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tesi soccorso in valanga
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BRESCIA Dipartimento di Specialità Medico Chirurgiche, Scienze Radiologiche e Sanità Pubblica CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA ELABORATO FINALE: SALVATAGGIO E TRATTAMENTO DEL PAZIENTE IPOTERMICO TRAVOLTO DA VALANGA Referente: Dott. Rainiero Rizzini Studente: Jennifer Gazzoli Matricola 81449 Anno Accademico 2012/ 2013 Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 0 INDICE INTRODUZIONE pag. 3 1. LA VALANGA 1.1. La neve pag. 5 1.2. La stabilità del manto nevoso pag. 6 1.3. La classificazione pag. 8 1.4. La tipologia pag. 10 1.5. Le cause pag. 13 2. L’IPOTERMIA 2.1. La termoregolazione pag. 17 2.1.1 Impulsi afferenti 2.1.2 Regolazione centrale 2.1.3 Risposta efferente 2.2. L’ipotermia accidentale pag. 21 2.2.1 La classificazione 2.3. Gli effetti dell’ipotermia sui sistemi corporei pag. 23 2.4. Le misure di primo soccorso per il trattamento dell’ipotermia pag. 26 3. LA RICERCA DEL DISPERSO E IL TRATTAMENTO SANITARIO 3.1. L’autosoccorso pag. 30 3.1.1 Sequenza operativa 3.2. Il soccorso organizzato pag. 35 3.3. Il trattamento sanitario del paziente pag. 40 3.4. Le cause di morte del paziente ipotermico pag. 41 Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 1 3.5. L’intervento sanitario pag. 43 3.6. Il trattamento per ogni stadio dell’ipotermia pag. 44 4. LA VALANGA CIMA CALOTTA 18/05/2013 4.1. La gestione dell’intervento in valanga pag. 47 CONCLUSIONI Bibliografia Ringraziamenti Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 2 INTRODUZIONE L’argomento scelto come elaborato finale nasce dal mio interesse per la neve. La passione sciistica e l’amore per la montagna mi hanno accompagnato durante tutta la vita e credo mi indirizzeranno anche nella futura scelta lavorativa. Gli incidenti da valanga coprono una buona percentuale degli interventi effettuati dalla Centrale Operativa del 118 di Brescia durante il periodo invernale e primaverile. Queste missioni richiedono maggior specializzazione nelle competenze degli infermieri, che si dimostrano professionisti sanitari capaci di lavorare in un ambiente extraospedaliero ed ostile. Gli infermieri dell’elisoccorso sono parte attiva sul fronte della valanga e collaborano con i volontari del CNSAS (Corpo Nazionale Soccorso Alpino Speleologico), supporto fondamentale per le conoscenze tecniche e nel garantire la sicurezza della scena in montagna. Da quanto ho appreso durante questi studi, il fattore tempo è ciò che può fare la differenza sull’esito del soccorso e scelta primaria della Centrale Operativa ricade nell’ inviare sul fronte della valanga il mezzo avanzato più rapido, quindi l’équipe di Elisoccorso ed il personale CNSAS (cinofili, OSA, TESA, TE, medici ed infermieri) della stazione più vicina al luogo dell’evento; queste figure collaborano e lavorano cercando di salvare le vittime coinvolte. Nel primo capitolo viene trattato l’evento valanghivo in generale, considerata la classificazione delle valanghe, studiate le cause e le forze fisiche coinvolte nel fenomeno ed inoltre contestualizzato l’evento che descriverà lo scenario d’intervento dove opereranno gli infermieri. Nel secondo capitolo viene riportato l’argomento cardine di questa discussione che coincide con l’ipotermia accidentale, problema clinico principale riportato dalle vittime seppellite da valanga, danno che l’infermiere, con il resto dell’équipe, cerca di controllare per salvare la vita del paziente. Descritta la termoregolazione che regola la temperatura corporea, viene spiegata cosa sia l’ipotermia, facendo particolare riferimento agli stadi dell’ipotermia accidentale e agli effetti dannosi sui sistemi corporei. Nel terzo capitolo prende avvio la parte di intervento infermieristico; inizialmente vengono delineate le linee guida di come si procedere nell’Autosoccorso (prearrivo dei soccorsi), poi viene spiegato in cosa consiste il Soccorso Organizzato. Vengono descritti i metodi di ricerca utilizzati dai tecnici del Soccorso Alpino e Speleologico e dagli infermieri specializzati per ricercare il disperso. Trovato il disperso dal CNSAS, i professionisti sanitari, medico e infermiere dell’elisoccorso, collaborano con i tecnici ed il personale sanitario del CNSAS per stabilizzare il paziente e poterlo trasferire al centro Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 3 ospedaliero adeguato alle sue esigenze. Disseppellita la vittima viene identificato quale sia lo stadio specifico di ipotermia e a seconda della gravità viene eseguito l’intervento sanitario più appropriato. Nel quarto capitolo è descritto un caso clinico reale riguardante una missione del 18 maggio 2013, coordinata dalla Centrale Operativa del 118 di Brescia, dalla ricerca al ritrovamento, la stabilizzazione sul posto e il trasporto del paziente. Infine viene preso in considerazione l’inserimento del Protocollo AREU sulla Gestione dell’intervento in valanga. Questo Elaborato Finale è una revisione della letteratura e le fonti utilizzate per la sua stesura sono tratte letterarie da libri e materiale multimediale come SISSI “Società Italo Svizzera Studi Ipotermia” www.ipotermia.org, AINEVA “ Associazione Interregionale Neve e Valanga ” www.aineva.it , il Sito Ufficiale del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico www.cnsas.it . Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 4 3. LA VALANGA Le origini dei nostri attuali termini “valanga” e “slavina” sono da ricercarsi nella lingua latina. Nei testi antichi erano chiamate “labinae” o “lavanchiae”. Lavanchiae è probabilmente di origine pre-latina, forse ligure, ed ha la stessa radice di “lave” che significa scorrere di fango o lava. Molto più tardi la confusione con il vocabolo francese “aval” (che significa “verso valle, all’ingiù”) produsse l’attuale vocabolo “avalanche”, usato in inglese e francese, da cui deriva “valanga” in italiano. Il termine si potrebbe applicare alla caduta di qualunque materiale, ma quando lo si usa senza specificazioni ci si riferisce sempre alla caduta di neve. L’altro vocabolo latino labinae deriva da “labi” che significa “slittare, scivolare giù”. In seguito la parziale intercambiabilità delle lettere b, v e u originò molti termini propri di particolari regioni alpine come lauie, lavina, lauina e infine l’attuale vocabolo tedesco lawine, introdotto nell’uso corrente da Schiller e Goethe, da cui deriva il termine italiano “slavina”. Gli Uffici Valanghe Italiani dell’AINEVA hanno concordato di utilizzare un termine unico: quando si parla di una massa di neve in movimento lungo un pendio, piccola o grande che sia, si parla di valanga. 3.1. La neve La presenza di temperature negative all'interno delle nubi determina la costruzione del cristallo di neve: esso prende origine dalla sublimazione delle goccioline di vapore acqueo attorno a minuscoli nuclei di congelamento. Ancora nell'atmosfera la temperatura ed il grado di umidità influenzano lo sviluppo del cristallo secondo direttrici diverse: verso l'alto, sui lati oppure sugli angoli, determinando la formazione di diverse tipologie di cristalli. Questi, turbinando nell'aria, possono combinarsi tra loro formando i ben visibili fiocchi di neve. Difficilmente i cristalli arrivano indenni al suolo: già durante la caduta la loro forma può essere assai modificata soprattutto per effetto del vento. La loro vita al suolo è poi soggetta ad altre trasformazioni, dette metamorfismi, determinate dalle variazioni della temperatura dell'aria che influenza il manto nevoso: Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 5 - temperatura dell'aria prossima agli 0 °C mantiene temperature simili anche all'interno del manto favorendo l'arrotondamento dei cristalli e l'assestamento della neve (metamorfismo distruttivo); - temperatura dell'aria fortemente negativa determina la formazione di strati più freddi all'interno del manto in prossimità della superficie e strati con temperature prossime allo zero in profondità. Questa differenza di temperatura della neve, in rapporto allo spessore del manto stesso, viene definita gradiente. Quanto più esso è elevato, tanto più è favorita la costruzione di cristalli sfaccettati, o a calice, negli strati basali ed intermedi (metamorfismo costruttivo). In superficie, invece, con questa temperatura abbiamo la cristallizzazione dell'umidità dell'aria e la formazione di brina; - il raggiungimento di temperature di 0° C del manto nevoso, dovuto a radiazione solare, irraggiamento geotermico, vento o altri fattori determina la fusione dei grani e dei cristalli di neve (metamorfismo da fusione). Le precipitazioni nevose si sovrappongono cronologicamente le une alle altre formando degli strati con caratteristiche fisiche e meccaniche differenti e tendono a sviluppare forze e tensioni che, sui pendii ripidi, non sempre si controbilanciano: ecco allora che i legami si indeboliscono ed è la valanga. 3.2. La stabilità del manto nevoso Per manto nevoso si intende il deposito al suolo di tutti i cristalli di neve e ghiaccio formatisi in atmosfera e successivamente precipitati per effetto della forza di gravità: una combinazione di ghiaccio e aria. I cristalli, sia in atmosfera sia al suolo, sono soggetti a continue trasformazioni, ed a seconda delle condizioni fisiche e climatiche dell'ambiente in cui si trovano, possono modificare la loro struttura, aggregarsi fra loro, variare i volumi e le forme. Di conseguenza anche le caratteristiche fisiche e meccaniche, e quindi la stabilità del manto nevoso stesso, mutano nel tempo. La "materia" neve, una volta depositata al suolo, non ha una struttura sempre uguale nel tempo e nello spazio, ma come una specie di "torta", presenta numerose stratificazioni, con caratteristiche anche molto diverse fra di loro, indice di formazione e successive trasformazioni avvenute in condizioni "climatiche" ed ambientali diverse. Anche se alla semplice vista può sembrare un corpo rigido, il manto Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 6 nevoso in realtà ha un comportamento simile a quello di un fluido viscoso, molto denso, le cui proprietà meccaniche dipendono principalmente dalla temperatura e dalla velocità con cui intervengono le sollecitazioni. Le sollecitazioni e i movimenti Le sollecitazioni a cui il manto è sottoposto sono essenzialmente compressione, trazione e taglio. Ovviamente la capacità di reazione è molto diversa: mentre è relativamente buona per la compressione, possiamo ritenerla piuttosto scarsa, se non pessima, a seconda del tipo di neve e della velocità di sollecitazione, rispettivamente per trazione e taglio. Se la sollecitazione è applicata molto lentamente si hanno delle deformazioni viscose , poiché il manto ha la capacità di assorbire e dissipare la sollecitazione stessa, mentre se l'applicazione è veloce sono molto probabili delle fratture elastiche; pensiamo ad esempio al peso di una nuova nevicata che pur rappresentando una notevole sollecitazione, può avere sul manto l'effetto di assestamento, mentre il sovraccarico dovuto al passaggio di uno sciatore potrebbe significare il distacco di una valanga. In realtà i movimenti lenti del manto nevoso, e cioè quelli che in ogni momento lo interessano e che determinano le deformazioni tipiche della neve, oltre all’assestamento, comprendono anche lo scorrimento e lo slittamento. Lo scorrimento, a causa degli attriti fra manto nevoso e terreno e fra gli strati stessi, risulta più marcato nelle zone più superficiali; anche lo slittamento, cioè lo scorrimento dell'intero manto nevoso rispetto al terreno, dipende principalmente dall'attrito fra base del manto e terreno stesso, ma è fortemente influenzato dall'angolo di inclinazione del pendio. La stabilità Il manto nevoso è soggetto alla forza di gravità che si manifesta con movimenti e deformazioni più o meno evidenti a seconda della velocità e dell'intensità delle forze che entrano in gioco. Con l’applicazione di queste forze su un piano orizzontale, l'effetto risultante nel tempo è l'assestamento, cioè la riduzione di spessore e di volume con conseguente aumento della densità della massa nevosa e la diminuzione dell'altezza del manto. Quando il piano è inclinato, la forza T, componente parallela al terreno della forza peso P, determina una sollecitazione tale da causare il movimento lungo il pendio. Se questa sollecitazione è veloce e non controbilanciata da attriti e forze resistenti avremo il Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 7 fenomeno valanga. I principali fattori che influenzano la stabilità del manto nevoso sono quindi l'inclinazione dei pendii e l'altezza del manto che, con il loro aumento, accrescono la componente della forza peso parallela al pendio. Possiamo quindi introdurre il concetto di grado di stabilità S, definendolo come rapporto fra le forze resistenti R, cioè quelle che si oppongono al movimento, e le forze propulsive T, cioè quelle parallele al pendio che tendono a muovere il manto: S = R/T E pertanto: -se R>T sarà S >1 e si avranno condizioni di stabilità; -se R=T sarà S=1 e si avranno condizioni di equilibrio precario; -se R< 1 sarà S<1 e si avranno condizioni di instabilità (valanga). Non dobbiamo comunque dimenticare che nella realtà molto spesso la situazione è più complessa a causa dell'estrema variabilità del manto nevoso, che a sua volta è legata alla variabilità di terreno, vegetazione, quota, esposizione eccetera. Nel manto infatti possiamo avere, anche in spazi ridotti, una estrema varietà di situazioni con zone caratterizzate da tensioni molto forti e zone con resistenze molto deboli. 3.3. La classificazione In ogni tipo di valanga è possibile riconoscere una zona di distacco, una di scorrimento ed una terminale di accumulo o arresto. La zona di distacco è il luogo dove si origina il fenomeno. Sovente è collocata in prossimità delle creste dorsali, al di sopra del limite della vegetazione forestale o dove la neve, a seguito di nuove precipitazioni o del trasporto eolico, si accumula. Qui la neve instabile si frattura e comincia a muoversi. Perché una valanga si inneschi è necessaria un’inclinazione del pendio di almeno 30°; sotto tale valore il distacco risulta estremamente raro. Altri fattori influenzano il distacco: la morfologia del terreno, la quota, l’esposizione, la copertura vegetale ed il sovraccarico esterno. La zona di Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 8 scorrimento è l’area compresa tra la zona di distacco e quella di arresto; è qui che la valanga raggiunge la sua massima velocità. Tale zona, spesso, è caratterizzata, oltre che da elevate pendenze, dalla quasi totale assenza di vegetazione arborea o dalla presenza di specie arboree differenti o di età diversa rispetto alle zone limitrofe. La zona di accumulo è il luogo dove la massa nevosa rallenta progressivamente fino a fermarsi. Può essere un ampio ripiano, un fondovalle o il versante opposto di una vallata. Qui le valanghe possono essere deviate anche da piccoli ostacoli, come gli alberi di un bosco. Da sempre gli abitanti delle montagne e gli studiosi hanno cercato di classificare le valanghe, ma, date le notevoli variabili che entrano in gioco (tipo di distacco, tipo di neve, posizione del piano di scorrimento ), qualsiasi classificazione è risultata insufficiente per cogliere tutti gli aspetti. L’unico modo per caratterizzare inequivocabilmente un evento valanghivo è definire una serie di criteri: -Tipo di distacco Si possono verificare due modalità di innesco di un fenomeno valanghivo: il distacco puntiforme che genera una valanga di neve a debole coesione ed il distacco lineare che dà luogo ad una valanga a lastroni. Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 9 -Posizione della superficie di slittamento Se la rottura avviene all’interno del manto nevoso si ha una valanga di superficie, mentre se avviene a livello del terreno la valanga è detta di fondo. -Umidità della neve In base al diverso contenuto in acqua possono essere osservate valanghe di neve umida e valanghe di neve asciutta; queste ultime possono anche essere polverose o nubiformi. -Forma del percorso Quando la valanga scorre all’interno di un canale o di una gola è detta incanalata, quando invece scorre su un pendio aperto è detta di versante. -Tipo di movimento Se il moto della valanga avviene a contatto della superficie questa viene detta radente, se invece la valanga si sviluppa sotto forma di nuvola di polvere di neve viene detta nubiforme. Le valanghe miste abbinano entrambi i moti. -Causa innescante In base a tale caratteristica si distinguono infine le valanghe spontanee e le valanghe provocate . 3.4. La tipologia - Valanghe a di neve a debole coesione: nelle valanghe a debole coesione il movimento si origina a partire da una o alcune particelle di neve incoerente, e durante la caduta si propaga ad altra neve, formando una traiettoria via via più larga, di forma triangolare detta anche a “pera”. Per consentire la propagazione del moto queste valanghe richiedono pendenze superiori a quelle sulle quali si sviluppano normalmente le valanghe a lastroni; è stato osservato che la maggior parte di esse si formano su pendii con inclinazione compresa tra 40° e 60° (fig.9). La neve a debole coesione, quando è polverosa, è molto leggera, ha una densità inferiore a 100 Kg/m3 e la sua temperatura è sempre inferiore a 0° C. Valanghe di neve a debole coesione, alle nostre latitudini, si formano generalmente in inverno, con temperature dell’aria basse e dopo abbondanti nevicate. Se la pendenza del Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 10 versante non è molto elevata la distanza percorsa da queste valanghe è breve e non si raggiungono elevate velocità. Anche l’estensione in larghezza risulta complessivamente ridotta rispetto alle valanghe a lastroni. Tuttavia le valanghe a debole coesione possono essere anche di neve bagnata; in questo caso la neve ha una densità nettamente superiore con valori prossimi anche ai 300-500 Kg/m3 e temperature vicine agli 0° C. Queste sono molto lente e si innescano su pendii anche inferiori ai 30°. - Valanghe di neve a lastroni: le valanghe a lastroni sono dovute al distacco improvviso di un intero lastrone di neve coerente, a partire da un fronte più o meno esteso. In esse la neve si stacca a lastre e solo durante il movimento queste si spezzano in frammenti di minori dimensioni. Perché si formi un lastrone è necessario che all’interno della coltre nevosa ci siano strati con una coesione sufficientemente elevata da consentire la trasmissione delle sollecitazioni a grande distanza e che ci sia una scarsa legame tra il lastrone e lo strato sottostante. Ciò avviene, per esempio, per l’azione del vento che determina una frantumazione meccanica dei cristalli di neve con conseguente compattazione dello strato e scarsi legami tra lo strato rimaneggiato e quello sottostante (si parla in questo caso di lastroni da vento caratterizzati da una densità superiore ai 200 Kg/m3). Le valanghe a lastroni possono essere di superficie o di fondo a seconda che si muovano solo alcuni strati superficiali o l’intero manto nevoso. Le prime sono le più comuni: in esse uno strato più fragile funge da piano di distacco e su di esso slitta uno strato più o meno spesso di neve asciutta che generalmente viene apportata dal vento. Ma il lastrone, talvolta, può essere costituito da neve soffice (la densità in questo caso può essere anche prossima ai 100 Kg/m3). Le valanghe a lastroni si formano con maggior frequenza su pendii aventi inclinazione variabile tra 30° e 50°, tuttavia si possono avere distacchi anche con pendenze più basse. Nella maggior parte dei casi il distacco avviene per un aumento del carico sul manto nevoso dovuto al passaggio di sciatori; le valanghe in questo caso vengono dette “provocate”. Esse possono raggiungere velocità elevate in spazi brevi, presentando una forte accelerazione. In condizioni di versante particolarmente accidentato i lastroni, durante il moto, possono addirittura frantumarsi dando origine a valanghe di tipo nubiforme. - Valanghe di neve umida: si definisce neve umida o bagnata quella che contiene acqua allo stato liquido ed ha una temperatura di 0 °C. È più pesante di quella asciutta (con Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 11 densità variabile mediamente fra 300 e 400 Kg/m3). Le valanghe di questo tipo, che nella zona di distacco possono essere sia puntiformi (a debole coesione) sia a lastroni (a elevata coesione) con distacco per linee spezzate, si formano dopo un forte rialzo termico: sono quindi tipiche, anche se non esclusive, del periodo primaverile. Si possono rilevare anche d’inverno dopo una circolazione sciroccale che abbia instaurato una fase di disgelo o apportato piogge in quota per più giorni. Sono caratterizzate da una velocità di scorrimento piuttosto modesta (30-50 Km/h), e, data la loro elevata densità, travolgono e spingono a valle tutto ciò che incontrano. Seguono percorsi preferenziali determinati dalla morfologia del terreno, quali canaloni o impluvi del reticolo idrografico. Caratteristiche di queste valanghe sono le striature che talvolta lasciano lungo il percorso, dovute a incisioni sul fondo e sui fianchi del versante operate dai massi e dal materiale detritico trasportati dalla massa nevosa. - Valanghe di neve asciutta e valanghe di neve mista: se invece la valanga si sviluppa lungo versanti molto acclivi, la neve si mescola all’aria e forma una nube, un aerosol di piccole particelle di neve fredda e asciutta, che scende a velocità molto elevate, anche oltre i 300 Km/h. Si parla in questo caso di valanga nubiforme. La possibilità di formazione di valanghe di questo tipo è legata al distacco di un lastrone di neve asciutta che, scorrendo su un pendio particolarmente scosceso e accidentato, si spezza in blocchi e frammenti ed ingloba grandi quantità d’aria. Se la velocità supera i 100 Km/h, le particelle di neve asciutta si disperdono in una nube (di densità compresa tra 3 e 15 Kg/m3) che scorre a velocità elevatissima, con altezza di scorrimento anche di alcune decine di metri. Essa non segue percorsi preferenziali, ma scorre dritta lungo il versante superando qualsiasi ostacolo morfologico o strutturale; pertanto lo spazio di arresto risulta di molto superiore a quello delle valanghe radenti. Queste valanghe sono caratterizzate dallo sviluppo di un soffio, ovvero un’onda di pressione d’aria che sopravanza il fronte visibile della valanga ed ha un enorme potere distruttivo. La maggior parte dei fenomeni osservabili sono tuttavia costituiti da valanghe miste, nelle quali i blocchi più grossi si muovono scorrendo radenti alla superficie del pendio, mentre le particelle più piccole vengono trasportate dall’aria. Generalmente su pendii ripidi le componenti radente e polverosa procedono alla stessa velocità, mentre su pendii meno acclivi la componente polverosa precede quella radente, percorrendo spazi maggiori. Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 12 3.5. Le cause Le cause scatenanti delle valanghe dipendono dalle caratteristiche del manto nevoso e da altri fattori. Tra le cause naturali si annoverano: sovraccarico nevoso al di sopra di un pendio: aumenta la gravità che agisce contro la forza di coesione dei cristalli di ghiaccio; tale rischio aumenta con la pendenza e nei versanti sottovento per l'accumulo eolico di neve come ad esempio nei canaloni. Questo tipo di fattore di rischio dà spesso luogo a valanghe di fondo. precipitazioni nevose su un pendio innevato ghiacciato o già fortemente consolidato: la ridotta coesione tra i due strati formatisi determina una disomogeneità o discontinuità del profilo di coesione del manto nevoso che facilita lo slittamento e scorrimento a valle della massa nevosa superficiale (effetto scivolo e valanghe di superficie); tali valanghe superficiali sono comunemente dette slavine; tale rischio aumenta se la qualità della neve superficiale è resa pesante da alta umidità dell'aria. precipitazione piovosa su un pendio abbastanza innevato: aumenta il carico gravitazionale e riduce contemporaneamente anche la forza di coesione; si accompagna spesso all'innalzamento termico. innalzamento termico: favorisce l'instabilità del pendio innevato diminuendo la forza di coesione; se provoca anche la fusione parziale del manto nevoso il rischio aumenta ancor di più; tale rischio aumenta nei versanti esposti a sud per via della maggiore insolazione, nelle ore centrali della giornata e nel periodo primaverile di disgelo. vento: agisce meccanicamente aumentando localmente il carico gravitazionale o diminuendo le forze di coesione fino al raggiungimento e superamento del carico di rottura; tale rischio aumenta con l'intensità del vento e nei versanti sopravvento. Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 13 Tra le cause artificiali ovvero umane si annoverano essenzialmente: passaggio di uno o più sciatori o alpinisti su un pendio a rischio ovvero vicino alla soglia limite di rottura: l'azione scatenante è impartita anche solo attraverso il peso dello sciatore, spesso amplificato dal moto verso valle dello stesso e da manovre brusche o del tutto errate o sconsigliate come la traversata longitudinale del pendio a rischio; cariche di esplosivo volutamente e debitamente piazzate per produrre una valanga artificiale e diminuire così il rischio connesso all'instabilità conclamata del pendio. Possono essere fattori mitigatori del rischio l'eventuale geomorfologia del pendio (pendio fortemente sconnesso cioè sassoso e ruvido), la presenza di vegetazione sufficiente, condizioni meteorologiche favorevoli come freddo intenso. La probabilità di una valanga aumenta quindi proporzionalmente con l'accumulo nevoso, la pendenza e la particolare geomorfologia del pendio (luoghi particolarmente a rischio risultano i canaloni per l'accumulo eolico di neve), condizioni meteorologiche sfavorevoli, la temperatura e il vento. Si suole spesso assegnare una pendenza critica al pendio per la generazione di valanghe, ma episodi valanghivi possono verificarsi anche su pendii non considerati a rischio per la pendenza quando gli altri fattori di rischio menzionati agiscono in combinazione tra loro o in discesa da pendii superiori oltre tale criticità. Spesso le valanghe sono più frequenti nel periodo primaverile quando si sommano molti dei fattori di rischio sopraesposti, ovvero in corrispondenza di nevicate particolarmente abbondanti con neve molto umida su pendio già molto assestato o ghiacciato e maggior rischio dovuto ai repentini e accentuati sbalzi termici per la maggiore insolazione. In genere le valanghe sono più frequentemente causate da un fattore scatenante di tipo umano al di sopra di un pendio già a rischio ovvero fattori naturali e umani si legano insieme tra loro. In generale dunque per diminuire il rischio di incorrere in una valanga e procedere in condizioni di relativa sicurezza, dopo un periodo particolarmente nevoso, occorre attendere l' assestamento del manto nevoso, processo che passa generalmente attraverso una fase critica di rischio, durante la quale è altamente sconsigliata l'attività escursionistica. Questa Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 14 fase è caratterizzata da metamorfismo dei cristalli di ghiaccio favorito da condizioni avverse quali aumento termico e/o precipitazioni piovose in grado di provocare fusione e successivo ricongelamento e/o eventuali distacchi spontanei e, superata la quale, il manto trova condizioni di maggiore equilibrio per aumentata coesione. Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 15 4. L’IPOTERMIA L'ipotermia si definisce come un abbassamento della temperatura corporea al di sotto dei 35° C. A questa temperatura, il sistema responsabile della termoregolazione si indebolisce perché la risposta fisiologica compensatoria, per ridurre la perdita di calore, è parzialmente inibita. Possiamo distinguere un’ipotermia accidentale o primaria, a seguito di permanenza in un ambiente freddo senza un’adeguata protezione, e un’ipotermia secondaria. Quest’ultima può rappresentare la complicanza di una patologia che influisce sul controllo centrale o periferico della termoregolazione. Le cause dell’ipotermia secondaria sono la diminuzione della produzione di calore per insufficienza endocrinologia e alimentazione insufficiente; l’aumento della perdita di calore per esposizione ambientale o per vasodilatazione indotta dall’assunzione di alcool e droghe. Si possono riconoscere altre cause nei danni ai centri della termoregolazione per accidenti cerebrovascolari o per neuropatie. I segni clinici evidenti dell’ipotermia sono: brividi difficoltà motoria cute e mucose bluastre riduzione della frequenza cardiaca e della frequenza respiratoria sonnolenza alterazione dello stato di coscienza L’ipotermia viene distinta in quattro gradi: Grado 1: Brivido, sensazione di freddo, non alterazioni della coscienza. 35°-32° C Grado 2: Stato soporoso, nessun brivido. 32°-28°C Grado 3: Incoscienza, parametri vitali rilevabili. 28°-24°C Grado 4: Assenza di segni vitali. <24°C Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 16 2.2. La termoregolazione L’essere umano è un organismo omeotermo che, a differenza degli organismi poichilotermi o pecilotermi che si adattano all’ambiente climatico esterno, necessita di una temperatura corporea interna costante. La termoregolazione ha il compito di mantenere una temperatura corporea centrale attorno ai 37°C con possibilità di variazione di alcuni decimi di gradi centigradi. Il mantenimento di una temperatura interna costante, permette all’organismo lo svolgimento delle proprie funzioni vitali, come l’attività cardio – circolatoria, il metabolismo cellulare o l’omeostasi dell’equilibrio acido – base. La termoregolazione fisiologica viene garantita tramite l’elaborazione di impulsi termici afferenti, la risposta centrale a tale informazione e l’attivazione di meccanismi periferici, indotti da impulsi efferenti. 2.2.1 Impulsi afferenti La rilevazione della temperatura corporea avviene con l’ausilio di cellule termicamente sensibili centrali e periferiche distribuite sul corpo. Responsabili di tale rilevazione sono due tipi di cellule, le une sensibili al freddo e le altre sensibili al caldo, differenti tra loro nella forma anatomica e nel funzionamento fisiologico. Sia i recettori del caldo che quelli del freddo reagiscono a modificazioni della temperatura (interna ed esterna), aumentando la propria attività in relazione ad un aumento o ad una diminuzione della temperatura. Le informazioni del freddo vengono condotte in prevalenza attraverso fibre nervose Aδ, mentre quelle del caldo attraverso fibre nervose amieliniche C. Le fibre nervose C percepiscono e conducono inoltre sensazioni dolorifiche; una sensazione di calore intenso non è distinguibile da una sensazione di dolore acuto e pungente. La maggior parte delle informazioni termiche ascendenti, attraversano il tratto spinotalamico nel midollo spinale anteriore, in assenza tuttavia di un fascio del tratto spinale responsabile della conduzione termica. Solo una lesione completa del midollo spinale provoca la perdita della risposta termoregolatoria. Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 17 2.2.2 Regolazione centrale La temperatura è regolata a livello centrale principalmente dall’ipotalamo, che confronta gli impulsi termici provenienti dai vari tessuti con i valori soglia predeterminati. Molte rilevazioni termiche sono analizzate nel midollo spinale ed in altre parti del sistema nervoso centrale. Modificazioni della temperatura corporea centrale richiedono una risposta termoregolatoria e l’intensità di essa è direttamente proporzionale alla modificazione della temperatura corporea. L’efficacia della risposta termoregolatoria alle modificazioni termiche risulta dalla temperatura corporea centrale misurata e dalle misure termoregolatorie adottate. La temperatura corporea varia secondo un ciclo giornaliero (ciclo circadiano) ed inoltre nella donna è soggetta mensilmente a variazioni derivanti dal ciclo mestruale (variazioni di circa 0,5°C). La soglia ideale della temperatura può subire modificazioni in seguito a numerosi altri fattori, sia interni che esterni: l’esercizio fisico, l’alimentazione, le infezioni, l’ipo- e ipertiroidismo, gli anestetici e altre sostanze. La risposta del sistema neurovegetativo avviene per l’80% dalle informazioni provenienti dalle strutture centrali, mentre la risposta comportamentale (ad esempio l’attività fisica, l’uso di indumenti idonei, etc.) avviene inseguito ad informazioni dalla superficie cutanea. Il range intersogliare, denominato anche “zona nulla”, descrive la soglia di temperatura compresa tra quella della sudorazione e quella della vasocostrizione. In questa fascia di temperatura non avvengono risposte autonome. La sudorazione e la vasocostrizione sono i due meccanismi che regolano questo range. La termoregolazione centrale può infine subire delle alterazioni anche a causa dell’età. 2.2.3 Risposta efferente Il corpo risponde ad alterazioni dei livelli ideali della temperatura corporea attraverso meccanismi effettori, aumentando la produzione di calore per via metabolica oppure modificando le perdite di calore verso l’ambiente circostante. I meccanismi termoregolatori attivati dal corpo dipendono dalla temperatura rilevata e conducono alla produzione o conservazione del calore secondo la necessità. Un’inibizione degli effettori specifici, come avviene farmacologicamente con la somministrazione di Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 18 miorilassanti, altera le possibilità di compensazione dell’organismo per il mantenimento dell’omeostasi della temperatura corporea. L’organismo utilizza due tipi di risposta ad eventuali cambiamenti della temperatura corporea: la risposta neurovegetativa e la risposta comportamentale. La risposta comportamentale è il meccanismo effettore più importante. La copertura del corpo con indumenti appropriati, la modificazione della temperatura ambientale (ad esempio all’interno dei luoghi di soggiorno o di abitazione) ed il movimento attivo sono esempi di questo tipo di risposta. La risposta neurovegetativa comprende la vasocostrizione e la vasodilatazione dei vasi sanguigni, l’erezione pilifera, i brividi, la sudorazione e la termogenesi metabolica. La vasocostrizione è la risposta neurovegetativa maggiormente usata dall’organismo e permette di ridurre efficacemente la perdita di calore attraverso la convezione e la radiazione. Il circolo sanguigno a livello della cute si distingue in una componente nutrizionale (prevalentemente capillare) ed una termoregolatrice (prevalentemente shunt arterovenosi), differenti tra loro sia anatomicamente che funzionalmente. Gli shunt arterovenosi sono usati come un sistema “on” – “off” e vengono attivati in seguito a variazioni di alcuni decimi di grado centigrado della temperatura corporea centrale. Circa il 10% della gittata cardiaca attraversa gli shunt arterovenosi. Quindi una vasocostrizione degli shunt arterovenosi comporterà un incremento della pressione arteriosa media di 15 mmHg. -La termogenesi non muscolare aumenta la produzione di calore mediante metabolismo. Il metabolismo è controllato dalla norepinefrina, rilasciata a sua volta da terminazioni nervose adrenergiche. Le maggiori fonti per la produzione di calore non muscolare nell’adulto sono la massa muscolare scheletrica ed il grasso bruno. -Il tremore (brivido), aumenta la produzione di calore metabolica del 50% – 100%. La produzione di calore è molto superiore se indotta da esercizio fisico (500%). -La sudorazione è mediata da terminazioni colinergiche ed è uno dei più efficaci meccanismi di cui dispone il corpo umano per disperdere calore verso l’ambiente. Con Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 19 0.58 kcal/g di sudore evaporato, questo meccanismo è un elemento indispensabile della termoregolazione. -La perdita di calore è inoltre ottenuta tramite la vasodilatazione, meccanismo apparentemente attivato dal monossido di azoto (NO). L’effetto è minore della sudorazione. Caratteristiche fisiopatologiche dell’ipotermia (secondo PHTLS) C° Caratteristiche 37.6 Temperatura rettale normale 37.0 Temperatura orale normale 36.0 Aumento del metabolismo basale e della pressione sistolica e tono muscolare prebrivido 35.0 Temperatura urina 34.8°C, massima termogenesi da brivido 34.0 Amnesia, disartria e scarso giudizio, comportamento mal adattativo, normale pressione arteriosa, massimo stimolo respiratorio, tachicardia, poi progressiva bradicardia. 33.3 Atassia e apatia; depressione lineare del metabolismo cerebrale, tachipnea, poi progressiva diminuzione del volume respiratorio minuto, diuresi da freddo. 32.0 Stupor, riduzione del consumo d’ossigeno del 25% 31.0 Termogenesi da brivido estinta 30.0 Fibrillazione atriale e altre aritmie, poichilotermia, pupille e gittata cardiaca due terzi del normale, insulina inefficace 29.0 Decremento progressivo di livello di coscienza, polso e respiro; pupille dilatate; svenimento paradosso 28.0 Diminuita soglia di fibrillazione ventricolare; consumo d’ossigeno e polso diminuiti del 50%; ipoventilazione 27.0 Perdita di riflessi e del movimento volontario 26.0 Gravi disturbi acido-base; nessun riflesso o risposta al dolore 25.0 Flusso ematico cerebrale un terzo del normale; perdita dell’autoregolazione cerebrale; Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 20 gittata cardiaca ridotta del 45%; può comparire edema polmonare. 24.0 Ipotensione e bradicardia significativa. 23.0 Assenza di riflesso corneale od oculocefalico; areflessia 22.0 Massimo rischio di fibrillazione ventricolare; consumo d’ossigeno ridotto del 75% 20.0 Minimo recupero d’attività cardiaca elettromeccanica; polso al 20% del normale 19.0 Silenzio elettroencefalografico 18.0 Asistolia 15.0 Sopravvivenza più bassa dell’ipotermia accidentale del bambino 13.7 Sopravvivenza più bassa dell’ipotermia accidentale nell’adulto 10.0 Riduzione del consumo d’ossigeno del 92% 9.0 Sopravvivenza più bassa dell’ipotermia terapeutica 2.5. L’ipotermia accidentale Per ipotermia accidentale (IA) si intende una riduzione non programmata della temperatura centrale al di sotto dei 35°C. L’IA non riconosciuta, trattata o adeguatamente gestita, rappresenta una condizione morbosa gravata da elevata mortalità. Si hanno ripercussioni sul sistema cardiocircolatorio, sul sistema nervoso centrale, sull’apparato respiratorio, sull’equilibrio idro-elettrolitico ed acido-base, sulla coagulazione, che divengono progressivamente irreversibili. La gestione logistica ed il trattamento medico del paziente affetto da IA si fonda sull’interazione interdisciplinare di diverse competenze atte ad ottimizzare le prime cure in loco, il trasporto presso strutture attrezzate, le manovre rianimatorie opportune all’accoglimento, il riscaldamento esterno ed interno del soggetto. Nei Paesi a clima freddo l’ipotermia accidentale severa rappresenta un problema frequente e clinicamente impegnativo che richiede un trattamento medico rapido e l’utilizzo di tecniche specialistiche. Può essere una condizione primitiva, conseguente ad immersione in acqua fredda o ad incidenti alpinistici (caduta in crepaccio, seppellimento da valanga, esposizione prolungata a basse temperature), o essere la complicanza di stati patologici quali disturbi metabolici, disturbi del sistema nervoso centrale, intossicazione da alcool e/o farmaci. Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 21 L’organismo umano è definito omeotermo perché mantiene costante la sua temperatura centrale al variare della temperatura ambiente, grazie all’equilibrio tra termogenesi e termolisi. La termogenesi viene determinata dall’attività metabolica dei tessuti sotto l’influenza di diverse variabili, aumento tono muscolare fino al brivido, regolazione del tono vasale (vasocostrizione) e della portata cardiaca, aumento del metabolismo basale. La termolisi consiste, invece, nella dispersione del calore, prevalentemente tramite la cute grazie ai meccanismi di evaporazione, radiazione, convenzione e conduzione. L’equilibrio tra i due sistemi è sotto controllo del sistema nervoso centrale: l’ipotalamo. 2.5.1 La classificazione Secondo ICAR Medicom ( Commissione Medica Internazionale del Soccorso Alpino ) vi è una classificazione di V stadi correlati alla temperatura (esofagea-timpanica) ed ai sintomi. Ipotermia Trauma Non Trauma Lieve - HT I 34-36 C° 35-32 C° Moderata - HT II 34-32 C° 32-28 C° Severa < 32 C° 28-20 C° - HT III Profonda - HT IV 24-13,7 C° Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 22 Estrema - HT V < 13,7 C° STADI DELL’IPOTERMIA Stadio I: paziente cosciente, tachicardico, tachipnoico, iperteso, brivido, tende alla centralizzazione del calore (temperatura centrale inferiore 35°-32°C) Stadio II: paziente sonnolento, senza tremore muscolare, rigidità muscolare, alterazioni ECG (rischio aritmie fatali) 32°C ; perdita di coscienza, PA non rilevabile, bradicardico, bradipnoico con ipoventilazione, broncorrea 30°C ; MORTE apparente: muscolatura flaccida, cute rosea, mediamidriasi, ROT assenti, diminuzionescomparsa attività respiratoria e circolatoria 28°C. Stadio III: paziente incosciente (temperatura centrale inferiore 28°-20°C) Stadio IV: arresto cardiorespiratorio (temperatura centrale inferiore 20°-13,7°C) Stadio V: Morte < 13,7°C 2.6. Gli effetti dell’ipotermia sui sistemi corporei In base al grado di ipotermia il paziente presenta diversi sintomi che si vanno aggravando con l’abbassamento della temperatura fino alla perdita di coscienza, all’arresto cardio/respiratorio ed infine alla morte o morte “apparente”. Esistono infatti diversi casi di soggetti con temperature centrali ben inferiori a 20°C che, con le adeguate manovre di rianimazione e riscaldamento, hanno avuto un ottimo outcome senza riportare danni neurologici o fisici. Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 23 La diminuzione della temperatura corporea determina delle manifestazioni cliniche relative al grado di classificazione. L’emoglobina fredda non può rilasciare ossigeno ai tessuti così velocemente come si ha in normotermia, problema rilevante per un traumatizzato in debito di O2 ,derivato soprattutto da emorragie, ipotensione e shock. L’ipotermia induce alla coagulopatia, promovendo ulteriori emorragie. Le funzioni cardiache sono depresse dal freddo, così come quelle ventilatorie, renali, epatiche e del sistema nervoso centrale. SISTEMA TC LIEVE 36 - 34 MODERATA 34 - SEVERA <30 30 SNC Confusione Letargia Declino EEG mentale Allucinazioni Coma Amnesia Perdita del riflesso Perdita del riflesso pupillare oculare Anomalie EEG CARDIOVASCOLARE Tachicardia Bradicardia Diminuzione della Aumento attività progressiva PA cardiaca e (non rispondente e dell’attività resistenza alla cardiaca. vascolare somministrazione Fibrillazione di atropina) ventricolare (se TC Diminuzione < 28° C), asistolia dell’attività (se TC < 20°C) cardiaca e della PA. Aritmia atriale e ventricolare. Onda J (Osborn) all’ECG. Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 24 RESPIRATORIO Tachipnea Ipoventilazione Edema polmonare Broncorrea (diminuzione RR Apnea e tidal volume) Diminuzione del consumo di O2 e della produzione di CO2 Perdita del riflesso della tosse. Aumento della RENALE Oliguria Diminuzione della diuresi perfusione renale e della GRF Oliguria MUSCOLO Aumento del Diminuzione del Paziente brivido brivido( <32°C) apparentemente Rigidità morto, muscolare. “pseudo – rigor SCHELETRICO mortis” Aumento dell’ematocrito; diminuzione conteggio piastrine e EMATOLOGICO globuli bianchi; coagulopatia; CID Pancreatite; disfunzioni epatiche GASTROENTERICO Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 25 Iperglicemia Diminuzione del metabolismo METABOLICO Aumento metabolismo basale; ENDOCRINO Basale iper o ipoglicemia. 2.7. Le misure di primo soccorso per il trattamento dell’ipotermia Ipotermia I – II (reagisce) Evitare movimenti importanti. Riparazione dal vento. Involucro termico. Bevande calde senza alcool. Ipotermia III (non reagisce) Evitare grandi movimenti. Riparazione dal vento. Involucro termico. Osservazione rigorosa, controllo del polso e della respirazione. Misurazione della temperatura centrale (termometro timpano). Inalazione di ossigeno. Trasporto in elicottero in un ospedale dotato di personale medico e infermieristico con esperienza nel campo dell’ ipotermia. Ipotermia IV (arresto cardiocircolatorio) Rianimazione cardiopolmonare senza interruzioni. Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 26 Trasporto in elicottero in un ospedale dotato di apparecchiature per circolazione extracorporea. Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 27 4. LA RICERCA DEL DISPERSO E IL TRATTAMENTO SANITARIO La morte in valanga avviene per il 65% dei casi a causa di asfissia acuta, per il 25% in seguito ad asfissia ritardata associata ad ipotermia e per il 10% circa a causa di ferite letali. Una riduzione della mortalità può essere ottenuta soltanto migliorando l’autosoccorso con l’obiettivo di accrescere il numero dei salvataggi entro i primi 15 minuti. Il destino dei travolti dipende essenzialmente dall’efficienza dei soccorsi prestati immediatamente dopo il distacco della valanga. Le premesse per un salvataggio immediato ed efficace sono: 1. la presenza di compagni rimasti illesi; 2. la conoscenza dell’uso dell’ARTVA = Apparecchio Ricerca Travolti VAlanga (strumento trasmettitore-ricevitore su onde lunghe 457 Mhtz per la rilevazione e localizzazione del travolto); 3. l’uso della pala e della sonda; 4. una certa esperienza nelle tecniche basali di rianimazione. La profondità media di seppellimento è di 1 metro, solamente pochi soggetti si trovano a una profondità maggiore di 2 metri. Vi è una stretta correlazione tra la profondità e la durata del seppellimento: quanto più profonda è la vittima, tanto più tardi viene recuperata. Entro i primi 15 minuti dal seppellimento le probabilità di ritrovare persone in vita sono del 93%. Su 100 travolti, 7 persone non sopravvivono a causa delle lesioni mortali subite durante il travolgimento stesso. Tra i 15 e i 45 minuti dal seppellimento, si osserva un forte calo delle probabilità di sopravvivenza, che passano dal 93% al 25% circa. Durante tale periodo subentra la morte per asfissia acuta per tutti i sepolti che non dispongano di una cavità d’aria in prossimità delle vie aeree superiori. Tra i 45 e i 90 minuti dal seppellimento, una piccola percentuale dei travolti (circa il 20%) sopravvive se dispone però di una certa quantità d’aria e gode di una sufficiente “libertà toracica” per i movimenti respiratori. In seguito, tra i 90 e i 130 minuti, si muore per ipotermia, la temperatura diminuisce di circa 4,5 °C fino a raggiungere la temperatura critica di 33°C considerando la velocità media di raffredamento ipotizzata in 3°C/h (Locher e Walpoth 1996 - a partire dalla quale si manifesta il rischio di fibrillazione ventricolare). Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 28 Numerose relazioni indicano che in presenza di tipi di neve molto porosa (neve fresca e polverosa) una cavità per respirare, anche se relativamente piccola, rende possibile una sopravvivenza prolungata senza causare così al travolto dei danni permanenti. L’aspettativa di sopravvivenza è limitata nel tempo perché i sepolti non solo possono diventare ipotermici, ma contemporaneamente asfittici. Dallo studio si suppone che la morte di questi pazienti sia dovuta a tre fattori: 1. diminuzione della concentrazione di ossigeno (PO2) 2. aumento dell’anidride carbonica (PCO2) 3. diminuzione della temperatura centrale Inoltre, alcuni dati statunitensi hanno recentemente rilevato che i pazienti con una cavità respiratoria chiusa presentano elevatissimi livelli di PCO2 (fino a 60 mmHg). Quest’ipercapnia, tramite la concomitante acidosi, renderebbe vulnerabile il miocardio e provocherebbe aritmie gravi fino alla fibrillazione ventricolare. Non si conosce ancora quale dei tre fattori sia quello principale e dunque responsabile del decesso. Coloro che dispongono di una cavità respiratoria aperta verso l’esterno, possono sopravvivere tempi anche estremamente lunghi senza che la temperatura centrale raggiunga valori critici. Da ciò si può dedurre che un sufficiente apporto di ossigeno rappresenta la migliore protezione dall’ipotermia. La quota di successo di tutte le misure terapeutiche sui pazienti ipotermici dopo l’estrazione dalla neve, dipende soprattutto dal grado e dalla durata dell’asfissia nel periodo di seppellimento. Il lasso di tempo tra il recupero ed il ricovero in ospedale, pur non essendo compreso statisticamente nello studio, rappresenta comunque un rischio elevato per i seguenti motivi: 1. durante il disseppellimento vi è il pericolo di distruzione della cavità respiratoria; 2. il pericolo dell’after drop (improvviso arresto cardiaco se masse di sangue freddo raggiungono bruscamente il cuore dalla periferia corporea); 3. il pericolo dell’arresto cardio circolatorio (ACC); Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 29 3.2. L’autosoccorso Dalle statistiche appare abbastanza evidente come per il problema valanghe la migliore protezione sia la prevenzione, e cioè la messa in atto di tutte quelle precauzioni in modo da evitare nella maniera più assoluta di essere travolti. Ma nel caso che ugualmente si verifichi un incidente, i tempi utili per avere delle possibilità di sopravvivenza sono estremamente ridotti, ed allora dobbiamo essere in grado di effettuare quello che viene definito l’autosoccorso, cioè le azioni di soccorso messe in atto immediatamente dai componenti stessi del gruppo che ha subito l'incidente. L’ autosoccorso è definito come “un complesso di procedure immediatamente poste in atto dai superstiti od anche da altre persone sopraggiunte, ma non organizzate allo scopo e finalizzate alla ricerca e disseppellimento dei travolti disponendo delle sole usuali attrezzature proprie dello sci alpinista”. Presupposto a tutto questo è che ovviamente non si deve mai essere soli nello svolgimento di qualsiasi attività potenzialmente a rischio che si svolga sulla neve, e che nel gruppo, mettendo in atto tutte le misure preventive, ci sia almeno una persona che rimanga indenne. A questo punto entrano in gioco semplici strumenti elettronici che, correttamente indossati ed accesi, permettono a chi è allenato nel loro utilizzo, di trovare in pochi minuti i propri compagni muniti di apparecchi simili. Questi piccoli apparecchi prendono il nome di ARTVA , e cioè Apparecchi di Ricerca in Valanga, ed il loro funzionamento è molto semplice. L’acronimo ARTVA deriva dal francese e significa “Appareil Recherce Victimes Avalanches” (Apparecchio di Ricerca Travolti da Valanga); si tratta di uno strumento trasmettitore-ricevitore su onde lunghe (457 Mhtz) portatile e leggero (10 cm x 15 cm) che consente una precoce rilevazione e localizzazione del sepolto. Ogni escursionista dovrebbe portarlo al collo: è dinamico, si modifica, risponde ai segnali che riceve e che è necessario saper riconoscere. Per poterlo utilizzare correttamente, ci vuole addestramento, continua formazione ed aggiornamento. Se la persona è completamente sepolta, la ricerca con ARTVA rappresenta l’unico metodo per la localizzazione rapida. Inoltre se si considera che anche una persona esperta, in condizioni ideali, è in grado di localizzare un sepolto al più presto dopo 3-5 minuti ed utilizzando la pala impiega ulteriori 10 minuti per recuperare una persona dalla profondità media di un metro. Anche la durata media di seppellimento si differenzia in modo Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 30 significativo: con l’uso dell’ARTVA la durata media di seppellimento è pari a 35 minuti, senza ARTVA è invece di 120 minuti. A seconda del tipo di strumento e delle nostre capacità, è possibile una ricerca sistematica e molto sicura che viene detta "per linee perpendicolari", oppure una più veloce e più evoluta detta "direzionale" poiché ci porta vicini all'apparecchio cercato in modo quasi diretto. Non bisogna però dimenticare che l'apparecchio ARTVA da solo non basta a salvare un travolto da valanga perché, una volta localizzato il segnale con sufficiente precisione sulla superficie della valanga, bisogna disseppellirlo. Per questo motivo è di vitale importanza avere al seguito una pala sufficientemente robusta ed una sonda: per spalare un metro cubo di neve con la pala sono necessari alcuni minuti. Senza, ammesso di riuscirci, almeno un'ora. 3.1.1 Sequenza operativa 1. Stima dei superstiti, nomina di un direttore della ricerca e analisi generale dell’evento: a) Individuazione di un coordinatore, cha possiede lucidità d’azione e rapidità di decisione che gestirà la ricerca: in genere colui che tra gli esperti è rimasto meno “shockato” dall’evento. Raccoglie le idee e si attiva per stimolare l’inizio delle ricerche. b) Stima della sicurezza del luogo: l’escursionista “responsabile” si preoccupa di portare in luogo idoneo e sicuro i superstiti dove costituirà anche il deposito zaini e materiali. Verifica il numero delle persone presenti e stima quante persone sono rimaste sepolte o ferite. Raccoglie eventuali testimoni dell’accaduto tutte le informazioni utili per pianificare al meglio l’intervento di autosoccorso: come è stata provocata la valanga, quante persone sono state coinvolte, il punto di travolgimento e scomparsa dei travolti, se le persone travolte hanno in dotazione l’ARTVA. c) Ordine di spegnimento di tutti gli ARTVA: il responsabile ordina di spegnere tutti gli apparecchi ARTVA, verificando con il proprio che l’ordine sia eseguito. Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 31 Nel frattempo si preparano le pale e si montano le sonde. Verificare la disponibilità del telefono cellulare e del suo funzionamento. 2. Ricerca “vista-udito” intesa come l’attenta osservazione ed ascolto della zona interessata dalla valanga per individuare eventuali indumenti, oggetti del travolto oltre che per udire rumori, suoni, voci utili a localizzare il punto di seppellimento. Il coordinatore deve: a) formare il gruppo di ricerca in base al numero di presenti e alla dimensione della valanga. Va tenuto presente che successivamente alla ricerca vista e udito va organizzata quella con ARTVA ed i gruppi vanno subito definiti e separati. b) dare ordine al gruppo vista-udito di accendere l’ARTVA in ricezione (su valori sensibilità medi, che non consentano di sentire il segnale proveniente da oltre 5 m di distanza). c) dare ordine di dotarsi di pala e sonda. I componenti della ricerca dovranno entrare in valanga dotati della sonda (precedentemente montata) e della pala. d) i ricercatori entrando in valanga, devono esplorare con gli occhi le zone della valanga nella speranza di cogliere segni che mostrino la presenza o il passaggio del travolto. Nel caso di ricezione del segnale ARTVA il ricercatore deve avvisare immediatamente il coordinatore dell’autosoccorso, il quale in base alla dimensione della valanga, al numero di soccorritori può far proseguire la ricerca del travolto al ricercatore vista-udito (ricerca finale con ARTVA) o incaricare il ricercatore più vicino di intervenire per la ricerca finale con ARTVA , in modo da far proseguire sul resto della valanga la ricerca vista-udito. Nel caso di rinvenimento di un reperto va segnalato e non rimosso; si deve sondare conscrupolo l’area circostante. 3. Ricerca specifica con ARTVA e individuazione delle aree primarie. L’identificazione delle aree primarie di ricerca rappresenta il momento in cui il Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 32 responsabile si dedica alla “lettura” del percorso della valanga (linea di flusso). Occorre fare un’analisi dell’ambiente in cui si è verificato l’evento per determinare quale bacino abbia alimentato la valanga, la sua grandezza, se si è scaricato completamente o meno, al fine di stabilire compatibilmente con il numero di superstiti se prevedere una sentinella o eventuali vie di fuga per i ricercatori. L’osservazione del piano di scorrimento, delle zone di accumulo, terrà in particolare considerazione quelle caratteristiche proprie del moto valanghivo e riferibili sia a valanghe di pendio, sia incanalate. Nel caso di valanghe di pendio su terreno aperto e privo di particolari ostacoli, è importante acquisire informazioni su presunti punti di ingresso, di travolgimento e di scomparsa. Allineando il punto di travolgimento e di scomparsa, identificare un’area a valle di circa 60 gradi, che costituisce zona preferenziale di ricerca lungo l’accumulo . La presenza di ostacoli naturali, curve o cambi di pendenza lungo il piano di scorrimento, rallentando il flusso favoriscono piccoli accumuli locali che possono essere punti di possibile arresto del corpo trascinato. La zona di ricerca può essere ridotta anche in base ad altri elementi: la direzione in cui si muoveva l’infortunato prima di essere travolto se stava scendendo il pendio con gli sci; la posizione relativa che gli infortunati avevano al momento dell’incidente; gli indizi ricavati dagli oggetti trovati in superficie (reperti), anche se spesso gli sci o i materiali leggeri si trovano in punti diversi da quello di seppellimento. In ogni caso, soprattutto quando il punto di scomparsa è molto più a monte della zona di accumulo oppure non è ben individuato, è bene esplorare come zona primaria la parte centrale della zona di arresto (accumulo finale) ed in particolare il piede della zona di cumulo. Anche le zone di neve fresca contigue ai bordi devono essere valutate perché il sepolto può essere stato sospinto all’esterno dei bordi. Sono da considerarsi aree di ricerca primaria le zone di accumulo finale; le zone di accumulo laterale, là dove la valanga compie delle curve; gli avvallamenti; le zone dove la valanga perde velocità e dove il pendio diventa meno ripido. Nel caso di sondaggio di sepolti senza ARTVA, la ricerca dovrà essere eseguita nell’area ritenuta prioritaria fra quelle precedentemente individuate. L’essenzialità e Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 33 rapidità dell’esecuzione permettono di ottenere risultati positivi. Le disposizioni del coordinatore sono: nomina di un responsabile del sondaggio e del relativo gruppo. Il responsabile dovrà coordinare tutte le operazioni di sondaggio nel luogo indicato dal coordinatore; utilizzo del metodo “a maglia larga” in quanto ritenuto più efficace in funzione del tempo disponibile per l’autosoccorso. Il sondaggio rappresenta un’ altra fondamentale tecnica di ricerca basata sull’uso della sonda da valanga, che è un’asta tubulare di acciaio, lega di alluminio, o fibra di carbonio lunga da 2 a 3 m e con un diametro di circa 10 mm, realizzata in più pezzi che si uniscono tra loro. Una volta individuato il punto di seppellimento, occorre procedere con lo scavo che non è affatto una banalità: pur finalizzato all’esposizione e recupero del travolto, può condurre ad errori che possono ritardare l’inizio degli interventi sanitari o peggio, arrecare ulteriori danni al ferito. Lo scavo deve essere intrapreso con il primario obiettivo di raggiungere ed ossigenare l’infortunato per poterlo valutare e medicalizzare già all’interno della buca. Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 34 3.3. Il soccorso organizzato Nel caso in cui le possibilità di effettuare l'autosoccorso non siano sufficienti, scattano i soccorsi, e l'autosoccorso lascia gradualmente spazio a quello che viene definito “soccorso organizzato”, organizzato appunto dal Soccorso Alpino. In questo caso numerosi tecnici, specificamente preparati, a seconda della loro qualifica, arrivano sul luogo dell'incidente, magari con l'elicottero o nel modo più veloce possibile in quel momento, portando con sé le unità cinofile, cioè i cosiddetti cani da valanga, oltre a tutto il materiale utile ai fini della ricerca dei dispersi. A questo punto sarà solo la loro grande conoscenza dell'ambiente montano, delle valanghe, dell'uso dei materiali specifici e delle tecniche di ricerca più attente ed evolute, ma soprattutto l'organizzazione ed il veloce e preciso lavoro dei soccorritori, che potrà permettere una soluzione positiva dell'incidente. Per acquisire tali conoscenze, l’infermiere partecipa a una continua e obbligatoria attività di formazione come da decreto n. 42 art.4 del Profilo Professionale. Dunque entra in gioco il ruolo dell’infermiere sia nella fase di ricerca del disperso che nel trattamento post estricazione, collaborando sia con i tecnici che con il personale sanitario cnsas. Infatti all’infermiere, che opera sulla valanga, è richiesto di dimostrare una certa dimestichezza e capacità di adattamento all’ambiente montano; di saper valutare la sicurezza della scena dove si va ad operare; di sapersi muovere correttamente sulla valanga e saper utilizzare gli strumenti di ricerca del sepolto e poi applicare cure al ferito. Come per l’autosoccorso applicato dai non coinvolti dalla valanga, l’infermiere attuerà vari tipi di ricerca utilizzando ARTVA, sonda e pala. 1. Valutazione dell’obiettività dei testimoni attraverso un’intervista di semplici domande così che l’infermiere colga i punti per una precisa ricostruzione dell’evento. Inoltre l’infermiere cercherà di tranquillizzare e rassicurare i superstiti; per evitare che i superstiti si allontanino da soli dal luogo dell’evento è opportuno delimitare una zona “sicura” dove possano attendere l’evacuazione; se sono in grado di collaborare coinvolgerli nel soccorso. Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 35 2. Ricerca vista e udito Questa modalità di ricerca prevede che l’infermiere attui un’ attenta osservazione visiva del fronte valanghivo per individuare eventuali oggetti, indumenti, materiali del travolto oltre che l’attento ascolto per percepire suoni, rumori, voci che possono aiutare la localizzazione del sepolto. La ricerca vista-udito va eseguita su tutta la superficie della valanga, condotta in silenzio per poter udire eventuali lamenti e per sentire i suggerimenti del responsabile. Il ritrovamento di oggetti va subito segnalato al coordinatore del soccorso. L’oggetto ritrovato va evidenziato e ben esposto sulla superficie della neve, senza però spostarlo dal luogo del ritrovamento. Intorno all’oggetto ritrovato l’infermiere esegue un rapido, ma attento sondaggio in modo da verificare la presenza o meno del corpo del travolto. 3. Ricerca con ARTVA La localizzazione del travolto mediante apparecchi ARTVA permette la riduzione dei tempi di ricerca ed avviene in tre fasi: - ricerca primaria del primo segnale; - ricerca secondaria (localizzazione del ferito); - ricerca finale di precisione. La ricerca primaria prevede che immediatamente dopo l’incidente, l’infermiere che partecipa alla ricerca provveda a mettere l’apparecchio in ricezione con il volume massimo; chi invece non è coinvolto nella ricerca lo deve spegnere. Occorre agire velocemente e in silenzio sotto la direzione di un responsabile. Il procedimento della ricerca dipende dall’estensione della valanga, dal numero di soccorritori e dal punto in cui essi si trovano al momento dell’incidente: se si trovano in alto e il punto di scomparsa è noto, la ricerca si esegue in discesa a piedi, nella direzione presumibilmente percorsa dalla vittima (prolungamento della linea che unisce il punto di travolgimento e il punto di scomparsa) e nella zona compresa tra il punto di scomparsa e il limite inferiore della valanga. Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 36 Se si trovano in basso, o se il punto di scomparsa non è noto si esegue la ricerca in salita. Per tutta la prima fase della ricerca, fino a quando non si percepisce il primo segnale, l’operatore sanitario deve essere veloce e orientare l’apparecchio nelle varie direzioni. Udito il primo segnale, non deve cambiare più la posizione dell’ARTVA, ma dopo aver segnato il punto deve procedere durante la fase successiva della ricerca nella stessa direzione. Nel caso poi, vi siano numerosi soccorritori, il responsabile suddivide la zona di ricerca in fasce parallele e ne assegna una a ciascuno di essi. A seconda della situazione la divisione può essere in senso orizzontale o verticale. In funzione del tipo di apparecchio si mantengono distanze di circa 20 metri tra un ricercatore e l’altro (ricordando che per gli apparecchi ARTVA digitali la portata utile è definita, per convenzione, di 10 m) e di 10 m dai margini laterali della valanga. La distanza tra le tracce dipende dalla portata utile degli apparecchi in dotazione e va tenuta uguale al doppio della portata medesima. La ricerca secondaria prevede una volta rilevato un segnale ben stabile, che l’infermiere tenga l’apparecchio orizzontale con altoparlante rivolto verso l’alto. Spostando lentamente il braccio da sinistra verso destra per un angolo di circa 120 gradi egli deve percepire le variazioni di intensità del “BIP”. Continuare a ripetere il movimento a “ventaglio” finchè egli non individua la direzione che fornisce la maggiore intensità del segnale . L’infermiere procede così, nella direzione individuata finché il volume del segnale è molto elevato. Dovrà quindi fermarsi e ridurre il volume in modo da sentire il segnale chiaro e udibile nelle sue variazioni; (non portare il volume alla soglia udibile più bassa poiché si rischia di perdere il segnale); ripetere l’operazione a “ventaglio” per individuare la direzione che fornisce la maggiore intensità; ripetere le fasi sopra elencate finché il commutatore del volume indica livelli bassi (2-3 dei 10 massimi previsti) tali da consentire l’inizio della fase finale. La ricerca finale di precisione adotta il “sistema croce” per cui l’infermiere compiendo un movimento che disegna una simbolica croce tenendo l’ARTVA il Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 37 più vicino possibile alla neve, localizza il punto esatto del seppellimento. L’infermiere procede con cautela allo scavo che viene effettuato a valle della posizione del travolto in modo da arrivare dal margine laterale. Una volta liberata la vittima spegnere il suo apparecchio se ci sono altri sepolti, in caso contrario tutti i soccorritori rimettono gli apparecchi in trasmissione. Insieme all’ARTVA dev’ essere abbinato alla sonda, possibilmente di veloce montaggio, che consenta di stabilire con precisione la profondità di seppellimento della vittima e di valutare lo strato di neve da liberare. 4. Il sondaggio è una specifica e particolare tecnica di ricerca che permette all’infermiere di testare ciò che è stato sepolto dalla neve. La pala è un attrezzo pratico e robusto di allumino o carbonio, lungo circa 50 cm che può essere pieghevole. La sonda deve essere introdotta a piccoli colpi, per la lunghezza stabilita dall’infermiere sondatore il quale deve indossare i guanti per evitare di produrre col calore delle mani, delle croste di ghiaccio sulla sonda riducendo così la penetrabilità e la sensibilità della stessa. Colpendo il corpo umano con la sonda, l’infermiere avverte un piccolo contraccolpo e leggero rimbalzo. Esistono diversi metodi di sondaggio: “maglia larga” che prevede l’individuazione dell’area primaria dove eseguire il sondaggio, l’allineamento dei sondatori con le spalle a stretto contatto su una linea orizzontale, il posizionamento di due segnali laterali ai due estremi della fila per delimitare l’inizio dell’area sondata, il posizionamento della sonda tenuta verticale al centro dei piedi leggermente divaricati; l’ordine da parte dell’infermiere sondatore di fare eseguire il sondaggio al comando “giù’”indicandone la profondità, la “ritirata” della sonda e il suo posizionamento con la punta sulla neve a circa 60 cm davanti a sé ed inclinata in appoggio sulla spalla destra, il controllo che le sonde di tutti i ricercatori siano inclinate ed allineate, il comando di avanzare con i piedi sulla nuova linea di sondaggio (“avanti”), notare che la sonda ritorni verticale come al punto di inizio. L’intera sequenza va ripetuta fino al successo della ricerca, secondo i comandi dell’infermiere sondatore. Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 38 Gli estremi dell’ultima linea di sondaggio vanno marcati e con i due segnali iniziali si delimita l’area sondata “spalla a spalla”. Nel caso il numero dei ricercatori non sia sufficiente a coprire tutto il fronte dell’area di ricerca primaria, l’équipe inizia seguendo l’esplorazione su una fascia ridotta. Si procede sulla fascia fino al limite opposto dell’area di ricerca primaria, quindi ci si sposta su una fascia parallela ai segnali posti all’inizio e si ricomincia il sondaggio. Quando tutta l’area è stata esplorata senza esito, ci si sposta su un’altra zona di ricerca primaria. Nel caso un ricercatore venga allarmato da un tocco particolare, deve lasciare la sonda infissa in quel punto avvisando l’infermiere responsabile del sondaggio, il quale provvederà ad inviare se disponibile, uno spalatore per procedere allo scavo. Se non è disponibile, si utilizza il sondatore esterno. 5. Scavo e disseppellimento, per eseguire uno scavo in maniera rapida ed adeguata l’infermiere deve conoscere i particolari accorgimenti che consentano l’arrivo di aria al ferito, la protezione delle sue vie aeree (a rischio di ulteriore soffocamento per la movimentazione della neve) ed un suo cauto rivolgimento qualora fosse necessario. Dopo aver localizzato il punto di probabile seppellimento, sarebbe istintivo scavare in modo frenetico lungo la sonda stessa: questo modo di procedere non è corretto in quanto lo scavo risulterebbe una buca verticale che richiederebbe un lungo lavoro tanto più profondo sarà il seppellimento. La soluzione più adeguata consiste nello scavare lontano dalla sonda dirigendosi verso la sua punta allargando poi lo scavo man mano che si espongono le parti corporee. Viene così a crearsi una più vasta area che fungerà da nicchia per la medicalizzazione e da corridoio per evacuare il ferito. Occorre fare attenzione a non entrare precipitosamente nella buca calpestando il corpo del ferito. La “Tecnica del Tunnel” è adottata quando la neve lo consente nel seguente modo: realizzato un primo accesso ad una parte corporea, con la mano “guantata” si risale lungo la parte scavando con il palmo così da creare una veloce canalizzazione dell’aria. Appena possibile si orienterà questo tunnel verso la testa del sepolto, per il quale l’arrivo dell’ossigeno è un impellente necessità. Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 39 3.4. Il trattamento sanitario del paziente Il Soccorritore che arriva per primo sull’infortunato deve possedere una conoscenza delle principali tecniche del trattamento medico avanzato e quindi valutare ed effettuare il primo trattamento del travolto da valanga in relazione al tempo di seppellimento. Rinvenuto il seppellito deve valutare la tipologia del disseppellimento di cui esistono due tipi: -Seppellimento completo: la testa e il torace della vittima sono coperti completamente dalla neve. -Seppellimento parziale: la testa e il torace sono liberi dalla neve. Per quando riguarda la probabilità di sopravvivenza per seppellimento completo i fattori influenti sono: 1. Grado del seppellimento 2. Durata del seppellimento 3. Presenza di vie aeree pervie 4. Presenza di lesioni traumatiche gravi -Fase di sopravvivenza: se il ritrovamento avviene entro 18 minuti la probabilità di sopravivenza è > del 90% -Fase dell’asfissia: 18-35 minuti dopo il seppellimento, la probabilità di sopravvivenza passa dal 91% al 34%, sopravvivono solo vittime con vie aeree libere e Air-Pocket conservata (spazio libero intorno al naso e bocca). Molte vittime con politrauma muoiono in questa fase. -Fase latente: 35- 90 minuti dopo il seppellimento la sopravvivenza con vie aeree pervie e air pocket è ancora superiore al 20%. 90-130 minuti dopo il seppellimento: la percentuale di sopravvivenza passa dal 28% al 7% Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 40 -Durata del seppellimento > 130 minuti: sopravvivono solo le vittime con una sacca d’aria che vanno incontro alla sindrome delle tre H (I per la lingua italiana) Ipossia, ipercapnia e ipotermia. Una volta posizionato il ferito in una postura possibilmente idonea, l’infermiere collabora con il medico rianimatore ad effettuare la valutazione primaria secondo la sequenza ABC sempre mantenendo adeguate comunicazioni con la centrale operativa e con gli altri operatori del soccorso. Valutato il grado di coscienza e di ipotermia, l’infermiere applica i presidi sanitari utili alla prevenzione delle lesioni secondarie, quali collare cervicale e immobilizzazione spinale, mantiene la pervietà delle vie aeree, e inserisce se il caso un accesso venoso periferico, prepara il monitor per eseguire l’ECG e rilevare i parametri vitali. Se il medico decide di intubare il travolto, l’infermiere prepara il materiale occorrente per l’intubazione: farmaci, laringoscopio, tubo, mandrino, siringa da 5cc, nastro fissatore. Se necessario adotta misure antishock come la somministrazione di ossigeno, mette in atto immediatamente le manovre rianimatorie quali il massaggio cardiaco esterno e la defibrillazione precoce. L’infermiere provvede a proteggere il ferito da un ulteriore raffreddamento, considerando che proprio la buca di scavo ricavata nella valanga può costituire il luogo “meno freddo” in cui mantenere il soggetto. 3.5. Le cause di morte del paziente ipotermico Le cause di morte di questi pazienti sono inoltre: 1. Il TRAUMA che colpisce il 47% delle vittime da valanga: - Pelvico 1% - Addominale 1% - Cerebrale 2% - Spinale 7% - Torace 17% - Estremità 19% Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 41 L’infermiere interverrà effettuando la stabilizzazione del rachide, manovre di ATLS: detensione del PNX, Tournichet, reperire un accesso vascolare ( EV o IO), gestire in modo avanzato le vie aeree. Si occupa di riscaldare in modo aggressivo il paziente al fine di controllare le coagulopatie. Infine si indirizza il paziente verso un Trauma Center. 2. L’ASFISSIA determina una diminuzione della sopravvivenza della vittima nei primi 35 minuti di seppellimento. Per evitare ciò i soccorsi devono essere molto organizzati e veloci. ● Se il seppellimento è > 35 minuti la pervietà delle vie aeree potrà essere determinata dall’esposizione del viso; il soccorritore nello scavare intorno alla vittima deve porre attenzione alla presenza di un eventuale Air-Pocket e non distruggerla. ● Se la vittima sepolta da un tempo <35 minuti è in arresto cardiaco, premettendo asfissia iniziare la RCP con ventilazione appena la testa e il torace sono liberi senza riguardo della pervietà delle vie aeree. ● Se la vittima sepolta da un tempo > 35 minuti è trovata in arresto cardiaco con pervietà delle vie aeree ma con temperatura corporea > 32° C, presumere asfissia e iniziare RCP con ventilazione non appena testa e torace sono liberi. ● Se la vittima sepolta da un tempo >35 minuti è trovata in arresto cardiaco con ostruzione delle vie aeree non iniziare le manovre rianimatore. ● Se la vittima è in arresto cardiaco con temperatura corporea <32°C e una sconosciuta pervietà delle vie aeree iniziare la rianimazione. 3. L’IPOTERMIA accidentale che si esprime con una riduzione non programmata della temperatura centrale < 35°C e inoltre con coinvolgimento di due altri sintomi provocando la TRIPLE H SYNDROME, che comprende ipotermia, ipossia ( riduzione di ossigeno nei tessuti) e ipercapnia ( l’aumento della concentrazione di anidride carbonica nel sangue ) . Per verificare la temperatura centrale utilizzare un termometro a sonda. Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 42 3.6. L’intervento sanitario Per determinare il tipo di intervento l’infermiere valuterà la durata del seppellimento come indicatore della patologia e determinerà la strategia del trattamento sanitario 1. Tempo di seppellimento <35 minuti: asfissia e trauma (non ipotermia) Trattamento di base: 1. Disseppellimento veloce: Scavo,almeno un metro a valle dal sondaggio iniziale. Se positivo deve permettere di: Raggiungere, Valutare, Medicalizzare. Pervietà delle vie aeree Inizio delle manovre di RCP (BLS) Mobilizzazione atraumatica Protezione termica: con rimozione degli indumenti bagnati, coperte termiche o autoriscaldanti, somministrazione di bevande dolci e calde Trasporto in ospedale con T.I. Trattamento medico avanzato: Disseppellimento veloce Pervietà delle vie aeree (intubazione) Inizio delle manovre avanzate di RCP (ALS) Mobilizzazione atraumatica Protezione termica (riscaldamento) Trasporto in ospedale con T.I. 2. Tempo di seppellimento >35 minuti: ipossia, ipercapnia, ipotermia, trauma Priorità di trattamento: 1. Disseppellimento delicato della vittima per permettere la valutazione della presenza di un Air-pocket. Lo scavo nei pressi del viso della vittima deve essere eseguito con Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 43 le mani; il soccorritore deve essere in grado di valutare la presenza di un air-pocket, che fa stato è la pervietà delle vie aeree. La sopravvivenza relativa alla presenza di un Air-Pocket è correlata a: grandezza dello spazio, densità della neve e fattori individuali. 2. Valutazione della pervietà delle vie aeree: assicurarsi che le alte vie aeree siano pervie e libere da neve o qualsiasi altro corpo estraneo. Se la vittima presenta Vie Aeree Libere senza Air-Pocket, deve essere considerato come se lo avesse avuto fino al momento del disseppellimento. Vittime con vie aeree ostruite (neve o altro corpo estraneo) possono essere dichiarate decedute dal Medico per asfissia acuta. 3. Trattamento dell’ipotermia: in assenza di gravi traumatismi le funzioni vitali possono essere compromesse da: ipossia ( <O2 nei tessuti ), ipercapnia ( >CO2 nei tessuti ), ipotermia ( <temperatura corporea centrale ) 3.7. Il trattamento per ogni stadio dell’ipotermia Per ogni stadio di ipotermia è previsto un differente trattamento data la diversità dei parametri del paziente. Ipotermia Stadio I Il trattamento in questo stadio prevede: 1. Movimenti attivi consentiti 2. Assunzione di bevande calde e dolci 3. Isolamento termico 4. Riscaldare il corpo con coperte a calore chimico 5. Infusione a 38°-42° Trasferimento: Eventuale ospedalizzazione Ipotermia Stadio II: Il trattamento della vittima cosciente prevede: 1. Ossigeno terapia Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 44 2. Estricazione, movimentazione atraumatica e immobilizzazione in posizione orizzontale: deve avvenire delicatamente per prevenire lesioni traumatiche 3. Riscaldamento 4. Monitoraggio continuo ECG e temperatura corporea 5. Reperire accesso venoso periferico / intraosseo Trasferimento: in H con terapia intensiva e riscaldamento non invasivo. Ipotermia III – IV Il trattamento base su vittima incosciente richiede: 1. Pervietà delle vie aeree 2. Estricazione e movimentazione atraumatica 3. Monitoraggio continuo delle funzioni vitali 4. Protezione termica Il trattamento avanzato della vittima incosciente: 1. Protezione delle vie aeree tramite Intubazione 2. Monitoraggio ECG e controllo della temperatura corporea 3. Reperire l’accesso venoso 4. Protezione termica 5. Trasporto nel centro ospedaliero adeguato Infine l’inizio di RCP secondo protocollo ACLS modificato. Secondo le Linee guida ERC 2010 bisogna rilevare il polso centrale per 1 minuto e verificare se la Bradicardia rientra spontaneamente con il riscaldamento. < 30° 30° - 34° > 34° ACLS Farmaci NO Intervalli raddoppiati standa rd Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 45 Defibrillazion 1 shock e Energia Massima ACLS Standard Secondo le Linee guida AHA 2010 bisogna effettuare l’ ACLS Standard. Linee guida ICAR MEDCOM E’ ragionevole considerare l’utilizzo di farmaci vasopressori contemporaneamente alle strategie di riscaldamento (Class IIb, LOE B) Defibrillare una volta. Effettuare ulteriori scariche quando T > 30°C, se non interrompono la CPR o rallentano il trasporto. (Class Iia, LOE B) Trasferimento: HT3 Emodinamica stabile:terapia intensiva, riscaldamento non invasivo, CEC / ECMO disponibile. HT4 Emodinamica instabile: CEC / ECMO L’iperpotassiemia severa porta ad un criterio di irreversibilità. pH – Lattacidemia sono i markers meno accurati. Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 46 4. LA VALANGA CIMA CALOTTA 18/05/2013 Il giorno 18 maggio 2013 alle 12:38 la Centrale Operativa del 118 di Brescia riceve una chiamata di soccorso per travolgimento di alpinisti a seguito di uno smottamento di una valanga nei pressi di Temù. La chiamata d’allarme è stata effettuata da uno degli alpinisti coinvolti, superstite dell’evento insieme ad un secondo compagno, e riferisce il seppellimento di altri due amici. L’infermiere di centrale, come da protocollo, cerca di localizzare tempestivamente il luogo dell’evento, il numero delle persone coinvolte, quanti uomini sono sepolti e se tutti i partecipanti fossero dotati di artva. Viene chiesto all’utente di mantenere la linea telefonica libera per poter essere ricontattato di lì a breve e viene rassicurato che i mezzi di soccorso sarebbero arrivati quanto prima. Il chiamante riferisce che si trova a Cima Calotta per una escursione di sci alpinismo, che si è staccata una valanga sul versante della loro traccia, che presenta un fronte di circa 500 metri e che erano in 4 amici, due ancora sepolti al momento della chiamata, lui con altro compagno apparentemente illesi, tutti dotati di artva. Alle 12:43 l’infermiere di Centrale Operativa allerta, come da protocollo AREU, il CNSAS ( Corpo Nazionale Soccorso Alpino Speleologico ) della stazione più vicina al luogo dell’evento ( stazione di Temù) e i Carabinieri della stazione di competenza ( Breno ). Viene inviato sul posto l’ MSI ( Mezzo di Soccorso Intermedio ) dello stazionamento di Ponte di Legno per quanto riguarda il mezzo di terra e l’elisoccorso, con a bordo personale specializzato: medico, infermiere e guida alpina, come mezzo avanzato, considerato l’ambiente ostile e la necessità di essere celeri nell’arrivo in posto e per potere garantire all’utente il massimo dell’efficienza. Viene informato dell’evento il medico di centrale. Poiché l’Elicottero della AAT di Brescia è impegnato in altra missione vengono contattate le Centrali di Sondrio e di Trento, che accettano la missione con l’invio della équipe di elisoccorso di Como, per quanto riguarda la Centrale di Sondrio e l’equipe di Trento che invia, oltre al proprio mezzo sanitario, un secondo elicottero non sanitario per trasportare sul luogo dell’evento le squadre di soccorso CNSAS e garantire il materiale necessario per Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 47 il recupero . Il Cinofilo della V Delegazione CNSAS con le squadre di ricerca sono i primi a prepararsi e a raggiungere il luogo dell’evento partendo dalla stazione di Temù con base alla partenza della seggiovia. L’infermiere di Centrale Operativa 118 Brescia richiama l’alpinista riferendo la partenza delle squadre di soccorso e si tiene costantemente in contatto con le équipe degli elisoccorso per la dirigenza della missione. Grazie all’utilizzo degli Artva da parte dei superstiti, alle squadre di ricerca e alle tecniche adoperate dai soccorritori del Soccorso Alpino, i due sepolti sono stati presto trovati. Alle 13:42 il personale CNSAS riferisce alla Centrale Operativa 118 di Brescia il ritrovamento di entrambe gli alpinisti. Rinvenuto il primo alpinista, non si è in grado di stabilire la presenza della sacca d’aria. Viene immediatamente valutato ABCDE del paziente dal personale sanitario, considerando in dettaglio stato di coscienza, respiro e polso. Viene dichiarato incosciente con valore Scala Glasgow corrispondente a 3 (scala che valuta apertura degli occhi, risposta verbale e risposta motoria). Inoltre il paziente mostra cute e mucose cianotiche e pallide; le pupille sono midriatiche, segno di sofferenza corticale da ipossia. Al termine dell’estricazione, viene rilevata una temperatura corporea centrale di 22° C con sonda timpanica ed effettuato il monitoraggio dei parametri vitali mediante monitor in dotazione. Presenta una PA ( Pressione Arteriosa ) 80/50 mmHg, una FC ( Frequenza Cardiaca ) poco rilevabile di 40 bmp e una SaO2 ( Saturazione dell’emoglobina con l’ossigeno ) pari a 60%. Si provvede ad iniziare le manovre di RCP, rianimazione cardiopolmonare, e si decide di proseguire con l’intubazione endotracheale per garantire un’ossigenazione adeguata al paziente. Il personale infermieristico contatta la Centrale Operativa di Brescia e riporta i parametri vitali e le condizioni dell’alpinista. A breve distanza anche il secondo sepolto viene localizzato, si procede al disseppellimento e si constata la presenza della sacca d’ara. Il ragazzo è soporoso ma risvegliabile, lievemente dispnoico con SAO2 di 93%, FC pari a 70 bat/min regolari, PA di 100/60, cute pallida, fredda e non sudata. Dopo posizionamento di O2 ad alti flussi, il paziente diventa più collaborante e lamenta dolore alla spalla destra e all’arto inferiore destro. Viene quindi immobilizzato e riscaldato. Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 48 L’infermiere della Centrale Operativa di Brescia deve, a questo punto, far centralizzare i due pazienti agli ospedali più idonei alle loro condizioni. Alle ore 14:02 si contatta la Centrale di Bergamo per ECMO ( Extra Corporeal Membrane Oxygenation ), ma il Medico di Centrale Operativa riferisce posti letto zero e sala Cardiochirugica occupata. Viene quindi contattata la Centrale di Lecco ma anch’essa riporta posti non disponibili. Si provvede dunque ad indirizzare il secondo disseppellito al centro ospedaliero di Trento con la propria équipe di elisoccorso. Il medico della Centrale di Brescia si trova impegnato in una urgenza quindi si consulta, come da protocollo, il medico dell’elisoccorso di Brescia, rientrato dalla precedente missione. L’elisoccorso di Como, invece, con a bordo il primo superstite parte dal luogo dell’evento direzione Spedali Civili di Brescia, secondo prescrizione del medico dell’Elisoccorso di Brescia e vista la non disponibilità dei centri per la circolazione extracorporea. Alle 14:30 l’elicottero di Como con a bordo il paziente atterra a Brescia. Stabilizzato in saletta d’emergenza del Pronto Soccorso, presenta i seguenti parametri vitali: PA 95/60, FC 50, SaO2 90% e TC 25°C, viene ricoverato nel Reparto di Terapia Intensiva, nel quale muore dopo due giorni a causa di un arresto cardiocircolatorio. Gli altri due alpinisti, indenni alla valanga, rifiutano il ricovero negando ogni tipo di trauma. Vengono comunque valutati dall’infermiere dell’ ambulanza dello stazionamento di Ponte di Legno. Alle 14:38 il personale CNSAS coinvolto nella missione riferisce d’essere rientrato in base a Temù. Vengono fatti rientrare tutti i mezzi di soccorso. 4.2. La gestione dell’intervento in valanga Per quanto riguarda la gestione dell’interno in valanga esiste una procedura dettagliata che gli operatori sanitari devono attuare e seguire per la buona riuscita della missione. Lo scenario di un incidente in valanga è molto variabile; spesso la risoluzione dipende dalla corretta integrazione tra: - Centrale Operativa Emergenza Urgenza (COEU) 118 Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 49 - Servizio elisoccorso - Unità Cinofile da Valanga (UVC) - Stazioni del Corpo Nazionale Soccorso Alpino Speleologico (CNSAS) di competenza - Personale degli impianti di risalita - Soccorritori occasionali. L’assoluta priorità nella gestione della valanga sarà quindi quella di raggiungere i target con personale addestrato nel più breve tempo possibile senza perdere minuti importanti in fasi organizzative che possono ritardare la prima risposta. A tal fine l’obiettivo della COEU sarà quello di: -localizzare l’evento -inquadrare lo scenario da gestire -attivare tutte le risorse necessarie secondo le priorità stabilite. 1.Oggetto e campo di applicazione La procedura si applica agli eventi valanghivi con coinvolgimento certo o presunto di persone nei primi 150 minuti successivi alla chiamata del soccorso da parte della COEU 118 al trasporto del paziente presso il Centro di trattamento dell’ipotermia. Ciò si applica anche per la parte inerente il trattamento dell’ipotermia dalla sezione 1 punto g) ai pazienti ipotermici per immissione in acque gelide e per ipotermie per eventi accidentali. Gli eventi valanghivi di proporzioni disastrose rientrano nelle Maxi Emergenze e pertanto non sono trattati nelll’ambito della presente procedura. 2.Procedura Inquadramento dell’evento e attivazione degli attori coinvolti a) Ricezione della chiamata e inquadramento dell’evento In caso di valanga con sospetto o certezza di coinvolgimento di persone, l’operatore di COEU: • processa la chiamata ottenendo le informazioni principali Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 50 • informa il Medico di COEU • se possibile mantiene in linea il chiamante b) Attivazione dell’elisoccorso La COEU 118 territorialmente competente dispone l’attivazione dell’elisoccorso competitivo (valutazione dei tempi di raggiungimento del luogo dell’evento e della presenza di UCV: Unità Cinofila da Valanga), informando contestualmente in CNSAS territorialmente competente. La COEU 118 deve quindi prevedere a preallertare un secondo elisoccorso, che in caso recupera una UCV. c) Acquisizione di ulteriori informazioni relativi all’evento L’operatore di COEU provvede ad acquisire informazioni per la gestione dell’evento attraverso la compilazione del modulo 43 “scheda raccolta dati per primo intervento in valanga”. d) Attivazione del CNSAS territorialmente competente I dati raccolti con il modulo 43 e informazioni dalla COEU 118 devono essere comunicati all’équipe dell’elisoccorso, al CNSAS per permettere l’attivazione del soccorso tecnico che comprende: -attivazione del personale tecnico e sanitario CNSAS -allestimento di una o più squadre di primo intervento da elitrasportare sul luogo del evento -attivazione di ulteriori UCV -allertare tutte le stazioni CNSAS dell’area interessata dell’evento e) Allertamento delle forze dell’ordine/vigili del fuoco da parte dell’operatore di COEU f) Gestione delle interfacce tra gli attori coinvolti • Il Tecnico Elisoccorritore giunto per primo in posto assume il ruolo di Direttore di Valanga, che in accordo con il responsabile del centro operativo CNSAS determinano le risorse da inviare sul luogo dell’evento. Il personale tecnico del CNSAS assumerà poi il ruolo di Direttore di Ricerca in Valanga. Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 51 • Dopo lo sbarco dell’equipaggio in valanga, l’elicottero trasporterà i soccorritori del CNSAS sul luogo dell’evento. • E’ previsto che l’equipe sanitaria dell’elisoccorso venga affiancata o sostituita da personale sanitario del CNSAS secondo indicazioni della COEU del 118 territorialmente competente appena possibile ed entro i 150 minuti g) Allertamento del Centro per il trattamento dell’ipotermia Si individuano quali Centri per il trattamento dell’ipotermia: • l’ospedale di Bergamo ( Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti si Bergamo ) fino ad un massimo di 2 pazienti • l’ospedale “Alessandro Manzoni” di Lecco ( Azienda Ospedaliera della Provincia di Lecco ) per 1 paziente h) Trasporto del Paziente ipotermico (stadio III e IV) A disseppellimento avvenuto, se riscontrati i criteri di invio alla CEC del Paziente, la COEU comunica alla COEU di Bergamo la necessità di accesso alla CEC indicando: - il numero di Pazienti - le condizioni cliniche La COEU di Bergamo comunica alla COEU che gestisce l’evento la destinazione del paziente richiedendo il tempo stimato di arrivo in ospedale. La COEU di Bergamo provvede a contattare le strutture interessate per il trattamento e a fornire le necessarie informazioni. Gestione clinica del soggetto sepolto da valanga: i) Definizione della modalità di seppellimento Il soggetto sepolto in valanga si può presentare in due diversi modalità di seppellimento: • parzialmente sepolto con testa e torace fuori dalla neve (problematica maggiore: trauma, ipotermia) Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 52 • completamente sepolto con testa e torace coperti dalla neve (problematica maggiore: asfissia, ipotermia e trauma) j) Definizione dei tempi di seppellimento Per stabilire la prognosi del paziente risulta fondamentale definire i tempi di seppellimento. La curva di sopravvivenza di H. Brugger mette in evidenzia due picchi di caduta a 18 minuti (91% di sopravvivenza) e 35 minuti (34% di sopravvivenza). Risultano fondamentali le manovre di autosoccorso da parte degli astanti e la presenza o meno di una tasca d’aria. Al di sopra dei 35 minuti la sicura assenza di una tasca d’aria permette una diagnosi certa di morte, mentre la sua presenza permette di ipotizzare una “triple h sindrome”. k) Individuazione del soggetto sepolto E’ compito della prima èquipe che arriva sul posto l’individuazione del soggetto sepolto; il personale sanitari effettua una ricerca detta “ARTVA vista udito” che permette di: • tracciare eventuali reperti rivenuti sulla valanga • percepire eventuali urla e/o rumori provenienti dai soggetti sepolti • rintracciare un segnale ARTVA proveniente dalle apparecchiature del soggetto sepolto Eventuali tracce o contatti ARTVA al DV dagli operatori sanitari che effettueranno un primo sondaggio a maglia stretta della zona utilizzando picchetti e nastro. Il DV e l’UCV effettueranno le loro ricerche con ARTVA e cane. l) Modalità di disseppellimento Una volta individuato il soggetto sepolto il DV richiede l’intervento di tutta l’èquipe per il disseppellimento, fase estremamente critica che necessita di coordinazione durante le fasi di scavo (dove e come scavare) e rapidità di scavo (attrezzi giusti e capacità di rimuovere la neve). I criteri di scavo sono: Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 53 • lo scavo non deve mai essere effettuato sulla perpendicolare del soggetto sepolto ma a valle del punto di sondaggio evitando per quanto possibile scavi in profondità sulla verticale del sepolto. • al primo contatto con il soggetto sepolto è fondamentale determinare la posizione della testa, per poi effettuare lo scavo successivo verso quella direzione. • in prossimità della testa porre molta attenzione nella valutazione della camera d’aria antistante naso e/o bocca e la pervietà delle vie aeree. • appena possibile mettere alla luce testa e tronco per eventuali manovre di BLS • non calpestare la zona sovrastante il soggetto sepolto per non ridurre o distrugger la tasca d’aria • sviluppare lo scavo tenendo presente la necessità di un’estrazione quanto piu delicata possibile • predisporre nello scavo una seconda linea per allontanare la neve rimossa m) Modalità di estrazione L’estrazione dei sepolti in valanga risulta essere una manovra delicata e complessa, i principali aspetti di ciò riguardano le priorità assegnate al soggetto sepolto: la necessità di una rapida estrazione per l’esecuzione di manovre di RCP o la necessità di far fronte alla “triple h sindrome” con attenzione all’ipotermia e ai fenomeni quali l’after trop. n) Preparazione del sito di gestione del paziente E’ necessario porre attenzione al luogo dove deporre il paziente una volta estratto dalla neve. A tal fine occorre: • garantire una superficie piana che permetta la corretta esecuzione di tutte le manovre di rianimazione. Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 54 • proteggere il paziente, i soccorritori e le attrezzature sanitarie dagli elementi atmosferici quali freddo, vento, neve che rendono difficoltoso il soccorso e provocare un’ulteriore dispersione termica per il paziente. o) Valutazione del paziente ed esecuzione delle procedure ALS La gestione clinica del paziente sepolto da valanga dipende da: • il grado di seppellimento • il tempo di seppellimento • la presenza o meno di una camera d’aria • la pervietà delle vie aeree • la tipologia di neve distaccatasi con la valanga Il sepolto da valanga va sempre trattato e gestito come un paziente politraumatizzato, ma le strategie decisionali dipendono dal tempo di seppellimento e dalla presenza o meno di una camera d’aria. Si individuano tre tipologie di pazienti: - pazienti estratti entro 18 minuti dal seppellimento: sono prioritarie le manovre di BLS, si pone attenzione alle pervietà delle vie aeree e supporto cardio-respiratorio. Tali pazienti non hanno problematiche di ipotermia grave e vanno gestiti per lo più per i traumi riportati - pazienti estratti in tempi inferiori o uguali a 35 minuti dal disseppellimento: le principali problematiche sono legate all’asfissia acuta ostruttiva e costruttiva, ai traumi e all’ipotermia. Dunque eseguire un approccio BLS e manovre di supporto avanzato quali: protezione delle vie aeree, rilievo della temperatura corporea centrale (esofagia), riscaldamento, supporto e ripristino delle funzioni vitali e gestione del trauma. In caso di asistolia, con presenza di Air Pocket e temperatura corporea maggiore di 32 gradi si prevede l’esecuzione di RCP con supporto farmacologico per almeno 20 minuti. - pazienti estratti in tempi superiori di 35 minuti dal seppellimento, con camera d’aria (certa o presunta) e vie aeree pervie. Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 55 Per questi pazienti con il sospetto di “ Triple H Sindrome” il trattamento è rappresentato da: • le manovre di BLS, sin dalle fasi del disseppellimento • il reperimento di un adeguato accesso vascolare • la misurazione ed il monitoraggio della temperatura corporea • l’ECG • un’estrazione effettuata con estrema cautela • un’adeguata protezione termica, con pacchetto termico • la gestione delle vie aeree, se necessario con intubazione oro tracheale • la somministrazione di ossigeno, se possibile, riscaldato e umidificato • la gestione dei traumi intercorrenti Pazienti in STADIO III I Pazienti in ipotermia profonda STADIO III (quindi incoscienti con polso e respiro ancora presenti), devono essere indirizzati verso il Centro per il trattamento dell’ipotermia. Deve essere posta particolare attenzione alla possibile insorgenza del fenomeno di after drop. I pazienti ricompresi in questa classe di ipotermia dovrebbero essere riscaldati in maniera invasiva attraverso CEC. Stadio IV- Paziente in Arresto Cardiaco Ipotermico In caso di Paziente estratto con vie aeree pervie, in arresto cardiocircolatorio asistolico, temperatura inferiore ai 32 gradi si procede come segue: • i Pazienti con temperatura inferiore a 15 gradi, in asistolia, con rigidità toracica tale da impedire le manovre di RCP, dovranno essere dichiarati morti sulla scena della valanga • i Pazienti con temperatura superiore a 15 gradi, asistolia o fibrillazione ventricolare, sui quali possono essere messe in atte le manovre di RCP dovranno essere trasportati presso il Centro di riferimento per il riscaldamento extracorporeo (CEC), previo dosaggio della Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 56 kaliemia plasmatica (in questo caso si applicherà il valore di 9 mEq/L come cut-off del triage “vivo-morto”). Se vi è la disponibilità di uno strumento affidabile per la misurazione del potassio plasmatico, i Pazienti con > 15 gradi, asitolici, con sacca d’aria presente o dubbia e vie aeree pervie, ma con kaliemia >9 mEq/Ldovranno essere dichiarati morti sulla scena dell’evento. I pazienti eletti per trattamento di riscaldamento invasivo presso il Centro per il trattamento dell’ipotermia dovranno essere gestiti come segue: • intubazione e MCE continuativo fino all’accesso in Sala Operatoria cardiochirurgia • mantenimento, se possibile, dell’ipotermia del capo quale fattore neuro protettivo, anche con metodiche empiriche (neve) • scongiuramento della dispersione termica della restante parte del corpo. Qualora il tempo ipotizzabile o già intercorso tra l’estrazione dalla neve e l’inizio delle manovre di RCP sia particolarmente lungo (> 60 minuti) sarà discrezione del medico di elisoccorso operare una approfondita valutazione del contesto clinico per decidere l’eleggibilità del Paziente al trattamento extracorporeo ovvero constatarne il decesso in loco, anche interfacciandosi can la COEU di Bergamo. p) Protezione termica e sistemi di monitoraggio del Paziente Temperatura corporea La temperatura corporea centrale deve essere rilevata subito e se possibile monitorata in continuo. Il migliore tra i rilievi è la temperatura esofagea ma è utilizzata anche la temperatura epitimpanica. Monitoraggio ECG Il monitoraggio ECG si può effettuare sia utilizzando le piastre adesive che gli eletrodi Monitoraggio della ETCO2 Il monitoraggio della ETCO2 permette di valutare: Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 57 • il corretto posizionamento di presidi di controllo delle vie aeree • l’efficacia della RCP • la ripresa di un’attività cardiorespiratoria spontanea. Spesso la saturimetria risulta poco attendibile a causa dell’importante vasocostrizione conseguente alla centralizzazione del circolo Protezione termica Esistono diversi presidi e risorse utilizzabili a tale scopo: alcuni provocano un riscaldamento attivo esterno, altri attivo interno altri ancora solo un riscaldamento passivo. I presidi possono essere usati singolarmente o in combinazione: • pacchi caldi e resistenze elettricamente riscaldanti • telini termici • coperte sintetiche o di lana • cellophane • liquidi endovena caldi • bevande calde (meglio se zuccherate) • ossigeno umidificato e riscaldato. Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 58 CONCLUSIONI L’obiettivo di questo elaborato è quello di definire quale sia il ruolo centrale assunto dall’infermiere durante l’incidente valaghivo. La continua formazione, l’aggiornamento di competenze e la specializzazione portano alla creazione di personale infermieristico altamente capace di far fronte al pericolo “ morte da valanga ”. Solo la visione multidisciplinare e di lavoro d’équipe da parte del personale d’elisoccorso, i volontari CNSAS e la funzione cardine della Centrale Operativa 118 porteranno a ridurre, nel tempo, i casi di morte ed aumentare la sopravvivenza dei numerosi alpinisti che popolano le nostre montagne. All’infermiere, come operatore di un’assistenza di natura relazionale, tecnica ed educativa, spetterebbe il compito di promuovere una campagna di sensibilizzazione per la prevenzione sugli incidenti in montagna precisamente causati da valanga, auspicando la collaborazione con le diverse figure del CNSAS. L’utilizzo di dispositivi come l’Artva, pala, sonda e il senso di responsabilità per la propria vita da parte dell’alpinista giocano un ruolo in prima linea per la sopravvivenza del sepolto e la prevenzione degli eventi valanghivi. Ma dagli studi svolti si evince che è di vitale importanza l’organizzazione da parte dei soccorritori, fin dalla ricezione della chiamata d’allarme. Come esplicitato in questo elaborato, la Centrale Operativa riveste un ruolo di fondamentale importanza nel coordinare i soccorsi e viene evidenziata la capacità dell’infermiere di Centrale di ricavare tutte le informazioni essenziali per inviare i mezzi idonei sul luogo dell’evento e rendere, in questo modo, un servizio efficiente ed efficace. All’infermiere che presta servizio presso l’elisoccorso è riconosciuta, invece, una funzione in più in quanto viene ad essere “ Tecnico ricercatore ed Infermiere ” trovandosi a collaborare alla ricerca del disperso, al disseppellimento ed alla stabilizzazione della criticità del paziente. Infine per garantire la sopravvivenza della vittima sepolta da valanga è richiesta: competenza specifica, abilità tecniche, la disponibilità di mezzi di soccorso e la conoscenza sanitaria primaria. La figura professionale dell’infermiere raggruppa dunque le conoscenze tecniche (il sapere) e le abilità tecniche e manuali (il sapere fare) e le capacità comunicative e relazionali (il sapere essere). Il riconoscimento dell’autonomia professionale, le possibilità di specializzazioni, di carriera sia nel management che nella ricerca, nella università, la creazione di figure di supporto che coadiuvano l’infermiere nelle mansioni più semplici, sono tutte espressioni di Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 59 un unanime riconoscimento della maturità tecnico-scientifica raggiunta dal sapere infermieristico e il ruolo dell’infermiere studiato ed apprezzato in questo lavoro ne è una reale dimostrazione. Apprendere la professione di infermiere in questo contesto significa dunque maturare culturalmente e tecnicamente per essere al servizio della salute dell’uomo e ancor più della sua dignità. Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 60 Bibliografia AINEVA “ Le valanghe ”, manuale, Trento, 2003 BRUGGER H, DURRER B., “Pazienti sepolti da valanga con asistolia: cernita ad opera del medico di pronto intervento”, Atti della 13a Conferenza Internazionale dei medici del soccorso alpino, Innsbruck, novembre, 1993. BRUGGER H., “Misure mediche in caso di seppellimento da valanghe”, Testo per le relazioni dell’Università di Padova, Brunico, 1999. BRUGGER H., DURRER B., “On site Treatment of avalanche Victims ICARMEDCOM- Recommendation”, International Commission For Mountain Emergency Medicine, High Altitude Medicine and Biology, Volume 3, number 4, 2002. AINEVA , Associazione Interregionale Neve e Valanghe,” Autosoccorso in Valanga” disponibile su www.aineva.it CORPO NAZIONALE SOCCORSO ALPINO E SPELEOLOGICO, Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, disponibile su www.cnsas.it PROTOCOLLO AREU 118 BRESCIA, La Gestione dell’intervento in valanga. SISSI “ Società Italo Svizzera Studi Ipotermia ” Autrice Jennifer Gazzoli www.ipotermia.org 61