ATTRIBUZIONI, COMPITI E RESPONSABILITA` DEI DIRIGENTI
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ATTRIBUZIONI, COMPITI E RESPONSABILITA` DEI DIRIGENTI
ATTRIBUZIONI, COMPITI E RESPONSABILITA’ DEI DIRIGENTI SCOLASTICI RICHIAMATI DAL PREGRESSO ORDINAMENTO E/O AGGIUNTI EX NOVO NELLA LEGGE 13.7.2015 N. 107 Osservazioni preliminari Al fine di evidenziare le innovazioni introdotte in merito alle competenze del dirigente scolastico nella prospettiva di “rafforzamento” della funzione delineata dalla legge di riforma, è opportuno il richiamo alle norme vigenti che ne disciplinano attualmente l’esercizio. I cardini della funzione dirigenziale scolastica in quanto a ruolo, compiti e responsabilità discendenti dall’attuale assetto istituzionale e ordinamentale del sistema nazionale d’istruzione, sono rinvenibili nelle seguenti fonti: 1) fonti unilaterali consistenti in atti del Parlamento, del Governo e dell'Amministrazione; 2) fonti di natura contrattuale (o pattizia), sanciti nei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro e nei Contratti Integrativi a livello Nazionale e Regionale. Tra le prime vanno ricordate: a) l'art. 21, comma 16, della legge 15 marzo 1997, n. 59 ("Bassanini"); b) il D.L.vo 6 marzo 1998, n. 59 ora trasfuso nell’art. 25 del D.L.vo 30 marzo 2001, n. 165; c) le disposizioni residuali non abrogate dell'art. 396 del D.L.vo 16 aprile 1994, n. 297; d) la Legge 4 marzo 2009, n. 15 e il D.L.vo 27 ottobre 2009, n. 150 ("Brunetta"); Relativamente alla scuola dell’autonomia, giuridicamente sancita dallo stesso art. 21, il testo ordinamentale di riferimento è il Regolamento di attuazione adottato con d.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, più volte richiamato dalla legge di riforma. Le fonti contrattuali sono rinvenibili nell'ultimo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro della V Area Contrattuale - Dirigenti Scolastici, stipulato il 15 luglio 2010, relativo al quadriennio normativo 2006/2009 e ai due bienni economici 2006/2007 e 2008/2009 . A proposito delle fonti contrattuali, non possiamo esimerci dal segnalare – pur nel nostro più totale dissenso - la previsione contenuta nel comma 193 dell’art. 1 che sancisce l’inefficacia delle norme e delle procedure contenute nei contratti collettivi “…contrastanti con quanto previsto nella presente legge”. Da questa disposizione risulterà sicuramente travolto l’art. 20 del CCNL dell’Area V – Dirigenti Scolastici - che ha disciplinato le relative procedure valutative. Ciò con particolare riferimento al comma 92 dell’art. 1 che, in aperta violazione del d.P.R. 28 marzo 2013, n. 80 che ha dato concretamente avvio al Sistema Nazionale di Valutazione non solo delle scuole ma anche dei dirigenti scolastici, ha dettagliatamente declinato gli indicatori dei quali tener conto nella valutazione dei dirigenti stessi. Nell’allegata Scheda è riportata una essenziale ricognizione dei contenuti dell’art. 25 del D.L.vo 165/2001, più volte richiamato dalla legge di riforma, unitamente al d.P.R. 80/2013, come contesto normativo di riferimento, che ha completato e aggiornato il quadro del ruolo, dei compiti, delle prerogative e delle responsabilità del DS (allora direttore didattico/preside) definito dal D.L.vo 297/1994, sul quale è successivamente intervenuto il D.L.vo 150/2009, attuativo della Legge 15/2009 (“Brunetta”) *** Da questo quadro, ancorché sommariamente descritto, deriva il nostro convincimento che ruolo, compiti e responsabilità del dirigente scolastico, anche dopo le disposizioni “Brunetta” che – come si ricorderà - avevano giuridicamente rinforzato le prerogative “datoriali” del dirigente pubblico in materia di organizzazione del servizio e gestione del personale, con sostanziose integrazioni al www.cislscuola.it 1 D.L.vo 165/2001 (artt. 2, 5, 9, 40) - risultano abbastanza equilibrati e del tutto coerenti con l’impianto ordinamentale della scuola dell’autonomia conseguente alla relativa sanzione giuridica disposta dall’art. 21 della Legge 59/97 (“Bassanini”). L’autonomia (“funzionale”) riconosciuta alle istituzioni scolastiche - con il successivo avallo costituzionale operato dalla Legge Cost. 3/2001- non ne aveva manomesso l’originario impianto partecipativo, democratico e collegiale definito dalla Riforma del 1973/74 (recepita dal T.U. 297/94) e l’assetto di governance fondato, nella dialettica dei percorsi decisionali, sul contemperamento delle prerogative monocratiche con i “contrappesi” degli organi di partecipazione, dotati di competenze propositive, consultive e, su determinate materie, deliberative, come nel caso del Collegio Docenti sulla programmazione didattico-educativa e del Consiglio di Circolo/Istituto sugli indirizzi generali della vita e dell’attività della scuola, ivi comprese le scelte finanziarie. Stravolgere questo equilibrio, obiettivo perseguito soprattutto con l’originaria stesura del testo governativo del DDL, è stata un’operazione da noi giudicata pericolosissima in quanto espressione di una differenza radicale rispetto alle nostre idee di scuola e di dirigenza scolastica. Questa differenza si determina su ruoli e compiti del capo d’istituto e sull’esercizio di una funzione da “potenziare” o “rafforzare”, ma scaturisce da una diversa idea di scuola da cui discende una diversa idea di “potere”, correttamente da intendersi come l’insieme delle “potestas” derivanti dalla duplice fonte unilaterale (Ordinamento) e pattizia (Contratto). Per il governo e le sue proposte di legge è l’idea di un potere inteso come “comando”, mentre per noi il concetto è piuttosto quello di un potere di “governo”. Ciò vale per tutti gli aspetti della vita e dell’attività della scuola: dai percorsi decisionali alle relazioni sindacali, dall’esercizio della leadership educativa alle responsabilità derivanti dalla preposizione gerarchica, ivi inclusa quella disciplinare. Per noi si tratta di governare una comunità impegnata in un’impresa educativa, non certo dei “sudditi”. L’esercizio di una leadership condivisa è volto a far emergere le capacità degli altri, la loro forza nel trovare risposte e soluzioni ai problemi dell’organizzazione, in una sapiente miscela di partecipazione, sostegno e rispetto, così da sostenere l’autonomia e la crescita di ogni persona. Questo è, per noi, l’obiettivo autentico cui si rivolge il compito di “valorizzazione” del personale affidato dall’ordinamento alla dirigenza pubblica e, quindi, a quella scolastica! Vanno pertanto precisate le ragioni (con il previo responsabile discernimento delle “mistificazioni” mediatiche e delle “verità” ordinamentali) delle nostre perplessità e dell’esplicito rifiuto ai cosiddetti “super-poteri”, che paradossalmente inducono in realtà a una riduzione dei poteri e dell’autorevolezza dei capi d’istituto; noi vogliamo invece per essi il mantenimento di quelli previsti dal vigente ordinamento, come sommariamente esplicitati, ma più sostenuti da tutta una comunità e più orientati a far crescere le professionalità in essa operanti, quindi nella partecipazione e nelle condivisione, condizioni imprescindibili per l’innalzamento del livello qualitativo del servizio reso dalla scuola. A tal proposito giova un’ultima considerazione: nella redazione del maxiemendamento, approvato dal Senato, dispiegata nei 212 commi dell’art 1, più volte il soggetto delle disposizioni è individuato nelle “Istituzioni scolastiche” che: garantiscono…, predispongono…, individuano…, assicurano…, ecc. E’ evidente che le volontà di un ente/istituzione cui è stata riconosciuta la personalità giuridica (come nel caso delle scuole) si esprimono attraverso gli organi esponenziali che la costituiscono e la rappresentano; pertanto tutte le determinazioni assunte all’esito dei percorsi decisionali sulle materie ad esse demandate, acquisiscono pienezza giuridica di rilevanza interna ed esterna attraverso il dirigente scolastico – legale rappresentante - che ne determina l’esecutività. Conseguentemente, al di là dei compiti direttamente ed espressamente posti in capo alla responsabilità del dirigente scolastico, tutti gli atti imputati alle “istituzioni scolastiche”chiamano in www.cislscuola.it 2 causa le responsabilità delle quali egli sarà chiamato a rispondere sul piano amministrativo, civile e penale, ovviamente in aggiunta a quelle dirigenziali e disciplinari. Ciò si evince anche dall’affermazione contenuta nel comma 78, (sul quale torneremo in quanto disposizione di esordio specificatamente riferita alle prerogative dirigenziali) laddove si stabilisce che: “…omissis, il dirigente scolastico, nel rispetto delle competenze degli organi collegiali,…omissis,… garantisce un’ efficace ed efficiente gestione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche e materiali, nonché gli elementi comuni del sistema scolastico pubblico, assicurandone il buon andamento. omissis…” Un altro significativo indizio rispetto alla puntualità e al fiscalismo dei richiami al regime delle responsabilità dirigenziali è rinvenibile nel successivo comma 83 allorché, in riferimento alla possibilità del DS di individuare lo staff dei suoi collaboratori fino al 10% dell’organico dell’autonomia, si ammonisce che “Dall’attuazione delle disposizioni del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.” (Tradotto: prima delle “collaborazioni”, vengono le “supplenze”!). Tale monito deve ritenersi ancor più stringente giacché, come è noto, la legge è collegata alla manovra finanziaria, circostanza che ha consentito – pur nel rispetto dei Regolamenti parlamentari ma con grave pregiudizio delle responsabilità politiche del Governo nel chiedere il voto di fiducia - di bypassare al Senato il voto in VII Commissione e passare direttamente all’Aula. Detto questo, passiamo in rassegna alcuni punti chiave del provvedimento che integrano, modificano o incrementano le funzioni e i compiti del dirigente scolastico e le conseguenti dirette responsabilità: a) il DS e la “piena” attuazione dell’autonomia; b) il DS e la procedura di definizione del POF c) il DS e l’assegnazione d’incarico ai docenti dell’ambito territoriale ; d) il DS e la valorizzazione del merito del personale docente; e) il DS e la valutazione del periodo di formazione e di prova dei docenti neoimmessi in ruolo; f) il DS e la sua valutazione Il DS e la “piena” attuazione dell’autonomia Nei passaggi dalle Linee-Guida sulla “Buona Scuola” (3 settembre 2014), all’originario DDL governativo n. 2994, a seguito degli emendamenti della VII Commissione e di quelli licenziati in prima lettura dalla Camera dei Deputati (20 maggio 2015) fino al maxiemendamento approvato in seconda lettura dal Senato con voto di fiducia (25 giugno 2015), che di fatto costituisce il testo definitivo, una delle prioritarie finalità della “presente legge” è quella di dare “…piena attuazione all’autonomia delle istituzioni scolastiche di cui all’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, anche in relazione alla dotazione finanziaria”. (art. 1, comma 1) Al successivo comma 2, si afferma il principio pedagogico, che assume così esplicito fondamento ordinamentale, in base al quale “…la piena realizzazione del curricolo della scuola e il raggiungimento degli obiettivi di cui ai commi dal 5 al 36…omissis” “…sono perseguiti mediante le forme di flessibilità dell’autonomia didattica e organizzativa previste dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275…”omissis Al comma 4 si ammette che: “All’attuazione delle disposizioni di cui ai commi precedenti si provvede nei limiti della dotazione organica di cui al comma 201(cioè: posti comuni, posti di sostegno, posti per il potenziamento), nonché della dotazione organica di personale amministrativo, tecnico e ausiliario e delle risorse strumentali e finanziarie disponibili . Scompare, pertanto, dagli obiettivi espliciti della legge il rafforzamento delle funzioni del DS, originariamente fondato sul presupposto, riconosciuto quindi errato, che il mancato decollo dell’autonomia fosse imputabile alla mancanza di poteri dei DS, individuandone invece le vere cause nella mancanza di adeguate risorse finanziarie e umane. www.cislscuola.it 3 Il DS e la procedura di definizione del POF La procedura di definizione del POF dopo i vari passaggi, fino al testo del comma 14 del maxiemendamento, viene più volte modificata rispetto al testo originario (che ne affidava l’elaborazione al DS, relegando il Collegio Docenti e il Consiglio d’Istituto a un mero ruolo consultivo: “sentiti”…) disponendo la seguente nuova sostituzione dell’art. 3 del d.P.R. 275/99: “omissis …Il piano è elaborato dal Collegio dei Docenti sulla base degli indirizzi per le attività della scuola e delle scelte di gestione e di amministrazione definiti dal dirigente scolastico. Il piano è approvato dal consiglio d’istituto.” Viene così mantenuta al DS la doppia competenza sia sugli indirizzi (che un emendamento proposto dai Relatori alla VII Commissione del Senato, votato dalla Commissione stessa, tentava di espungere, a nostro giudizio correttamente, dal testo licenziato dalla Camera, invece confermata nel maxiemendamento del Senato) che sulla gestione, violando il principio presente nel vigente ordinamento (D.L.vo 165/2001), ripreso dal DDL “Madia” (Atto S. n 1577, licenziato dal Senato in prima lettura ed ora all’esame della Camera), in base al quale “indirizzo” e “gestione” devono risultare separati. Il DS promuove altresì i necessari rapporti con EE.LL. e le diverse realtà istituzionali del territorio e tiene conto delle proposte e dei pareri degli organismi e associazioni dei genitori e degli studenti. Sempre in relazione al POF, il DS (comma 18) individua il personale da assegnare ai posti dell’organico dell’autonomia (ma solo a partire dall’a.s. 2016/2017 ) “…con le modalità di cui ai commi da 79 a 83”, (illustrati nel successivo paragrafo). Il DS e l’assegnazione d’incarico ai docenti appartenenti all’ambito territoriale La farraginosa e contestatissima “chiamata diretta” (espressione in verità appartenuta più al linguaggio mediatico che all’effettivo lessico giuridico), dopo gli interventi emendativi della Camera, che ha sostituito – ad esempio - il termine “scelgono” con “individuano”, ha trovato un nuovo iter procedurale – che si attiverà a decorrere dall’anno scolastico 2016/2017 - nei commi da 79 a 83 dell’art. 1 della legge, così riassumibile: a) Il DS formula una proposta d’incarico, in coerenza con il POF, indirizzata esclusivamente ai docenti di ruolo assegnati all’ambito territoriale di riferimento (precedentemente denominato “Albo”), anche tenendo conto delle candidature presentate dai docenti medesimi; ciò fa presupporre la necessità di un “Avviso” che renda note le specificità professionali richieste a coloro che si candidano, condizione perché la procedura, il cui obiettivo teorico è quello dell’incrocio fattivo tra “domanda” (della scuola) e “offerta”( del docente) – o viceversa? - possa concretamente valorizzare “il curriculum, le esperienze e le competenze professionali”. A parte la fattibilità di questa operazione, è legittimo il dubbio della sua effettiva fungibilità didattica, dal momento che – per espressa volontà del Legislatore - deve essere garantita la prioritaria copertura sui posti comuni e di sostegno, vacanti e disponibili; b) l’incarico ha durata triennale ed è rinnovabile solo se permangono le condizioni di coerenza del profilo professionale del docente con il POF della scuola, anch’esso soggetto alla periodica revisione; si perfeziona (ma scompare il possibile svolgimento di un apposito colloquio che era stato introdotto da un emendamento della Camera) con l’accettazione esplicita da parte del docente il quale, in caso di più proposte (delle quali si ignora l’eventuale priorità cronologica di ricezione), “opta” (e l’uso dell’indicativo non ne rende certa l’obbligatorietà) tra quelle ricevute. Infatti, in caso di inerzia dei DS nell’individuazione dei docenti ai quali proporre l’incarico ovvero qualora un docente non abbia ricevuto o accettato alcuna proposta (anche se plurime), l’USR provvederà d’ufficio www.cislscuola.it 4 ad assegnarlo a una scuola. Da notare: solo in una di quelle comprese nell’ambito territoriale di appartenenza, o nell’intero territorio regionale, dato che è regionale la ripartizione degli organici da parte del MIUR? La materia viene comunque sottratta alla sua naturale sede contrattuale! Nel testo della legge è scomparso ogni accenno a eventuali proposte di incarico a docenti già in servizio in altre istituzioni scolastiche, che appariva sicuramente destinata ad alimentare la competitività tra le scuole e a creare una sorta di “cannibalismo professionale”, tendendo ovviamente ciascuna scuola ad assicurarsi i docenti migliori. Rimane nel testo di legge l’emendamento introdotto alla Camera e recepito dal Senato, che vieta al DS di proporre incarichi a parenti o affini entro il secondo grado (!), precisazione sicuramente incongrua in una norma di rango primario, ma che viene così ad avallare implicitamente la supposizione – da più parti sollevata, forse esageratamente di una possibile gestione nepotistico-clientelare di questa nuova competenza attribuita al DS. c) il dibattito parlamentare, nel ricorrente rischio di un’eccessiva discrezionalità del DS, ha via via posto alcune condizioni di salvaguardia, quali la pubblicazione nel sito internet dell’istituzione scolastica dei criteri adottati nel conferimento degli incarichi e dei curricula dei docenti, al fine di assicurarne la trasparenza e la pubblicità Cosicché viene da chiedersi: valeva proprio la pena mettere in piedi una procedura così macchinosa che, pur essendo stata “saggiamente” rinviata al 2016/2017, complicherà comunque l’ordinato e tempestivo inizio dell’anno scolastico, e della quale è assolutamente incerta l’utilità nella prospettiva di realizzazione della “Buona Scuola”? Il DS e la valorizzazione del merito del personale docente Ostinatamente, e al di fuori del percorso ordinamentale dell’avvio del Sistema Nazionale di Valutazione definito dal d.P.R. 80/2013, il Governo ha voluto inserire nella legge il principio di “valorizzazione” del ” merito” del personale docente, istituendo a tal fine presso il MIUR, a partire dal 2016, un apposito fondo di 200 milioni, da ripartire a livello territoriale e tra le istituzioni scolastiche in proporzione all’organico dei docenti e con alcuni criteri perequativi: complessità/aree a rischio educativo. Nell’originario testo del Governo la quota del bonus (in media 22/25 mila euro per ciascuna scuola) era assegnata dal dirigente scolastico, sentito il Consiglio di Istituto. Nei passaggi alla Camera (VII Commissione e Aula ) si era modificata la procedura di assegnazione chiamando in causa il Comitato di valutazione dei docenti (previsto dall’art. 11 del T.U. 297/74, ma così modificato: presieduto dal DS e costituito da due docenti e due genitori (nelle superiori da un genitore e uno studente), individuati dal Consiglio di istituto. Il Comitato avrebbe dovuto individuare i concreti criteri (dei quali i DS avrebbero dovuto tener conto), sulla base di “indicatori” che venivano dettagliati nel testo del DDL in tre distinte aree o tipologie: qualità dell’insegnamento, risultati ottenuti dagli alunni e nell’innovazione didattica, responsabilità nel coordinamento organizzativo e didattico. Dal dibattito alla Camera emergeva il proposito politico di attenuare, attraverso il riferimento esplicito ai criteri individuati dal Comitato, la discrezionalità del dirigente nell’assegnazione del bonus in quanto autority salariale; così come la presenza nel rinnovato Comitato della componente utenziale (genitori/studenti) avrebbe attenuato il rischio di autoreferenzialità nella gestione della premialità. Da osservare che il bonus, anche nel testo emendato, manteneva esplicitamente la natura di salario accessorio, (ancorché destinato ai soli docenti), materia che l’attuale sistema delle relazioni sindacali - così platealmente ignorato - affida alla disciplina contrattuale. Ma al Senato vengono introdotti nuovi cambiamenti: a) composizione del Comitato: confermata la Presidenza del DS; 3 docenti,dei quali 2 scelti dal Collegio docenti e 1 dal Consiglio d’Istituto: 2 genitori (nel secondo ciclo 1 genitore e 1 studente) scelti dal Consiglio d’Istituto; 1 componente esterno (ed è questa la novità da interpretare, presumibilmente, come contrappeso ai rischi www.cislscuola.it 5 dell’autoreferenzialità interna a ciascuna istituzione scolastica!) individuato dall’USR tra docenti, dirigenti scolastici e dirigenti tecnici; b) procedura: il DS assegna annualmente il bonus sulla base dei criteri individuati dal Comitato e sulla base di motivata valutazione. Da questa sottolineatura introdotta dal Senato (che evidentemente non escludeva l’ipotesi di una possibile valutazione “immotivata”!), si evince la sostanziale autonomia decisionale del DS nell’apprezzamento dei criteri individuati dal Comitato, ai fini dell’adozione del provvedimento di assegnazione del bonus all’esito di una “motivata valutazione” che – a nostro avviso - non potrà prescindere da un’equa ed equilibrata comparazione dei criteri individuati sulla base delle tre tipologie/aree di indicatori, senza sacrificarne alcuno, come ad esempio: il lavoro d’aula, inevitabilmente richiamato dalla prima parte della lettera a) che fa esplicito riferimento alla “qualità dell’insegnamento” da premiare attraverso la corresponsione di un beneficio di natura monetaria. E’ facile prevedere l’insorgenza di un’accentuata conflittualità, sempre in agguato nella gestione delle partite salariali, specialmente di natura accessoria. Tanto più allorché la valutazione fa in qualche modo riferimento all’attività didattica dei docenti, assoggettata ad una specifica tutela giuridica, di rango addirittura costituzionale, che ha – tra l’altro - motivato l’espunzione dai compiti del DS della responsabilità delle scelte didattiche e formative presente nell’originaria formulazione del DDL governativo. Le ragioni dell’intervenuta modifica sono probabilmente riconducibili alla dubbia costituzionalità (ex art. 33, comma 1 della Costituzione) e all’evidente incoerenza con il richiamato principio del rispetto delle competenze degli organi collegiali, in questo specifico caso del Collegio dei docenti. c) criteri: vengono ribadite, testualmente, le tre tipologie/aree di indicatori declinati dalla Camera per la loro individuazione: 1. qualità dell’insegnamento e contributo al miglioramento dell’istituzione scolastica nonché del successo scolastico e formativo; 2. risultati ottenuti dal docente o dal gruppo di docenti in relazione alle competenze degli alunni e dell’innovazione didattica e metodologica nonché della collaborazione alla ricerca didattica, alla documentazione e alla diffusione di buone pratiche; 3. responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico e nella formazione del personale ( evidente il riferimento di questo criterio allo staff e al tutor, destinatari designati all’ottenimento del beneficio). In un sussulto di tardivo ripensamento sui possibili rischi della relatività dei suddetti criteri e di proliferazione nelle scuole di diversificate prassi valutative adottate per il riconoscimento del merito dei docenti, il comma 130 del maxiemendamento (confermato quindi nel testo di legge) prevede la costituzione da parte del MIUR, “previo confronto con le parti sociali e le rappresentanze professionali” di un apposito Comitato (ai cui componenti non spetta alcun compenso o emolumento comunque denominato) per la predisposizione di LINEE GUIDA per la valutazione del merito del personale docente a livello nazionale. Tali linee guida verranno predisposte sulla base delle relazioni sui criteri adottati dalle scuole che gli Uffici scolastici regionali invieranno al MIUR al termine del triennio 2016/2018. Qualcuno, con una buona dose di ottimistica benevolenza, attribuisce alle norme sul merito il carattere di una “sperimentazione” triennale, nel tentativo di risolvere, sulla base delle evidenze che emergeranno dalle relazioni degli USR, l’antinomia tra l’esigenza di riconoscere e valorizzare l’autonomia delle istituzioni scolastiche e quella, comunque, di coerenza con gli indirizzi nazionali. A questo punto la domanda è: la valorizzazione del merito, introdotta dalla riforma, assorbe totalmente ed esaurisce l’obiettiva e riconosciuta necessità di avviare la valutazione del personale docente, al momento esclusa dal d.P.R. 80/2013? www.cislscuola.it 6 Per noi la questione è fortemente dubbia giacché, come si ricorderà, uno dei concetti-chiave del Rapporto finale sulle Linee Guida “La Buona Scuola” è la Valutazione, quale elemento cardine del paradigma: “autonomia – responsabilità - valutazione/rendicontazione” “Non c’è vera autonomia senza responsabilità, non c’è responsabilità senza valutazione”, così esordisce il Capitolo 3, ribadendo un’impostazione etica, culturale e istituzionale già assunta nell’originaria elaborazione delle norme Bassanini-Berlinguer (dpr 275/1999), con il forte sostegno della Presidenza del Consiglio (Prodi-Pajno). Già da allora era chiaro come, per arginare le prevedibili spinte centrifughe indotte dall’autonomia, fosse necessario far leva sulla responsabilità di tutti i soggetti preposti al governo della scuola e che ciascuna scuola, attraverso il POF, non solo dovesse rendere espliciti e trasparenti il contenuto e gli obiettivi della propria offerta formativa, ma dovesse anche riflettere sul suo operato per apportarvi eventuali integrazioni e correzioni. Il cammino verso la piena e generalizzata maturazione culturale e metabolizzazione professionale di questo impianto, ha finalmente trovato oggi un approdo ordinamentale (riconosciuto e assunto anche dal primo rapporto “Buona Scuola”) nel Decreto 80/2013, istitutivo del Sistema Nazionale di Valutazione, già attuato in via sperimentale da una platea ancora circoscritta di scuole, ma che dal “prossimo anno scolastico” troverà applicazione generalizzata in tutte le scuole pubbliche (anche attraverso la compilazione da parte di genitori e studenti di questionari anonimi sulla qualità dell’offerta formativa) con l’ottima precisazione: “statali e paritarie”. In effetti nel Rapporto “Buona Scuola”, pur richiamando il Decreto 80/2013, si sostiene che “occorre costruire un modello di valutazione che renda giustizia al percorso che ciascuna scuola intraprende per migliorarsi e allo stesso tempo costituisca un buono strumento di lettura per chi è esterno alla scuola”. Nonostante questo incoraggiante proposito, l’introduzione del bonus ha bypassato una discussione seria e responsabile sulla valutazione della performance del personale docente che lo stesso Brunetta si era trovato costretto ad affrontare nel contesto del D.L.vo 150/2009, prevedendo una specifica deroga al regime generale della “Misurazione, valutazione e trasparenza della performance” (Titolo II ) e “Merito e premi” (Titolo III). Infatti, tra le Norme finali (art. 74, comma 4) aveva rinviato ad un apposito DPCM la determinazione dei limiti e delle modalità di applicazione delle disposizioni dei Titoli II e III al personale docente della scuola e dell’AFAM, escludendo per tale personale la costituzione dell’Organismo indipendente di valutazione (CIVIT, successivamente trasformato in ANAC). In quel DPCM, adottato il 26 gennaio 2011, tra i principi generali si assume che la misurazione e la valutazione della performance del personale delle pubbliche amministrazioni sono volte al miglioramento della qualità dei servizi offerti dalle istituzioni, nonché alla crescita delle competenze professionali attraverso la valorizzazione del merito che per il personale della scuola debbono avvenire “…nel rispetto della libertà d’insegnamento e di ricerca riconosciuta dall’art. 33 della Costituzione e della libertà professionale prevista dall’art. 15 della Carta di Nizza, come recepita dal Trattato di Lisbona” Nel successivo art. 5 si fa espresso ulteriore rinvio ad un apposito provvedimento del MIUR con il quale individuare le fasi, i tempi, le modalità i soggetti e le responsabilità del processo di misurazione e valutazione della performance, nonché le modalità di monitoraggio e verifica dell’andamento della performance stessa. Le suddette disposizioni sono state però oggetto di un processo di progressiva “autoconsunzione”, sostituite dall’evoluzione legislativa da cui è scaturito il d.P.R. 80/2013 che, come precedentemente osservato, non riguarda il personale docente, per il quale le modalità di assegnazione del bonus previste dalla legge 107/2015 costituiscono un surrogato improprio, frettoloso e discutibile, per giunta decontestualizzato dal più generalizzato processo in atto della valutazione di sistema, che rischia così seriamente di essere rimesso totalmente in discussione. Il DS e il periodo di formazione e prova del personale docente neoimmesso in ruolo www.cislscuola.it 7 Il DDL di Riforma interviene anche in materia di superamento del periodo di formazione e di prova per il personale docente ed educativo, finora disciplinati dal D.L.vo 297/94 - artt. da 437 a 440 - che continuano ad applicarsi “…in quanto compatibili con i commi da 115 a 119 “, condizione peraltro non facilmente decifrabile. La procedura di superamento del periodo di formazione e di prova prevede: lo svolgimento del servizio effettivamente prestato per almeno 180 giorni, dei quali almeno 120 per le attività didattiche; la valutazione da parte del DS, sentito il Comitato per la valutazione del servizio, sulla base dell’istruttoria del docente tutor la reiterazione al successivo anno, non ulteriormente rinnovabile, in caso di valutazione negativa. Al fine dell’ espressione del proprio parere, la composizione del Comitato (come modificato dal comma 129, illustrato nel precedente paragrafo) subisce la seguente modifica: DS, che lo presiede, 3 docenti, di cui 2 scelti dal Collegio Docenti e 1 dal Consiglio d’Istituto e integrato dal tutor. Risultano, pertanto, esclusi la componente Genitori/genitore-studente e l’”esperto” designato dall’USR (che forse avrebbe avuto titolo a permanervi!). L’esclusione della componente utenziale, disposta da un apposito emendamento del Senato, è sicuramente ricollegabile al generalizzato dissenso per la presenza nel Comitato di soggetti non dotati, per ragioni di fatto e di diritto (oltre che di opportunità) delle necessarie competenze . Rispetto all’eventuale esito negativo della prova, della quale è stata riconsiderata la reiterabilità (ancorché non ulteriormente rinnovabile) originariamente non prevista dal testo governativo presentato alla Camera) è da ritenersi “compatibile” l’art. 439 del D.L.vo 297/94 nella parte in cui dispone la dispensa dal servizio ovvero la restituzione al ruolo di provenienza. Naturalmente, a seguito del trasferimento alle istituzioni scolastiche autonome di competenze amministrative precedentemente attribuite ad altri Organi dell’Amministrazione, sia la proroga di un anno, sia la dispensa, che la restituzione al ruolo di provenienza sono disposte dal DS. Il nuovo impianto ordinamentale, nonostante il rinvio agli art. da 437 a 440 Testo Unico 297/94 – in quanto compatibili - presenta alcune ambiguità sia testuali che interpretative. Infatti, mentre il comma 5 dell’art. 438 prevede la proroga del periodo di prova in caso di mancata prestazione dei 180 giorni di effettivo servizio, il comma 119 del maxiemendamento dispone la proroga solo in caso di “valutazione negativa”, che sembrerebbe ricomprendere la mancata prestazione dei canonici 180 giorni, di cui almeno 120 in attività didattiche. Cosa avviene allora di un “bravo docente” che, per ragioni o impedimenti estranei alla sua volontà, non raggiunge quei limiti temporali? In questo caso nei suoi confronti non può essere certamente decretato un giudizio tecnico di “valutazione negativa”; allora cosa si fa? Anche in questo caso, competenza e responsabilità appartengono al DS. E ancora: se quelle stesse ragioni o impedimenti permangono per un altro anno, è giusto procedere alla dispensa (o alla restituzione al ruolo di provenienza)? Un altro dubbio riguarda la compatibilità o meno della disposizione contenuta nel comma 4 dell’art. 440 che prevede, ai fini della conferma in ruolo, al termine dell’anno di formazione, la discussione con il Comitato di una relazione sulle esperienze e sulle attività svolte. Nella legge 107 non se ne parla (o meglio: la relazione, in base alla quale il DS decide, è redatta dal tutor ). Quindi dovremmo darla per esclusa, mentre appare un momento importante perché il Comitato possa esprimere consapevolmente un parere anche alla luce della versione che il docente in prova avrebbe così modo di fornire della sua esperienza professionale. www.cislscuola.it 8 Diventa allora importante il comma 118 che affida al MIUR l’individuazione, attraverso un proprio Decreto, degli obiettivi, delle modalità di valutazione del grado di raggiungimento degli stessi, delle attività formative e dei criteri per la valutazione del personale in prova. A parte la sua natura unilaterale (il periodo di prova è ancora materia pattizia, principio però – Brunetta docet - destinato inesorabilmente a soccombere di fronte all’imperatività della Legge e alla sua inderogabilità da parte del Contratto), questo Decreto potrebbe essere lo strumento anche per dirimere questioni interpretative in sede di applicazione della norma. Il DS e la sua valutazione Di questa materia ci siamo più volte occupati sia nella Scheda allegata, sia nel paragrafo relativo alla Valorizzazione del merito del personale docente. Ora ne facciamo più diretto riferimento alle disposizioni contenute nei commi 93 e 94, che riorganizzano le preesistenti versioni su questa materia via via mantenute, modificate o integrate dagli emendamenti approvati nel corso dell’iter di discussione parlamentare. Il richiamo preliminare all’art. 25, comma 1, del D.L.vo 165/2001 è del tutto formale giacché la vera innovazione ordinamentale sulla procedura valutativa è rappresentata dalla declaratoria degli indicatori e dei criteri dei quali occorrerà tener conto. Per quanto riguarda l’individuazione degli indicatori, il riferimento basilare è “il contributo del dirigente al perseguimento dei risultati per il miglioramento del servizio scolastico previsti nel rapporto di autovalutazione ai sensi del Regolamento di cui al d.P.R. 80/2013”: considerando evidentemente parziale tale riferimento, nel maxiemendamento del Senato (e quindi nel testo definitivo della legge) è stato aggiunto il principio di coerenza con il D.L.vo 150/2009 (“Brunetta”) che riproietta di fatto la valutazione dei dirigenti scolastici sul terreno della premialità e del merito (di cui il d.P.R. 80/2013 non fa cenno), senza peraltro alcuna salvaguardia della specificità delle loro funzioni rispetto alla generalità della dirigenza pubblica, che non ha certamente a che fare con un settore caratterizzato dalla presenza di OO.CC. dotati di competenze consultive, propositive e deliberanti e con un personale docente garantito sul piano della libertà d’insegnamento e dell’autonomia professionale. Noi continuiamo a sostenere, pertanto, che gli indicatori dovranno esclusivamente riferirsi alle “… aree di miglioramento organizzativo e gestionale delle istituzioni scolastiche direttamente riconducibili al dirigente scolastico… secondo quanto previsto dall’art. 25 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e dal contratto collettivo di lavoro”. Per quanto riguarda i “criteri generali” dai quali desumere gli indicatori per la valutazione dei dirigenti scolastici, questi sono raggruppati in 5 tipologie, all’interno delle quali alcuni sono obiettivamente pertinenti al ruolo, ai compiti e alle responsabilità istituzionali e professionali del DS, altri invece risultano difficilmente imputabili – se non in via molto indiretta - al DS stesso. Tra i primi sono sicuramente annoverabili: 1) le competenze gestionali ed organizzative finalizzate al raggiungimento dei risultati; 2) la correttezza, trasparenza, efficienza ed efficacia dell'azione dirigenziale, in relazione agli obiettivi assegnati nell'incarico triennale; 3) il contributo al miglioramento del successo formativo e scolastico degli studenti e dei processi organizzativi ( ma non “didattici”, che secondo noi rimangono di stretta competenza della funzione docente), nell'ambito dei sistemi di autovalutazione, valutazione e rendicontazione sociale; 4) la direzione unitaria della scuola, promozione della partecipazione e della collaborazione tra le diverse componenti della comunità scolastica, dei rapporti con il contesto sociale e nella rete di scuole. Desta perplessità “l’apprezzamento del proprio operato all'interno della comunità professionale e www.cislscuola.it 9 sociale”, che fa riferimento ad un criterio reputazionale che potrebbe condizionare l’esercizio dell’attività dirigenziale soprattutto nel rapporto con il personale, gli studenti, e i genitori. Ciò che infine va assolutamente respinto è “la valorizzazione dell'impegno e dei meriti professionali del personale dell'istituto, sotto il profilo individuale e negli ambiti collegiali” in quanto questo criterio si collega tanto strumentalmente quanto impropriamente al compito del dirigente di valutare la qualità dell’insegnamento di tutti i docenti, azione necessaria – secondo la legge 107 - per individuare quelli ai quali assegnare il premio in denaro. E’ improponibile l’ipotesi di valutare il dirigente scolastico anche sulla base di un’azione a sua volta valutativa, che in realtà gli è impedita – o comunque resa problematica e delicata - da precisi vincoli ordinamentali. Infatti, mentre è agevole contestare comportamenti viziati da carenze e/o inadempienze e/o violazioni degli obblighi contrattuali, così come è agevole riconoscere impegni aggiuntivi sul piano dell’organizzazione, del coordinamento e della formazione, altrettanto non si può dire sul piano della didattica, che esige il possesso di competenze che il dirigente scolastico potrebbe non possedere. E’ pertanto auspicabile che il Nucleo di Valutazione, la cui costituzione è disciplinata dal comma 94, sia pienamente consapevole di ciò e sappia responsabilmente discernere tra i criteri offerti dal Legislatore quelli da assumere a riferimento per la scelta degli indicatori sui quali basare la valutazione del DS, considerata un’esigenza indifferibile, alla quale è connessa la retribuzione di risultato. Data l’endemica carenza di dirigenti tecnici (anche rispetto all’attuale consistenza organica di 191 dirigenti tecnici di seconda fascia definita dal vigente Regolamento di organizzazione del MIUR), la legge prevede il ricorso all’attribuzione di incarichi temporanei (per il triennio 2016/2018) di livello dirigenziale non generale, di durata non superiore a tre anni, per l’espletamento di funzioni ispettive legate alla valutazione delle scuole e dei DS. Si provvederà a ciò utilizzando i commi 5-bis e 6 dell’art. 19 del D.L.vo 165/2001, anche in deroga alle percentuali ivi previste. L’operazione sarà finanziata da una spesa autorizzata entro il limite massimo di 7 milioni di euro, che consentirà, secondo la Relazione tecnica, la promozione sul campo di 48 Ispettori, impiegati per la valutazione dei DS, senza Concorso, ma per meriti…politici. Non c’è che dire: la valutazione dei dirigenti scolastici, tanto attesa e tanto necessaria, nasce sotto “ottimi” auspici come, del resto, tutta la “Buona (?) Scuola”. www.cislscuola.it 10