monitoraggio delle sostanze estremamente preoccupanti nel cuoio
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MONITORAGGIO DELLE SOSTANZE ESTREMAMENTE PREOCCUPANTI NEL CUOIO ALLA LUCE DELLE NUOVE LINEE GUIDA DETTATE DAL REGOLAMENTO REACH G. Calvanese, B. Naviglio, D. Caracciolo, C. Florio Stazione Sperimentale per l’Industria delle Pelli e delle Materie Concianti – Napoli 1. Introduzione Come è noto il 1 giugno 2007 è entrato in vigore il Regolamento Europeo 1907/2006/CE per la registrazione, la valutazione e l’autorizzazione delle sostanze chimiche (REACH), che stabilisce una serie di obblighi per i produttori, gli importatori e gli utilizzatori di sostanze chimiche in Europa. Secondo la definizione del regolamento REACH i prodotti intermedi del cuoio (wetblue), il cuoio e gli articoli in cuoio, sono considerati “articoli” e pertanto non sono soggetti a registrazione. Tuttavia, vi sono alcuni requisiti che i produttori e gli importatori di articoli devono tenere in considerazione: Le sostanze chimiche, che si ritiene possano essere intenzionalmente rilasciate da un articolo durante il suo normale utilizzo devono essere notificate/registrate a prescindere dalla loro natura come ad esempio una fragranza, aggiunta nella produzione del cuoio per rendere l’articolo profumato. Non sono considerate come emissioni intenzionali quelle derivanti da “fogging” o “rilascio di agenti concianti minerali”. Le sostanze chimiche che sono classificate come: Substances of Very High Concern (SVHC), secondo l’art. 57 del Regolamento, devono essere comunicate lungo tutta la catena produttiva compresi gli utilizzatori finali, se contenute nell’articolo in una concentrazione uguale o maggiore di 1000 ppm (0,1%). Inoltre, se la quantità totale della singola sostanza è superiore a 1 t/anno, diviene necessaria la notificazione/registrazione da parte del produttore/importatore. Le sostanze possono essere classificate come SVHC (sostanze estremamente preoccupanti) se: - sono cancerogene, mutagene, tossiche per la riproduzione (CMR); sono Persistenti, Bioaccumulabili, Tossiche (PBT) oppure very Persistent and very Bioaccumulative (vPvB); causino un livello di interesse simile alle sostanze sopra citate in base a prove scientifiche. Una prima lista di sostanze identificate come SVHC è stata di recente pubblicata dall’agenzia ECHA, Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche. Pertanto anche per i conciatori, essendo produttori dell’articolo cuoio, si rende indispensabile sottoporre a controllo l’articolo finito oppure verificare, con i propri fornitori, se le sostanze elencate nella lista SVHC sono presenti nei prodotti chimici che essi acquistano e usano nei loro processi. In caso positivo e se il contenuto di tali sostanze nel cuoio è superiore allo 0,1% (1000 mg/kg), il conciatore ha allora una serie di obblighi giuridici per quanto riguarda l’uso del prodotto e la notifica ai propri clienti. 1 Sostanze estremamente preoccupanti (SVHC) La lista riportata in Tabella 1 identifica 15 sostanze SVHC le quali non tutte presentano un coinvolgimento nella produzione conciaria. I parametri attinenti al settore conciario, sono costituiti dalla classe degli ftalati, dai cloroalcani C10-C13 e dai composti bromurati, sostanzialmente legati alla produzione di cuoi con caratteristiche di resistenza al fuoco. La presenza del bicromato di sodio come tale non crea problemi poiché, come è noto, è un composto che veniva utilizzato molti anni fa in conceria per la cosiddetta “concia a due bagni” o, talvolta, quale mordenzante per la tintura in nero del pelo di pelli da pelliccia. Entrambi gli usi, ormai sono abbandonati da moltissimi anni. Il bicromato di sodio è quindi da considerarsi correlato al parametro cromo esavalente già soggetto a restrizioni normative e legislative. Relativamente al Tri-n-butilstagno ossido, noto anche come TBT, si ricorda che tale sostanza era già regolamentata dalla direttiva 2002/62/CE, recepita a livello nazionale con il D.M. 11/02/2003, che fa divieto di immettere in commercio i composti organostannici, in composti isolati od associazioni, ad uso di sostanza biocidi. I derivati organici dello stagno (organostannani) sono stati molto utilizzati nel settore navale come anti-alga nelle vernici per le chiglie delle navi. Di questi composti è stata provata, soprattutto per il TBT, la tossicità a livello ormonale, anche a livello di basse concentrazioni. Per questo motivo è stata attuata, a livello mondiale, una moratoria nell’utilizzazione di queste sostanze, che ha coinvolto anche il settore conciario, laddove l’utilizzo degli organostannici, su semilavorati e prodotti chimici deperibili, era correlabile alle relative proprietà antimuffa ed antivegetativa. Anche il 4-4’-diamminodifelnilmetano (CAS N.101-77-9) è una ammina aromatica su cui sono già previste restrizioni relative agli azocoloranti che rilasciano ammine aromatiche cancerogene. Un possibile utilizzo di tale sostanza lo si può trovare nella produzione di alcuni isocianati usati per la sintesi dei poliuretani. Nome Antracene CAS 120-12-7 4,4'-Diamminodifenilmetano 101-77-9 Formula/struttura NH2 H2 N Dibutilftalato 84-74-2 O O O O 2 Nome 5-tert-butil-2,4,6-trinitro-mxilene (musk xylene) CAS 81-15-2 Formula/struttura - O O N+ N+ O N+ -O H Bis (2-etil(esil))-ftalato (DEHP) O H O- O H O H 117-81-7 O O O O Esabromociclododecano (HBCDD) 25637-99-4 Cloroalcani a catena corta, C10C13 (SCCP) 85535-84-8 CxH2x-y+2Cly dove x = 10-13 e y = 1-13 Tri-n-butilstagno ossido 56-35-9 Sn O Sn Benzil-butil ftalato 85-68-7 O O O O Cobalto dicloruro Pentossido di diarsenico 7646-79-9 1303-28-2 CoCl2 As2O5 3 Nome Triossido di diarsenico Idrogenoarsenato di piombo Trietilarsenato CAS 1327-53-3 7784-40-9 15606-95-8 Formula/struttura As2O3 AsHO4·Pb O O Dicromato sodico As O O 7789-12-0 TAB. 1: Lista delle sostanze estremamente preoccupanti 1.1. Ftalati I composti della classe degli ftalati sono plastificanti utilizzati soprattutto nel PVC (cloruro di polivinile), per cui nell’industria conciaria gli articoli critici da tenere sotto osservazione sono essenzialmente i cuoi rifiniti, in particolare questi tipi di plastificanti possono essere presenti nei polimeri di rifinizione come nel caso della nitrocellulosa. Indagini analitiche effettuate presso i nostri laboratori hanno talvolta messo in evidenza la presenza del diisononilftalato in quantità prossima allo 0,1%. Come è possibile notare dalla Tabella 2, tale sostanza non compare nell’elenco delle sostanze SVHC; tuttavia essa è soggetta a restrizione insieme agli altri ftalati indicati nella tabella in diversi marchi ecologici come l’OKO-TEX e capitolati interni di note aziende. Nome Sigla CAS Di-n-butyl phthalate DBP 84-74-2 Di(2-ethylhexyl) phthalate DEHP 117-81-7 Benzyl butyl phthalate BBP 85-68-7 Diisononyl phthalate DINP 28553-12-0 Di-n-octyl phthalate DNOP 117-84-0 Diisodecyl phthalate DIDP 26761-40-0 TAB. 2: Ftalati soggetti a restrizione (lista SVHC e marchi ecologici) Nel primo caso, (marchio OKO-TEX), viene richiesto un limite di 0,1% limite che può essere ancora inferiore nel caso di alcuni capitolati interni. Il metodo di prova generalmente impiegato per questo tipo di indagine prevede l’estrazione del cuoio con acetone/esano e l’analisi quali/quantitativa con l’ausilio della tecnica gascromatografica accoppiata alla massa (GC-MS). 1.2. Ritardanti di fiamma 4 Nella lista SVHC i composti bromurati che posso essere utilizzati come antifiamma in diversi settori comprendono l’esabromociclododecano (HBCDD) e i diastereoisomeri α, β e γ. Tuttavia anche in questo caso ulteriori composti ignifughi sono soggetti a limitazioni d’uso previsti da alcune etichette ecologiche. In particolare un elenco di queste sostanze è riportato nella Tabella 3. Il metodo di prova normalmente applicato prevede un’estrazione soxhlet con acetone:esano in rapporto 1:1 e successiva iniezione al GC-MS. Nome Sigla CAS Polybrominated biphenyles PBB 59536-65-1 TRIS 126-72-7 TEPA 545-55-1 Pentabromodiphenylether pentaBDE 32534-81-9 Octabromodiphenylether octaBDE 32536-52-0 Tri-(2,3dibromopropyl)phosphate Tris-(aziridinyl)phosphinoxide TAB. 3: Antifiamma soggetti a restrizione (marchi ecologici) 1.3. Cloroalcani C10-C13 I cloro alcani a catena corta possono derivare dall’impiego degli ingrassanti di natura sintetica a base di cloro paraffine. Al riguardo il regolamento REACH fornisce delle restrizioni circa tali composti ed in particolare viene riportato che “le cloro paraffine a catena corta C10-C13 (SCCP) non possono essere contenute in concentrazioni superiori all’1% nei prodotti di ingrasso per cuoio. Altre limitazioni prevedono il divieto d’uso di tali componenti oppure un valore limite pari allo 0,1 %. Il metodo di prova normalmente applicato, prevede un’estrazione Soxhlet con diclorometano e successiva iniezione al GC-MS. 2. Ulteriori sostanze soggette a restrizioni 2.1. Composti perfluorurati Le sigle PFOS e PFOA identificano rispettivamente il perfluorottanatosolfonato (C8F17SO3, PFOS) e l’acido perfluoroottanoico (C7F15O2, PFOA). Le formule di struttura dei due composti sono rappresentante in Fig.1. 5 F F F F F F O F F F F F F F F O F F S OH O- F F F F F F F F F F Acido perfluoroottanoico F F F F F F O Perfluorottanato solfonato Fig.1 I composti organici perfluorurati (PFC) sono molecole in cui la catena carboniosa è completamente fluorurata, tutti gli atomi di idrogeno sono quindi sostituiti da atomi di fluoro. La presenza di numerosi atomi di fluoro conferisce ai PFC proprietà fisicochimiche particolari. Grazie a queste proprietà le sostanze chimiche fluorurate sono state usate in quantità sempre maggiori per creare liquidi inerti a bassa tensione superficiale (quindi molto spalmabili) o superfici solide con particolari proprietà (in genere antiaderente). I PFC sono stati utilizzati, quindi, come emulsionanti e surfattanti in prodotti commerciali per la pulizia di tappeti, pelle, tappezzeria, come componenti inerti nei pesticidi, nei contenitori per cibo, come ad esempio contenitori per fast-food, per pizza, padelle antiaderenti (ottenuti con PTFE-politetrafluoroetilene, noto anche come teflon per la cui produzione si utilizza PFOA), nelle pellicole fotografiche, negli shampoo e dentifrici, nelle chiusure lampo e nelle schiume antincendio. A causa delle loro proprietà chimico-fische i PFC sono resistenti all’idrolisi, alla fotolisi, alla biodegradazione e non vengono praticamente metabolizzati; a limite i polimeri si degradano dando luogo a PFC di peso molecolare inferiore, come il PFOS. In particolare il PFOS non viene metabolizzato né chimicamente né biologicamente e l’unico modo attualmente conosciuto per degradarlo è per incenerimento ad alte temperature. Pertanto, il PFOS presenta tutti i criteri per poter essere classificato come altamente persistente, con una elevata tendenza al bioaccumulo e molto tossico; è in pratica un inquinante organico persistente (POP) ai sensi della Convenzione di Stoccolma. Poiché si sospetta che anche l’acido perfluoroottanoico (PFOA) e i suoi sali abbiano un profilo di rischio analogo al PFOS, entrambe le sostanze sono soggette a restrizioni nell’ambito della Direttiva 2006/122/EC. Ad ogni modo è opportuno sottolineare il fatto che l’azienda 3M, la maggiore produttrice a livello mondiale di questi composti, ha deciso volontariamente di non utilizzare più queste sostanze nella loro produzione industriale a partire dal 2002. La direttiva europea sostanzialmente impone per il PFOS i seguenti limiti: - I perfluoroottonatisolfonati non possono essere immessi sul mercato o utilizzati come sostanza o componente di preparati in concentrazione pari o superiore allo 0,005% della massa; - Non possono essere immessi sul mercato in prodotti o articoli semifiniti o parte dei medesimi se la concentrazione di PFOS è pari o superiore allo 0,1% della massa, calcolata con riferimento alla massa delle parti distinte che contengono PFOS; - Per i tessili o altri materiali rivestiti, la quantità di PFOS non deve essere superiore a 1 µg/m2 del materiale di rivestimento. 6 Sulla base di tali restrizioni, in questi ultimi tempi, nell’ambito conciario i limiti indicati nelle richieste dei clienti hanno previsto valori che oscillano fra le 1.000 ppm (0,1%), le 50 ppm (0,005%) e 1 µg/m2. I pochi dati sperimentali disponibili circa la presenza di PFOS e PFOA su alcune pelli finite indicano che le quantità di tali composti come ordine di grandezza è pari a circa 2-3 µg/m2 (0,002-0,004 mg/kg), cioè valori estremamente bassi ma comunque superiori a quelli previsti dalla direttiva per i tessili o altri materiali rivestiti. Tenuto conto che il PFOS è stato ritrovato in pesci, nei crostacei, nei molluschi e nell’acqua potabile è possibile che la sua eventuale presenza nelle pelli finite derivi dalle pelli grezze di partenza. Non esistono, nel campo conciario, metodi normativi e/o ufficiali per la determinazione di tali sostanze. Infatti il metodo proposto in ambito europeo ed elaborato dal CEN/TC 289 non è ancora stato validato. Tale metodo prevede l’estrazione del cuoio con metanolo e l’analisi dei prodotti estratti mediante cromatografia liquida accoppiata alla massa LC-MS oppure LC-MS/MS. 2.2. Dimetilfumarato Il dimetilfumarato, noto anche con la sigla DMF, è l’estere metilico dell’acido fumarico (C6H6O4). Questo composto è un solido cristallino bianco con proprietà preservanti. Infatti è stato usato come inibitore di muffe in sacchetti che vengono poi messi nelle scatole di scarpe e mobili per evitare la crescita di funghi che altrimenti danneggerebbero i prodotti durante il trasporto e lo stoccaggio in climi umidi. In questi ambienti, il dimetilfumarato volatile, che è contenuto nel sacchetto, evapora e può impregnare il cuoio. In questo modo diversi consumatori, venuti a contatto con gli articoli impregnati (divani, calzature), hanno manifestato problemi di allergia cutanea. Al riguardo è stato riscontrato che il DMF è un sensibilizzante allergenico che causa eczemi anche a livelli bassi di concentrazione come ad esempio 1 ppm. È per questo motivo che la Direttiva 2009/251/EEC riporta delle limitazioni circa il DMF che copre anche l’importazione di prodotti da paesi extra UE. In particolare la decisione della Commissione 2009/251/EEC afferma, tra l’altro, che dal 1 maggio 2009 tutti i prodotti devono essere conformi con il limite di meno 0,1 mg/kg di DMF per prodotto o parti di esso. Da quanto precedentemente esposto risulta evidente che il dimetilfumarato non è utilizzato in conceria e non viene utilizzato per la conservazione dei cuoi finiti. La sigla DMF ha, talvolta, generato un po’ di confusione con un’altra sostanza la quale presenta una abbreviazione simile e cioè la dimetilformammide (Fig.2). O O H3CO CH3 OCH3 O H N CH3 Dimetilfumarato N,N-dimetilformammide Fig.2 7 Questa sostanza è un solvente che può essere utilizzato nella fasi di rifinizione e negli ultimi tempi in qualche caso, viene richiesta la sua determinazione anche nel caso di campioni in cuoio. Attualmente non vi è un metodo analitico internazionalmente riconosciuto per la determinazione del dimetilfumarato nel cuoio o nei sacchetti. Tuttavia la SSIP ha messo a punto un metodo con l’ausilio della GC-MS che garantisce adeguatamente sia la rilevabilità di concentrazioni prossime al valore limite indicato nella legislazione vigente, che la necessità di poter distinguere il dimetilfumarato dalla dimetilformammide. In particolare di seguito si riportano gli spettri di massa relative alle due sostanze, dai quali si evince che i picchi di frammentazione, utilizzati per il riconoscimento qualitativo e la quantificazione di tali sostanze, sono completamente differenti. 113 10000 Abundance 8000 6000 85 59 4000 26 53 2000 29 39 82 100 144 0 20 40 60 80 100 120 140 m/z Spettro di massa del Dimetilfumarato 8 73 10000 44 Abundance 8000 6000 42 4000 28 30 2000 15 18 39 58 72 0 0 20 40 60 80 m/z Spettro di massa della N,N-dimetilformammide 3. Conclusioni Il regolamento REACH può rappresentare per le aziende capaci di affrontare i problemi in modo attivo, un’opportunità competitiva rilevante. Del resto, l’industria conciaria italiana ha costruito la propria leadership internazionale nel mercato dei prodotti di alta gamma grazie ad una attenzione straordinaria agli aspetti qualitativi delle proprie produzioni. Il maggior controllo sull’utilizzo dei prodotti chimici nel processo produttivo e, conseguentemente il monitoraggio delle caratteristiche eco-tossicologiche del cuoio, può costituire un vantaggio significativo non solo in termini di qualità reale del prodotto, ma anche di immagine, garantendo tranquillità ai clienti e ai consumatori finali, rispetto a prodotti provenienti da paesi extraeuropei. Al riguardo negli ultimi tempi sono partite numerose richieste verso le concerie da parte di note aziende utilizzatrici del cuoio, di rilasciare una dichiarazione scritta di non utilizzo delle sostanze estremamente preoccupanti per la produzione del cuoio. Pertanto una non adeguata verifica di tali sostanze può comportare anche il rischio che i consumatori finali, tramite le loro associazioni, possano analizzare gli articoli messi in vendita e pubblicizzarne negativamente quelli non in regola, come già successo più volte nel recente passato per altre sostanze considerate nocive. In definitiva la problematica delle sostanze SVHC, così come quella di altre sostanze soggette a più recenti restrizioni si aggiunge come nuovo argomento cruciale, legato alla commercializzazione del cuoio, rispetto a quelle già note e relative al cromo VI, alla formaldeide, al PCP, ai coloranti azoici e ai metalli pesanti. 9 BIBLIOGRAFIA 1) Naviglio B., Tomaselli M., Romagnuolo M., Calvanese G., L’impatto del regolamento REACH nell’industria conciaria: CPMC, 2, 67-73, 2009. 2) BLC Leather Technology Centre, PFOS and PFOA: Leather International, May, 2008. 3) BLC Leather Technology Centre, Dimethylfumarate - The Background, Leather Internazional, May, 2009. 10