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Post sotto l`albero 2004
Post sotto l’albero 2004 (Il Natale ai tempi del blog, un anno dopo) K - Vic Il giorno in cui diventai un folletto di Babbo Natale anche io - Manila Il punto di vista natalizio della pera zen - Livefast Ho visto l'uomo mettere piede sulla luna, e dello spazio farne progetto di guerra - Lizaveta Stellette comete - Squonk La notte delle stelle cadute - Fiottolino Perché il mare sospira - Mitì Vigliero Quella volta che P.A. si incazzò di brutto - Dust C’era una volta virgola sette - Marquant Come lo dico alla mamma? - Lester Il derby di Natale - Severine Attesa - AdRiX la soluzione di natale - papoff Il calcinculo - Antonio S. A Christmas Carol - Loredana Lipperini Marco - Hotel Messico Buon Natale dal Papa - Personalità Confusa Mostarda - Farfintadiesseresani Vigilia - tt Trio - B. Georg La mattina di Natale - Maestrina Mafe Shhht… - Sphera Solstizio d’inverno - Gilgamesh Scioglievolezza, resistibile scioglievolezza - Chettimar Natale indossando gli anfibi - Floria1405 Strade - Carlo Annese I cari involati - Jorma A pranzo da Aby - Massimo Mantellini Il Natale di alcuni - Spiritum xmas of one's own - Sere Terra e centro - Riccionascosto Occhi - Buba Sotto l’albero - Zu Lanterne rosse – Tigro Taxi & Zen (1, 2, 3 e 4) – Zoro L’uomo della verità – La Pizia On Air Revolution – Strelnik Il Bignami del mondo – Marco Schwarz Ci sentiamo una volta l’anno – Akille L’idea, buona o meno è tutto da vedere, è cosa dell’anno scorso. I blogger che fanno un regalo di Natale. Sì, suona un po’ Telethon, in effetti. E suona anche un po’ “da iniziati”. Dovresti sapere cos’è un blog, chi è un blogger, cose così. Lasciamo perdere. Mettiamola così: quella che hai in mano è una raccolta di regali di Natale. C’è gente che si è messa davanti al computer, ed ha scritto qualcosa per te. A volte l’ha fatto ex novo, in altri casi ha tirato fuori dall’hard disk una ventina di righe alle quali teneva parecchio. Non ti aspettare chissà cosa. I blogger, spesso, scrivono bene, certo; ma questo non è importante. In fondo, i lavoretti che i bambini fanno all’asilo valgono meno delle opere di Michelangelo? Dipende dai punti di vista. In questo caso, ricordati che è Natale, che tutto questo è gratuito, viene solo dal desiderio di regalare una cosa propria ad amici ma anche a sconosciuti che, forse, un giorno in amici si potrebbero trasformare. Come si dice, quello che conta è il pensiero. Fai finta di crederci, dai. K Vic (http://www.fozzdances.com/blog/) Stasera è l'ultima. Quante volte me lo sono detto, poi qualcuno mi faceva "pensa ai bambini" e io, ingenuo, ci sono ricascato. Ma stasera è l'ultima davvero. Se solo riesco ad uscire di qua. La spalla è quella che mi fa più male, non vorrei essermi rotto qualcosa; forse ruotando un po'... ahia, no, meglio stare fermo. Dovrei trovare dove puntare i piedi, ma qui dentro non si vede un accidente. Pure se ci fosse più luce. Con questa pancia che mi ritrovo, è una vita che non riesco a vedermi i piedi. E io avrei voluto dimagrire, mica mi manca la forza di volontà. Poi qualcuno mi faceva "pensa ai bambini", e lasciavo perdere. Un bel cazzo di situazione, non c'è che dire. Non si va né su né giù, toccherebbe chiamare qualcuno, sperando che mi sentano; ma poi chi glielo va a spiegare? Mica facile. Me la devo cavare da solo, come sempre. Si fa presto a dire "Nicola, pensa ai bambini"; fossero i miei, poi. Se non ci pensi tu, chi ci pensa. Un santo. Sì, un santo, bravi, proprio. Incastrato. Letteralmente. Manco sono più un ragazzino, e a lavorare di notte, qualsiasi tempo faccia, sempre col freddo, poi dice perché uno rimane incriccato così. "E quindi lei afferma che non ha mai sentito niente?" "Ma no dottore... commissario? Commissario. Insomma, qualcosa sì, certo però chi andava a pensare... l'anno scorso avevo fatto caso al caminetto che tirava male, ma lo accenderò al massimo una volta l'anno, durante la cena di Nata le, non ci ho perso tanto tempo, ho rinunciato che mi si affumicavano gli ospiti - e stop. E' quando ho cominciato a sentire quell'odore, dopo qualche tempo, che ho chiamato la ditta per vedere se ci avevano fatto un nido o qualcosa del genere su per la cappa. Mi vengono i brividi, madonna mia." "Resti umani. Capisco. E sul sacco pieno di giocattoli non sa darmi nessuna indicazione?" Prima le consegne dei giornali. Freddo boia, sonno arretrato, ma almeno era qualcosa. Poi mi hanno mandato via pure lì. Ma uno a cinquant'anni suonati mica lo ritrova così un lavoro. Lei però ai suoi figli non vuole che manchi niente, pensa ai bambini, dice. Pure la playstation a Natale: e chi me li dà i soldi? Nel giro di una settimana, poi. Non è che rubare mi piaccia, anzi. Mi hanno educato col rispetto della proprietà e tutto il resto. Però cosa dovevo fare a un certo punto? Secondo me tanti non se ne sono neanche accorti: lascio tutto pulito, prendo dove c'è troppo, è come quando perdi qualcosa, lo cerchi per un po', poi se viene fuori bene, sennò amen. Ci sono quelli che danno la colpa allo spiritello dispettoso; ma a volte sono io. Basta non strafare. Stavolta però, a cercare proprio la playstation, un casino. Quante ne ho fatte di case stasera, dieci? Troppe. Qualche giocattolo l'ho raccattato, ce ne sono montagne. Ai miei tempi dovevi aspettare la Befana, e non sempre... manco al compleanno ti arrivava qualcosa. Oggi no, un regalo al giorno. Come vuoi che vengano su? Certo, parlo io. Come sono venuto su, che mi sono ridotto a frugare nelle stanze degli altri? E guardami, incastrato in questo cazzo di camino; come mi è venuto in mente di fare batman, ti pare che la corda non si rompeva? Peso troppo, è che mangio male. Ma da stasera si cambia, ho deciso. Se riesco a tirarmi fuori di qua. Devo solo tenere duro un altro po'. Una soluzione si trova sempre. Devo solo resistere un altro po'. Come sempre. Vedrai. Il giorno in cui diventai un folletto di Babbo Natale anche io Manila (www.pproserpina.net) Fiera del maglione che mi ero comprata e di quella sciarpa così colorata, infagottata nel mio cappottino verde, camminavo sotto le luci della città canticchiando Let it snow. Con esattamente 120 euro in tasca e la prospettiva di un Natale pieno di candele, guardavo le vetrine gialle di luci e rosse di fiocchi. “L’aria di Natale” aveva iniziato a fare capolino nelle mie sensazioni già un mese prima, quando il primo gelo mi aveva congelato il naso uscendo di casa. L’aria di Natale è la sensazione che qualcosa di bello può succedere anche sotto il freddo, e che la notte sia quanto di meglio ci possa capitare, s’accendono le luci e le candele, così belle da vedere e respirare. Con esattamente 120 euro in tasca, guadagnati con una favola, la prospettiva di un Natale pieno di candele, che avevo già comprato viola e argento, e la sensazione che qualcosa di bello potesse succedere, me ne andavo per le strade illuminate della città canticchiando la speranza di una nevicata. Perché la neve la riconosci senza aprire le finestre. La riconosci p er il suono che fa e l’odore che lascia. Quando inizia a nevicare c’è un fruscio uguale a quello del mio pigiama di cotone con i gatti rosa che sfrega contro le lenzuola la mattina presto, appena sveglia, e un odore come quello di notte e coccole che mi stringe a letto. La neve. Che ti svegli la mattina e non ci sono suoni e odori, ma solo quel silenzio di coccole e notte. Con i miei restanti 120 euro, le candele per il Natale, la gioia di cose belle che succedono, sentendo il profumo della neve e stringendo al verde petto del mio cappottino i regali che avevo appena comprato, passeggiavo per il centro città, tra le vetrine, con la voglia di sorridere alla gente e cercando di scorgere, nascosti, allegri ed indaffarati come me, i folletti di Babbo Natale. Sicura che li avrei visti, come mi succedeva tutti gli anni il 23 dicembre. Let it snow, let it snow, let it snow. Il punto di vista natalizio della pera zen Livefast (http://sviluppina.co.uk/) E' che dentro alla bottiglia della Zuegg ci sia un frullato fino-fino del fegato di tuo nonno. E che una pera se lo stia bevendo. Riflettici la prossima volta che sei davanti al frigo. Ho visto l'uomo mettere piede sulla luna, e dello spazio farne progetto di guerra Lizaveta (www.lizaveta.it) Ho visto bombe dilaniare corpi e la paura nelle piazze repressa con divise e manganelli, mentre inconsapevoli ragazzi, fasciavano i loro volti tentando di nascondersi dietro ad un crudele gioco. Ho visto tre Papi, e le ideologie cadere a pezzi. Ho visto politici morire e portati in giro, pezzi di uomo, in un bagagliaio o colpiti da monetine lanciate dalla folla. Ho visto lanciare sorrisi, sopra il muro crollato di Berlino ed agitar di braccia e di bandiere, in una frenesia di gioia. Ho visto folle senza casa, guardarsi silenziose all'ombra di fredde roulotte, appoggiate sui resti ormai distrutti di quella che un tempo era la loro abitazione. Ho visto gente senza patria tentare assalti con lanci di sassi e urli alti, mentre dall'altra parte carriarmati li guardavano con i loro occhi rombanti e indifferenti. Ho visto del sospetto nella gente quando decine di politici incupiti, tentavano con forza di slegarsi, in tribunali, dagli anni di colpe densamente taciute. Ho visto volti silenziosi guardare in mille pezzi un aereo senza colpa, se non quella di attraversare lo spazio riservato a voli di missili fantasma. Ho visto risorgere traumatiche le guerre, che parevano lontane e farsi ogni giorno più vicine, tanto da riuscire a sentirne quasi l'odore. Ho visto i denti dei bambini lanciare alti nel cielo i loro acuti di risate, da sempre uguali, portarmi piccoli frammenti di serenità. Stellette comete Squonk (www.blogsquonk.it) Il giorno che ho trovato il mio nome nella lista di coloro che avrebbero fatto il servizio di guardia a Natale non mi sono sorpreso. Sono qui da poco più di un mese, in totale non ho ancora tre mesi di servizio sulle spalle: e in caserma, l'anzianità conta, eccome. Così, alle sei del pomeriggio della vigilia del santo giorno, mi sono presentato al corpo di guardia in compagnia di altri diciassette fortunati. Ci aspettavano ventiquattro ore da passare tra pattugliamenti, tentativi di addormentarsi sulle brande disfatte da generazioni di Cavalieri di Savoia, bestemmie e nostalgie. Poco prima di mezzanotte abbiamo sentito il suono delle campane delle chiese, portato dall'aria tersa e gelida dell'inverno montano, ci siamo scambiati degli auguri stanchi e veloci, abbiamo dato il cambio alla muta precedente ("muta", si chiama il gruppo da sei che esce in pattugliamento. "Muta". Un giorno, forse, prima di congedarci, abbaieremo alla luna), e siamo tornati sotto la neve. Non so nemmeno cos'ho pensato, allo scoccare della mezzanotte di questo santonatale. Forse, solamente a come avrei potuto sopravvivere ai dieci gradi sottozero, alla neve e al ghiaccio che ricoprono gli scalini che portano alle garitte sopraelevate, a dove piazzarmi nella rimessa dei Leopard per accorgermi dell'arrivo dell'ufficiale di picchetto senza farmi spaccare la faccia dal vento. Non credo di aver pensato alla ragazza, ai genitori, agli amici, alla messa nel mio quartiere di periferia di Milano; in certi momenti, è bene dare una priorità ai pensieri: alcuni servono, altri, semplicemente, fanno male. E non è il caso di farsi del male da soli. Adesso è mezzogiorno. Il capomuta mi ha messo in "Prima nord"; insomma, devo pattugliare intorno al Circolo Ufficiali. Fanno festa, lì dentro. Ha smesso di nevicare, ed è venuta fuori una giornata gelida ma senza una nuvola, di quelle che ti sembra di poter toccare le montagne dell'Austria solo allungando la mano. Ogni tanto, sento il rumore di una macchina che passa sulla strada che costeggia la caserma. La immagino piena di gente che va a pranzo dai parenti, sul sedile posteriore due bambini assonnati, la mad re che prega che la pentola di canederli nel bagagliaio non si rovesci alla prossima curva, il padre che pensa a quanto avrebbe voluto starsene sul divano di casa, al caldo e in compagnia di una weizen. Arriva una famiglia di ritardatari al pranzo del Circolo Ufficiali. Il padre lo conosco, è un capitano del Primo Squadrone Carri. Una brava persona, nulla da dire. Tiene al braccio la moglie, in un gesto di intimità che qui dentro puoi vedere solo in queste occasioni. Cinque o sei passi dietro, due ragazzine. Quattordici, quindici anni. Carine, vestite bene. Io sono ad una decina di metri da loro, porto la mano alla fronte e saluto il capitano, che mi sorride di rimando. Guardo le due ragazzine, e, Dio solo sa perchè, mi sento in imbarazzo, infagottato in questo cappotto pesantissimo, con gli anfibi lucidati dalla neve e le occhiaie di una notte insonne. Mi fissano per qualche secondo, e poi, senza alcun motivo, si mettono a ridere. Poi, entrano nel caldo e nel lusso del Circolo. Sento nuovamente le campane della chiesa più vicina. Batte i dodici rintocchi di mezzogiorno. Tra sei ore, anche questa sarà passata. La notte delle stelle cadute Fiottolino (www.lagatina.splinder.com) La terra tremò di colpo e la donna ritornò improvvisamente in sé. Per un attimo non capì dove si trovava. Poi realizzò. L’odore di paglia e di muschio, il tetto della capanna, e a terra la mangiatoia con il bambinello che la guardava placidamente. Di fronte a lei, il marito: sebbene avesse gli occhi aperti, sembrava che l’uomo, retto dal suo bastone, si fosse assopito in piedi. Era comprensibile, anche lei si sentiva sopraffatta dalla stanchezza di quegli ultimi giorni. Tutto era successo così in fretta che adesso i pensieri facevano fatica a rimettersi in ordine. Fortunatamente, lì si stava bene. Nonostante fuori intravedesse qualche ammasso di neve non ancora sciolta, si sentiva al caldo. Dietro di lei, le assi mal disposte del piccolo rifugio lasciavano intravedere un paesino illuminato quasi a giorno e un cielo stellato su cui spiccavano due stelle comete. Davanti a lei, un piccolo mondo bucolico fatto di pecore e pastorelli e dominato da tre signori più alti rispetto agli altri di almeno una spanna. Tutti sembravano guardare verso la capanna. Chissà cosa volevano. A guardarli bene avevano un aspetto inquietante. Chi un occhio più basso dell’altro, chi senza una mano o una gamba, chi con la faccia un po’ cancellata. Eppure la donna sapeva che non aveva nulla da temere da quelle persone. E nemmeno dalla lucertola gigante che poco più in là, all’interno di un cortile recintato, sembrava spaventare delle oche, che però continuavano a nuotare tranquille nello stagno; o dagli uomini di fango duro, che qua e là si trovavano accanto ai pastori. La terra tremò ancora. Una decina di pecore, vicino alla grotta, caddero all’unisono come morte stecchite. Un omino di fango duro, rotolando giù, precipitò nel burrone che c’era a fondovalle. Ancora un altro breve terremoto e i fuochi della cittadella si spensero all’unisono. Nel buio la donna poté intravedere un mostro dalle proporzioni gigantesche che con un balzo saliva dal burrone verso il villaggio. Tale era il suo peso, che sotto di lui cedevano le montagne, fracassandosi letteralmente. La donna guardò il bambinello nella culla e il suo primo istinto fu di proteggerlo e scappare via, ma evidentemente terrorizzata da quell’apparizione, non riuscì a muovere un solo passo. Poi, mentre il cielo stesso cadeva sotto la forza di quell’orrore, un urlo di terribile disperazione squarciò l’aria. Si sarebbe detta la voce di Dio. Per la donna fu troppo, mentre rovinava giù a valle con tutta la capannina, perse i sensi e cadde nell’oblio. Nonostante le mie precauzioni, la mia gatta riuscì a salire sulla mensola dove avevo creato il presepe. Dopo quella volta non lo feci mai più. Perché il mare sospira Mitì Vigliero (www.placidasignora.splinder.com) Lo sapevate voi che, di notte, il mare sospira? Sciaquio monotono all'apparenza tranquillo, in ogni bolla della spuma salata che s'infrange a riva sono raccolte le storie che ognuno di noi ha vissuto in ogni ora della giornata appena passata. Ogni risata, ogni sospiro, ogni lacrima, ogni imprecazione, ogni pentimento, ogni spavento, ogni finzione, ogni confessione, ogni malvagità, ogni atto di bontà, ogni vendetta, ogni perdono, ogni ansia, ogni abbandono, ogni fiducia, ogni tradimento ogni promessa, ogni mancamento, ogni sussurro, ogni alto grido, ogni preghiera, ogni pianto antico di giorno s'innalzano nel cielo e si compattano formando nubi grosse rosa e grigie gonfie di lacrime gioiose o disperate, quelle che non versiamo qui su questa terra, ma tratteniamo orgogliosi dentro il cuore. Spinte da scirocchi e maestrali fin sul mare le nuvole esplodono la nostra salata pioggia che si mischia alla salata acqua del mare. Ma giunta con l'onda alla sua madre terra, l'acquea anima umana si distacca e canta la sua storia infinita, da millenni uguale. Ed è per questo che il mare, di notte, al posto nostro sospira. Quella volta che P.A. si incazzò di brutto Dust (www.dust-page.splinder.com) Ralph: "Ehi, Rusty, dove te ne stai andando con in mano la pistola ?" Sam: "Già, Rusty, dove te ne vai con quel ferro in mano ?" Rusty: "Vado a sparare alla mia vecchia. Se la fa con un tizio, e insieme hanno steso il mio vecchio, papà Gummy" S: "Quella fulminata di tua sorella è della partita ?" Ru: "Ci puoi scommettere, amico. Be', ci vediamo" [ sparisce nella strada ] R: "Dico, Rusty pare proprio deciso. Ma non farà un miglio prima che lo becchino" S: "Non credo che la polizia muoverà un dito. Tanto, quello, la polizia se la porta dentro" R: "Non l'ho mai saputa per intero, la storia di Gummy" S: "Qui ci vuole Homer. Cominciò con la grande guerra fra bande, vero Homer ? Dai, raccontaci un po' dell'incazzatura di P.A., che è costata la buccia a tanti bravi ragazzi" H: "Eh, sì, se ne è portata un bel po' di gente nell'aldilà, quell'incazzatura, un sacco di ragazzi che hanno stirato le zampe prima del tempo. Lasciati lì in mezzo alla strada alla portata del primo barbone che passa. Be', di tutte le guerre fra bande, quella fu la più dura, senza meno. Il giovane Perry della famiglia di Hector - "Faccia d'angelo", lo chiamavano, perché era davvero carino - soffiò la donna a Manny. Ellie, si chiamava. Gran bella donna. Se la portò via nella zona di Hector, e lei di tornare da quel depresso di Manny non se lo sognava nemmeno. Così lui decise di andarsela a riprendere di persona" S: "Mica poteva fargliela passare liscia" H: "Dici bene, c'era da perderci la faccia. Così Manny e Gummy radunarono un po' di bande per fare piazza pulita dei bastardi. C'era Spooky con un po' di ragazzi, c'era P.A. coi suoi e tanti altri. Hector e la sua famiglia se ne stavano chiusi nella loro zona, una vera cittadella, praticamente un campo minato. Ogni tanto ci si scontrava, e alla fine c'erano sull'asfalto un po' di salme assortite" R: "E la polizia ?" H: "Lo sai come vanno queste cose. Qualche divisa blu la pagavamo noi, qualcuna loro. E così ogni tanto intervenivano per aiutare un gruppo o l'altro. Le cose andavano avanti così già da un po', quando scoppiò il casino con Breezy" S: "Il nome non mi dice niente" H: "Era una troietta come tante, solo che P.A. le aveva messo gli occhi addosso e pretendeva che lavorasse per lui. Ma Gummy non gliela voleva cedere a nessun costo. Ci si era impuntato sopra, dio sa perché. Mai avuto fortuna con le donne, quel disgraziato" S: "Così pare. La moglie e l'amante gli hanno fatto la festa, ci diceva Rusty" H: "Sì, fu molto tempo dopo. Be', dicevo, P.A. s'incazza di brutto, si chiude nel suo bunker coi suoi e pianta lì di combattere. P.A. era uno che faceva paura, davvero, era un mito per i ragazzi. Aveva un fisico strepitoso e la potenza di fuoco di una portaerei. Passava senza neanche impolverarsi le scarpe in mezzo alle sparatorie più scatenate. E con lui c'era Pat, un altro tipo tosto, il suo amico più caro. Qualcuno diceva anche troppo caro, se capite cosa intendo" R: "Ti facevo di vedute più larghe, Homer" H: "Seeh, lo so, l'amicizia virile. Ma guarda, ti racconto questa. P.A. aveva un brutto presentimento, su 'sto cazzo di guerra. Così decide di imboscarsi e ne inventa una davvero idiota. Si traveste da donna - non riesco ancora oggi a crederci - e si nasconde fra le ragazze di un casino. Una sera entra Spooky, che pare uno di casa. Le ragazze cominciano a coccolarselo e lui ha un regalino per ognuna. Mi figuro P.A. rintanato in un angolo con parrucca, rossetto e tutto che prega "Fa' che io non sia il suo tipo..". Poi Spooky butta lì 'Occhio, bellezze, che tiro fuori un gran pezzo di artiglieria'. Gridolini e risate. 'Ma che avete capito ?' e ti sbatte con nonchalance sul tavolo una pistola da urlo, l'ultimo modello di nonsoche, zeppa di gadgets, infrarossi e quant'altro. Un gioiellino da assoluto superkiller cazzuto" R: "E P.A. ?" H: "Be', sapete come si dice: il prodotto bellezza X intelligenza è una costante. P.A. non resiste, zompa fuori dall'ombra e si butta a limonare con il ferro. E Spooky che sogghigna per come se l'è cuci nato. Ma torniamo a noi. Insomma, i nostri si demoralizzano e cominciano a perdere veramente colpi. Non passa giorno senza che qualcuno finisca orizzontale. Aggiungi che una strana intossicazione alimentare ne manda un bel po' al creatore. Ho sempre sospettato che ci fosse dietro lo zampino di un certo capitano della polizia, ma lasciamo perdere. Come se non bastasse, la banda di Hector ci manda in fumo un garage pieno di auto. A Pat questa inattività rodeva un po', così pensa bene di guidare lui il suo branco e torna in campo a combattere. Hector non aspettava altro. Si sfidarono, e Pat ebbe la peggio. Per P.A. fu un colpo tremendo, fece il diavolo a quattro e giurò di vendicarsi. Spooky colse la palla al balzo, convinse Gummy a cedere Breezy e alla fine P.A. si rimise in moto. Fu lui a stendere Hector - un duello leggendario" R: "E' vero che poi P.A. fece una fine stupida ?" H: "Sì, trascurò una ferita a un piede e l'infezione se lo portò via" S: "Ma la vera svolta la diede Spooky con quella pensata del camion" H: "Come è vero che mi chiamo Homer, fu una trovata fantastica e...hem..." R: "Oh, capisco. Gola secca" [ birra ] H: "Grazie, amico. Allora. Una mattina, proprio nel bel mezzo della zona controllata dalla famiglia del fu Hector trovano parcheggiato un grosso camion, apparentemente di una macelleria equina. Qualcuno controlla senza troppo impegno. Il camion sembra pulito e vuoto, e così lo lasciano dov'è. Ma quella notte, da lì dentro, saltano fuori Manny, Gummy e gli altri, e mettono la zona a ferro e fuoco. Una mattanza: prendono la famiglia alla sprovvista, anche perché Spooky ha sparso la voce che i nostri sono sfiduciati e ormai vogliono mollare tutto. Si salvano in pochi, fuggendo e evaporando dalla circolazione. Appena ieri Virgil mi diceva che Pius E. si è infilato in una Little Italy da qualche parte" S: "E quando Gummy torna a casa la moglie e il suo ganzo gli aprono il cranio" R: "Così va il mondo, ragazzi. Ehi, c'è Rusty. L'hai poi fatto, amico ?" Ru: "Certo che l'ho fatto. L'ho stesa" H: "Era giusto, cazzo. E dove te ne vai, adesso ?" Ru: "Mi sa che vado verso Sud, in Georgia, dalle parti di Athens. Nessuno mi può beccare, là. O almeno mi faranno un processo giusto" [ sparisce all'orizzonte ] S: "Qualche rimorso, però, mi sa che lo rode" R: " Ehi, gente, chi diavolo sono quelle vecchiacce ?" S: "Cristosanto, i più brutti esseri viventi che vedo da un bel po' di tempo a questa parte. Strano, si direbbe quasi che stiano seguendo Rusty" R: "Già. E vanno proprio di furia" [ birra ] C’era una volta virgola sette Marquant (www.zittialcinema.splinder.com) Una virgola sette. Vanno al cinema una virgola sette volte l’anno, e questa è una. Quanto al rimanente zero virgola sette, ci penseremo. O forse, chissà, qualcun altro si prenderà quella quota decimale per tornarci a Pasqua. E’ tutto calcolato. In macchina fino al parcheggio di periferia. Quattro euro per la metropolitana, trenta euro per i biglietti del cinema, sei euro per i popcorn, due per l’acqua minerale e altri sei per la Coca-cola. Poi quattro euro per tornare alla macchina e altri quattro per il parcheggio. Totale cinquantasei euro. Ma a Natale si può fare. Ed eccoli, davanti al multisala vicino al multistore: Franco, trentotto anni, sua moglie Marika di anni trentasei, e i piccoli Michele e Vanessa, rispettivamente di anni otto e dieci, come l’orario di inizio del film. Adesso sono le otto meno cinque, ed è il momento di scegliere. Franco vorrebbe vedere Aldo Giovanni e Giacomo, fanno ridere. Marika insiste per quello con Clunei e Bredpit, fanno sognare. Insiste in modo sospetto, sospetto per Franco. Michele e Vanessa hanno in testa solo Shrek. Alle casse c’è la fila, ma se ne accorge solo Franco, che si ricorda anche perché al cinema ci vanno solo una virgola sette volte l’anno: c’è la fila, e quest’anno più degli altri. Marika ha già smesso di parlare: da un’occhiata di Franco ha capito che Clunei e Bredpit se li dovrà guardare a noleggio, “e poi i bambini preferiscono l’altro, dai”. Michele e Vanessa, loro, hanno già cambiato nome: lui è Shrek e lei è Fiona, ma nessuno dei due è sicuro che si tratti di un complimento. Otto e cinque. Franco è davanti alla cassa, oltre il vetro una ragazza, microfonata e scortese, lo tramortisce con un “Dica!”. Ma in quel momento Franco non ha nulla da dire: ha davanti lo schermo con l’elenco delle sale e dei film e il numero dei posti disponibili: Shrek 2: zero; Tu la conosci Claudia?: due. Ocean twelve: uno. “Dica, signore!” insiste la ragazza facendo gracchiare l’altoparlante. “Un momento”, dice Franco senza guardarla, e continua a scorrere il display elettronico: Christmas in love, tre posti (“Sfiga”, pensa Franco, “Boldi e De Sica facevano ridere...”). Non c’è più tempo, neanche di consultare la famiglia. “Sala sette, quattro posti”, spara a caso Franco, “S ono trenta”, risponde al fuoco la cassiera. In metropolitana, mentre tornano verso il parcheggio, nessuno parla. Franco conta mentalmente i soldi buttati nel cesso per vedere un film incomprensibile, che non fa né ridere né piangere, ripetitivo persino nel titolo: Melinda e Melinda. Marika tiene in braccio Vanessa, che non si è ancora svegliata, e intanto cerca di ricordare qual è quel suo collega che parla sempre bene di quel vecchio maniaco che fa ‘sti film: al rientro dalle ferie se lo farà spiegare. E Michele, ha già dimenticato tutto. Ma sarà proprio Michele l’unico a ricordare con piacere questa giornata di Natale, e la ricorderà come il più bel regalo mai ricevuto, così grande da non poterci stare sotto nessun albero del mondo. Molti anni dopo, di fronte alla proiezione di una retrospettiva su Woody Allen, il professor Michele Benassi si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre l'aveva condotto a conoscere il Cinema. Anche se per caso. FINE Si ringraziano L’Istat, Gabriel Garcia Marquez e Woody Allen. Come lo dico alla mamma? Lester (www.americanbeauty.splinder.com) "Dovrei dirti una cosa, cara genitrice." "Dimmi, frutto dei miei lombi." "Sai, stavo pensando di andare un fine settimana a Milano." "Tu vivi in Sardegna e vai a Milano per il fine settimana? Mi risulta che di solito si faccia il contrario!" "Sì, ma sai, ehm, così, volevo fare un viaggetto, Milano è molto bella in questa stagione..." "Esiste una stagione in cui Milano è molto bella? Questa è una novità!" "Ehm, in realtà il motivo principale è un altro... Insomma, c'è un raduno di quelli -che-hoconosciuto-su-internet, e volevo parteciparvi." "Quelle persone che la stampa descrive usualmente come patologicamente introverse, dalla scarsissima vita sociale e con una forte propensione al sesso solitario? Mi pare che la descrizione ti si attagli assai bene, figliolo!" "Ehm, sì, ma questo è un evento culturale! Vedi, ne hanno parlato pure su Repubblica!" "Ah, già. E'interessante che Repubblica abbia illustrato l'articolo che parlava di questa elevata iniziativa culturale con la foto di un'attrice con la quarta abbondante." "..." "Senti, figliolo, ormai sei grande, i soldi sono tuoi e puoi fare quello che vuoi. Solo, mi spieghi una cosa?" "Dimmi..." "Perché piuttosto non vai ad Amsterdam a spendere i soldi con prostitute e sostanze illegali, come fanno tutti?" Il derby di Natale Severine (www.severine.splinder.com) A Natale sono tutti più buoni. Anche noi tifosi. Io per esempio sulla mazza ferrata che porto ogni domenica allo stadio ci ho messo un rametto di vischio. Così a quelli della curva opposta li bacio e gli faccio gli auguri prima di frantumargli le ossa del cranio. Anche quest'anno il Natale lo passerò allo stadio. Lo stadio è la casa, anzi la culla, un'enorme culla accogliente e calda. Soprattutto quando diamo fuoco ai sedili di plastica o ai venditori di bibite. L'anno scorso per esempio c'è stato il derby Gesù Bambino contro Babbo Natale. Non sapendo bene da che parte stare noi tifosi ci siamo scannati tutti, una vera festa, poi dicono che il Natale è noioso. In squadra con Gesù Bambino c'erano i Re Magi come attaccanti e qualcuno aveva anche pensato di appendere una stella cometa di cartone sulla porta avversaria, se no quelli non avrebbero saputo dove andare. A centrocampo due zampognari, un guardiano di oche e San Giuseppe che però è un po' un legno. In difesa tutte pecore e in porta il bambinello completo di mangiatoia, asino e bue. Una difesa impenetrabile. Dall'altra parte erano schierati dieci Babbi Natale e un sosia di Elvis. Aveva sbagliato raduno e così l'hanno messo in porta. L'arbitro dell'incontro era un bambino di sei anni a cui avevano appena spiegato che Babbo Natale e Gesù Bambino in realtà sono i genitori. Nel senso di chi porta i regali ovviamente, ma lui non ha mica capito e l'ha presa alla lettera, quindi ha vissuto il trauma di arbitrare uno scontro tra sua mamma e suo papà. Cosa che secondo me invece gli ha fatto un gran bene, poi dicono che andare allo stadio non è educativo. Al fischio d'inizio una pecora si è spaventata e ha subito preso l'uscita dello stadio di corsa. Ovviamente tutte le altre l'hanno seguita, tirandosi dietro anche un guardialinee sardo. Poco male però perché le hanno subito sostituite con il ragazzetto scalzo col cappello e due brocche d'acqua, uno bravo, infatti secondo me c'è qualcosa di losco nel contenuto delle due brocche, dicono che è acqua ma io non me la bevo. Solo che il nome ragazzetto scalzo eccetera scritto dietro alla maglia non ci stava e allora l'hanno dovuto far giocare col mantello come Batman. Anche i cronisti un po' lo odiano, perché quando la palla arriva a lui non fanno in tempo a pronunciare completamente il suo nome che l'altra squadra ha già segnato due volte. Comunque è stata una bella partita, di quelle combattute, veramente. Quando qualcuno ha gridato cornuto all'arbitro, San Giuseppe si è offeso. I Babbi Natale hanno fatto ricorso perché l'altra squadra aveva lo straniero, Baldassarre. Il team Gesù Bambino ha subito fatto ricorso al ricorso per via di Elvis, ma ha perso la causa perché dal tesserino della Federazione Calcio risultava che il signore vestito in pelle bianca con le frange era nato a Barletta. Poi l'incontro è stato sospeso. Non so perché, in quel momento io e i miei amici eravamo impegnati a buttare giù un po' di roba dagli spalti, così per ravvivare l'atmosfera. In tutto sono volati giù due motorini Bmw col tettuccio, una lavatrice di quelle della lavanderia a gettone, l'unica pecora che siamo riusciti a fermare, un signore anziano in ca rrozzella, un vagone della metropolitana linea 2 e il servizio di piatti della dote di mia sorella. Ci siamo proprio divertiti. Al telegiornale poi hanno detto che la partita era stata sospesa per "anticipo di capodanno", chissà cosa vuol dire, ma tanto noi quest'anno lo rifacciamo. Attesa AdRiX (www.yaub.splinder.com) Sapevamo di non doverlo fare, l'abbiamo fatto. Vederci, guardarci negli occhi, non pensare alla conseguenze, e con insopprimibile foia d'amore, primevo impulso prenderci l'una con l'altro, accoppiarci mentre i tuoni del non lecito e i fulmini del proibito ci rombavano accanto, creando l'uragano che i mortali hanno visto e ricorderanno come la più spaventosa tempesta a loro memoria è stato inevitabile. Io non ero inviata, quando accadde. Sorvegliavo, in quel momento osservavo che il mio principio si spandesse, la primavera della grande Terra culla degli uomini era cominciata, e mi beavo della manifestazione. Ricca e feconda germogliava la terra, possenti arieti combattevano per primeggiare, le belve generavano i loro cuccioli, farfalle irididescenti erano ovunque, e l'acqua era ovunque, discreta e indispensabile, in un immenso oceano di verde. E lo vidi, lontanissimo. Nelle poche ore che trascorremo insieme dopo i furiosi amplessi, mentre godevamo ancora degli spasimi morenti dei nostri lombi, mi raccontò che in quel momento era occupato a spingere lontane le nubi gravide d'acqua che avevano regalato alla terra assetata la fecondità di quella primavera. Lui mi scorse, tornò indietro velocissimo. Per stirpe e scelte antiche siamo nemici, la mia Spada balenò nelle mie mani mentre lui si preparava ad affrontarmi con la sua. Ma ci fermammo. Ci incantammo, vidi in lui la qualità che indosso come nome, vide in me la forza dell'impeto che porta nel suo. Le spade vennero gettate, una moltitudine di baci mai sazi furono scambiati mentre parossisticamente ci congiungevamo. Capimmo troppo tardi. Continuammo, volevamo godere del dono che l'incontro ci aveva offerto, e ci lasciammo, disperati per l'enormità del nostro agire. E ora attendiamo. Attendiamo che, da dove si può, vengano cconvocati i nomi di Tif'eret e Libicocco, i nostri nomi. (Tif'eret nella Torah è Bellezza, Libicocco (Vento Impetuoso) è uno dei Malebranche) la soluzione di natale papoff (www.papoff.splinder.com) [S] : sei pesante! [T] : e tu troppo sognatore, poco concreto. non ti sopporto. [S] : comunque dobbiamo convivere, ti devi rassegnare. ci dobbiamo sopportare. [T] : ma perchè? perchè? [S] : perchè siamo qua dentro. ci hanno messo qua e non possiamo fare altro. [T] : ma siamo incompatibili. [S] : non totalmente! [T] : ma se tendiamo sempre ad allontanarci! a farci i fatti nostri. tu sei sbagliato! [S] : nessuno di noi due è sbagliato. solo che è difficile. dobbiamo reagire! per stare insieme in armonia, abbiamo solo bisogno di un po' di movimento, di un catalizzatore. di energia. [T] : siamo un miscuglio disomogeneo, se ne sono accorti tutti! non leghiamo. [S] : sei il solito pessimista! quando le cose non vanno ti butti sempre giù e speri di arrivare sul fondo. [T] : sì, per poi risalire e riuscire a trovare un equilibrio. e invece te? sempre a illuderti d'essere leggero e libero? dove credi di andare? ... [S] : buon natale [T] : io odio il natale! sono costretto a confrontarmi con gli altri e vedere che hanno trovato un loro equilibrio mentre io… [S] : ti capisco. è la stessa cosa anche per me. [T] : e allora perchè mi fai sti cazzo di auguri? [S] : perchè così sei contento. così credi che io sia il tuo antagonista. [T] : perchè invece? qual è la verità? [S] : davvero la vuoi sapere? io no. [T] : si che la voglio sapere! tu la conosci? dimmela! [S] : la sai anche tu: siamo la stessa cosa. siamo una cosa sola. [T] : non è possibile! io...io ti odio! cazzo, ma la soluzione qual è? [S] : noi. [T] : (in)soluto [S] : (in)solvente [la soluzione: Pa + P + ½O2 + F2 + ? ? papoff®] l'enzima della sera: a.a.a. cercasi entropia per soluzione disomogenea in cerca di reazione. astenersi droghe pesanti. no recettori a tempo. Il calcinculo Antonio S. (www.webgol.it) Il calcinculo è più che un gioco, più che puro divertimento, è un volo targato speranza. Se poi c'è qualcuno che non conosce il calcinculo, per punizione una settimana senza playstation , uscire fuori di casa e tour intensivo alle fiere di paese, compresa quella del tortello. Ché lì il calcinculo c'è di certo. Il calcinculo non è mica una ruota panoramica, che stai lì e ti guardi intorno; il calcinculo è sfida inane, azione a vuoto, gioco di squadra, grandi battute di cranio, e tintinnar di rotule nel riacchiapparsi al volo. Nel calcinculo bisogna volare in alto spinti da quello dietro di te e prendere al volo uno straccino pesto che penzola dall'alto (spesso, chissà diavolo perchè, attaccato ad un Super Santos giallo). Se chiappi lo straccino, un giro gratis. Il trucco è metter bene i piedi per lanciare il seggiolino davanti. Almeno così sembra a vederli da giù. Io, da quando son piccolo, sogno di chiappare lo straccino. Non ci sono mai riuscito, però, all'epoca. Ero troppo piccolo, sia io che i miei amichetti - e i giri li passavamo a voltolare a mezz'aria, a sfiancarci con scalciate di gambine smunte guardando dal basso i ragazzi più grandi svolacchiare nell'empireo degli straccini. Acchiapparli ogni volta. Il peggio era quando lo facevano ai primi giri (spesso in virtù di una rincorsa da terra al limite del mio personale regolamento mentale): i giri dopo erano una noia infinita, senza nemmeno la speranza. L'altro giorno ci ho riprovato, dopo forse 15 anni che non ci salivo. Ora son grande, mi son detto. Ci riuscirò. Ci sono andato vicino, un giro che ero solo. Ho sfiorato lo straccino con la punta delle dita; mi è parso morbidissimo, come seta raffinata, sedere di fanciulla, sogno che rimane. Non ho potuto fare altro che sfiorarlo. Le ditine fantozziane mi si erano incartocciate dall'emozione. Il giro dopo è arrivata la marmaglia che staziona dalle parti del Parco delle Cascine, in quel di Firenze. Invidiosa, credo, del mio sfioramento. Due loschi figuri l'hanno preso al primo giro, lo straccino, grazie ad una tecnica perfetta eppure buzzurra, senza poesia. A Christmas Carol Loredana Lipperini (http://www.kataweb.it/kwblog/page/CLIP) Sbircio da altrui posta e, come si suol dire, volentieri inoltro: ”Al direttore Il sottoscritto, Charles Dickens, nato nel 1812 a Landport, esprime con la presente la propria totale e profonda insoddisfazione per il reiterato quanto sciagurato utilizzo di una delle sue opere, A Christmas Carol, che, come Ella sa, è uno dei cinque racconti raccolti sotto il titolo di Christmas Books nel 1852. E’ pur vero, signor direttore, che quelle opere ottennero un ragionevole successo, al punto che alcuni scellerati li definiscono oggi il primo best seller della storia della letteratura. Ma è altrettanto vero che nella produzione del sottoscritto entrano altre opere che il qui presente riporta alla sua attenzione: da A Tale of Two Cities a Barnaby Rudge, oltre a Bleak House, Hard Times e Great Expectations, per tacer del resto che sicuramente già vi è noto. Ora, il sottoscritto nulla ha da obiettare sulla trasformazione di alcuni suoi scritti in quella che suole chiamarsi fiction televisiva (anche se in realtà da obiettare ci sarebbe, signor mio, ma taccio per amor di pace natalizia). Trova invece non più sopportabile la sorte toccata proprio a A Christmas Carol, che negli anni è stata scempiata da Zio Paperone, Bill Murray, ed ora persino da Linus. Vede, signor direttore, a tutto c’è un limite: passi per gli ammodernamenti, le rivisitazioni, financo le parodie. Ma quando il proprio nome, che si ritiene degno di una qualche stima, finisce con l’identificarsi con un’unica storia, per di più dimenticata nella sua originale scrittura, è il momento di dire basta. Lo dicono, insieme al sottoscritto, alt ri colleghi di svariata estrazione. Per esempio il signor Mark Twain, in preda a grave sconforto dopo che il suo Il principe e il povero è stato portato su Dvd da due Barbie, una bionda e una bruna. Nonché il signor Kipling, che mai avrebbe desiderato ritrovare la sua poesia Se nelle sale parto di mezza Italia, sulle riviste pediatriche e in un consistente numero di siti personali (sorte ancor peggiore è toccata al signor Gibran, con il passo I vostri figli non sono i vostri figli, e soprattutto all’infelice signor Wilde, ormai decaduto ad autore testi per cioccolatai). Alla protesta, ma per motivi assolutamente opposti, si associa il signor Lucrezio. Sostiene, il medesimo, di non essere invece abbastanza citato. Eppure, sostiene, sarebbe oggi di qualche pertinenza almeno un brano di una sua nota opera, De Rerum Natura, quanto mai attinente al gran discorrere che si fa intorno alle due signore o signorine Lecciso, la cui fama giunge tristemente fino a noi. Essendo il signor Lucrezio alquanto pignolo, mi prega di accludere alla presente il brano in questione, che a suo dire potrebbe fornire la famosa chiave interpretativa della cui assenza si dolgono diversi vostri studiosi. Bello, quando sul mare si scontrano i venti e la cupa vastità delle acque si turba, guardare da terra il naufragio lontano: non ti rallegra lo spettacolo dell'altrui rovina ma la distanza da una simile sorte Sperando che le risulti effettivamente utile, le auguro, come può immaginare, un felice Natale. Suo Charles” Marco Hotel Messico (http://www25.brinkster.com/hotelmessico) Avevo appena finito di sciogliere nell'acido un venditore della folletto che aveva bussato alla mia porta quando squillò il cellulare. Era mia madre che mi annunciava che mia sorella si era fidanzata e che quella sera avrebbe portato a casa il nuovo fidanzato. Mi chiese gentilmente di non presentarmi. Mentre rassicuravo mia madre sul fatto che non sarei andato, tirai fuori la camicia nera delle grandi occasioni e le adidas rosse per l'evento mondano. Suonai alla porta verso le nove calcolando che a quell'ora mio padre avesse gia raccontato al ragazzo la storia delle tasse che aveva sempre pagato solo che quelli dell'inps non l'avevano scritto da nessuna parte e adesso dopo vent'anni gli volevano fare il culo. Quando mia sorella mi vide, tirò fuori il suo cellulare e cominciò ad eliminare dalla rubrica il numero di telefono del nuovo fidanzato. Io presi posto tra zia Ada e mia madre, proprio di fronte a Marco, che poi era il nuovo fidanzato in questione. Zia Ada era la mia zia preferita, aveva un occhio di vetro e l'altro strabico, capire che stava parlando con te era praticamente impossibile. Zia Ada aveva condotto al suicidio diversi uomini tra cui un carabiniere in pensione a cui aveva chiesto indicazioni per arrivare a piazza Vittoria. Capivi che parlava con te solo quando ti dava le spalle. Tesi la mano verso Marco e gli chiesi se lavorasse per la folletto e lui mi disse che faceva parte di un gruppo di volontari che liberavano i castori e i visoni prima che diventassero pellicce. Era un ragazzo di animo nobile e certe cose io le apprezzavo. Gli dissi che per lavoro passavo animali di piccola taglia a laboratori di analisi e che mi occupavo di recuperare feti abortiti dalle discariche delle cliniche private per conto di alcuni ristoranti cinesi di piazza Garibaldi. Zia Ada rideva così forte che quasi gli cascava l'occhio di vetro nel piatto. Marco era un bravo ragazzo e durante la serata lo ripetei diverse volte e pure zia Ada cominciò a imitarmi, guardava fuori dalla finestra mentre diceva a Marco che era un bravo ragazzo. Altri due bicchieri di vino e zia Ada partì. Cominciò a darci dei dettagli su un leggendario rapporto carnale avvenuto quarantasette anni prima con un nano giocoliere del circo Livia Togni. Per indicarci le dimensioni del pene del nano zia Ada usava un pezzo di sfilatino che stava sul tavolo. Io giusto per il gusto di farle ripetere la scena facevo finta di non capire e lei di nuovo che armeggiava con lo sfilatino per aria come fosse una spada e poi offriva a Marco del pane e lui per rispetto non lo rifiutava. Poi ci raccontò che il nano ebbe un destino avverso perché finì in un polmone artificiale. Nonostante tutto continuò ad esibirsi come giocoliere nel suo polmone artificiale e anche se le palline cadevano tutte per terra la gente lo applaudiva lo stesso e alla fine piangevano tutti. Il numero del nano era così triste che alla fine dovettero allontanarlo dal circo e zia Ada perse il suo uomo e alla fine si mise insieme al trapezista che in una sventurata sera cadde dal trapezio e continuò ad esibirsi con la sedia a rotelle sul trapezio solo che lo spettacolo era troppo triste e alla fine cacciarono zia Ada additandola come portatrice di sfiga. A questo punto della serata Marco si alzò e disse che doveva andare a controllare se l’antifurto della sua macchina fosse inserito e chiaramente non tornò mai più. Guardammo l’orologio e mio padre appuntò sul calendario l’ora alla quale Marco era scappato. Tutti temevamo l’ira di mio padre per quello che era successo e stette in silenzio alcuni secondi solo per caricare di severità le sue parole. “Stiamo peggiorando, prima questi bastardi duravano quaranta minuti, adesso lo sapete quanto tempo ci abbiamo messo a farlo scappare? Un’ora e un quarto!” Mia madre scoppiò in lacrime e per la vergogna si coprì il viso. Buon Natale dal Papa Personalità Confusa (www.personalitaconfusa.splinder.com) Ciao a tuti, cari amici, sono ancora io, il Papa. Ecomi qui, sicome il confuso non sapeva cosa scrivere mi a chiesto a me un post, e cosi poso facio io e ne aprofito per farvi gli auguri di Natale e racontarvi un po di cose segrete che sui giornali non ve le dicono. Alora, amici, volevo dirvi che ho comprato i regali di Natale. A Ruini li ho regalato un cilicio nuovo, questo e di cuoio con i laceti streti, cosi Ruini impara. Al mio portavoce spaniolo Navaro, quela specie di carceriere di papi, li ho preso una cravata orenda che lui eclaico e le cravate se le puo metere, ma io l'ho scelta aposta bruta cosi quando apre il pacheto dovra soridermi e far finta che li piace e invece io lo so che non li piace ah ah che scherso. Invece ho fato uncbel regalo al mio amico e colega Dalai Lama, un paio di infradito colorate carinisime, liele o spedito col DHL a casa sua sul'Hymalaia. Il programma del mio natale non e tanto belo, amici. La sera dela vigilia dovro stare alzato fino a tardi che cè la mesa di mezanote; dopo torniamo neli apartamenti e io e Ruini ci faciamo li auguri, mangiamo asieme una fetina di pandoro e lui si beve un bichierino di rosolio ma a me non lo da, dice che mi fa male. Il 25 abiamo il pranzo: a me servono solo una minestrina in brodo, Ruini e Navaro invece si fano preparare dai miei cuochi le lasagne e la faraona farcita, e mentre mangia Navaro lo fa aposta a dire che "Mmm, la faraona e buonisima, pecato, karol, che tu non la puoi asagiare" - perche lui lo sa che io ci resto male, ma io prima o poi lo licenzio quello li, lo mando a fare l'uficio stampa del cardinale di Vladivostok, cosi vediamo se dopo ride ancora. Invece, questo anno subito dopo il pranzo del 25 Navaro parte, va alle Canarie per le ferie, a me mi toca restare qui a roma in sanpietro. L'unico vantagio e che qui poso andare a vedermi la Sistina nel'orario di chiusura, e senza fare code. Perche la sistina e' il saloto di casa mia. Ma per tuto il resto quelo di papa e un lavoro faticoso. Ragazi, io vi auguro un buon natale a tuti, vi volio tanto bene, amici, buone feste a tuti, sinceramente. Il Vostro, Papa Mostarda Farfintadiesseresani (http://farfintadiesseresani.blog-city.com/) Dice: il senso del Natale? Si fa presto a dire: il senso del Natale. Io, se proprio sono costretto, dico: la mostarda. Innanzitutto, la precisione. La mostarda di cui qui si ciancia ha poco a che fare con la mustard anglosassone. Quest’ultima è semplicemente una variante di salsa alla senape (detta “mostarda” solo per pigrizia o per deprecabili cedimenti alle mostruosità dell’itanglish), quella è una delle più mirabolanti invenzioni gastronomiche che l’umanità abbia partorito, e cioè: frutta di ogni genere (albicocche, pere, ciliegie, fichi, mandarini, mele…) messa a macerare per mesi in uno sciroppo di acqua, zucchero e senape. Specialità mantovana (e cremonese, ma a Cremona la fanno un po’ diversa, vabbé facciamo che la differenza la spiego un’altra volta). Roba che ti chiedi a chi diavolo possa essere venuta in mente. E soprattutto quanti tentativi abbiano fatto, prima. E quanti morti per la causa, va da sé. Bene, si diceva, la mostarda. Trattasi di punto di arrivo. Di vetta dell’Everest. Di esame di laurea. In altre parole: la mostrada va affrontata armati di tutto punto. Il palato e il cervello devono essere pronti e l’apprendistato può durare decenni. Esempio: io, che sono padano figlio di padani, ci sono arrivato solo alla soglia dei trent’anni. Perché ti frega, la mostarda. È infingarda. È bastarda dentro, e in questo caso l’espressione possiede un accuratezza devastante. Infatti, è bellissima a vedersi, la mostarda. Affascinante. Ipnotica. Soprattutto nei negozi di gastronomia di Milano e di gran parte del Lombardo- Veneto, laddove sovente è esposta alla pubblica libido in enormi vasi multicolori dai riflessi ambrati, che spargono tutt’attorno le luci calde del Natale imminente, in un indicibile gioco di rimandi. Dal mare aranciato in cui sono sprofondati galleggiano e occhieggiano i globi rossi delle ciliegie, il pallore biancastro delle pere, il verdino malsano dei fichi, le nuance ocra del mandarino malevolo. E tu, bambino, in quel mare ti ci perdi rapito. Il punto dolente tuttavia è: assaggiarla. Già, perché quello che alla vista parrebbe un cibo fatto apposta per la pasticciosità affabulanda del max decenne si rivela bomba atomica organolettica, capace di devastare papille e sinapsi. Iniziamo a dire che è agrodolce, e l’agrodolce, di suo, è pedorefrattario: il bambino impara per analisi e della capacità di analisi novellamente appresa usa bearsi. O è agro o è dolce, dice il bimbo, inconsapevole seguace dell’Organon aristotelico. Principio di non contraddizione. A non è non-A. Agrodolce sa tanto di giornonotte, di rumoresilenzio, di cerchioquadrato. Inconcepibile. La mostrarda, di suo, è eraclitea o, al massimo, hegeliana. Tertium datur, eccome. La contraddizione, in questo caso, sussiste in sé ed è motore della degustazione. Agrodolce, sintesi di tesi e antitesi. Frutta piccante. Senape dolce. Io mi ricordo pranzi e pranzi di Natale, con tutta la magia e il resto d’ordinanza. E la mostrada portata in tavola. E tutte le volte la tentazione: “è troppo bella per essere cattiva”. E poi, regolarmente, la disillusione, aggravata dall’impietoso confronto con i maschi alfa del gruppo: mio padre e mio nonno che ne sbafavano a mestolate. Edipo a go-go. Freud trionfante dall’oltretomba. Io, tapino, a commiserarmi e a temere che mai ne sarei stato capace, e a rimirare la struggente bellezza dell’artefatto, aumentata dall’inattingibilità. Finché uno capisce che il trucco è accompagnarla. Cioè: la mostrada non è stata creata per essere mangiata da sola. Va impastata con i suoi naturali complementi, ovvero il lesso e la crescenza. La qual cosa è un po’ l’uovo di Colombo, l’evidenza che ti si appalesa in tutto il suo folgorante e abbagliante esser- lì-da-sempre, il riorientamento gestaltico che ti fa sentire al contempo incommensurabilmente felice per esserci arrivato e incommensurabilmente pirla per non esserci arrivato prima. Quando conquisti la mostarda accadono due cose. La prima: essa ti pare assolutamente meravigliosa. Non solo ne mangi a quintali e se ne manca in dispensa ti senti pervadere da una strana agitazione anche se è luglio, ma rifiuti l’idea stessa di bollito misto senza che essa, la mostarda, giunga a incoronarlo. La seconda: ti bulli di conoscerla e apprezzarla con chicchessia, e col furore del convertito cerchi di fare proseliti in ogni dove. Per dire: ci scrivi un post natalizio per il blog. Vorrei vedere voi ad avere scalato l’Everest e a farne poca cosa senza dirlo in giro. Vigilia tt (http://stellefilanti.splinder.com) la Vigilia si chiude sulla soglia di un'ulteriore dilazione nel tempo che sarà o non sarà davanti al crocevia delle svolte cieche superflui gli affanni a cercare risposte dove le domande di sempre da sempre tentennano prevedono il divergere delle intenzioni quando l'ideale sarebbe prendere cognizione dell'inventario delle speranze dentro il nodo insolubile di un abbraccio stretto privo di contraddizioni. Trio B. Georg (http://falsoidillio.splinder.com) Piove sui tuoi cigli la contrizione dell’anima; goccia a goccia il dolore si discioglie in corsi dorati solca e immobili la guancia, la volta che appena vira e si corrompe il frutto che maturo esala il suo profumo. Scintillante una goccia evapora sull’ incarnato i riflessi lenti del sogno si rispecchia l’aria, ne raccoglie i raggi come scrigno. Ogni cosa sosta nella penombra (qui una foglia verdissima), socchiude le palpebre la materia al limite estremo tra sé e il proprio disfacimento. ---------------------------Dopo la nostra scomparsa mostruosamente silenziosa, universalmente non registrata, le nostre macchine fedeli prenderanno il posto (copie solertissime e riproduzioni) Noi preso un cunicolo per Marte o per qualche riviera semplicemente svaniremo, come dissolvenze televisive. Lo abbiamo già fatto lo stiamo facendo. I nostri sostituti si troveranno benissimo. ---------------------------Angelus Mi visita due volte, ad anello alle quattro del mattino e della sera lo leggo dalla traccia nel cervello viene una volta sul più bello del sonno, la seconda nella pausa sigaretta un'orbita perfetta e silenziosa lo fa in un attimo e non posa nemmeno di profumo una bavetta La mattina di Natale Maestrina Mafe (www.maestrinipercaso.it) "Nonna, basta?" "Ma ti sembra che basti?" Girare e spingere, spingere e girare. La grattugia pesa, il parmigiano scivola. "Nonna, ma quanto ne serve?" "Devi r iempire tutto il contenitore. E attenta a non grattarti le dita". E gira e spingi e spingi e gira, il parmigiano per i tortellini di Natale, ne farebbero tutti a meno, se dovessero grattugiarselo da soli. "Nonna, ma quanti siamo?" "Non lo sai, quanti siamo"? "Zia Marcella viene?" "Ma certo che viene" "E che le hai regalato?" "Un ombrello" "Zia Silvana viene?" "Ma certo che viene" "E che le hai regalato?" "Chicca, che vuoi, l'elenco di tutti i regali? Non hai pazienza di aspettare che li apriamo tutti insieme"? "Ma mancano ore!" "Piuttosto, la tua mamma quando viene"? "E' giù da nonno Cesare a fare gli auguri" "E tu non vai?" "No, devo grattugiare" La nonna sorride. E' presto, neanche le undici. La cucina è densa dei vapori del brodo di pollo, ma non lo stesso pollo che giace disossato e ripieno in una teglia piena di patate crude, con un po' di pangrattato sopra. "E zia Betty c'è"? "Certo che c'è: voglio vedere che non viene al pranzo di Natale. E tu, con tutte queste chiacchiere, neanche il fondo hai coperto, e vai con quelle braccine" "E a me l'hai fatto un regalo?" "Sì, una bella grattugia" Io rido. La nonna ride. Il brodo bolle. "Meno male che ci sei tu che mi aiuti" "Arrivano sempre tutti tardi, vero, nonna?" "Sì, ma poi arrivano, e nel frattempo io e te stiamo qui tranquille, e a chi importa se si mangia alle tre?" A me no di certo. Shhht… Sphera (www.sphera.splinder.com) Ti faccio dormire. Ti racconto a bassa voce, vicino all'orecchio, che sei un sasso sulla riva del mare. E ti insegno a respirare profondo e ogni respiro è un'onda che arriva e ti affonda un po' più nella sabbia, morbida e calda. Ti racconto che sei un albero che immerge le radici nella terra, sempre più dentro, e in alto il vento è leggero e ti muove adagio le foglie. Ti parlo sempre più piano e ti accompagno il respiro. Ti passo addosso la mano per lisciarti muscoli e nervi e farti smettere di fremere con fantasmi di calci e di corse da cucciolo inquieto. Ti accarezzo piano la testa, amore mio bambino, finché sei intero, morbido e molle. Ti accarezzo adagio le sopracciglia, amore mio uomo che sei stato o sarai, finché sono distese nella curva di un quasi sorriso. Ti accarezzo lenta la mano, amore mio nonna, finché le tue vecchissime dita leggere smettono di avvinghiare e si lasciano andare. Anche chi non ti ama può farti contento, può farti mangiare e farti giocare. Non c'è bisogno di amarti per farti ridere, sospirare, godere. Ma solo chi ti ama può farti dormire. Un sacco di cose non so fare amor mio, ma, non sapessi far altro, so farti dormire. Solstizio d’inverno Gilgamesh (www.gilgamesh.splinder.com) Un semplice messaggio per augurare a chi legge Buon Natale. E per dirla con Sergio Stàino, ricordare che festeggiamo la nascita di chi predicò l'umiltà e la carità con la più grande orgia consumistica dell'anno. E per chi dice che poesia l'è morta e anche il povero usignolo oso quel che non ho mai osato, e come suggeritomi da Gardenia a suo tempo, di poesia ne pubblico una mia, scritta sul momento, che non necessita (spero) di alcuna traduzione. Solstizio d'Inverno. Il mio Sole è giunto al culmine, la ruota ha completato il suo giro col punto più alto, ed ora ricomincia da quello che fu il principio. Tutto si rinnova, eppure tutto è uguale. Vedremo ancora gli stessi luoghi, anima mia, ma sarà come se fosse la prima volta. È un grande tesoro la memoria, ma la capacità di dimenticare è la benedizione più grande. Vieni, dolce amica, attraversiamo insieme il varco nell'oscurità verso la luce e nuotiamo nelle fresche acque del Lete. Ruote dentro ruote, istanti dentro istanti: in questo universo meraviglioso e terribile, io conosco molti luoghi che celano misteri, ma l'es senza della Vita è il mistero più grande. Buon Natale, amici miei. Scioglievolezza, resistibile scioglievolezza Chettimar (http://www.iftf.it/blog_chettimar/blog.asp) Quando, in anticipo sul tuo stupore, verranno a chiederti “Coglione, hai messo la macchina in garage ieri sera?”, tu constaterai con somma inquietudine che nella notte è arrivato il Grande Freddo. Quello che imperversa nei telegiornali scandalistici, quello che trasforma la tua caldaietta in un mostro d’acciaio tremante che sbuffa fumo bianco e spesso, quello che tu, borghese piccolo piccolo, non hai sentito sotto la tua trapunta-sette strati di lana merinos made in Bovisio Masciago. Novello omino Michelin, scenderai le scale imbacu ccato in ogni dove e troverai la tua carretta, da nera che era, completamente bianca. Ghiaccio sulla carrozzeria, ghiaccio sui vetri, ghiaccio sui fari, ghiaccio sui cerchioni e persino nella marmitta. Entrerai, misurerai nell’abitacolo una temperatura di sette gradi Kelvin e recupererai l’ignobile triangolo rosso plasticato sbrinatutto. Col suddetto triangolo sca lpellerai vanamente la lastra, ricorrendo successivamente alle unghie, alle chiavi di casa e a un trinciapolli. L’unico risultato che otterrai sarà riempirti i guanti di brina semisciolta e, conseguentemente, mandarti le mani in ipotermia. Dopo aver ripristinato la corretta circolazione sanguigna periferica, constaterai che l’apposito liquido antighiaccio “speciale per temperature polari treeuroenovantanove” ormai impregna il fetido tappetino lato passeggero. Ti rivolgerai al meno altisonante alcool etilico, col quale irrorerai copiosamente l’auto. In men che non si dica, la carrozzeria tornerà a respirare, ma i vetri resteranno irreversibilmente appannati. Per non parlare del fatto che ti si prospettano svariati giorni di viaggio su una macchina che puzza disgustosamente di disinfettante. Stringerai un volante gelato e partirai, su una strada intarsiata di cristalli e riflessi di luce, verso nuove, incredibili derapate. Natale indossando gli anfibi Floria1405 (www.contaminazioni.splinder.com) Ci risiamo. Troppo cresciuti e scettici perché la cosiddetta magia del Natale possa incantarci davvero, ci pieghiamo tuttavia alla tirannia della tradizione. Questione di radici, dicono: e le radici, si sa, minacciati come siamo dallo scontro fra civiltà, servono. E poi, vogliamo scontentare i bambini? Potremmo persino immaginare di diventare più buoni, come stereotipo comanda. Dunque, Natale è alle porte. Niente paura: questione di un giorno, poi passa, come una febbre. Vabbè, cara mia, ammettilo: questa è retoricuzza di bassa lega. Sparare a zero sul Natale non è nemmeno elegante: segno, tutto sommato, di intellettuale snobismo. Tipico di gente che non ha mai superato la traumatica scoperta dell’inesistenza di Babbo Natale. Far mostra di aristocratico distacco dall’usuale delirio consumistico in cui la massa cade il venticinque dicembre salvaguarderà forse il tuo preziosissimo io? Ti senti più originale, intelligente e fine sbandierando il tuo disincanto? Lascia perdere, cogliona. Le tue ragioni, riconoscilo, sono più terra terra. La colpa, se di colpa si può parlare, fu dei tuoi adorati anfibi. Li avevi appena comprati, per un imprevedibile capriccio prenatalizio, e ancora non li avevi domati: i piedi ti facevano un male dell’accidente ma tutto sommato potevi sopportare. Perché i tuoi nuovissimi anfibi ti piacevano davvero e ti sembravano adattarsi senza stonature al tuo stile abituale (e perché mai avresti dovuto cambiare?), da sempre ostentatamente casual. Ma a Natale (trascorso come sempre in casa dei tuoi suoceri, ospite anche la tua ipercritica genitrice) una distinta signora quarantenne dovrebbe vestirsi in modo consono per il pranzo in famiglia: possibilmente classico, gonna, camicetta e mocassino. Che c’entravano gli anfibi? Tua madre non si lasciò sfuggire l’occasione, incoraggiata di sicuro dal tuo feroce mal di piedi, che sembrava offrirle un movente in più. C’è il ragionevole sospetto che l’assalto fosse comunque premeditato: esauriti nel corso degli anni i possibili argomenti sufficientemente credibili di lite fra mamma anziana e figlia adulta (vietato, ormai, discutere di politica, alludere al lavoro, accennare all’educazione della prole, parlare del suo divorzio, accennare alla casa che non ti sei comprata, agli investimenti vantaggiosi di cui non hai saputo profittare e alla macchina nuova di cui riesci comunque a fare a meno: insomma, la conversazione era ormai trasformata in un difficoltoso slalom fra questioni tabù, slalom che tu però sapevi ormai percorrere con maestria), le divergenze sul look rappresentavano pretesto troppo ghiotto che la terribile genitrice colse con la consueta proterva abilità. Tanto più che le scarpe, effettivamente, erano più che scomode: dei veri strumenti di tortura. Si cominciò la mattina di Natale, si continuò per tutto il pranzo, si andò avanti per l’intero pomeriggio, si proseguì festosamente la sera. Ma come ti vesti? Ma guarda tua cognata com’è carina … Ma quelle … scarpe dove l’hai comprate? Ma non ti rendi conto dell’età che hai? Ma non ti sembra di essere un po’ scema? Ti fanno male, eh? Ben ti sta. Anna (la cognata di cui sopra, n.d. a.), ma quel bel vestitino dove l’hai trovato? Ma insomma, a quarant’anni una dovrebbe regolarsi.Guarda lei com’è elegante. Ma non avevi nient’altro da metterti? Ma devo comprati qualcosa io? Ma gli anfibi sono proprio … orribili. La faccenda stava diventando imbarazzante per tutti. Tu tacevi, stringendo i denti (e contraendo le doloranti dita dei piedi), o tentavi timidamente di buttarla sul ridere. I tuoi suoceri, i tuoi cognati, tuo marito, impietositi, provavano a deviare la conversazione. Inutilmente. Tua madre, implacabile, ritornava al punto: i tuoi orridi anfibi e la tua più che meritata (perché, a suo giudizio, frutto di risibile giovanilismo) dolenzia alle estremità. Giunse la sera e ognuno a casa sua. Rissa evitata, per un soffio. E, finalmente, pantofole. Ma la provocazione doveva ripetersi, identica, per l’ulteriore appuntamento familiare di Santo Stefano. Solito ritornello, condito stavolta dal perfido tentativo di coinvolgere i presenti nella crociata contro gli anfibi (che tu stoicamente – o si trattava di incoscienza? – avevi nuovamente indossato), crociata che sembrava essersi trasformata nell’ unica , vera missione natalizia di mammà. Ma nessuno ti ha impedito di comprati quei cosi? Ma tu – rivolgendosi a tuo marito – non gliel’hai detto che è proprio ridicola? E a questo punto non hai potuto impedirti di di sibilare: - Ma perché non ti guardi per te? Ma cosa credi, di essere tanto distinta? Ma non lo vedi che la ridicola sei tu? – Sapevi bene di colpire nel vivo, perché mammina, pur ritenendosi l’unico vero arbiter elegantiarum della famiglia, al di fuori di qualche salda e generica convinzione maturata all’incirca negli anni Quaranta, non ha il minimo criterio nella scelta dell’abbigliamento: ma quando qualcuno glielo fa notare, e osa per soprammercato contraddirla, si offende mortalmente. Tanto più che tuo marito pensò bene di rincarare la dose e aggiunse: “ Vuoi dire a tua madre di farla finita, che hai quarant’anni e ti vestirai come cavolo ti pare, si spera ?!?” Missione riuscita, trappola scattata. La scena madre, perseguita con insistenza per un giorno e mezzo, era assicurata. Fra lo sconcerto di tutti (ricordi?) tua madre, rossa al limite del colpo apoplettico, afferrò la sua stampella e cominciò a gridare: - Qui mi si offende. Qui mi si manca di rispetto. Ad una povera invalida, voi date della ridicola! Perché zoppico, eh? Voglio andar via … Portatemi via …” Onestamente eri un po’ sconcertata: non avevi fatto nessuna allusione alla sua invalidità (più che altro eri tu che zoppicavi) e lo slittamento dell’argomentazione ti colse impreparata. Tanto più che tua madre aveva cominciato a correre a velocità impressionante (per un’invalida, e non solo) attorno al tavolo da pranzo, brandendo la stampella come un’arma e gridando: “ Voglio andar via! Portatemi via! Voglio stare sola! Non ti voglio più vedere!” Ah, già: la solita battuta della figlia rinnegata. Non era la prima volta che la sentivi. Mentre cercavi di placcarla, correndo anche tu ( con i piedi, ahimè, sempre più congestionati) attorno al tavolo, allo stesso tempo balbettando le tue smozzicate ragioni, provavi la quasi irresistibile tentazione di afferrare il coltello dell’arrosto e farla stare zitta una volta per sempre.Ti sei trattenuta perché non ti sembrava di buon gusto procedere ad un pubblico matricidio per un paio di scarpe, anche ammesso che la tua soglia di sopportazione fosse stata drammaticamente abbassata dallo stato dei tuoi calli: non ti sembrava un’ attenuante credibile. In quel momento hai perso qualsiasi residua fiducia nello spirito del Natale. Non ti poteva salvare. Non aveva mai potuto salvarti. Evidentemente la tragicommedia è l’unica vera vocazione della tua famiglia. E non c’e’ stato Natale che non si trasformasse, malgrado ogni tuo festevole sforzo, in una sciagurata pièce teatrale. Ci avevi provato da piccola. Hai ripetuto i tuoi sforzi da adolescente. Hai tentato nuovamente da fidanzata. Hai riprovato da sposata, grazie al carattere conviviale della tua buona suocera. Hai proseguito i tuoi sforzi con la nascita del primo figlio. E del secondo. Nel corso degli anni, da quando puoi ricordarti, hai taciuto, abbozzato, attenuato, minimizzato, sdrammatizzato. Hai fatto il muso, ma non più di tanto. Ti sei diplomaticamente allontanata in altra stanza. Hai fatto finta di niente. Sei uscita, rientrata, uscita di nuovo. Il risultato di tanta diplomazia? Tua madre che saltella attorno ad una tavola imbandita, gridandoti contro improperi e maledizioni, mentre tu, nel silenzio sepolcrale dei presenti, la rincorri cercando inutilmente di aggiustare la faccenda e persino scusandoti. Macchè tragicommedia: a pensarci bene, si trattava dell’ennesima replica di una pessima sit-com. Mancavano solo le risate preregistrate. E qui, ti sei arrestata di botto. Tua madre sbraitava. Gli altri erano prudentemente fuggiti in cucina. Allora hai avvertito l’ilarità che montava irresistibilmente dentro di te. Con un singulto, la risata ti è arrivata alla bocca, al naso, agli occhi. Ridevi senza ritegno, piegata in due, fissando con sguardo lacrimoso l’inusuale casus belli, i neri anfibi dalla suola a carrarmato, ornati di fibbie lucenti e laccetti vari. Ridevi ridevi ridevi, tanto che ti pareva di soffocare. E la tua risata seppelliva i lustrini, i pacchi, il presepe, le luci, il panettone, le file ai negozi, gli intasamenti del traffico, la Messa di Mezzanotte, la benificenza, il pranzo in famiglia, l’Albero di Natale, Babbo Natale, Bianco Natale e Tu scendi dalle stelle, i biglietti di auguri, le recite scolastiche, i vestiti nuovi e le scarpe appena acquistate. Ridevi e brindavi, con lo spumante brut appena aperto prima della lite, mentre gli altri ti guardavano stupiti e anche tua madre non urlava più. Strade Carlo Annese (www.fuoridalcoro.blogspot.com) Oggi pomeriggio, attorno alle 3, in viale Marche a Milano. Un pullman al mio fianco si immette nella corsia preferenziale. Guardo distrattamente oltre i finestrini: bambini e bambine, seduti in maniera un po' disordinata. C'è qualcosa che mi colpisce, ma non capisco bene cosa. Continuo a scrutare: le bambine hanno il velo; in mezzo a loro individuo alcune donne, saranno le madri, anche loro hanno la testa coperta. Ora, però, quel qualcosa addirittura mi inquieta, non già perché non riesca ancora a definirlo. Seguo una rotatoria, il pullm an si allontana. Ma pochi metri più avanti mi ricongiungo, viaggiando sempre sulla corsia parallela. Non posso farne a meno, giro di nuovo lo sguardo. Due secondi, ecco: le bambine e le donne sono tutte sedute nella parte posteriore; davanti solo bambini. I cari involati Jorma (www.jorma.splinder.com) omaggio a Icaro Involato di Queneau e al volo Blogger verso il sole di carta Loredana entra alle Feltrinelli e come una bimba in cerca dei regali di Natale, senza distrazioni, arriva alla pila della “Notte dei Blogger”. Con calma misurata prende la prima copia, sfogliando il volume ad occhi chiusi annusa i fogli freschi di stampa, lo apre per verificarne la qualità e… foglio bianco, foglio bianco, foglio bianco. Altra copia, fogli bianchi, altra copia, bianchi, copia, bianchi…. Gerry Focaccia a bordo del suo maggiolone attraversa la notte Romana e rivolgendosi a Soraya “ho sentito che c’è una festa in via Zanetti, ci andiamo?” Soraya:”ok, passiamo però a prendere anche la Gnappetta” Gerry annuisce con un sorriso di convenienza, la Gnappetta non la sopporta ma a Soraya non ha mai avuto il coraggio di confessarlo. I tre arrivano alla festa a mani vuote, ad accoglierli centinaia di birre e decine di personaggi, si comportano tutti come padroni di casata ma nessuno paga l’affitto. In sala si imbattono nella compagnia del REM e Focaccia viene subito bersagliato dalle solite battute sui prodotti da forno “come sta papà Baguette?”; Gerry rimonta l’ebete sorriso di convenienza e si allontana alla ricerca di un bagno, bisognoso di stare da solo, Gnappetta e Soraya sono scomparse chissà dove, bisognose l’una dell’altra. Nel primo bagno ci trova Lo che limona con Lo, richiude in fretta la porta chiedendosi il nome di un loro eventuale figlio, si allontana alla ricerca di un secondo bagno ma viene rapito da Ilenia che ha nuovi entusiasmanti aneddoti sulla sua coinquilina “Gerry ti devo troppo raccontare le ultime di Mery Terry”. Dopo 15 minuti di monologo Gerry riesce a liberarsi e ad entrare in un bagno pregno di odor di zo lfo. Seduto sul water (Gerry fa la pipì seduto) si rende conto che non è solo, nella vasca da bagno, dietro la tendina c’è qualcuno, Gerry tira l’acqua e scosta la tenda. Seth e Mimosa, rispettivamente un Dark satanista ed una ballerina sosia di Justine Mattera, si stanno rollando una canna “vuoi provare? È una nuova pasta, il livefast!”. Gerry accetta e alla seconda tirata si ritrova innanzi l’Arcangelo Sofronisco che, in lacrime, gli racconta la sua vita “…mia madre avrebbe voluto che io facessi il dentista, ma io sono allergico al tartaro…” le lacrime dell’Arcangelo bagnano copiose il pavimento, il livello sale rapidamente fin sopra il ginocchio, Gerry rimane fermo nel suo viaggio. La gatta Peggy lo prende per mano (probabilmente è Ilenia, ma Gerry è strafatto) “seguimi focaccino mio, che ti stai bagnando le Clarks” e lo porta in sala. Il solito stordito sta guardando il Tg “Continua a colpire la porno Killer, questa volta la vittima è un single di Milano, trovato morto soffocato da 44 bustine di camomilla”. Lo stordito con lo sguardo verso l’apparecchio, ma il cervello su un altro pianeta, inizia a cantilenare ciondolando“ meno sette, meno sei, meno cinque…”, TOC TOC TOC, dei colpi dal soffitto “saranno Fabio e Alice, quelli di sopra, sono trentenni ma sembrano mio nonno!” sentenzia gelida Zina prima saltare dalla finestra. “ferma Zinna! Smettiamola.” “Gerry, non rompere, fammi godere della mia libertà.” “Torniamo, torniamo a casa, qui fuori io e te abbiamo dei nomi di merda, qui fuori nessuno ci ama e ci stiamo ammazzando tutti, là almeno qualcuno ci amava” "Gerry, solo qui siamo liberi" disse Zinna prima di volare dalla finestra. bianchi, sono tutti bianchi! Neppure una riga, niente, tutto perso! Loredana stringe il libro al petto e una voce le si insinua nell’orecchio “Voi non ci avete.Non ci avrete mai.” A pranzo da Aby Massimo Mantellini (www.mantellini.it) Vediamo se ho capito bene. Aby Warburg era un signore tedesco con la fissa dei libri e della storia dell'arte. Primogenito di quattro figli maschi di un banchiere di Amburgo lascio' volentieri al fratello Max gli onori dell'alta finanza per dedicarsi ad una strana ossessione intellettuale. Quella di creare una specie di biblioteca dei collegamenti nella quale storia, religioni, pittura e letteratura, miti, astrologia e scienze alchemiche si incontrassero e si scambiassero spunti ed informazioni. Dico io - da ignorante - cercando di immaginarmela, una specie di Internet dei fogliettini e delle cartellette, nella quale riunire, sugli scaffali di una biblioteca fino ad allora mai tentata, informazioni diversissime che si completassero l'una con l'altra. Questa specie di mania, che con gli anni fece di Warburg un uomo coltissimo e della sua biblioteca una specie di paradiso in terra per gli umanisti di ogni foggia, oggi prende il nome di iconologia. Non ci fosse stato quest'uomo la storia dell'arte del ventesimo secolo sarebbe una specie di deposito polveroso, gli storici dell'arte del secolo scorso persone di straordinaria inutilita'. Cosi' la biblioteca di Amburgo piano piano crebbe, incurante della prima guerra mondiale. I soldi che Warburg otteneva dalla famiglia andavano tutti spesi nel tentativo di unire contributi da scienze diversissime per meglio comprendere il mondo. Poiche' il motto preferito di Aby pare fosse "Il buon Dio alberga nel dettaglio", ai curatori della biblioteca, una volta morto Warburg nel 1929, non sfuggi' il piccolo particolare della sciagurata ascesa al potere dell'omino coi baffetti in Germania. Per tale ragione l'archivio di testi, foglietti e ritagli della biblioteca impossibile, da Amburgo emigro' - con i mobili, le macchine da scrivere e tutto il resto - a Londra. Dove ancora oggi risiede, religiosamente conservato - in Woburn Square, sede del Warburg Institute. "Studi avanzati" li chiamano. Non che Warburg fosse persona dagli equilibri formidabili: narra la biografia che la sua prima conferenza, organizzata per un pubblico, per cosi' dire, non specializzato, fu tenuta in una clinica tedesca presso la quale era di tanto in tanto ospite allo scopo di curare antipatiche e ricorrenti crisi nervose. Parlo' in quell' occasione del rituale del serpente, ed insomma, immagino lo stupore dell'inclito pubblico. Cio' non toglie che l'iconologia abbia oggi, proprio per le sue pretese olistiche un fascino ed una duttilita' che sono negate a gran parte delle altre scienze umanistiche. Proprio perche' le collega tutte. Di queste cose si occupa mia moglie. "Il buon Dio alberga nel dettaglio" e cosi' anche oggi al Warburg Institute si raccoglie e ci si esercita nell'arte difficile di avvicinare tutto. Mentre fuori, nel giardinetto qui di fronte, piove, Alessandra sfoglia con circospezione alcune di queste preziose cartellette raccolte in uno degli schedari metallici dell'Istituto. Si tratta di immagini di Sant' Antonio che vengono da pubblicazioni da tutto il mondo. In nessun angolo del pianeta si e' pensato di avvicinarle cosi', fisicamente. Un approccio che oggi in molti definiscono come "metodo warburghiano". Ogni tanto i bibliotecari del Warburg scoprono un nuovo ciclo pittorico su Sant Antonio e le immagini ed i riferimenti vengono semplicemente aggiunti alla cartelletta. Ed a queste immagini la biblioteca collega tutti i testi che si occupano del Santo e tutte le pubblicazioni che ne accennano. Il risultato di un simile certosino lavoro e' che gli studiosi trovano in poche ore dentro i cinque piani di questa palazzina di mattoni sporchi del centro di Londra, quello che a casa loro richiederebbe molti mesi di ricerche. Certo io non sono nemmeno lontanamente uno studioso. Nel caso specifico sono nulla di piu' di un accompagnatore interessato. Cosi' mentre mia moglie continua le sue ricerche dentro le stanze silenziose di questo tempio della cultura vuoto di persone (il Warburg Institute non e' ovviamente accessibile al normale pubblico delle biblioteche ne' agli studenti senza particolari autorizzazioni) e stracolmo di libri ed immagini, piano piano, in questa mattina di giugno, mi abbiocco. Quando dopo pochi minuti riapro gli occhi Alessandra se ne sta ancora inebetita a fissare le centinaia di immagini delle tentazioni di sant Antonio. Prende appunti. Ogni tanto dice sottovoce fra se' e se' : "Incredibile". Le brillano gli occhi. Ed anche a me, anche se per tutt'altre ragioni: cosi' me li stropiccio, in attesa del ritorno dell'anfitrione che ci ha introdotto in questo paradiso, ed inizio a chiedermi a che ora si pranzi da queste parti. Il Natale di alcuni Spiritum (www.spiritum.it) Cos’è che porta, certi di noi, quelli più fragili, ad intristirsi per il Natale? Durante il periodo di Natale, più precisamente. E’ un momento che tutti son contenti, magari anche troppo contenti, ci chiediamo “perché, per che cosa o per chi?” (alcuni di noi se lo chiedono, i più malinconici). Allora spunta fuori la mancanza della fede, i costumi frivoli e il consumismo e tante altri tappi. Inutili, ‘chè il buco è sempre là e chiede: “Perché?”. Forse che è nella natura di alcuni di noi, i più sensibili, porsi troppi interrogativi quando tutto, intorno intorno intorno, gira e luccica e canta e balla e regala e ride e stringe le mani e si dovrebbe saltar sulla giostra, ma non ci si riesce. Forse è proprio nella natura, è la natura stessa che ci trattiene, ci blocca, ci contorce in noi stessi e ci lascia quel velo di malinconia, che è un cacao troppo amaro e non va bene sullo zucchero a velo del pandoro. Ma siam fatti così. Perciò, quando a Natale stringerete le mani, di alcuni di noi, e vi sembrerà di vedere, dietro quegli occhi, un’ombra di malinconia, ecco, non vi sbagliate. Buon Natale lo stesso. xmas of one's own Sere (http://www.iftf.it/yellowblog/yellowblog.asp) è piuttosto inutile far finta che passavo di qui per caso quando la tastiera ha cominciato a scrivere da sola, e campanelli a trillare. questo è intenzionalmente un post di natale, con tutte le lucine, i fiocchi rossi e, se state un momento zitti, sentite pure il coro di voci angeliche che pace infonde nei cuor. almeno, ci prova. ché quest'anno il natale è un apostrofo marrone tra le parole 'niente ferie' e per dispetto volevo fare lo sciopero dei pacchetti: non comprare niente a nessuno e spendere tutto in profumi e balocchi - oltre che scarpe - per me. renderlo indistinguibile da tutti gli altri giorni, insomma. ma so già che non funzionerà. di solito il natale arriva inaspettato e semina panico e distruzione. chiunque abbia inventato lo slogan 'natale con i tuoi' doveva avere i propri nella stanza accanto, altrimenti avrebbe concesso almeno la deroga di santo stefano. attraversare l'italia in lungo e - soprattutto - in largo all'alba del venticinque, con il baccalà paterno della vigilia sullo stomaco, nastri nei capelli e porporina, non è mai stato il mio ideale di riunione familiare. neanche la mia famiglia, per dirla tutta. unico obiettivo dichiarato: declinare l'ennesimo cappone. la sopravvivenza decisamente un fatto secondario, subordinata al regolare svolgimento del torneo femminile a squadre di canasta. fuori nevica ancora, sapete? [partire, partire, devo ripartire subito. questa sera mi aspettano i miei tre amici per gli unici auguri che ho voglia di fare e, per l'amor del cielo, toglietemi da davanti quel nocino.] che poi, io sarei pure una creatura conviviale. mangiare, bere, sorridere e fare conversazione: sono stata programmata per questo e, lasciatevi servire, vestita a festa sono uno schianto. rispetto allo standard - tutte un po' tarchiate, le cugine - e complice il nocino di cui sopra. a proposito, un bicchiere? è che sogno un natale tutto per me. la solitudine perfetta e l'equilibrio per godersela. un risveglio silenzioso, un albero fuori dalla finestra addobbato solo di neve e fili d'argento. un bricco di caffé lungo nero amaro bollente sul comodino e pacchetti ai piedi del letto. nessun rumore, neanche le parole per raccontarlo. shh. Terra e centro Riccionascosto Chiudi gli occhi - disse poi. Non puoi vagliare quello che ti giunge dall'esterno finché non riesci a riconoscere quello che è te da quello che non lo è. Questo è ciò che il mio insegnante chiamava «la forma sotto la pelle»: trova dentro di te il punto che ti sembra più stabile e procedi di là verso l'esterno. Analizza tutto... e poi accantona quello che hai analizzato, perché puoi riconoscerlo come parte di te. [...] Dunque, una volta che hai trovato quel punto stabile dentro di te, ne devi individuare uno simile all'esterno... nella terra stessa. Quando lo avrai percepito, dovrai collegarti ad esso. L'individuazione del punto stabile interno è definita «centratura», mentre il collegamento con la terra si chiama «connessione con la terra». da "Le Frecce di Valdemar" di Mercedes Lackey Ho sempre pensato che ogni libro, anche quello apparentemente più stupido, può essere utile, se ti lascia qualcosa. Terra e Centro. La ricerca del tuo equilibrio, un ancoraggio che ti salvi dai tifoni più violenti. Perché tu SAI chi sei, e qual è il tuo posto sulla Terra. E se il tuo equilibrio vacilla, se non sai più a cosa aggrapparti non c'è che una cosa da fare. Terra e Centro. Ed è un nulla, un riflesso condizionato. Il mio centro è il mio cuore. Calpestato, a volte Altre volte è pesante Altre ancora leggero come un aquilone nel cielo ed il vento sembra portarlo via Ma non riuscirete a chiuderlo o a staccarlo da me. Mai. Il mio centro è profondo. Giù, sotto la superficie dell'acqua in mezzo all'iceberg, dove non arriva i sole distratto E nasconde segreti. E conserva tesori. Ma non è freddo come a volte dovrebbe ... un fuoco arde dentro E non riuscirete a spegnerlo. La mia Terra è dolce e amara. Un miscuglio di luci e colori. Netti, mai sfumati. La mia Terra è Madre e Matrigna, Ricchezza e abbandono, Bellezza ed orrore. L'Amore. La mia Terra è un telone rosso che addolcisce la luce del giorno e regala colore alla morte. La mia Terra è acqua sulle pietre E' voci, spintoni di gente. Farsi largo o venire travolti, una lezione che si impara da bambini. La mia Terra è lontana, ma è qui Nel mio cuore, nel mio centro. Occhi Buba (www.buba.it) Dagli occhi di un bambino decollano gli aeroplani. Se chiudesse gli occhi cadrebbero. Solo il suo stupore li mantiene sospesi, la sua piccola mano li innalza, il suo cuore li muove e li allontana. A.D.Pimienta Sotto l’albero Zu (http://giuliozu.blogspot.com/) Sotto l’albero mi ci vedo sdraiato: è estate, l’erba sotto la schiena è morbida, lo sguardo vacilla incontrando il felice delinearsi delle fronde stagliate contro l’azzurro. Stagliarsi è un verbo che ha la sua ragion d’essere in quella visione, in quelle foglie aghiformi, in quelle gocce di resina proiettate contro quel fondale. Il caldo, il calore senza l’afa, l’ozio, il farniente dolcissimo senza il rimorso, l’atemporalità, l’esser fuori stagione senza saldi: l’altro lato del vivere, la faccia festosa della luna. Sotto l’albero mi ci sento sgranato: eccitate presenze nella mattina pallida, la memoria vacilla incontrando il fugace squagliarsi delle ombre disegnate e il loro sussurro. C’è un album e scolora consuetudini di allora, tra bocce decorate e il nastro di un pacchetto chiuso male. L’affetto, l’amore senza l’ansia, pazienza d’attesa senza noia, la fiducia, pensare d’esser ora e di poi destinatario d’ogni gioia: festeggiato sul nascere, scherzosa una linguaccia alla fortuna. Sotto l’albero mi ci sono fermato: destate magre parole nell’alba candida, la visione vacilla incontrando il veloce scordarsi di voi e di me, prima di squagliarmi nella terra e al sole, come burro. Scagliato a scheggia lucerò lontano e allor mi sentirete, intero ad ogni battito, pulsare in un ventre natale. Un soffio, poco più d’un respiro, tre ondate potenti ad attraversarmi, tanti passi per ritrovarmi pochi istanti dopo, m’è parso, in un soffio, poco più d’un sospiro. Nell’abito nero in tasca gettoni a iosa, ché dopo questa vita ne ho più d’una. Lanterne rosse Tigro (www.tigro.splinder.com) Abitiamo quasi in centro a Milano, nel cuore di China town, per chi sa dove si trova. Chiunque conosca Milano solo dall'esterno, pensa, probabilmente, che abitare in centro significhi pressappoco zero rapporti umani, gente snob, vita stressante, casino e baccano assordante. Il fatto è che abbiamo la fortuna di abitare in un monolocale di una vecchia casa di ringhiera, le tipiche case della vecchia Milano, per intenderci, costruita, alla fine del 1800, come stazione di posta, con tanto di camere dove passare la notte (la zona è appena fuori Porta Volta, e mentre oggi questo vuol dire litigare per un posto auto con i ragazzini dell’Hollywood, nota discoteca milanese, un tempo significava essere fuori città.) Be’, insomma, abitare nel nostro condominio non è facile, perché ad esser sinceri nel cuore di China Town ne succedono di tutti i colori: abbiamo una pescheria e una macelleria cinesi sotto casa, tanto per dirne una: è come vivere con le finestre che danno sugli ingredienti segreti del MacDonald, raccapricciante. Forse, proprio questo fatto porta a delle strane coalizzazioni tra noi condomini, per cui abitare nella nostra corte è un po' come vivere in paese. Ci si conosce, ci si saluta, si sta sul ballatoio a parlare dei vicini con i vicini, ci si odia e ci si ama. Spesso mi capita di rincasare e dopo poco sentire il campanello e sapere che si tratta di Emiliano, il nostro vicino, che mi ha vista o ci ha visti passare davanti alle sue finestre e ha qualcosa da dirci, darci, chiederci, proporci, suggerirci o ha semplicemente voglia di fare quattro chiacchiere. Allora si sta alla ringhiera, si discute del perché l'edera cresce poco, di come potremmo organizzare i vasi in modo da avere più verde, di cosa succede la sera nel ristorante che si trova nel cortile, del fatto che presto partirà per Londra, e dobbiamo assolutamente andare a trovarlo, o del fatto che la sua fidanzata è giornalista ora, perché ha superato l’esame! (ci complimentiamo dalla finestra della cucina mentre lei taglia le verdure). Insomma, da noi, quasi in centro, si può tenere la porta aperta mentre si pulisce casa, non ci si sente soli perché c'è sempre qualcuno da salutare se si mette il naso fuori dalla porta, anche solo i peruviani dirimpetto, che ogni tanto, quando non sono troppo esausti, fanno delle festicciole e tengono porte e finestre spalancate. Allora si sente la loro musica e li si può vedere attorno al tavolo della loro unica stanza chiacchierare e divertirsi (pensate che l'unico ad essersi mai lamentato del volume eccessivo della musica è stato Dj AX, quello degli Articolo 31, avete presente? Ma sì, dai, quello del secondo piano... Questi cantanti non sono più quelli di una volta. Ve lo vedete Jagger che si lamenta della musica troppo alta?) Insomma, casa nostra è un angolo umano, una dimensione ancora terrena e concreta, ma anche intima e sociale, e oggi, uscendo di casa e salutando un condomino qua e la portinaia là ci ho riflettuto. Poi, scendendo le scale del metrò, ho visto una nonna che giocava a nascondino con la nipotina; quando le sono passata accanto mi ha strizzato l'occhio e mi ha sorriso e allora ho pensato che la gente è tanta, grazie a Dio, e che nei grandi numeri ce ne sono ancora molte di persone semplicemente speciali. Taxi & Zen (1, 2, 3 e 4) Zoro (http://zoro.blog.excite.it) 1) 18 ottobre, Roma, V.le Baccelli - Via Rodi "Ma sti stronzi so ncazzo che stanno a fa pe na conferenza stampa de europei o mondiali nullo so, hanno bloccato tutto, ma dico io, annate dentranotel e ve vedete là nvece de rompe li cojoni ala pora ggente, no? giusto?... ciò nmar de schiena, tuttor giorno qua, che poi uno vive pe morì, lavora pe morì e allora vaffanculo, che poi ntempo dice uno lavorava pe la famìa, mo la famìa nce sta più, che lavoraffà? che te sposaffà? giusto? te ce fai nviaggio e chittesencula, i sordi quanno cellai te li devi magnà, nce so cazzi... tiè, guarda questa, stallàppettèra, poraccia, e mica jene fregancazzo a nisuno... i ricchi checcestannaffà? mortacci loro, dico io, se ognuno farebbe, che ne so, ncircolo pe aiutà i poracci, ce s'organizza, capito come? Uno moo pio io, uno too pii tu, così starebbero mejo tutti, nvece no, ognuno pensa pessè, questa è la verità, e allora chittesencula... bella sta maghina, bello pure er colore, ha vista? che poi che taaa fai a fa na maghina così? pe buttalla ndoppia fila, tanto vale che te pii er taxi, comunque ste maghine cianno le manie che nte serve a chiave, capito come? cianno certi affari che te riconoscheno quanno le apri... comunque io e radio der carcio nule sento, che poi ce sta quello che va da biscardi, come se chiama? quello chii capelli lunghi, come se chiama? vabbè quello, che poi vorei sapè come campa sta ggente... tiè, senti Battiato, questo ha fatto n disco e ce campa da 15 anni, che poi mo e fa tutte uguali e avrebbe pure rottomporcazzo, staffà a musica lirica mo... o vedi questo? questo è ntassinarabbruzzese, so na cifra, ae 5 stanno già ar deposito, attaccheno ae 5 daaa matina, che poi non è che è solo quella a differenza tra er tassinaro abruzzese e l'artri, questi magnano sempre, se vedono ar paese, chii taxi, pure ar molise... anvedi questi, hanno fatto er botto, a parte davanti daaa maghina jaaa popo torta, è che nse fermeno, nun guardeno, fanno i gaggi, poi fanner botto... tiè, senti celentano, aspè che arzo, er celenta..." 2) 26 ottobre, Roma, V.le Baccelli - Via Cadlolo "No, no, non ho detto che ce mettemo n'ora bbona, ho detto che questa è n'ora bbona, nce sta traffico, però siccome hanno chiuso via dii cerchi e vanno tutti a teatro marcello, noi piamo per centro, capito come? i fregamo, e che me voi morto? na corsa pe n'ora, seee, così faccio sei corse ar giorno, e dopo che me magno? no, no, nte preoccupà, ce mettemo poco... tiè, guarda questa, co tutta la panza de fori, ma dico io, ciai la trippa, che te ce vesti a fa così? dice è a moda, mantevedi come sei? co la trippa, boh, io nee capisco che je dice er cervello, e quest'antra co tutte le cosce de fori, je se vede tutto, e mica jene frega gnente, poi se lamenteno che je succede quarcosa, dice ognuno è libbero de vestisse come je pare, e ce mancherebbe, io te capisco pure bella mia, ma che ncioo sai che vivi in una società co nsacco de gente co le rotelle svitate? e allora nte lamentà se poi te s'engroppano. Dice "giovane ragazza aggredita in un vicolo" dice, e te credo, pare che nun aspetti artro bella mia, ma io che te vedo così che devo capì? tiè, guarda quest'artra, du bombe atomiche cià, a matina e passa a gonfià dar benzinaro, dice "ventenne aggredita" dice, dice "ce sta a libertà de fa come te pare", ma nun poi annà in giro co du cose così grosse senza che te s'engroppano... e Murtiple all'inizio nun annavano morto, anzi, nun incontravano proprio, archè a FIAT, che non è scema, che ha fatto? addate ai tassinari, cor 30% in meno, ao noi semo na cifra che giramo, a ggente ha cominciato a vedelle pe strada, a montacce sopra, e saa so comprata, che mica te poi fa pe ttaxi na pesciò, o na renò, chissaa compra na renò, che poi tipo te se rompe mpezzo, come an collega mio che je s'era rotto er differenziale, te ce vo un mese pe trovallo, e io che me magno? mica po sta ferma a maghina, questo è nufficio che cammina... ma che vai a fa? ah vai da D'Alessio, er cantante, o sai che ciai a stessa fisionomia? ao guarda che è mber ragazzo, nte devi offenne, e che je poi chiede? intanto je dici che c'ha na bella voce, che poi io modestamente sua musica ce pio propio, carcola che pen sacco de anni ho sonato dappertutto, sonavo er basso, è mbello strumento er basso, poi dopo mpo cor basso nce fai gnente, e allora me so messo a sonà a chitara... e comunque sur tassì mio c'ho piato nsacco de gente famosa, tipo Sordi, Mastroiannni prima che morisse, certo, preferisco pià belle gnocche, che ne so, a Ferilli nullò mai presa, però ho piato quella bionda arta arta co du pere giganti, come se chiama? vabbè quella... comunque er tassinaro è mber mestiere, a me me piace, ncontri de tutto ncontri..." 3) 6 novembre, Milano, Stazione Centrale - Via Morigi 4) 7 novembre, Milano. Via Morigi - Stazione Centrale Taxi & Zen era iniziata benissimo, spontaneamente, vocata a farsi scrigno dell'eloquio, del sapere e della filosofia del tassinaro romano medio. Ecco, la rubrica, ho scoperto, non è esportabile oltre il G.R.A. A Milano ho preso ben due taxi. M'avessero detto na parola, i tassinari milanesi. L’uomo della verità La Pizia (http://x.lapizia.net/) C'era una volta un uomo. Un uomo malato di una malattia unica sulla Terra, tanto da farlo assomigliare ad un extraterrestre. Quest'uomo diceva sempre la verità. Non la "sua" verità, ma La Verità. Non era questione di essere sinceri, era questione che lui diceva le cose come stavano, oggettivamente. Cosa mai accaduta nella storia - ecco perché si ipotizzò un intervento alieno - tanto che l'assioma "la verità non esiste" fu ritenuto valido solo finché non arrivò lui. Perché con lui la verità prese ad esistere. La questione del gusto per esempio, smise di funzionare. Non esistevano più uomini o cose belle "perché piacevano". No. Arrivava lui e definiva cosa era bello e cosa no. E così era. Non esisteva più che la ragione sta nel mezzo. Arrivava lui e diceva chi aveva ragione e chi no. E così era. Fu la fine dei dubbi. A chi si torturava in atroci dispute con se stesso, domandandosi cosa fare della propria vita, se scegliere una strada oppure un'altra, o un'altra ancora, o ancora un'altra, lui risolveva istantaneamente il dilemma. Sapeva esattamente quale fosse la vera strada, quella che avrebbe portato precisamente là dove si voleva essere portati. Sapeva cosa è giusto per ognuno, se qualcuno glielo avesse domandato. Non sapeva mentire sulla realtà delle cose, e se fino ad allora non era esistita alcuna realtà, lui col suo arrivo e coi suoi poteri, la creò. Era una malattia, lo abbiamo detto, era unica – non sarebbe potuto essere altrimenti - quindi lettore, è inutile che tu ti chieda come sia stato possibile. Ma quest’uomo particolare aveva anche un’altra caratteristica, ben più ordinaria di questa benché assai rara. Egli era molto buono. Prima di ammalarsi era stato un uomo buono e semplice, così buono e semplice che di ogni cosa malvagia venisse a sapere lui si sentiva colpevole e provava un doloroso bisogno di fare qualcosa per migliorare il mondo. A tutti capita di inciampare e rompere un vaso, rovesciare un bicchiere, lasciarsi sfuggire la frase sbagliata. Per lui era diverso. Per lui era insostenibile il disagio che provava nel recare danno agli altri. Il senso di colpa per il più piccolo disagio provocato lo mordeva a tal punto da desiderare di non fare più niente e non dire più niente per tutto il resto della vita, pur di non sbagliare più. Caso volle che in una notte molto particolare egli pregò il cielo di ottenere qualcosa di esattamente opposto. Colto ancora dal senso di colpa per non essere riuscito a tirar sù il morale ad un amico depresso, chiese alle stelle con tutta la forza che poteva, di diventare capace di dire solo la cosa giusta, sempre. Di diventare capace di sapere quale fosse la verità, in modo da non sbagliare mai più, e poter aiutare gli altri, finalmente, a capire e a vedere solo la verità. E le stelle lo esaudirono. Così lui divenne famoso, e il suo potere con lui. Finchè accadde ciò che accadde. E cioè che là dove viveva lui c’era una ragazza che piaceva a tutti, che tutti corteggiavano e tutti sognavano di far innamorare. Ma lei non si innamorava di nessuno mentre si innamorò di lui. L’uomo della verità disse la verità: che lei non era bella e tutti seppero che non era bella, ma continuarono a desiderarla. Per la verità, perchè lui non poteva sfuggirgli alla verità, anche lui la desiderava. Solo che non poteva esimersi dal dire che non era bella. E che era buffa, con gli occhi storti, un sorriso strano tutto suo, e un gran culone. Lei si offese, e lui le disse che voleva amarla ed era ovviamente la verità. E le disse anche cosa avrebbe potuto fare per migliorare tutti i suoi difetti, così che sarebbe potuta essere finalmente bella e lui avrebbe potuto amarla. Le disse di smettere di mentire a se stessa, le spiegò quale strada prendere per smettere di mentire a se stessa, e ci mise molta più passione per lei che per tutti quelli che aveva aiutato, perchè le voleva molto bene. Solo che lei non ne volle sapere di tutta questa storia e sparì. Rimasto solo tutto gli fu chiaro. La verità era che lui non avrebbe mai potuto amare nè lei ne nessun altra perché da quando sapeva la verità tutte le cose si erano spogliate, mentre l’amore è il vestito più sexy che la verità delle nude cose possa indossare. La più grossa e bella delle bugie. On air revolution Strelnik (http://www.strelnik.it/blog/) - Va bene, amico, va bene, basta che non mi fai del male... - Senti, pezzo di merda, io mi chiamo Santa Klaus, Babbo Natale, Père Noël! Scegli la tua merda di lingua ma non mi chiamare amico. Ci senti da queste cuffie del cazzo? - Ok, ok, Santa Klaus, nessun problema, dimmi cosa devo fare e lo faccio, ma toglimi il mitra dalle costole... per favore… - Apri il mio microfono, muoviti - E' aperto, è aperto, puoi parlare anche subito” - Prima presentami no? Cazzone…” Babbo Natale si dette una sgrullatina alle palle, si lisciò ben bene i baffi e il barbone bianco che ogni tanto gli finiva tra i denti, obbligandolo a sputacchiare e a passarsi un dito sulla lingua, abbassando gli occhiali per togliere il pelaccio che lo faceva smascellare a vuoto. “Questa era “Ethilene” di John Hiatt e noi la sporchiamo un po’ per presentarvi un ospite inaspettato - beh inaspettato è forse troppo visto che mancano solo tre giorni al venticinque – è un personaggio che si materializza nell’immaginario dei più piccoli ma anche di quelli cresciutelli tutti gli anni di questi tempi perché…” “Ma falla finita, stronzo!” Il conduttore fu allontanato da una manata sullo sterno che fece balzare lui e la sua poltroncina mobile d’un buon metro e mezzo più indietro rispetto al banco dei microfoni, impiccandolo al guinzaglio delle cuffie che gli scivolarono sulla fronte mentre lui urlava “Aiut..” - Compagni lavoratori, mi chiamo Babbo Natale e ho requisito il conduttore di questa radio serva dei padroni per comunicare al proletariato che il potere rivoluzionario della classe operaia e delle sua avanguardie ha deciso di non tollerare più le ingiustizie e le violenza da sempre collegate alle festività del periodo natalizio e a ciò che il capitale nella sua fase post-fordista ha deciso di mascherare col solo fine di perpetuare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Rivendichiamo il natale come una festa proletaria a ricordo della nascita del figlio d’un clandestino in fuga dal proprio paese occupato da forze imperialiste e che ha dedicato la sua esistenza alla lotta contro l’oppressione e per la costituzione di un giustizia che si contrapponga, combatta e vinca il potere dei maiali. Io non sono violento ma la mia mano non si lascia fermare quando si tratta di difendere ed allargare nei fatti la nostra autonomia e la nostra lotta. Noi siamo comunisti. Niente resterà impunito. Il conduttore fu legato alla poltroncina e Babbo Natale gli appoggiò un cartello sulle ginocchia su cui era scritto “Colpiscine uno per educarne cento. SKradio porci fascisti. Tutto il potere al popolo armato.” Poi gli fece una foto, scaricò il mitra e si mise seduto, accendendosi una sigaretta. Fuori, nella piazza antistante la sede di SKradio il commissario dette il via all’operazione. Dieci minuti dopo Babbo Natale saliva sul cellulare della Polizia, un po’ ammaccato ma vivo. Un mese dopo. - Senti, i soldi son questi, non un euro di più - Ma, cazzo, avevamo detto diecimila - Ottomila e silenzio. - Certo che siete proprio dei figli di puttana - Non parlerei così con l’avvocato, se fossi in te, Babbino Natale. - Bell’avvocato di merda che m’avete dato: è quasi sordo e parla solo in latino. - Ascoltami: stattene buono, non approfittare del tuo nome e tra un annetto sei fuori. - In tempo per il prossimo Natale, eh?” - Il prossimo anno ti facciamo trovare nudo in una vasca con una decina di ragazzine appena maggiorenni. La figura del terrorista è usurata. - Col cazzo, io non lo faccio più. - Sai quanti ne trovo di rincoglioniti come te che per un tozzo di pane si vendono anche il culo? - Ma non sarà mai l’originale, il vero Santa Claus. La gente penserà che… - La gente penserà solo quello che vogliamo noi. - Vaffanculo.. - Ogni tanto ascoltala la nostra radio; hanno decuplicato gli ascolti. Glielo dicevo io all’amministratore delegato di fidarsi. Guerrila-marketing. Il manager uscì dal carcere, entrò in un macchinone nero e si diresse verso il centro, dove aveva appuntamento col proprietario d’una televisione che non riusciva a vendere bene le mine antiuomo nelle telepromozioni. Babbo Natale in cella accese le radio. Passavano i Black Crowes. “’cause I’m seeing things for the first time Im seeing things for the first time Seeing things for the first time Oh I’m seeing things for the first time Yeah, seeing things for the first time I’m seeing things for the first time Yeah, I’m seeing things for the first time In my life, in my life” Il Bignami del mondo Marco Schwarz (http://www.montag.it/blog/) Stazione del treno di Amsterdam. Una persona accompagna un conoscente a comprare il biglietto ed inganna l'attesa facendo quattro chiacchiere. -Cosa farai da qui alla partenza ? -Mah, parto domani mattina e mi rimangono poche ore. Non essendo mai stato ad Amsterdam volevo girare un po'. -E non vai a dormire? -No, ho poco tempo e l'amico che mi doveva ospitare pensavo fosse vicino alla stazione ma abita un po' lontano. Lascerò il bagaglio qui e andrò a spasso. -Sarà faticoso ma se non altro non perderai l'occasione di visitare un po' Amsterdam. Cosa vorresti vedere ? -Non sono mai venuto qui e volevo avere un po' un’ idea della città. Penso andrò a fare un giro nel red light district. -Ah, comunque se vuoi c'è anche altro da vedere. Per esempio, la zona dei canali nel centro vale davvero la pena. -Non so se ci andrò. Sai, sono già stato a Venezia. -Venezia? Ma questa non è Venezia, è Amsterdam! -Lo so, però i canali, le case vicino all'acqua, quelle cose lì le ho viste a Venezia, e adesso vorrei vedere altro. Ci sentiamo una volta l’anno Achille (http://www.akille.net/) Non ci stavo proprio pensando. Così gli ho detto, mentre continuavo a sfogliare un giornale (non per scortesia, anzi, nel frattempo avevo anche abbassato il volume della televisione). Tanto le sue argomentazioni le conoscevo, erano sempre le stesse. Lamentele su un destino che non meritava, esaltazione per i successi che comunque è riuscito a cogliere e poi se avesse potuto, se fosse stato, se le solite cose. Io non ci stavo proprio pensando. Sul serio. Non è che chi vive una certa condizione deve pensarci 24 ore su 24. Non è che se ha un certo ruolo deve rimuginarci 365 giorni su 365. Lui invece era così. Sempre le stesse parole, gli stessi argomenti, riuscivo a seguirlo anche sfogliando il giornale. Cosa che lui, ne ero sicuro, non faceva mai. Ma dico io. Ogni giorno morti, tragedie, carestie, cataclismi, sofferenze in ogni angolo del mondo. E lui pensava solo a come riusciva lo stesso a ritornare ogni anno alla ribalta, a non farsi dimenticare dalla gente, a resistere all'oblio, ai nuovi arrivati, a quella poveracrista che pur di riavere un briciolo di notorietà aveva costretto sua figlia a scimmiottare le sue stesse parole 20 anni dopo. Così diceva. Testuale. E io pensavo che forse era per questo che ci riusciva. Perché esisteva solo per quello. Io invece, anche al telefono, giravo le pagine del giornale e trovavo una storia triste di bambini in Africa e volevo leggere e capire e non vedevo l'ora che smettesse di parlare. Che mi dicesse l'unica cosa che voleva dirmi. Che aveva di nuovo vinto lui.. E visto che quell'articolo mi interessava e che avevo paura di non riuscire finirlo (perché lo sapevo che se lui aveva telefonato voleva dire che stavano per ricordarsi anche di me) decisi di tagliare corto. E degli altri, dissi. E mentre lo dicevo il suo improvviso silenzio era come se gridasse: "finalmente!" E degli altri, si è sentito qualcuno? No, disse lui, raggiante come solo un figlio degli anni 80 poteva essere. Disse: No, anche quest'anno sono stato il primo a farmi sentire. Dj: ed eccolo in collegamento! Bentornato, sig… come posso chiamarla? Io: Beh, il mio nome completo è Happy Christmas (war is over) so che è un po' lunghetto… Dj: posso chiamarla Mr Happy? Io. Beh, non è che mi rappresenti… Dj: bene, Mr happy! Come ogni anno voi canzoni natalizie uscite dal dimenticatoio e tornate alla ribalta. Cosa si prova? Gioia o risentimento per i lunghi mesi passati nel buio? Io.: beh, cosa vuole che le dica, ci sono cose più importanti nella vita. Dj: sì, però questa volta molti puntavano su di lei. Si pensava che grazie alla guerra lei sarebbe tornato per primo. Lei tra l'atro vale sia per natale che per capodanno, cosa che in questi tempi di crisi economica fa sempre comodo. E invece, non so se lo sa, ha vinto di nuovo Last Christmas. Io: sì, lo so, l'ho sentito poco fa al telefono. Sa com'è. Un certo revival, una certa atmosfera. La voglia di storie d'amore e buoni sentimenti, di non pensare… R: ma, piuttosto, ci sono invidie e gelosie tra voi canzoni di natale? Su, ce lo dica per i nostri ascoltatori. Con il signor Last Christmas, per dire, in che rapporti è? Io: beh, nè belli né brutti. Che rapporto vuole che ci sia. Ci sentiamo giusto una volta l'anno.