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Linee Guida per il rilascio di pareri riguardanti le

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Linee Guida per il rilascio di pareri riguardanti le
ARPA PUGLIA
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Fax 080 5460150
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Linee guida per il rilascio di pareri riguardanti le
emissioni in atmosfera prodotte dagli impianti di
depurazione
Revisioni
Redatto
Approvato
Rev_0 del 17/12/2014
Dott. Ing. Adriana Maria Lotito (capitoli 1-6,
capitolo 8), Dott.ssa Magda Brattoli (capitoli 7-8)
Dott. Roberto Giua, Dott. Gianluigi
De Gennaro
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INDICE
1. PREMESSA ................................................................................................................................. 1
2. IMPIANTI DI TRATTAMENTO DI ACQUE REFLUE ........................................................... 5
2.1
Pre-trattamenti ........................................................................................................................... 5
2.2
Trattamento primario ................................................................................................................ 5
2.3
Trattamento secondario ............................................................................................................. 6
2.4
Trattamenti terziari .................................................................................................................... 7
2.5
Linea fanghi .............................................................................................................................. 7
3. EMISSIONI IN ATMOSFERA DAGLI IMPIANTI DI DEPURAZIONE: ODORI E GAS
SERRA ................................................................................................................................................. 8
3.1
Pre-trattamenti ........................................................................................................................... 9
3.2
Trattamento primario .............................................................................................................. 10
3.3
Trattamento secondario ........................................................................................................... 10
3.4
Trattamenti terziari .................................................................................................................. 10
3.5
Linea fanghi ............................................................................................................................ 10
4. LA GESTIONE DEL BIOGAS PRODOTTO NELLA DIGESTIONE ANAEROBICA ......... 12
5. METODI DI CONTROLLO DEGLI ODORI ........................................................................... 13
5.1
Buone pratiche gestionali ........................................................................................................ 13
5.2
Sistemi di trattamento delle emissioni .................................................................................... 15
6. AUTORIZZAZIONE ALLE EMISSIONI IN ATMOSFERA .................................................. 22
6.1
Convogliamento e trattamento ................................................................................................ 22
6.2
Valori limite di emissione ....................................................................................................... 22
6.3
Gestione del biogas prodotto dagli impianti di digestione anaerobica ................................... 26
6.4
Letti di essiccamento ............................................................................................................... 27
6.5
Obblighi di comunicazione ..................................................................................................... 27
7. INDICAZIONI PER LA REDAZIONE DEL PIANO DI MONITORAGGIO E CONTROLLO
DELLE EMISSIONI ODORIGENE ................................................................................................. 28
7.1
Premessa.................................................................................................................................. 28
7.2
Obiettivo.................................................................................................................................. 28
7.3
Piano di monitoraggio e controllo: contenuti minimi e prescrizioni ...................................... 29
7.3.1
Studio previsionale....................................................................................................... 29
7.3.2
Piano di monitoraggio e controllo ................................................................................ 31
7.4
Criteri decisionali riguardanti le prescrizioni sul monitoraggio delle emissioni odorigene ... 34
7.4.1
Classificazione degli impianti nelle tre categorie ........................................................ 35
7.5
Considerazioni finali ............................................................................................................... 36
8. CHECKLIST PER LA VERIFICA DOCUMENTALE E LA VALUTAZIONE DEI
PROGETTI ........................................................................................................................................ 37
8.1
Verifica della documentazione presentata .............................................................................. 37
8.2
Verifica del progetto di convogliamento e trattamento .......................................................... 38
8.3
Verifica delle prescrizioni relative ai limiti di emissione ....................................................... 39
8.4
Verifica dello studio modellistico e del piano di monitoraggio e controllo............................ 39
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ALLEGATO 1: REQUISITI DEGLI STUDI DI IMPATTO OLFATTIVO MEDIANTE MODELLI
DI DISPERSIONE …………………………………………………………………………………40
ALLEGATO 2: CLASSIFICAZIONE DEGLI IMPIANTI DI DEPURAZIONE IN RELAZIONE
ALL’IMPATTO ODORIGENO ATTESO SUI RECETTORI……………………………………..56
ALLEGATO 3: CLASSIFICAZIONE DEGLI IMPIANTI DI DEPURAZIONE NELLE TRE
CATEGORIE DI MONITORAGGIO………………………………………………………………58
ALLEGATO 4: MAPPATURA DEGLI IMPIANTI NELLE TRE CATEGORIE DI
MONITORAGGIO………………………………………………………………………………….62
RIFERIMENTI……………………………………………………………………………………...63
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1. PREMESSA
Gli impianti di depurazione dei reflui civili costituiscono una fonte di notevoli emissioni odorigene e sono
spesso causa di proteste da parte della popolazione residente in prossimità degli impianti. Tuttavia, fino a
questo momento tale problematica è stata parzialmente trascurata, poiché ritenuta secondaria rispetto agli
aspetti impiantistici e gestionali relativi alle acque e ai fanghi originati dal trattamento.
Nella sua formulazione originaria, infatti, il D.Lgs. 152/2006 inseriva tale tipologia di impianto tra quelle
scarsamente rilevanti agli effetti dell’inquinamento atmosferico (art. 272, Impianti in deroga). La modifica
introdotta nell’allegato IV alla parte V del D.Lgs. 152/2006 con il D.Lgs. 128/2010 ha riportato l’attenzione
su tale fonte di emissioni, escludendo dalla deroga le linee di trattamento dei fanghi. Tale modifica ha portato
alla necessità per gli impianti di depurazione di dotarsi di autorizzazione alle emissioni in atmosfera ai sensi
dell’art. 269 del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. La deroga, infatti, riguarda (allegato IV alla parte V del D.Lgs.
152/2006 e s.m.i., a seguito della modifica introdotta con DM Ambiente 15/01/2014):
“p) Impianti di trattamento delle acque, escluse le linee di trattamento dei fanghi, fatto salvo quanto previsto
dalla lettera p-bis);
p-bis) Linee di trattamento dei fanghi che operano nell’ambito di impianti di trattamento delle acque reflue
con potenzialità inferiore a 10.000 abitanti equivalenti per trattamenti di tipo biologico e inferiore a 10 m3/h
di acque trattate per trattamenti di tipo chimico/fisico; in caso di impianti che prevedono sia un trattamento
biologico, sia un trattamento chimico/fisico, devono essere rispettati entrambi i requisiti.”
La valutazione delle emissioni in atmosfera dagli impianti di depurazione è necessaria anche per le
valutazioni di impatto ambientale e per le autorizzazioni integrate ambientali, per le quali è prevista la
valutazione degli effetti su tutti i comparti ambientali.
Ai sensi della L.R. 11/2001 e s.m.i. in materia di procedura di valutazione di impatto ambientale sono:
•
soggetti a VIA di competenza provinciale i progetti per la realizzazione di interventi e opere riguardanti
gli impianti di depurazione delle acque con potenzialità maggiore di 100.000 abitanti equivalenti e gli
impianti di depurazione delle acque con potenzialità superiore a 10.000 abitanti equivalenti la cui
ubicazione o il cui recapito è difforme dalle indicazioni del piano di risanamento delle acque della
Regione Puglia o che ricadono anche parzialmente all’interno di aree naturali protette o di siti della Rete
Natura 2000 di cui alle direttive 79/409/CEE e 93/43/CEE,
•
soggetti a verifica di assoggettabilità a VIA di competenza provinciale i progetti riguardanti gli impianti
di depurazione delle acque con potenzialità superiore a 10.000 abitanti equivalenti e le modifiche
relative agli impianti soggetti a VIA o a verifica di assoggettabilità a VIA,
tenendo presente che le soglie dimensionali sono ridotte del 50% qualora i progetti di interventi o di opere
ricadano all’interno di aree naturali protette e del 30% nelle aree dichiarate ad elevato rischio di crisi
ambientale (anche in aggiunta alla riduzione precedente).
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Per ciò che riguarda la valutazione di impatto ambientale, la normativa italiana (art. 22 D.Lgs. 152/2006 e
s.m.i.) prevede uno studio di impatto ambientale contenente “una descrizione delle misure previste per
evitare, ridurre e possibilmente compensare gli impatti negativi rilevanti” e “i dati necessari per individuare
e valutare i principali impatti sull’ambiente e sul patrimonio culturale che il progetto può produrre”.
L’autorizzazione integrata ambientale ha per oggetto la prevenzione e la riduzione integrate
dell’inquinamento proveniente dalle attività di cui all’allegato VIII alla parte II del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i.
e prevede misure intese ad evitare, ove possibile, o a ridurre le emissioni nell’aria, nell’acqua e nel suolo,
comprese le misure relative ai rifiuti, per conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente. Prima
delle modifiche introdotte con il D.Lgs. 46/2014, erano soggetti ad AIA gli impianti per l’eliminazione o il
recupero di rifiuti pericolosi, della lista di cui all’art. 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689/CEE quali definiti
negli allegati II A e II B (operazioni R 1, R 5, R 6, R 8 e R 9) della direttiva 75/442/CEE e nella direttiva
75/439/CEE, con capacità di oltre 10 tonnellate al giorno e gli impianti per l’eliminazione dei rifiuti non
pericolosi quali definiti nell’allegato II A della direttiva 75/442/CEE ai punti D8 (trattamento biologico non
specificato altrove nello stesso allegato, che dia origine a composti o a miscugli che vengono eliminati
secondo uno dei procedimenti elencati nei punti da D1 a D12) e D9 (trattamento fisico-chimico non
specificato altrove nello stesso allegato che dia origine a composti o a miscugli eliminati secondo uno dei
procedimenti elencati nei punti da D1 a D12), con capacità superiore a 50 tonnellate al giorno.
La possibilità di smaltimento di rifiuti presso gli impianti di depurazione è regolata dall’art. 110 del D.Lgs.
152/2006 e s.m.i. Tale articolo prevede che “l’autorità competente, d’intesa con l’Autorità d’ambito, in
relazione a particolari esigenze e nei limiti della capacità residua di trattamento, autorizza il gestore del
servizio idrico integrato a smaltire nell’impianto di trattamento di acque reflue urbane rifiuti liquidi,
limitatamente alle tipologie compatibili con il processo di depurazione” e che “il gestore del servizio idrico
integrato, previa comunicazione all’autorità competente ai sensi dell'articolo 124, è comunque autorizzato
ad accettare in impianti con caratteristiche e capacità depurative adeguate, che rispettino i valori limite di
cui all’articolo 101, commi 1 e 2, i seguenti rifiuti e materiali, purché provenienti dal proprio Ambito
territoriale ottimale oppure da altro Ambito territoriale ottimale sprovvisto di impianti adeguati:
a) rifiuti costituiti da acque reflue che rispettino i valori limite stabiliti per lo scarico in fognatura;
b) rifiuti costituiti dal materiale proveniente dalla manutenzione ordinaria di sistemi di trattamento di acque
reflue domestiche previsti ai sensi dell’articolo 100, comma 3 (n.d.r. sistemi individuali o altri sistemi
pubblici o privati adeguati per insediamenti, installazioni o edifici isolati che producono acque reflue
domestiche);
c) materiali derivanti dalla manutenzione ordinaria della rete fognaria nonché quelli derivanti da altri
impianti di trattamento delle acque reflue urbane, nei quali l’ulteriore trattamento dei medesimi non risulti
realizzabile tecnicamente e/o economicamente”.
Tra i rifiuti non pericolosi che possono essere trattati presso gli impianti di depurazione si possono includere,
a titolo di esempio, i fanghi delle fosse settiche (CER 20 03 04) e i rifiuti della pulizia delle fognature (CER
20 03 06).
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Il D.Lgs. 46/2014 ha modificato l’allegato VIII alla parte II del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i., introducendo una
deroga per le attività di trattamento delle acque reflue urbane. Sono infatti soggetti ad AIA:
“5.1. Lo smaltimento o il recupero di rifiuti pericolosi, con capacità di oltre 10 Mg al giorno, che comporti
il ricorso ad una o più delle seguenti attività:
a) trattamento biologico;
b) trattamento fisico-chimico;
c) dosaggio o miscelatura prima di una delle altre attività di cui ai punti 5.1 e 5.2;
d) ricondizionamento prima di una delle altre attività di cui ai punti 5.1 e 5.2;
e) rigenerazione/recupero dei solventi;
f) rigenerazione/recupero di sostanze inorganiche diverse dai metalli o dai composti metallici;
g) rigenerazione degli acidi o delle basi;
h) recupero dei prodotti che servono a captare le sostanze inquinanti;
i) recupero dei prodotti provenienti dai catalizzatori;
j) rigenerazione o altri reimpieghi degli oli;
k) lagunaggio.
[…]
5.3. a) Lo smaltimento dei rifiuti non pericolosi, con capacità superiore a 50 Mg al giorno, che comporta il
ricorso ad una o più delle seguenti attività ed escluse le attività di trattamento delle acque reflue urbane,
disciplinate al paragrafo 1.1 dell’allegato 5 alla Parte terza […]
b) Il recupero, o una combinazione di recupero e smaltimento, di rifiuti non pericolosi, con una capacità
superiore a 75 Mg al giorno, che comportano il ricorso ad una o più delle seguenti attività ed escluse le
attività di trattamento delle acque reflue urbane, disciplinate al paragrafo 1.1 dell’allegato 5 alla Parte
terza […]”.
Si fa presente che ai sensi dell’art. 74 del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. si definiscono “acque reflue urbane” le
acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero
meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato, dove
con “acque reflue domestiche” si intendono le acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e
da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche, mentre con “acque
reflue industriali” si individuano le acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività
commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di
dilavamento.
La necessità di elaborare delle linee guida per il rilascio dei pareri ARPA sulle emissioni dagli impianti di
depurazione, con particolare attenzione verso le emissioni odorigene, deriva dalla mancanza a livello
nazionale di strumenti atti a disciplinare la materia (salvo il riferimento all’art. 844 del codice civile in
merito ai limiti della “normale tollerabilità delle immissioni di fumo, calore, rumori…” e all’art. 674 del
codice penale in merito al getto pericoloso di cose).
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Le presenti linee guida hanno, pertanto, anche la funzione di fornire eventuali indicazioni utili alle province
per il rilascio delle autorizzazioni alle emissioni in atmosfera ex art. 269 del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. e per il
rilascio di pareri per le valutazioni di impatto ambientale e per le verifiche di assoggettabilità.
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2. IMPIANTI DI TRATTAMENTO DI ACQUE REFLUE
Per quanto riguarda la linea acque, un tipico impianto di depurazione è costituito da una successione di unità
di trattamento che si possono riferire a quattro macrocategorie principali:
1. Pre-trattamenti;
2. Trattamento primario;
3. Trattamento secondario;
4. Trattamenti terziari.
I trattamenti possono anche essere classificati in relazione alla tipologia in meccanici, biologici, chimici e
fisici.
Oltre alla linea acque, gli impianti di depurazione sono dotati di una linea fanghi per il trattamento dei fanghi
prodotti durante la depurazione delle acque.
Di seguito si riporta una breve descrizione delle diverse unità di trattamento (Figura 1). Occorre tenere
presente che non tutte le unità o non tutte le macrocategorie sono presenti in tutti gli impianti di depurazione,
poiché lo schema di impianto adottato dipende dalla potenzialità dell’impianto e dalle caratteristiche qualiquantitative del refluo in ingresso.
2.1 Pre-trattamenti
La prima stazione normalmente presente in un impianto di depurazione è quella del sollevamento iniziale,
per consentire l’ingresso del refluo dal collettore principale alle unità di trattamento dell’impianto.
In alcuni impianti di depurazione, in cui è previsto il conferimento di reflui da piccoli insediamenti mediante
autobotti o il trattamento di rifiuti liquidi (bottini), è presente la sezione di scarico bottini e autobotti.
La prima vera fase di trattamento è in genere costituita dalla grigliatura, che consente la rimozione del
materiale grossolano (pezzi di plastica, legno, sassi, carta ecc.). Può essere distinta in grigliatura grossolana e
grigliatura fine a seconda dell’apertura delle maglie. Il grigliato viene smaltito come rifiuto.
Un altro pre-trattamento è costituito dalla dissabbiatura e disoleatura: le sabbie sedimentano, mentre oli e
grassi risalgono in superficie per flottazione favorita mediante insufflazione di aria.
A monte dei successivi trattamenti può essere prevista una vasca di equalizzazione che consente di ottenere
un refluo in ingresso con portata costante e composizione più o meno omogenea in maniera da migliorare
l’efficacia del processo successivo. Spesso tali vasche vengono aerate o comunque tenute in sufficiente
agitazione.
2.2 Trattamento primario
Il trattamento primario consiste in una fase di sedimentazione, detta appunto sedimentazione primaria, che
consente la separazione per gravità dei solidi sedimentabili. I fanghi accumulati sul fondo vengono sospinti
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dalla lama di fondo del carroponte raschiatore nelle tramogge di raccolta e prelevati per essere inviati ai
trattamenti successivi.
In alcuni schemi di processo tale fase viene eliminata nella convinzione, non ancora scientificamente
comprovata, dell’efficacia di un maggior apporto organico solido alle fasi di predenitrificazione.
Figura 1 – Schema tipo di un impianto di depurazione convenzionale: 0) rete di collettamento; 1) sollevamento
iniziale; 2) grigliatura; 3) dissabbiatura e disoleatura; 4) sedimentazione primaria; 5) denitrificazione; 6) vasca
di aerazione; 7) sedimentazione secondaria; 8) scarico dell’effluente depurato; 9) ricircolo fanghi; 10) preispessimento; 11) digestore anaerobico; 12) post-ispessimento; 13) disidratazione fanghi; 14-15) stoccaggio e
trasporto fanghi; 16-19) gasometro e recupero energetico dai fanghi (http://www.provincia.bz.it/agenziaambiente/acqua/funzionamento-depurazione.asp)
2.3 Trattamento secondario
Il trattamento secondario è generalmente costituito da un processo biologico a fanghi attivi.
Nel caso l’impianto effettui la rimozione biologica dell’azoto, la prima unità di trattamento è costituita da
una vasca di denitrificazione.
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Il cuore del trattamento secondario avviene nella vasca di aerazione, in cui vengono rimosse alcune sostanze
disciolte grazie all’azione metabolica di microrganismi. Per garantire il corretto svolgimento del processo è
necessario assicurare una sufficiente presenza di ossigeno, in genere mediante insufflazione di aria dal fondo.
Se i tempi di residenza sono sufficienti si ha anche ossidazione dell’ammoniaca a nitrato.
I fiocchi costituiti da colonie di batteri generatisi nella vasca di ossidazione vengono separati per
sedimentazione nei sedimentatori secondari. Una parte del fango attivo viene ricircolata nella vasca di
aerazione, mentre la parte in eccesso (fango di supero) viene inviata alla linea fanghi.
Tali unità costituiscono la sezione di trattamento secondario in un impianto di depurazione convenzionale. Il
trattamento biologico può essere effettuato anche mediante altre tecnologie come biofiltri, reattori a
membrana (MBR, membrane bioreactor), reattori sequenziali (SBR, sequencing batch reactor), impianti ad
aerazione prolungata, ecc.
2.4 Trattamenti terziari
In tale classe rientrano una serie di possibili trattamenti per la rimozione di specifici inquinanti o per
migliorare ulteriormente la qualità dell’effluente, quali chiariflocculazione, filtrazione su sabbia,
ozonizzazione, trattamenti di disinfezione, ecc.
2.5 Linea fanghi
Generalmente i fanghi dalla sedimentazione primaria e secondaria vengono concentrati in un pre-ispessitore,
in maniera da ridurne il volume.
Il fango deve essere poi stabilizzato, tipicamente mediante un processo di digestione anaerobica (batteri
specializzati metabolizzano parte della sostanza organica producendo biogas ad alto contenuto di metano) o
di stabilizzazione aerobica (secondo principi simili all’ossidazione in linea acque ma con elevata idrolisi dei
solidi). Nel caso di digestione anaerobica, il biogas prodotto, se non sprecato in smaltimenti in torcia, viene
accumulato nel gasometro ed utilizzato come fonte energetica per il riscaldamento del digestore stesso e per
la produzione di energia elettrica.
La concentrazione del fango digerito viene ulteriormente incrementata in un eventuale post-ispessitore e
mediante disidratazione meccanica (nastropressa, centrifuga, filtropressa). Il fango disidratato presenta una
consistenza semisolida, detta “palabile”, che ne consente un agevole utilizzo/riutilizzo (agricoltura,
compostaggio, ecc.) o smaltimento/trattamento in impianti dedicati.
Per igienizzare e per ridurre il volume di fanghi da smaltire è possibile adottare l’essiccamento termico, da
solo o in combinazione con l’incenerimento dei fanghi. In entrambi i casi è utilizzato un fluido, in genere a
contatto indiretto con i fanghi da essiccare, che deve essere riscaldato o utilizzando un combustibile (ad
esempio biogas o metano) o, nel caso di incenerimento, recuperando calore dai fumi della combustione.
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3. EMISSIONI IN ATMOSFERA DAGLI IMPIANTI DI DEPURAZIONE: ODORI E GAS
SERRA
La problematica emissiva prevalente per gli impianti di depurazione di acque reflue civili è legata ai
composti odorigeni. Tali emissioni possono aver luogo in tutte le fasi di trattamento e specialmente nelle
stazioni iniziali e in quelle caratterizzate da un maggior grado di turbolenza. Maggiori emissioni si verificano
quando l’impianto non è gestito correttamente.
La produzione di odori molesti nei sistemi di trattamento dei reflui può essere dovuta a sorgenti esterne
(riconducibili alla presenza di composti maleodoranti già nel liquame in ingresso all’impianto) o a sorgenti
interne all’impianto (sviluppo in alcuni punti delle linee di trattamento).
La presenza di cattivi odori in una fognatura urbana è dovuta essenzialmente a due cause distinte:
•
lo scarico di sostanze maleodoranti nel sistema di collettamento, di solito dovuto a specifiche
lavorazioni industriali o a smaltimenti abusivi;
•
la formazione di sostanze maleodoranti lungo la rete di fognatura per l’innesco di processi anaerobici.
Lo sviluppo delle sostanze maleodoranti all’interno di impianti di trattamento per reflui urbani è quasi
sempre da imputarsi alla possibilità che si creino condizioni di anossia/anaerobiosi nelle fasi di trattamento,
ovvero una riduzione del potenziale redox del mix: tale eventualità può essere una caratteristica intrinseca
del processo o derivare da problemi di progettazione e conduzione dell’impianto. Generalmente le emissioni
più rilevanti si verificano nei punti di raccolta e stoccaggio di materiali a forte carico organico (grigliatura,
pozzetti di estrazione dei fanghi), nelle fasi caratterizzate da tempi di permanenza prolungati (ispessitori di
fanghi freschi, digestori), nelle unità di processo nelle quali sono facilitati i fenomeni di volatilizzazione
(pre-aerazione, disidratazione e trattamenti termici dei fanghi).
I principali gruppi di sostanze sono (Sorlini, 1990):
•
composti solforati: sono i composti osmogeni che si riscontrano più frequentemente; tra questi prevale il
solfuro di idrogeno che può essere utilizzato come tracciante dell’inquinamento osmogeno degli
impianti di depurazione; altri composti sono i mercaptani ed i solfuri metilati;
•
composti azotati: essenzialmente ammoniaca; spesso sono presenti scatolo, indolo e ammine dall’odore
nauseabondo (pesce marcio);
•
acidi organici ed aldeidi, chetoni ed alcoli: si formano dalla fermentazione degli zuccheri e dei grassi in
condizioni di anossia o anaerobiosi.
Nonostante le quantità emesse siano più basse rispetto a quelle delle altre molecole, i composti ridotti dello
zolfo sono quelli con maggior grado di percezione a causa della più bassa soglia olfattiva.
La Tabella 1 riporta i valori medi e gli intervalli di concentrazione di odore caratteristici per le principali fasi
di trattamento (Capelli et al., 2009). Nell’ultima colonna sono riportati i fattori di emissione dell’odore (OEF
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– Odour Emission Factor) calcolati per ciascuna fase ed espressi in unità odorimetriche per metro cubo di
refluo trattato (ouE/(m3 di refluo)).
Tabella 1. Valori medi, range di concentrazione di odore e fattori di emissione di odore per ciascuna fase di
trattamento di un impianto di depurazione
Fasi del processo
Arrivo reflui
Pre-trattamenti
Sedimentazione primaria
Denitrificazione
Nitrificazione
Ossidazione
Sedimentazione secondaria
Trattamenti chimico-fisici
Ispessimento fanghi
Stoccaggio fanghi
Range di cod
(ouE/m3)
100 – 100000
200 – 100000
200 – 20000
50 – 1500
50 – 200
50 – 1000
50 – 500
200 – 3000
200 – 40000
100 – 5000
Valore medio di cod
(ouE/m3)
2300
3800
1500
230
130
200
120
600
1900
850
OEF medio
(ouE/(m3 di refluo))
11000
110000
190000
9200
7400
12000
13000
8300
43000
8300
Un’altra classe di composti emessi dagli impianti di depurazione è quella dei gas serra, in particolare metano
(soprattutto negli impianti con digestione anaerobica) e protossido di azoto (a causa del suo elevato
potenziale, la letteratura scientifica si è concentrata negli ultimi anni su questo argomento, producendo
numerosi studi che analizzano l’effetto di diversi parametri di processo e configurazioni impiantistiche sulle
quantità di N2O emesse).
Di seguito si analizzano le diverse fasi di trattamento, con indicazione delle principali criticità. Tali
indicazioni hanno carattere generale e sono normalmente riferite a un impianto funzionante correttamente. In
caso di impianti gestiti male, si possono avere emissioni elevate anche dalle fasi di trattamento normalmente
caratterizzate da emissioni minori.
3.1 Pre-trattamenti
• Sollevamento iniziale: nella sezione di sollevamento iniziale sono spesso utilizzati sistemi (come ad
esempio le coclee) con elevata turbolenza; tale sezione costituisce dunque un punto critico di rilascio di
composti organici volatili (COV); se i collettori verso l’impianto di depurazione sono caratterizzati da
lunghi tempi di percorrenza e scarsi tassi di aerazione è possibile che durante il trasporto si verifichino
condizioni di anossia, con produzione di H2S, ammoniaca e altri composti derivanti dalla degradazione
anossica o anaerobica.
• Scarico bottini e autobotti: tale sezione costituisce un punto critico di rilascio di COV, H2S, ammoniaca
e altri composti derivanti dalla degradazione anossica o anaerobica.
• Grigliatura: trattandosi di un refluo non ancora stabilizzato si possono avere elevate emissioni di COV.
• Dissabbiatura: trattandosi di un refluo non ancora stabilizzato si possono avere elevate emissioni di
COV.
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•
Equalizzazione: in caso di vasca di equalizzazione aerata, le problematiche odorigene sono limitate,
sebbene l’insufflaggio di aria possa determinare lo strippaggio dei composti contenuti nel refluo; in caso
di vasca non aerata, in funzione dei tempi di residenza, vi è il rischio di sviluppo di condizioni anossiche
con produzione di H2S, ammoniaca e altri composti.
3.2 Trattamento primario
• Sedimentazione primaria: trattandosi di un refluo non ancora stabilizzato, con presenza di elevate masse
organiche, e di bacini con superficie libera ampia, sebbene scarsamente movimentati, si possono avere
elevate emissioni di COV.
3.3 Trattamento secondario
• Vasca a fanghi attivi: se l’impianto è correttamente gestito, le emissioni olfattive sono ridotte;
l’emissione non è comunque completamente trascurabile, sia per le elevate superfici libere dei bacini sia
per lo strippaggio dei composti presenti nel refluo in ingresso per effetto dell’aerazione; tale sezione è,
inoltre, la maggiore responsabile di emissioni di N2O, poiché vi avvengono i processi di rimozione
biologica dell’azoto.
• Sedimentazione secondaria: trattandosi di un refluo già stabilizzato e di bacini scarsamente
movimentati, nonostante la superficie libera sia ampia, le emissioni dovrebbero essere ridotte.
3.4 Trattamenti terziari
• Esistono vari tipi di trattamento terziario, ma in linea di massima in tali sezioni non si dovrebbero avere
grandi problematiche; emissioni olfattive potrebbero essere legate a un sovradosaggio di composti per la
disinfezione (ad es. cloro).
3.5 Linea fanghi
• Ispessimento: il fango prodotto nei trattamenti della linea acque viene concentrato negli ispessitori; le
emissioni di COV sono notevoli soprattutto nel caso di pre-ispessimento perché il fango contiene una
significativa porzione di fango non stabilizzato (soprattutto primario).
• Digestione anaerobica: con tale processo si producono CH4, ammoniaca e H2S; i reattori sono chiusi e le
emissioni dovrebbero essere ridotte se l’impianto dispone di un adeguato sistema di raccolta e
convogliamento del biogas prodotto, che dovrebbe essere depurato e riutilizzato per recupero
energetico; poiché spesso tale gas viene semplicemente sfiatato e bruciato in torce, il contributo
emissivo può essere rilevante (composti odorigeni e gas serra).
• Digestione aerobica: tale processo dovrebbe determinare una minore produzione di composti odorigeni
rispetto alla digestione anaerobica se l’aerazione è sufficiente.
• Disidratazione: il processo riguarda fango già stabilizzato se la fase di digestione funziona
correttamente; tuttavia il fango contiene residui dei composti odorigeni della digestione e la
movimentazione (ad es. in centrifughe) è responsabile di emissioni elevate di COV.
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•
Essiccamento termico: insieme al vapore acqueo, si sviluppano sostanze organiche volatili che si
concentrano nel condensatore delle fumane e ne vengono estratte sotto forma di incondensabili; tali
sostanze devono essere sottoposte a trattamento di combustione; i fumi di combustione vanno controllati
e trattati seguendo la normativa specifica.
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4. LA GESTIONE DEL BIOGAS PRODOTTO NELLA DIGESTIONE ANAEROBICA
Il processo di digestione anaerobica consiste nella degradazione delle sostanze complesse ad opera di
specifici batteri in composti via via più semplici, fino a generare un biogas composto da metano (65-70% in
volume), CO2 (25-35%) e altri composti gassosi (N2, H2, H2S, vapore acqueo e altri gas in tracce).
Visto l’elevato contenuto di metano, il biogas risulta caratterizzato da un discreto potere calorifico: pertanto,
negli impianti con sufficiente produzione di biogas, è possibile utilizzarlo come combustibile per caldaie e
motori a combustione interna, principalmente per usi interni all’impianto. È possibile utilizzare l’acqua calda
prodotta da caldaie e scambiatori dei motori per il riscaldamento del fango in ingresso al digestore e degli
edifici dell’impianto. È anche possibile utilizzare il biogas in sistemi di cogenerazione (produzione
combinata di energia elettrica e vapore o acqua calda). Prima del riutilizzo, può essere necessario sottoporre
il biogas a trattamenti di depurazione per rimuovere le sostanze in traccia, utilizzando ad esempio scrubber a
secco o a umido. L’utilizzo di una torcia per bruciare il biogas in eccesso deve essere previsto solo in caso di
emergenza.
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5. METODI DI CONTROLLO DEGLI ODORI
I metodi di controllo degli odori possono essere di tre tipi (Sorlini, 1990):
•
Metodi preventivi: si basano su sistemi per impedire l’instaurarsi di processi di degradazione
anaerobica, mediante immissione di ossigeno o sostanze ossidanti sia nella rete fognaria che nelle unità
di trattamento dell’impianto; comprendono anche la corretta progettazione della rete fognaria in caso di
nuovi insediamenti per garantire un’adeguata ossigenazione del refluo, anche attraverso una pendenza
sufficiente, per evitare eccessive turbolenze nel flusso del liquame e per confinare in ambienti chiusi le
fonti maggiori di odori; appartengono a questa classe anche gli interventi progettuali e gestionali
riconducibili alle buone pratiche.
•
Metodi curativi: si basano sul contenimento e captazione della fonte e sull’abbattimento degli odori
mediante assorbimento (rimozione dei composti maleodoranti mediante trasferimento in fase liquida),
adsorbimento (processo chimico-fisico che realizza l’accumulo di una sostanza dispersa in fase gassosa
su una superficie solida), ossidazione termica (combustione a 650-800°C) e catalitica (combustione a
250-450°C con impiego di catalizzatori quali platino, palladio e rodio), ossidazione biologica
(trasferimento del composto indesiderato dalla fase gassosa ad un solido mantenuto umido su cui si
sviluppano i microrganismi responsabili della degradazione), ossidazione chimica.
•
Metodi palliativi: utilizzano sostanze che mascherano gli odori.
Il miglior approccio da perseguire è sempre quello del ricorso a metodi preventivi, e cioè a una corretta
gestione dell’impianto, utilizzando i sistemi di captazione e abbattimento degli odori per le unità più critiche.
Occorre però ricordare che gli impianti sono caratterizzati da una estrema variabilità in termini di fasi di
trattamento previste, carico trattato, intensità dei controlli, presenza di personale, disponibilità di
strumentazione di misura ed eventuale monitoraggio e/o controllo da remoto, ubicazione rispetto ai centri
abitati, condizioni di funzionamento (sovraccarico, sottocarico, carico stabile, larga variazione ad esempio
stagionale), tipo di refluo in ingresso (reflui prevalentemente di origine civile o contributo industriale o di
rifiuti liquidi preponderante): per questi motivi, le azioni ottimali per contenere le emissioni odorigene
devono essere contestualizzate con riferimento allo specifico impianto in esame (Bertanza e Papa, 2012).
5.1 Buone pratiche gestionali
In Tabella 2 si riportano alcune indicazioni gestionali per la riduzione delle emissioni odorigene dagli
impianti di depurazione, principalmente tratte da Bertanza e Papa (2012).
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Tabella 2: Interventi gestionali per ridurre le emissioni di odori
Fase di
Intervento
trattamento
Intero impianto
• Effettuare un monitoraggio periodico, ad esempio con tecnica olfattometrica, al perimetro
dell’impianto ed in prossimità di ogni trattamento per avere un quadro descrittivo della
situazione e delle eventuali variazioni nel tempo.
• Possibilmente effettuare interventi di manutenzione programmata (a rischio emissioni
odorigene) in condizioni ottimali (orari selezionati in funzione della valutazione dei dati
meteo: temperature dell’aria, direzione e intensità vento, regime barico, previsione
attesa).
Sollevamento
• In caso di reflui che provengono da zone lontane dal depuratore e che subiscono diversi
sollevamenti e/o rilanci intermedi, intervenire sulla modalità (frequenza) di
funzionamento delle pompe, in modo da minimizzare i tempi di ristagno.
Grigliatura
• Lavare con frequenza le macchine deputate alla grigliatura (griglie, rotostacci, …) con
acqua contenente una minima quantità di cloro attivo.
• Raccogliere il grigliato/vaglio all’interno di appositi sacchi che presentano una struttura
porosa, in modo da consentire il deflusso e la raccolta dell’acqua percolante evitando la
diffusione di aria odorosa.
• Assicurare la chiusura dei cassonetti di raccolta del grigliato tra un carico e il successivo.
• Allontanare il materiale con la massima frequenza.
• Allontanare il materiale con la massima frequenza.
Dissabbiatura/
disoleatura
• Mantenere il refluo in condizioni aerobiche assicurando un’aerazione sufficiente.
Equalizzazione
Sedimentazione
• Garantire l’efficienza del sistema di raccolta ed eliminazione del materiale galleggiante.
primaria
• Garantire la pulizia della canaletta di raccolta dell’effluente.
• Estrarre il fango regolarmente per limitare i tempi di permanenza ed evitare lo sviluppo di
condizioni anaerobiche.
• Assicurare una sufficiente aerazione, utilizzando sistemi di controllo tali da garantire che
Ossidazione
la concentrazione di ossigeno disciolto sia sempre > 1 mg/l.
biologica
• Regolare la frequenza di estrazione del fango in modo che la concentrazione dei solidi
Ispessimento a
non sia al di sotto del valore di progetto (indicativamente 3-4%).
gravità
Ispessimento
• Effettuare il lavaggio della macchina con acqua al termine dell’utilizzo giornaliero.
meccanico
Stabilizzazione
• Assicurare le condizioni di processo (età del fango, ossigeno disciolto) che garantiscano
un rapporto SV/ST < 0,65 (valore indicativo).
aerobica
• Mantenere una concentrazione minima di ossigeno disciolto pari a 1 mg/l.
Stabilizzazione
• Assicurare le condizioni di processo (età del fango, temperatura, pH, alcalinità, ecc.) che
garantiscano un rapporto SV/ST < 0,65 (valore indicativo), accompagnato da una idonea
anaerobica
produzione di biogas.
Disidratazione
• Effettuare il lavaggio della macchina con acqua al termine dell’utilizzo giornaliero.
meccanica
• Ridurre al minimo i tempi di disidratazione e concentrare gli interventi se effettuati con
dispositivo mobile.
• Ridurre al minimo i tempi di permanenza in impianto del cassone di raccolta (max 2
giorni, possibilmente evacuazione giornaliera), coprendo il medesimo con un telo.
• Eventualmente, dosare insieme al polielettrolita un prodotto per ridurre la formazione di
esalazioni maleodoranti (mercaptani).
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5.2 Sistemi di trattamento delle emissioni
Qualora l’adozione di misure preventive tecnico-gestionali non sia sufficiente ad assicurare la conformità
delle emissioni aeriformi ad assegnati limiti inerenti l’impatto odorigeno è necessario utilizzare tecnologie di
trattamento “end of pipe”, da individuare tra quelle più idonee contemplate dalle Best Available
Technologies (BAT) (Tordini, 2012). I Documenti di riferimento (BREF) dell’Ufficio europeo per l’IPPC
non ne comprendono uno specifico dedicato agli impianti di depurazione acque e rifiuti liquidi, in quanto tale
attività è considerata fase terminale di processo, comune a molti comparti produttivi. A riguardo si possono
consultare i documenti:
•
Common Waste Water and Waste Gas Treatment/Management Systems in the Chemical Sector
•
Waste Treatments Industries
•
Large Volume Organic Chemical Industry.
Le tecniche potenzialmente applicabili, singolarmente o in combinazione, sono numerose. Nella loro scelta,
secondo quanto riporta il BREF, occorre valutare numerosi fattori, quali: la portata del flusso odorigeno; la
concentrazione degli inquinanti odorigeni; le proprietà fisiche e chimiche delle sostanze odorigene (solubilità
in acqua, acidità, basicità, polarità, adsorbibilità, biodegradabilità); l’efficienza di abbattimento degli
inquinanti odorigeni prioritari e variabilità nel tempo della stessa (specie quando si impiegano catalizzatori);
la formazione di inquinanti secondari; i consumi energetici; i limiti tecnici d’impiego di tali tecniche
(temperatura, massima concentrazione degli inquinanti in ingresso, contenuto di umidità); la necessità di
spazio; le esigenze di conduzione e manutenzione; i costi.
Di seguito si riporta una breve descrizione delle principali tecniche di trattamento delle emissioni gassose
tratta dal BREF (European Commission, 2011):
•
Adsorbimento: Le molecole di gas vengono trattenute da una superficie solida o liquida (adsorbente)
selettiva. Giunti a saturazione, è necessario procedere alla rigenerazione dell’adsorbente. I principali
sistemi di adsorbimento sono: adsorbimento a letto fisso (il gas è alimentato dal basso e si purifica
attraversando il letto), adsorbimento a letto fluido (l’adsorbente è mantenuto allo stato fluido grazie alla
velocità del gas), adsorbimento a letto mobile continuo (l’adsorbente è caricato in continuo dall’alto in
controcorrente rispetto al flusso di gas) e pressure swing adsorption (adsorbimento ad alta pressione,
depressurizzazione e spurgo a bassa pressione o sotto vuoto). Gli adsorbenti comunemente impiegati
sono carbone attivo granulare, zeoliti, particelle macroporose di polimeri, silicati di sodio e alluminio,
gel di silice. La rigenerazione dell’adsorbente esausto può avvenire mediante trattamenti termici o con
sistemi sotto vuoto.
•
Assorbimento: L’assorbimento consiste nel trasferimento di massa tra un gas solubile e un solvente (in
genere acqua) posti tra loro a contatto. Possono essere impiegati diversi tipi di scrubber, il cui tipo più
comune è costituito da torri di lavaggio (il flusso di gas attraversa la torre in controcorrente, mentre il
solvente viene spruzzato dall’alto).
•
Biofiltrazione: Il flusso gassoso viene convogliato in un letto di materiale organico (torba, compost,
legna, …) o materiale inerte (argilla, carbone attivo, poliuretano, …) e viene ossidato biologicamente da
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microorganismi in CO2, acqua, sali inorganici e biomassa. Un biofiltro aperto consiste di un letto
filtrante sotto cui è collocata una rete di condotte per convogliare il gas da trattare. È il sistema più
diffuso, grazie ai costi ridotti rispetto a un biofiltro chiuso. Tuttavia, i sistemi chiusi sono preferibili
perché assicurano un’efficienza di rimozione più elevata. L’altezza del materiale filtrante è in genere
compresa tra 0.5 e 1.5 m, in un massimo di due o tre strati. È possibile trattare circa 100-500 Nm3/h per
m2 di superficie filtrante adottando tempi di residenza di minimo 30-45 s. La capacità di rimozione
dipende da parametri come pH (valori ottimali 7-8), contenuto di umidità (≥ 95%) e temperatura del gas.
Per taluni composti, come H2S e mercaptani, può essere necessario combinare torri di lavaggio e
biofiltri per aumentare l’efficienza di rimozione. Il materiale che costituisce il letto deve essere rimosso
periodicamente (ogni 0.5-5 anni) a seconda del tipo di materiale e della composizione del gas.
•
Bioscrubbing: Con tale sistema si combinano assorbimento e biodegradazione, poiché si utilizza acqua
contenente una popolazione di microorganismi in grado di ossidare i composti biodegradabili presenti
nel flusso gassoso (ammoniaca, ammine, H2S, idrocarburi e composti odorosi). Il tempo si residenza dei
gas è di circa 1 s, mentre il tempo di residenza dell’acqua che assicura le migliori prestazioni è
compreso tra 20 e 40 giorni.
•
Biotrickling: Il sistema di funzionamento è simile a quello di un bioscrubber, ma a differenza di questo
i microorganismi si sviluppano su elementi di supporto (letto di materiale inerte). Per assicurare le
massime prestazioni occorre massimizzare la superficie bagnata, distribuendo uniformemente la fase
liquida sulla superficie del biofilm.
•
Ossidazione termica: La miscela di gas viene riscaldata al di sopra del punto di autocombustione in
una camera di combustione e viene mantenuta ad alta temperatura per un tempo sufficiente a consentire
la completa combustione con produzione di CO2 e acqua. Dopo la combustione, si produce un residuo
solido (ceneri). I parametri di processo principali sono il tempo di combustione, la temperatura (200400°C al di sopra della temperatura di autocombustione), la turbolenza e la disponibilità di ossigeno.
•
Ossidazione catalitica: L’ossidazione catalitica è simile all’ossidazione termica, ma grazie al passaggio
del gas in un letto catalitico (letto fisso o letto fluido) è possibile aumentare il tasso di reazione,
riducendo la temperatura richiesta per la conversione e permettendo di ridurre il volume dell’ossidatore.
I catalizzatori utilizzati per la rimozione dei COV sono metalli preziosi (platino, palladio e rodio) su
materiale ceramico o altri metalli su carrier come ossidi di rame, cromo, manganese, nichel, cobalto,
ecc. La vita utile di un catalizzatore è di due o più anni, al termine della quale il catalizzatore deve
essere rigenerato o smaltito.
•
Ionizzazione: Il gas da trattare è iniettato in una camera di reazione dove è sottoposto a un campo
elettrico molto forte (20-30 kV), provocando la formazione di ioni, elettroni liberi, radicali e altre
particelle fortemente reattive, che causano la decomposizione e parziale ossidazione degli inquinanti
presenti nel gas.
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•
Foto-ossidazione: Il flusso gassoso da trattare è condotto in una camera di reazione ed è irradiato con
raggi UV, provocando la decomposizione dei composti da rimuovere per fotolisi diretta e per
ossidazione mediata dai radicali reattivi dell’ossigeno.
In Tabella 3 sono riportati i principali vantaggi e svantaggi dei diversi sistemi di trattamento, mentre in
Tabella 4 sono indicate le prestazioni ottenibili per quanto riguarda la rimozione di COV, odori e H2S.
Tabella 3: Vantaggi e svantaggi dei principali sistemi di trattamento delle emissioni gassose (European
Commission, 2011)
Sistema di
Vantaggi
Svantaggi
trattamento
Adsorbimento
• elevata efficienza di rimozione dei
• rischio di rapida saturazione
COV
dell’adsorbente
• tecnologia semplice e robusta
• installazione e manutenzione semplice
Assorbimento
• elevata efficienza di rimozione
• necessità di utilizzare acqua o prodotti
chimici diluiti per sostituire l’acqua
• tecnologia semplice e robusta
persa per spurgo o evaporazione
• installazione e manutenzione semplice
• trattamento dell’acqua di spurgo
• possibilità di utilizzo di configurazione
• rischio di corrosione
modulare
• rischio di incremento delle emissioni
odorigene a causa del ricircolo del
solvente
Biofiltrazione
• bassi costi di investimento e operativi
• rischio di effetti tossici sulla biomassa
• alta efficienza per i composti
• variabilità dell’efficienza in relazione
biodegradabili
alle fluttuazioni delle caratteristiche del
flusso in ingresso
• basse quantità di percolato e materiale
di rifiuto da trattare
• necessità di controllo del pH
Bioscrubbing
• migliore controllo dei picchi di
• necessità di spurgo della biomassa
concentrazione rispetto a un biofiltro
• ridotta rimozione dei composti
• elevata rimozione dei composti
scarsamente solubili
facilmente degradabili
• variabilità dell’efficienza in relazione
alle fluttuazioni delle caratteristiche del
flusso in ingresso
• trattamento del percolato
Biotrickling
• biodegradazione dei composti adsorbiti
• variabilità dell’efficienza in relazione
alle fluttuazioni delle caratteristiche del
• basse perdite di carico
flusso in ingresso
• costi di costruzione e operativi medi
• difficile rimozione dei composti
• basso consumo energetico
scarsamente solubili
• maggiore affidabilità rispetto a un
• possibile intasamento del materiale di
bioflitro
riempimento per sviluppo della
• compattezza
biomassa
• produzione di un refluo da trattare
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Sistema di
trattamento
Ossidazione termica
Ossidazione catalitica
Ionizzazione
Foto-ossidazione
Vantaggi
Svantaggi
• efficienza elevata e costante
• affidabilità
• elevata efficienza termica (basso
consumo di combustibile aggiuntivo)
• maggiore compattezza rispetto
all’ossidazione termica
• minore consumo di combustibile
aggiuntivo rispetto a ossidazione
termica
• abbattimento simultaneo del CO
prodotto
• performance elevata e costante
• emissioni di CO e ossidi di azoto
• rischio di formazione di diossine
• necessità di trattamento per la rimozione
dei COV dai fumi
• maggiori costi di investimento rispetto
all’ossidazione termica
• efficienza variabile in relazione al
contenuto energetico del gas
• sensitività del catalizzatore ad agenti che
producono avvelenamento e intasamento
• smaltimento dei catalizzatori non
rigenerabili
• rischio di formazione di diossine
• rischio di radiazioni elettromagnetiche
• basso consumo energetico rispetto
all’ossidazione termica
• elevata compattezza
• operazione semplice
• insensitività a variazioni nella
composizione del gas
• sistema compatto e modulare
• basse temperature operative
• basso consumo energetico
• non adatto per concentrazioni elevate di
inquinanti
Tabella 4: Prestazioni ottenibili mediante i principali sistemi di trattamento delle emissioni gassose (European
Commission, 2011)
Sistema di trattamento Composto
Efficienza di rimozione [%]
Livello di emissione [mg/Nm3]
Adsorbimento
COV
80-95 con GAC
5-100 con GAC
99 con zeolite
10-200 con polimeri
95-98 con polimeri
Assorbimento
Biofiltrazione
Bioscrubbing
Odori
80-99
H 2S
> 95
COV
99
Odori
20-45 con acqua
60-85 con soluzione alcalina
H 2S
80->99
< 10 con soluzione alcalina
COV
75-95
5-50
Odori
70-99
< 1000 ouE/Nm3
H 2S
> 75
COV
80-90
Odori
70-80
100-150 ouE/Nm3
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Sistema di trattamento
Biotrickling
Ossidazione termica
Composto
COV
Efficienza di rimozione [%]
70-99
Odori
70-90
H 2S
80-95
COV
98->99.9
Odori
98-99.9
Livello di emissione [mg/Nm3]
< 1-20
H 2S
Ossidazione catalitica
COV
95-99
Odori
80-95
< 1-20
H 2S
Ionizzazione
COV
88->99.9
Odori
80-98
1000-20000 ouE/Nm3
COV
95
25-50
Odori
80-98
H 2S
< 98
H 2S
Foto-ossidazione
Tra le nuove tecnologie che si possono adottare si può annoverare la activated sludge diffusion (AS
diffusion), che consiste nell’insufflare direttamente in vasca di ossidazione le emissioni gassose delle altre
sezioni di impianto a seguito di preventiva copertura e convogliamento: in tal modo è possibile dissolvere e
biodegradare i composti osmogeni. Tale processo è vantaggioso dal punto di vista economico e gestionale, in
quanto utilizza vasche già presenti nell’impianto; il suo uso risulta oggetto di ricerca per ciò che riguarda gli
effetti sul processo di depurazione, l’efficacia reale nella rimozione degli odori (dimostrata per
l’abbattimento dei solfuri, da verificare su altre classi di composti osmogeni) e le effettive conseguenze sui
processi biodegradativi e sulle biomasse (Blonda et al., 2007).
I sistemi di trattamento presuppongono la realizzazione di adeguati presidi di contenimento per le sorgenti
odorigene (Tordini, 2012). Nel caso di locali accessibili al personale (come ad esempio i locali dei
pretrattamenti o quelli di disidratazione dei fanghi), il contenimento degli odori viene ottenuto mantenendo
l’ambiente in aspirazione ed assicurando un sufficiente ricambio dell’aria come richiesto dagli standard di
igiene industriale. Nel caso di vasche coperte è lo spazio di testa ad essere posto sotto aspirazione; non
essendoci presenza di operatori, l’entità del flusso di lavaggio dello spazio di testa deve essere determinato
assegnando un valore minimo di velocità di immissione dell’aria esterna.
In Tabella 5 sono riportate alcune prescrizioni riguardanti i metodi curativi da adottare per l’abbattimento
delle emissioni dagli impianti di depurazione, principalmente tratte dalle linee guida elaborate dalla Regione
Lombardia.
Per le aree per le quali sono previsti la captazione e il trattamento delle emissioni, si suggerisce sempre il
ricorso a sistemi chiusi con un unico punto di emissione convogliata, dotato di un punto per il
campionamento facilmente accessibile. Studi di modellistica dispersionale hanno infatti dimostrato che
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emissioni di 500 ou/m3 da una superficie libera possono determinare maggiori fastidi per i recettori rispetto a
emissioni di 1000 ou/m3 da una fonte puntuale collocata a 10-15 m di altezza: pertanto, la pratica corrente
raccomanda il ricorso a punti di emissione convogliata ad altezza di almeno 10 m per aumentare la
dispersione degli odori e minimizzare gli impatti sui recettori (Estrada et al., 2011).
I punti di prelievo devono essere collocati in tratti rettilinei di condotto a sezione regolare, preferibilmente
verticali, lontani da ostacoli, curve e altre discontinuità che possono influenzare il flusso. Per garantire la
condizione di stazionarietà, la collocazione del punto di prelievo deve rispettare le condizioni imposte dalle
normative UNI di riferimento (almeno 5 diametri idraulici a valle e 2 diametri idraulici a monte di qualsiasi
discontinuità). I punti di prelievo devono essere collocati a circa 1-1.5 m di altezza rispetto al piano di
calpestio della postazione di lavoro. La zona dei bocchelli deve essere libera da ostacoli che potrebbero
rendere difficoltosa l’introduzione e l’estrazione delle sonde di campionamento.
Tabella 5: Metodi curativi da adottare per le diverse fasi di trattamento di un impianto di depurazione
Fase di
Intervento
trattamento
Sollevamento
• Nel caso di scarico da autobotti devono essere evitati salti dal tubo di scarico al pelo
libero del refluo oppure lo scarico deve avvenire in circuito chiuso.
Scarico bottini e
• Nel sollevamento dagli arrivi dai condotti fognari le zone di discontinuità devono essere
autobotti
compartimentate.
• L’apertura e lo scarico dei bottini deve avvenire in un ambiente confinato e dotato di
aspirazione e convogliamento dell’emissione in atmosfera.
•
Si
dovrà valutare la necessità di un confinamento ed eventuale convogliamento di tale
Grigliatura
zona sulla base della capacità di trattamento dell’impianto:
- per impianti con capacità < 5.000 AE i pretrattamenti potranno essere condotti
Dissabbiatura/
all’aperto;
disoleatura
- per impianti con capacità di trattamento compresa fra 5.000 AE e 15.000 AE
l’opportunità di confinamento sarà valutata sulla base di una stima delle portate di
odore emesse e della distanza dei potenziali ricettori;
- per impianti con capacità di trattamento > 15.000 AE i pretrattamenti dovranno
essere condotti in ambiente confinato e prevedendo il convogliamento e il
trattamento delle emissioni.
Sedimentazione
• Valutare l’opportunità di chiudere la vasca e convogliare le emissioni di odore sulla base
delle dimensioni dell’impianto e della distanza dei potenziali ricettori.
primaria
• Se la vasca di denitrificazione è a monte dell’ossidazione, valutare l’opportunità di
Denitrificazione
chiudere la vasca e convogliare le emissioni di odore sulla base delle dimensioni
dell’impianto e della distanza dei potenziali ricettori.
• Generalmente non è necessario alcun tipo di intervento.
Sedimentazione
• Valutare l’opportunità di confinare le vasche di sedimentazione secondaria sulla base
secondaria
delle dimensioni dell’impianto, della tipologia dei reflui in ingresso e della distanza dei
potenziali ricettori.
• Gli ispessitori devono essere chiusi, dotati di aspirazione e trattamento degli effluenti.
Ispessimento
• Gli impianti di digestione anaerobica devono essere realizzati in modo da impedire
Stabilizzazione
emissioni diffuse ed evitare le emissioni fuggitive attraverso un piano di controllo.
anaerobica
• Il biogas prodotto deve essere sempre destinato al recupero energetico.
• L’impianto deve essere dotato di una torcia da utilizzarsi esclusivamente in caso di
disservizio dell’impianto di recupero energetico.
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Fase di
trattamento
Disidratazione
meccanica
Trattamenti termici
Aree di
trasferimento e di
stoccaggio dei
fanghi
Intervento
•
La movimentazione e lo stoccaggio dei fanghi deve essere eseguita in ambiente confinato.
•
L’effluente aeriforme delle apparecchiature di trattamento termico dei fanghi (ad
esempio: essiccamento) deve essere trattato prima dell’espulsione in atmosfera.
La movimentazione e lo stoccaggio dei fanghi deve essere eseguita in ambiente confinato.
Devono essere previsti il contenimento, l’aspirazione e il trattamento dell’emissione.
•
•
Nella scelta del sistema di trattamento occorre valutare la performance ambientale, i costi di processo e
l’impatto sociale (Estrada et al., 2011). Utilizzando il metodo IChemE Sustainability Metrics per la scelta del
trattamento ottimale degli odori dagli impianti di depurazione, si è osservato che le tecnologie fisicochimiche assicurano un’ottima rimozione dei composti odorigeni, ma possono essere responsabili di
emissioni di CO2, SOx e NOx (incenerimento). Inoltre, tali tecnologie presentano i più alti impatti ambientali
in termini di consumo di energia, materiali e reagenti e di produzione di residui da smaltire e sono
caratterizzate da maggiori rischi per gli operatori. Dal punto di vista economico, le tecnologie con i maggiori
costi di investimento (biofiltrazione e biotrickling) presentano generalmente costi di gestione minori.
L’analisi globale dei vari fattori condotta nello studio indicato suggerisce come tecnologia più promettente
quella basata sulla combinazione di biotrickling e trattamento a carboni attivi.
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6. AUTORIZZAZIONE ALLE EMISSIONI IN ATMOSFERA
6.1 Convogliamento e trattamento
Ai sensi dell’art. 270, comma 1 del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. “In sede di autorizzazione, l’autorità
competente verifica se le emissioni diffuse di ciascun impianto e di ciascuna attività sono tecnicamente
convogliabili sulla base delle migliori tecniche disponibili e sulla base delle pertinenti prescrizioni
dell’Allegato I alla parte quinta dei presente decreto e, in tal caso, ne dispone la captazione ed il
convogliamento.”
Si ritiene, pertanto, attesa la convogliabilità tecnica di tutte le emissioni delle diverse fasi di trattamento della
linea fanghi, che si debba disporre la captazione completa delle emissioni.
Al comma 4 dello stesso articolo è previsto che “Se più impianti con caratteristiche tecniche e costruttive
simili, aventi emissioni con caratteristiche chimico-fisiche omogenee e localizzati nello stesso stabilimento
sono destinati a specifiche attività tra loro identiche, l’autorità competente, tenendo conto delle condizioni
tecniche ed economiche, può considerare gli stessi come un unico impianto disponendo il convogliamento ad
un solo punto di emissione. L’autorità competente deve, in qualsiasi caso, considerare tali impianti come un
unico impianto ai fini della determinazione dei valori limite di emissione.”
Seguendo le indicazioni di tale comma, è possibile prevedere un unico punto di emissione nel caso di unità di
trattamento analoghe per impianti operanti su più linee di trattamento.
Inoltre, ai sensi del comma 7 “Ove opportuno, l’autorità competente, tenuto conto delle condizioni tecniche
ed economiche, può consentire il convogliamento delle emissioni di più impianti in uno o più punti di
emissione comuni, purché le emissioni di tutti gli impianti presentino caratteristiche chimico-fisiche
omogenee. In tal caso a ciascun punto di emissione comune si applica il più restrittivo dei valori limite di
emissione espressi come concentrazione previsti per i singoli impianti e, se del caso, si prevede un tenore di
ossigeno di riferimento coerente con i flussi inviati a tale punto. L’autorizzazione stabilisce apposite
prescrizioni volte a limitare la diluizione delle emissioni ai sensi dell’articolo 269, comma 4, lettera b).”
È pertanto possibile utilizzare un solo punto di emissione comune per tutte le fasi di trattamento previste
nella linea fanghi, visto che la composizione chimica delle emissioni si può ritenere simile. Tuttavia, nel caso
l’impianto disponga di stabilizzazione aerobica, tale unità dovrebbe essere convogliata a un punto di
emissione diverso in maniera da evitare la diluizione dovuta all’aria di processo.
L’eventuale trattamento delle emissioni è legato al loro carico inquinante e alla necessità di rispettare i valori
limite di emissione previsti nell’autorizzazione.
Per ciò che concerne altre fonti di emissione, quali impianti termici, inceneritori, ecc., trovano applicazione
le specifiche prescrizioni normative.
6.2 Valori limite di emissione
Occorre assicurare il rispetto dei valori di emissione indicati nell’allegato I alla parte V del D.Lgs. 152/2006
e s.m.i. In Tabella 6 si riporta un estratto indicativo e non esaustivo dei limiti previsti dal decreto con
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riferimento ad alcuni composti e sostanze di interesse per un impianto di depurazione (sono riportati in
grassetto i composti maggiormente rilevanti). Il rispetto dei limiti fissati in autorizzazione deve essere
verificato con misure periodiche, effettuate simultaneamente alle misure per la valutazione della portata di
odore indicate nel paragrafo 7.3.
Tabella 6: Valori limite di emissione fissati ai sensi del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i.
Soglia di rilevanza
(espressa come
Composti
flusso di massa)
[g/h]
Composti organici sotto forma di
Classe I
25
gas, vapori o polveri
(butilmercaptano,
etilmercaptano)
Ai fini del calcolo del flusso di massa e di Classe II
100
concentrazione:
(etilammina,
dimetilammina,
- in caso di presenza di più sostanze della
stessa classe le quantità devono essere trietilammina, piridina,
sommate;
acetaldeide)
- in caso di presenza di più sostanze di Classe III
2000
classi diverse alla quantità di sostanze di
(acido
acetico,
n-esano,
etilogni classe devono essere sommate le
benzene)
quantità di sostanze delle classi inferiori.
Al fine del rispetto del limite di concentrazione Classe IV
3000
in caso di presenza di più sostanze di classi (toluene, xilene)
diverse la concentrazione totale non deve
Classe V
4000
superare il limite della classe più elevata.
(acetone)
Sostanze inorganiche che si
Classe II
50
presentano prevalentemente sotto
(idrogeno solforato, cloro)
forma di gas o vapore
Classe III
300
(composti inorganici del
cloro sotto forma di gas o
vapore, esclusi cloro cianuro
e fosgene, espressi come
acido cloridrico)
Classe IV
2000
(ammoniaca)
Classe V
5000
(ossidi di azoto, ossidi di
zolfo)
Valore di emissione
(espresso come
concentrazione)
[mg/Nm3]
5
20
150
300
600
5
30
250
500
Ai sensi della L.R. 7/99 “Disciplina delle emissioni odorifere delle aziende. Emissioni derivanti da sansifici.
Emissioni nelle aree a elevato rischio di crisi ambientale” le emissioni nelle aree dichiarate a elevato rischio
di crisi ambientale devono rispettare limiti ridotti del 20% rispetto a quelli previsti in normativa: “Nelle aree
dichiarate a elevato rischio di crisi ambientale ai sensi dell’art.7 della legge 8 luglio 1986, n. 349,
modificata dalla successiva del 28 agosto 1989, n. 305, […] qualsiasi impianto ivi ubicato che procuri
emissioni in atmosfera è tenuto a far rientrare le stesse in limiti più bassi del 20 per cento di quelli
autorizzati o previsti in normativa. […] Le limitazioni delle emissioni operano anche nell’ipotesi di
intervenuta cessazione della validità della dichiarazione medesima per trascorso quinquennio, senza che
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siano divenuti operativi gli interventi di risanamento di cui al piano previsto dal già citato art. 7 della L
349/1986.”.
Inoltre, la stessa legge regionale disciplina le emissioni odorifere1 dalle aziende, stabilendo che:
“L’emissione in atmosfera di sostanze odorifere con livello olfattivo molto basso (< 1 ppm) dovrà osservare
i seguenti limiti:
A) EMISSIONI PUNTUALI
1. sostanze con livello olfattivo minore o uguale a 0,001 ppm: VLE ≤ 5 ppm
2. sostanze con livello olfattivo minore o uguale a 0,010 ppm: VLE ≤ 20 ppm
Qualora alcune di dette sostanze odorifere fossero comprese nell’allegato I del decreto ministeriale del 12
luglio 1990 con valori limiti di emissione più bassi, occorre adottare i limiti inferiori.
Il dimensionamento del camino (altezza e sezione di sblocco) deve essere determinato tenendo conto della
peggiore situazione metereologica verificatasi negli ultimi dieci anni, in modo tale che la concentrazione
massima al suolo degli inquinanti abbia una diluizione minima di 1:16000 rispetto alle concentrazioni
misurate al camino stesso.
Qualora l’emissione contenga due o più sostanze ciascuna in concentrazione inferiore alla corrispondente
concentrazione limite (CL) o valore guida (VG), si dovrà calcolare la sommatoria dei rapporti tra
concentrazione effettiva e la rispettiva CL o VG per verificare che la suddetta sommatoria sia inferiore a 1.
Comunque, in caso di emissioni in atmosfera che diano luogo a percezione di odori molesti, l’azienda è
tenuta a ricercare tecnologie idonee ad eliminare ogni inconveniente alla popolazione.
L’azienda è tenuta a comunicare alla Regione, anche dopo l’ottenimento di autorizzazione, la quantità e la
qualità dei costituenti l’emissione stessa.
B) EMISSIONI DIFFUSE
Per le attività lavorative poste a meno di duemila metri dal perimetro urbano è vietata l’emissione diretta in
atmosfera di sostanze inquinanti e/o a basso livello olfattivo (< 0,010 ppm) derivanti da vasche, serbatoi
aperti, stoccaggi in cumuli, ecc.
I valori di TOC (Threshold Odor Concentration) per le sostanze potranno essere desunti dai dati di
letteratura scientificamente riconosciuti così come determinati con apposita deliberazione della Giunta
regionale, su conforme parere del Comitato regionale per l’inquinamento atmosferico per la Puglia
(CRIAP) di cui alla legge regionale 16 maggio 1985, n. 31.
Nel caso in cui, a seguito delle verifiche operate dalle autorità di controllo ambientale, sia accertata
l’emissione diffusa diretta in atmosfera di sostanze inquinanti e/o a basso livello olfattivo, come definita al
comma 1, derivante da vasche, serbatoi e stoccaggi non confinati in ambienti chiusi, la stessa autorità di
1
Va detto che l’applicazione della L.R. 7/1999 risulta problematica per la difficoltà di individuare tutti i composti
odorigeni a bassa soglia olfattiva che possono essere emessi da un impianto di depurazione nonché gli stessi valori di
soglia olfattiva e per il numero notevole di analisi che occorrerebbe effettuare. Per tale motivo, la suddetta normativa è
in fase di revisione a livello regionale.
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controllo può disporre il confinamento in ambiente chiuso, o comunque condizionato, delle medesime
strutture di deposito e/o stoccaggio, le cui successive emissioni convogliate sono soggette ad autorizzazione
ai sensi dell'articolo 269, comma 8, del D.Lgs. n. 152/2006”.
È opportuno fare riferimento anche alle linee guida del CRIAP (Comitato Regionale per l’Inquinamento
Atmosferico per la Puglia) riguardanti le emissioni in atmosfera da specifiche tipologie impiantistiche
(“Linee guida emissioni in atmosfera specifiche tipologie nuovi impianti”). Tali linee guida indicano i valori
limite di emissione da rispettare nelle operazioni di scarico, conservazione e movimentazione (Tabella 7) e
quelli nelle fasi di disidratazione/essiccazione dei fanghi di depurazione (Tabella 8).
Tabella 7: Limiti di emissione relativi a scarico, conservazione e movimentazione dei fanghi di depurazione
Inquinante
concentrazione
[mg m-3]
impianto di abbattimento polvere
10
non termico
ammine
5
ammoniaca
2
composti solforati come
5
H 2S
carbonio organico totale
10
sostanze odorigene
in linea con il criterio della migliore tecnologia
disponibile
impianto di abbattimento polveri
50
a combustore termico
ossidi di azoto
100
ossidi di zolfo
200
tenore di ossigeno nei fumi misurato all’uscita della camera 11% in volume
velocità media dei gas misurata nella sezione d’uscita della camera ≥ 10 m⋅s-1
tempo di contatto 2s
temperatura dei fumi 1173 K
Tabella 8: Limiti di emissione relativi a disidratazione/essiccazione dei fanghi di depurazione
Inquinante
concentrazione
[mg m-3]
polveri
20
ossidi di azoto
100
ossidi di zolfo
100
ammoniaca
2
silice libera cristallina
5
piombo + cromo e i suoi composti
5
cloruro di idrogeno HCl
5
floruro di idrogeno HFl
5
idrogeno solforato
5*
sostanze odorigene
in linea con il criterio della migliore
tecnologia disponibile
carbonio organico totale
50
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6.3 Gestione del biogas prodotto dagli impianti di digestione anaerobica
Per quanto riguarda gli impianti con digestione anaerobica, questi dovranno essere sempre dotati di un
sistema di recupero e riutilizzo del biogas e prevedere l’impiego della torcia solo in situazioni di emergenza.
La torcia deve essere dotata di:
•
•
•
•
•
sistema di accensione automatica;
sistema di controllo per presenza fiamma con allarme per mancanza di fiamma;
protezione antivento;
pannello di controllo per funzionamento automatico;
dispositivo automatico di riaccensione in caso di spegnimento della fiamma, e quindi in caso di mancata
riaccensione, dispositivo di blocco con allarme.
La torcia dovrà essere dimensionata in modo tale da poter smaltire completamente l’intera produzione oraria
di biogas con un rendimento minimo di combustione del 90% e dovrà essere mantenuta in efficiente stato di
funzionamento con interventi di regolare manutenzione. Il sistema dovrà essere dotato di contatori e
misuratori di portata e i periodi di funzionamento della torcia dovranno essere riportati in apposito registro. Il
gestore deve registrare tutti gli eventi emergenziali di utilizzo della torcia e inviare alle autorità competenti e
ad ARPA apposite relazioni trimestrali/semestrali su tali eventi, indicando i dati caratteristici di ciascun
evento.
Ai sensi dell’allegato IV alla parte V del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. non sono sottoposti ad autorizzazione alle
emissioni in atmosfera “gli impianti di combustione, compresi i gruppi elettrogeni e i gruppi elettrogeni di
cogenerazione, ubicati all’interno di impianti di smaltimento dei rifiuti, alimentati da gas di discarica, gas
residuati dai processi di depurazione e biogas, di potenza termica nominale non superiore a 3 MW, se
l’attività di recupero è soggetta alle procedure autorizzative semplificate previste dalla parte quarta del
presente decreto e tali procedure sono state espletate” e “gli impianti di combustione, compresi i gruppi
elettrogeni e i gruppi elettrogeni di cogenerazione, alimentati a biogas di cui all’allegato X alla parte V del
D.Lgs. 152/2006 e s.m.i., di potenza termica nominale inferiore o uguale a 3 MW”.
Nella sezione 6 dell’allegato X (Disciplina dei combustibili) alla parte V del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. è
specificato che “Il biogas derivante dai rifiuti può essere utilizzato con le modalità e alle condizioni previste
dalla normativa sui rifiuti”. Occorre pertanto fare riferimento alla parte IV del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i.
In particolare, possono trovare applicazione l’art. 208 (Autorizzazione unica per i nuovi impianti di
smaltimento e di recupero dei rifiuti) e gli articoli 214 e 216 per quanto riguarda la procedura semplificata.
Alle attività soggette a procedura semplificata si applicano le disposizioni del DM ambiente 05/02/1998.
Secondo l’art. 4 (Recupero energetico) del DM 05/02/1998 le attività di recupero energetico individuate
nell’allegato 2 devono garantire, al netto degli autoconsumi dell’impianto di recupero, la produzione di una
quota / trasformazione del potere calorifico del rifiuto in energia termica pari al 75% su base annua oppure la
produzione di una quota minima percentuale di trasformazione del potere calorifico dei rifiuti in energia
elettrica determinata su base annua secondo la seguente formula:
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Tale formula non si applica quando la quota minima di trasformazione del potere calorifico dei rifiuti in
energia elettrica assicurata dall’impianto di recupero è superiore al 27% su base annua. Qualora la quota
minima percentuale di trasformazione del potere calorifico dei rifiuti in energia elettrica non sia raggiunta,
l’utilizzo di rifiuti in schemi cogenerativi per la produzione combinata di energia elettrica e calore deve
garantire una quota di trasformazione complessiva del potere calorifico del rifiuto, in energia termica ed in
energia elettrica, non inferiore al 65% su base annua.
L’allegato 2 suballegato 1 reca “Norme tecniche per l’utilizzazione dei rifiuti non pericolosi come
combustibili o come altro mezzo per produrre energia”. I punti di interesse per il recupero energetico dai
fanghi di depurazione sono il punto 2 (Biogas) e il punto 10 (Fanghi essiccati di depurazione di acque
reflue). Tale suballegato riporta sia prescrizioni tecnico-impiantistiche che valori limite di emissione.
L’allegato 2 suballegato 2 riporta ulteriori “valori limite e prescrizioni per le emissioni in atmosfera delle
attività di recupero di energia dai rifiuti non pericolosi”. Nell’allegato 4 suballegato 2 sono contenute le
quantità massime di rifiuti non pericolosi di cui all’allegato 2 suballegato 1 che possono essere recuperate
adottando la procedura semplificata: in particolare i valori massimi sono 214.250 t/a per Biogas [190699]
(impianti dedicati o impianti industriali) e 15.000 t/a per Fanghi essiccati di depurazione di acque reflue
[190805].
6.4 Letti di essiccamento
Si ritiene che, per ragioni igienico-sanitarie e ambientali, l’utilizzo dei letti di essiccamento non possa più
essere
consentito,
neanche
in
situazioni
di
emergenza.
Per
fronteggiare
casi
di
malfunzionamento/manutenzione delle unità di disidratazione meccanica o eventuali difficoltà di
allontanamento dei fanghi verso la destinazione finale (conferimento in agricoltura, compostaggio,
discarica), il gestore dovrà prevedere forme di gestione diverse: a titolo di esempio, l’utilizzo di macchine di
disidratazione mobili, di silos, ecc.
6.5 Obblighi di comunicazione
Presso la sede dell’impianto devono essere conservati per almeno cinque anni, insieme con il provvedimento
di autorizzazione, gli originali dei certificati di analisi firmati da professionista abilitato. Tale
documentazione è a disposizione degli Organi di controllo competenti.
Si ricorda, inoltre, che ai sensi della D.G.R. n.180 del 19 febbraio 2014 vigono l’obbligo di compilazione del
CET (Catasto delle emissioni territoriali) e l’obbligo di comunicazione al Referente del CET (individuato da
ARPA) di ogni variazione amministrativa dell’azienda, nonché ogni variazione tecnica
(accidentale/programmata), così come definito e disciplinato dalle linee guida, dalle autorizzazioni e dalle
norme ambientali.
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7. INDICAZIONI PER LA REDAZIONE DEL PIANO DI MONITORAGGIO E
CONTROLLO DELLE EMISSIONI ODORIGENE
7.1 Premessa
Allo stato attuale, non è presente una normativa nazionale in materia di emissioni odorigene. In attesa del
completamento dell’iter di revisione della L.R. 7/99 “Disciplina delle emissioni odorifere delle aziende.
Emissioni derivanti da sansifici. Emissioni nelle aree a elevato rischio di crisi ambientale”, si riporta
l’approccio metodologico che si ritiene opportuno per l’applicazione di prescrizioni inerenti il piano di
monitoraggio e controllo delle emissioni odorigene per impianti di depurazione.
7.2 Obiettivo
Il presente documento intende fornire indicazioni relative ad idonee procedure di controllo degli impatti
odorigeni prodotti dalle diverse fasi di trattamento e alla redazione di un opportuno piano di monitoraggio e
controllo.
In generale, si precisa che, in linea con quanto previsto dalle normative internazionali (S.I. No. 787/2005), un
impianto di trattamento delle acque reflue deve essere progettato, costruito e gestito in modo tale da evitare
di causare molestia olfattiva ai recettori.
Per recettore sensibile si intende:
•
qualsiasi edificio pubblico o privato adibito ad ambiente abitativo, a degenza o cura, a formazione e
studio o ad attività lavorativa o ricreativa (comprese le relative aree esterne di pertinenza);
•
parchi pubblici e aree esterne destinate ad attività ricreative e allo svolgimento della vita sociale della
collettività;
•
aree territoriali edificabili già individuate dai vigenti strumenti urbanistici e loro varianti.
Tenuto conto dell’assunzione generale, in una prima redazione della presente linea guida non si è ritenuto
opportuno indicare limiti prescrittivi da valutare ai recettori, al momento difficili da individuare in assenza di
misure reali continuative degli impatti delle sorgenti su di essi. Tali limiti potranno essere indicati in sede di
conferenze di servizi, qualora emergano particolari criticità dell’impianto, dovute alla ridotta distanza dai
recettori e alla destinazione d’uso dell’area interessata.
Saranno invece fornite indicazioni circa valori di emissione, in termini di portata di odore, riferiti a sorgenti
convogliate e valori di concentrazione di odore in aria ambiente, da verificare al confine dell’impianto.
Si precisa che i limiti alle emissioni e alle immissioni, riportati nel presente documento, sono prescritti con
l’obiettivo di tenere sotto controllo i processi che generano le emissioni odorigene, attraverso misurazioni
che accertino la presenza di un odore rilevante, al fine di evidenziare cattivi funzionamenti degli impianti o
fenomeni fuori controllo, e che pertanto il loro rispetto non garantisce l’assenza di un impatto osmogeno
oggettivamente percettibile da parte della popolazione esposta.
Il piano di monitoraggio e controllo dovrà quindi essere utilizzato per consentire:
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•
al gestore, un più attento controllo sulle emissioni odorigene prodotte dal processo depurativo, evitando
di causare molestie alla popolazione esposta a dette emissioni;
•
all’ente autorizzatore/all’organo di controllo di avvalersi dei risultati ottenuti, in caso di segnalazioni di
molestia da parte della popolazione esposta, per individuare la responsabilità degli impianti autorizzati
ed eventualmente il loro contributo alla molestia.
Gli impianti di trattamento acque reflue soggetti a VIA, a verifica di assoggettabilità a VIA e ad AIA, nonché
gli impianti per i quali viene presentata richiesta di autorizzazione alle emissioni in atmosfera, dovranno
inoltre redigere una valutazione previsionale degli impatti derivanti dalle emissioni odorigene prodotte,
attraverso l’utilizzo di modelli di dispersione, per stimare l’entità dell’impatto olfattivo.
Nell’autorizzazione rilasciata, tenuto conto delle assunzioni progettuali, l’autorità competente indicherà le
emissioni che dovranno essere confinate ai fini del trattamento, quelle che dovranno essere convogliate e
quelle che potranno rimanere diffuse in mancanza di modalità tecnicamente realizzabili di convogliamento e
che non comportino costi sproporzionati. Saranno indicate, nell’autorizzazione, le prescrizioni, sia gestionali
sia tecniche, che il gestore dovrà attuare per eliminare o ridurre le emissioni olfattive, le attività di
monitoraggio e le modalità dello stesso.
7.3
Piano di monitoraggio e controllo: contenuti minimi e prescrizioni
7.3.1
Studio previsionale
Gli impianti soggetti a procedure di autorizzazione nell’ambito delle istruttorie di VIA, verifica di
assoggettabilità a VIA e AIA, nonché gli impianti per i quali viene presentata richiesta di autorizzazione alle
emissioni in atmosfera, sono tenuti a redigere una valutazione previsionale degli impatti derivanti dalle
emissioni odorigene prodotte, attraverso l’utilizzo di modelli di dispersione, per stimare l’entità dell’impatto
olfattivo. L’applicazione del modello deve prevedere la preventiva caratterizzazione di tutte le fasi del
processo depurativo che danno origine ad emissioni odorigene, associando ad esse un valore di portata di
odore (ouE/s). In particolare, nello scenario emissivo devono essere considerate tutte le emissioni
dell’impianto oggetto dello studio (convogliate, diffuse o fuggitive). 2
Sono da considerare fra le emissioni diffuse:
•
le emissioni dei materiali potenzialmente odorigeni che siano stoccati o depositati temporaneamente
(per periodi di almeno 6 ore consecutive e per almeno l’1% delle ore l’anno) in ambienti non confinati,
ivi inclusi i piazzali coperti;
•
le emissioni delle vasche di stoccaggio o trattamento reflui prive di copertura e di sistema di aspirazione
dell’aria, ivi incluse le eventuali canalizzazioni scoperte.
Sono comunque da considerare fra le emissioni fuggitive anche le seguenti:
2
Si veda l’allegato 1 “Requisiti degli studi di impatto olfattivo mediante modelli di dispersione”, mutuato dalle linee
guida emanate dalla Regione Lombardia (“Linee guida per la caratterizzazione, l’analisi e l’autorizzazione delle
emissioni gassose in atmosfera delle attività ad alto impatto odorigeno”, DGR IX/3018, 15/02/2012)
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•
le emissioni dei locali (anche confinati ma privi di sistema di aspirazione dell’aria) ove siano stoccati
materiali potenzialmente odorigeni o siano eseguite lavorazioni o trattamenti potenzialmente odorigeni;
•
le emissioni delle vasche di stoccaggio o trattamento reflui interrate, ivi incluse le eventuali
canalizzazioni;
•
le emissioni degli sfiati dei serbatoi.
Per gli impianti esistenti, i valori di portata di odore da utilizzare come dati di input per le simulazioni
modellistiche dovranno essere ottenuti a seguito di misurazioni condotte mediante olfattometria dinamica
(UNI EN 13725/2004); per nuovi impianti e per nuove sezioni di trattamento in impianti esistenti, tali valori
potranno essere ricavati dalle specifiche tecniche delle tecnologie, dai dati di bibliografia, da esperienze
consolidate o da indagini mirate allo scopo.
Il progetto dovrà essere corredato dalle indicazioni tecniche e gestionali inerenti l’efficienza dei sistemi di
abbattimento, la frequenza delle manutenzioni e gli strumenti atti a verificare il corretto funzionamento del
processo e degli impianti di abbattimento.
Dovranno essere redatte mappe di impatto che riportino valori di concentrazione orarie di picco di odore al
98° percentile su base annuale, così come risultati della simulazione effettuata con i dati meteorologici dei
due anni precedenti (a 1, 2, 3,…ouE/m3). Dovranno inoltre essere forniti scenari modellistici relativi a “worst
cases”, con lo scopo di evidenziare l’entità dell’impatto odorigeno in corrispondenza di scenari
meteorologici che identificano le peggiori condizioni di dispersione di odore, verificatisi nei due anni
precedenti. In particolare, dovranno essere considerati scenari corrispondenti al 99,9° percentile (equivalente
a 9 scenari orari in un anno) e l’elaborazione dovrà essere effettuata in relazione alla presenza di recettori
sensibili.
La valutazione di accettabilità avverrà sulla base della tipologia di uso del territorio in cui è ubicato
l’impianto e della presenza di potenziali recettori sensibili, considerando che 1 ouE/m3 rappresenta la
concentrazione alla quale il 50% della popolazione percepisce l’odore.
Le dimensioni del dominio spaziale di simulazione (griglia di recettori di calcolo) devono essere fissate nel
rispetto dei seguenti requisiti:
•
devono esservi inclusi tutti i ricettori presso cui sia da valutare il definito criterio di valutazione
dell’impatto;
•
devono esservi inclusi (almeno parzialmente) i centri abitati presso cui il 98° percentile delle
concentrazioni orarie di picco di odore simulate sia maggiore di 1 ouE/m3.
Il passo della griglia di recettori di calcolo deve essere scelto in modo tale che, per i ricettori sensibili, la
distanza fra il ricettore e il punto più prossimo del confine di pertinenza dell’impianto sia maggiore o uguale
al passo della griglia.
Nella relazione di presentazione dello studio devono essere presentate:
•
una tabella che riporti, per ciascuno dei recettori sensibili individuati sul territorio, il 98° percentile delle
concentrazioni orarie di picco di odore simulate;
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•
una tabella che riporti, per ciascuno dei ricettori sensibili individuati sul territorio, il massimo globale
(ossia sull’intero dominio temporale di simulazione) delle concentrazioni orarie di picco di odore
simulate.
7.3.2
Piano di monitoraggio e controllo
Emissioni convogliate
Gli impianti soggetti al D.Lgs. 152/2006 per i quali è richiesta l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera
della linea di trattamento fanghi dovranno procedere al convogliamento delle arie odorigene da essa prodotte
e prevedere un loro successivo trattamento.
Il sistema di trattamento dell’aria esausta deve essere individuato tra quelli contemplati nel documento delle
BAT di settore (come indicato nel paragrafo 5.2), prevedendo eventualmente anche una combinazione di
varie tipologie di trattamento al fine di assicurare un’efficienza di rimozione dell’odore conforme ai requisiti
richiesti.
Si ritiene che si possa indicare un valore limite di portata di odore, valutata in condizioni normali (20 °C e
101,3 kPa), non superiore a 1000 uoE/s (3600*103 uoE/h), da misurarsi presso una sorgente convogliata di
altezza pari a 5 metri dal suolo. Sorgenti convogliate di altezze differenti da 5 metri potranno essere
autorizzate per valori diversi di portate di odore, previo accordo con l’autorità competente.
A titolo indicativo, per l’autorizzazione dei valori di portata di odore, si può far riferimento alla seguente
tabella:
Altezza del punto di emissione (m)
0
Portate di odore (ouE/h)
1000 * 103
5
3600 * 103
10
21000 * 103
20
180000 * 103
La relazione tra altezza del punto di emissione convogliata e portata di odore è infatti dimostrata da studi di
modellistica dispersionale che hanno evidenziato come, ad esempio, emissioni di 500 ouE/m3 da una
superficie libera possano determinare maggiori fastidi per i recettori rispetto a emissioni di 1000 ouE/m3 da
una fonte puntuale collocata a 10-15 m di altezza (Estrada et al., 2011). Inoltre, l’autorizzazione di portate di
odore incrementali rispetto all’altezza dei punti di emissione convogliate è in linea con indicazioni riportate
in altre normative internazionali (Circulaire du 17/12/98, Arrêté ministériel du 2 février 1998, Francia;
BAAQMD, Regulation 7 California, 2001).
Qualora alla medesima sorgente convogliata afferiscano più linee di trattamento, il valore indicato di 1000
ouE/s potrà essere incrementato di una quantità pari a:
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n
OERTOT (uo E / s ) = OER A1valle + ∑ OER Ai monte ⋅ (1 − η od )
i=2
dove:
OERTOT (uo E / s ) = portata di odore complessiva al punto di emissione convogliata
OERA1valle = portata di odore massima a valle della prima linea di trattamento convogliata
OER Ai monte = portata di odore misurata a monte di ogni ulteriore sistema di abbattimento afferente alla prima
linea
η od = efficienza di abbattimento
Ad esempio, qualora, ad un punto di emissione convogliata, si volesse far confluire una seconda linea di
trattamento con portata di odore a monte di 6000 ouE/s ed un sistema di abbattimento con efficienza pari al
95%, la portata di odore misurabile al punto di emissione dovrebbe essere al massimo pari a:
OERTOT (uo E / s ) = 1000 + 6000 ⋅ (1 − 0.95) = 1000 + 300 = 1300uo E / s
Inoltre, si specifica che la portata di odore massima complessiva emessa dalle sorgenti convogliate
dell’impianto non dovrà superare il valore di 5000 ouE/s.
La verifica dei valori di portata di odore dovrà essere condotta mediante olfattometria dinamica, ai sensi
della UNI EN 13725/2004. La definizione e l’ubicazione dei punti di prelievo deve fare riferimento alla
norma UNI EN ISO 16911-1:2013.
Concentrazioni di odore al confine dell’impianto
Il piano di monitoraggio e controllo dovrà prevedere un monitoraggio al confine dell’impianto in almeno due
punti individuati lungo la direzione prevalente dei venti (uno a monte ed uno a valle) al fine di valutarne la
concentrazione odorimetrica in ou/m3.
Un valore di concentrazione pari a 100 ouE/m3 non dovrà mai essere superato al confine dell’impianto. Tale
limite dovrà essere verificato operando misurazioni aria ambiente con olfattometria dinamica (UNI EN
13725/2004), avendo cura di valutare i valori di odore del fondo ambientale. Potranno essere previste
riduzioni del suddetto valore nei casi in cui il primo recettore sensibile sia ubicato a distanza inferiore a 150
metri dal confine dell’impianto o qualora il punto di massima ricaduta della somma delle emissioni prodotte
ricada all’esterno del perimetro dell’impianto. La definizione della suddetta distanza è stata operata sulla
base delle indicazioni riportate in provvedimenti normativi internazionali, relativi all’individuazione di
minime distanze di separazione tra impianti industriali e recettori sensibili (Ontario, 1996; South Australia,
2000; RWDI, Air Inc., 2005).
Per quanto concerne la verifica del valore indicato, sistemi di campionamento olfattometrici, attivabili
automaticamente o manualmente, simultaneamente o in sequenza, singolarmente, parzialmente o totalmente,
dovranno essere opportunamente posizionati sul confine dell’impianto e, in caso di conclamati episodi di
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molestia, anche presso i recettori sensibili più prossimi, al fine di una corretta attribuzione dell’eventuale
impatto osmogeno. I sistemi di campionamento potranno essere attivati, su esplicita richiesta dell’autorità
competente/ente di controllo, in relazione alle segnalazioni della popolazione ed entro 15 minuti da essa.
Inoltre, si dovrà procedere all’attivazione del campionamento anche in corrispondenza di situazioni di
transitorio del sito legate ad operazioni di manutenzione con fermata e successivo riavvio degli impianti
nonché di situazioni di particolari criticità.
I dati di monitoraggio dovranno essere trasmessi all’Autorità competente che, se necessario, potrà richiedere,
sulla base dei dati ricevuti, un approfondimento modellistico e/o pervenire ad una eventuale proposta di
adeguamento strutturale dell’impianto allo scopo di contenere i livelli di concentrazioni delle unità odorigene
registrate.
Sistemi di monitoraggio in continuo
La scelta dei sistemi di monitoraggio dovrà tener conto delle specificità delle emissioni degli impianti ed
essere in grado di surrogare la misura di concentrazione di odore. Saranno considerati idonei i sistemi di
misura in grado di restituire, per la specifica attività, un segnale correlabile con le misure ottenute mediante
olfattometria dinamica (UNI EN 13725/2004). Tale relazione dovrà essere supportata da uno specifico studio
di comparazione, a cura del gestore. Il sistema potrà essere costituito anche da diverse tipologie di
analizzatori in continuo e dovrà essere in grado di realizzare un opportuno controllo di processo alla sorgente
(a camino o a confine dell’impianto) e di quantificare gli impatti e le loro variazioni presso il recettore
almeno quando percettibili. Esso potrà misurare singole sostanze chimiche considerate traccianti, più
sostanze chimiche singolarmente o cumulativamente, o parametri surrogati (altri composti chimici non
odorigeni) relazionati con la concentrazione di odore. Di seguito è presentato un elenco non esaustivo di
sistemi di monitoraggio in continuo, che possono essere utilizzati per seguire l’andamento delle
concentrazioni di odore anche considerando alcune indicazioni riportate nel documento “H4 Odour
Management – Environment Agency UK, 2011”:
a) Strumenti non specifici (rivelatori a ionizzazione di fiamma [FID] o a fotoionizzazione [PID], per la
determinazione dei composti organici totali o degli NMHC)
b) Gold foil instruments per la determinazione H2S
c) Analizzatori di NH3
d) Gas cromatografi da campo per la determinazione di mercaptani
e) Sistemi integrati di rivelatori elettrochimici (nasi elettronici)
f)
Sistemi di monitoraggio long path-length (es. LIDAR).
Ricorso alla caratterizzazione chimica dei campioni odorigeni
In casi particolarmente complessi o di copresenza sul territorio di impianti multipli che danno luogo ad
emissioni odorigene, è opportuno che venga effettuata una caratterizzazione chimica delle stesse, allo scopo
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di individuare molecole traccianti delle emissioni per l’identificazione delle sorgenti responsabili di
inquinamento olfattivo. I metodi utilizzati per le indagini chimiche devono far riferimento a norme tecniche
standardizzate.
7.4 Criteri decisionali riguardanti le prescrizioni sul monitoraggio delle emissioni odorigene
In linea con gli approcci metodologici indicati nei paragrafi precedenti, il presente paragrafo intende fornire
indicazioni circa le prescrizioni, in termini di monitoraggio e controllo, da stabilire nell’ambito della
redazione dei pareri, per l’impianto soggetto a procedure di autorizzazione.
Tali prescrizioni dovranno essere proposte in considerazione della categoria di appartenenza dell’impianto
considerato, valutata in base a parametri che identificano la potenzialità di impianto e la criticità ambientale.
Si propone quindi una classificazione degli impianti in tre categorie:
-
I categoria: livello minimo di prescrizioni
-
II categoria: livello intermedio di prescrizioni
-
III categoria: livello massimo di prescrizioni
Il modello previsionale, qualora non presentato dal proponente, deve essere richiesto a tutti gli impianti come
documentazione integrativa, a prescindere dalla categoria di appartenenza. La frequenza di campionamento
richiesta per la verifica delle portate di odore per le sorgenti convogliate, il numero di punti di
campionamento per il monitoraggio al confine attraverso olfattometria dinamica e l’installazione di sistemi
di monitoraggio in continuo sono stabiliti in accordo con la categoria di appartenenza dell’impianto, come
riportato nella seguente tabella.
FREQUENZA DEI
MONITORAGGIO AL
MODELLO DI CAMPIONAMENTI
CONFINE (olfattometria
DISPERSIONE
(sorgenti
dinamica)
convogliate)
I
CATEGORIA
SI
1 anno
2 punti
MONITORAGGIO CON
SISTEMI IN
CONTINUO
NO
2
(1 sorgente* – 1 confine
SI
6 mesi
minimo 2 punti
lungo la direzione di
criticità)
5
(2 sorgente* – 2 confine
III
SI
3 mesi
4 punti
lungo la direzione di
CATEGORIA
criticità – 1 recettore)
* La scelta della localizzazione del sistema di monitoraggio in continuo deve essere effettuata con riferimento alle
sorgenti più critiche
II
CATEGORIA
Al fine di effettuare una classificazione degli impianti all’interno delle tre categorie su citate, sono stati
considerati due parametri:
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•
potenzialità attuale dell’impianto (in termini di abitanti equivalenti): sulla base delle potenzialità attuali
di impianto, sono stati stabiliti tre indici di valutazione
POTENZIALITÀ DI IMPIANTO
INDICE DI VALUTAZIONE
(ABITANTI EQUIVALENTI)
•
> 100000
ALTO (classe 3)
50000 < A.E. < 100000
MEDIO (classe 2)
< 50000
BASSO (classe 1)
esposizione dei recettori: l’allegato 2 descrive l’approccio metodologico adottato per la valutazione del
parametro legato all’esposizione dei recettori, pesato sulla tipologia dei recettori presenti nell’intorno
dell’impianto e sulla loro distanza da esso. Le elaborazioni condotte hanno permesso di individuare tre
indici di valutazione: alto (classe 3), medio (classe 2), basso (classe 1).
7.4.1
Classificazione degli impianti nelle tre categorie
In allegato 3 è riportata la tabella che fornisce le indicazioni sulla categoria di appartenenza relativa a ciascun
impianto. Si evidenzia che la classificazione presentata si riferisce ai dati acquisiti rispetto alla situazione
attuale e che essa potrebbe essere rimodulata, in considerazione di eventuali modifiche rispetto al parametro
relativo alla potenzialità dell’impianto.
Di seguito, sono mostrati i criteri adottati per la classificazione nelle tre categorie individuate:
III CATEGORIA: ricadono all’interno della III categoria:
•
tutti gli impianti con abitanti equivalenti > 100000 (indice di valutazione alto);
•
gli impianti con abitanti equivalenti compresi tra 50000 e 100000 (indice di valutazione medio) per i
quali il parametro legato all’esposizione dei recettori rivela un indice di valutazione alto.
II CATEGORIA: ricadono all’interno della II categoria:
•
tutti gli impianti con abitanti equivalenti compresi tra 50000 e 100000 (indice di valutazione medio),
ad eccezione di quelli ricadenti nella categoria III;
•
gli impianti con abitanti equivalenti < 50000 (indice di valutazione basso) per i quali il parametro
legato all’esposizione dei recettori rivela un indice di valutazione alto.
I CATEGORIA: ricadono all’interno della I categoria:
•
tutti gli impianti con abitanti equivalenti < 50000 (indice di valutazione basso), ad eccezione di quelli
ricadenti nella categoria II.
Si riporta di seguito una tabella riassuntiva.
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INDICE DI VALUTAZIONE
POTENZIALITÀ ATTUALE
DELL’IMPIANTO (AE)
III CATEGORIA
II CATEGORIA
I CATEGORIA
INDICE DI VALUTAZIONE
ESPOSIZIONE DEI RECETTORI
alto (> 100000 AE)
qualsiasi
medio (50000-100000 AE)
alto
medio (50000-100000 AE)
medio e basso
basso (< 50000 AE)
alto
basso (< 50000 AE)
medio e basso
In aggiunta ai parametri su esposti, che hanno determinato la definizione delle categorie di appartenenza
degli impianti, saranno considerati altri criteri, la cui valutazione potrà concorrere all’eventuale
rimodulazione della categoria di appartenenza così come mostrata nell’allegato 3.
I risultati delle simulazioni modellistiche potranno costituire un parametro aggiuntivo per la valutazione;
qualora gli scenari worst cases (corrispondenti al 99,9° percentile, equivalente a 9 scenari orari in un anno) e
quelli relativi alla simulazione annuale (concentrazione orarie di picco di odore al 98° percentile su base
annuale) mostrino evidenti criticità in termini di impatto sul territorio, la categoria di appartenenza potrà
subire una variazione peggiorativa al livello di prescrizioni superiore rispetto a quello iniziale.
Inoltre, la conoscenza di segnalazioni e lamentele generate dall’impianto sulla popolazione residente potrà
essere considerata come ulteriore elemento di valutazione per una rimodulazione in senso peggiorativo della
categoria di appartenenza.
7.5 Considerazioni finali
Il presente documento ha carattere di linea guida e, come tale, deve essere applicato tenendo conto della
specificità degli impianti e del contesto territoriale in cui sono insediati.
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8. CHECKLIST PER LA VERIFICA DOCUMENTALE E LA VALUTAZIONE DEI
PROGETTI
8.1 Verifica della documentazione presentata
In caso di assenza di uno dei documenti seguenti occorre richiedere una integrazione della documentazione
presentata.
•
•
•
•
•
•
Verificare che tutte le fasi del processo depurativo siano adeguatamente descritte nelle relazioni
tecniche.
Verificare che vi sia una chiara presentazione della problematica emissiva per quanto riguarda la
matrice aria, che comprenda una descrizione delle diverse sorgenti emissive (sorgenti areali, diffuse e
convogliate, con i relativi punti di emissione, nello stato attuale e a seguito degli interventi progettuali
previsti) e i risultati di adeguate misure di caratterizzazione delle stesse (che consentano di valutare
l’emissione prevista da ciascuna sorgente), conformemente alle indicazioni riportate nelle linee guida.
Verificare che sia presente un progetto del sistema di convogliamento e trattamento.
Verificare che vi sia una chiara individuazione e descrizione dei sistemi di convogliamento e
trattamento eventualmente già presenti sull’impianto, con indicazione del loro dimensionamento e delle
capacità di trattamento (tipologia di trattamento, portate trattate, valori di emissione garantiti, ecc.).
Verificare che siano stati presentati i risultati di un modello di dispersione per stimare l’impatto
olfattivo, predisposto conformemente alle indicazioni riportate nelle linee guida.
Verificare che sia presente una proposta di piano di monitoraggio e controllo delle emissioni
predisposto conformemente alle indicazioni riportate nelle linee guida (metodologia, numero di punti di
campionamento, loro ubicazione, ecc.).
In caso di assenza di una delle seguenti informazioni richiedere una integrazione:
•
•
•
•
Verificare che sia indicata la potenzialità dell’impianto attuale e a seguito di adeguamenti.
Verificare che siano indicati i recettori sensibili presenti in un intorno dell’impianto di almeno 2 km e
fornita un’adeguata rappresentazione cartografica, distinguendo le varie tipologie di recettore (N.B.
considerare tutti i recettori sensibili come definiti nel capitolo 7).
Verificare che per ciascuna fase depurativa siano presentate considerazioni sull’opportunità di
convogliamento e trattamento in relazione all’emissione valutata tramite le misure di caratterizzazione
delle sorgenti.
Verificare che per ogni unità convogliata siano indicati: la portata d’aria da trattare, il volume di aria in
testa alla vasca o il volume dei locali sottoposti ad aspirazione, il numero di ricambi per locali
accessibili al personale (capannone disidratazione, capannone pre-trattamenti, ecc.) e per vasche coperte
(ispessitore, sedimentazione primaria, ecc.), la concentrazione degli inquinanti nell’aria da trattare.
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8.2 Verifica del progetto di convogliamento e trattamento
In caso di mancata osservanza di una delle prescrizioni seguenti occorre proporre una modifica del progetto
del sistema di convogliamento e trattamento.
• Verificare che sia prevista la captazione completa di tutte le unità della linea fanghi.
• In caso di stabilizzazione aerobica, verificare che il punto di emissione di tale sezione sia distinto dal/dai
punto/i di emissione delle altre fasi della linea fanghi.
• In caso di stabilizzazione anaerobica, verificare che sia previsto un sistema di recupero del biogas e che
le torce siano destinate solo alle situazioni di emergenza.
• Verificare che sia prevista l’installazione di contatori e misuratori di portata per le torce.
• Verificare che sia previsto il confinamento delle fasi di sollevamento e di scarico dei bottini.
• Per impianti con capacità di trattamento > 15.000 AE, verificare che per i pretrattamenti (grigliatura,
dissabbiatura) sia previsto il confinamento, il convogliamento e il trattamento delle emissioni.
• Per impianti con capacità di trattamento 5.000-15.000 AE, verificare che per i pretrattamenti
(grigliatura, dissabbiatura) sia previsto il confinamento, il convogliamento e il trattamento delle
emissioni se l’impianto ricade almeno in categoria 2 per l’impatto sui recettori (vedere allegato 3).
•
Verificare che siano previsti adeguati sistemi chiusi per l’accumulo del materiale raccolto dalle fasi di
grigliatura e dissabbiatura (cassoni di raccolta, sacchi, ecc…).
•
Verificare che sia previsto il confinamento, il convogliamento e il trattamento delle emissioni per la
vasca di equalizzazione per gli impianti in categoria di monitoraggio II e III e per quelli in categoria I se
l’impianto ricade almeno in categoria 2 per l’impatto sui recettori (vedere allegato 3).
Per la sedimentazione primaria, verificare che sia previsto il confinamento, il convogliamento e il
trattamento delle emissioni per gli impianti in categoria di monitoraggio II e III e per quelli in categoria
I se l’impianto ricade almeno in categoria 2 per l’impatto sui recettori (vedere allegato 3).
Verificare che sia previsto il confinamento, il convogliamento e il trattamento delle emissioni per la
denitrificazione in caso di impianti privi di sedimentazione primaria.
Verificare che sia prevista la dismissione dei letti di essiccamento e indicato il metodo alternativo di
gestione delle situazioni di emergenza (macchine di disidratazione mobili, silos, ecc.).
Verificare che sia previsto il confinamento, il convogliamento e il trattamento delle emissioni dei silos
di stoccaggio dei fanghi.
Verificare che sia previsto il confinamento dinamico delle aree di caricamento fanghi per il trasporto.
Verificare che siano indicati la portata da trattare, il volume di aria in testa alla vasca o il volume dei
locali sottoposti ad aspirazione, il numero di ricambi per locali accessibili al personale (capannone
disidratazione, capannone pre-trattamenti, ecc.) e per vasche coperte (ispessitore, sedimentazione
primaria, ecc.), la concentrazione degli inquinanti nell’aria da trattare.
Per gli impianti di trattamento delle emissioni in atmosfera, verificare che siano previsti sistemi di
trattamento chiusi e dotati di un punto di emissione unico e dotato di presa per il corretto
campionamento.
•
•
•
•
•
•
•
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•
Verificare che i sistemi di trattamento proposti rientrino tra le BAT.
8.3 Verifica delle prescrizioni relative ai limiti di emissione
• Verificare che sia previsto il rispetto sia del limite in concentrazione di massa previsto dal D.Lgs.
152/2006 (mg/mc) che del limite in concentrazione volumetrica per i composti a basso livello olfattivo
previsto dalla L.R. 7/1999 (ppm)3.
• Verificare che sia previsto il rispetto delle previsioni legislative sui limiti da rispettare in presenza di più
sostanze.
• Verificare che nelle aree a elevato rischio di crisi ambientale siano previsti limiti ridotti del 20%.
• Verificare che sia previsto il rispetto dei limiti proposti nel paragrafo 7.3.2.
• Segnalare l’obbligo di compilazione del CET (Catasto delle emissioni territoriali) ai sensi della D.G.R.
n.180 del 19/02/2014.
• Prevedere per impianti con digestione anaerobica che il gestore registri tutti gli eventi emergenziali di
utilizzo della torcia e invii alle autorità competenti e ad ARPA apposite relazioni trimestrali/semestrali
su tali eventi, indicando i dati caratteristici di ciascun evento (durata di accensione, quantità di biogas
bruciato, …).
• Per il recupero energetico da biogas, verificare che il gestore stia procedendo secondo quanto previsto
dalla disciplina rifiuti (parte IV D.Lgs. 152/2006 e s.m.i.)
8.4 Verifica dello studio modellistico e del piano di monitoraggio e controllo
• Verificare che il modello sia stato predisposto secondo quanto previsto nel paragrafo 7.3.1 e
nell’allegato 1.
• Verificare che il piano di monitoraggio e controllo redatto dal proponente sia conforme a quanto
previsto nel paragrafo 7.3.2, nel paragrafo 7.4 e nell’allegato 3.
3
Si fa presente che tra i principali composti di interesse per un impianto di depurazione si possono elencare i seguenti
composti: mercaptani (butilmercaptano, etilmercaptano, ecc.), ammine (trietilammina, ecc.), idrogeno solforato, solfuri,
ammoniaca. Si sottolinea, inoltre, che per i gruppi (come ad esempio mercaptani, ammine, solfuri, …) che risultano
dalla somma di più composti non è possibile effettuare una conversione univoca tra concentrazione in massa e
concentrazione volumetrica.
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ALLEGATO 1: REQUISITI DEGLI STUDI DI IMPATTO OLFATTIVO MEDIANTE MODELLI
DI DISPERSIONE4
1. Scopi e campo di applicazione
Il presente documento definisce un insieme di requisiti che devono essere considerati nella redazione dello
studio di impatto olfattivo mediante simulazione di dispersione, nell’ambito dei procedimenti amministrativi
legati alle istanze di autorizzazione.
Il presente documento si applica esclusivamente alle simulazioni di dispersione aventi le caratteristiche
seguenti:
•
l’inquinante, di cui è simulata la dispersione e di cui quindi è interesse valutare l’impatto sulla qualità
dell’aria ambiente, è l’odore espresso in termini di concentrazione di odore, definita in conformità alla
UNI EN 13725:2004;
•
per le ipotesi e le limitazioni assunte nella UNI EN 13725:2004, l’odore (in termini di concentrazione di
odore) è assimilabile, nell’ambito delle simulazioni di dispersione, ad un’unica pseudo-specie che si
disperde nell’atmosfera in forma gassosa (quindi non particellare). Pertanto nelle simulazioni di
dispersione oggetto del presente documento sono esclusi gli effetti di deposizione gravitazionale.
2. Riferimenti normativi
•
UNI EN 13725:2004 “Qualità dell’aria. Determinazione della concentrazione di odore mediante
olfattometria dinamica”.
•
UNI 10796:2000 “Valutazione della dispersione in atmosfera di effluenti aeriformi. Guida ai criteri di
selezione dei modelli matematici”.
•
UNI 10964:2001 “Studi di impatto ambientale. Guida alla selezione dei modelli matematici per la
previsione di impatto sulla qualità dell’aria”.
3. Dati di emissione
3.1 Criteri per l’individuazione delle sorgenti da considerare nello scenario emissivo
Nello scenario emissivo da impiegare nelle simulazioni per la stima dell’impatto olfattivo devono essere
considerate tutte le emissioni dell’impianto oggetto dello studio (convogliate, diffuse o fuggitive) per le quali
la portata di odore sia maggiore di 500 ouE/s, ad eccezione delle sorgenti per le quali, quale che sia la portata
volumetrica emessa, la concentrazione di odore massima sia inferiore a 80 ouE/m3.
Sono da considerare fra le emissioni diffuse anche le seguenti:
4
Allegato mutuato dalle linee guida emanate dalla Regione Lombardia (“Linee guida per la caratterizzazione, l’analisi e
l’autorizzazione delle emissioni gassose in atmosfera delle attività ad alto impatto odorigeno”, DGR IX/3018,
15/02/2012)
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•
le emissioni dei materiali potenzialmente odorigeni che siano stoccati o depositati temporaneamente
(per periodi di almeno 6 ore consecutive e per almeno l’1% delle ore l’anno) in ambienti non confinati,
ivi inclusi i piazzali coperti;
•
le emissioni delle vasche di stoccaggio o trattamento reflui prive di copertura e di sistema di aspirazione
dell’aria, ivi incluse le eventuali canalizzazioni scoperte.
Sono da considerare fra le emissioni fuggitive anche le seguenti:
•
le emissioni dei locali (anche confinati ma privi di sistema di aspirazione dell’aria) ove siano stoccati
materiali potenzialmente odorigeni o siano eseguite lavorazioni o trattamenti potenzialmente odorigeni;
•
le emissioni delle vasche di stoccaggio o trattamento reflui interrate, ivi incluse le eventuali
canalizzazioni;
•
le emissioni degli sfiati dei serbatoi.
Emissioni diffuse e fuggitive appartenenti alle tipologie sopra elencate possono essere escluse dallo scenario
emissivo solo se la portata di odore e/o la concentrazione di odore dell’emissione siano inferiori ai valori di
soglia sopra specificati, purché siano dettagliate le ipotesi o le misurazioni o i dati tratti dalla letteratura
scientifica che sono a fondamento dei valori di portata e/o concentrazione di odore adottati per giustificare
l’esclusione.
3.2 Criteri per la caratterizzazione delle sorgenti secondo la morfologia
3.2.1 Sorgenti convogliate puntiformi
Le informazioni necessarie alla caratterizzazione delle sorgenti puntiformi (es.: camini di espulsione) che
devono essere riportate nella relazione di presentazione dello studio sono le seguenti:
•
Portata volumetrica (espressa in Nm3/h e anche, come previsto in UNI EN 13725:2004 § 9.3, in m/s a
20°C).
•
Concentrazione di odore (vedasi § 3.3).
•
Portata di odore (espressa in ouE/s e calcolata come previsto in UNI EN 13725:2004 § 9.3). Qualora
nelle simulazioni sia considerata una portata di odore variabile nel tempo (§ 3.3), devono essere fornite
le informazioni necessarie a ricostruire il valore della portata di odore per ogni ora del dominio
temporale di simulazione.
•
Coordinate geografiche (vedasi § 5).
•
Quota altimetrica del suolo alla base della sorgente.
•
Altezza del punto di emissione (sezione di sbocco in atmosfera) rispetto al suolo.
•
Area della sezione di sbocco.
•
Velocità e temperatura dell’effluente nella sezione di sbocco impiegate per il calcolo degli effetti di
innalzamento del pennacchio, nonché eventuali correzioni o fattori di correzione applicati negli
algoritmi di innalzamento del pennacchio (vedasi § 3.6).
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3.2.2 Sorgenti convogliate areali
Le informazioni necessarie alla caratterizzazione delle sorgenti convogliate areali (es.: biofiltri) che devono
essere riportate nella relazione di presentazione dello studio sono le seguenti:
•
Portata volumetrica (espressa sia in Nm3/h e che in m/s a 20°C); si assuma come portata volumetrica
dell’effluente la portata volumetrica addotta alla sorgente areale (per esempio, per un biofiltro è la
portata volumetrica a monte di questo).
•
Concentrazione di odore (vedasi § 3.3).
•
Portata di odore (espressa in ouE/s e calcolata come previsto in UNI EN 13725:2004 § 9.3). In merito
alle variazioni nel tempo, si veda quanto specificato a proposito delle sorgenti convogliate puntiformi.
•
Coordinate geografiche (vedasi § 5), come introdotte nelle simulazioni. Ad esempio, se la sorgente
convogliata areale è modellizzata come tale, devono essere fornite le coordinate dei vertici; se è
modellizzata mediante la giustapposizione di un numero di sub-sorgenti puntiformi, devono essere
fornite le coordinate e le dimensioni di ciascuna sub-sorgente.
•
Quota altimetrica del suolo alla base della sorgente.
•
Altezza del punto di emissione rispetto al suolo; per un biofiltro è il colmo della struttura di
contenimento del letto biofiltrante, che è maggiore dell’altezza della superficie superiore del letto
biofiltrante.
•
Area della sezione di sbocco.
•
Velocità e temperatura dell’effluente nella sezione di sbocco impiegate per il calcolo degli effetti di
innalzamento del pennacchio, nonché eventuali correzioni o fattori di correzione applicati negli
algoritmi di innalzamento del pennacchio (vedasi § 3.6).
3.2.3 Sorgenti diffuse (non convogliate) areali
Le informazioni necessarie alla caratterizzazione delle sorgenti diffuse areali, nominate anche sorgenti areali
passive o prive di flusso proprio (es.: vasche di trattamento reflui o cumuli di materiale), che devono essere
riportate nella relazione di presentazione dello studio sono le seguenti:
•
Flusso specifico di odore (portata superficiale di odore, SOER), espresso in ouE/(m2s). Circa la
definizione del flusso specifico di odore sulla base dei risultati di monitoraggi olfattometrici, si
applicano considerazioni analoghe a quelle valide per la concentrazione di odore (vedasi § 3.3).
•
Area della superficie emissiva esposta all’atmosfera. Per le sorgenti liquide, essa è l’area della superficie
liquida. Per le sorgenti solide, è l’area della superficie effettivamente esposta all’atmosfera; per
esempio, nel caso di cumuli di materiale l’area esposta è maggiore dell’area occupata dal cumulo in
planimetria.
•
Portata di odore (espressa in ouE/s e calcolata dalla SOER e dall’area della superficie emissiva). In
merito alle variazioni nel tempo, si veda quanto specificato a proposito delle sorgenti convogliate
puntiformi. A questo si aggiunga che nel caso delle sorgenti diffuse areali è sistematica la dipendenza
della portata di odore dalle condizioni atmosferiche (particolarmente dalla velocità del vento, vedasi §
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3.3 e 3.5). Per questo, ove si scelga di simulare l’emissione mediante un valore di portata di odore unico
costante su tutto il dominio temporale di simulazione, le condizioni ambientali nelle quali misurare o
calcolare la portata di odore dovrebbero essere quelle relative ad una condizione ambientale sfavorevole
sebbene non pessima: un valore costante per la portata di odore potrebbe cautelativamente essere
definito nelle condizioni di vento corrispondenti al 95° percentile delle velocità del vento orarie.
•
Coordinate geografiche (vedasi § 5), come introdotte nelle simulazioni. Valgono in questo senso
considerazioni analoghe a quelle rese a proposito delle sorgenti convogliate areali.
•
Quota altimetrica del suolo alla base della sorgente.
•
Altezza del punto di emissione rispetto al suolo; per una vasca è il colmo della struttura di contenimento
del liquido, che è maggiore dell’altezza del pelo libero del liquido stesso; per un cumulo essa è posta
convenzionalmente pari alla metà dell’altezza del colmo del cumulo stesso.
3.2.4 Sorgenti diffuse volumetriche
Allo stato attuale dell’arte, la caratterizzazione delle sorgenti volumetriche (es.: capannoni con portelloni o
finestrature aperti) è problematica e non è possibile stabilire delle linee guida condivise.
Ad ogni modo, quali che siano le scelte adottate dall’esecutore dello studio di impatto, dovranno essere
forniti nella relazione di presentazione dello studio, oltre ai criteri fondanti delle predette scelte, i dati e le
informazioni che siano sufficienti all’Autorità competente per ricostruire le simulazioni, quali per esempio:
•
Volume interno del locale da cui l’aeriforme odorigeno diffonde all’esterno.
•
Dimensioni del manufatto da cui l’aeriforme odorigeno diffonde all’esterno, se queste influenzano la
portata di odore diffusa all’esterno (per esempio modificando il campo di moto del vento tramite la
conformazione aerodinamica del manufatto stesso).
•
Portata di odore (espressa in ouE/s). In merito alle variazioni nel tempo, si veda quanto specificato a
proposito delle sorgenti convogliate puntiformi.
•
Coordinate geografiche (vedasi § 5) della sorgente o del sistema di sorgenti che simula l’emissione.
•
Quota altimetrica del suolo alla base della sorgente.
•
Altezza del punto di emissione rispetto al suolo; per sistemi complessi di sorgenti, si devono fornire le
necessarie informazioni.
3.3 Definizione della concentrazione di odore di ciascuna emissione
Quando l’obiettivo dello studio di impatto olfattivo sia la simulazione dell’impatto di un impianto e di
emissioni esistenti (per esempio per confrontare l’impatto simulato di un impianto con un insieme di
segnalazioni di disturbo olfattivo pervenute dalla popolazione), la concentrazione di odore delle emissioni
sarà scelta in modo da aderire quanto più possibile alla realtà, e quindi essa sarà definita sulla base di
monitoraggi olfattometrici eseguiti in passato sullo stesso impianto, tenendo conto, ove disponibili, anche
delle informazioni sulle variazioni del tempo della concentrazione stessa.
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Quando invece l’obiettivo dello studio sia dimostrare (in particolare nell’ambito di un procedimento
amministrativo di autorizzazione ambientale, sia di nuovo impianto che di modifica di un impianto esistente)
che le emissioni di odore dell’impianto in esame saranno compatibili con il territorio, sarà opportuno
ipotizzare ed introdurre nelle simulazioni dei livelli di concentrazione di odore cautelativamente maggiori o
uguali a quelli empiricamente riscontrabili mediante i monitoraggi olfattometrici eseguiti nel passato nel
medesimo impianto (se esistente) o in impianti simili. In questi casi, inoltre, è opportuno introdurre nelle
simulazioni dei valori di concentrazione di odore costanti nel tempo (si veda in proposito il § 3.4), a
prescindere dalle informazioni disponibili circa le variazioni nel tempo della concentrazione di odore, fatte
salve le variazioni nel tempo regolari e dovute a scelte deliberate. Nel caso di studi di impatto previsionali
riguardanti impianti nuovi, dati sperimentali in merito alla concentrazione di odore prevista in emissione
dovrebbero essere tratti da monitoraggi eseguiti su impianti simili o da pubblicazioni scientifiche.
In ogni caso, nella relazione di presentazione dello studio dovranno essere riportati:
•
i dati di emissione (concentrazioni di odore e portate di odore, secondo la morfologia delle sorgenti di
odore) ottenuti sperimentalmente o tratti da pubblicazioni scientifiche; se sono disponibili dati
sperimentali del medesimo impianto in esame, dovranno essere allegati i relativi rapporti di prova; se
sono disponibili dati sperimentali di impianti simili, dovrebbero allo stesso modo essere allegati i
relativi rapporti di prova, celando eventualmente i dati personali o sensibili qualora i monitoraggi siano
stati eseguiti su impianti non gestiti dal proponente; nei rapporti di prova allegati dovranno comunque
essere indicati data e ora di campionamento, posizioni di campionamento ed eventuali informazioni
relative al processo in corso durante il campionamento; se sono disponibili solo dati da pubblicazioni
scientifiche, dovrà essere citata la fonte e possibilmente dovrà essere allegato un opportuno estratto del
documento citato;
•
le ipotesi e le elaborazioni eseguite per definire, sulla base dei risultati dei monitoraggi o di altre
pertinenti evidenze sperimentali, le concentrazioni di odore impiegate nelle simulazioni; per esempio, se
la concentrazione di odore impiegata nella simulazioni è la media delle concentrazioni di odore
determinate sperimentalmente in passato, deve essere espressamente indicato che è stata eseguita la
media ed il motivo della scelta.
Quanto specificato nel presente paragrafo a proposito della concentrazione di odore si applica, con i dovuti
adattamenti, anche alla portata di odore, ove la concentrazione di odore e la portata volumetrica siano
concettualmente inscindibili, come nel caso delle sorgenti diffuse areali o volumetriche.
3.4 Variazioni nel tempo della portata di odore
Variazioni nel tempo della portata di odore possono essere:
•
regolari e dovute a scelte deliberate;
•
indirettamente conseguenti a scelte deliberate (per esempio: variazione dell’emissione a causa di
variazioni delle condizioni di processo o dei reagenti impiegati);
•
accidentali o non controllabili (per esempio: variazione delle caratteristiche del refluo da trattare);
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•
dipendenti dalle condizioni atmosferiche (per esempio: variazione della volatilizzazione delle sostanze
odorigene contenute in un refluo a contatto con l’atmosfera in una vasca all’aperto, per effetto di
variazioni dell’intensità della turbolenza atmosferica o della temperatura); a questo proposito si veda il §
3.5.
È opportuno studiare tali variazioni, in modo da definire, per ciascuna sorgente, il profilo di portata emissiva
di odore (portata di odore in funzione del tempo, ora dopo ora e per tutto il dominio temporale di
simulazione). Eventi emissivi o picchi di emissione di durata inferiore ad un’ora devono essere considerati
aventi durata di un’intera ora.
Se le variazioni della portata di odore nel tempo sono accidentali e se non è possibile definire un profilo di
portata emissiva effettivo reale, devono essere avanzate delle ipotesi e queste devono essere cautelative,
ossia tali da condurre ad una sovrastima piuttosto che a una sottostima dell’impatto olfattivo delle emissioni
sul territorio.
Quando lo studio di impatto olfattivo abbia per obiettivo la stima previsionale dell’impatto olfattivo nel
contesto di un procedimento amministrativo di autorizzazione ambientale, è necessario ipotizzare che le
emissioni di odore delle sorgenti convogliate (puntiformi o areali a flusso proprio) siano costanti per tutto il
dominio temporale di simulazione e pari al valore massimo atteso dal proponente, affinché il valore limite di
emissione in termini di concentrazione di odore o di portata di odore fissato dall’Autorità competente sia
sempre rispettato durante la normale conduzione dell’impianto. A questo proposito si precisa che quale
livello unico costante di concentrazione o portata di odore da impostare per una sorgente convogliata nelle
simulazioni è ragionevole definire non tanto la concentrazione massima assoluta comprensiva anche di
eventuali fenomeni emissivi eccezionali o molto rari, ma piuttosto la concentrazione massima attesa in
condizioni di pieno carico (sempreché dell’emissione in esame, oltre al potenziale disturbo olfattivo, non
siano noti effetti negativi sulla salute). In tal senso si può assumere indicativamente che non siano rilevanti,
ai fini della definizione della concentrazione o portata di odore, gli eventi durante i quali l’emissione eccede
il livello massimo previsto fino ad una durata complessiva di tali eventi eccezionali pari allo 0,6% delle ore
totali di un anno (ossia pari a 52 ore: per esempio un’ora a settimana).
3.5 Calcolo della portata di odore in funzione della velocità del vento per le sorgenti diffuse areali
Il campionamento olfattometrico su sorgenti diffuse (passive) areali va eseguito mediante un sistema (“wind
tunnel” o analoghi) che permetta di inviare sulla superficie emissiva una portata di aria neutra in condizioni
controllate (specialmente per quanto riguarda la velocità dell’aria). Ma poiché la portata di odore (OER) ed il
flusso specifico di odore (SOER) dipendono dalla velocità dell’aria che lambisce la superficie, è opportuno
che nelle simulazioni di dispersione si tenga conto della variazione della portata di odore (o in modo
equivalente del flusso specifico di odore) in funzione della velocità del vento. In dettaglio, la portata di odore
dovrà essere calcolata tramite la seguente equazione.
OERS = OERR * ((vS/vR)^0,5)
dove è:
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OERS portata di odore alla velocità dell’aria vS;
OERR portata di odore alla velocità di riferimento vR (conosciuta durante il campionamento);
vR velocità dell’aria nella camera di ventilazione durante il campionamento olfattometrico (in generale
diversa dalla velocità misurata nel condotto in ingresso o in uscita del sistema “wind tunnel”, ma
proporzionale a questa);
vS velocità dell’aria vicino alla superficie emissiva (indicativamente, ad una quota pari a metà dell’altezza
della camera di ventilazione); tale velocità può essere calcolata dalla velocità del vento alla quota
dell’anemometro (vH) ricorrendo alle equazioni di potenza che ipotizzano un determinato profilo di velocità
del vento.
Sarà quindi necessario calcolare un valore di OERS in funzione della velocità del vento alla quota
dell’anemometro vH per ciascuna ora del dominio temporale di simulazione.
Metodi diversi da quello qui descritto per il calcolo della portata di odore in funzione delle condizioni
atmosferiche cui la sorgente è soggetta potranno essere adottati a seguito di evoluzioni delle conoscenze
scientifiche o quando vi siano giustificati motivi per ritenere il presente metodo non adatto al caso specifico
in esame.
3.6 Innalzamento del pennacchio (plume rise)
Normalmente l’aeriforme emesso in atmosfera attraverso camini di espulsione (emissioni puntiformi
convogliate) con sbocco verticale diretto in atmosfera (ossia, per esempio, privi di cappelli esalatori) sono
soggette al cosiddetto innalzamento del pennacchio (plume rise) o più precisamente alla sua componente
meccanica (momentum rise), la cui entità dovrebbe quindi essere considerata nelle simulazioni per lo studio
di impatto. Ove lo sbocco del camino non è diretto, ma presenta sistemi che deflettono o rallentano il flusso
di aeriforme, alla quota di innalzamento del pennacchio dovuta alla spinta meccanica (momentum rise) sarà
da applicare un fattore di riduzione, da specificare nella relazione di presentazione dello studio. Il momentum
rise sarà pure da ridurre fino ad annullarlo nei casi in cui lo sbocco non è verticale. Nei casi di sorgenti areali
o volumetriche il momentum rise è normalmente da considerare nullo, ed è quindi da disattivare nel modello
di dispersione l’algoritmo che calcola tale innalzamento; per esempio, per un biofiltro, benché vi sia addotta
una portata volumetrica tramite un ventilatore, la velocità effettiva di espulsione sulla superficie superiore
del letto biofiltrante è tanto piccola da rendere trascurabile il momentum rise (può invece essere significativo
l’innalzamento dovuto alla spinta di galleggiamento di origine termica, o buoyancy rise). In tutti i casi
(attivazione con o senza applicazione di fattori di riduzione o disattivazione) nella relazione di presentazione
dello studio devono essere specificati, per ciascuna sorgente:
•
se nelle simulazioni è stato attivato l’algoritmo per l’innalzamento del pennacchio ed il motivo della
decisione;
•
qualora l’innalzamento del pennacchio sia stato considerato, la velocità di efflusso impiegata per il
calcolo dell’innalzamento meccanico del pennacchio (momentum rise); si noti che in taluni casi la
velocità di espulsione alla sezione di sbocco del camino che deve essere impiegata per il calcolo
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dell’innalzamento del pennacchio può non coincidere numericamente con la velocità di efflusso
impiegata per il calcolo della portata volumetrica (per esempio perché la sezione ove è misurata la
velocità ha diametro diverso dalla sezione di sbocco);
•
qualora l’innalzamento meccanico del pennacchio sia stato calcolato, l’eventuale fattore di riduzione
applicato;
•
qualora l’innalzamento termico (buoyancy rise) del pennacchio sia stato calcolato, la temperatura
dell’effluente impiegata.
4. Dati meteorologici
4.1 Numero di stazioni meteo delle quali impiegare i dati nelle simulazioni
In linea generale i dati meteo da impiegare nelle simulazioni possono provenire da una sola stazione
meteorologica superficiale. Per adempiere i requisiti previsti nel presente documento, può essere opportuno
impiegare dati meteo provenienti da più stazioni meteorologiche (per esempio: dalla stazione più vicina si
traggono i dati di velocità e direzione del vento e da una stazione più lontana si traggono gli altri parametri;
oppure da una stazione a 5 km di distanza e con anemometro a 6 m si traggono i dati di direzione e velocità
del vento e dalla stazione all’interno dello stabilimento si traggono gli altri parametri).
Se per uno o più parametri per una singola stazione non sono rispettati i requisiti in merito alle percentuali
minime di dati validi (§ 4.6) si dovrà verificare se sia possibile integrare i dati disponibili di questa stazione
con quelli tratti da una seconda stazione meteo, valutando la compatibilità dei dati della seconda stazione con
quelli registrati dalla prima; si consideri però che per velocità e direzione del vento devono necessariamente
essere rispettati i requisiti del § 4.2.
Qualora si combinino dati provenienti da più stazioni, dovrebbe essere considerato uno stesso periodo
temporale di acquisizione e dovrebbe essere comunque valutato se la combinazione dei dati provenienti da
diverse stazioni rechi pregiudizio alla rappresentatività dei risultati delle simulazioni.
4.2 Posizione della stazione meteo rispetto al punto di emissione
La stazione meteo di cui impiegare i dati deve rispettare i seguenti requisiti:
•
Nei casi di terreno pianeggiante, la distanza della stazione meteo dal punto di emissione dovrebbe essere
minore o uguale a 10 km.
•
Nei casi di orografia complessa, la stazione deve giacere nella medesima valle ove è ubicato il punto di
emissione o deve essere scelta in modo tale che sia rappresentativa delle condizioni anemologiche del
sito ad esempio conducendo delle campagne di rilevamento integrative.
A tali requisiti è ammessa deroga a fronte di adeguata giustificazione tecnica, eccetto che per i parametri di
direzione e velocità del vento. Qualora non si disponga di una stazione vicina, e specialmente nei casi di
orografia complessa, si dovrebbe ricostruire il campo di vento nel dominio spaziale di simulazione
adoperando dati di più stazioni e ricorrendo ad un modello meteorologico diagnostico.
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Nella relazione di presentazione dello studio devono essere indicati, per ciascuna stazione meteo:
•
coordinate geografiche (vedasi § 5);
•
ente o organizzazione che gestisce la stazione meteorologica e che ha trasmesso i dati meteo grezzi;
•
quota dell’anemometro rispetto al suolo;
•
distanza in pianta dai punti di emissione.
4.3 Quota dell’anemometro rispetto al suolo
La quota dell’anemometro della stazione meteo da cui sono tratti i dati di velocità e direzione del vento
dovrebbe essere maggiore o uguale a 5 m. A questo requisito si potrà derogare solo se non esistano stazioni
meteo conformi ad esso, fermi restando gli altri requisiti posti nel presente documento a proposito della
stazione meteorologica, e solo fornendo elementi che permettano di giudicare comunque validi i dati della
stazione avente anemometro a quota non conforme.
4.4 Frequenza originaria di registrazione dei dati meteo
La frequenza originaria di registrazione dei dati meteo deve essere oraria o maggiore (ad esempio ogni 30
minuti o 10 minuti). Nelle simulazioni di dispersione dovranno essere introdotti dati a scansione oraria.
Qualora la frequenza originaria di registrazione dei dati meteo sia maggiore (ossia più frequente) di quella
oraria, dovrà essere esposta nella relazione di presentazione dello studio la procedura per il calcolo dei dati
meteo a scansione oraria.
4.5 Estensione minima del dominio temporale di simulazione
Nelle simulazioni sono ammessi solo domini temporali di simulazione che siano multipli di 12 mesi (ossia
due anni, tre anni, ecc.).
4.6 Dati invalidi
Nella relazione di presentazione dello studio deve essere riportata la percentuale di dati meteorologici
invalidi per ciascun mese e per ciascun parametro. Per ciascun parametro meteorologico, la percentuale di
dati assenti/invalidi deve essere minore del 20% sul totale dei dati meteo impiegati nelle simulazioni e
minore del 70% per ciascun mese. Deroghe a questo criterio, comunque da evidenziare nella relazione di
presentazione dello studio, sono accettate solo quando i dati invalidi possano essere ricostruiti in modo
tecnicamente fondato.
In ogni caso una procedura di individuazione e ricostruzione dei dati invalidi deve essere prevista e deve
essere esposta nella relazione di presentazione dello studio.
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4.7 Campagne di rilevamento integrative
È auspicabile eseguire campagne di rilevamento integrative tramite stazione meteorologica mobile presso il
sito esame se si verifica uno dei casi seguenti:
•
se per uno o più parametri non sono rispettati i requisiti in merito alle percentuali minime di dati validi
(§ 4.6), fatto salvo quanto previsto nel § 4.1;
•
se la stazione meteo disponibile non è dotata di uno o più dei sensori necessari e non sono disponibili
altre stazioni che rispettino i requisiti minimi;
•
se i requisiti circa la posizione della stazione meteo fissa (§ 4.2) non sono soddisfatti (per esempio
perché la stazione fissa disponibile è lontana dal sito in esame) ed è opportuno confermare che,
nonostante queste difformità, i dati da essa registrati sono comunque rappresentativi per il sito in esame.
La durata delle campagne di rilevamento integrative potrà essere inferiore alla durata del dominio temporale
di simulazione, ma dovrà essere sufficiente a delineare andamenti dei parametri meteo ragionevolmente
estrapolabili all’intero dominio di simulazione.
4.8 Pre-processore meteorologico
Nella relazione di presentazione dello studio dovrà essere fornita adeguata documentazione in merito al preprocessore meteorologico impiegato per ottenere i parametri micrometeorologici (ad esempio, altezza dello
strato limite atmosferico) e di turbolenza (ad esempio, lunghezza di Monin-Obukhov e velocità di attrito
superficiale). L’impiego delle classi di stabilità (per esempio, le classi Pasquill-Gifford-Turner) in luogo dei
parametri continui di turbolenza è sconsigliato e dovrà quindi essere adeguatamente giustificato.
4.9 Trasmissione dei dati meteo
Dovranno essere integralmente trasmessi in formato digitale all’Autorità competente, unitamente alla
relazione di presentazione dello studio:
•
l’intero set di dati meteo grezzi registrati dalla stazione (a monte di qualunque elaborazione, quindi a
monte anche dell’eventuale calcolo dei dati a frequenza oraria e della ricostruzione dei dati invalidi); per
ciascun parametro meteo dovrà essere indicata l’unità di misura e dovrà essere fornita chiara descrizione
(per esempio, per la direzione del vento dovrà essere indicato se si tratta di direzione prevalente o
risultante e se è espressa come provenienza o come vettore; per la radianza solare dovrà essere
specificato se è globale o netta);
•
l’intero set di dati di input impiegati nelle simulazioni di dispersione (a valle di tutte le elaborazioni
eseguite, incluse le elaborazioni del pre-processore meteorologico).
Alla relazione di presentazione dello studio dovranno inoltre essere allegate:
•
le rose dei venti che siano necessarie a trovare ragione dell’aspetto delle isoplete nella mappa di
impatto;
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•
la tabella o il grafico della distribuzione statistica delle velocità del vento (numero o percentuale di
occorrenze in funzione della velocità del vento, aggregata per classi) nel set di dati meteo impiegato.
Qualora per necessità siano combinati per uno stesso parametro dati di stazioni meteo diverse (vedasi § 4.1 e
§ 4.7), dovrà essere fornita evidenza (per esempio allegando opportuni grafici) della compatibilità dei dati
provenienti dalle diverse stazioni.
5. Georeferenziazione
Devono essere georeferenziati in coordinate geografiche (latitudine/longitudine) o nel sistema UTMWGS84:
•
le sorgenti di emissione;
•
i ricettori sensibili;
•
i recettori di calcolo (punti della griglia del dominio spaziale di simulazione);
•
i vertici degli edifici per la simulazione del building downwash.
6. Dimensioni e passo della griglia di recettori di calcolo
Le dimensioni del dominio spaziale di simulazione (griglia di recettori di calcolo) devono essere fissate nel
rispetto dei seguenti requisiti:
•
devono esservi inclusi tutti i ricettori presso cui sia da valutare il definito criterio di valutazione
dell’impatto;
•
devono esservi inclusi (almeno parzialmente) i centri abitati presso cui il 98° percentile delle
concentrazioni orarie di picco di odore simulate sia maggiore di 1 ouE/m3.
Il passo della griglia di recettori di calcolo deve essere scelto in modo tale che per i ricettori sensibili, la
distanza fra il ricettore e il punto più prossimo del confine di pertinenza dell’impianto, deve essere maggiore
o uguale al passo della griglia.
Di norma l’elevazione (altezza) dei recettori rispetto al suolo deve essere impostata pari a 2 metri.
Nella relazione di presentazione dello studio devono essere specificati:
•
dimensioni del dominio spaziale di simulazione;
•
coordinata geografica (vedasi § 5) dell’origine (vertice sudovest) del dominio spaziale di simulazione;
•
passo della griglia di recettori di calcolo.
7. Definizione dei ricettori sensibili
I ricettori sensibili (o bersagli) presso i quali simulare puntualmente l’impatto delle emissioni saranno scelti
considerando i seguenti criteri:
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•
I ricettori dovrebbero essere disposti in modo che in ogni arco di circonferenza (della circonferenza
centrata nell’impianto) di 120° sia collocato almeno un ricettore sensibile.
•
Fra i ricettori sensibili dovrebbe essere compresa l’abitazione o il locale ad uso collettivo (scuola,
ospedale, ecc.) più prossimo all’impianto, anche se isolato.
•
Almeno un ricettore sensibile dovrebbe essere posto presso ciascuno dei centri abitati (per la definizione
di centro abitato si veda l’art. 3 del Codice della Strada, d.lgs. n. 285 del 30/04/1992 e s.m.i.) ubicati
entro 3 km dall’impianto.
•
Se sul territorio circostante all’impianto vi sono aree ove il Piano di governo del territorio o analoghe
disposizioni di governo applicabili prevedono future edificazioni e quindi nuovi potenziali ricettori
sensibili, deve essere ipotizzato un ricettore sensibile virtuale nel punto dell’area oggetto di futura
edificazione più vicino al confine dell’impianto. Tali ricettori virtuali dovranno essere considerati nello
studio di impatto al pari degli altri ricettori individuabili se la loro posizione rispetto all’impianto è
potenzialmente critica secondo i criteri stabiliti nel presente paragrafo.
8. Orografia
Se l’orografia del territorio incluso nel dominio spaziale di simulazione è complessa, i suoi effetti devono
essere considerati nelle simulazioni. In generale l’orografia dovrebbe essere considerata complessa (non
pianeggiante) quando la minore delle dimensioni lineari del dominio spaziale di simulazione è meno di 100
volte superiore alla differenza fra la quota massima e la quota minima dei recettori di calcolo inclusi nel
dominio spaziale di simulazione. Deroghe a questo criterio devono essere motivate nella relazione di
presentazione dello studio.
Qualora l’orografia sia considerata complessa, nella relazione di presentazione dello studio devono essere
riportati:
•
la quota del terreno per ciascuno dei recettori di calcolo;
•
indicazioni circa l’algoritmo impiegato nelle simulazioni per l’orografia complessa, e gli eventuali
parametri di controllo dell’algoritmo.
Si segnala, senza che ciò costituisca un requisito, che i dati altimetrici ottenuti anche per il territorio italiano
tramite la Shuttle Radar Topography Mission (SRTM) possono essere scaricati via web dalla NASA o
dall’U.S. Geological Survey (USGS).
9. Effetto scia degli edifici quando siano sopravento al punto di emissione
Un algoritmo per il calcolo dell’effetto scia degli edifici quando questi siano sopravento al punto di
emissione (building downwash) dovrebbe essere avviato nelle simulazioni se la minima delle altezze delle
sorgenti di emissione rispetto al suolo è inferiore a 1,5 volte la massima delle altezze degli edifici dello
stabilimento rispetto al suolo, ove per edificio si intende estensivamente qualunque manufatto o impianto
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(inclusi serbatoi, torri di lavaggio e apparecchiature in genere) all’interno dello stabilimento oppure
all’esterno di esso entro un raggio di 200 m dai punti di emissione.
Sia che nelle simulazioni sia avviato l’algoritmo per il building downwash sia che l’algoritmo non sia
avviato in quanto non presente nel software utilizzato, nella relazione di presentazione dello studio dovranno
essere riportati, per ciascuno degli edifici che generano effetto scia, le seguenti informazioni, affinché
l’Autorità competente possa utilizzarle nelle proprie eventuali simulazioni di verifica:
•
le coordinate geografiche di ciascuno dei vertici in pianta dell’edificio;
•
l’altezza dell’edificio rispetto al suolo.
10. Scelta della tipologia di modello e del codice software
Si richiede per la realizzazione dello studio di impatto olfattivo l’impiego di un modello di dispersione che
appartenga ad una delle seguenti tipologie:
•
modelli non stazionari a puff o a segmenti (vedasi UNI 10796:2000, scheda 4, tipologia 2);
•
modelli 3D lagrangiani (a puff o a particelle) (vedasi UNI 10796:2000, scheda 4, tipologia 3 o scheda 5,
tipologia 1);
•
modelli 3D euleriani (vedasi UNI 10796:2000, scheda 4, tipologia 3 o scheda 5, tipologia 1).
11. Trattamento delle calme di vento
11.1 Metodo per il trattamento delle calme di vento
Il modello di dispersione impiegato deve disporre di un metodo per il trattamento delle calme di vento. Molti
dei codici software disponibili prevedono per le calme di vento un algoritmo significativamente diverso da
quello regolare (qui nel seguito denominato “metodo speciale per le calme”), che è attivato automaticamente
per tutte quelle ore del dominio temporale di simulazione in cui la velocità del vento è inferiore ad un certo
definito valore soglia. Poiché nella generalità dei modelli disponibili i metodi speciali per le calme sono
intrinsecamente meno accurati dell’algoritmo principale, è evidentemente necessario, se il modello impiegato
prevede un metodo speciale per le calme, che il numero percentuale di ore per le quali il modello ricorre al
metodo speciale sia minimo, e possibilmente inferiore al 2%, poiché:
•
il parametro di impatto olfattivo da esprimere come risultato finale delle simulazioni è in forma di 98°
percentile (vedasi § 14.2);
•
in condizioni di calma di vento si ottiene spesso l’impatto olfattivo massimo, poiché gli inquinanti sono
meno efficacemente dispersi in atmosfera.
A questo scopo nel § 11.2 sono stabiliti criteri a proposito della velocità soglia delle calme in combinazione
al modello di dispersione impiegato.
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Quale metodo speciale per le calme non è consentita l’eliminazione, dal set di dati meteo, dei record
corrispondenti alle calme di vento, poiché eliminando le ore di calma di vento dal set di dati meteo si
potrebbe sottostimare l’impatto sull’intero dominio di tempo di simulazione.
11.2 Velocità soglia delle calme
Se il modello di dispersione adottato prevede un “metodo speciale per le calme” (come specificate dal §
11.1), il valore di velocità del vento con frequenza massima (ossia la moda della distribuzione delle velocità
del vento) deve essere maggiore del valore soglia di velocità del vento sotto cui è applicato tale metodo
speciale (qui nel seguito denominato “velocità soglia delle calme”). Questa condizione non può essere
rispettata per esempio nei seguenti casi:
•
Quando la moda della distribuzione di velocità è compresa fra zero ed il limite minimo della velocità
soglia delle calme fissato o consigliato dal modello di dispersione utilizzato (ossia quando il software
non permette o sconsiglia di impostare una velocità soglia delle calme inferiore alla moda delle
distribuzione delle velocità), deve essere scelto un diverso software di dispersione.
•
Quando la moda della distribuzione di velocità è in corrispondenza del valore zero di velocità del vento,
deve essere ricercata una stazione meteo alternativa che risponda ai requisiti definiti nel § 4, oppure
deve essere eseguita una campagna di rilevamento integrativa (§ 4.7), eventualmente a sostegno dei dati
registrati da una stazione fissa non rispondente ai requisiti definiti nel § 4.
11.3 Informazioni da riportare nella relazione di presentazione dello studio
Nella relazione di presentazione dello studio, riguardo alle calme di vento, devono essere specificati:
•
quale metodo è stato adottato per il trattamento delle calme di vento; se è stato adottato senza modifiche
il metodo previsto da uno dei software validati consigliati al § 10, è sufficiente richiamarne
succintamente il principio di funzionamento;
•
la velocità soglia delle calme utilizzata nelle simulazioni;
•
la percentuale di ore con velocità inferiore alla velocità soglia delle calme e per le quali quindi è stato
adottato il metodo per il trattamento delle calme; se tale percentuale è maggiore del 2%, devono essere
esposte le valutazioni in merito alle conseguenze di questa potenziale anomalia sui risultati delle
simulazioni condotte.
12. Deposizione secca e deposizione umida
Nei casi oggetto del presente documento la deposizione secca e la deposizione umida hanno generalmente un
effetto trascurabile sulla rimozione degli inquinanti odorigeni dall’atmosfera, e quindi si consiglia,
cautelativamente, di disattivare gli algoritmi di calcolo della deposizione secca ed umida.
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Qualora invece si scelga di attivare tale algoritmo nel modello di dispersione, tutti i parametri di controllo di
tali algoritmi (ad esempio: costante di Henry e scavenging coefficient) dovranno essere riportati nella
relazione di presentazione dello studio.
Naturalmente gli algoritmi di calcolo della deposizione umida dovranno essere disattivati qualora non siano
disponibili dati di precipitazione nel set di dati meteo.
13. Post-elaborazione delle concentrazioni medie orarie
Le concentrazioni orarie di picco di odore per ciascun punto della griglia contenuta nel dominio spaziale di
simulazione e per ciascuna delle ore del dominio temporale di simulazione devono essere ottenute
moltiplicando le concentrazioni medie orarie per un peak-to-mean ratio pari a 2,3. Benché nella letteratura
scientifica non vi sia accordo unanime circa la definizione di un valore congruo per il peak-to-mean ratio, si
consiglia qui un fattore unico uniforme allo scopo di depurare i risultati delle simulazioni, per quanto possibile, dagli aspetti connessi alla scelta dei parametri del modello più che alle specificità dello scenario
emissivo di cui si deve simulare l’impatto.
14. Presentazione dei risultati
14.1 Relazione
Come richiesto puntualmente nel presente documento, deve essere prodotta una relazione di presentazione
dello studio che contenga le informazioni necessarie affinché le simulazioni possano essere replicate a cura
dell’Autorità competente, impiegando il medesimo modello di dispersione usato dal proponente o un altro
modello di dispersione.
14.2 Risultati di impatto presso i ricettori sensibili
Nella relazione di presentazione dello studio o in un suo allegato devono essere presentate:
•
una tabella che riporti, per ciascuno dei ricettori sensibili individuati sul territorio, il 98° percentile delle
concentrazioni orarie di picco di odore simulate; se il software utilizzato non permettesse il calcolo del
98° percentile, tale tabella potrà essere omessa, ma il confronto fra l’impatto delle emissioni ed i criteri
di valutazione definiti dovrà essere eseguito considerando i massimi globali delle concentrazioni orarie
di picco di odore simulate;
•
una tabella che riporti, per ciascuno dei ricettori sensibili individuati sul territorio, il massimo globale
(ossia sull’intero dominio temporale di simulazione) delle concentrazioni orarie di picco di odore
simulate.
14.3 Mappa di impatto
Nella relazione di presentazione dello studio o in un suo allegato deve essere presentata una mappa di
impatto, in cui siano visibili almeno:
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•
il perimetro del dominio spaziale di simulazione;
•
la corografia del territorio, fino a comprendere, oltre alle sorgenti di emissione, i ricettori sensibili e
possibilmente il centro abitato più vicino; a questo scopo dovrebbero essere possibilmente impiegate le
Carte Tecniche Regionali oppure ortofoto realizzate conformemente alle disposizioni normative; in ogni
caso la corografia deve essere georeferenziata coerentemente (vedasi § 5); è opportuno che il territorio
di cui è visibile la corografia nella mappa sia più esteso del perimetro del dominio spaziale di simulazione;
•
le sorgenti di emissione;
•
il confine di pertinenza dell’impianto, esclusi eventuali terreni non funzionali all’impianto pur se di
proprietà del gestore dell’impianto;
•
la posizione dei ricettori sensibili;
•
l’isopleta (curva di isoconcentrazione di odore) corrispondente ai valori di concentrazione pari ai criteri
di valutazione definiti;
•
l’isopleta di concentrazione di odore corrispondente al valore di 1 ouE/m3;
•
l’isopleta non completamente racchiusa nel confine dello stabilimento, cui corrisponda il massimo
valore di concentrazione di odore.
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ALLEGATO 2: CLASSIFICAZIONE DEGLI IMPIANTI DI DEPURAZIONE IN RELAZIONE
ALL’IMPATTO ODORIGENO ATTESO SUI RECETTORI
(a cura di: Dott. Ing. Adriana Maria Lotito e Dott. Geol. Vito La Ghezza)
Per la valutazione del potenziale impatto odorigeno degli impianti di depurazione sui recettori sensibili, così
come definiti nelle linee guida, si è proceduto a verificare la presenza di tali recettori in intorni dell’impianto
posti a distanze crescenti dal confine dell’impianto stesso.
In particolare, riprendendo la definizione di recettore sensibile contenuta nel capitolo 7:
•
qualsiasi edificio pubblico o privato adibito ad ambiente abitativo, a degenza o cura, a formazione e
studio o ad attività lavorativa o ricreativa (comprese le relative aree esterne di pertinenza);
•
parchi pubblici e aree esterne destinate ad attività ricreative e allo svolgimento della vita sociale della
collettività;
•
aree territoriali edificabili già individuate dai vigenti strumenti urbanistici e loro varianti
si è proceduto a selezionare da dati cartografici in possesso dell’Agenzia (carta tecnica regionale) gli
elementi di interesse e a classificare i diversi recettori in quattro classi di sensitività (elevata E, alta A, media
M, bassa B), come riportato nella tabella seguente. Nell’analisi non sono state quindi considerate le aree
territoriali edificabili.
RECETTORE
CLASSI
Aree ricreative
A
Cimiteri
A
Insediamenti industriali
B
Insediamenti agricoli
B
Insediamenti commerciali
A
Ospedali
E
Porti – aeroporti
M
Tessuto residenziale continuo
E
Tessuto residenziale discontinuo
E
Tessuto residenziale rado - nucleiforme
A
Tessuto residenziale sparso
M
Le fasce di distanza dal confine dell’impianto per le quali è stata condotta l’analisi sono: 0-50 m, 50-100 m,
100-150 m, 150-250 m, 250-500 m, 500-1000 m e 1000-2000 m.
Si è quindi effettuata l’intersezione tra i multi-buffer prodotti nell’intorno degli impianti e le diverse
tipologie di recettore.
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L’approccio più corretto da adottare appare quello di una valutazione pesata, che tenga conto sia del tipo di
recettore (classe di sensitività), che dell’area interessata (che si può considerare come indicatore del numero
di esposti), che della distanza dall’impianto (aumentando la distanza, l’impatto tende a diminuire). Tale
analisi offre solo una valutazione qualitativa dell’impatto perché non tiene conto né della quantità di odore
emessa dall’impianto né degli effetti di dispersione e trasporto legati alle condizioni del sito (ad esempio
direzione dei venti prevalenti, ecc.), ma fornisce comunque informazioni utili a scala globale.
Per tale analisi, si è quindi calcolata, per ciascun impianto, la superficie occupata da ciascuna tipologia di
recettore in ciascuna fascia di distanza dall’impianto analizzata. Per ciascun impianto k, si è calcolato il
rischio rrecettori,k con la seguente espressione:
dove si è il coefficiente di sensitività per il recettore di classe i (assunto pari a 1 per classe E, 0,8 per classe
A, 0,6 per classe M, 0,4 per classe B), pj è il peso per le diverse classi di distanza (assunto pari a 1 per la
classe 0-50 m, 0,99 per la classe 50-100 m, 0,98 per la classe 100-150 m, 0,95 per la classe 150-250 m, 0,9
per la classe 250-500 m, 0,8 per la classe 500-1000 m e 0,6 per la classe 1000-2000 m), Sijk è la superficie
occupata dal recettore di classe i nel buffer j per l’impianto k [ha].
Una volta calcolato il rischio per ciascun impianto, si sono classificati gli impianti in 3 classi (Rrecettori,k),
considerando range di valori di rischio 1-80 (classe 1), 80-160 (classe 2), > 160 (classe 3). In figura è
riportata la distribuzione degli impianti nelle tre classi.
L’ipotesi di classificare gli impianti in relazione alla distanza del primo recettore è stata scartata: fissando
come soglie delle tre classi di rischio 100 m e 250 m di distanza, nella classe di rischio più elevata (primo
recettore entro 100 m) rientra la quasi totalità degli impianti.
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ALLEGATO 3: CLASSIFICAZIONE DEGLI IMPIANTI DI DEPURAZIONE NELLE TRE
CATEGORIE DI MONITORAGGIO
Si riporta di seguito la classificazione degli impianti in relazione alla potenzialità attuale. Eventuali
potenziamenti potrebbero determinare una variazione della classificazione.
III CATEGORIA
INDICE DI VALUTAZIONE
POTENZIALITÀ ATTUALE
DELL’IMPIANTO (AE)
INDICE DI VALUTAZIONE
ESPOSIZIONE DEI RECETTORI
ANDRIA
3
2
BARI EST
3
2
BARI OVEST
3
3
BITONTO
2
3
CASARANO
2
3
CASTELLANETA MARINA
2
3
FOGGIA
3
1
LECCE
3
2
MAGLIE
2
3
TARANTO BELLAVISTA
3
3
TARANTO GENNARINI
3
3
TRANI
2
3
II CATEGORIA
INDICE DI VALUTAZIONE
POTENZIALITÀ ATTUALE
DELL’IMPIANTO (AE)
INDICE DI VALUTAZIONE
ESPOSIZIONE DEI RECETTORI
ALTAMURA
2
1
ARADEO
1
3
BARLETTA
2
2
BISCEGLIE
2
2
BRINDISI FIUME GRANDE
2
2
CARMIANO
1
3
CAROVIGNO
1
3
CERIGNOLA
2
2
COPERTINO
2
1
CORATO
1
3
CRISPIANO
1
3
FRANCAVILLA FONTANA
1
3
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GALATINA
1
3
GALATONE
1
3
GALLIPOLI
2
2
GINOSA MARINA
2
1
LUCERA A
1
3
MANDURIA VECCHIO
1
3
MANFREDONIA
2
1
MESAGNE
2
2
MOLFETTA
2
2
NARDO'
2
1
PULSANO VECCHIO
1
3
PUTIGNANO
1
3
RUVO DI PUGLIA
2
1
SAN CESARIO DI LECCE
1
3
SAN GIOVANNI ROTONDO
1
3
SAN PIETRO VERNOTICO
1
3
SAN SEVERO
2
1
VIESTE
2
2
TRICASE
1
3
I CATEGORIA
INDICE DI VALUTAZIONE
POTENZIALITÀ ATTUALE
DELL’IMPIANTO (AE)
INDICE DI VALUTAZIONE
ESPOSIZIONE DEI RECETTORI
ACQUAVIVA DELLE FONTI
1
1
ALBEROBELLO
1
2
APRICENA
1
1
ASCOLI SATRIANO 1
1
1
CANOSA 1
1
1
CARPIGNANO SALENTINO
1
1
CASAMASSIMA VECCHIO
1
2
CASSANO MURGE
1
2
CASTELLANA GROTTE
1
2
CASTELLANETA
1
1
CASTRIGNANO DEL CAPO
1
2
CASTRO
1
2
CEGLIE MESSAPICA
1
2
CISTERNINO
1
2
CONVERSANO VADOLADRONE
1
2
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CORSANO
1
1
FASANO FORCATELLE
1
1
GINOSA
1
1
GIOIA DEL COLLE
1
2
GIOVINAZZO
1
2
GRAVINA IN PUGLIA
1
1
LATERZA
1
2
LATIANO
1
2
LESINA
1
1
LIZZANELLO
1
2
LIZZANO
1
1
LUCERA B
1
2
MARGHERITA DI SAVOIA
1
1
MARINA DI LESINA
1
1
MARINA DI RODI
1
1
MARTINA FRANCA
1
2
MARUGGIO
1
2
MASSAFRA
1
1
MATTINATA
1
2
MELENDUGNO
1
1
MINERVINO MURGE
1
1
MOLA DI BARI
1
2
MONOPOLI
1
2
MONTE SANT'ANGELO A
1
1
MONTEIASI
1
1
MOTTOLA
1
2
NOCI NUOVO
1
1
NOVOLI
1
2
ORIA
1
2
ORTANOVA
1
2
OSTUNI
1
1
OTRANTO
1
2
PALAGIANELLO
1
1
PALAGIANO
1
2
PESCHICI
1
1
POLIGNANO A MARE
1
2
PRESICCE
1
1
RODI GARGANICO
1
1
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SALICE SALENTINO
1
1
SAMMICHELE DI BARI
1
1
SAN FERDINANDO DI PUGLIA
1
1
SAN GIORGIO IONICO
1
2
SAN MARCO IN LAMIS NUOVO
1
1
SAN PANCRAZIO SALENTINO
1
1
SANNICANDRO GARGANICO
1
1
SANTERAMO IN COLLE
1
2
SQUINZANO
1
2
SUPERSANO
1
1
TAURISANO
1
1
TAVIANO
1
2
TORRE SANTA SUSANNA
1
1
TORRICELLA
1
2
TRINITAPOLI
1
1
TURI
1
1
UGENTO
1
1
UGGIANO LA CHIESA
1
1
VERNOLE
1
1
VICO DEL GARGANO
1
1
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ALLEGATO 4: MAPPATURA
MONITORAGGIO
DEGLI
IMPIANTI
NELLE
(a cura di: Dott. Ing. Adriana Maria Lotito e Dott. Geol. Vito La Ghezza)
62
TRE
CATEGORIE
DI
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RIFERIMENTI
Bay Area Air Quality Management District, Regulation 7, California, 2001.
Bertanza, G., Papa, M. (2012) L’applicazione delle BAT nel controllo degli odori: azioni preventive nella gestione dei
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Ottobre 2012, V.1-V.6.
Blonda M., Giorgio E., Palumbo R. (2007) Eliminazione dell’impatto ambientale da odori nei presidi depurativi tramite
l’applicazione del sistema AS diffusion: valutazione dell’efficacia tecnologica del processo. Biologi italiani 1, 33-41.
Capelli, L., Sironi, S., Del Rosso, R., Centola, P. (2009) Predicting odour emissions from wastewater treatment plants
by means of odour emission factors. Water Research 43, 1977-1985.
Circulaire du 17/12/98 relative aux installations classées pour la protection de l'environnement (Arrêté ministériel du 2
février 1998 relatif aux prélèvements et à la consommation d'eau ainsi qu'aux émissions de toute nature des installations
classées pour la protection de l'environnement soumises à autorisation, modifié par l'arrêté du 17 août 1998).
EN13725: Air Quality—Determination of Odour Concentration by Dynamic Olfactometry; Committee for European
Normalization (CEN), Brussels, Belgium, 2003.
Environment Protection Authority, Government of South Australia “Guidelines for Separation Distances”, 2000.
Estrada, J.M., Kraakman, N.J.R.B., Muñoz, R., Lebrero, R. (2011) A comparative analysis of odour treatment
technologies in wastewater treatment plants. Environmental Science and Technology 45, 1100-1106.
European Commission (2011) Best available techniques (BAT) reference document for common waste water and waste
gas treatment / management systems in the chemical sector. Industrial Emissions Directive 2010/75/EU (Integrated
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Ontario MOE Guideline D-2, 1996.
RWDI Air Inc., Final report.: “Odour management in British Columbia: Review and Recommendations”, 2005.
S.I. No. 787/2005 - European Communities (Waste Water Treatment) (Prevention of Odours and Noise) Regulations
2005.
Sorlini, C. (1990) Valutazione Impatto Ambientale - Impianti di depurazione, Provincia Autonoma di Trento.
Assessorato al Territorio, Ambiente e Foreste, pp. 22.
Tordini, I. (2012) L’applicazione delle BAT nel controllo degli odori: tecniche appropriate di trattamento odori. Atti
della 47a Giornata di Studio di Ingegneria Sanitaria-Ambientale. La prevenzione e il controllo degli odori negli impianti
di trattamento acque e rifiuti liquidi, Gruppo di lavoro Gestione impianti di depurazione, Brescia, 12 Ottobre 2012,
VI.1-VI.8.
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