Mai più tornerai nel Daraa a schiudere il varco acerbo della tua
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Mai più tornerai nel Daraa a schiudere il varco acerbo della tua
Bologna più che una città … è una famiglia! AMAL Di Floredana De Felicibus Mai più tornerai nel Daraa a schiudere il varco acerbo della tua giovinezza, hanno tolto le radici, fragili, dal tuo germoglio di vita, non esploderanno dai tuoi rami i frutti del domani. E non basterà il silenzio delle bombe, oggi, a lenire le lacrime di un defraudato grembo, né il silenzio che attende una ciotola di grano caldo a gettare fango sulla tua memoria. Mortificate le tue membra dalla crudeltà dei tuoi stessi padri e dall’indifferenza di questo mondo che troppo spesso, osserva e tace, distrattamente, mentre esseri umani ridotti a brandelli sprofondano nel torpore delle loro menti. No, tu non tornerai a dare voce alle tue albe, né ai tuoi tramonti, né a sperare e a lottare per un ideale. Aleggerai impalpabile in altre dimensioni, il tuo urlo di dolore rimarrà sopito come il tormento per il domani. Tu non ci sarai e già sale in cielo un altro bagliore, non della tua innocenza fattasi ormai raggio d’alba, ma di barbagli di venti perversi tornati a spegnere per sempre l’arsura del tempo. Tu hai conosciuto, Amal, una terra dove l’uomo gioca enigmi crudeli di vita, non ti hanno raccontato di fiabe dove passi di spighe germogliano al sole e bimbi come te giocano in un mondo inventato di fiaba. Sappi che come soffio trascendente anche tu vi resti dentro coi pensieri anelanti a barbagli di luna, coi tuoi respiri liberi e puri. La terra, Amal, è la nostra anima e noi per sempre vi rimarremo dentro. Siamo custodi perenni della nostra Terra! Bologna più che una città … è una famiglia! DANS L’IMPASSE Di Floredana De Felicibus Ed è così che l’ora si consuma quando l’alba avanza e abbruna ed il vetro della porta va in frantumi. L’aria non sposta di un passo la caligine dei suoi pensieri, tace l’urlo di un respiro che non ha voce. Ora, con gli occhi serrati sul divenire Lei resta distesa sotto un prato muto di luna, fermo il tramestio dei passi e il bivaccare del fiato tra gelsi smarriti di carezze. E guarda i giorni scritti dal tempo, la breve distanza della lontananza, i primi passi mossi sull’attesa, il suo perdersi nell’ora dell’essenza, il decrittare a sera il senso di un istante, lo sgretolarsi di un sorriso, poi, nell’attimo fugace di un fiore d’oleandro. Eppure era estate, stridevano violini di cicale tra i rami, eppure l’ora era infuocata … All’improvviso l’ultimo pezzo di un puzzle a ricomporre il timore di una resa, la delusione versata tutta d’un fiato in un calice amaro, refrigerato. E il suo io a transumare i ricordi, i suoi occhi a disfare i tramonti e quel mare lontano custode dei suoi giorni prima di questo domani. Chissà se vedrà oltre il viale dal buio allungare una mano, un raggio di luce chetare il pensiero una voce leggera tracciare labbra di cielo! Bologna più che una città … è una famiglia! L’ACQUE NEN TE’ MEMORIE Di Floredana De Felicibus Ogne spruzze è nu sogne, penzeje lu vicchie, li pite summerse, sopre a li prete, li recurde reflesse, li petecate piegate a li patre e a li sumende antiche, l’acque arcodde a coppe su l’arsure de la vite. Aveje vessute accuscè lu vicchie, sotte cile aperte a la calme e a lu mugghià de la piene ‘nvernale, a vangà rateche de spighe e vite d’argille, tra luce e ombre, a li margene de na sponde. Aveje vessute là lu vicchie, dove li respere lasce su la rene petecate rubbuste e la vite ‘mmortale ne cancelle ogni soleche. L’acque nen tè memorie, penzeje lu vicchie, cale viulende, lende, segue nu percorse, rode, allisce li jurne pe’ sprufunna dapù là lu monne, seconde nu ragiunamende non umane anneghe e dapù s’arvevesce là nu viavaje ‘nfinite de forme. Eppure è esse che cuntenue me cande, penzeje lu vicchie, è memorie de la giuvenezze mè, accenne la strade iniziale de la vite. E’ memorie senza memorie dell’ esistenze! L’ACQUA NON HA MEMORIA Ogni zampillo è un sogno, pensava il vecchio,/i piedi sommersi, sopra ai ciottoli, i ricordi riflessi,/ le orme piegate ai padri e alle sementi antiche,/l’acqua raccolta a coppa sull’arsura della vita.// Aveva vissuto così il vecchio, sotto cieli aperti/ alla calma e al mugghiare della piena invernale,/ a dissodare radici di spighe e pampini d’argilla,/tra luci ed ombre, ai margini di una sponda.// Aveva vissuto lì il vecchio, dove i respiri/lasciano sulla sabbia impronte compatte/ e la vita immortale ne cancella ogni traccia./L’acqua non ha memoria, pensava il vecchio,//scende a dirotto, lenta, segue un percorso,/ erode, alliscia i giorni per poi sprofondare nel cosmo./Secondo una logica non umana annega/e poi risorge in un andirivieni infinite di forme.//Eppure è lei che incessantemente Bologna più che una città … è una famiglia! mi canta,/pensava il vecchio, è memoria della mia giovinezza, /indica la strada primordiale della mia essenza./E’ memoria senza memoria della mia esistenza!//