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Marcello Schirru Premessa È curioso rilevare l`incessante sequenza
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LA FONDAZIONE DI CALASETTA, UN PROGETTO URBANO
SETTECENTESCO NEL REGNO DI SARDEGNA
Marcello Schirru
TAVV. VII-VIII
Premessa
È curioso rilevare l’incessante sequenza di sperimentazioni urbanistiche in uno stato dalla forte impronta conservatrice, quale fu il Regno di
Sardegna nel XVIII secolo1; non meno interessante la loro localizzazione
in territori avulsi dal fulcro politico e culturale del paese, reinventato in
sede diplomatica, al termine dei conflitti bellici del primo ‘7002. Il tentativo di allineare la Sardegna al tenore produttivo e sociale delle regioni
subalpine costrinse l’apparato governativo ad elaborare un complesso
programma di riforme, investendo ingenti risorse. Da principio, fu chiara l’esigenza di promuovere lo sviluppo del territorio, condizionato dalla
bassa densità abitativa e dalla carenza di infrastrutture3. Definiti i confini
1 Lo studio proposto rientra nell’ambito del progetto di ricerca “I canoni progettuali delle
architetture sarde tra XVI e XIX secolo nel quadro di sviluppo urbano della città storica”, co-finanziatao dal PO Sardegna FSE 2007-2013, come previsto dalla legge regionale n. 7/2007 “Promozione della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica in Sardegna”, per il quale lo scrivente beneficia di una borsa di ricerca co-finanziata dalla Regione Sardegna.
2 M. BRIGAGLIA, M. MASTINO, G. ORTU, Storia della Sardegna, vol I – dalle origini al settecento,
Bari, L. SCARAFFIA, La Sardegna sabauda, Torino, 1987. B. ANATRA, A. MATTONE, R. TURTAS, Storia dei sardi e della Sardegna, Milano 1989. G. Oliva, I Savoia, Milano, 1998.
3 Secondo alcuni storici, il confronto demografico con altre regioni della penisola italiana
ostacolò l’accreditamento della Sardegna in sede diplomatica. G. SOTGIU, Storia della Sardegna
sabauda, Bari, 1986, pp. 6-7. Pur non costituendo un fattore positivo, in primis nei confronti
del Regno di Sicilia, lo spopolamento della regione è da interpretare alla luce di alcune considerazioni. Lo sviluppo del territorio richiese ingenti risorse economiche: un sacrificio rilevante per uno stato di recente formazione, non ancora affermato sulla scena internazionale.
Esso, tuttavia, assicurò buone prospettive a lungo termine: in campo agricolo, ad esempio,
l’attenzione del governo fu rivolta ai proventi degli immensi latifondi, sui quali pesavano i
secolari diritti feudali dei casati nobiliari e le diffuse giurisdizioni ecclesiastiche.
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politici dello stato, l’amministrazione di governo istituì un nuovo organo,
la Segreteria per gli affari di Sardegna, le cui iniziative, attentamente vagliate dalla corte, estesero all’isola le riforme avviate nelle regioni padane,
con particolare attenzione ai settori agricolo e sociale4. Su tali presupposti, furono elaborate le prime misure tese ad incrementare il tasso demografico nelle aree a maggiore vocazione produttiva: lo sviluppo della regione non poteva prescindere da un’accorta politica insediativa, accompagnata dalla fondazione di nuovi centri urbani.
Furono tali progetti a segnare una svolta radicale nella cultura urbanistica del ducato sabaudo. Essi denotano il timido allineamento alla cultura scientifica e alle filosofie sociali settecentesche, atteggiamento inconsueto per l’apparato burocratico subalpino, sulla scia di teorie e modelli
di respiro internazionale, influenzati dalle sperimentazioni applicate in
Francia, Inghilterra e nei futuri Stati Uniti d’America.
I nuovi insediamenti sardi mirarono allo sviluppo di precisi settori produttivi: pesca del tonno, coltivazioni e allevamenti sperimentali, industrie
e miniere estrattive. Per circa settant’anni, fu un susseguirsi di progetti:
dal piano urbano di Carloforte5, nell’isola di san Pietro (1736), al borgo
gallurese di Longonsardo (1810), disegnato, in prima persona, dal monarca Vittorio Emanuele I, costretto in Sardegna dall’avanzata francese nelle
regioni subalpine.
Difficile valutare la portata e il successo dei nuovi insediamenti; se alcuni centri sopravvivono, tutt’ora, come piccoli borghi rurali, altri progetti
stimolarono discrete vocazioni produttive. I sette decenni di sperimentazioni consentono di ritenere tutt’altro che aleatorie le imprese urbane
attuate in Sardegna. Il rigore e il pragmatismo della burocrazia statale,
attenta a soppesare l’esito degli investimenti e a fornire dettagliati resoconti alla corte, non avrebbero avallato effimeri tentativi, non giustificati
da risultati confortanti.
La fondazione di Calasetta fu uno dei progetti urbani più interessanti
nel Regno di Sardegna; l’approccio adottato in sede di pianificazione denota la preparazione scientifica dell’apparato tecnico-statale, influenzata
dalle avanguardie culturali della seconda epoca moderna e dalla razionalizzazione del panorama accademico e professionale.
Fino ai primi decenni del ‘700, le linee urbanistiche della monarchia
sabauda reiterarono il modello cartesiano proposto, quasi due secoli prima, da Ascanio Vitozzi, autore del piano di ampliamento della nuova ca4 SCARAFFIA, 1987, pp. 8-23.
5 Per quanto concerne le vicende
urbanistiche di Carloforte, si rimanda a: B. VIRDIS, Bastioni e torri di Carloforte: contributi alla storia dell’architettura militare, Roma, 1954. G. VALLEBONA, Carloforte: storia di una colonizzazione 1738-1816, Genova, 1974. E. LUXORO, Tabarca e
tabarchini: cronaca e storia della colonizzazione di Carloforte, Cagliari, 1977.
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pitale: Torino. Date le pressanti esigenze militari, lo stato subalpino manifestò sostanziale indifferenza verso le avanguardie urbanistiche d’oltralpe, ispirate ai piani di espansione di Londra e Parigi, tesi a privilegiare le
problematiche sociali e a frenare lo sviluppo incontrollato delle città.
Secondo le nuove tendenze, i tessuti viari e le lottizzazioni, pur seguendo
schemi geometrici teorici, non potevano ignorare i limiti dettati dalle preesistenze, dall’orografia del territorio e dalle esigenze della cittadinanza6.
Quest’impostazione formale non mutò, nella sostanza, fino al XVIII secolo. L’espansione occidentale di Torino, sotto le direttive di Filippo Juvarra e della municipalità, tra i cui decurioni figurava l’ingegnere Gian
Giacomo Plantery, fu concepita con finalità e metodi analoghi al piano
cinquecentesco. Il tracciamento degli isolati rispettò la logica cartesiana
del Vitozzi, consolidata nel XVII secolo attraverso le espansioni delineate
da Carlo e Amedeo di Castellamonte7. Analoghi approcci caratterizzano
i progetti di ricostruzione siciliani, a cavallo tra ‘600 e ‘700, incentrati su
teorie e modelli rinascimentali, altrettanto sordi alle filosofie illuministe8.
Alla luce di queste considerazioni, la politica pianificatrice sabauda del
tardo ‘700 non può che essere accolta come una novità: in essa, si ravvisano gli albori di un rinnovato approccio alla pratica progettuale, dovuto
alla timida affermazione delle avanguardie illuministe. Lo fu fin dagli
esordi, nell’interessante progetto urbano di Carloforte: il primo dei centri
di fondazione promossi dal Regno di Sardegna. L’ingegnere Augusto de
La Vallea modellò un territorio vergine, disegnando un tessuto abitativo
regolare, privo di vincoli. L’ufficiale affrontò il tema con rinnovato spirito, non condizionato da preesistenze, teso ad ottimizzare il rapporto investimenti-benefici secondo modalità tecniche e scientifiche moderne. A
Carloforte e nei successivi progetti urbani sardi, il legame con Torino si
limitò alla riproposizione del tessuto viario cartesiano. Le politiche insediative privilegiarono i lotti agricoli con case isolate; le successive lottizzazioni a schiera, nate dall’intasamento delle proprietà originali, non rivelano alcun rapporto formale con le residenze signorili della capitale.
In quest’ottica, i progetti urbani sardi ebbero maggiore attinenza con gli
insediamenti settecenteschi spagnoli, non limitata al solo episodio di
nueva Tabarka, le cui affinità con i piani di Carloforte e Calasetta furono
rinsaldate dalle comuni vicende legate al riscatto degli abitanti. Nel 1767,
il monarca borbonico Carlo III promosse la fondazione di nove centri
colonici in Andalusia e Sierra Morena, accogliendo coloni provenienti da
6 A. CAVALLARI MURAT, 1968. A tal proposito, si osservi l’approccio, prettamente scientifico, adottato per i piani di ampliamento ottocenteschi di Torino. V. COMOLI (a cura di), Storia
dell’urbanistica, Piemonte/I, il “Piano d’ingrandimento della Capitale (Torino 1851-1852)”, Roma,
1987.
7 Ibidem.
8 S. TOBRINER, The genesis of Noto, Londra, 1982.
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diverse regioni germaniche, dal Levante iberico e dalla penisola italiana.
La vocazione agricola, la difficile attuazione dei progetti, lo spopolamento delle località interessate e le misure adottate in sede di pianificazione
rivelano profonde analogie con i piani di fondazione sardi9.
Sulla stessa linea programmatica, fu sviluppato il disegno urbano di
Calasetta, nella Sardegna meridionale, preceduto da alcuni infruttuosi
progetti nell’entroterra della regione, condizionati dall’isolamento, dalla
natura selvaggia dei luoghi prescelti e da problematiche di ordine religioso e sociale. Non raggiunsero il successo sperato i piani di fondazione
di Montresta, Coghinas e Oridda, del Cixerri e dell’isola dell’Asinara,
nonostante l’opera infaticabile degli ingegneri governativi chiamati a lunghe ed impegnative assistenze in territori inospitali10. Alle note difficoltà,
si aggiunsero ostacoli prevedibili, non ultimi gli episodi di intolleranza
etnica e religiosa verso le nuove popolazioni. Frequenti i dissapori con le
sparute comunità indigene, mal disposte a condividere i frutti delle loro
terre e a tollerare nuove forme di culto introdotte dall’esterno; le esenzioni fiscali promesse e riconosciute ai coloni incrementarono i rancori già
esacerbati11.
Quando, tra il 1770 e il 1771, fu elaborato il piano di Calasetta, l’apparato burocratico e tecnico del Regno di Sardegna aveva acquisito notevole esperienza nel campo della pianificazione urbana. Le problematiche
insediative furono affrontate con acume e competenza, influenzando l’esito positivo dell’impresa. Il passaggio di redini tra il defunto monarca
Carlo Emanuele III, fautore del progetto, e l’erede Vittorio Amedeo III, nel
1773, non determinò l’accantonamento del progetto, all’epoca in fase
avanzata dopo l’arrivo del primo nucleo di coloni; al contrario, fu rinvigorito da una seconda emigrazione dal Piemonte.
Il piano funse da apripista per nuove sperimentazioni in Sardegna e nei
territori d’oltremare: impossibile non includere, nello stesso fermento urbanistico, la fondazione di Carouge, oggi sobborgo ginevrino, strategicamente adagiato sulla riva sinistra dell’Arve12. Sorto con l’obiettivo di con9 F. AGUILAR PIÑAL, Pablo de Olavide, Utrera, 1989, pp. 16-19. B. DE QUIROS, Colonización y
Subversión en la Andalucía de los siglos XVIII-XIX, Siviglia, 1986. M. MARTI, Ville et campagne
dans l’Espagne des lumieres (1746-1808), saint Etienne, 1997. Si deve all’iniziativa alla monarchia spagnola la nascita dei borghi di: la Concepción de Almuradiel, Almuradiel, Arquillos,
Aldeaquemada, Montizón, las Correderas, Santa Elena, la Carolina, Guarromán, la real Carlota, san Sebastián de los Ballesteros, Fuentepalmera, la Luisiana y aldeas menores.
10 Per i progetti indicati, si consulti: A.S.Ca, r.s.s., II s., voll. 1287, 1288, 1289, 1290, 1291,
1292 (agricoltura, industria e commercio).
11 G. SALICE, L’invenzione della frontiera. Isole, stato e colonizzazione nel Mediterraneo del Settecento, in «Ammenta. Bollettino Storico Archivistico e Consolare del Mediterraneo», II, pp.
93-113, Villacidro (VS) 2012.
12 A. CORBOZ, Invention de Carouge, 1772-1792, Losanna, 1968. A. CORBOZ, Une ville piemontaise en Suisse, Carouge (1772-1792), in L. MONNIER (a cura di), Gèneve et l’Italie, etudes publiées a
l’ocasion du 50e anniversaire de la Sociète genevoise d’études italiennes, pp. 179-200, Geneve, 1969.
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trastare la prepotente ascesa economica della città svizzera, sulla quale si
concentrarono gli interessi della Francia, il borgo sabaudo costituì un importante avamposto tra le comunità valdesi, giunte numerose oltralpe per
sfuggire alla secolare persecuzione della monarchia savoiarda. Troppo
distante la realtà sarda dalla ricca e florida foce del Rodano per intavolare un confronto economico tra i due progetti. Tuttavia, analizzando i
modelli urbani adottati, è possibile rilevare non pochi tratti comuni.
L’iniziativa
Un progetto urbano di notevole portata economica e tecnica richiede,
oggi come allora, l’elaborazione di un programma condiviso tra diversi
attori. Non v’è dubbio che la fondazione di Calasetta fosse decisa e pianificata tra gli uffici di corte e una ristretta cerchia di funzionari governativi, in primis il burocrate Giovanni Lorenzo Bogino, responsabile, dal
1759, della Segreteria per gli affari di Sardegna. Nonostante lo stretto controllo della monarchia sabauda, la natura del progetto e la sua attuazione
richiesero il coinvolgimento di nuovi protagonisti, ad iniziare dalle autorità locali e dal corpo degli ingegneri governativi, del cui operato discuteremo a breve.
Intuendo le difficoltà dell’impresa, il governo istituì una commenda
sull’intera isola di sant’Antioco, a favore dell’ordine cavalleresco dei santi
Maurizio e Lazzaro; il 21 marzo 1758, il passaggio fu formalizzato con la
sottoscrizione di un atto di investitura13. L’accordo assicurò alla Sacra Religione i benefici derivanti dalle attività produttive: pesca, raccolti, commerci. Non fu un passaggio semplice; l’isola dipendeva formalmente dall’arcivescovado cagliaritano, in quanto, nel 1563, la curia del capoluogo
aveva incamerato i beni e i diritti sulle rendite della soppressa mitra di
Iglesias. Nel 1754, per altro, lo stesso capitolo di Cagliari intraprese una
vertenza civile nei confronti dello Stato, rifiutando di accogliere una comunità di greci e corsi nel borgo di sant’Antioco14. Fu il primo tentativo
di popolamento, non finalizzato alla fondazione di nuovi centri urbani,
bensì all’incremento demografico dell’antico borgo sulcitano. L’iniziativa
fallì per la strenua opposizione dell’arcivescovo cagliaritano, Giulio Cesare Gandolfi, preoccupato dalle potenziali conseguenze del progetto: il
13 A.S.Ca, r.s.s., II s., vol. 1291 (agricoltura, industrie e commercio – colonie), cc. 455-472.
L’accordo ottenne l’approvazione vaticana attraverso una bolla del pontefice Clemente XIII.
14 G. GUGLIOTTA, Problemi connessi al ripopolamento dell’isola di sant’Antioco, in «Bollettino
bibliografico e rassegna archivistica e di studi storici della Sardegna», anno XIV, quaderno
II, fascicolo n. 23, Cagliari, 1997, pp. 62-63. In precedenza, il capitolo aveva risolto a proprio
favore una causa civile nei confronti della municipalità di Iglesias, entrambi decisi a far valere i diritti di giurisdizione sull’isola di sant’Antioco. Analoghe pretese accamparono la Compagnia di Gesù e i frati conventuali di san Francesco.
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prelato intendeva preservare il valore simbolico del borgo e della sua parrocchiale, un tempo sede vescovile, eretta sul luogo di ritrovamento delle
reliquie di sant’Antioco, patrono della Sardegna15. Secondo Gandolfi, il
credo religioso dei nuovi abitanti avrebbe suscitato rancore e malumori
nella comunità indigena.
L’esito negativo della vertenza ostacolò non poco i piani della monarchia, per la quale le pretese giuridiche e patrimoniali della curia di Cagliari si rivelarono un ostacolo all’attuazione delle riforme nell’intera isola sulcitana. L’istituzione della commenda a favore dell’Ordine Mauriziano agevolò la risoluzione della diatriba; non senza un adeguato rimborso per l’arcivescovado cagliaritano, al quale, nella persona del nuovo
prelato Tommaso Ignazio Natta, fu intestata la giurisdizione sul feudo di
Santadi16.
Come indicato nell’atto di investitura della commenda, l’ordine mauriziano assicurò pieno appoggio alla fondazione di un centro urbano lungo
il litorale settentrionale dell’isola di Sant’Antioco, accollandosi l’onere
economico dell’impresa e il sostentamento iniziale dei coloni17. Difficile
valutare l’effettivo contributo dei cavalieri crociati, in quanto lo Stato non
delegò il controllo ultimo sull’isola: l’impegno sottoscritto fu un espediente necessario per accattivarsi il benestare del capitolo cagliaritano.
La partecipazione della Sacra Religione al progetto, non fu casuale.
Espressione dell’antica aristocrazia cavalleresca savoiarda, l’ordine militare riservò il supremo livello gerarchico allo stesso sovrano18. Indossare
l’abito crociato era una delle massime aspirazioni per la nobiltà piemontese poiché testimoniava il gradimento del monarca e l’appartenenza alle
cerchie più influenti della società. Dopo il 1720, i processi di investitura
furono estesi all’aristocrazia sarda, pratica favorita dal corpo governativo
operante nell’isola e dal commercio delle patenti di nobiltà19. Con tutta probabilità, i responsabili dell’Ordine Mauriziano erano ben noti alle autorità, sebbene, allo stato attuale, non sia noto un vero epistolario con la
corte. Di fatto, il coinvolgimento dei cavalieri garantì alla monarchia il
controllo indiretto sulle operazioni condotte nell’isola di Sant’Antioco.
L’istituzione della commenda fu un valido supporto alle iniziative del
governo, ad iniziare dalla pianificazione urbana di Calasetta. Come testi15 Nel XIII secolo, l’antica diocesi di Sulci (o Solci) fu trasferita a Tratalias. Una bolla del
pontefice Giulio II, del 26 novembre 1503, spostò la sede ad Iglesias; soppressa nel 1513, essa
fu unita all’arcidiocesi di Cagliari, fino al 1763, quando riacquistò la propria autonomia.
16 A. MANNO, Storia della Sardegna, vol. III, Milano, 1835, p. 305.
17 A.S.Ca, r. s. s., I s., vol. 180. A.S.Ca, r.s.s., II s., vol. 1291 (agricoltura, industria e commercio – colonie), cc. 92-107, 108-121.
18 V. PRUNAS TOLA, L’Ordine dei santi Maurizio e Lazzaro, Milano, 1966.
19 Per far fronte al dispendio economico indotto dalle riforme boginiane, la monarchia
riconobbe titoli nobiliari a ricchi borghesi e latifondisti, assicurandosi il finanziamento di infrastrutture pubbliche o la sperimentazione estensiva di nuove colture.
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moniano le fonti d’archivio, le fasi programmatiche furono dirette dai
funzionari di stato; alla Sacra Religione spettò l’assistenza durante le fasi di
tracciamento dell’abitato e, compito non secondario, il finanziamento del
progetto.
L’elaborazione del piano insediativo fu accompagnata da una consistente campagna di promozione. Non fu semplice individuare i nuclei di
coloni da coinvolgere nell’impresa: la Sardegna rappresentava una meta
poco ambita, in virtù dell’asprezza del territorio, afflitto dal clima malsano e dalle frequenti epidemie di malaria. Fu necessario incentivare l’arrivo di coloni attraverso assegnazioni gratuite di terre ed esenzioni fiscali.
Accanto alle iniziative di tenore propagandistico, fu intrapreso un dettagliato studio del territorio, al fine di individuare la posizione ideale per il
nuovo centro urbano. La scelta ricadde su Cala di Seda, insenatura adagiata lungo la costa settentrionale dell’isola, la quale avrebbe suggerito
l’appellativo Calasetta. Nel frattempo, fu individuato il primo nucleo di
132 coloni provenienti dalla Tunisia: un gruppo eterogeneo composto da
cittadini di Tunisi e Tabarka, discendenti da emigranti liguri giunti nel
litorale africano nel 1540 quando il beilicato concesse, alla famiglia
Lomellini, il possesso di un’isola prospiciente la città di Tabarka e i diritti sulla pesca del corallo, decretando, di fatto, un pericoloso avamposto
della Superba lungo la sponda tunisina.
Come spesso accade, gli eventi non sono analizzabili separatamente; un
complesso intreccio di vicende politiche ed economiche indirizzò le scelte delle autorità sarde. La storia racconta di una risorsa ormai esaurita, il
corallo tunisino, e della difficile convivenza con una popolazione straniera, i liguri appunto, mai integrata nella comunità indigena di Tabarka,
nonostante due secoli di insediamento nella riviera africana. Alla precaria
situazione, già di per se ostica, non giovò, certo, l’invasione del bey di Tunisi, Abu l’-Hasan ‘Alì e la prigionia inferta agli abitanti dallo stesso vassallo e dal dey di Algeri, Baba Mohammed, nel 1741. Il riscatto dei cristiani richiese intense trattative diplomatiche e lo sforzo congiunto della
Santa Sede, attraverso le iniziative vocazionali degli Ordini mercedario e
trinitario e dei governi europei, il che lascia intuire la dimensione internazionale del problema. La cattività non fu un incubo per i soli cristiani:
fin dal Medioevo, il soggiorno coatto di musulmani in terra d’Europa fu
una pratica diffusa, tanto da assicurare una crudele “merce di scambio” in
sede di riscatto20. Il Regno di Sardegna e la Corona di Spagna furono
parte attiva nella redenzione dei connazionali, data l’estensione rivierasca
dei due stati e gli interessi diplomatici in chiave mediterranea.
20 A. ROMANO, Schiavi siciliani e traffici monetari nel Mediterraneo del XVII secolo, in M.
MAFRICI (a cura di), Rapporti diplomatici e scambi commerciali nel Mediterraneo moderno, atti del
convegno, Università degli Studi di Salerno, Salerno, 2004, pp. 275-485.
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Considerando la cattività dei primi abitanti di Calasetta è inopportuno
parlare di campagne di propaganda; tuttavia, il governo sardo dovette incentivare, in qualche modo, l’arrivo dei coloni in Sardegna, onde scongiurarne il ritorno in Liguria o l’adesione all’omologo progetto di Nueva
Tabarka, intrapreso dal re di Spagna, Carlo III, nell’isola di san Pablo,
presso Alicante21. Uno scenario complesso, dunque, con profonde implicazioni politiche, religiose e sociali, difficilmente analizzabili su scala locale.
La fondazione di Calasetta rappresentò, in quel preciso momento, una
valida alternativa: la presenza di connazionali nel borgo di Carloforte,
con i quali sarebbe nato un insolito e curioso connubio tra isole e sponde
contrapposte, fu un esempio positivo da imitare. Altrettanto comprensibile la scelta di affidare il trasporto dei coloni verso Calasetta al capitano
Giovanni Porcile, già protagonista delle campagne di riscatto dei prigionieri carlofortini, contattato dal vicario reale in Sardegna, Vittorio Ludovico, conte di Hallot des Haies e di Dorzano.
Il 29 novembre 1767, i primi abitanti di Calasetta sottoscrissero un accordo formale a Torino con i rappresentanti governativi. L’iniziativa ebbe
il sostegno del des Hayes e dell’Ordine Mauriziano; l’armatore Porcile si
impegnò a condurre i tabarkini sulla nave Ancilla Domini. Il capitano
imbarcò 38 famiglie da Tunisi e Tabarka, fornendo vitto e alloggio durante il viaggio e la quarantena, in attesa di raggiungere Calasetta. La Sacra
Religione concesse i terreni per le dimore e le coltivazioni dei coloni, finanziò il reclutamento delle maestranze e impose reciproche assistenze
per la costruzione del borgo. Per alcuni anni, fu vietato l’abbandono del
nucleo urbano e dei terreni assegnati. Come promesso, gli abitanti beneficiarono di esenzioni fiscali, ad eccezione delle gabelle del sale e del
tabacco22.
Il primo gruppo di coloni raggiunse l’isola di Sant’Antioco il 3 ottobre
1770, dopo un periodo di quarantena a Marsiglia. Tale particolare, non
trascurabile, allude alla probabile cooperazione tra le monarchie europee,
nel cui ambito furono elaborati i progetti di pianificazione di Carloforte,
Calasetta e Nueva Tabarka.
Tra il 1773 e il 1774, si registrò l’arrivo di nuovi abitanti dal Piemonte, i
quali non riuscirono ad integrarsi con la primitiva comunità di tabarkini;
per alcuni l’esperienza fu traumatica, tanto da reclamare il repentino rimpatrio nelle terre d’origine.
Il progetto urbano di Calasetta attraversò inevitabili periodi di crisi, do21 P. GOURDIN, Tabarka (15-18 siècle): histoire et archéologie d’un préside espanol et d’un comptoir génois en terre africaine, Roma, 2008, pp. 473-488.
22 A.S.Ca, r.s.s., II s., vol. 1291 (agricoltura, industria e commercio – colonie), c. 268. J. SOLER CARNICER, Valencia pintoresca y tradicional, n. 2, Valencia, 2007, pp. 102-103.
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vuti alla siccità e all’asprezza del territorio: gli investimenti della commenda raggiunsero la ragguardevole cifra di 170.000 lire sarde. Il governo adottò una soluzione sperimentata in altre località della Sardegna: l’acquisto delle patenti di nobiltà. Fu lo stesso Giovanni Porcile ad assicurarsi la dignità comitale dietro il pagamento di 150.000 lire sarde, in seguito
ridotte a 100.000, e di un canone enfiteutico annuo di 3.000 lire. Insieme
all’ambito titolo nobiliare, il comandante ottenne l’autorità pubblica sulla
commenda e i diritti derivanti dall’estrazione del sale e dalla pesca, in
particolare delle tonnare; forse per assicurarsi il prudente controllo statale, la Sacra Religione mantenne la responsabilità giuridica sulla commenda23.
L’interesse manifestato dal Porcile allude ad un esito affatto fallimentare del progetto, nonostante gli investimenti mauriziani e le innegabili difficoltà, ad iniziare dai contenziosi giurisdizionali con la curia iglesiente. È
difficile interpretare in termini negativi un’esperienza urbana simile al
vicino insediamento carlofortino, la cui fondazione arrecò discreti benefici attraverso la pesca dei tonni e dei coralli.
Il piano
L’ubicazione del borgo di Calasetta fu attentamente studiata dai funzionari governativi: insieme all’insediamento “gemello” di Carloforte, oppose una strategica morsa al transito dei tonni lungo una delle corse privilegiate nel Mediterraneo. I significativi introiti economici, alla base del
progetto, lasciano supporre il controllo serrato della Corte, il cui parere
sulle materie di interesse statale fu sempre vincolante. Tale atteggiamento è testimoniato dalle puntuali indicazioni inviate ai funzionari governativi coinvolti nel progetto24.
Stabilita la posizione dell’insediamento, tutto era pronto per delineare i
connotati del centro urbano; compito improbo, data l’esigenza di armonizzare problematiche di varia natura: produzione agricola, misurazione
e livellamento dei terreni, tracciato dei profili stradali, controllo architettonico dell’abitato e realizzazione delle infrastrutture primarie. Tali esigenze delineano un quadro disciplinare in sintonia con la moderna evoluzione della pratica progettuale: massima espressione del razionalismo
illuminista, l’approccio scientifico e tecnologico fu uno strumento indispensabile per affermare i caratteri oggettivi della dimensione umana,
attraverso il progetto. L’urbanistica fu oggetto di profonda revisione critica: essa culminò nei primi decenni dell’800, con l’istituzione del genio
23 A.S.To, paesi, Sardegna, m. feud., feudi per A e B, m. 22, n.73. A.S.Ca, r.s.s., II s., vol.
1291 (agricoltura, industria e commercio – colonie), cc. 292-293.
24 A.S.Ca, r.s.s., I s., vol. 475, dispaccio del 25 luglio 1773, cc. 22-24.
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civile e l’inaugurazione delle scuole applicate di ponti e strade, ispirate
all’École nationale des ponts et chaussées, fiore all’occhiello della Francia napoleonica. Una nuova leva di progettisti si affermò nello scenario internazionale, non più votata all’immagine architettonica, quale espressione
epidermica del costruire, ma fautrice di una nuova estetica dettata dalla
padronanza tecnica della forma e dei materiali. Il progetto, in senso lato,
fu affrontato con spirito enciclopedico, fondendo, in un medesimo discorso logico-semantico, esperienze architettoniche, civili, industriali e, in alcuni casi, ambientali.
I giovani progettisti rivendicarono il debito culturale nei confronti della
realtà transalpina, già radicato nei territori sabaudi. L’ingegnere piemontese Pietro Belly, chiamato a dirigere il primo insediamento tabarkino a
Calasetta, manifestò tale impronta nelle consuete mansioni di servizio;
perfino nell’idioma francese, talvolta scelto per la compilazione delle relazioni, puntualmente inviate alla corte, è possibile scorgere un’affiliazione
culturale più solida dell’esperienza trascorsa nei giacimenti minerari della Sassonia25. Allievo di Filippo Nicolis di Robilant e degno esponente
della nuova leva di tecnici militari, l’ufficiale piemontese primeggiò nell’intraprendente compagine di ingegneri chimici, il cui arrivo in Sardegna, certamente non casuale, produsse risultati più che confortanti.
Impossibile valutare in termini negativi, l’operato dell’ufficiale e dei colleghi Giuseppe Domenico (?) Theseo, Giuseppe e Carlo Ugo e de Buttet26,
i quali costituirono il primo nucleo di responsabili del settore industriale
e minerario sardo. La corrispondenza cronologica tra l’arrivo dell’ingegner Belly e la nomina del burocrate Giovanni Battista Lorenzo Bogino
alla direzione della Segreteria per gli affari di Sardegna lascia supporre una
consequenzialità tra i due avvenimenti. Dal 1759, l’ufficiale affrontò con
impegno la gestione del comparto industriale ed estrattivo della regione,
settore cardine nel programma di riforme governative. Frequenti le note
di merito, testimoniate dalla repentina affermazione nel corpo militare
d’appartenenza: intrapreso l’importante incarico col grado di luogotenente, l’ingegnere sabaudo morì, da colonnello, nell’agosto del 179127.
Pietro Belly attese al progetto urbano di Calasetta in due fasi: al primo
25 M. CAVALLINI, Fortituitum & sordidum opus: appunti di storia della metallurgia, Giada, 2005.
26 L’arrivo del de Buttet in Sardegna, nel 1767, fu preceduto dagli elogi della Corte, la
quale vide in lui un [..] giovane di singolare talento, e capacità nelle matematiche, e specialmente
nella mecanica […]. L’ufficiale fu autore di un’interessante descrizione del patrimonio boschivo sardo. Nel 1778, un ufficiale col medesimo cognome, graduato nel corpo d’artiglieria,
analizzò le acque termali di Perrier in val d’Aosta. A.S.Ca, r.s.s., I s., vol. 45, dispaccio del 13
marzo 1767. E. BECCU, Tra cronaca e storia, le vicende del patrimonio boschivo della Sardegna, Roma, 2000, pp. 25-27.
27 A.S.Ca, r.s.s., I s., voll. 402, 403, 405. Alla moglie di Pietro Belly, Caterina, fu riconosciuta una pensione annua di 200 lire, quale riconoscimento per gli oltre trent’anni di carriera
svolta dall’ufficiale in Sardegna.
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incarico, tra il 1770 e il 1771, seguì un secondo soggiorno nell’isola di
Sant’Antioco nel 177328. In entrambe le occasioni, fu tracciato un insediamento per nuovi coloni. Il popolamento del borgo non si esaurì con l’arrivo dei primi tabarkini: allo sparuto nucleo originario, fece seguito un
secondo flusso emigratorio dal Piemonte. A differenza del primo approdo, favorito dalla prigionia patita all’ombra del beilicato tunisino, nel
secondo caso è ipotizzabile un’intensa campagna di propaganda, sul cui
successo incisero le esenzioni fiscali e la concessione gratuita di terre coltivabili. Benché siano ignoti i dettagli della vicenda, non si può escludere
la comune provenienza dei coloni piemontesi, al fine di favorire l’integrazione nei luoghi di destinazione.
La progressiva crescita di Calasetta è testimoniata da alcune tavole custodite presso gli Archivi di Stato di Cagliari e Torino. La prima, disegnata dall’ingegner Belly, raffigura il nucleo primitivo del borgo: due strade
ortogonali costituivano le assi portanti del futuro tessuto viario, corrispondenti alle attuali via Roma e via Guglielmo Marconi29. Su entrambi i
lati, giacevano i lotti, corredati di abitazione e superficie coltivabile. Parallele alle arterie principali, le vie secondarie erano dislocate nel versante meridionale del borgo. In direzione est-ovest, l’abitato si sarebbe sviluppato per una lunghezza di 120 trabucchi; in direzione nord-sud, 60; le
strade secondarie erano lunghe circa 36 trabucchi30. Pietro Belly indicò
trentanove proprietà, oltre a sei lotti in attesa di assegnazione. Il numero
delle residenze è compatibile con l’entità del primo gruppo di coloni:
l’Ancilla Domini del capitano Porcile, infatti, condusse nell’isola di
Sant’Antioco trentotto famiglie tabarkine.
Lo schema prescelto denota la centralità, urbanistica e semantica, riconosciuta alla piazza principale, intersezione tra i cardini viari, attorno alla
quale gravitavano la chiesa, con l’annessa casa parrocchiale, e la grande
cisterna idrica. Il magazzino per le provviste fu localizzato lungo il margine meridionale dell’insediamento. Emerge uno schema semplice e razionale, non ancora inquadrato in un programma urbano definito: una
matrice viaria modulare, su cui reiterare i successivi sviluppi del borgo.
Tale impianto costituì la soluzione più razionale per ottimizzare tempi e
costi d’insediamento, oltre a garantire l’efficienza delle infrastrutture, in
primo luogo l’approvvigionamento idrico.
Non è chiaro se, in questa fase, fosse noto il successivo arrivo dei coloni piemontesi; in tal caso, il piano di Pietro Belly funse da proposta di
28 A.S.Ca, r.s.s., I s., vol. 475, dispaccio del 25 luglio 1773, cc. 22-24. A.S.Ca, r.s.s., II s., voll.
1288, 1291 (agricoltura, industria e commercio – colonie).
29 A.S.Ca, r.s.s., II s., vol. 1291 (agricoltura, industria e commercio – colonie).
30 Il trabucco era l’unità di misura delle lunghezze, suddiviso in 6 piedi. In Piemonte, tali
misure corrispondevano, rispettivamente, a 3,082 metri e 0,516 metri. A. MARTINI, Manuale
di metrologia, Torino, 1883.
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massima, utile ad accogliere i primi abitanti di Calasetta, ma suscettibile
di molteplici variazioni. D’altra parte, il confronto tra la struttura attuale
del borgo e lo schema riprodotto nella planimetria dell’ingegnere sabaudo rivela notevoli discordanze. Il nucleo centrale dell’insediamento, corrispondente all’attuale piazza del municipio, avrebbe ospitato la chiesa
parrocchiale e la cisterna, in seguito destinate ad altri settori del borgo;
nessuna indicazione riguarda la sede municipale.
Fin dalla prima proposta del Belly, fu adottata la logica cartesiana dei
piani urbanistici sabaudi, tralasciando ulteriori affinità estetiche. Al di là
delle diverse entità insediative, chiaramente non paragonabili, la pianificazione di Calasetta acquisì un preciso indirizzo agricolo, evidenziato
dalle tipologie abitative prescelte, accompagnato da pressanti esigenze di
ordine militare, dovute al costante pericolo di incursioni piratesche. Almeno nelle fasi iniziali, non si trattò di una struttura urbana addensata,
con residenze a schiera; le unità abitative, quadrate, con lato pari a 2 trabucchi, furono ubicate negli angoli delle proprietà di pertinenza.
Se la declinazione agricola ebbe minimi riscontri nella tradizione urbanistica sabauda, notevoli furono le affinità con i piani di Nueva Tabarka e
Carloforte, quest’ultimo in fase di assestamento, dopo il trasferimento del
nucleo originale a valle. In entrambi i progetti, fu adottato un impianto
cartesiano, caratterizzato da un agglomerato sparuto di isolati regolari e
da un sistema di piazze quadrilatere. Voci rilevanti di spesa, le opere militari ebbero un peso considerevole nel connotare l’immagine dei nuovi
insediamenti. Ovunque, fu prevista la costruzione di cittadelle fortificate,
mura difensive e torri d’avvistamento: deputati al controllo delle coste e
ad arginare il temuto spauracchio piratesco, i fortilizi preservarono l’anima marina della popolazione, conferendo raro vigore espressivo e accenti pittoreschi alla scenografia urbana. Del tutto giustificato il reclutamento di esperti ingegneri militari: Fernando Mendes de Ras per Nueva
Tabarka, Augusto de la Vallée per Carloforte, ai quali si aggiunsero Pietro
Belly e Giovanni Francesco Daristo per la complessa pianificazione di
Calasetta. In taluni casi, le coincidenze tra i progetti sono sorprendenti: ad
esempio, a Nueva Tabarka e Carloforte, le cittadelle assunsero l’appellativo popolare “castelli”, mentre una delle piazze del borgo iberico fu intitolata a Carloforte; un legame significativo, se si considera la derivazione
del toponimo dal monarca sabaudo Carlo Emanuele III, fautore dei nuovi
insediamenti sardi e apparentemente estraneo alle vicende dell’isola alicantina. L’episodio richiama i destini incrociati delle campagne di riscatto, accomunate dall’accorta regia internazionale e religiosa, le cui vicende
rinnovarono la coesione tra ex-tabarkini. Sempre in terra iberica, sono
altrettanto evidenti le analogie formali con i piani di insediamento settecenteschi in Andalusia e Sierra Morena, sebbene la letteratura non forni288
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sca indicazioni sull’identità dei progettisti coinvolti, soffermandosi sulla
paternità reale dell’iniziativa e sull’abile regia del funzionario peruviano
Pablo de Olavide31.
Il concordato stipulato nel 1767 stabilì i primi regolamenti civici della
popolazione di Calasetta. Alla presenza di un podestà governativo, i coloni avrebbero eletto tre rappresentanti per le cariche di sindaco, primo e
secondo consigliere. Il mandato del primo cittadino era annuale, ereditato dal primo consigliere, il quale, a sua volta, cedeva la propria carica al
secondo, introducendo un repentino rinnovamento amministrativo. Le
autorità uscenti non potevano ricandidarsi prima di tre anni.
Il governo sardo incrementò la popolazione di Calasetta con nuovi
coloni provenienti dal Piemonte; per questo secondo contingente, è lecito
ipotizzare la propaganda delle autorità statali, sulla quale incise il successo del primo insediamento nonché la certezza delle esenzioni fiscali e
delle concessioni gratuite di terre coltivabili. La convivenza con i tabarkini non fu semplice, come denotano le perentorie richieste di reimpatrio
presentate da numerose famiglie, accolte solo in parte dal governo32.
L’arrivo di nuovi abitanti rese insufficiente il primitivo nucleo di Calasetta. Fu l’ingegnere sabaudo Giovanni Francesco Daristo, nel 1773, a predisporne il piano di ampliamento, reiterando la matrice viaria delineata
dal collega Pietro Belly. Custodita presso l’Archivio di Stato di Torino, la
planimetria di progetto illustra la nuova fisionomia del borgo; evidente lo
spostamento della parrocchiale verso meridione, in una seconda piazza
disposta lungo l’asse principale33. In seguito, l’ipotesi fu accantonata ubicando il santuario a valle, in prossimità del porto, nell’attuale piazza Gautier.
Una delle principali novità introdotte dal Daristo fu l’attenzione riservata alle strutture difensive. Lo stesso coinvolgimento dell’ingegnere, capitano d’artiglieria e responsabile del comparto edilizio sardo, non fu casuale. Nuove esigenze accompagnarono il secondo insediamento di coloni nell’isola sulcitana: le operazioni di tracciamento e la dotazione di
infrastrutture, brillantemente risolte da Pietro Belly, ormai non costituivano un ostacolo; non quanto il pericolo delle incursioni piratesche, attratte dal repentino incremento demografico. Data l’impossibilità di sovrintendere con continuità al progetto, il Daristo fu assistito dal solito
Pietro Belly, dall’ingegnere Carlo Emanuele Varin de la Marche e dal misuratore Giuseppe Viana34. La partecipazione di quest’ultimo al progetto
31 AGUILAR PIÑAL, 1989.
32 GUGLIOTTA, 1997, pp. 67-68.
33 A.S.To, paesi, Sardegna, m. feud., feudi per A e B, m. 22, n.73.
34 A.S.Ca, r.s.s., I s., vol. 298, dispacci del 4 marzo 1773, 3 settembre 1773, e 18 marzo 1774.
A.S.Ca, r.s.s., I s., vol. 475, dispaccio del 25 luglio 1773, cc. 22-24. A.S.Ca, r.s.s., II s., voll. 1288,
1291 (agricoltura, industria e commercio – colonie).
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di Calasetta fu un episodio non secondario, in quanto conferma il complesso intreccio tra le vicende urbanistiche sabaude del tardo ‘700. L’assistenza nell’isola di sant’Antioco fu un’utile esperienza per il Viana, coinvolto, in seguito, nell’equipe di progettisti impegnati nell’impresa pianificatrice di Carouge35.
La planimetria disegnata dal Daristo illustra il circuito di fortificazioni
attorno al borgo, intervallato da una sequenza di ridotti, distanziati di
circa sessanta trabucchi (180 metri). Interessante la presenza dei Residui di
antichissime fabbriche, a meridione del borgo, esterni alle mura. La preesistente torre difensiva, potenziata su indicazione dello stesso ingegnere
piemontese, chiuse il perimetro di mura ad occidente, nel rilievo più alto.
Dal fortilizio, tutt’ora esistente, fu possibile controllare il braccio di mare
antistante, inviando segnali ottici codificati alle guarnigioni di stanza a
Carloforte e Portoscuso. Confidando nella buona riuscita del progetto e
nell’arrivo di nuovi abitanti, l’ingegner Daristo non accostò le mura all’abitato, ma previde un opportuno spazio per future lottizzazioni, indicate
con la tinta chiara nel disegno. Con le scelte operate, il primitivo nucleo
di trentotto lotti fu portato a cinquantuno, ai quali si aggiunsero ventinove aree non ancora lottizzate, destinate alle accennate espansioni.
Come il precedente progetto del Belly, l’ampliamento delineato dal
Daristo conservò l’impronta cartesiana unicamente sul piano formale. Il
nuovo tessuto viario, ortogonale e regolare, ampliò il sistema di lottizzazioni tracciato con il primitivo nucleo. Con tutta probabilità, la vocazione
agricola del progetto fu consolidata dall’arrivo dei coloni piemontesi,
tanto da supporre minime variazioni alle tipologie architettoniche originarie. L’addensamento dell’abitato fu un fenomeno otto-novecentesco,
dettato da esigenze e criteri di espansione ancora da approfondire36. Le
aree cortilizie private furono occupate attraverso piani di ampliamento
delle abitazioni o da nuove unità immobiliari, le quali denotano profondi mutamenti nell’economia e nella vita sociale del borgo. Tale processo
conferì una nuova immagine al centro urbano, affine all’estetica marinara delle riviere africana e iberica; poche abitazioni furono rimodellate
secondo le avanguardie floreali in voga tra XIX e XX secolo, rispettando
il purismo cromatico del borgo. L’incremento demografico testimonia il
discreto successo del piano di Calasetta, le cui vicende funsero da terreno
di sperimentazione per successive iniziative urbane, come l’accennata
fondazione di Carouge.
35 A.S.To, paesi, duche de Savoy, cité et province de Carouge, paquet 3.me, n. 5. Per le
vicende fondative di Carouge, si rimanda a: A. CORBOZ, 1968. A. CORBOZ, 1969, p. 193.
36 Tra i contributi recenti, segnaliamo: L. ZANINI, L’abitare mediterraneo insulare tra modelli e
contaminazioni. Le città portuali di fondazione sabauda dei secoli XVIII e XIX in Sardegna, in «Il
Tesoro delle Città, Strenna dell’Associazione di Storia della Città», anno IV, Roma, 2006, pp.
471-480.
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Abbreviazioni
A.S.Ca, r.s.s., I s., vol., dispaccio del, cc. – Archivio di Stato di Cagliari, prima serie,
volume, data dispaccio, carte;
A.S.Ca, r.s.s., II s., vol. (cat.) - Archivio di Stato di Cagliari, seconda serie, volume,
categoria, carte;
A.S.To, paesi, Sardegna, m. feud., cat., m.. – Archivio di Stato di Torino, paesi, sardegna, materie feudali, categoria, mazzo.
Vista zenitale di la Carolina, nella regione iberica dell’Andalusia. Nel 1767, il re di Spagna
Carlo III adottò una politica di popolamento dei territori compresi tra la Sierra Morena e
l’Andalusia, al fine di contrastare il dilagante fenomeno del banditismo. I piani d’insediamento dei nuovi centri presentano forti analogie con il primitivo progetto di Calasetta.
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La piazza principale di Calasetta, intitolata all’ingegnere piemontese Pietro Belly, autore del
primo progetto urbano del borgo. La forma quadrilatera della piazza e l’intersezione con le
lunghe strade rettilinee, agli angoli e nel centro dei lati, allude all’estetica cartesiana dell’urbanistica torinese. In origine destinato alla parrocchia, il fronte settentrionale della piazza fu
occupato dal palazzo municipale.
La strada principale di Calasetta, lungo la
quale furono distribuite le abitazioni dei
primi abitanti tabarkini del borgo. La notevole differenza tipologica tra le case coloniche del progetto urbano originario e le schiere addensate odierne testimonia il cambio di
economia e di vocazione produttiva del centro urbano, sopraggiunto nel XIX secolo.
Particolare valore semantico e urbano riveste
la strada parallela alla principale, attraverso
la quale è possibile raggiungere la parrocchiale dei santi Maurizio e Lazzaro.
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