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Insonnia e vulnerabilità ai disturbi d`ansia e dell`umore

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Insonnia e vulnerabilità ai disturbi d`ansia e dell`umore
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Insonnia e vulnerabilità
ai disturbi d’ansia e dell’umore
LAURA PALAGINI1, CLAUDIO GENTILI1, MARIO GUAZZELLI2
1Dipartimento
I profondi rapporti tra insonnia e disturbi affettivi sono noti sin dagli esordi della medicina. In Italia
l’interesse è stato molto vivo fino agli inizi del secolo scorso ed è rintracciabile nelle pagine magistrali che molti clinici dedicarono alla loro descrizione. Negli anni successivi sono stati principalmente gli studiosi del sonno a confermare l’ubiquitarietà dell’insonnia nella depressione e nei
disturbi d’ansia ed a mostrare che negli insonni cronici i fenomeni psicopatologici del versante
affettivo rappresentano l’evento più comune, presente per alcuni in oltre il 70% dei pazienti e che
l’insorgenza della depressione è più che doppia rispetto ai controlli non insonni. La letteratura
ipnologica ha inoltre verificato le iniziali osservazioni secondo le quali l’insonnia precede costantemente l’episodio depressivo, evolve parallelamente ad esso e la sua risoluzione è indice attendibile
di rapida guarigione. La psichiatria attuale ricomprende l’insonnia associata a depressione nel concetto descrittivo della comorbilità, dopo averla a lungo considerata parte integrante del quadro clinico affettivo. In quest’ottica l’insonnia si configurava come sintomo depressivo precoce quando
anticipa l’episodio o come fenomeno residuo quando persiste oltre la sua risoluzione. Gli studi longitudinali e le indagini psicobiologiche sul sonno più recenti lasciano ipotizzare che l’insonnia cronica può rappresentare anche un fattore di vulnerabilità, un indice psicobiologico di instabilità della
sfera affettiva. La diagnosi tempestiva ed il trattamento adeguato in questa prospettiva assumono
un ruolo ben più importante di quello attribuito loro dalla maggioranza degli psichiatri, fino a ieri
impegnati a contenere la sonnolenza dei trattamenti antidepressivi di prima generazione, i cui effetti sedativi inevitabilmente compromettevano la vigilanza durante il giorno.
1:2004; 25-32
RIASSUNTO
NÓOςς
di Scienze dell’Uomo e dell’Ambiente, Università di Pisa, Pisa
di Psichiatria Neurobiologia Farmacologia e Biotecnologie, Università di Pisa
I DISTURBI DEL SONNO
(PARTE I)
2Dipartimento
Parole chiave: Insonnia, vulnerabilità psichiatrica, sonno e psicopatologia, depressione, ansia.
SUMMARY
The relationship between insomnia and affective disorders has been well established since ancient
medicine came into being. Brilliant descriptions accomplished by famous clinicians testify that the
interest about the association between sleep and affective disorders was kept alive in Italy until the
first decades of last century. Afterwards, sleep researchers, other than psychiatrists, were interested
to correlate insomnia to psychopathology. They confirmed that insomnia is ubiquitous in depressive
and anxiety disorders, that chronic insomniacs suffer mainly from affective symptoms (more than
70% of patients according to several reports), and that the incidence of the depressive episodes in
these patients is double compared to non insomniacs patients. Hypnological literature confirmed
that insomnia constantly precedes the onset and parallels the course of depressive episodes and its
disappearance is a reliable index of rapid recovery. On the contrary persistence of sleep complains
after depressive recovery is associated with a 4 to 6 times higher likely hood of relapses, compared
to patients with recovered sleep. Clinicians classically consider chronic insomnia associated to
depression just a symptom of the depressive clinical cohort, even if present DSM taxonomy
includes it within the framework of the psychiatric comorbidity. In this perspective insomnia is an
early depressive symptom when it anticipates the episode or a residual phenomenon when its persistence is beyond depressive recovery. Recent longitudinal and psychobiological studies led to
hypothesize that chronic insomnia may represent a vulnerability marker of affective pathology, a
psychobiological index of mood instability. Therefore early diagnosis and appropriated treatment
are nowadays becaming crucial for psychiatrists, previously focused to face with sedative effects of
tryciclic antidepressants responsible for severe impairment of vigilance during the day.
Key words: Insomnia, psychiatric vulnerability, sleep and psychopathology, depression, anxiety.
25
Indirizzo per la corrispondenza: Prof. Mario Guazzelli – Cattedra di Psicologia Generale, Dipartimento
di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia e Biotecnologie, Università degli studi di Pisa, Via Roma 66 –
56126 Pisa. Tel. 050 992658, Fax 050 21581, e-mail: [email protected]
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INSONNIA E VULNERABILITÀ
AI DISTURBI D’ANSIA E DELL’UMORE
L. PALAGINI - C. GENTILI
M. GUAZZELLI
NÓOςς
I profondi legami tra i disturbi del sonno ed alcuni eventi psicopatologici, in
particolare nel versante dell’ansia e dell’umore, sono stati ampiamente trascurati dalla psichiatria del secondo Novecento, anche se i clinici di inizio
secolo li avevano fatti oggetto di attenta riflessione e fin dall’antichità numerose erano le indicazioni della consapevolezza raggiunta sui rapporti tra
sonno, benessere fisico e salute mentale.
Nella mitologia ad esempio, la mancanza del sonno poteva addirittura minacciare l’equilibrio del dio per eccellenza: il mito narra infatti che Giove, infastidito dalle intemperanze di Ipno, se ne sia liberato in uno scatto d’ira, salvo poi
esser costretto in un breve volgere di tempo ad implorare la dea Nyx, la Notte,
madre del Sonno, di riportarlo a lui, giurando di non volersene mai più separare. Nei poemi omerici il sonno è “colui che tutto doma”, il “dolce amico consolatore e sopitore di affanni”, la “fuga dalle preoccupazioni”, anche se non
ancora, come diremmo oggi, dall’ansia e dalla depressione.
Che al sonno da sempre fosse affidato non solo il ristoro dalla fatica lo rivela
tra gli altri la genealogia che i greci attribuivano ad Ipnos, che lo fa figlio della
Notte e dell’Erebo, le tenebre infernali, nonché gemello di Tanatos, la morte
che tutto cancella; in tempi più vicini, Shakespeare preannuncia la follia di
Macbeth con la morte del sonno: “Ho sentito una voce: non dormirai mai più!
Macbeth ha assassinato il sonno, l’innocente sonno che riavvia l’intrico degli
affanni, la morte di ogni giorno, lavacro di ogni pena, balsamo della mente
ferita, pietanza prima al banchetto della vita”1. L’attenzione di poeti e scrittori
fino ai giorni nostri non ha conosciuto interruzioni ed il loro interesse per l’intreccio inscindibile tra sonno e psiche non ha confini geografici: così se per
Calderòn de la Barca la vita stessa trascolora nel sogno2, per il contemporaneo
Garcìa Màrquez l’insonnia mina l’identità stessa di chi ne soffre3 e, solo pochi
anni prima di lui, per la cultura ispanica europea che si esprimeva nella poesia
di Pessoa, l’inquietudine si confonde con la mancanza stessa del sonno: “Sarei
felice se potessi dormire… la notte è un peso immenso dietro al soffocamento
della coperta muta di ciò che sogno. Ho un’indigestione dell’anima”4.
Alla cultura psichiatrica italiana dei primi anni del Novecento dall’altra parte
erano ben presenti le mutue interazioni tra l’insonnia e la coartazione patologica dell’umore, a giudicare dalle magistrali descrizioni dei trattati di allora,
di cui quella di Tanzi e Lugaro è tra le più avvincenti: “[nella depressione]
immancabile è l’insonnia, non c’è melancolico che non ne soffra e non se ne
lagni come del maggiore tra i suoi tormenti… [l’insonnia] è più grave al
principio della malattia e spesso ne è il segno precursore… e può uscir di
scena prima che la tristezza melancolica sia completamente dissipata, ciò che
costituisce un ottimo auspicio di imminente guarigione”5.
Con la diffusione della concezione psicometrica l’insonnia è stata considerata
una manifestazione clinica della patologia depressiva e ansiosa e come tale
inclusa nei principali questionari messi a punto per la misura delle costellazioni
sindromiche; ad esempio nella “rating scale for depression” di Hamilton, nota a
tutti gli psichiatri, l’insonnia è l’elemento costitutivo di ben tre item, con un
peso complessivo addirittura maggiore a quello dell’umore depresso. La nuova
tassonomia nord-americana, che ha riportato in auge gli aspetti descrittivi della
patologia psichiatrica e che ha raggiunto con le successive edizioni del DSM
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NÓOςς
I DISTURBI DEL SONNO
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dell’American Psychiatric Association la sua massima espressione6-9, ha dedicato un intero capitolo ai disturbi del sonno ed annesso l’insonnia direttamente
tra i disturbi mentali, tra i disturbi cioè di Asse I, alla stregua della depressione
o dell’ansia, verso le quali si costituisce così come patologia in comorbilità.
Le conoscenze favorite dall’osservazione clinica e dagli avanzamenti della
ricerca, che ha fatto seguito allo sviluppo della Medicina del Sonno, consentono oggi di ipotizzare rapporti diversi dalla semplice associazione che sottende il concetto di comorbilità. Anche dimenticando gli aforismi ippocratici, secondo i quali “una malattia in cui il sonno nuoce è mortale”10, l’evidenza dei dati mostra al di là di ogni ragionevole dubbio che l’insonnia destabilizza la salute del corpo ed è incompatibile con la condizione di benessere:
negli insonni, oltre ad una qualità di vita compromessa, vi sono una più alta
incidenza di infortuni11, un maggior utilizzo delle strutture sanitarie ed una
insorgenza quasi doppia di patologie mediche12. Tra queste il rischio maggiore sembra riguardare il diabete di tipo 2, l’ipertensione, la dislipidemia ed
il precoce invecchiamento, per i quali il sonno sembra costituire il fattore
fisiopatologico di collegamento con gli eventi stressanti psicosociali12. A
questo si aggiunge che da oltre vent’anni è stata dimostrata una più elevata
probabilità di morte da coronopatia, infarto miocardico o tumore entro i due
anni successivi al rilievo di un disturbo cronico del sonno13.
Altrettanto consolidate sono le evidenze sul ruolo dell’insonnia nell’insorgenza di disturbi d’ansia e dell’umore; le indagine epidemiologiche ad esempio, a fronte di una variabilità di prevalenza dell’insonnia che in rapporto ai
criteri diagnostici ed ai periodi di osservazione oscilla tra il 10% e quasi il
50% della popolazione14-16, concordano su un progressivo aumento dopo i
venti anni con un incremento drastico a partire dai sessanta. Fatti salvi i differenti livelli quantitativi, l’andamento dell’insonnia nel corso della vita è
strettamente parallelo a quello dei disturbi depressivi.
Figura 1. Prevalenza dell’insonnia (%) e dei disturbi depressivi (%) nelle varie età della vita.
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NÓOςς
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A questo si aggiunge che la valutazione psichiatrica degli insonni cronici dei
Centri di Medicina del Sonno fa rilevare la presenza di un disturbo mentale
di Asse I in circa il 70% dei pazienti, con valori che salgono al 90% se si
prendono in considerazione anche i disturbi di personalità, quelli cioè che il
DSM attualmente pone sull’Asse II14,17-19.
Tabella I. Incidenza dei disturbi del sonno, comorbilità psichiatrica e per depressione
nella popolazione generale in rapporto a differenti sistemi diagnostici.
Campione Sistema
(n°)
diagnostico
disturbi
del sonno (%)
Diagnosi
comorbilità
psichiatrica (%)
comorbilità per
depressione (%)
insonnia ipersonnia insonni ipersonni insonni ipersonni
Ford e Kamerow 7954
(1989)
DSM-III
10,2
3,2
Livingston et al.
(1993)
700
SQDI
Breslau et al.
(1996)
1007
DSM-III-R 16,6
8,3
Roberts et al.
(2000)
2370
DSM-IV
6,3
40,4
33
23,1
46,5
24,6
78,8
35,7
88,9
57
19,8
29,1
I dati sono ancora più eloquenti se si esaminano le ricerche prospettiche
mirate a valutare l’insonnia come fattore di rischio per le patologie d’ansia e
dell’umore, dalle quali emerge che negli insonni cronici il rischio di suicidio
è notevolmente più alto rispetto ai non insonni20 e che la probabilità di ricaduta depressiva entro due anni è praticamente doppia rispetto a quella attesa
nella popolazione generale14,18. Questo sembra valere non solo per l’insonnia cronica ma anche per quella transitoria e per la periodica ipersonnia che
si protraggano per almeno due settimane21-23.
Tabella II. Rischio relativo per depressione maggiore e per un disturbo d’ansia entro due
anni in un campione di pazienti con insonnia cronica rispetto a quello posto a 1 dei
soggetti non insonni (da Breslau et al., 1996 per gentile concessione).
Depressione maggiore
Insonni
Normosonni
28
Disturbi d’ansia
%
rischio
relativo
%
rischio
relativo
15,9
4,0
13,7
2
4,6
1
7,1
1
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(PARTE I)
Una ulteriore riflessione sugli effetti destabilizzanti dell’insonnia sulla salute
fisica e mentale è suggerita anche dalle conseguenze dei disturbi del sonno
connessi con il lavoro in turni: nel giro di pochi anni dal cristallizzarsi dell’insonnia, chi lavora di notte prende a soffrire di irritabilità e labilità emotiva, che in molti casi rapidamente evolvono verso un disturbo d’ansia vero e
proprio o un franco disturbo depressivo24.
Le evidenze di cui disponiamo sono quindi sufficienti per ipotizzare che,
spesso, anche se non inevitabilmente, l’insonnia precede ed in qualche misura
facilita la comparsa di fenomeni psicopatologici d’ansia e dell’umore, configurandosi come elemento di perturbazione del normale funzionamento cerebrale o, più semplicemente, come epifenomeno di un processo fisiopatologico
comune, che si esprime sul versante neurovegetativo e somatico con la frammentazione del sonno e la perdita del suo ruolo ristoratore e su quello più
squisitamente psichico con l’esperienza ansiosa o della tristezza patologica.
La conferma che i disturbi del sonno e i disturbi d’ansia e dell’umore sono in
rapporto di reciproca vulnerabilità discende anche dallo studio dell’insonnia
nei pazienti psichiatrici. Fin dagli anni Sessanta è noto che il 90% dei
pazienti depressi soffre di insonnia25 la cui gravità e durata sono in rapporto
diretto con l’episodio depressivo, e che nel restante 10%, per quanto il sonno
non sia frammentato né precocemente interrotto, non c’è comunque alcun
ristoro nel dormire. L’insonnia che persiste dopo un episodio depressivo predice una ricaduta in tempi brevi con la probabilità di un nuovo ricovero entro
un anno quattro volte superiore rispetto alla guarigione senza postumi di
insonnia26. Giustamente considerata come sintomo residuo, l’insonnia in
quest’ottica assume il significato di manifestazione clinica del sottostante
processo psicobiologico della patologia affettiva non completamente risolto.
Le indagini di modulazione farmacologia del sonno REM, condotte nei
pazienti guariti da un episodio depressivo e nei loro consanguinei sani a
rischio di malattia, hanno aggiunto un ulteriore tassello al mosaico della reciproca vulnerabilità tra insonnia, ansia e depressione, prospettando anche l’esistenza di alterazioni neurobiologiche che non solo persistono dopo la risoluzione del disturbo psicopatologico ma che probabilmente preesistono e
possono intervenire nella sua insorgenza.
Il sonno REM, il cui primo accenno si può forse rinvenire nel dono mitologico del sonno ad occhi aperti che Ipnos fece all’amato Endimione perché lo
potesse guardare anche dormendo, conserva alcune peculiarità dopo la conclusione dell’episodio, potendo ad esempio essere elicitato durante il periodo
refrattario, cioè durante il sonno NREM che segue la fine del REM, mediante una dose dimezzata di un composto acetilcolino-agonista rispetto a quella
necessaria per il suo innesco nei controlli sani27,28.
In questa direzione vanno anche gli studi sulla latenza REM e sul sonno
delta del primo ciclo di sonno dei consanguinei sani dei pazienti depressi,
molti dei quali presentano, ancorché attenuate, le alterazioni tipiche della
depressione29.
L’insieme dei dati, indipendentemente dal problema della natura tratto- o
stato-dipendente di questi parametri di sonno, rimanda comunque ad un’alterazione dell’equilibrio tra sistemi catecolaminergici ed acetilcolinergici
29
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NÓOςς
Figura 2. Sonno delta % e densità REM in un campione di pazienti con episodio depressivo
maggiore, di parenti sani di I grado dei pazienti depressi e di controlli sani con familiarità psichiatrica negativa.
Area colorata: intervallo di variabilità dei controlli sani senza familiarità psichiatrica positiva
(da Lauer et al., 1995 per gentile concessione).
comuni nella regolazione dell’alternanza del sonno NREM-REM e del funzionamento della sfera emotiva e affettiva. La prevalenza assoluta o relativa
di questi ultimi può giustificare l’accresciuta propensione al sonno REM
(latenza REM più breve, densità REM più elevata, maggiore sensibilità del
sonno REM all’arecolina) e la minore quantità di sonno profondo NREM
(ridotto sonno delta del primo ciclo di sonno)30, che caratterizzano il pattern
di sonno dei pazienti e di molti loro consanguinei sani a rischio di malattia e
le manifestazioni cliniche del disturbo dell’umore, che alcuni rimandano
appunto allo sbilanciamento funzionale dei sistemi neurotrasmettitoriali con
relativa prevalenza di quello colinergico31.
Questa breve rassegna sottolinea la centralità dello studio dei disturbi del
sonno per la conoscenza dei determinanti psicobiologici dei disturbi d’ansia
e dell’umore e contrasta con il relativo disinteresse dei ricercatori e dei clinici, che a lungo hanno privilegiato le sole manifestazioni legate allo stato di
veglia. Da alcuni anni tuttavia si assiste ad un graduale cambiamento, in
parte giustificato dai differenti problemi che il banco di prova della pratica
clinica pone nell’operare quotidiano con il paziente. Se infatti fino a ieri lo
psichiatra doveva fare i conti con la eccessiva sedazione di cui erano responsabili i suoi farmaci e si preoccupava piuttosto della sonnolenza che infliggeva ai suoi pazienti, con lo sviluppo e la diffusione delle nuove molecole,
sempre più selettive per i singoli distretti neurotrasmettitoriali e tendenzialmente prive di effetti sedativi ed ipnoinducenti, si trova di nuovo costretto,
dopo oltre mezzo secolo, a fronteggiare l’insonnia, almeno fino a quando l’azione antidepressiva, antifobica o antiossessiva del suo trattamento non risolve il disturbo dell’umore od il nucleo della psicopatologia che si declina nel
polimorfo coacervo dei quadri clinici d’ansia.
D’altra parte l’attenzione dello psicologo clinico e dello psichiatra per i
disturbi del sonno sarà prevedibilmente ancora maggiore se le osservazioni,
30
per ora aneddotiche ed al vaglio della ricerca, confermeranno che il controllo
tempestivo ed efficace dell’insonnia ha riflessi protettivi sul piano metabolico e cardiocircolatorio e può ritardare od evitare l’innesco di più severe
manifestazioni psicopatologiche.
1:2004; 25-32
NÓOςς
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