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Antidepressivi e decorso “rapid-cycling”dei disturbi dell`umore bipolari

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Antidepressivi e decorso “rapid-cycling”dei disturbi dell`umore bipolari
Periodico della Società Italiana di Farmacologia - fondata nel 1939 - ANNO VI n. 24 – Dicembre 2010
Riconosciuto con D.M. del MURST del 02/01/1996 - Iscritta Prefettura di Milano n. 467 pag. 722 vol. 2°
Antidepressivi e decorso
“rapid-cycling”dei disturbi
dell’umore bipolari
Giulia Serra*, Francesca Demontis e Gino Serra
*Azienda ospedaliera Sant’Andrea, Dipartimento di Psichiatria,
Università “La Sapienza”, Roma
Dipartimento di Scienze del Farmaco, Università di Sassari
Antidepressivi e disturbo
bipolare “rapid-cycling”
Nel 1974 Dunner e Five
(1974) descrissero un tipo particolare di decorso del disturbo
bipolare, che denominarono
“rapid cycling bipolar disorders”. Questo tipo di decorso
è caratterizzato dalla presenza di almeno quattro cicli (un
ciclo equivale a un episodio di
depressione seguito da uno di
mania/ipomania o viceversa) di
malattia in un anno.
Esso è considerato un tipo di
decorso “maligno”, in quanto
resistente ai trattamenti attualmente disponibili e al litio
in primo luogo. Rappresenta
perciò, per dirlo con Z. Rihmer
(comunicazione
personale)
una vera emergenza psichiatrica, e probabilmente uno dei
maggiori responsabili dell’aumento dei suicidi nell’era farmacologica rispetto a quella
pre-farmacologica.
Questo tipo di decorso è stato descritto molto raramente
(Kraepelin ne descrive un solo
caso) nella letteratura pre-farmacologica ed è diventato invece sempre più frequente dopo
l’introduzione nell’uso clinico
degli antidepressivi.
Si deve a Koukopoulos e coll.
(1980) la prima osservazione,
nel 1980, di una possibile associazione tra uso di antidepressivi e insorgenza del decorso
“rapid cycling”.
Scrivevano allora Koukopoulos e coll.: “I pazienti che svilupparono una rapida ciclicità
sotto trattamento con antidepressivi avevano un tempera-
mento molto energico. Si potrebbe ipotizzare che questi pazienti abbiano ipomanie latenti che diventano clinicamente
evidenti per effetto dell’azione
degli antidepressivi.
L’intensificazione del processo ipomaniacale sottosoglia
da parte degli antidepressivi
potrebbe poi precipitare e anticipare un’altra depressione e
trasformare così il decorso in
cicli rapidi”.
Secondo questa ipotesi quindi la capacità degli antidepressivi di indurre mania/ipomania
sarebbe la responsabile della
induzione della rapida ciclicità.
Dopo quella prima osservazione diversi studi clinici hanno messo in evidenza
che gli antidepressivi possono
Quaderni della SIF (2010) vol. 24- 75
provocare un decorso “rapid
cycling”, che questo decorso
è resistente ai trattamenti attualmente disponibili, ha quindi una cattiva prognosi.
Scrivono infatti Goodwin e
Jamison (1990) nella prima
edizione
dell’enciclopedico
trattato sulla malattia maniaco-depressiva: “Noi consideriamo questo fenomeno come
virtualmente opposto alla profilassi: la apparente capacità
dei farmaci antidepressivi, in
alcuni pazienti, di accelerare
il processo ciclico della malattia”.
Ghaemi (2008), infine, in un
recente editoriale (Treatment
of Rapid-Cycling Bipolar Disorders: Are Antidepressants
Mood Destabilizers?) su American Journal of Psychiatry, arriva a definire gli antidepressivi destabilizzatori dei disturbi
dell’umore, sostenendo l’ipotesi che l’uso di questi farmaci
nei disturbi dell’umore possono peggiorare il decorso del
disturbo fino a farlo diventare
resistente ai trattamenti.
Alla luce di queste osservazioni la maggior parte degli
esperti dei disturbi dell’umore
suggerisce di usare molta cautela nell’uso degli antidepressivi nella fase depressiva dei disturbi bipolari, ma anche nelle
forme unipolari, in particolare
nei pazienti con temperamento ipertimico.
Il possibile substrato
neurobiologico dei disturbi
bipolari “rapid-cycling”
La capacità degli antidepressivi di indurre mania/ipomania sembra essere la responsabile della loro azione destabi76 - Quaderni della SIF (2010) vol. 24
lizzante dei disturbi dell’umore. La prevenzione di questo
fenomeno rappresenta oggi
il problema principale e una
sfida per la ricerca e sviluppo
di nuovi farmaci stabilizzanti,
gli unici farmaci che possono
portare a una reale, perché
duratura, guarigione di questi
disturbi. Infatti, mentre è relativamente facile trattare i singoli episodi di depressione e/o
mania/ipomania, sempre più
difficile è ottenere una reale
“stabilizzazione” del disturbo,
prevenire cioè le ricorrenze
depressive e/o maniacali/ipomaniacali. E sono in aumento
i pazienti che soffrono di malattia maniaco-depressiva resistente agli attuali trattamenti.
Numerose sono le evidenze
cliniche e sperimentali a sostegno della ipotesi che la mania/ipomania sia associata ad
un aumento della trasmissione dopaminergica, in particolare nel sistema dopaminergico meso-limbico (Serra et al.,
1990).
Contrariamente alle teorie
allora dominanti sul meccanismo d’azione degli antidepressivi, che sostenevano che l’effetto terapeutico di questi farmaci fosse dovuto all’aumento
della trasmissione noradrenergica e serotoninergica (secondaria al blocco del re-uptake o
alla inibizione delle MAO), nel
1979 (Serra et al., 1979) noi
abbiamo per primi dimostrato
che gli antidepressivi attivano
anche la trasmissione dopaminergica. Questo effetto degli antidepressivi si manifesta
solo dopo somministrazione
cronica, coerentemente con
quanto si osserva in clinica per
l’azione terapeutica. Abbiamo
quindi suggerito che l’aumento della trasmissione dopaminergica gioca un ruolo importante non solo nell’effetto
terapeutico (in particolare su
alcuni sintomi della sindrome
depressiva quali per es. l’anedonia, la mancanza di motivazione, il ritardo psicomotorio,
ecc. ecc.), ma anche nel viraggio dalla depressione alla mania/ipomania indotto da questi
farmaci. Numerosi studi (Serra et al., 1992; D’Aquila et al.,
2000), condotti negli ultimi
30 anni, hanno confermato la
nostra iniziale osservazione e
l’ipotesi che l’aumento della
trasmissione dopaminergica
possa essere la responsabile
del viraggio dalla depressione
alla mania/ipomania.
L’aumento della trasmissione dopaminergica da parte
degli antidepressivi è dovuto
allo sviluppo di una sensibilizzazione (un aumento della
sensibilità) dei recettori dopaminergici D2 nel sistema meso-limbico (Serra et al., 1992).
Recentemente noi abbiamo
dimostrato che il trattamento
cronico con antidepressivi è
in grado di indurre, nell’animale di laboratorio, un comportamento
simil-bipolare,
cioè una mania seguita da una
depressione (D’Aquila et al.,
2003; D’Aquila et al., 2004).
Abbiamo infatti osservato che
la somministrazione cronica
di antidepressivi provoca un
graduale aumento della sensibilità dei recettori della dopamina, che raggiunge il suo
apice alla terza settimana. Alla
interruzione del trattamento,
la supersensibilità del recet-
tore si attenua gradualmente,
fino a invertirsi, a trasformarsi
cioè in una ridotta sensibilità
dopo circa un mese. Allo stesso tempo, la sub-sensibilità
del recettore dopaminergico si
associa ad un comportamento
simil-depressivo, misurato in
classico modello di depressione.
Poiché, come abbiamo prima
accennato, la prevenzione della
mania/ipomania e quindi della
sensibilizzazione del recettore dopaminergico è essenziale per evitare lo scatenarsi del
decorso a cicli rapidi, abbiamo
studiato l’effetto degli stabilizzanti dell’umore attualmente
in uso sulla sensibilizzazione
dei recettori dopaminergici
indotta dagli antidepressivi.
Abbiamo osservato che il litio
(D’Aquila et al., 2000), la carbamazepina (D’Aquila et al.,
2001) e il valproato (D’Aquila
et al., 2006) non sono in grado
di prevenire questo fenomeno,
coerentemente con quanto si
osserva in clinica. Essi, infatti, non antagonizzano (sembra invece che aumentino il
rischio) (Tondo et al., 2009) il
viraggio dalla depressione alla
mania/ipomania, né impediscono lo sviluppo di un decorso a cicli rapidi.
Poiché il recettore NMDA
del glutammato gioca un ruolo fondamentale in numerosi
fenomeni di sensibilizzazione, abbiamo studiato l’effetto
del blocco di questo recettore
sulla sensibilizzazione del recettore dopaminergico indotto
dagli antidepressivi.
La somministrazione del
bloccante non-competitivo del
recettore NMDA, MK-801, ma
non di un bloccante competitivo, previene completamente la
sensibilizzazione dei recettori
dopaminergici indotta dalla
imipramina e dall’elettroshock
(D’Aquila et al., 1992; D’Aquila
et al., 1997).
Questi risultati suggeriscono che i bloccanti non competitivi del recettore NMDA
potrebbero essere dei potenziali farmaci antimaniacali e
stabilizzanti dell’umore, attivi
anche nei disturbi resistenti ai
trattamenti attuali.
Sulla base di queste considerazioni, abbiamo recentemente proposto e brevettato
(Serra et al., 2009) l’uso della Memantina, un bloccante
non-competitivo del recettore
NMDA, attualmente usato nella terapia della demenza di Alzheimer, come antimaniacale
e stabilizzante dell’umore nei
disturbi bipolari resistenti ai
trattamenti convenzionali.
La Memantina: un
potente antimaniacale e
stabilizzazione dell’umore?
Numerosi trials clinici hanno dimostrato la ottima tollerabilità e sicurezza della Memantina, ormai in uso clinico
da più di trenta anni.
Koukopoulos e coll. (2010)
hanno recentemente condotto
uno studio naturalistico su un
gruppo di pazienti bipolari da
molti anni resistenti a tutti i
trattamenti convenzionali e
hanno osservato che la somministrazione di Memantina è
efficace nel 72% dei soggetti,
che dopo sei mesi di terapia
risultano completamente stabilizzati.
I pazienti avevano una storia
di malattia ininterrotta di 21.5
(media) anni, erano resistenti a qualsiasi forma di trattamento (litio, anticonvulsivanti, antipsicotici tipici e atipici,
antidepressivi e terapia elettroconvulsivante). Tra essi vi
erano dieci rapid-cycling con
una storia di malattia senza
intervalli di benessere di 11
(media) anni.
Questi pazienti sono stati poi
seguiti e rivalutati dopo un
anno e diciotto mesi di terapia:
dopo un anno e diciotto mesi
81% di essi non hanno avuto
più episodi di malattia (Serra
2010).
Questi dati dimostrano che
all’effetto stabilizzante non
solo non si instaura tolleranza, ma che il miglioramento
clinico si mantiene e aumenta
nel tempo. Essi inoltre confermano la ottima tollerabilità
e sicurezza del farmaco (unici effetti collaterali osservati:
stipsi in un paziente e vertigini in un altro).
È già in corso un trial clinico
multicentrico internazionale
per confermare le osservazioni
del nostro studio naturalistico. Sebbene molti autorevoli
studiosi dei disturbi bipolari
considerino i dati degli studi
naturalistici forse anche più
attendibili di quelli dei trials
clinici controllati, perché condotti su una popolazione non
selezionata e perciò molto più
vicina alla pratica clinica reale.
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Congresso Nazionale della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia: Dall’epigenetica alle basi
di neurobiologia sperimentale e
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2010.
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