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Rovine - La Repubblica.it
DIARIO GIOVEDÌ 11 NOVEMBRE 2010 DI REPUBBLICA ■ 44 L’episodio di Pompei è l’ultimo atto del degrado dei Beni culturali: uno stato di abbandono che distrugge la memoria storica e i suoi luoghi più importanti ROVINE I simboli della nostra civiltà che rischiano di diventare macerie SALVATORE SETTIS LIBRI LORENZO CASINI (a cura di) La globalizzazione dei beni culturali il Mulino 2010 MARCELLO BARBANERA (a cura di) Relitti riletti Bollati Boringhieri 2009 OLIVER BROGGINI Le rovine del Novecento Diabasis 2009 PAOLO D’ANGELO Estetica e paesaggio il Mulino 2009 CHRISTOPHER WOODWARD Tra le rovine Guanda 2008 JOHANN J. WINCKELMANN Il bello nell’arte Einaudi 2008 SALVATORE SETTIS Italia S.p.a. Einaudi 2007 MARCO BELPOLITI Crolli Einaudi 2005 MARC AUGÉ Rovine e macerie Il senso del tempo Bollati Boringhieri 2004 JULIUS EVOLA Gli uomini e le rovine Edizioni mediterranee 2001 econdo il grande storico dell’arte cinese Wu Hung (professore a Chicago), nella cultura cinese manca il senso delle rovine, e i pittori e calligrafi cinesi si astennero dal rappresentarle; le eccezioni sono dovute a influssi della cultura europea. In Europa, al contrario, la presenza delle rovine è vitale nella riflessione storica come nell’arte e nella letteratura. Per Chateaubriand (in una celebre frase del Génie du Christianisme, 1802), «tutti gli uomini hanno una segreta attrazione per le rovine», a causa di un sentimento del sublime destato dal contrasto fra la condizione umana e la caduta degli imperi, che le rovine testimoniano ed evidenziano. Secondo un saggio di Georg Simmel (1919) «il fascino della rovina sta in ultima analisi nel fatto che un’opera dell’uomo possa esser percepita come un prodotto della natura», della sua potenza distruttrice. J. B. Jackson, che il New York Times definì «il massimo scrittore sulle forze che hanno forgiato la terra occupata dalla nazione americana» scrisse nel 1980 un prezioso libretto, The Necessity for Ruins. Secondo Jackson (americano, ma nato e morto in Francia), le città americane fanno enormi sforzi per costruirsi una memoria storica artificiale, creata a partire da oggetti visibili che vengono reinterpretati come monumenti, landmarks; ma anche creando dal nulla rovine fittizie, prêtes-àporter di marca hollywoodiana, come i saloons “ricostruiti” in tante piccole città del Nevada. Anche le finte rovine hanno una prodigiosa efficacia sociale: presuppongono e incorporano le rovine della storia e quelle dell’immaginazione, ricreano un passato “vero” non perché dimostrabile, ma perché “tipico”. Il gesto di invenzione della tradizione viene implicitamente legittimato come “ricostruzione” di una tradizione “autentica”, che interpreta un’esigenza quasi religiosa di memoria collettiva. Scrive Jackson: «solo le rovine danno un incentivo efficace per la rinascita, per un ritorno alle origini. È necessario un intervallo di morte o di oblio, prima che possa davvero parlarsi di rinnovamento o di riforma». Pensieri consolanti, in un Paese che va, moralmente e fisicamente, in rovina? È davve- La tradizione S Sono vitali alla riflessione storica e ricorrono nell’arte e nella letteratura Sono parte della nostra tradizione e parlano delle nostre origini L’intervento Non basta dichiarare l’emergenza ma occorre “curare” il dissesto idrogeologico senza inutili strumentalizzazioni ro necessario che Pompei e la Domus Aurea cadano a pezzi, per innescare nei cittadini una qualche voglia di riscossa? Dopo la frana di Giampilieri di un anno fa (18 morti), dobbiamo aspettare che franino l’una e l’altra sponda dello Stretto per accorgerci che non basta “dichiarare l’emergenza” come fece allora il governo, ma bisogna “curare” il dissesto idrogeologico anziché posare le prime pietre di un faraonico Ponte? Ma la riflessione sulle rovine, nella tradizione occidentale, non è consolatoria, è tragica. SILLABARIO ROVINE Il detto famoso di Beda il Venerabile («Finché starà il Colosseo, starà Roma; e finché starà Roma, starà il mondo») non è un grido di trionfo, è un ammonimento e un allarme. Scrivendo nell’VIII secolo, Beda non si riferiva al Colosseo nel suo pieno fiorire, luogo di spettacoli che accolse per secoli decine di migliaia di spettatori, ma già (come oggi) a un gigantesco rudere che continua a morire a ogni istante, eppure vive ancora. Perciò le foto di Jack London a San Francisco dopo il terremoto del 1906 indugiano su chiese semidistrut- GEORG SIMMEL e rovine di un edificio mostrano che altre forze e altre forme, quelle della natura, sono cresciute nelle parti scomparse o distrutte dell’opera d’arte; e così, da ciò che dell’arte in esse vive ancora e da quella parte di natura che già vive in esse è scaturita una nuova totalità, un’unità caratteristica (…). Il fascino delle rovine è che un’opera dell’uomo viene percepita alla fine come un’opera della natura. Le stesse forze che danno alla montagna il suo aspetto – le intemperie, l’erosione, le frane, l’azione della vegetazione – qui hanno agito sui ruderi (…). Le rovine creano la forma presente di una vita passata, non restituendo i suoi contenuti o i suoi resti, bensì il suo passato in quanto tale. Questo è anche il fascino delle antichità, delle quali solo una logica ottusa può affermare che una imitazione assolutamente esatta da un punto di vista estetico avrebbe lo stesso valore. L © RIPRODUZIONE RISERVATA te, ma ancora in piedi, su edifici in frammenti, ma riconoscibili. Fra la rovina (il frammento) e l’intero c’è una corrente di senso: fin quando la rovina è riconoscibile, invita il lavoro della memoria, la pietà della ricostruzione, l’intelligenza della riflessione storica. Perciò le rovine segnalano sì un’assenza, ma al tempo stesso incarnano, sono una presenza, un’intersezione fra il visibile e l’invisibile. Ciò che è invisibile (o assente) è messo in risalto dalla frammentazione delle rovine, dal loro carattere “inutile” e talvolta incomprensibile, dalla loro perdita di funzionalità (o almeno di quella originaria). Ma la loro ostinata presenza visibile testimonia, ben al di là della perdita del valore d’uso, la durata, e anzi l’eternità delle rovine, la loro vittoria sullo scorrere irreparabile del tempo. Memoria di quel che fummo, le rovine ci dicono non tanto quel che siamo, ma quello che potremmo essere. Sono per la collettività quel che per l’individuo sono le memorie d’infanzia: alimentano la vita adulta, innescano pensieri creativi, generano ipotesi sul futuro. Così le rovine (dei monumenti, delle istituzioni, dei valori) ci ricordano col loro crollo quotidiano che non possiamo essere solo spettatori. Nel segno della morte, alzano una barriera fra i viventi, sono segno di contraddizione: di qua chi al crollo reagisce con sdegno e volontà di rimedio, di là i distruttori di mestiere, che nei crolli e nelle rovine vedono solo occasioni di far bottino, e a chi si sdegna rispondono con battute e sberleffi, e l’inevitabile, miserevole invito a “non strumentalizzare” (è successo, in alcune servili reazioni dopo il recente crollo a Pompei). Ma nelle rovine di quel che fu Roma peschiamo almeno questa citazione (da Seneca): è capace di indignazione solo chi è capace di speranza. Guardiamo dunque attentamente le rovine che si addensano intorno a noi, ma guardiamole con occhi allarmati. Hanno molto da dirci, se sappiamo interrogarle. Se non le consideriamo “inevitabili”, ma prodotto di incuria a cui porre rimedio. Lasciamo alla loro morte morale chi danza cinicamente sulle rovine. Prendiamoci la vita, la lezione etica e politica che viene dalla memoria e dalla solidarietà collettiva, dalla volontà di rinascita. L’Italia lo merita. Gli autori IL TESTO del Sillabario di Georg Simmel è tratto da Saggi sul paesaggio (Armando editore). Marc Augé, antropologo è autore di Rovine e macerie (Bollati Boringhieri). Salvatore Settis, archeologo e storico dell’arte è autore di Italia S.p.a. L’assalto al patrimonio culturale. I Diari online TUTTI i numeri del “Diario” di Repubblica, comprensivi delle fotografie e dei testi completi, sono consultabili su Internet in formato Pdf all’indirizzo web www.repubblica.it I lettori potranno accedervi direttamente dalla home page del sito, cliccando sul menu “Supplementi”. © RIPRODUZIONE RISERVATA Repubblica Nazionale Goethe Gustave Flaubert Alberto Arbasino I ruderi cadono sempre più in rovina per la corrosione prodotta dall’aria e dalle intemperie Ho visto alcuni ruderi Amo la vista della vegetazione che copre le vecchie rovine Per evitare delusioni, poi, meglio non aspettarsi troppo dalle rovine sparse in città Viaggio in Italia, 1787 Lettera a un amico, 1846 Dall’Ellade a Bisanzio, 2006 IL GRAND TOUR WINCKELMANN I ROMANTICI LE MACERIE OGGI Nel Rinascimento si diffonde la moda del Grand Tour nelle città d’arte ricche di rovine antiche greco-romane Nel ’700 gli studi dell’archeologo tedesco stimolano un nuovo interesse per l’arte classica e l’archeologia Il gusto per le rovine cattura i poeti romantici: Shelley scrive il “Prometo liberato” alle Terme di Caracalla Nel ’900 le rovine si trasformano in macerie. Dresda bombardata diventa il simbolo della distruzione della guerra È polemica dopo il crollo della Domus dei Gladiatori a Pompei per i tagli ai Beni culturali e la gestione delle risorse ■ 45 Le tappe Intervista con Marc Augé I danni provocati dall’ignoranza IL PASSATO IL CROLLO MESSO IN SCENA DI UN PAESE FABIO GAMBARO FRANCESCO MERLO PARIGI iù che indicarci il senso della storia, le rovine ci consentono di provare il sentimento di un tempo puro, quasi indefinito. Esse, infatti, pur facendo riferimento ad un passato storico, si presentano come un frammento di tempo immobile, sottratto ad ogni divenire.» Al tema delle rovine l’antropologo Marc Augé ha dedicato un affascinante saggio intitolato Rovine e macerie (Bollati Boringhieri), in cui s’interroga sul loro significato simbolico e temporale: «Le rovine contribuiscono alla spettacolarizzazione del mondo. Sono un luogo ridotto a spettacolo, di fronte al quale rimaniamo affascinati dall’immagine del tempo cristallizzata in uno spazio definito. Le rovine sono sempre una ricostruzione, una messinscena che produce un paesaggio diverso da quello originario, proponendone un uso inedito. Insomma, quello delle rovine non è un paesaggio storico, ma solo un’immagine irrigidita del tempo. Le rovine più che un non luogo, sono un falso luogo». In che modo le macerie diventano rovine? «È il nostro sguardo che le rende tali. Soprattutto in un paese come l’Italia, ricchissimo di vestigia del passato, sono le scelte degli uomini che valorizzano un sito archeologico invece di un altro, trasformando le pietre emerse dall’oblio in rovine dotate di un significato culturale. Senza il nostro lavo- è più scienza del restauro e più tecnica della conservazione nel viso rifatto di Berlusconi che nei ruderi di Pompei. E crolla, con la casa dei gladiatori, anche il sesso italiano, e non solo perché aumentano, per contagio, i vecchi ricchi pieni di desideri fuori tempo, ma soprattutto perché Ruby e Noemi sono prototipi. Le minorenni scoprono di avere nel loro corpo una miniera e si sgretola, come a Noto il barocco, il romanticismo nazionale, il dolce stil nuovo, il corteggiamento, la poesia, l’italianissima idea che la verità di un grande uomo sono gli occhi di una donna. Le macerie di Pompei confermano che il danaro del turismo non basta a rendere eterna la rovina mummificandola. E ci voleva un rovinoso leghista come Zaia per degradare Pompei a «quattro sassi», ben al di là dell’ignoranza che un tempo riusciva ancora ad accompagnarsi ad un certa fierezza, come testimonia Trilussa: «Pe’ Roma le rovine so’ un ristoro / pe’ l’inglesi che viengheno a guardalle; / noi nun ce famo caso, invece loro / cianno pure er libretto pe’ studialle». Oggi persino l’ignoranza è guastata dal razzismo leghista. Che popolo è quello che nelle rovine non vede le vestigia? E che cultura amministra un ministro che, sepolto sotto le rovine, non ha il coraggio di dimettersi, fosse pure per protesta? «P IL TEMPIO Sopra, il Tempio della Sibilla a Tivoli, di François Vincent. Qui sotto, il crollo del Campanile di San Marco. In alto, l’arco di Tito di David Havell C’ Oblio Collasso In un paese come l’Italia, ricchissimo di vestigia della storia, sono le scelte degli uomini che valorizzano un sito archeologico invece che un altro. E forniscono alle pietre emerse dall’oblio un significato culturale Anche la scuola, che era stata malamente puntellata, collassa sotto il peso dei tagli della Gelmini. E la stessa sorte tocca alle case editrici, al cinema, alle canzoni, al teatro ro di valorizzazione, i resti del passato rimarrebbero semplici macerie. Le rovine nascono da un intervento umano che modella uno spazio ad uso del presente. Naturalmente, può anche accadere l’inverso. Le rovine possono ridiventare macerie, come è accaduto a Pompei. D’altronde, le rovine sono fragili, hanno bisogno di cure e attenzioni. Sul piano simbolico, le rovine che ritornano ad essere macerie, sono un segno della nostra incapacità di prenderci cura del passato, ma anche una conferma di quell’impressione di degrado generalizzato oggi molto diffusa». Le rovine possono avere una funzione pedagogica? «Più che altro, l’uso e la valorizzazione delle rovine contiene spesso un’intenzione politica, che sfrutta l’immagine del passato per finalità molto contemporanee. Ad esempio, attraverso le rovine prende corpo l’ideologia della continuità e del radicamento, anche perché quasi sempre le rovine sono letteralmente strappate alla terra, come delle radici». Gli edifici di oggi saranno le rovine del futuro? «Non penso che la storia futura produrrà nuove rovine. Non ne avrà più il tempo. Gli edifici costruiti oggi non sono concepiti per durare. Non appena invecchiano, vengono demoliti e sostituiti da nuove costruzioni. Il ritmo delle ricostruzioni è ormai diventato troppo veloce perché un edificio abbia il tempo di trasformarsi in rovina. L’accelerazione generalizzata dei ritmi di vita e il bisogno di ricambio continuo non consentono più alle cose d’invecchiare. Noi produciamo macerie, non rovine». Una società che non produce rovine è schiava del presente? «Probabilmente sì. Quella che si va delineando è una società che non avrà più bisogno di memoria, vera o falsa che sia. Farà a meno della spettacolarizzazione del passato, poiché vivrà in un presente assoluto dominato dalle immagini, dove le nuove Disneyland si faranno carico di riprodurre integralmente i monumenti andati persi. Un po’ come a Las Vegas. Noi siamo gli ultimi figli della cultura classica che ha prodotto un vero e proprio culto del passato. Oggi però viviamo in una società che non pensa più che dal passato si possano trarre utili lezioni». Anche la scuola, che era stata malamente puntellata, crolla sotto i tagli della Gelmini e non è più per snobismo che gli italiani mandano i figli negli istituti francesi, tedeschi e angloamericani. Forse bisognerebbe affidare all’Europa la Magna Grecia, un po’ come accade ad Efeso, dove si rimane senza fiato davanti a quella specie di New York dell’antichità, spolverata, lucidata e accarezzata dai più raffinati tecnici del mondo che sono come i viaggiatori del settecento: un’aristocrazia dello Spirito, in Asia Minore o tra le vestigia azteche o attorno alla Muraglia cinese, unico monumento della Terra che si vede dalla Luna. In Italia collassano le case editrici e diventano rovine pompeiane il cinema, il teatro e le canzoni. Crolla l’occupazione. E la famiglia è il laboratorio dei più feroci delitti. Non c’è immagine della decadenza più plastica di quella foto del Papa che, pur travolto dallo scandalo della pedofilia, in Spagna sordamente rilancia il “diritto naturale” mentre due gay, calvi ed anzianotti, mettono in scena il bacio di protesta. Basta un viaggio in Egitto per scoprire attorno alle Piramidi quello stesso controllo occhiuto che c’era sulla piazza Rossa ai tempi del comunismo e che in Italia non c’è nelle banche, nelle istituzioni, nel governo: «I secoli ci guardano» . «Io, Imperatore dei francesi, dico a voi: io sono musulmano» fu l’incipit del discorso egiziano di Napoleone, poi copiato da Kennedy a Berlino. Anche lo sport va in rovina per malaffare e violenza. Avessimo negli stadi le arrabbiate milizie in alta uniforme che custodiscono gli antichi templi indosaraceni! È vero che pure in India, come a Pompei, folle di miserabili si propongono come guide. Ma almeno sono miserabili poliglotti mentre a Napoli sono fermi al «paisà», e sono pure tombaroli. A Roma la reggia di Nerone è chiusa per crolli perché nessuno investe in ciò che non si vede. Proprio come nel Veneto dove quelli che si vantavano d’essere i migliori non avevano mai investito nel territorio: ora sono, come i sarnesi, nelle mani del dio della pioggia e, come all’Aquila, della demagogia di Berlusconi. Davvero nei crolli di Pompei c’è l’Italia intera, il paese dove va in rovina la rovina. © RIPRODUZIONE RISERVATA © RIPRODUZIONE RISERVATA LIBRI FRANCESCO ERBANI Il disastro Laterza 2010 ANTONIO CEDERNA I vandali in casa Laterza 2007 P.GROS M.TORELLI Storia dell’urbanistica Laterza 2007 WALTER BENJAMIN Angelus Novus Einaudi 2006 SILVIA DELL’ORSO Altro che musei Laterza 2002 CESARE BRANDI Il patrimonio insidiato Editori Riuniti 2001 FRANCO RELLA Il silenzio e le parole Feltrinelli 2001 ATTILIO BRILLI Quando viaggiare era un’arte il Mulino 1995 VITTORIO EMILIANI Se crollano le torri Rizzoli 1990 JOHN B. JACKSON The Necessity for Ruins The University of Massachusetts Press 1980 Repubblica Nazionale