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Desidero esprimere la mia gratitudine ai membri della giuria che

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Desidero esprimere la mia gratitudine ai membri della giuria che
GIANPAOLO TONINI
TRADURRE SENZA ITALIANIZZARE
Desidero esprimere la mia gratitudine ai membri della giuria che
hanno ritenuto le mie traduzioni dei “Poeti brasiliani contemporanei” meritevoli di ricevere il Premio Leone Traverso opera prima e a
tutti coloro che, in vario modo, hanno dato il loro sostegno e reso
possibile la realizzazione di questa giornata. Al pubblico, la cui
insostituibile presenza rende viva e significativa questa cerimonia,
un grazie particolare. Desidero anche dire che mi ritengo onorato di
ricevere un premio che porta il nome di Leone Traverso, straordinaria figura di mediatore culturale tra il mondo di lingua tedesca e
l’Italia, nonché uno dei massimi traduttori di poesia da quella lingua. Non posso non ricordare le sue traduzioni di Hölderlin, di Rilke,
e in particolare le stupende e insuperate traduzioni di George, recentemente ristampate a Firenze unitamente al suo saggio introduttivo sul poeta tedesco.
Ringrazio l’amico Silvio Castro per i preziosi consigli, egli stesso
poeta, ideatore e direttore della collana “Quaderni Internazionali di
Poesia” iniziata proprio con questo libro di cui è curatore. Un grazie anche al Centro Internazionale della Grafica di Venezia, nella
persona del dott. Gosparini, per la veste editoriale data al volume,
veste che ancora una volta dimostra l’alta tradizione del Centro.
Vorrei solo dire qualche parola sui testi tradotti: sono 113 poesie
di 17 poeti brasiliani contemporanei appartenenti alla Generazione
del ’56 perché attorno a questa data hanno pubblicato i loro primi
libri o perché partecipano delle norme estetiche e dei principi generali di quella generazione. Si tratta di una scelta dunque, perché, in
realtà, alla Generazione del ’56 appartengono molti altri poeti che,
assieme a questi 17, danno vita a un momento particolarmente espressivo della poesia brasiliana contemporanea.
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Il loro principio fondamentale è quello della “libertà assoluta
della creazione poetica”: si sentono liberi dall’obbligo dell’uso dei
mezzi retorici più tradizionali, pur non rinunciando al lirismo e al
rigore espressivo della migliore tradizione poetica nazionale e non.
È una generazione che predilige il verso libero ma non disdegna né
teme rime, ritmi, sistemi strofici, nemmeno i più impegnativi come
il sonetto.
Sono poeti animati da uno spirito di sintesi, che fanno proprie,
spesso armonizzandole, molte delle istanze e delle proposte delle
generazioni anteriori (da quelle di assoluta avanguardia della prima generazione modernista del ’22 – in modo particolare - a quelle
di sofferto ripensamento critico della generazione del ’45) elaborandole, naturalmente, in modo consono al loro tempo e assumendo, quindi, nuovi e diversi atteggiamenti storico-culturali e politici.
Tali atteggiamenti permettono di individuare, come ha messo in
evidenza Sílvio Castro, alcune linee o tendenze principali all’interno della loro produzione poetica, linee variamente intersecanti, tendenze differentemente presenti in ogni singolo poeta. Esse sono lo
sperimentalismo, la ricerca della parola contenente l’essenza permanente della realtà, l’imagismo, l’impegno sociale e politico.
Si tratta di una poesia caratterizzata da grande ricchezza espressiva, da originalità semantica, da innovazione che spesso sconfina
nella trasgressione e nella rivoluzione, da inusitata complessità strutturale. L’itinerario poetico, ideologico e culturale di questi poeti,
culmina nella ricerca intensa di una nuova forma linguistica in cui
fortissimo è il potere evocativo delle immagini, delle sensazioni,
che spesso hanno la meglio sulla normativa, sull’austerità della ragione. Fondamentale, in questo senso, è la ricerca della parola, tramite la quale realizzano la magia di scendere fino al fondo dei significati essenziali permanenti della realtà, nonostante vengano immersi, spesso, in un’atmosfera fluida, a volte rarefatta, spesso ironica. Una poesia che affascina, ma di non facile lettura, e che facilmente, invece, lascia presagire quali possano essere le difficoltà che
essa presenta a chi la voglia tradurre.
Mi limiterò, quindi, a pochi cenni essenziali per mettere in evidenza le particolari difficoltà di questo genere di poesia e per chiarire le scelte e i criteri traduttivi da me adottati.
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Cercare di mantenere nella traduzione lo stesso tenore estetico
ed emozionale del testo originale, senza causare ambiguità o, cosa
ancora più difficile, conservandole se presenti nell’originale stesso;
tentare di trasportare nella lingua italiana l’elaborata spontaneità, la
concisione enciclopedica, lo spirito giovane e nuovo, trasgressivo
ma pur memore della tradizione di questi versi; di conservarne gli
stessi silenzi. Queste sono state le maggiori difficoltà che ho trovato.
Tradurre, insomma, senza italianizzare, quando proprio la difficoltà
specifica del linguaggio poetico italiano è quella di piegarsi, di adattarsi per ottenere spontaneità e naturalezza d’espressione.
Ungaretti che visse in Brasile e tradusse poesia brasiliana, affermava che l’italiano è una lingua che non si adatta facilmente “è facile – diceva – rendersi conto che l’italiano, con tanti secoli d’autorità
che si porta addosso, non è d’agevole accomodatura. Ha un carattere che gli vieta d’adattarsi alle novità, ma non di piegarle a sé”. L’italiano, insomma, essendo tanto legato alla propria tradizione poetica
e letteraria, acquista perciò stesso un carattere difficile: una difficoltà che dipende dall’eccesso e non dalla scarsezza di tradizione. Ed è
proprio questa tradizione che spesso induce il traduttore ad alterare
profondamente il testo originale sentendosi in obbligo da un lato di
procedere a un totale adattamento e dall’altro di mostrare le sue
capacità creative.
Da parte mia, solo posso dire di essere convinto che chi traduce
poesia (sottolineo traduce, e non ricrea o imita) debba essere sì creativo per cercare di risolvere nel migliore dei modi le difficoltà che
gli si presentano, ma mai creatore (come, ad esempio, finì per essere
lo stesso Ungaretti traducendo Carlos Drummond de Andrade),
perché chi traduce deve essere sempre consapevole che esiste una
volontà che è anteriore e superiore alla sua, quella dell’autore.
È necessario, credo, cercare di giungere a un’intima e massima
identificazione con quella volontà coinvolgendosi emozionalmente
con il testo, superando così la prima ed essenziale tappa del processo traduttivo. Questa, chiamiamola, sensibilità al testo permetterà
da un lato di interpretarlo e dall’altro di operare le scelte traduttive
a seconda della propria percezione delle necessità tanto di forma
quanto di sostanza dell’espressione. Ma pur sempre si tratta di una
sensibilità diversa in ogni traduttore e diversa da quella dell’autore.
Ne deriva che ogni traduzione riflette la lettura, le interpretazioni e
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anche la scelta dei criteri individuali del traduttore, criteri che sono
determinati dal concetto di funzione della traduzione e del testo originale. È quindi evidente che non può esserci un unico modo corretto di tradurre una poesia, come non c’è un unico modo giusto di
comporne una. Mi piace sempre ricordare, a questo proposito, un’affermazione proprio di Leone Traverso: “l’originale di una poesia
contiene in sé tutte le traduzioni possibili”, e la mia è una delle tante
possibili traduzioni.
Il concetto di funzione della traduzione, nel mio caso, è chiarito
dalla stessa struttura di questo volume: un’edizione bilingue. È evidente che in questo contesto la traduzione deve adempiere a una
funzione conoscitiva, di guida, deve innanzitutto e soprattutto permettere di leggere in italiano il portoghese originale. La presenza
del testo in lingua originale fa capire che la traduzione, anche se ha
una sua autonomia, non deve essere considerata un punto d’arrivo,
ma un ponte lanciato verso il testo in portoghese. Ho voluto, insomma, portare più il lettore verso l’originale che piegare l’originale al
lettore. Facilitato dall’affinità delle due lingue, ho cercato di mantenermi aderente non solo al contenuto, ma anche alla forma degli
originali tentando di restituire correttamente il valore fonico e il contenuto semantico presenti nell’originale stesso. Mantenendo, insomma, e per quanto mi è stato possibile, la specificità del messaggio
d’origine in tutti i suoi aspetti, anche a costo di forzare la mia visione
delle cose, tentando di adeguare la mia esperienza del reale a quella
dell’altro.
Il ricorso a trasposizioni, modulazioni, equivalenze, adattamenti
e ad altri procedimenti traduttivi è stato, a volte, inevitabile. Com’è
noto, ogni lingua è un ampio paradigma che non potrà mai coincidere esattamente con quello di un’altra lingua e questo vale anche
per le lingue affini. Anzi, nel caso di lingue affini, gli aspetti denotativi e connotativi estremamente prossimi costituiscono spesso delle
insidie micidiali per il traduttore che, anche in assenza di tali insidie,
corre sempre il rischio di discostarsi dall’originale per timore di essere accusato di aver prodotto una semplice traduzione letterale, un
calco colossale, con il risultato di allontanarsi inutilmente dal testo
originale.
Quindi, e termino, traduzione come guida, come ponte lanciato
verso il testo in portoghese, come stimolo al lettore di attraversarlo,
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di entrare personalmente in un universo culturale diverso, di realizzare un viaggio all’interno di una parte così significativa e rappresentativa della produzione poetica brasiliana contemporanea, di compiere un’esplorazione in quello che Adriano Espínola, uno dei poeti
presenti nell’antologia, definisce “áspera linguagem em que viajamos
sedentos de tradução” (aspro linguaggio in cui viaggiamo assetati di
traduzione). Grazie.
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