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una terapia per l`epatite cronica C
AGGIORNAMENTI EDITORIALE 1. Prevalenza ed incidenza dell’epatite cronica C L’epatite cronica C rappresenta uno dei maggiori problemi di salute pubblica. Si calcola che la prevalenza globale di tale patologia oscilli intorno al 3% (variando dallo 0,1 al 5% nei vari paesi), tanto da contare nel mondo circa 150 milioni di portatori cronici di virus dell’epatite C (HCV), di cui 4 milioni negli USA e 5 milioni nell’Europa Occidentale (1). Nei paesi industrializzati, l’HCV è responsabile di circa il 20% dei casi di epatite acuta, del 70% delle epatiti croniche, del 40% delle cirrosi in fase finale, del 60% dei casi di carcinoma epatocellulare e del 30% dei trapianti di fegato (1). È stato stimato che l’incidenza di nuove infezioni sintomatiche sia di 1-3 casi/100.000 persone all’anno. L’incidenza reale di nuove infezioni, anche se sta declinando, è ovviamente molto maggiore, trattandosi frequentemente di infezioni asintomatiche (1). In Italia, da metà a due terzi delle cirrosi sono dovute all’evoluzione di epatiti croniche da virus C. Mentre è in decremento l’incidenza di nuove infezioni da virus C, esiste un serbatoio di soggetti infettatisi in passato che alimenterà lo sviluppo di cirrosi ancora per diversi anni. La cirrosi del fegato causa in Italia una mortalità pari a circa 13.000 unità/anno; poiché la durata media della malattia è di circa 10 anni, di cui gli ultimi 2-3 richiedono ripetuti ricoveri ospedalieri e terapie complesse, la cirrosi ha anche una pesante incidenza in termini di morbosità. È ipotizzabile che l’arresto dell’evoluzione delle epatiti croniche da virus C possa ridurre l’incidenza della morbosità e mortalità per cirrosi. 8 1. EASL International Consensus Conference on Hepatitis C. Paris 26-28 February 1999. J Hepatol 1999;30:956-61. 2. Storia naturale dell’epatite cronica C La storia naturale dell’epatite cronica C può essere sintetizzata in tre fasi: 1. Epatite cronica propriamente detta, con un grado variabile di attività necroinfiammatoria e di fibrosi, della durata media di uno o due decenni, modestamente asintomatica o con sintomi non specifici (1, 2). 2. Cirrosi compensata, con fibrosi estesa e distorsione della struttura del fegato, che si sviluppa nel 30% dei casi di epatite cronica (2) e che dal punto di vista dei sintomi è assai simile alla prima; da questa fase il 510% dei pazienti/anno sviluppa complicanze della cirrosi (3-5), la cui comparsa segna il passaggio alla terza fase. 3. Cirrosi con complicanze (che includono il carcinoma epatocellulare (HCC)), caratterizzata da una grave compromissione della qualità di vita e conclusa dall’exitus dopo una durata media (in assenza di trapianto) di circa 2 anni (4). Alcuni cofattori giocano un ruolo importante nello sviluppo della cirrosi (6). Tra di essi: a. età al momento dell’infezione (i pazienti colpiti in età avanzata presentano, in media, una progressione della malattia molto più rapida rispetto ai soggetti più giovani); b. alcoolismo (tutti gli studi concordano che l’alcool è un cofattore assai importante nella progressione dell’epatite cronica a cirrosi); c. coinfezione con HIV; d. coinfezione con virus dell’epatite B. L’incidenza di carcinoma epatocellulare in pazienti con cirrosi è dell’1-4% per anno. Tale forma tumorale insorge raramente in pazienti con epatite cronica C ma senza cirrosi (6). Bibliografia La terapia tradizionale dell’epatite cronica C prevede la somministrazione sottocutanea di interferone alfa alla dose di 3 milioni di unità (MU) tre volte alla settimana per un anno, con controllo dei valori di transaminasi e di HCV-RNA a tre mesi, al fine di consentire una precoce interruzione del trattamento in pazienti che non rispondono. A fronte dei successi piuttosto limitati di tale tipo di intervento, vengono da tempo perseguiti nuovi tentativi terapeutici per migliorare la percentuale di successo a lungo termine, caratterizzato e definito dalla negativizzazione della viremia e dalla persistente normalizzazione delle transaminasi. Uno degli approcci più interessanti è costituito dalla combinazione della terapia con interferone con altri farmaci ad azione sinergica e/o complementare. Bibliografia Ribavirina–Interferone: una terapia per l’epatite cronica C 1. 2. 3. Niederau C et al. Prognosis of chronic hepatitis C: results of a large, prospective cohort study. Hepatology 1998;28:1687-95. Pagliaro L et al. Natural history of chronic hepatitis C. Ital J Gastroenterol Hepatol 1999;31:28-44. Fattovich G et al. Morbidity and mortality in compensated cirrhosis type C: a retrospective follow-up study of 384 patients. Gastroenterology 1997;112:463-72. BIF Mag-Giu 2000 - N. 3 Bibliografia AGGIORNAMENTI 4. 5. 6. D’amico G et al. Survival and prognostic indicators in compensated and decompensated cirrhosis. Dig Dis Sci 1986;31:468-75. Ginès P et al. Compensated cirrhosis: natural history and prognostic factors. Hepatology 1987;7:122-8. EASL International Consensus Conference on Hepatitis C. Consensus Statement. J Hepatol 1999;30:956-61. 3. Trattamento dell’epatite cronica C con solo interferone Fino a poco tempo fa, il trattamento di prima linea dei pazienti con epatite cronica C ha previsto l’impiego di interferone alfa-2a, alfa-2b o interferone alfacon-1, farmaci dotati di efficacia pressoché simile (vedi nota CUF 32). Degli interferoni alternativi all’interferone alfa, l’interferone beta – naturale e ricombinante – è stato usato in Giappone, Spagna ed Italia in casistiche limitate. I più promettenti interferoni alternativi appaiono, al momento, il Consensus interferone e l’interferone peghilato. In diversi studi, i risultati della monoterapia con interferone sono stati valutati in rapporto a criteri intermedi e, in particolare, a normalizzazione delle transaminasi, assenza di viremia e modificazioni istologiche del fegato. Un trattamento di sei mesi con interferone alfa determina, di norma, una normalizzazione dei livelli sierici di transaminasi nel 40-50% dei pazienti con epatite cronica C e una scomparsa dell’HCV-RNA nel siero nel 30-40% dei soggetti trattati. Tuttavia, nella maggioranza dei casi, questa risposta è transitoria: a sei mesi dalla fine del trattamento, una normalizzazione dei livelli sierici di transaminasi permane nel 15-20% dei pazienti mentre una risposta virologica sostenuta, cioè persistente a tempo indefinito, si mantiene nel 6-12% ed è seguita, molto più lentamente, da normalizzazione o spiccato miglioramento delle lesioni istologiche (1-3). Molto meno frequente e di incerto beneficio clinico è la risposta favorevole all’interferone alfa nella cirrosi compensata, mentre gli effetti sfavorevoli del farmaco escludono la prospettiva di trattamento nella terza fase (4). Un trattamento della durata di 12 mesi porta a risultati simili, con la differenza che dopo sei mesi dal termine del trattamento la percentuale di pazienti con normalizzazione delle transaminasi sale al 2030% e quella priva di HCV-RNA arriva al 13-19% (v. Box 1). BOX 1 Nuovi protocolli di monoterapia con interferone Studi mirati a verificare l’impatto di dosi crescenti e quotidiane di interferone sulla cinetica virale hanno suscitato interesse clinico per l’accelerazione sulla clearance virale operata da questi approcci, denominati “terapie di induzione” (1,2). Sotto attacco con interferone, la riduzione dell’HCV sierico nelle 24-48 ore che seguono una singola dose di interferone di 3 e 5 MU è rispettivamente del 41% e del 64%, ma è d’oltre l’85% dopo una dose di 10 MU (3-5). Sulla base di questi risultati sono state proposte terapie basate sulla somministrazione giornaliera, per 2-4 settimane, di interferone a 10 MU, a scalare in somministrazione di 5 MU per altre 4-6 settimane e di 3 MU fino a completare 24 settimane di terapia giornaliera; a quest’ultima seguono altri 6 mesi di terapia standard discontinua. Il fondamento logico di questo approccio è l’inibizione immediata e quanto più totale dell’emissione dell’HCV degli epatociti (nella fase di induzione), seguita da una fase di mantenimento della terapia necessariamente prolungata per permettere il turn-over degli epatociti che erano infetti al momento dell’inizio della terapia. Tuttavia, malgrado i precipitosi cali della viremia verificati negli studi clinici in corso, la terapia di induzione non ha finora sortito risultati più consistenti dei protocolli convenzionali per quanto riguarda la risposta a lungo termine (6,7). 1. Tassopoulos NC et al. Comparative efficacy of a high or low dose of interferon alpha 2b in chronic hepatitis C: a randomized controlled trial. Am J Gastroenterol 1996;91:1734-8. 2. Stewart et al. A randomized controlled trial of daily versus three times weekly interferon alfa-2a in patients with chronic HCV and either elevated or persistently normal ALT (abstract). Gastroenterology 1998;114:1345. 3. Lam NP et al. Dose-dependent acute clearance of hepatitis C genotype 1 virus with interferon alfa. Hepatology 1997;26:226-31. 4. Neumann AU et al. Hepatitis C viral dynamics in vivo and the antiviral efficacy of interferon-alpha therapy. Science 1998;282:103-7. 5. Zeuzem S et al. Quantification of the initial decline of serum hepatitis C virus RNA and response to interferon alfa. Hepatology 1998;27:1149-56. 6. Lindsay et al. Response to higher doses of interferon alfa-2b in patients with chronic hepatitis C: a randomized multicenter trial. Hepatitis Interventional Therapy Group. Hepatology 1996;24:1034-40. 7. Ouzan D et al. Comparison of high initial and fixed-dose regimens of interferon-alpha2a in chronic hepatitis C: a randomized controlled trial. French Multicenter Interferon Study Group. J Viral Hepat 1998;5:53-9. BIF Mag-Giu 2000 - N. 3 9 AGGIORNAMENTI Bibliografia Questi dati dimostrano la transitorietà dell’efficacia del solo interferone nella maggioranza dei pazienti con epatite C e suggeriscono che la negativizzazione dopo trattamento della viremia, sostenuta per almeno 6 mesi, è un convincente end point surrogato della progressione in cirrosi dell’epatite cronica C. A sua volta la progressione in cirrosi è sicuramente il passaggio decisivo nella storia naturale dell’epatite cronica C, non più reversibile e predittivo di complicanze gravi ed exitus, che di fatto non si manifestano in assenza di cirrosi (5). La monoterapia con interferone può mantenere un ruolo dove sia controindicata la ribavirina. 1. 2. 3. 4. 5. Reichard O et al. Two-year biochemical, virological and histological follow-up in patients with chronic hepatitis C responding in a sustained fashion to interferon alfa–2b treatment. Hepatology 1995;21:918-22. Lau DTY et al. 10-year follow-up after interferon-alfa therapy for chronic hepatitis C. Hepatology 1998;28:1121-7. Marcellin P et al. Long-term histologic improvement and loss of detectable intrahepatic HCV RNA in patients with chronic hepatitis C and sustained response to interferon alfa therapy. Ann Intern Med 1997;127:875-81. EASL International Consensus Conference on Hepatitis C. Consensus Statement. J Hepatol 1999;30:956-61. Pagliaro L et al. Natural history of chronic hepatitis C. Ital J Gastroenterol Hepatol 1999;31:28-44. 4. Terapie di combinazione: interferone più ribavirina Delle terapie di combinazione proposte, quella con acido ursodesossicolico, con acetilcisteina e con ketoprofene non hanno dimostrato alcun vantaggio rispetto all’interferone da solo. La combinazione con corticosteroidi è potenzialmente dannosa in quanto tali sostanze aumentano il tasso di replicazione dell’HCV (1). Altresì detrimente sembra la combinazione con la colchicina, che in uno studio (2) ha diminuito la risposta terapeutica rispetto all’interferone da solo. Ancora sperimentale è la combinazione interferone più timosina alfa 1. Dati più concreti derivano dalla terapia di combinazione che utilizza interferone associato a ribavirina. La ribavirina è un nucleoside purinico sintetico, con un largo spettro di attività contro i virus a RNA e a DNA, largamente sperimentata nella terapia dell’epatite cronica C. Somministrata per via orale, la sua biodisponibilità è di circa il 40%. Si accumula soprattutto negli eritrociti. In monoterapia non riduce il livello di HCV-RNA in circolo, mentre abbassa moderatamente le transaminasi e le lesioni istologiche, effetti che però si esauriscono alla sospensione del farmaco in quasi tutti i pazienti (3,4). Per queste ragioni non è raccomandata per il trattamento dell’epatite cronica C. Dopo valutazione da parte della European Medicines Evaluation Agency (EMEA), la ribavirina ha invece ottenuto l’autorizzazione al commercio nell’Unione Europea per il trattamento dell’epatite cronica C, in associazione a interferone alfa-2b (v. Box 2). BOX 2 Indicazioni e posologia della ribavirina approvate dall’EMEA (specialità medicinale Rebetol) La ribavirina deve esserre utilizzata solo in associazione con l’interferone alfa-2b. Indicazioni - Trattamento di pazienti adulti affetti da epatite cronica C, che in precedenza hanno risposto alla terapia con interferone alfa (con normalizzazione delle transaminasi alla fine del trattamento) ma che successivamente hanno avuto una recidiva. - Trattamento di pazienti adulti affetti da epatite cronica C comprovata istologicamente, non trattati in precedenza, senza scompenso epatico, con transaminasi elevate, presenza di HCV-RNA sierico e fibrosi o elevata attività infiammatoria. I pazienti con sola fibrosi portale (fibrosi iniziale) devono avere un punteggio infiammatorio elevato. L’autorizzazione della ribavirina a livello europeo si è basata su dossier di studi clinici in cui il farmaco è stato sperimentato con interferone alfa-2b, per cui è diventato d’obbligo, da parte dei vari Paesi della Comunità, l’adeguamento a tale decisione centralizzata. È probabile che la ribavirina associata ad altri tipi di interferone possa essere altrettanto efficace, ma la certezza potrà essere raggiunta solamente alla conclusione di studi predisposti ad hoc che, a quanto risulta, sono attualmente in corso. 10 Bibliografia Posologia e modalità di somministrazione Le capsule di ribavirina sono somministrate per os alla dose di 1.000 mg (pazienti ≤ 75 Kg) o 1.200 mg al giorno (pazienti > 75 Kg), in due dosi suddivise, con gli alimenti (mattino e sera), in combinazione con interferone alfa-2b somministrato per via sottocutanea alla dose di 3 MU tre volte alla settimana (a giorni alterni). 1. 2. 3. 4. Magrin S et al. Hepatitis C viremia in chronic liver disease: relationship to interferon-alpha or corticosteroid treatment. Hepatology 1994;19:273-9. Angelico M et al. Colchicine worsens the efficacy of interferon-alfa in patients with chronic hepatitis. Interimin report of a randomized pilot study. Hepatology 1998;28:pt 2 A478. Di Bisceglie AM et al. Ribavirin as therapy for chronic hepatitis C. A randomized, double-blind, placebo-controlled trial. Ann Intern Med 1995;123:897-903. Dusheiko G et al. Ribavirin treatment for patients with chronic hepatitis C: results of a placebo-controlled study. J Hepatol 1996;25:291-8. BIF Mag-Giu 2000 - N. 3 AGGIORNAMENTI - la valutazione degli esiti è stata attuata alla fine del trattamento, ma anche sei mesi dopo la fine dello stesso (risposta “sostenuta”); quest’ultima è la risposta che maggiormente interessa e pertanto è quella riportata nelle tabelle; - l’end point principale è sempre stato l’assenza di viremia persistente sei mesi dopo la fine del trattamento; - sono stati utilizzati altri criteri di valutazione, quali la persistenza di transaminasi normali dopo sei mesi dall’interruzione del trattamento; - quando rientrava nello studio, la biopsia è stata valutata utilizzando l’indice infiammatorio di Knodell e la scala di fibrosi secondo il sistema Metavir. 4.1. Gli studi clinici Il dossier per la valutazione dell’associazione ribavirina più interferone alfa-2b dispone di tre gruppi di studi controllati e randomizzati: - studi in pazienti non ancora trattati per la loro epatite C (naif); - studi in pazienti che avevano risposto favorevolmente ad un primo trattamento con interferone alfa in monoterapia, ma che poi avevano presentato ricadute (relapsers); - studi in pazienti resistenti all’interferone alfa (non responders). Questi studi hanno in comune numerosi punti metodologici: - la ribavirina è stata somministrata per via orale alla dose di 1.000 o 1.200 mg/die, a seconda che il peso dei pazienti fosse rispettivamente inferiore o superiore a 75 Kg; - l’interferone alfa-2b è stato, di norma, somministrato alla dose di 3 MU tre volte alla settimana (4,5 MU di interferone alfa-2a tre volte la settimana nello studio di Bell et al. e 6 MU di interferone alfa-2b tre volte la settimana nel trial di Barbaro et al.; entrambi questi studi erano condotti in relapsers e non responders); 4.1.1. Studi clinici in pazienti non ancora trattati per la loro epatite C (naif) La Tabella 1 riporta le caratteristiche e i principali risultati di cinque studi clinici controllati e randomizzati (RCT) (1-5), che hanno testato l’associazione ribavirina più interferone alfa-2b in confronto a una monoterapia con interferone alfa-2b. Tabella 1. Studi clinici di interferone più ribavirina vs interferone alfa-2b da solo in pazienti naif: percentuale di risposta virologica e biochimica sostenuta TRIAL Follow up % HCV-RNA negativo % ALT normale IFN alfa-2b post-trattamento IFN alfa-2b IFN alfa-2b IFNalfa-2b IFN alfa-2b +RIBA (mesi) 15 15 6 7 47 13 47 Poynard (2) Trattamento per: - 24 settimane - 48 settimane ---278 277 227 6 6 --19 35 43 --24 39 50 Mc Hutchison (3) Trattamento per: - 24 settimane - 48 settimane 231 225 228 228 6 6 6 13 31 38 11 16 32 36 Reichard (4) 50 50 12 18 36 24 44 Lai (5) 19 21 24 6 43 11 43 1° autore (rif. biblio.) Chemello (1) n. di pazienti IFN alfa-2b In base ai risultati, si è osservato che, in pazienti mai trattati, la combinazione ribavirina più interferone alfa2b determina percentuali di risposta virologica sostenuta, con normalizzazione dei livelli sierici di transaminasi e miglioramento dell’attività necroinfiammatoria istologica, da 2 a 5 volte più elevate rispetto ai pazienti trattati con interferone alfa-2b da solo. Nei due trial maggiori (2,3), in pazienti naif, sono stati identificati con analisi multivariata i fattori predittivi della probabilità di risposta terapeutica di cui i principali sono, in ordine di significatività statistica: BIF Mag-Giu 2000 - N. 3 +RIBA +RIBA - genotipo diverso dal genotipo 1 (di gran lunga quello a maggior prevalenza in Italia); - viremia uguale o inferiore a 2 milioni di copie/ml; - assenza di cirrosi o di fibrosi intralobulare. Nei pazienti con predittori sfavorevoli (genotipo 1, viremia superiore a 2 milioni di copie, presenza di fibrosi), le percentuali di risposta sono più elevate se il trattamento non si ferma a 24 settimane ed è protratto per 48 (v. Tabelle 2 e 3 tratte dall’European Public Assessment Report (EPAR) dell’EMEA per la specialità Rebetol) (6). 11 AGGIORNAMENTI Tabella 2. Risposta virologica sostenuta al trattamento in base al genotipo HCV e alla carica virale (valutazione a 4 settimane dalla conclusione del trattamento in pazienti mai trattati) Rebetol +IFN alfa-2b IFN alfa-2b Rebetol +IFN alfa-2b IFN alfa-2b 24 settimane 24 settimane 48 settimane 48 settimane Genotipo HCV 1 e ≤ 2 milioni copie/ml 32 4 33 25 Genotipo HCV 1 e > 2 milioni copie/ml 10 0,9 27 3 Genotipo HCV 2/3 e ≤ 2 milioni copie/ml 67 22 68 38 Genotipo HCV 2/3 e > 2 milioni copie/ml 67 11 63 27 Rebetol: denominazione della specialità medicinale a base di ribavirina Tabella 3. Risposta sostenuta in base alla fibrosi epatica (Metavir) (valutazione a 4 settimane dalla conclusione del trattamento in pazienti mai trattati) Rebetol +IFN alfa-2b IFN alfa-2b Rebetol +IFN alfa-2b IFN alfa-2b 24 settimane 24 settimane 48 settimane 48 settimane Genotipo HCV 1 F 0/1/2 F 3/4 18% 6% 2% 0% 31% 13% 10% 2% Genotipo HCV 2/3 F 0/1/2 F 3/4 71% 31% 9% 17% 66% 68% 34% 24% Contrariamente a quanto si è osservato con la monoterapia con interferone alfa-2b, una riduzione precoce della carica virale all’inizio del trattamento non sembra essere un fattore che consente di prevedere la persistenza di una risposta virale sostenuta alla conclusione della terapia. Malgrado una risposta virale tardiva (12 settimane o più), certi pazienti hanno presentato assenza di viremia sostenuta almeno sei mesi dopo l’interruzione del trattamento. Se tuttavia dopo 24 settimane di trattamento in pazienti naif non si osserva alcuna riduzione della carica virale, appare inutile continuare (6). Sul piano istologico, i dati disponibili tratti dai due studi maggiori (2,3), mostrano che l’associazione ribavirina più interferone alfa-2b è più efficace della monoterapia nel ridurre le lesioni infiammatorie, almeno durante il semestre successivo all’interruzione del trattamento. L’associazione non ha permesso invece di ridurre le lesioni di fibrosi già esistenti. 12 Bibliografia Fibrosi Metavir (F) 1. Chemello L et al. The effect of interferon alfa and ribavirin combination therapy in naive patients with chronic hepatitis C. J Hepatol 1995;23:8-12. 2. Poynard T et al. Randomised trial of interferon a-2b plus ribavirin for 48 weeks or for 24 weeks vs interferon a-2b plus placebo for treatment of chronic infection with hepatitis C virus. Lancet 1998;352:1426-32. 3. McHutchison JG et al. Interferon alfa-2b alone or in combination with ribavirin as initial treatment for chronic hepatitis C. N Engl J Med 1998;339:1485-92. 4. Reichard O et al. Randomised, double-blind, placebo-controlled trial of interferon a-2b with and without ribavirin for chronic hepatitis C. Lancet 1998;351:83-7. 5. Lai MY et al. Long-term efficacy of ribavirin plus interferon alfa in the treatment of chronic hepatitis C. Gastroenterology 1996;111:1307-12. 6. The European Medicines Evaluation Agency (EMEA) – Committee for Proprietary Medicinal Products “European Public Assessment Report (EPAR) – Rebetol” 7 May 1999; www.eudra.org/humandocs/humans/EPAR/Rebetol/Rebetol.htm BIF Mag-Giu 2000 - N. 3 AGGIORNAMENTI 4.1.2. Studi clinici in pazienti relapsers o resistenti alla monoterapia con interferone alfa Uno studio eseguito su 345 pazienti relapsers (1) (Tabella 4), cioè con ricomparsa della viremia e di iper-ALT dopo risposta favorevole a un trattamento con interferone alfa, ha testato l’associazione ribavirina più interferone alfa-2b (173 pazienti) confrontandola con una monoterapia con interferone alfa-2b (172 pazienti). I risultati evidenziano che la combinazione ribavirina più interferone alfa-2b ha aumentato il tasso di risposta virologica sostenuta al 48% (84/173), cioè 10 volte di più rispetto alla monoterapia (8/172 = 4,7%); il 63% dei soggetti trattati con la combinazione e il 41% dei pazienti trattati in monoterapia hanno dimostrato miglioramento istologico. Alla fine del follow up post-terapia, il 52% dei pazienti trattati con la combinazione presentava normalizzazione dei livelli sierici di transaminasi rispetto al 15% dei soggetti trattati con interferone da solo. Anche nei pazienti relapsers di questa indagine (1) una valutazione non multivariata segnalava come fattori predittivi di risposta il genotipo non-1 e la viremia inferiore a 2 milioni di copie/ml. Simile è il risultato di un altro trial (2), mentre in un terzo trial, molto piccolo, la risposta fra interferone da solo o associato a ribavirina non era differente (3). Nei pazienti non responders a un primo trattamento con interferone alfa (Tabella 4), la risposta a un nuovo trattamento con o senza ribavirina è raramente positiva (da 0 a 15% con il trattamento combinato) (2-4). Tabella 4. Studi clinici di interferone alfa-2b più ribavirina vs interferone alfa-2b da solo in pazienti relapsers o resistenti alla monoterapia: percentuale di risposta virologica e biochimica sostenuta TRIAL 1° autore (rif. biblio.) n. di pazienti IFN IFN + RIBA % HCV-RNA negativo IFN IFN + RIBA % ALT normale IFN IFN + RIBA Relapsers: Davis (1) Bell (2) Barbaro (3) 172 13 100 173 14 100 5 38 9# 49 28 39# 5 NR 49 NR Non responders: Andreone (4) Bell (2) Barbaro (3) 24 13 100 26 13 100 0 7 1# 0 15 14# 0 NR 0 NR La posizione espressa dalla EASL International Consensus Conference on Hepatitis C è la seguente: “there are no clear data to indicate that retreatment [with interferon plus ribavirin] will be beneficial [in non responders]” (non esistono dati certi per indicare che il trattamento con interferone alfa-2b più ribavirina sarà di beneficio nei pazienti resistenti alla monoterapia con interferone alfa) (5). Inoltre, rimane ancora incerto il ruolo della terapia di combinazione nei cirrotici ed in varie altre situazioni. Negli studi clinici finora condotti la percentuale di pazienti con cirrosi era minima (< 5%) e si trattava comunque di forme ben compensate. Altresì sono ancora incerti il ruolo e il rischio della terapia di combinazione nei soggetti dializzati, in quelli immunocompromessi, con reattività autoimmuni concomitanti, nei linfomi e nella crioglobulinemia. BIF Mag-Giu 2000 - N. 3 Bibliografia Note: In tutti questi trial la durata del trattamento era di 6 mesi e la risposta sostenuta era valutata dopo 6 mesi dalla sospensione del trattamento. L’interferone (IFN) usato era l’alfa-2b, ad eccezione del trial di Bell et al. dove veniva utilizzato l’alfa-2a, alla dose di 4,5 MU tre volte la settimana. Nel trial di Barbaro et al. la dose di interferone era di 6 MU tre volte la settimana, negli altri era pari a 3 MU tre volte la settimana. NR: dato non riportato. #: la valutazione include le risposte virologica e biochimica, non separate. 1. Davis GL et al. Interferon alfa-2b alone or in combination with ribavirin for the treatment of relapse of chronic hepatitis C. N Engl J Med 1998;339:1493-9. 2. Bell H et al. Treatment with interferon alpha-2a alone or interferon alpha-2a plus ribavirin in patients with chronic hepatitis C previously treated with interferon alpha-2a. Scand J Gastroenterol 1999;34:194-8. 3. Barbaro G et al. Interferon alpha-2b and ribavirin in combination for patients with chronic hepatitis C who failed to respond, or relapsed, after interferon alpha therapy: a randomized trial. Am J Med 1999;107:112-8. 4. Andreone P et al. Interferon-a plus ribavirin in chronic hepatitis C resistant to previous interferon-a course: results of a randomized multicenter trial. J Hepatol 1999;30:788-93. 5. EASL International Consensus Conference on Hepatitis C. Paris 26-28 February 1999 J Hepatol 1999;30:956-61. 13 AGGIORNAMENTI È noto che i principali effetti indesiderati dell’interferone alfa sono rappresentati da sintomi similinfluenzali (febbre, brividi, cefalea, mialgie, nausea e diarrea, che tendono a ridursi con la prosecuzione della terapia e con la somministrazione di paracetamolo), da tireopatie e da manifestazioni psichiatriche, in particolare di tipo depressivo. Altri effetti sono: astenia, alopecia, rash cutaneo, emorragie retiniche. Negli studi clinici che hanno valutato l’associazione ribavirina più interferone alfa-2b, eventi indesiderati gravi si sono manifestati in circa il 6,5% dei relapsers e nell’11% dei soggetti precedentemente non trattati per la loro epatite C (1). I disturbi più frequenti sono stati quelli a carico della sfera emotiva, probabilmente dovuti all’interferone alfa-2b: depressione, stato d’ansia e idee suicide sono stati la causa più frequente di interruzione del trattamento. L’effetto sfavorevole più preoccupante in corso di trattamento con l’associazione ribavirina più interferone alfa-2b è l’insorgenza di anemia emolitica, dovuta ad iperemolisi e ad inibizione degli stadi finali di maturazione eritrocitaria. Negli studi comparativi in precedenza citati, il 74% dei pazienti trattati con l’associazione ha presentato una diminuzione del tasso di emoglobina superiore a 2 g/dl, versus il 9% dei soggetti trattati con interferone alfa-2b in monoterapia (1). La scheda tecnica del Rebetol, nome commerciale della ribavirina, raccomanda di non iniziare il trattamento se il valore di emoglobina è inferiore a 12 g/dl. Si raccomanda un controllo dell’emoglobinemia due e quattro settimane dopo l’inizio del trattamento e successivamente ad intervalli regolari. La ribavirina quasi invariabilmente causa emolisi ed anemia: solitamente il calo dell’emoglobina di 1-2 g osservato durante la terapia, è ben tollerato e reversibile alla sospensione del farmaco. Una diminuzione maggiore del valore di emoglobina può comportare una riduzione del dosaggio della ribavirina o anche la sospensione della terapia. L’anemia emolitica può determinare un aumento dell’uricemia (rischio di gotta nei malati predisposti). La terapia di combinazione con ribavirina va usata con prudenza nei soggetti con discrasie ematiche e nei soggetti in cui un calo rapido dell’emoglobina può causare problemi di ipoperfusione d’organo (ad esempio nei coronaropatici a rischio di infarto miocardico). L’uso della ribavirina è da evitare nelle donne in gravidanza. La percentuale di pazienti che devono sospendere o ridurre le dosi dell’uno o dell’altro farmaco è maggiore per il trattamento combinato rispetto a quanto si verifica con interferone in monoterapia. Nella Tabella 5 è riportata la percentuale di sospensione del trattamento per reazioni avverse osservata negli studi clinici comparativi tra terapia combinata e 14 monoterapia (2-5). Si osserva che, quando la terapia di associazione viene proseguita per 48 settimane, il numero di pazienti che la abbandona oscilla intorno al 20%. Tabella 5. Percentuale di sospensione del trattamento per reazioni avverse negli studi clinici con campione di dimensione uguale o superiore a 100 pazienti TRIAL 1° autore (rif. biblio.) IFN IFN + RIBA Poynard (2) Trattamento: - 24 settimane - 48 settimane 13 8 19 Mc Hutchison (3) Trattamento: - 24 settimane - 48 settimane 9 14 8 21 12 32 3 6 Reichard (4) (Sospensione o riduzione di dosaggio) Davis (5) Bibliografia 5. Effetti collaterali della terapia con interferone alfa-2b e ribavirina 1. EASL International Consensus Conference on Hepatitis C. Paris 26-28 February 1999. J Hepatol 1999;30:956-61. 2. Poynard T et al. Randomised trial of interferon a-2b plus ribavirin for 48 weeks or for 24 weeks vs interferon a-2b plus placebo for treatment of chronic infection with hepatitis C virus. Lancet 1998;352:1426-32. 3. McHutchison JG et al. Interferon alfa-2b alone or in combination with ribavirin as initial treatment for chronic hepatitis C. N Engl J Med 1998;339:1485-92. 4. Reichard O et al. Randomised, double-blind, placebocontrolled trial of interferon a-2b with and without ribavirin for chronic hepatitis C. Lancet 1998;351:83-7. 5. Davis GL et al. Interferon alfa-2b alone or in combination with ribavirin for the treatment of relapse of chronic hepatitis C. N Engl J Med 1998;339:1493-9. 6. Quali pazienti trattare e non trattare? In base a quanto previsto da EASL Consensus Statement (1) (v. Box 3), la decisione di iniziare un trattamento dell’epatite cronica C con terapia combinata ribavirina più interferone alfa-2b è un problema piuttosto complesso, che dovrebbe tenere in considerazione numerose variabili: età dei pazienti, condizioni generali di salute, rischio di cirrosi, probabilità di risposta e altre condizioni cliniche che possono ridurre la durata della vita o controindicano l’impiego di interferone o di ribavirina. Di seguito sono riportati i principali quesiti posti agli esperti della EASL e le risposte da essi formulate. BIF Mag-Giu 2000 - N. 3 AGGIORNAMENTI BOX 3 European Association for the Study of the Liver (EASL): International Consensus Conference on Hepatitis C (Parigi 26-28 febbraio 1999) Membri del Comitato Organizzatore P Marcellin (Presidente) (Parigi), A Alberti (Padova), G Dusheiko (Londra), R Esteban (Barcellona), M Manns (Hannover), D Shouval (Gerusalemme), O Weiland (Huddinge), R Williams (Londra) Membri del Consensus Panel JP Benhamou (Presidente) (Parigi), J Rodes (Vice-Presidente) (Barcellona), H Alter (Bethesda), H Bismuth (Parigi), V Desmet (Lovanio), J Guardia (Barcellona), J Heathcote (Toronto), A Lok (Ann Arbor), WC Maddrey (Dallas), KH Meyer Zum Buschenfelde (Mainz), L Pagliaro (Palermo), G Paumgartner (Monaco), S Sherlock (Londra) Lista di Esperti S Abrignani (Siena), A Alberti (Padova), M Alter (Atlanta), F Bonino (Pisa), F Bortolotti (Padova), C Bréchot (Parigi), M Carneiro de Moura (Lisbona), V Carreno (Madrid), M Colombo (Milano), A Craxi (Palermo), G Davis (Gainesville), R De Francesco (Roma), F Degos (Parigi), A Di Bisceglie (Saint-Louis), H Dienes (Colonia), G Dusheiko (Londra), J Esteban (Barcellona), R Esteban (Barcellona), P Farci (Cagliari), C Ferrari (Parma), G Foster (Londra), S Hadziyannis (Atene), J Hoofnagle (Bethesda), R Koff (Framingham), D Lavanchy (Ginevra), K Lindsay (Los Angeles), F Lunel (Angers), M Manns (Hannover), P Marcellin (Parigi), M Mondelli (Pavia), B Nalpas (Parigi), N Naoumov (Londra), JM Pawlotsky (Créteil), S Pol (Parigi), P Pontisso (Padova), T Poynard (Parigi), J Prieto (Pamplona), M Rizzetto (Torino), M Roggendorf (Essen), M Ruiz Moreno (Madrid), D Samuel (Parigi), J Sanchez-Tapias (Barcellona), S Schalm (Rotterdam), D Shouval (Gerusalemme), P Simmonds (Edinburgo), V Soriano (Madrid), N Tassopoulos (Atene), H Thomas (Londra), C Trépo (Lione), CL Van der Poel (Amsterdam), W Vogel (Innsbruck), O Weiland (Huddinge), R Wejstal (Goteborg), R Williams (Londra), T Wright (San Francisco), A Zanetti (Milano), JP Zarski (Grenoble), S Zeuzem (Francoforte), F Zoulim (Lione) La decisione di trattare dipende dalle lesioni istologiche? Prima di iniziare la terapia, è appropriato e importante eseguire una biopsia epatica. Tale indagine fornisce l’opportunità di graduare la gravità della necroinfiammazione e lo stadio della progressione della fibrosi, che possono essere poi considerati in rapporto alla presunta durata della malattia, allo stato clinico e alle anormalità biochimiche, al fine di assumere le decisioni terapeutiche. La biopsia fornisce inoltre la linea basale dei singoli pazienti. Esiste l’accordo che i pazienti con necroinfiammazione moderata/grave e/o fibrosi dovrebbero essere trattati. La decisione di trattare dipende dall’età del paziente? L’età fisiologica del paziente è più importante di quella cronologica. Fattori da considerare nei pazienti più anziani comprendono lo stato di salute generale, con una speciale attenzione al sistema cardiovascolare, al fine di determinare il potenziale rischio di una diminuzione del livello di emoglobina se si pensa di iniziare il trattamento con ribavirina. La decisione di trattare dipende dalle manifestazioni cliniche? Nelle fasi iniziali, in assenza di cirrosi avanzata, esiste una scarsa correlazione tra manifestazioni cliniche e lesioni istologiche della malattia. Lo stato clinico nel suo complesso può influenzare la decisione di trattare con BIF Mag-Giu 2000 - N. 3 riguardo alla qualità di vita. Alcuni studi hanno evidenziato l’abbattimento dei sintomi in pazienti in cui il trattamento aveva indotto sostenute riduzioni di HCV-RNA. La decisione di trattare dipende dal livello di viremia? Solo i pazienti che presentano manifesti livelli sierici di HCV-RNA sono candidati alla terapia. E’ ampiamente riconosciuto che i pazienti con più alti livelli di viremia (più di 2 milioni di copie/ml) presentano probabilità relativamente minori di rispondere alla terapia. Tuttavia, il livello di viremia non dovrebbe essere considerato un motivo per negare il trattamento. La decisione di trattare dipende dal genotipo del virus? Anche se è ben dimostrato che i pazienti con genotipo 1 rispondono alla terapia in modo meno efficace dei pazienti con genotipo 2 o 3, il genotipo non dovrebbe essere considerato un motivo per negare il trattamento. I bambini dovrebbero essere sottoposti a terapia? Non esistono studi di ampie dimensioni sul trattamento dell’epatite cronica C nei bambini. I dati disponibili suggeriscono che i bambini presentano percentuali di risposta alla monoterapia con interferone simili agli adulti. Non esistono dati sulla terapia combinata interferone più ribavirina nei bambini. La decisione di trattare un bambino dovrebbe tenere in considerazione gli stessi fattori degli adulti. Possono esistere fattori aggiuntivi specifici per i bambini più piccoli, in parti- 15 AGGIORNAMENTI I pazienti con infezione da HIV dovrebbero essere sottoposti a terapia? L’epatite cronica C è di frequente diagnosticata in soggetti con infezione da HIV. E’ stato accertato che la progressione dell’epatite cronica C è accelerata in pazienti coinfettati. Il trattamento dell’epatite C può essere indicato in quei pazienti in cui la terapia ha stabilizzato l’infezione HIV. Quando si trattano tali pazienti, dovrebbero essere anche considerate le possibili interazioni tra farmaci e le anormalità ematiche aggiuntive. I pazienti con cirrosi compensata dovrebbero essere trattati? I pazienti con cirrosi compensata possono essere trattati. Alcuni benefici potenziali, quali la riduzione dello sviluppo di carcinoma epatocellulare e la decompensazione, non sono stati provati e dovrebbero essere valutati in futuri studi controllati. I pazienti con transaminasi in persistenza normali dovrebbero essere trattati? I pazienti HCV-RNA positivi e con valori normali persistenti di transaminasi, generalmente presentano una malattia di lieve entità e una risposta incerta alla terapia. Al presente, non si raccomanda a questi pazienti di sottoporsi a trattamento, ma dovrebbero essere attentamente controllati ogni 4-6 mesi o inclusi in studi clinici. I pazienti con condizioni extraepatiche correlate all’HCV dovrebbero essere trattati? Il trattamento di condizioni extraepatiche correlate all’HCV, quali, ad esempio, crioglobulinemia sintomatica, glomerulonefrite o vasculite, va opportunamente valutato. Una remissione sostenuta è comunque improbabile e può essere richiesta una terapia di mantenimento a lungo termine con interferone. L’efficacia di una terapia combinata interferone più ribavirina deve essere provata. I pazienti con epatite acuta C dovrebbero essere trattati? La maggior parte degli esperti è favorevole al trattamento di pazienti con epatite acuta C. Inizio e durata del trattamento non sono stati chiaramente stabiliti. I pazienti con epatite acuta C vanno informati che hanno un 15% di probabilità di guarigione spontanea e un 85% di sviluppare epatite cronica C; inoltre è bene che siano informati sugli effetti indesiderati della terapia. Le decisioni concernenti il trattamento dovrebbero essere formulate su base individuale e, idealmente, i pazienti dovrebbero essere inclusi in uno studio sperimentale. La terapia combinata non è stata valutata. 16 Quali pazienti non si dovrebbero trattare? Data l’efficacia relativamente bassa e la frequenza delle reazioni avverse della terapia attuale dell’epatite C, il trattamento non è conveniente per molti pazienti con virus dell’epatite C. In particolare non sono candidati al trattamento i pazienti con abuso attivo di alcool, in quanto l’alcool aumenta sfavorevolmente la viremia ed interferisce con la risposta terapeutica. Non dovrebbero essere sottoposti a trattamento i soggetti che fanno uso di droghe iniettabili endovena a causa dell’alto rischio di nuove infezioni. L’adesione al trattamento è tra l’altro scarsa in pazienti in cui l’alcoolismo non è stato interrotto o che sono tossicodipendenti. La terapia appare potenzialmente dannosa e non esiste dimostrazione di utilità in pazienti con cirrosi scompensata. Dubbio è altresì il vantaggio terapeutico del trattamento nei pazienti con malattia istologicamente lieve, specie se anziani e con patologia associata. Con riferimento all’età, si fa rilevare che l’età media dei pazienti inclusi nei trial in precedenza ricordati (v. 4.1.1. e 4.1.2.) va da 39 a 45 anni, con deviazioni standard di 8-11 anni, il che implica che il 95% aveva meno di 60 anni. Siccome la storia naturale dell’epatite cronica C è molto lunga, sviluppandosi nell’arco in media di almeno un decennio, in pazienti anziani diventano probabili altre cause di morbosità e mortalità, che riducono o annullano il peso prognostico sfavorevole dell’epatite. Bibliografia colare l’effetto dell’interferone sulla crescita, che richiedono ulteriori studi. 1. EASL International Consensus Conference on Hepatitis C. Paris 26-28 February 1999. J Hepatol 1999;30:956-61. 7. Modalità di attuazione della terapia Si rimanda al Decreto 19 novembre 1999 “Modalità di impiego di specialità a base di ribavirina”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 2 dicembre 1999 Serie generale n. 283. 8. Conclusioni Allo stato attuale delle conoscenze e della significatività dei dati disponibili è logico ritenere che la combinazione interferone alfa-2b più ribavirina rappresenti la terapia di prima scelta in differenti popolazioni di soggetti affetti da epatite cronica C. Tuttavia è indubbio che numerosi quesiti restano ancora insoluti e/o necessitano di ulteriori conferme, specie quelli relativi alle condizioni di trasferimento e di attuazione di questo intervento nella pratica clinica reale e quelli di follow up della terapia. A partire da quest’ottica, l’erogazione della ribavirina a carico del BIF Mag-Giu 2000 - N. 3 AGGIORNAMENTI SSN, in una prospettiva d’impiego su un’ampia popolazione di pazienti, ha offerto la concreta possibilità di dar luogo a un vero e proprio sistema di monitoraggio del suo utilizzo sotto il profilo sia dell’appropriatezza terapeutica sia della sua efficacia nel tempo. In altri termini, il nuovo intervento terapeutico ha offerto l’occasione per avviare un sistema di “rimborsabilità controllata”, in cui l’attenzione e l’interesse delle Istituzioni (CUF, Dipartimento per la Valutazione dei Medicinali e la Farmacovigilanza, Istituto Superiore di Sanità, Assessorati Regionali alla Sanità) non si sono limitati agli aspetti finanziari collegati all’erogazione, ma indirizzati soprattutto alla conoscenza e alla diffusione dei risultati dell’utilizzo del farmaco. Per una comprensione più dettagliata di questo particolare aspetto della terapia ribavirina - interferone, si rimanda il lettore all’articolo, di seguito riportato, relativo all’indagine multicentrica sul profilo d’uso della ribavirina. IMPROVE Indagine multicentrica sul profilo d’uso della ribavirina: un osservatorio per la valutazione degli esiti La logica e gli obiettivi dello studio A seguito di una procedura centralizzata europea, la commercializzazione della ribavirina è stata autorizzata anche in Italia e il farmaco è stato ammesso alla rimborsabilità nella fascia H del Prontuario Terapeutico Nazionale. Le indicazioni terapeutiche, approvate dalla Commissione Europea sulla base dei risultati ottenuti nelle sperimentazioni cliniche, prevedono l’uso di ribavirina in associazione con l’interferone alfa-2b per il trattamento dell’epatite cronica C in pazienti adulti che abbiano risposto in precedenza alla terapia con interferone, ma che abbiano avuto una recidiva, e in pazienti non trattati in precedenza, senza scompenso epatico, con transaminasi elevate e con presenza di HCV-RNA sierico (con fibrosi portale o elevata attività infiammatoria). L’immissione in commercio di ribavirina ha indotto il Dipartimento per la Valutazione dei Medicinali e la Farmacovigilanza del Ministero della Sanità e l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ad attuare un programma multicentrico di farmacoepidemiologia in grado di fornire informazioni sull’uso routinario del farmaco. Dopo l’immissione in commercio i farmaci sono soggetti ad un uso allargato sia in termini quantitativi che qualitativi. Diventa pertanto particolarmente importante, soprattutto per molecole di elevato interesse clinico, continuare lo studio del profilo di beneficio/rischio nella popolazione naturalmente esposta alla terapia e nelle condizioni di uso che riflettono la realtà prescrittiva. È questa un’esigenza di carattere generale in quanto, a fronte di un’accelerazione dei tempi per l’approvazione e la commercializzazione dei farmaci, legata anche alla centralizzazione delle procedure a livello europeo, occorre valutare più attentamente l’effettiva trasferibilità nella pratica clinica delle conoscenze BIF Mag-Giu 2000 - N. 3 originate nelle fasi pre-registrative dei farmaci (sperimentazioni cliniche controllate o RCT). Tale impostazione, sempre più evidente anche nel dibattito scientifico internazionale, non ha come finalità la ridiscussione dei risultati eventualmente ottenuti nell’ambito degli RCT, ma quella di completare il quadro conoscitivo complessivamente disponibile per un farmaco. Nel caso della ribavirina deve essere sottolineato che gli studi sperimentali di riferimento, pubblicati su riviste di indubbio prestigio, mostrano un’eterogeneità di risposta alla terapia da parte dei diversi sottogruppi di pazienti con particolari quadri clinici e virologici di epatite C. Tuttavia, come sottolineato da numerose associazioni scientifiche, è indubbio che una molecola quale la ribavirina meriti ulteriori verifiche soprattutto in termini di condizioni reali d’impiego. Secondo quanto riportato in un recente editoriale del British Medical Journal (1), la valutazione dell’utilità dei trattamenti dovrebbe avvenire in tre fasi: a) in uno o più trial randomizzati (“can it work?” La risposta a questa domanda definisce la efficacy del trattamento nelle condizioni ideali e, per molti versi, artificiali di un trial); b) nell’applicazione post-marketing, più ampia ed eterogenea (“does it work?” La risposta a questa domanda definisce la effectiveness del trattamento); c) infine, dovrebbe essere valutata la convenienza di applicazione del trattamento in termini non solo di salute preservata o restituita ma anche economici (“is it worth it?” La risposta a questa domanda definisce la efficiency, o cost/effectiveness del trattamento in confronto ad altri possibili interventi sanitari). Gli obiettivi principali dell’indagine sono la valutazione degli effetti terapeutici e della tollerabilità del trattamento dell’epatite cronica C con interferone alfa-2b più ribavirina al di fuori del disegno di un trial randomizzato. Gli effetti terapeutici vengono valutati in base ai due end point surrogati generalmente 17 AGGIORNAMENTI Bibliografia accettati: transaminasi e viremia a 6 mesi dal completamento del trattamento. Sarà inoltre esplorata la possibilità di un follow up a distanza dei pazienti trattati per una valutazione delle complicanze della cirrosi e della sopravvivenza. 1. Haynes B. Can it work? Does it work? Is it worth it? The testing of healthcare interventions is evolving. BMJ 1999;319:652-3. L’organizzazione dello studio L’indagine prevede il coinvolgimento dei centri ospedalieri che prescrivono la terapia con ribavirina. I centri partecipanti saranno coordinati, all’interno di ogni Regione, da un referente che avrà l’incarico di coordinare tutti i flussi informativi necessari al corretto andamento dell’indagine. In particolare, il referente regionale dovrà ricevere a cadenza periodica copia delle schede di raccolta dei dati compilate dai centri, operando una prima verifica della completezza delle informazioni. Con cadenza mensile, il referente regionale invierà copia di tutte le schede ricevute e, eventualmente, i dati già registrati, al Centro presso l’ISS. Presso l’ISS tutte le informazioni saranno registrate in un database centralizzato dove saranno effettuate tutte le operazioni di verifica di correttezza. Il Centro presso l’ISS produrrà con cadenza trimestrale dei rapporti di sintesi sull’andamento dello studio, che saranno sottoposti alla valutazione del Comitato Scientifico. Tali rapporti saranno successivamente inviati ai referenti regionali perché vengano resi disponibili a tutti i partecipanti allo studio. Al termine della durata prevista dello studio (circa 2 anni) sarà stilata, a cura del Comitato Scientifico, una relazione finale con tutte le valutazioni relative all’uso della ribavirina più interferone nella terapia dell’epatite C. Tale relazione finale sarà inviata per le opportune decisioni alla CUF. Alcune riflessioni conclusive La procedura di registrazione della ribavirina, atto di per sé puramente regolatorio, ha consentito di creare un’occasione che, grazie al coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali (Ministero della Sanità, CUF, Istituto Superiore di Sanità, Regioni) e delle diverse componenti della ricerca clinica, ha portato alla predisposizione di un possibile “modello” di intervento utilizzabile anche in altre future occasioni. Indagini di questo tipo, mirate all’identificazione dei profili d’uso in relazione a possibili indicatori d’esito, possono consentire di avere a disposizione significativi osservatori clinici per una valutazione nel tempo del reale impatto dei farmaci sulla storia naturale delle malattie per le quali sono stati sviluppati e sperimentati. Comitato Scientifico: L. Pagliaro, A. Alberti, M. Levrero, M. Maggini, N. Martini, A. Mele, R. Raschetti, M. Rizzetto, T. Stroffolini, P. Viale. News Geni virali e cronicizzazione dell’epatite C Nella maggior parte degli individui colpiti dal virus dell’epatite C (HCV), all’infezione acuta fa seguito la cronicizzazione della malattia; in una minoranza fortunata di pazienti, all’incirca il 15%, si osserva invece una completa guarigione. Uno studio recente, pubblicato il 14 aprile 2000 su Science (1), segnala che sono gli eventi che si verificano subito dopo l’infezione primaria a determinare se i pazienti riescono ad eradicare il virus dall’organismo, o se invece mantengono l’infezione cronicamente. La ricerca a cui ci si riferisce, condotta da ricercatori dei National Institutes of Health degli Stati Uniti, dell’Università di Cagliari e di altre istituzioni, ha analizzato come i geni virali che codificano le proteine che rivestono la superficie dei virus si evolvono nei pazienti con infezione post-trasfusionale da HCV. Le modificazioni delle proteine di superficie consentono ai virus di eludere gli attacchi del sistema immunitario. I ricercatori hanno evidenziato che, nei pazienti in grado di eliminare con successo l’HCV, i geni delle proteine di superficie restano relativamente inalterati dopo la risposta immunitaria iniziale. Viceversa, nei pazienti che sviluppano un’epatite C cronica, i geni delle proteine di superficie evolvono rapidamente e mostrano una diversità genetica ben più evidente. Le nuove evidenze permettono di spiegare come l’HCV persista nell’organismo e suggeriscono che l’analisi delle modificazioni della sequenza virale nella fase precoce dell’infezione può aiutare i medici a meglio pronosticare quali pazienti svilupperanno un’epatite C cronica. 1. Farci P et al. The outcome of acute hepatitis C predicted by the evolution of the viral quasispecies. Science 2000;288:339-44. 18 BIF Mag-Giu 2000 - N. 3