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Utilizzo dei droni nel giornalismo
Milano, 15 giugno, Sala Pime, via Mosè Bianchi, 94 ----- Corso di formazione "Droni e giornalismo: nuove opportunità e deontologia" --Michele Urbano Droni e giornalismo: la deontologia che cambia -----o----- Droni e giornalismo. Un'altra frontiera del cambiamento per una professione che l'innovazione tecnologica sta spingendo verso orizzonti inesplorati. Anche sotto il profilo deontologico. Droni e deontologia. Cosa cambia? Mettiamo un punto fermo: la deontologia è l’insieme dei doveri e dei diritti che regolano le professioni. E ricordo che la deontologia è problema antico che trova collocazione analitica nel mondo moderno, quello strettamente legato alle professioni. Piccola precisazione storica. Il termine è stato coniato dal filosofo inglese Jeremy Bentham (1748-1832) derivandolo dal greco, ma la parola per la prima volta fu pronunciato in inglese: deontology. Non so se sia un'ovvietà ma penso che se cambiano, almeno in parte, gli strumenti utilizzati per l'esercizio di una determinata professione, sicuramente cambiano i "modi" per poterla esercitare al meglio. Ma, in questo modo, forse, cambiano, almeno in parte, le regole deontologiche (diritti e doveri) che la disciplinano. E' già successo nella storia delle professioni. Anche molto tempo prima di Jeremy Bentham qualcuno si era posto il problema di una etica condivisa. Faccio un esempio cambiando campo d'azione ed epoca. Con un tuffo nel IV° secolo a.C. quando tra i medici dell'epoca, comincia a diffondersi il giuramento di Ippocrate, in poche parole - diremmo oggi - le regole deontologiche della professione medica. In quegli anni Alessandro Magno, sta conquistando un impero che dalla Persia arriva all'Egitto, dal Pakistan, all'Afghanistan e India settentrionale, fino raggiungere i confini della Cina. Mentre succedeva tutto questo i medici dell'epoca sentono l'esigenza di mettere a punto un "giuramento" che era un vero e proprio decalogo di regole deontologiche. Che, tra l'altro, impegnava i medici con rigore e chiarezza invidiabili. Nessuna possibilità di equivocare. Ad esempio si metteva nero su bianco il seguente impegno: "Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio". Peraltro, all'epoca, i medici facevano largo uso di farmaci che spesso preparavano loro stessi (in Italia la figura del farmacista - lo speziale - fino al XII secolo era un tutt'uno con la professione del medico: la sua autonomia professionale iniziò ad affermarsi solo nel secolo successivo). Sulla efficacia di quei preparati meglio non approfondire, però, il nostro medico-farmacista che già all'epoca di Alessandro Magno si obbligava a non tradire il giuramento di Ippocrate non aveva certo il problema di dimostrare la sua trasparenza rispetto ai farmaci che prescriveva: li confezionava da sé ed erano somministrati sotto sua diretta responsabilità. In epoca moderna, con la nascita e lo sviluppo dell'industria farmaceutica il filo diretto si spezza. E il problema della trasparenza si pone e, talvolta, pesantemente. Senza arrivare al caso abnorme della clinica della vergogna (ricordate quel medico che qui a Milano applicava protesi giusto per arrotondare lo stipendio?) è inevitabile oltre che giusto che i medici in epoca moderna si pongano costantemente il problema deontologico di prescrivere farmaci utili perché scientificamente sperimentati, di prescriverli quindi secondo scienza e coscienza, senza cadere nelle lusinghe della promozione farmaceutica. Insomma, l'innovazione - in questo caso l'industria farmaceutica ha creato un problema di deontologia professionale che prima non c'era. E i professionisti - i medici e anche i farmacisti - si sono dovuti adeguare per difendere la loro credibilità. Inutile dire che l' innovazione è una costante della storia del giornalismo moderno, costante strettamente legata al vento tempestoso dell'innovazione tecnologica che in questo settore ha fornito strepitose performance. L'uso dei droni nel campo dell'informazione è solo l'ultimo anello di una lunga catena di cambiamenti che, siatene certi, continueranno a correre. Ricapitoliamo sinteticamente. La stampa a caratteri mobili viene inventata dal tedesco Johannes Gutenberg nel 1455. Il processo di stampa diventa sempre più raffinato, più veloce, più economico, ma per quasi cinque secoli sostanzialmente non cambia il contenitore del mezzo informativo: il giornale. La prima rivoluzione arriva con la radio. La BBC viene fondata a Londra il 18 ottobre 1922. La prima trasmissione radiofonica italiana avvenne alle ore 21 del 6 ottobre 1924. Accanto al giornale scritto, nasce il giornale parlato. La seconda rivoluzione arriva con la Tv. Nel 1932 nel Regno Unito vengono trasmessi dalla BBC i primi programmi sperimentali Tv. In Italia a programmazione ufficiale Rai comincia il 3 gennaio del 1954, ovviamente in bianco e nero. Accanto al giornale scritto e parlato, nasce il giornale raccontato per immagini. Nel 1991 parte la terza rivoluzione. E' l'anno in cui il CERN (Centro Europeo di Ricerca Nucleare) annuncia la nascita del World Wide Web. Nel 1999 gli utenti di Internet sono 200 milioni in tutto il mondo. Nel 2009 sono circa 1 miliardo. Nel 2014 sono circa 5 miliardi. E ora i droni. Attenzione: i droni non rappresentano un nuovo strumento su cui viaggiano le informazioni per raggiungere gli utenti interessati, come, appunto, i giornali di carta, la radio, la Tv o il web. I droni sono, a mio parere, una nuova fonte, che si aggiunge a tutte le altre, con, ovviamente, specificità, proprie. Cos'è una fonte di notizie? Schematizzando si può dire che il media è il mezzo tecnico che trasmette la notizia (che in quel momento però diventa anche fonte) mentre la fonte originale è sempre o uno snodo dell'organizzazione sociale o un corto circuito della normalità. Facciamo degli esempi per capirci meglio. Snodi dell'organizzazione sociale sono la scuola, la democrazia rappresentativa, lo sport, l'economia, etc. I corti circuiti (ricordate il classico: l'uomo che morde il cane) sono il delitto, l'incidente (stradale, ferroviario, aereo), insomma, tutto ciò che rappresenta la straordinarietà o la trasgressione. Ricordo che, non a caso, funzionano da sempre centri attrezzati, per la raccolta delle notizie in entrambi i "settori", dove tradizionalmente la produzione di notizie è più alta e più interessante. Parlo delle classiche sale stampa, del Consiglio comunale, della Camera, della Questura, del Palazzo di giustizia, della Borsa, etc. Fonti, inutile dire, sono gli uffici stampa di ogni ordine e grado che svolgono una funzione di intermediazione tra il giornalista e il mondo degli interessi pubblici e privati. E oggi è arrivato il drone. Che può produrre notizie (in video e immagine) che altrimenti sarebbe difficile o molto costoso - a volte impossibile - ottenere. Si pensi a una manifestazione o a situazioni in cui la presenza fisica del giornalista sia impossibile o ad alto rischio. D'altra parte, mi dicono, il drone ha le sue prime applicazioni negli studi di ingegneria per misurazioni su terreni (montagne) accidentati. Dunque il drone è uno strumento che allarga il ventaglio delle fonti informative, aiuta a trovare, cioè, notizie che altrimenti sarebbe molto più difficile scovare. Ed è qui che nascono i problemi. Il primo. Ciò che vede il drone va messo in onda in diretta o dopo una visione professionale da parte del giornalista? Il quesito ha uno spessore deontologico rilevante. Esempio. Se un drone vola su un evento pubblico e lo riprende per conto di una Tv che poi ne trasmette le immagini in diretta è evidente che viene a sparire qualsiasi filtro professionale. Chi controlla che in quelle immagini non ci siano contenuti distorcenti, razzisti o offensivi? E nel caso ci fossero contenuti deontologicamente censurabili chi sarebbe il responsabile? Chi ha programmato il drone, chi materialmente lo ha attivato o chi lo ha affittato o comprato, o, ancora, chi ha sottoscritto la polizza assicurativa? Figure, queste ultime, che possono non essere giornalistiche. E quindi in quanto tali neppure soggette alla deontologia della legge del '63. Sorvoliamo anche su questo particolare. E ipotizziamo che il responsabile sia il redattore incaricato del servizio. Ma nel caso di diretta che spazio reale ha per controbilanciare, spiegare, neutralizzare? Solo quella di censurare a voce - la sua - quello che si continua a vedere e magari a sentire. Avrebbe senso? Sarebbe sufficiente? Forse sì, forse no. Parliamone. Il confronto con la diretta delle vecchie Tv generaliste, peraltro, non aiuta a trovare soluzioni. In questo caso c'è un gioco costante tra il flusso delle immagini e lo studio dove è possibile intervenire continuamente per "obiettivizzare" le immagini in un confronto di opinioni immediato. Ma è un gioco complesso e costoso. Che chi usa il drone, evidentemente, vorrebbe evitare. E allora cosa fare? Altro esempio. Ricordate le polemiche sul fuori campo? Ossia al fatto di registrare in buona fede o in malafede è irrilevante - conversazioni private in uno studio Tv o radio tra personaggi della politica (e non solo) e poi renderle pubbliche. Bene, il giudizio prevalente all'interno della categoria è pari a quello di un peccato molto veniale. Nel senso - si è spiegato - che un esponente politico è abbastanza navigato per stare attento a quello che dice in un'area a "rischio microfoni" come uno studio Tv o radio. Quindi non si lamenti più di tanto della privacy negata! E, per la verità, c'è chi ha rincarato la dose insinuando che i fuori campo vengono ricercati e gestiti con grandi lucidità dai politici stessi per farsi pubblicità o prendersi qualche soddisfazione dando poi la colpa ai giornalisti. Vero o falso, giusto o sbagliato, rimane il fatto che il politico vittima del fuori campo partecipava a una trasmissione giornalistica. Ma come la mettiamo se ipotizzassimo che un drone (attrezzato di registratore oltre che di cinepresa) capti un'affermazione-notizia di Renzi o se si preferisce di Berlusconi, Salvini o Grillo, mentre uno di questi non partecipi a un pubblico dibattito - dove, peraltro, appellarsi alla privacy farebbe sorridere - ma fosse tranquillamente seduto nel giardino di casa sua? Facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire. La legge istitutiva dell’Ordine è del ’63 e aveva due principi deontologici di fondo: 1) la lealtà verso il lettore 2) la verità putativa. Con il principio della lealtà la legge sanciva un principio morale: l’obiettività come espressione dell’onestà del giornalista. Con la verità putativa stabiliva un principio di responsabilità professionale: non ti chiedo la verità assoluta, ti chiedo di garantirmi che hai fatto il possibile per verificare quanto mi racconti. Da questi due capisaldi discende un'altra regola. Il giornalista nell'ambito del suo lavoro deve - salvo situazioni di pericolo sempre qualificarsi. E intuibile che nessuno di questi tre principi funziona nel caso del drone che capta la dichiarazione-scoop all'insaputa dell'interessato. Il principio dell'obiettività su chi scatta? Sul giornalista che magari era a una distanza tale che non poteva nemmeno immaginare che il drone captasse (o se si preferisce rubasse) uno scoop? Come si potrebbe sostenere l'accusa e addossargli la colpa di slealtà? Si potrebbe forse accusarlo di aver violato la privacy ma di fronte a una notizia di interesse pubblico prevarrebbe la regola che è anche il primo dovere del giornalista: quella di dare le notizie non certo nasconderle! E quindi se il drone "ruba" uno scoop il giornalista ha il diritto-dovere di renderlo pubblico. E il principio della verità putativa? Qui si rischia di sconfinare nel surreale. Le immagini registrate in diretta sono pura testimonianza di verità. Altro che verità putativa! Verità punto. Quanto al dichiararsi c'è da sorridere: un drone che vola con la scritta attenzione lavoro per la Tv "xyz" e vi sto riprendendo: fate perciò attenzione a quello che fate e dite? Altro problema. Ho detto che il drone è sostanzialmente un nuovo tipo di fonte. Affermazione che apre altri problemi. Infatti, una fonte può essere pubblica o privata ma può essere anche "scoperta" e "coperta". Nel primo caso ha un'identità nota, nel secondo no. E' il giornalista (o se si preferisce l'autorevolezza del giornale) a garantire sull'attendibilità della fonte senza nome. Vorrei ricordare che mentre nel giornalismo europeo la fonte coperta è utilizzata senza troppo scandalo così non è nel giornalismo anglosassone dove la citazione della fonte è un obbligo. Tant'è che nel 1972 quando sul Washington Post ci fu la famosa inchiesta di Bob Woodward e Carl Bernstein, che portò alle dimissioni del presidente Nixon, in Usa si sviluppò tra i giornalisti una vivacissima discussione sulla correttezza professionale dei due reporter. Perché? Appunto, perché utilizzavano una fonte coperta, nome in codice "gola profonda", che nella tradizione del giornalismo americano era (ed è) praticamente un'eresia. Ora riflettiamo sull'uso del drone. Che tipo di fonte è? Può essere certamente pubblica o privata a seconda della personalità giuridica dell'utilizzatore. Ma è "coperta" o "scoperta"? Una fonte è "scoperta" - ricordo - quando qualcuno dichiara la sua identità ed è consapevole di fornire un'informazione a un giornalista che gliela richiede. Ma se un giornalista riporta una notizia ottenuta con un drone che tipo di fonte utilizza? La classificazione classica, "coperta" e "scoperta", è evidente che non regge più. Magari, più chiara, sarebbe una definizione scherzosa come "fonte pirata". Ma non è un problema nominale. La sfida del cambiamento non si può vincere giocando con le parole. Mi avvio alla conclusione. Prima personale conclusione: alla domanda se una professione cambia anche la deontologia cambia? si dovrebbe rispondere che i principi ispiratori – verità e lealtà – per la professione giornalistica restano validissimi ma devono trovare una nuova declinazione, anche operativa, con le nuove frontiere dell’informazione che la tecnologia ha radicalmente ampliato. Diciamolo subito: l’operazione non è facile perché il cambiamento è in corso e il sistema comunicativo-informativo presenta ampie aree grigie dove tutto si confonde. Non solo i contenuti, anche i destinatari e i ruoli. Esempio: un testimone non è un giornalista, ma attraverso il suo blog può veicolare informazioni vere . Del resto internet veicola informazione classica e, al contempo, attraverso i social network un flusso informativo che è un intreccio, a dosi casuali, di comunicazione e informazione, un intreccio tra testimonianza (cronaca) e opinione, tra verità obiettiva e deformazione critica. La rivoluzione tecnologica corre e le regole non possono essere quelle di 52 anni fa. Tanto più che si stanno già modificando abitudini e strumenti consolidati. Per molte grandi aziende oggi la conferenza stampa, l'incontro stampa, in una parola sola, i rapporti con i giornalisti funzionano in maniera diversa di appena qualche anno fa. I rapporti sono differenziati tra old e new media. E naturalmente anche le cartelle stampa o il comunicato stampa vengono confezionate in maniera differente. Ci piaccia o no, il mondo sta cambiando. E dobbiamo rimodellare il nostro abito culturale e professionale anche per quanto riguarda le regole deontologiche. Certo, è sfida difficile tentare di definire nuove regole e nuovi criteri applicativi su un qualcosa che si fa fatica a definire perfino nei soggetti oltre che nei contenuti. Non ci riuscirebbe nemmeno Jeremy Bentham che della deontologia voleva fare scienza esatta. E c’è un altro problema. Il cambiamento è un processo complesso che si sviluppa su diversi piani e a volte con tempi diversi. E non è derivato solo dalla tecnologia. A sostenerlo può anche essere un’evoluzione morale o se preferite politica. Succede che la collettività maturi sensibilità ed esigenze nuove. Derivanti dallo sviluppo tecnologico (la scoperta della macchina vapore e l’industrializzazione) o da un cambiamento politico (la rivoluzione francese o quella russa). O da entrambi. La professione sta cambiando a un ritmo sempre più veloce. Non attrezzarsi per capire dove stiamo andando così come non attrezzarsi per difendere la credibilità dell’informazione è un peccato di indolenza che i giornalisti potrebbero pagare molto caro attraverso una travolgente crisi d’identità che peraltro è già in atto. I droni in questo senso sono l'ultimo avviso ai naviganti: guardare alla deontologia con gli occhi di mezzo secolo fa è come illudersi che i giornalisti usino ancora la mitica "Lettera 22". Dimenticando che perfino l'Olivetti non esiste più.