti di ogni foggia, oggi prende il nome di iconologia.
Non ci fosse stato quest'uomo la storia dell'arte del ventesimo secolo sarebbe una specie di
deposito polveroso, gli storici dell'arte del secolo scorso persone di straordinaria inutilita'. Cosi' la
biblioteca di Amburgo piano piano crebbe, incurante della prima guerra mondiale. I soldi che
Warburg otteneva dalla famiglia andavano tutti spesi nel tentativo di unire contributi da scienze
diversissime per meglio comprendere il mondo. Poiche' il motto preferito di Aby pare fosse "Il buon
Dio alberga nel dettaglio", ai curatori della biblioteca, una volta morto Warburg nel 1929, non
sfuggi' il piccolo particolare della sciagurata ascesa al potere dell'omino coi baffetti in Germania.
Per tale ragione l'archivio di testi, foglietti e ritagli della biblioteca impossibile, da Amburgo
emigro' - con i mobili, le macchine da scrivere e tutto il resto - a Londra. Dove ancora oggi risiede,
religiosamente conservato - in Woburn Square, sede del Warburg Institute. "Studi avanzati" li
chiamano.
Non che Warburg fosse persona dagli equilibri formidabili: narra la biografia che la sua prima
conferenza, organizzata per un pubblico, per cosi' dire, non specializzato, fu tenuta in una clinica
tedesca presso la quale era di tanto in tanto ospite allo scopo di curare antipatiche e ricorrenti
crisi nervose. Parlo' in quell' occasione del rituale del serpente, ed insomma, immagino lo stupore
dell'inclito pubblico. Cio' non toglie che l'iconologia abbia oggi, proprio per le sue pretese olistiche
un fascino ed una duttilita' che sono negate a gran parte delle altre scienze umanistiche. Proprio
perche' le collega tutte. Di queste cose si occupa mia moglie.
"Il buon Dio alberga nel dettaglio" e cosi' anche oggi al Warburg Institute si raccoglie e ci si
esercita nell'arte difficile di avvicinare tutto. Mentre fuori, nel giardinetto qui di fronte, piove,
Alessandra sfoglia con circospezione alcune di queste preziose cartellette raccolte in uno degli
schedari metallici dell'Istituto. Si tratta di immagini di Sant' Antonio che vengono da pubblicazioni
da tutto il mondo. In nessun angolo del pianeta si e' pensato di avvicinarle cosi', fisicamente. Un
approccio che oggi in molti definiscono come "metodo warburghiano". Ogni tanto i bibliotecari del
Warburg scoprono un nuovo ciclo pittorico su Sant Antonio e le immagini ed i riferimenti vengono
semplicemente aggiunti alla cartelletta. Ed a queste immagini la biblioteca collega tutti i testi che
si occupano del Santo e tutte le pubblicazioni che ne accennano. Il risultato di un simile certosino
lavoro e' che gli studiosi trovano in poche ore dentro i cinque piani di questa palazzina di mattoni
sporchi del centro di Londra, quello che a casa loro richiederebbe molti mesi di ricerche.
Certo io non sono nemmeno lontanamente uno studioso. Nel caso specifico sono nulla di piu' di un
accompagnatore interessato. Cosi' mentre mia moglie continua le sue ricerche dentro le stanze
silenziose di questo tempio della cultura vuoto di persone (il Warburg Institute non e' ovviamente
accessibile al normale pubblico delle biblioteche ne' agli studenti senza particolari autorizzazioni)
e stracolmo di libri ed immagini, piano piano, in questa mattina di giugno, mi abbiocco. Quando
dopo pochi minuti riapro gli occhi Alessandra se ne sta ancora inebetita a fissare le centinaia di
immagini delle tentazioni di sant Antonio. Prende appunti. Ogni tanto dice sottovoce fra se' e se' :
"Incredibile".
Le brillano gli occhi. Ed anche a me, anche se per tutt'altre ragioni: cosi' me li stropiccio, in attesa
del ritorno dell'anfitrione che ci ha introdotto in questo paradiso, ed inizio a chiedermi a che ora si
pranzi da queste parti.
Il Natale di alcuni
Spiritum (www.spiritum.it)
Cos’è che porta, certi di noi, quelli più fragili, ad intristirsi per il Natale? Durante il periodo di
Natale, più precisamente. E’ un momento che tutti son contenti, magari anche troppo contenti, ci
chiediamo “perché, per che cosa o per chi?” (alcuni di noi se lo chiedono, i più malinconici). Allora
spunta fuori la mancanza della fede, i costumi frivoli e il consumismo e tante altri tappi. Inutili,
‘chè il buco è sempre là e chiede: “Perché?”. Forse che è nella natura di alcuni di noi, i più
sensibili, porsi troppi interrogativi quando tutto, intorno intorno intorno, gira e luccica e canta e
balla e regala e ride e stringe le mani e si dovrebbe saltar sulla giostra, ma non ci si riesce. Forse è
proprio nella natura, è la natura stessa che ci trattiene, ci blocca, ci contorce in noi stessi e ci
lascia quel velo di malinconia, che è un cacao troppo amaro e non va bene sullo zucchero a velo
del pandoro. Ma siam fatti così.
Perciò, quando a Natale stringerete le mani, di alcuni di noi, e vi sembrerà di vedere, dietro quegli
occhi, un’ombra di malinconia, ecco, non vi sbagliate. Buon Natale lo stesso.
xmas of one's own
Sere (http://www.iftf.it/yellowblog/yellowblog.asp)
è piuttosto inutile far finta che passavo di qui per caso quando la tastiera ha cominciato a scrivere
da sola, e campanelli a trillare. questo è intenzionalmente un post di natale, con tutte le lucine, i
fiocchi rossi e, se state un momento zitti, sentite pure il coro di voci angeliche che pace infonde
nei cuor. almeno, ci prova. ché quest'anno il natale è un apostrofo marrone tra le parole 'niente
ferie' e per dispetto volevo fare lo sciopero dei pacchetti: non comprare niente a nessuno e
spendere tutto in profumi e balocchi - oltre che scarpe - per me. renderlo indistinguibile da tutti
gli altri giorni, insomma. ma so già che non funzionerà.
di solito il natale arriva inaspettato e semina panico e distruzione. chiunque abbia inventato lo
slogan 'natale con i tuoi' doveva avere i propri nella stanza accanto, altrimenti avrebbe concesso
almeno la deroga di santo stefano. attraversare l'italia in lungo e - soprattutto - in largo all'alba
del venticinque, con il baccalà paterno della vigilia sullo stomaco, nastri nei capelli e porporina,
non è mai stato il mio ideale di riunione familiare. neanche la mia famiglia, per dirla tutta. unico
obiettivo dichiarato: declinare l'ennesimo cappone. la sopravvivenza decisamente un fatto
secondario, subordinata al regolare svolgimento del torneo femminile a squadre di canasta. fuori
nevica ancora, sapete? [partire, partire, devo ripartire subito. questa sera mi aspettano i miei tre
amici per gli unici auguri che ho voglia di fare e, per l'amor del cielo, toglietemi da davanti quel
nocino.]
che poi, io sarei pure una creatura conviviale. mangiare, bere, sorridere e fare conversazione:
sono stata programmata per questo e, lasciatevi servire, vestita a festa sono uno schianto. rispetto
allo standard - tutte un po' tarchiate, le cugine - e complice il nocino di cui sopra. a proposito, un
bicchiere?
è che sogno un natale tutto per me. la solitudine perfetta e l'equilibrio per godersela. un risveglio
silenzioso, un albero fuori dalla finestra addobbato solo di neve e fili d'argento. un bricco di caffé
lungo nero amaro bollente sul comodino e pacchetti ai piedi del letto. nessun rumore, neanche le
parole per raccontarlo. shh.
Terra e centro
Riccionascosto
Chiudi gli occhi - disse poi. Non puoi vagliare quello che ti giunge dall'esterno finché non riesci a
riconoscere quello che è te da quello che non lo è. Questo è ciò che il mio insegnante chiamava
«la forma sotto la pelle»: trova dentro di te il punto che ti sembra più stabile e procedi di là
verso l'esterno. Analizza tutto... e poi accantona quello che hai analizzato, perché puoi
riconoscerlo come parte di te. [...] Dunque, una volta che hai trovato quel punto stabile dentro di
te, ne devi individuare uno simile all'esterno... nella terra stessa. Quando lo avrai percepito,
dovrai collegarti ad esso. L'individuazione del punto stabile interno è definita «centratura»,
mentre il collegamento con la terra si chiama «connessione con la terra».
da "Le Frecce di Valdemar" di Mercedes Lackey
Ho sempre pensato che ogni libro, anche quello apparentemente più stupido, può essere utile, se ti
lascia qualcosa.
Terra e Centro.
La ricerca del tuo equilibrio, un ancoraggio che ti salvi dai tifoni più violenti. Perché tu SAI chi sei, e
qual è il tuo posto sulla Terra.
E se il tuo equilibrio vacilla, se non sai più a cosa aggrapparti non c'è che una cosa da fare.
Terra e Centro.
Ed è un nulla, un riflesso condizionato.
Il mio centro è il mio cuore.
Calpestato, a volte
Altre volte è pesante
Altre ancora leggero come un aquilone nel cielo
ed il vento sembra portarlo via
Ma non riuscirete a chiuderlo
o a staccarlo da me.
Mai.
Il mio centro è profondo.
Giù, sotto la superficie dell'acqua
in mezzo all'iceberg,
dove non arriva i sole distratto
E nasconde segreti.
E conserva tesori.
Ma non è freddo come a volte dovrebbe ...
un fuoco arde dentro
E non riuscirete a spegnerlo.
La mia Terra è dolce e amara.
Un miscuglio di luci e colori.
Netti, mai sfumati.
La mia Terra è Madre e Matrigna,
Ricchezza e abbandono,
Bellezza ed orrore.
L'Amore.
La mia Terra è un telone rosso
che addolcisce la luce del giorno
e regala colore alla morte.
La mia Terra è acqua sulle pietre
E' voci, spintoni di gente.
Farsi largo o venire travolti,
una lezione che si impara da bambini.
La mia Terra è lontana, ma è qui
Nel mio cuore,
nel mio centro.
Occhi
Buba (www.buba.it)
Dagli occhi di un bambino decollano gli aeroplani.
Se chiudesse gli occhi cadrebbero.
Solo il suo stupore li mantiene sospesi,
la sua piccola mano li innalza,
il suo cuore li muove e li allontana.
A.D.Pimienta
Sotto l’albero
Zu (http://giuliozu.blogspot.com/)
Sotto l’albero mi ci vedo sdraiato: è estate, l’erba sotto la schiena è morbida, lo sguardo vacilla
incontrando il felice delinearsi delle fronde stagliate contro l’azzurro. Stagliarsi è un verbo che
ha la sua ragion d’essere in quella visione, in quelle foglie aghiformi, in quelle gocce di resina
proiettate contro quel fondale.
Il caldo, il calore senza l’afa, l’ozio, il farniente dolcissimo senza il rimorso, l’atemporalità,
l’esser fuori stagione senza saldi: l’altro lato del vivere, la faccia festosa della luna.
Sotto l’albero mi ci sento sgranato: eccitate presenze nella mattina pallida, la memoria vacilla
incontrando il fugace squagliarsi delle ombre disegnate e il loro sussurro. C’è un album e scolora
consuetudini di allora, tra bocce decorate e il nastro di un pacchetto chiuso male.
L’affetto, l’amore senza l’ansia, pazienza d’attesa senza noia, la fiducia, pensare d’esser ora e
di poi destinatario d’ogni gioia: festeggiato sul nascere, scherzosa una linguaccia alla fortuna.
Sotto l’albero mi ci sono fermato: destate magre parole nell’alba candida, la visione vacilla
incontrando il veloce scordarsi di voi e di me, prima di squagliarmi nella terra e al sole, come
burro. Scagliato a scheggia lucerò lontano e allor mi sentirete, intero ad ogni battito, pulsare in
un ventre natale.
Un soffio, poco più d’un respiro, tre ondate potenti ad attraversarmi, tanti passi per ritrovarmi
pochi istanti dopo, m’è parso, in un soffio, poco più d’un sospiro. Nell’abito nero in tasca gettoni
a iosa, ché dopo questa vita ne ho più d’una.
Lanterne rosse
Tigro (www.tigro.splinder.com)
Abitiamo quasi in centro a Milano, nel cuore di China town, per chi sa dove si trova. Chiunque
conosca Milano solo dall'esterno, pensa, probabilmente, che abitare in centro significhi pressappoco
zero rapporti umani, gente snob, vita stressante, casino e baccano assordante. Il fatto è che
abbiamo la fortuna di abitare in un monolocale di una vecchia casa di ringhiera, le tipiche case della
vecchia Milano, per intenderci, costruita, alla fine del 1800, come stazione di posta, con tanto di
camere dove passare la notte (la zona è appena fuori Porta Volta, e mentre oggi questo vuol dire
litigare per un posto auto con i ragazzini dell’Hollywood, nota discoteca milanese, un tempo
significava essere fuori città.) Be’, insomma, abitare nel nostro condominio non è facile, perché ad
esser sinceri nel cuore di China Town ne succedono di tutti i colori: abbiamo una pescheria e una
macelleria cinesi sotto casa, tanto per dirne una: è come vivere con le finestre che danno sugli
ingredienti segreti del MacDonald, raccapricciante. Forse, proprio questo fatto porta a delle strane
coalizzazioni tra noi condomini, per cui abitare nella nostra corte è un po' come vivere in paese. Ci
si conosce, ci si saluta, si sta sul ballatoio a parlare dei vicini con i vicini, ci si odia e ci si ama.
Spesso mi capita di rincasare e dopo poco sentire il campanello e sapere che si tratta di Emiliano, il
nostro vicino, che mi ha vista o ci ha visti passare davanti alle sue finestre e ha qualcosa da dirci,
darci, chiederci, proporci, suggerirci o ha semplicemente voglia di fare quattro chiacchiere. Allora si
sta alla ringhiera, si discute del perché l'edera cresce poco, di come potremmo organizzare i vasi in
modo da avere più verde, di cosa succede la sera nel ristorante che si trova nel cortile, del fatto che
presto partirà per Londra, e dobbiamo assolutamente andare a trovarlo, o del fatto che la sua
fidanzata è giornalista ora, perché ha superato l’esame! (ci complimentiamo dalla finestra della
cucina mentre lei taglia le verdure). Insomma, da noi, quasi in centro, si può tenere la porta aperta
mentre si pulisce casa, non ci si sente soli perché c'è sempre qualcuno da salutare se si mette il naso
fuori dalla porta, anche solo i peruviani dirimpetto, che ogni tanto, quando non sono troppo esausti,
fanno delle festicciole e tengono porte e finestre spalancate. Allora si sente la loro musica e li si
può vedere attorno al tavolo della loro unica stanza chiacchierare e divertirsi (pensate che l'unico ad
essersi mai lamentato del volume eccessivo della musica è stato Dj AX, quello degli Articolo 31,
avete presente? Ma sì, dai, quello del secondo piano... Questi cantanti non sono più quelli di una
volta. Ve lo vedete Jagger che si lamenta della musica troppo alta?)
Insomma, casa nostra è un angolo umano, una dimensione ancora terrena e concreta, ma anche
intima e sociale, e oggi, uscendo di casa e salutando un condomino qua e la portinaia là ci ho
riflettuto. Poi, scendendo le scale del metrò, ho visto una nonna che giocava a nascondino con la
nipotina; quando le sono passata accanto mi ha strizzato l'occhio e mi ha sorriso e allora ho
pensato che la gente è tanta, grazie a Dio, e che nei grandi numeri ce ne sono ancora molte di
persone semplicemente speciali.
Taxi & Zen (1, 2, 3 e 4)
Zoro (http://zoro.blog.excite.it)
1) 18 ottobre, Roma, V.le Baccelli - Via Rodi
"Ma sti stronzi so ncazzo che stanno a fa pe na conferenza stampa de europei o mondiali nullo so,
hanno bloccato tutto, ma dico io, annate dentranotel e ve vedete là nvece de rompe li cojoni ala
pora ggente, no? giusto?... ciò nmar de schiena, tuttor giorno qua, che poi uno vive pe morì,
lavora pe morì e allora vaffanculo, che poi ntempo dice uno lavorava pe la famìa, mo la famìa
nce sta più, che lavoraffà? che te sposaffà? giusto? te ce fai nviaggio e chittesencula, i sordi
quanno cellai te li devi magnà, nce so cazzi... tiè, guarda questa, stallàppettèra, poraccia, e
mica jene fregancazzo a nisuno... i ricchi checcestannaffà? mortacci loro, dico io, se ognuno
farebbe, che ne so, ncircolo pe aiutà i poracci, ce s'organizza, capito come? Uno moo pio io, uno
too pii tu, così starebbero mejo tutti, nvece no, ognuno pensa pessè, questa è la verità, e allora
chittesencula... bella sta maghina, bello pure er colore, ha vista? che poi che taaa fai a fa na
maghina così? pe buttalla ndoppia fila, tanto vale che te pii er taxi, comunque ste maghine
cianno le manie che nte serve a chiave, capito come? cianno certi affari che te riconoscheno
quanno le apri... comunque io e radio der carcio nule sento, che poi ce sta quello che va da
biscardi, come se chiama? quello chii capelli lunghi, come se chiama? vabbè quello, che poi vorei
sapè come campa sta ggente... tiè, senti Battiato, questo ha fatto n disco e ce campa da 15 anni,
che poi mo e fa tutte uguali e avrebbe pure rottomporcazzo, staffà a musica lirica mo... o vedi
questo? questo è ntassinarabbruzzese, so na cifra, ae 5 stanno già ar deposito, attaccheno ae 5
daaa matina, che poi non è che è solo quella a differenza tra er tassinaro abruzzese e l'artri,
questi magnano sempre, se vedono ar paese, chii taxi, pure ar molise... anvedi questi, hanno
fatto er botto, a parte davanti daaa maghina jaaa popo torta, è che nse fermeno, nun guardeno,
fanno i gaggi, poi fanner botto... tiè, senti celentano, aspè che arzo, er celenta..."
2) 26 ottobre, Roma, V.le Baccelli - Via Cadlolo
"No, no, non ho detto che ce mettemo n'ora bbona, ho detto che questa è n'ora bbona, nce sta
traffico, però siccome hanno chiuso via dii cerchi e vanno tutti a teatro marcello, noi piamo per
centro, capito come? i fregamo, e che me voi morto? na corsa pe n'ora, seee, così faccio sei corse
ar giorno, e dopo che me magno? no, no, nte preoccupà, ce mettemo poco... tiè, guarda questa,
co tutta la panza de fori, ma dico io, ciai la trippa, che te ce vesti a fa così? dice è a moda,
mantevedi come sei? co la trippa, boh, io nee capisco che je dice er cervello, e quest'antra co
tutte le cosce de fori, je se vede tutto, e mica jene frega gnente, poi se lamenteno che je
succede quarcosa, dice ognuno è libbero de vestisse come je pare, e ce mancherebbe, io te
capisco pure bella mia, ma che ncioo sai che vivi in una società co nsacco de gente co le rotelle
svitate? e allora nte lamentà se poi te s'engroppano. Dice "giovane ragazza aggredita in un vicolo"
dice, e te credo, pare che nun aspetti artro bella mia, ma io che te vedo così che devo capì? tiè,
guarda quest'artra, du bombe atomiche cià, a matina e passa a gonfià dar benzinaro, dice
"ventenne aggredita" dice, dice "ce sta a libertà de fa come te pare", ma nun poi annà in giro co
du cose così grosse senza che te s'engroppano... e Murtiple all'inizio nun annavano morto, anzi,
nun incontravano proprio, archè a FIAT, che non è scema, che ha fatto? addate ai tassinari, cor
30% in meno, ao noi semo na cifra che giramo, a ggente ha cominciato a vedelle pe strada, a
montacce sopra, e saa so comprata, che mica te poi fa pe ttaxi na pesciò, o na renò, chissaa
compra na renò, che poi tipo te se rompe mpezzo, come an collega mio che je s'era rotto er
differenziale, te ce vo un mese pe trovallo, e io che me magno? mica po sta ferma a maghina,
questo è nufficio che cammina... ma che vai a fa? ah vai da D'Alessio, er cantante, o sai che ciai
a stessa fisionomia? ao guarda che è mber ragazzo, nte devi offenne, e che je poi chiede? intanto
je dici che c'ha na bella voce, che poi io modestamente sua musica ce pio propio, carcola che
pen sacco de anni ho sonato dappertutto, sonavo er basso, è mbello strumento er basso, poi dopo
mpo cor basso nce fai gnente, e allora me so messo a sonà a chitara... e comunque sur tassì mio
c'ho piato nsacco de gente famosa, tipo Sordi, Mastroiannni prima che morisse, certo, preferisco
pià belle gnocche, che ne so, a Ferilli nullò mai presa, però ho piato quella bionda arta arta co
du pere giganti, come se chiama? vabbè quella... comunque er tassinaro è mber mestiere, a me
me piace, ncontri de tutto ncontri..."
3) 6 novembre, Milano, Stazione Centrale - Via Morigi
4) 7 novembre, Milano. Via Morigi - Stazione Centrale
Taxi & Zen era iniziata benissimo, spontaneamente, vocata a farsi scrigno dell'eloquio, del sapere
e della filosofia del tassinaro romano medio.
Ecco, la rubrica, ho scoperto, non è esportabile oltre il G.R.A.
A Milano ho preso ben due taxi.
M'avessero detto na parola, i tassinari milanesi.
L’uomo della verità
La Pizia (http://x.lapizia.net/)
C'era una volta un uomo. Un uomo malato di una malattia unica sulla Terra, tanto da farlo
assomigliare ad un extraterrestre. Quest'uomo diceva sempre la verità. Non la "sua" verità, ma La
Verità. Non era questione di essere sinceri, era questione che lui diceva le cose come stavano,
oggettivamente. Cosa mai accaduta nella storia - ecco perché si ipotizzò un intervento alieno - tanto
che l'assioma "la verità non esiste" fu ritenuto valido solo finché non arrivò lui. Perché con lui la
verità prese ad esistere.
La questione del gusto per esempio, smise di funzionare. Non esistevano più uomini o cose belle
"perché piacevano". No. Arrivava lui e definiva cosa era bello e cosa no. E così era.
Non esisteva più che la ragione sta nel mezzo. Arrivava lui e diceva chi aveva ragione e chi no. E così
era.
Fu la fine dei dubbi. A chi si torturava in atroci dispute con se stesso, domandandosi cosa fare della
propria vita, se scegliere una strada oppure un'altra, o un'altra ancora, o ancora un'altra, lui risolveva
istantaneamente il dilemma. Sapeva esattamente quale fosse la vera strada, quella che avrebbe portato
precisamente là dove si voleva essere portati. Sapeva cosa è giusto per ognuno, se qualcuno glielo
avesse domandato. Non sapeva mentire sulla realtà delle cose, e se fino ad allora non era esistita
alcuna realtà, lui col suo arrivo e coi suoi poteri, la creò.
Era una malattia, lo abbiamo detto, era unica – non sarebbe potuto essere altrimenti - quindi
lettore, è inutile che tu ti chieda come sia stato possibile.
Ma quest’uomo particolare aveva anche un’altra caratteristica, ben più ordinaria di questa benché
assai rara. Egli era molto buono. Prima di ammalarsi era stato un uomo buono e semplice, così
buono e semplice che di ogni cosa malvagia venisse a sapere lui si sentiva colpevole e provava un
doloroso bisogno di fare qualcosa per migliorare il mondo. A tutti capita di inciampare e rompere un
vaso, rovesciare un bicchiere, lasciarsi sfuggire la frase sbagliata. Per lui era diverso. Per lui era
insostenibile il disagio che provava nel recare danno agli altri. Il senso di colpa per il più piccolo
disagio provocato lo mordeva a tal punto da desiderare di non fare più niente e non dire più niente
per tutto il resto della vita, pur di non sbagliare più.
Caso volle che in una notte molto particolare egli pregò il cielo di ottenere qualcosa di esattamente
opposto. Colto ancora dal senso di colpa per non essere riuscito a tirar sù il morale ad un amico
depresso, chiese alle stelle con tutta la forza che poteva, di diventare capace di dire solo la cosa
giusta, sempre. Di diventare capace di sapere quale fosse la verità, in modo da non sbagliare mai
più, e poter aiutare gli altri, finalmente, a capire e a vedere solo la verità.
E le stelle lo esaudirono.
Così lui divenne famoso, e il suo potere con lui.
Finchè accadde ciò che accadde.
E cioè che là dove viveva lui c’era una ragazza che piaceva a tutti, che tutti corteggiavano e tutti
sognavano di far innamorare. Ma lei non si innamorava di nessuno mentre si innamorò di lui. L’uomo
della verità disse la verità: che lei non era bella e tutti seppero che non era bella, ma continuarono
a desiderarla.
Per la verità, perchè lui non poteva sfuggirgli alla verità, anche lui la desiderava. Solo che non
poteva esimersi dal dire che non era bella. E che era buffa, con gli occhi storti, un sorriso strano
tutto suo, e un gran culone. Lei si offese, e lui le disse che voleva amarla ed era ovviamente la
verità. E le disse anche cosa avrebbe potuto fare per migliorare tutti i suoi difetti, così che sarebbe
potuta essere finalmente bella e lui avrebbe potuto amarla. Le disse di smettere di mentire a se
stessa, le spiegò quale strada prendere per smettere di mentire a se stessa, e ci mise molta più
passione per lei che per tutti quelli che aveva aiutato, perchè le voleva molto bene. Solo che lei non
ne volle sapere di tutta questa storia e sparì.
Rimasto solo tutto gli fu chiaro. La verità era che lui non avrebbe mai potuto amare nè lei ne nessun
altra perché da quando sapeva la verità tutte le cose si erano spogliate, mentre l’amore è il vestito
più sexy che la verità delle nude cose possa indossare. La più grossa e bella delle bugie.
On air revolution
Strelnik (http://www.strelnik.it/blog/)
- Va bene, amico, va bene, basta che non mi fai del male...
- Senti, pezzo di merda, io mi chiamo Santa Klaus, Babbo Natale, Père Noël! Scegli la tua merda di
lingua ma non mi chiamare amico. Ci senti da queste cuffie del cazzo?
- Ok, ok, Santa Klaus, nessun problema, dimmi cosa devo fare e lo faccio, ma toglimi il mitra dalle
costole... per favore…
- Apri il mio microfono, muoviti
- E' aperto, è aperto, puoi parlare anche subito”
- Prima presentami no? Cazzone…”
Babbo Natale si dette una sgrullatina alle palle, si lisciò ben bene i baffi e il barbone bianco che
ogni tanto gli finiva tra i denti, obbligandolo a sputacchiare e a passarsi un dito sulla lingua,
abbassando gli occhiali per togliere il pelaccio che lo faceva smascellare a vuoto.
“Questa era “Ethilene” di John Hiatt e noi la sporchiamo un po’ per presentarvi un ospite
inaspettato - beh inaspettato è forse troppo visto che mancano solo tre giorni al venticinque – è un
personaggio che si materializza nell’immaginario dei più piccoli ma anche di quelli cresciutelli tutti
gli anni di questi tempi perché…”
“Ma falla finita, stronzo!”
Il conduttore fu allontanato da una manata sullo sterno che fece balzare lui e la sua poltroncina
mobile d’un buon metro e mezzo più indietro rispetto al banco dei microfoni, impiccandolo al
guinzaglio delle cuffie che gli scivolarono sulla fronte mentre lui urlava “Aiut..”
- Compagni lavoratori, mi chiamo Babbo Natale e ho requisito il conduttore di questa radio serva dei
padroni per comunicare al proletariato che il potere rivoluzionario della classe operaia e delle sua
avanguardie ha deciso di non tollerare più le ingiustizie e le violenza da sempre collegate alle
festività del periodo natalizio e a ciò che il capitale nella sua fase post-fordista ha deciso di
mascherare col solo fine di perpetuare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Rivendichiamo il natale
come una festa proletaria a ricordo della nascita del figlio d’un clandestino in fuga dal proprio paese
occupato da forze imperialiste e che ha dedicato la sua esistenza alla lotta contro l’oppressione e
per la costituzione di un giustizia che si contrapponga, combatta e vinca il potere dei maiali. Io non
sono violento ma la mia mano non si lascia fermare quando si tratta di difendere ed allargare nei
fatti la nostra autonomia e la nostra lotta. Noi siamo comunisti. Niente resterà impunito.
Il conduttore fu legato alla poltroncina e Babbo Natale gli appoggiò un cartello sulle ginocchia su cui
era scritto “Colpiscine uno per educarne cento. SKradio porci fascisti. Tutto il potere al popolo
armato.” Poi gli fece una foto, scaricò il mitra e si mise seduto, accendendosi una sigaretta.
Fuori, nella piazza antistante la sede di SKradio il commissario dette il via all’operazione. Dieci
minuti dopo Babbo Natale saliva sul cellulare della Polizia, un po’ ammaccato ma vivo.
Un mese dopo.
- Senti, i soldi son questi, non un euro di più
- Ma, cazzo, avevamo detto diecimila
- Ottomila e silenzio.
- Certo che siete proprio dei figli di puttana
- Non parlerei così con l’avvocato, se fossi in te, Babbino Natale.
- Bell’avvocato di merda che m’avete dato: è quasi sordo e parla solo in latino.
- Ascoltami: stattene buono, non approfittare del tuo nome e tra un annetto sei fuori.
- In tempo per il prossimo Natale, eh?”
- Il prossimo anno ti facciamo trovare nudo in una vasca con una decina di ragazzine appena
maggiorenni. La figura del terrorista è usurata.
- Col cazzo, io non lo faccio più.
- Sai quanti ne trovo di rincoglioniti come te che per un tozzo di pane si vendono anche il culo?
- Ma non sarà mai l’originale, il vero Santa Claus. La gente penserà che…
- La gente penserà solo quello che vogliamo noi.
- Vaffanculo..
- Ogni tanto ascoltala la nostra radio; hanno decuplicato gli ascolti. Glielo dicevo io
all’amministratore delegato di fidarsi. Guerrila-marketing.
Il manager uscì dal carcere, entrò in un macchinone nero e si diresse verso il centro, dove aveva
appuntamento col proprietario d’una televisione che non riusciva a vendere bene le mine antiuomo
nelle telepromozioni.
Babbo Natale in cella accese le radio.
Passavano i Black Crowes.
“’cause I’m seeing things for the first time
Im seeing things for the first time
Seeing things for the first time
Oh I’m seeing things for the first time
Yeah, seeing things for the first time
I’m seeing things for the first time
Yeah, I’m seeing things for the first time
In my life, in my life”
Il Bignami del mondo
Marco Schwarz (http://www.montag.it/blog/)
Stazione del treno di Amsterdam.
Una persona accompagna un conoscente a comprare il biglietto ed inganna l'attesa facendo
quattro chiacchiere.
-Cosa farai da qui alla partenza ?
-Mah, parto domani mattina e mi rimangono poche ore. Non essendo mai stato ad Amsterdam
volevo girare un po'.
-E non vai a dormire?
-No, ho poco tempo e l'amico che mi doveva ospitare pensavo fosse vicino alla stazione ma abita
un po' lontano. Lascerò il bagaglio qui e andrò a spasso.
-Sarà faticoso ma se non altro non perderai l'occasione di visitare un po' Amsterdam. Cosa
vorresti vedere ?
-Non sono mai venuto qui e volevo avere un po' un’ idea della città. Penso andrò a fare un giro
nel red light district.
-Ah, comunque se vuoi c'è anche altro da vedere. Per esempio, la zona dei canali nel centro vale
davvero la pena.
-Non so se ci andrò. Sai, sono già stato a Venezia.
-Venezia? Ma questa non è Venezia, è Amsterdam!
-Lo so, però i canali, le case vicino all'acqua, quelle cose lì le ho viste a Venezia, e adesso vorrei
vedere altro.
Ci sentiamo una volta l’anno
Achille (http://www.akille.net/)
Non ci stavo proprio pensando.
Così gli ho detto, mentre continuavo a sfogliare un giornale (non per scortesia, anzi, nel frattempo
avevo anche abbassato il volume della televisione). Tanto le sue argomentazioni le conoscevo, erano
sempre le stesse.
Lamentele su un destino che non meritava, esaltazione per i successi che comunque è riuscito a
cogliere e poi se avesse potuto, se fosse stato, se le solite cose.
Io non ci stavo proprio pensando. Sul serio.
Non è che chi vive una certa condizione deve pensarci 24 ore su 24.
Non è che se ha un certo ruolo deve rimuginarci 365 giorni su 365.
Lui invece era così. Sempre le stesse parole, gli stessi argomenti, riuscivo a seguirlo anche
sfogliando il giornale. Cosa che lui, ne ero sicuro, non faceva mai.
Ma dico io. Ogni giorno morti, tragedie, carestie, cataclismi, sofferenze in ogni angolo del mondo. E
lui pensava solo a come riusciva lo stesso a ritornare ogni anno alla ribalta, a non farsi dimenticare
dalla gente, a resistere all'oblio, ai nuovi arrivati, a quella poveracrista che pur di riavere un briciolo
di notorietà aveva costretto sua figlia a scimmiottare le sue stesse parole 20 anni dopo. Così diceva.
Testuale. E io pensavo che forse era per questo che ci riusciva. Perché esisteva solo per quello. Io
invece, anche al telefono, giravo le pagine del giornale e trovavo una storia triste di bambini in
Africa e volevo leggere e capire e non vedevo l'ora che smettesse di parlare. Che mi dicesse l'unica
cosa che voleva dirmi. Che aveva di nuovo vinto lui..
E visto che quell'articolo mi interessava e che avevo paura di non riuscire finirlo (perché lo sapevo
che se lui aveva telefonato voleva dire che stavano per ricordarsi anche di me) decisi di tagliare
corto.
E degli altri, dissi. E mentre lo dicevo il suo improvviso silenzio era come se gridasse: "finalmente!" E
degli altri, si è sentito qualcuno?
No, disse lui, raggiante come solo un figlio degli anni 80 poteva essere.
Disse: No, anche quest'anno sono stato il primo a farmi sentire.
Dj: ed eccolo in collegamento! Bentornato, sig… come posso chiamarla?
Io: Beh, il mio nome completo è Happy Christmas (war is over) so che è un po' lunghetto…
Dj: posso chiamarla Mr Happy?
Io. Beh, non è che mi rappresenti…
Dj: bene, Mr happy! Come ogni anno voi canzoni natalizie uscite dal dimenticatoio e tornate alla
ribalta. Cosa si prova? Gioia o risentimento per i lunghi mesi passati nel buio?
Io.: beh, cosa vuole che le dica, ci sono cose più importanti nella vita.
Dj: sì, però questa volta molti puntavano su di lei. Si pensava che grazie alla guerra lei sarebbe
tornato per primo. Lei tra l'atro vale sia per natale che per capodanno, cosa che in questi tempi di
crisi economica fa sempre comodo. E invece, non so se lo sa, ha vinto di nuovo Last Christmas.
Io: sì, lo so, l'ho sentito poco fa al telefono. Sa com'è. Un certo revival, una certa atmosfera. La
voglia di storie d'amore e buoni sentimenti, di non pensare…
R: ma, piuttosto, ci sono invidie e gelosie tra voi canzoni di natale? Su, ce lo dica per i nostri
ascoltatori. Con il signor Last Christmas, per dire, in che rapporti è?
Io: beh, nè belli né brutti. Che rapporto vuole che ci sia. Ci sentiamo giusto una volta l'anno.
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