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Tesi Patrick Piras - Ospedale di Udine

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Tesi Patrick Piras - Ospedale di Udine
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI UDINE
FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di Laurea in Infermieristica
Tesi di Laurea
PREVENZIONE E TRATTAMENTO DELLA SETE
NEL PAZIENTE CON SCOMPENSO CARDIACO:
CONFRONTO DI DUE STRATEGIE
NELL'ASSUNZIONE DOMICILIARE DI LIQUIDI
Relatore
Laureando
Stefano Fabris
Patrick Piras
Correlatore
Silvia Forabosco
___________________________________________
Anno Accademico 2011-12
1
2
Indice
CAPITOLO 1 Epidemiologia e rilevanza
3
CAPITOLO 2 Revisione letteratura
6
2.1 Restrizione idrica
6
2.2 Sete
8
2.3 Strategie
15
CAPITOLO 3 Materiali e metodi
3.1 Obiettivo
17
3.2 Materiali e metodi
17
CAPITOLO 4 Risultati
25
4.1 Risultati questionario ambulatoriale
26
4.2 Risultati intervista telefonica: prima settimana modello A
28
4.3 Risultati intervista telefonica: seconda settimana modello A
29
4.4 Risultati intervista telefonica: prima settimana modello B
30
4.5 Risultati intervista telefonica: seconda settimana modello B
30
CAPITOLO 5 Discussione
32
CAPITOLO 6 Conclusioni
35
6.1 Limiti
35
6.2 Sintesi
35
6.3 Indicazioni per la pratica
36
BIBLIOGRAFIA
38
SITOGRAFIA
42
3
ALLEGATI
43
Allegato 1
44
Allegato 2
46
Allegato 3
48
4
CAPITOLO 1: Epidemiologia e rilevanza
Lo scompenso cardiaco (SC) è definito, clinicamente, come una sindrome caratterizzata da
segni (es. elevata pressione venosa centrale, crepitii polmonari) e sintomi (es. dispnea,
astenia, edemi declivi) dovuti ad un'anormalità della struttura e della funzione cardiaca
(McMurray et al., 2012). Si distingue per un'elevata mortalità, frequente ospedalizzazione,
ridotta qualità della vita e molteplici comorbidità, tanto da non essere considerata da molti
una malattia per se, ma piuttosto un punto di arrivo comune di molteplici disordini
cardiocircolatori. Secondo la stessa fonte, lo SC colpisce circa il 2% della popolazione nei
paesi economicamente sviluppati, con una prevalenza superiore al 10% tra le persone con
età superiore ai 70 anni.
Si stima che siano circa 23 milioni i pazienti affetti in tutto il mondo e la sua prevalenza tra
la popolazione anziana, insieme all'incremento dell'età media, fa si che il numero delle
persone affette sia in constante crescita (Khatibzadeh et al., 2012). Come risultato, la
gestione della malattia comporta un sistema di valutazione multidisciplinare e
multidimensionale e un regime terapeutico complesso (HFSA group, 2010): dalle linee
guida emerge come le conoscenze riguardanti la fisiopatologia e il trattamento dello SC
continuano ad accumularsi rapidamente, così come il numero di persone colpite dalla
malattia, rendendo il lavoro dei professionisti sempre più difficile, soprattutto per quanto
riguarda la sintesi accurata dei nuovi processi medico-assistenziali che li conduce alla
quotidiana applicazione di percorsi terapeutici non sempre compatibili con le esigenze
delle persone colpite, che desiderano mantenere il più possibile il loro stile di vita; non
sempre la letterature offre indicazioni sufficienti a garantire un adeguato livello delle cure
personalizzate.
Questa patologia diviene quindi un problema sociale poiché è tutta la popolazione a
contribuire ai costi delle cure (Van der Wal et al., 2006): nel 2006 il Ministero della Salute
Italiano, per esempio, descrive lo SC come responsabile di circa l’1,9% del costo totale
annuo dell’assistenza ospedaliera per il SSN e pertanto come prima causa medica di
consumo di risorse delle strutture ospedaliere. I pazienti affetti da scompenso cardiaco
necessitano, infatti, di alti standard di caring nella fase acuta e di una forte educazione
riguardo il regime terapeutico, le restrizioni dietetiche e idriche, la prognosi e i sintomi
della patologia in regime cronico e domiciliare (Jaarsma et al., 1996). Nella maggior parte
5
dei casi sono la mancata coincidenza tra il comportamento del paziente e la prescrizione
clinica (non-compliance) e la non adesione al piano di cura che contribuiscono al
peggioramento
dei
sintomi
dello
SC
fino
a
condurre
quasi
inevitabilmente
all'ospedalizzazione. A domicilio i pazienti dovrebbero seguire una dieta povera di sodio,
ridurre notevolmente l'assunzione di liquidi, pesarsi quotidianamente e praticare una
moderata attività fisica ma non sempre aderire a tale complesso regime può rivelarsi facile,
soprattutto tra gli anziani (Van der Wal et al., 2010).
Nonostante i notevoli passi avanti nel trattamento della sindrome, molti pazienti lamentano
ancora di soffrire dei fastidiosi sintomi dello SC e delle conseguenze del regime
terapeutico che, inevitabilmente, affliggono la qualità della vita; nella pratica quotidiana,
medici e, soprattutto, infermieri rilevano tra le problematiche di maggior peso per i malati
un fastidioso senso di sete che, tuttavia, pare ricevere una scarsa attenzione da parte della
letteratura scientifica basata sull'evidenza, in merito alle possibili tecniche di prevenzione e
trattamento dello stesso. Se da un lato sono disponibili in letteratura diversi studi destinati
ad un'analisi quantitativa degli introiti, dall’altro ve ne sono ben pochi riguardanti la
qualità delle bevande, la distribuzione della loro quantità e l’impatto che diverse strategie
hanno sulla percezione quotidiana della sete e sull’aderenza del paziente al regime
prescritto. Ciò può essere in parte attribuibile agli ovvi problemi etici derivanti
dall'esposizione prospettica ad un elevato introito di alimenti salati e, nel nostro caso, di
liquidi a pazienti con SC (Gudmundsson et al., 2011).
Lo studio di Forabosco (2010) condotto presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria di
Udine (AOU) ha evidenziato come la maggior parte dei pazienti intervistati si limiti
all’assunzione di sola acqua fredda, possibile conseguenza della mancanza di informazioni
che sono andate perse nel tempo o non sono state fornite da parte del personale sanitario;
tuttavia, non è del tutto chiaro quale sia la modalità d'assunzione più efficace in termini di
quantità assunte e di frequenza nel tempo. Si ritiene inoltre che l’insieme di questi fattori
sia responsabile della mancanza di compliance alla restrizione idrica a cui i pazienti con
SC sono sottoposti, soprattutto in un contesto domiciliare, in cui il monitoraggio da parte
del personale sanitario risulta notevolmente ridotto. Dal momento che la gestione del selfcare viene definita parte importante ed integrante nel trattamento del SC (Lainscak et al.,
2011), soprattutto a domicilio la mancanza di raccomandazioni precise, personalizzate e
basate sull’evidenza riguardo alla gestione della quantità di liquidi concessa
6
quotidianamente non può che costituire un forte limite nella gestione infermieristica di tale
patologia. Da qui nasce l’esigenza di riorganizzare l’educazione sanitaria implementando
nuove strategie e, successivamente, rilevarne l’efficacia tramite feedback diretto dei
pazienti coinvolti nello studio, seguendo inoltre le indicazioni di studi correnti che vedono
nell’utilizzo delle trasmissioni telefoniche un metodo di monitoraggio innovativo,
particolarmente indicato in ambito domiciliare e associato ad un minor numero di
ospedalizzazioni e ad un miglioramento della qualità della vita (Thompson et al., 2010).
7
CAPITOLO 2: Revisione della letteratura
Lo scompenso cardiaco è una sindrome causata da una disfunzione miocardica
generalmente dovuta ad una perdita di funzionalità, caratterizzata a sua volta da una
dilatazione, da un'ipertrofia, o da entrambe, del muscolo cardiaco. La patologia conduce ad
uno scompenso neurormonale e circolatorio che spesso si manifesta con sintomi quali la
ritenzione idrica, edemi declivi, dispnea, fiato corto, fatigue ed intolleranza all'attività
fisica (HFSA group, 2010). La stessa fonte ci spiega come la severità dei sintomi possa
cambiare durante la malattia e possa non accompagnarsi ad un cambiamento della
funzionalità cardiaca.
La diagnosi di SC può essere difficile, soprattutto nelle prime fasi: nonostante i sintomi
portino il paziente a chiedere aiuto, molti di essi non sono specifici della patologia e di
conseguenza non permettono agli operatori sanitari di individuarne subito l'eziologia; i
sintomi specifici dello SC (es. ortopnea e dispnea notturna parossistica) sono invece meno
comuni, soprattutto nei pazienti con una sintomatologia minore e, quindi, non percepibili
dagli stessi (McMurray et al., 2012). Gli stessi autori ritengono il sodio e la ritenzione
idrica i maggiori responsabili dei sintomi dello SC (es. edemi declivi) nonostante questi si
risolvano facilmente con la terapia diuretica. Tuttavia, gli interventi non farmacologici
rappresentano un importante contributo al regime terapeutico per lo SC: essi possono
causare un forte impatto sulla stabilità del paziente, sulla mortalità e sulla qualità di vita
(HFSA group, 2010).
2.1 Restrizione idrica
Il mantenimento dell’euvolemia risulta essere uno degli aspetti più importanti nel
trattamento dei pazienti con SC. Il sovraccarico dei volumi introdotti oralmente può
peggiorare i sintomi della patologia e portare al ricovero ma, allo stesso tempo, la
deplezione degli stessi, dovuta alla non indifferente terapia diuretica e alla progressiva
perdita del senso della sete secondario all'invecchiamento, può causare spiacevoli
conseguenze come ipotensione, letargia e astenia, fino alla disidratazione (Lainscak et al.,
2011). Il fabbisogno idrico fisiologico di un individuo adulto varia dai 30 ai 35 ml/kg peso
corporeo/die ma, in corrispondenza con un nuovo esordio di SC o di un'ulteriore
8
deterioramento della funzionalità cardiaca, specialmente in presenza di ritenzione idrica ed
edemi declivi evidenti, l'introito di liquidi spesso viene ridotto in corrispondenza con
l'aumento delle quantità di diuretico prescritte (Holst et al., 2008). Di norma, si considera
ragionevole una restrizione idrica di massimo 2 l/die in pazienti con SC severo, ritenzione
idrica persistente e resistente a diuretici e restrizione degli introiti di sodio, o in pazienti
con severa iponatriemia. Tuttavia, pazienti con sintomi lievi o moderati possono non trarre
benefici da una restrizione di routine e alcune evidenze sembrano supportare la
prescrizione di un regime idrico libero basato sul peso corporeo (Thompson et al., 2010).
Gli stessi autori ci illustrano come la prescrizione di restrizione idrica è spesso standard,
non a misura di paziente in termini di peso, età e genere, e non libera da effetti collaterali
quali disidratazione, diminuzione della performance fisica, costipazione, disfunzioni
cognitive e xerostomia; anche in pazienti con un sovraccarico di liquidi può sussistere una
stato di deficienza del volume dei liquidi intracellulari (Holst et al., 2008). Nonostante la
raccomandazione di restrizione di fluidi data dalle linee guida internazionali consiglino un
introito idrico giornaliero di 1,5/2 litri (McMurray et al., 2012), in Europa tale intervento
vanta la più alta classe di raccomandazione, ma il più basso livello di evidenza nei pazienti
con scompenso cardiaco avanzato; differentemente, nelle linee guida del Nord America e
dell’Australia, l’evidenza della restrizione di fluidi è limitata (Holst et al., 2008). Per
questo motivo Holst e collaboratori hanno messo a paragone gli effetti della restrizione
idrica standard con la prescrizione libera di fluidi, includendo nel loro studio i pazienti con
scompenso cardiaco classificati, secondo New York Heart Association (NYHA), in classe
III e IV, e pazienti in condizioni stabili e senza segni clinici di sovraccarico di fluidi. Sono
quindi emerse differenze molto significative fra i pazienti in restrizione idrica e pazienti
stabili in regime di assunzione libero in termini di qualità di vita, capacità fisica e
morbilità. In definitiva, per quanto riguarda invece il senso di sete e la difficoltà ad aderire
alla prescrizione terapeutica, lo studio dimostra che un regime idrico personalizzato
comporta un maggior benessere del paziente, senza variazioni significative nel dosaggio
della terapia diuretica e degli altri farmaci, qualità di vita, peso corporeo e altri sintomi di
scompenso: la sicurezza del paziente non viene compromessa da un regime idrico non
standard ed una restrizione idrica severa non costituisce una discriminante nel
mantenimento della stabilità clinica dei pazienti (Holst et al., 2008).
9
Secondo Van der Walt et al. (2010) numerosi studi osservazionali e retrospettivi
suggeriscono che la non-compliance alla restrizione sodica e salina può contribuire alla
riacutizzazione dello scompenso, a volte causando la riospedalizzazione; emerge inoltre
che questa misura di prevenzione risulta la più difficile da seguire per i pazienti presi in
esame, un terzo dei quali attribuisce tale difficoltà al senso di sete derivato. Gli autori
ritengono importante sottolineare l'inesistenza di studi prospettici atti a descrivere la
relazione tra la compliance al regime terapeutico non farmacologico e gli outcomes clinici.
2.2 Sete
La sete rappresenta una manifestazione molto frequente nei pazienti affetti da SC insieme a
fatigue, dispnea e intolleranza all’esercizio fisico ma, malgrado sia descritta come
problematica rilevante da parte degli stessi pazienti, difficilmente viene discussa o trattata
in letteratura (Holst et al., 2008).
La sete è una componente fondamentale del sistema regolatore atto a mantenere
l'omeostasi dei fluidi corporei nonché una percezione soggettiva che causa in esseri umani
e animali la necessità di bere liquidi. Essa può comparire in risposta alla riduzione del
volume dei fluidi nei vari compartimenti corporei, a un'ipertonicità dei liquidi extracellulari
o all'incremento della concentrazione di ormoni dipsogenetici nel sistema circolatorio, così
come può essere dovuta a variabili legate all'habitat, a fattori culturali e psicogenetici
(Waldréus et al., 2013; McKinley e Johnson, 2004).
Nel corpo umano l'acqua è distribuita in due principali compartimenti: la quantità
intracellulare costituisce approssimativamente il 40% del peso corporeo, mentre la
componente extracellulare (ECF) circa il 20%, dividendosi in plasma (5% del peso
corporeo) e liquido interstiziale (15% del peso corporeo) (Rolls e Rolls, 1981). Quando il
corpo perde una certa quantità di liquidi, essi sono generalmente prelevati da entrambi i
compartimenti extracellulare e intracellulare, ma non necessariamente in egual misura. È
importante che la quota ECF, seppur minore rispetto a quella intracellulare, venga
conservata al fine di evitare pericolose variazione delle quantità e della pressione
extravascolare. Un insieme di risposte compensatorie vengono attivate in corrispondenza
di una perdita di liquidi con lo scopo di minimizzare le variazioni del volume totale e della
composizione dei fluidi. Nonostante la presenza di meccanismi fisiologici per il
10
mantenimento del volume di ECF benefici per l'organismo (riflesso dei barocettori, ormone
antidiuretico (ADH), prodotto nei nuclei ipotalamici (Jenkins, 1972), che riduce
l’escrezione renale e aldosterone), questi non riportano l'equilibrio idroelettrico al suo stato
originario. È in questo momento che entra in gioco la sete, la quale causa nell'organismo il
desiderio di bere grazie ad una coordinata sequenza di risposte fisiologiche. Bevendo,
l'organismo corregge il deficit assoluto sia di acqua che di soluti: incrementi
dell’osmolarità, decrementi del volume ematico o decrementi dei valori pressori, inducono
comportamenti atti ad acquisire acqua (McKinley e Johnson, 2004; Sewards e Sewards,
2000; Weitzman e Kleeman, 1979).
Le variazioni della quantità e della composizione dei fluidi corporei sono percepite da
recettori localizzati nel sistema nervoso centrale (SNC) e nel sistema nervoso periferico
(SNP). In particolare nel SNC essi sono situati a livello della lamina terminalis, in tre
strutture prossime alla parte anteriore dell'ipotalamo: organo subfornicale (SFO), organum
vasculosum lamina terminalis (OVLT) e nuclei mediani preottici (MnPO). Per quanto
riguarda il SNP, le fibre vagali parasimpatiche afferenti innervano i barocettori situati a
livello del cuore, delle grandi vene e della circolazione polmonare terminando nel nucleo
del tratto solitario (NST), mentre l’informazione percepita dai recettori è trasmessa agli
altri centri cerebrali. Altri barocettori si trovano in corrispondenza dell’arco aortico e del
seno carotideo ( McKinley et al., 2004; Sewards e Sewards, 2000; Stricker e Sved, 2000).
Stricker e Sved (2000) riconoscono sette stimoli associati al controllo della sete: due
segnali osmoregolatori (uno eccitatorio e uno inibitorio); due segnali associati alle
variazione della pressione sanguigna arteriosa (ABP) (uno eccitatorio e uno inibitorio); due
segnali Na+-regolatori (uno eccitatorio e uno inibitorio); un segnale eccitatorio volumeregolatore.
Per quanto riguarda la sete osmoregolatoria, si può dire che essa è stimolata dall'aumento
della concentrazione extracellulare di osmoliti non permeabili che causano il movimento
osmotico dell'acqua dalle cellule; è sufficiente un aumento dell'osmolarità plamatica
(pOSM) di circa il 2% a far sì che esso venga captato dagli osmocettori cerebrali situati nel
OVLT. Quest'ultimo tramite le sue proiezioni attiva i neuroni nella zona preottica mediale
nella lamina terminale stimolando la sete. Altre proiezioni risultano stimolare i nuclei
paraventricolari e sopraottici dell'ipotalamo con una conseguente secrezione di ADH.
Secondo Stricker e Sved (2000) tale meccanismo non può essere così semplice poiché,
11
malgrado l'acqua assunta per via orale impieghi almeno 10 minuti per causare incrementi
significativi di pOSM, lo stimolo della sete risulta estinguersi molto più rapidamente dopo
l'ingestione di liquidi. Nel loro studio gli autori spiegano l'esistenza in un riflesso neurale
generato dall'orofaringe verso il cervello e associato alla rapida deglutizione durante l'atto
del bere con un rapido, seppur temporaneo, effetto inibitorio sulla sete e sulla secrezione di
ADH. A dimostrazione di ciò, fondamentale risulta lo studio di Brunstrom e collaboratori
(2000) che ha monitorato i livelli di sete durante diverse modalità di idratazione: normale,
infusione intragastrica, normale con estrazione simultanea dell’acqua ingerita attraverso
sondino naso gastrico (SNG). È stato dimostrato che la sete risulta ridotta quando è stata
permessa l’idratazione orale anche nei casi in cui l’acqua è stata estratta dallo stomaco, ma
non nel caso di infusione intragastrica.
In aggiunta, le ricerche scientifiche suggeriscono l'esistenza di un particolare tipo di
osmocettore localizzato tra lo stomaco e il sistema circolatorio generale (verosimilmente a
livello di piccolo intestino, vena porta e fegato) capace di rispondere alla composizione dei
fluidi assimilati e di incrementare la produzione di ormone antidiuretico (Stricker e Sved,
2000). In merito i segnali associati alla variazione di ABP, i barocettori arteriosi localizzati
nel seno carotideo e nell'arco aortico sono noti per la loro capacità di stimolare il tronco
encefalico con conseguente aumento dell'ADH prodotto e della sete. Tale attivazione del
sistema simpatico-adrenergico stimola la produzione di renina da parte dei reni con
conseguente attivazione del meccanismo renina-angiotensina. In assenza di variazione di
pOsm e di ABP, anche il volume sanguigno può stimolare l'introito di liquidi e la
secrezione di vasopressina (p.e. in seguito ad un'emorragia): in particolare, questo pare
essere dovuto a recettori della distensione delle pareti vascolari situati sulle grandi vene
che garantiscono il ritorno venoso al cuore, collegati a loro volta con l'ipotalamo (Stricker
e Sved, 2000).
In generale, numerosi studi sono concordi nel ritenere l'introduzione di angiotensina II
(AII) e ADH la principale risposta alla deplezione di liquidi andando ad influenzare il
senso di sete e quindi il volume di fluidi introdotti dall'organismo: nel plasma, i livelli di
AII aumentano conseguentemente all'incremento di pOSM, all'ipotensione arteriosa e
all'ipovolemia; ciò avviene grazie ad un complesso meccanismo fisiologico che ha inizio
con la secrezione di renina a livello dei reni da parte dell'apparato iuxtaglomerulare che la
riversa direttamente nel sistema circolatorio, processo controllato dagli assoni simpatici
12
noradrenergici postgangliari i cui corpi cellulari trovano sede nel ganglio corticorenale a
sua volta innervato dalle cellule della colonna intermedio laterale del midollo spinale. Nel
torrente sanguigno la renina converte l'angiotensinogeno (proteina prodotta dal fegato)
circolante in angiotensina I (AI), che nei capillari polmonari viene poi convertita in AII
grazie all'azione dell'enzima convertitore dell'angiotensina (ACE) (Martini et al., 2008;
Furlanut, 2008; Kong e Li, 2003; Schoolwerth et al., 2001).
In circolo AII è responsabile a livello ipotalamico della liberazione di ADH che impedisce
la diuresi, della vasocostrizione arteriolare e della secrezione di aldosterone (ormone
deputato al riassorbimento di acqua e sodio nei segmenti distali del nefrone, nelle
ghiandole salivari e nel colon) (Martini et al., 2008; Gensini et al., 2002). Grazie
all'influenza diretta nel processo di mantenimento dell'omeostasi dell'acqua (Sewards e
Sewards, 2000; Rolls e Rolls, 1981), AII interviene direttamente stimolando la sete e
quindi l'assunzione di liquidi, generando una vigorosa insorgenza della necessità di bere a
breve latenza a cui segue un aumento dell'assunzione di sale che, andando a variare
l'osmolarità sierica, fa sì che gli osmocettori centrali stimolino il rilascio di ADH (Sewards
and Sewards, 2000; Stricker and Sved 2000).
Anche altri ormoni intervengono nei meccanismi di regolazione dell'omeostasi dei liquidi
(ad esempio ossitocina, peptide natriuretico atriale) cui risposta endocrina viene tradotta in
attività neurale e trasmessa agli organi responsabili della generazione del senso di sete.
Quest'ultimo può essere vissuta e manifestata dai pazienti in maniere diverse e pertanto
rappresenta una variabile soggettiva che può intensificarsi a tal punto da far sì che
l'urgenza di bere diventi irresistibile e causa di distress (Waldréus et al., 2013). Inoltre,
essendo la risultante di una complessa interazione fra sistemi di controllo fisiologici e
influenze comportamentali, la percezione dello stimolo della sete conta diverse variabili
soggettive. Per questo motivo il gold standard nell'assessment della sete è rappresentato
dalla scala Visual Analogue Scale (VAS), anche se l'affidabilità e la validità del suo uso può
risultare problematico per pazienti pediatrici e geriatrici. È dovere del professionista far
riferimento all'esperienza soggettiva del paziente e della sua “agenda” in sede di
valutazione (Holst et al., 2003; Kenney e Chiu, 2001).
Dall'analisi della letterature emergono differenti variabili che influenzano il senso di sete
negli individui: variabili psicologiche e comportamentali, fisiologiche e ambientali.
13
Tra le variabili fisiologiche grande importanza assume quella riguardante l'età degli
individui e, in particolare, i pazienti anziani che notoriamente manifestano i maggiori
problemi nel mantenimento dell’omeostasi e risultano più vulnerabili alla disidratazione.
Tutte le fonti da me analizzate, concordano nell'affiancare all'avanzamento dell'età una
riduzione della percentuale di fluidi corporei totali parallelamente ad un incremento della
percentuale di grassi, considerando che di norma la percentuale di acqua in un individuo
giovane rappresenta circa il 65% della massa corporea totale e può scendere fino al 50%
intorno agli 80 anni d'età. Il più importante cambiamento fisiologico è rappresentato dalla
riduzione del filtrato glomerulare, dalla ridotta capacità di concentrazione delle urine e dai
ristretti limiti nell'escrezione di acqua, sodio, potassi e acidi (Luckey e Parsa, 2003). Gli
stessi autori citano altre importanti variazioni quali una ridotta secrezione di renina e
conseguente riduzione di aldosterno sierico, ed un aumento della secrezione di ormone
antidiuretico. Stachenfeld et al. (1997) hanno attribuito la causa della riduzione della
percezione della sete con l’età al deficit di sensibilità dei barocettori. Sono questi i fattori
che comportano un'importante riduzione del senso di sete con l'avanzare dell'età (Labbe et
al., 2009; McKinley e Johnson, 2004; Sheehy, 1999; Sawka e Montain, 2000; Ramsay,
1989). È lo studio di Kenney e Chiu (2001) a dimostrare questa tesi prendendo in esame
due popolazioni di pazienti sani, una di giovani adulti e una di anziani, confermando i
risultati anche con esercizi e stress da calore: dopo 24 ore di restrizione idrica, è stato il
gruppo di uomini di età compresa tra i 65 e i 75 anni a risultare meno assetato e ad
assumere la minor quantità di liquidi.
Il genere degli individui influisce sulla sete a causa di variazioni significative nelle
concentrazioni plasmatiche degli ormoni: a riposo i livelli plasmatici di ADH sono
maggiori nei maschi rispetto alle femmine e nei primi la sensibilità allo stesso ormone è
maggiore (Stachenfeld e Keefe, 2002). Come espresso dalla stessa fonte, gli estrogeni sono
responsabili della minore morbilità e mortalità per malattie cardiovascolari delle donne in
pre menopausa rispetto agli uomini di mezza età. Progesterone ed estrogeni hanno
significative
conseguenze sull'equilibrio
idro-salino
per uno
spostamento
della
vasopressina e di regolazione della sete a valori di osmolalità minori (Stachenfeld, 2008).
Una concentrazione plasmatica di sodio elevata aumenta l'osmolalità del sangue la quale, a
sua volta, stimola gli osmorecettori amplificando gli effetti dei meccanismi che generano
14
l'istinto della sete. È per questo motivo che tra i principali interventi di prevenzione della
sete viene annoverata anche la restrizione salina (Waldréus et al., 2013).
Un aumentato senso di sete può essere determinato dalla diagnosi concomitante di diabete:
i pazienti colpiti da tale patologia spesso presentano poliuria e conseguenti segni e sintomi
quali disidratazione, cute e mucose secche, xerostomia e polidipsia (Asplund, 2005).
La percezione di freschezza è correlata ai fattori dissetanti e ai fattori rinfrescanti dal
momento che essi condividono le stesse vie sensoriali così come un ruolo critico è assunto
dal meccanismo che inumidisce costantemente le mucose orali (Labbe et al., 2009). Gli
autori hanno indagato nel loro studio quali sono i più determinanti sensori della percezione
di freschezza, producendo una gamma di gel dai vari livelli di agente rinfrescante, acido
citrico e addensante, nonché del sapore utilizzando alternativamente l’aroma di pesca o
menta. In seguito ad una somministrazione eseguita su un totale di 160 pazienti, è emerso
che l’intensità degli attributi “fresco” e “acido” è correlata alla percezione dell’intensità di
freschezza percepita. Contrariamente, l’incremento della densità e della dolcezza sono state
correlate negativamente alla sensazione di freschezza. Anche il colore della bevanda può
influenzare la percezione di freschezza poiché nello stesso studio furono preparate tre
bevande dal sapore differente (menta, limone e vaniglia), in otto differenti versioni colorate
(trasparente, rosso, blu, verde, giallo, viola, arancione e marrone) che, una volta testate su
gruppi di studenti, diedero ognuna un diverso responso in termini di percezione di
freschezza. L'ipotesi più accreditata è che l’associazione trasparenza-acqua sia associata ad
un maggior senso di freschezza, e che la minore percezione di freschezza per le bevande a
base di limone o menta venga attribuita all’inappropriato colore (es. marrone). Eccles
(2000) ha invece considerato il ruolo dei recettori per il freddo e della menta
nell’interazione con la sete., la seconda già nota per i suoi effetti rinfrescanti su pelle e
mucose mediati da specifici termocettori, terminazioni libere dei nervi e prive di un organo
specifico afferente che si localizzano sulla parte esterna della cute e sulla superficie
dell’occhio e sono coinvolti nella termoregolazione (Martini et al., 2008). I recettori
localizzati nella bocca e nel naso campionano la temperatura di cibi, bevande e dell’aria
espirata. Se la sete può essere riflessa nel meccanismo omeostatico che regola l’osmolalità
plasmatica quando questa aumenta, la differenza in termini di tempo fra il momento
dell’assunzione di acqua e l’assorbimento di questa nello stomaco può causare oscillazioni
dei valori di osmolalità se si continuano a bere quantità di acqua superiori rispetto a quella
15
necessaria al ripristino dei valori normali. L’aumento del livello di sazietà per la sete,
associata all’assunzione di bevande calde, è quindi probabilmente dovuta a questi
termocettori, la cui attività risulta essere influenzata dal mentolo (Eccles, 2000). Lo stesso
studio dimostra infatti che un pretrattamento con mentolo 0,02% per la durata di 5 minuti,
associato all’assunzione di campioni d’acqua a diverse temperature, incrementa la
sensazione di freschezza generando sensazioni complesse dovute allo stimolo di recettori
gustativi e termocettori. Il mentolo va quindi a simulare lo stimolo di freschezza che deriva
dall’assunzione di bevande fredde e, grazie agli effetti sui recettori orali per il freddo, può
saziare la sete (Eccles, 2000). Nello studio di Brunstrom (2010) è stata osservata la
correlazione tra la temperatura dell’acqua ed il grado di piacevolezza: i soggetti della
sperimentazione avvertivano piacevolezza nel bere bevande fresche alla temperatura di
3°C, ma non bevande alle temperature calde (13°, 23°, 33°C), presumibilmente poiché le
bevande fresche recano maggiore sollievo dalla spiacevole sensazioni di “bocca secca”.
L’acqua fresca risulta favorita rispetto all’acqua tiepida, come dissetante, nonostante uguali
volumi di acqua fredda e calda portino gli stessi effetti sull’osmolalità plasmatica.
Per quanto concerne le variabili psicologiche e comportamentali, dallo studio dei Kenney e
Chiu (2001) emerge che fattori quali la disponibilità di fluidi e la palabilità delle sostanze
assunte influiscono notevolmente sull'introito idrico assunto volontariamente. È stato
infatti dimostrato che offrendo a dei pazienti esposti a deprivazione di liquidi e ad una dieta
secca più bevande quali acqua, acqua frizzante, cola e succo d'arancia, diventa spontaneo
per questi ultimi bere oltre la necessità andando ad eccedere il volume di liquidi necessario
al mantenimento del bilancio e incrementando il filtrato glomerulare: dare libero accesso ai
liquidi significa far sì che la sete insorga anticipatamente, ovvero prima che si manifestino
i segni oggettivi di deficit di fluidi corporei. Per gli stessi autori anche la temperatura delle
bevande, le conoscenze riguardo all’importanza di un idratazione adeguata, il fatto di bere
in associazione ad alimenti e le norme ed abitudini sociali influiscono sulle diverse
manifestazioni della sete (Labbe et al., 2009).
Infine, tra le variabili di tipo ambientale consideriamo tra le più importanti umidità e
temperatura dell'aria, poiché attribuibili ad esse sono le maggiori conseguenza del clima
sull'essere umano: se l’umidità dell’aria è bassa e la temperatura ambientale è elevata si è
più soggetti alla secchezza delle fauci in quanto l’aria calda e secca aumenta la viscosità
16
della saliva, di per sé già influenzata da livello di idratazione corporeo (Graff e Benson,
1969).
Sawka e Montain (2000) hanno approfondito la variazione dell'introito di fluidi in
corrispondenza di attività fisiche praticate a temperature ambientali elevate, questo poiché
spesso, durante l’esercizio fisico, il sudore perso supera l’introito idrico assunto, con una
conseguente perdita di elettroliti ed un deficit di acqua corporea. La diminuzione del
volume plasmatico e l’aumento dell’osmolalità rappresentano uno stimolo osmotico che
porta l’individuo a mettere in atto comportamenti atti a reperire ed introdurre acqua. Per gli
autori, l’attività fisica in ambiente caldo umido infatti, se confrontata a quella svolta in
ambiente freddo e secco, evidenzia un incremento di sudore di un litro e anche l’intensità
dell’attività fisica praticata risulta essere una misura direttamente proporzionale all’introito
di fluidi. Un’ulteriore conseguenza dell’ipoidratazione è il decremento della capacità fisica
di lavoro rilevato sia a temperature elevate che in climi temperati dovuta probabilmente
alla riduzione della gittata cardiaca che va a diminuire la potenza aerobica massimale e la
capacità fisica di lavoro per esercizi progressivamente intensivi secondaria all'ipovolemia,
e agli effetti che il calore provoca sulla vascolarizzazione superficiale. Le pareti venose
infatti si vasodilatano per aumentare il volume e il flusso plasmatico a livello cutaneo,
rimuovendo dal circolo centrale la quantità di sangue necessaria a perfondere i muscoli
scheletrici. Labbe et al. (2009), affermano invece che, per quanto riguarda la performance
cognitiva, la restrizione idrica, come la disidratazione, sembra incrementare la fatigue
mentale e diminuire l’energia compromettendo, di conseguenza, la capacità di
concentrazione.
2.3 Strategie
Non esistono in letteratura studi specifici atti a misurare l'efficacia di interventi per la
prevenzione e il trattamento della sete; indicazioni quali frequenti cure igieniche orali,
utilizzo di lubrificante per le labbra, risciacqui periodici della bocca e l'attenzione alla
qualità dei liquidi in termini di temperatura e sapore dei fluidi, rappresentano consigli che
gli infermieri danno ai pazienti senza basarsi su precise evidenze scientifiche (Woodtli,
1990; Waldréus et al., 2013).
17
Nella pratica quotidiana, l’utilizzo della menta e di altri aromi non è assolutamente diffuso.
Invece, la semplice reperibilità, unita al costo contenuto, dovrebbe incentivarne l’impiego,
visti gli elevati benefici a favore del paziente, come testimoniato dall'analisi della
letteratura (Labbe et al., 2009; Eccles, 2000): le caramelle alla menta e senza zuccheri sono
facilmente reperibili, ma non prive di possibili effetti collaterali: contengono sorbitolo ed
un uso eccessivo può comportare diarrea. Succhiare caramelle dure stimola la secrezione di
saliva dalle ghiandole salivari. Molti pazienti riferiscono beneficio nel succhiare fette di
limoni o caramelle al gusto di limone (Woodtli, 1990). Succhiare cubetti di ghiaccio genera
sollievo, ma è necessario aggiungerlo nel conteggio dell’introito idrico. Mediamente uno di
questi cubetti contiene circa 20 ml. Il ghiaccio è più efficace e il suo effetto dura più a
lungo rispetto all’acqua fresca, alle caramelle o alle chewing gum (Schorer, 1971). Lo
stesso autore riporta che l'assunzione di ghiaccio, piuttosto che di liquidi, apporti benefici
più rapidi in caso di sete associata ad iperosmolarità. Masticare chewing gum, succhiare
una garza umida, e l'impiego di un lubrificante sulle labbra sono altri interventi ritenutili
utili dai pazienti. (Woodtli, 1990).
Un intervento da non sottovalutare è rappresentato dalla periodica igiene orale: essa
garantisce infatti l'idratazione della mucosa orale e previene sensazioni spiacevoli quali la
xerostomia, spesso associata alla sete (Nederfors, 2000; Woodtli, 1990). Per Woodtli
(1990), sono efficaci un gran numero di prodotti commerciali creati appositamente per la
pulizia e l'idratazione del cavo orale, così come sono disponibili diverse salive artificiali,
cui efficacia nel ridurre il discomfort associato alla secchezza delle fauci è certificata da
alcuni sondaggi tra la popolazione. Dallo studio di Forabosco (2010), malgrado l'esigua
numerosità del campione, emerge che il liquido assunto più frequentemente dai pazienti in
SC è l’acqua, seguita da caramelle alla menta, frutta fresca, suzione di fette di limone o
ghiaccio.
Woodtli (1990) rende noto che l'assunzione di sostanze alcoliche provoca una sensazione
di secchezza e di asciutto a livello delle mucose orali e pertanto esse risultano sconsigliate.
Si raccomanda in genere un consumo di alcool inferiore ai 150-230 ml quotidiani (2
bicchieri per l'uomo, 1 per la donna), nonostante siano note le proprietà protettive nei
confronti degli eventi cardiovascolari se consumato in quantità moderate (Riegel et al.,
2009).
18
CAPITOLO 3: Materiali e metodi
3.1 Obiettivo
Obiettivo del presente studio era quello di valutare l’efficacia di due diverse strategie,
basate sulle evidenze, per il trattamento e la prevenzione della sete nel paziente con
scompenso cardiaco in un contesto domiciliare di self-care, rispetto a quello tutt’ora
utilizzato nei reparti di degenza di un’Azienda di riferimento per il trattamento dello
scompenso cardiaco. Si trattava dunque di misurare l’impatto sulla sete di una
ridistribuzione nell’arco della giornata della quantità massima di liquidi assumibili dai
pazienti, senza venire meno alle prescrizioni dello specialista o del medico curante.
3.2 Materiale e Metodi
Per lo studio, di tipo quasi sperimentale, si è preso in esame un campione di pazienti adulti
con anamnesi di SC rispondenti ai seguenti criteri di inclusione:
a) età > 19 anni;
b) entrambi i generi;
c) in restrizione idrica domiciliare;
d) dichiarato e frequente senso di sete.
Sono stati, invece, considerati quali criteri di esclusione quelli di seguito elencati:
a) documentato disorientamento temporo-spaziale;
b) documentata diagnosi di demenza o di disturbi psichiatrici;
c) impossibilità a comprendere e/o esprimersi in lingua italiana;
d) trattamento dialitico o patologie severe che possano alterare l’equilibrio idroelettrolitico;
e) patologie tumorali in trattamento;
f) negazione del consenso.
È stato necessario ottenere da parte dei pazienti selezionati, nel rispetto dei criteri indicati,
un consenso informato (All.1) nel quale veniva enunciata la possibilità di accedere ai dati
clinici del paziente e la disponibilità da parte del medesimo a sostenere un’intervista in
regime ambulatoriale e domiciliare (quest’ultima tramite contatto telefonico), il tutto nel
19
rispetto dell’anonimato e della privacy. I dati anagrafici raccolti sono stati utilizzati
esclusivamente ai fini statistici dello studio, nel rispetto dell’art. 13 del D.lgs 196/2003.
Una restrizione idrica in anamnesi, o nella documentazione, in termini di limite massimo di
liquidi/die e un dichiarato senso di sete rappresentavano criteri di inclusione necessari al
fine di procedere all’intervista in quanto si intendevano valutare nello specifico i
comportamenti e le strategie attivati dai pazienti (Holst et al., 2008; Van der Wal et al.,
2010).
Holst (2008) consiglia di escludere dagli studi sulla sete nei pazienti in restrizione idrica
affetti da SC quelli in trattamento dialitico e quindi affetti da patologie severe in grado di
modificare l'equilibrio idroelettrico; ciò è dovuto al fatto che tali sedute terapeutiche vanno
ad agire sull'osmolalità plasmatica causando quindi variazioni sui meccanismi di
regolazione della sete.
Gli organi principalmente esposti agli effetti tossicologici dei farmaci antineoplastici sono
quelli a più alto ritmo proliferativo (ad esempio mucose, midollo osseo, sistema reticoloendoteliare) (Furlanut, 2008); per questo motivo si è reso necessario escludere dallo studio
i pazienti con patologie tumorali in trattamento chemioterapico poiché esse vanno ad
influire sui processi orofaringei che determinano il senso di sete e quindi ad incidere sulla
compliance alla restrizione idrica terapeutica, sulla capacità fisica e sulla morbilità degli
stessi.
Quale setting è stata identificata una realtà ambulatoriale, ovvero l’Ambulatorio
Scompenso Cardiaco presso la SOC di Cardiologia dell’Azienda Ospedaliero Universitaria
“S. Maria della Misericordia” (AOU) di Udine, in seguito all'ottenimento delle necessarie
autorizzazioni.
Lo studio prevedeva che, una volta ottenuto il consenso e al termine dell'intervista, fossero
consegnate ai pazienti compatibili con i criteri di inclusione due buste contrassegnate con il
numero 1 e il numero 2. Nelle buste numero 1 sono stati inseriti un bicchiere grande da 200
ml, corrispondente a delle assunzioni molto dilazionate nel tempo, mentre le buste numero
2 sono stata dotate di un bicchiere piccolo da 100 ml, indicato invece per assunzioni più
frequenti; nelle buste numero 1 è stato inoltre inserito un foglio illustrativo, riportante le
indicazioni già fornite verbalmente dal ricercatore e una tabella creata per aiutare i pazienti
a registrate il numero di assunzioni giornaliere (All.2). Una comunicazione con read back è
stata la base per verificare l’apprendimento da parte del paziente che è stato tenuto ad
20
adottare a domicilio due diverse strategie per il controllo della sete, servendosi per le prime
due settimane del materiale in dotazione della busta 1, e per le due rimanenti di quello
fornito nella busta 2.
Busta numero 1 – Modello A: durante le prime due settimane al paziente è stata permessa
l'introduzione di un solo bicchiere di liquido con un intervallo minimo di 180 minuti tra
un'assunzione e la successiva (il bicchiere da 200 ml fornito nella busta andava riempito
fino alla tacca corrispondente a 100 ml già segnata dal ricercatore).
Busta numero 2 – Modello B: nelle ultime due settimane al paziente è stata invece
permessa l'introduzione di un solo bicchiere di liquido con un intervallo minimo di 30
minuti (il bicchiere da 100 ml fornito nella busta andava riempito fino alla tacca
corrispondente a 30 ml già segnata dal ricercatore).
In entrambi i casi i modelli sono stati studiati affinché nelle 24 ore la quantità totale di
liquidi assunti giornalmente dai pazienti non superasse le indicazioni fornite dai medici
curanti.
Per ogni paziente lo studio ha avuto la durata di un mese a partire dalla data della prima
intervista. È stato inoltre somministrato settimanalmente un questionario con quesiti
estrapolati da quello compilato al primo incontro, al fine di individuare in tempo reale gli
esiti delle differenti strategie assistenziali tramite feedback diretto. La raccolta dati a livello
domiciliare è stata effettuata seguendo le indicazioni di studi correnti che vedono
nell’utilizzo delle trasmissioni telefoniche un metodo di monitoraggio innovativo,
particolarmente indicato in ambito domiciliare e associato ad un minor numero di
ospedalizzazioni e un miglioramento della qualità della vita (Thompson et al., 2010).
Durante lo studio i pazienti potevano continuare a bere nei bicchieri di uso quotidiano ma
misurando la quantità di acqua assunta grazie all’apposito bicchiere/misuratore fornito loro
nelle buste. Gli stessi individui sono stati invitati ad annotare il numero di assunzioni totali
di ogni giornata, nel rispetto del limite di restrizione idrica previsto dal cardiologo o del
medico curante.
Prendendo come modello lo studio di Van der Wal et al. (2006) e quello di Forabosco
(2010), nella prima parte del questionario sono state raccolti dati demografici ossia età e
genere che, negli studi di Van der Wal et al. (2010), Holst et al. (2008) e Kenney e Chiu
(2001), rappresentano variabili e non dati di inclusione; la scelta di includere pazienti
adulti di entrambi i generi deriva dall'analisi delle suddette fonti.
21
Successivamente si sono voluti indagare i dati clinici relativi allo SC e alla storia di
malattia dei pazienti quali classe NYHA, precedenti ricoveri, anzianità della malattia e
terapia farmacologica in atto. Si è scelto di prendere in considerazione questi dati poiché si
suppone essi abbiano comportato nel tempo frequenti colloqui con il personale sanitario e,
di conseguenza, abbiano esposto i pazienti a più sedute di educazione terapeutica. Ai
pazienti presi in esame è stata richiesta la terapia farmacologica seguita a domicilio in
quanto diuretici e ACE-inibitori possono portare ad un incremento della percezione di sete
attraverso la secchezza delle fauci (Mangrella et al., 2008). Gli stessi autori confermano
con la loro ricerca l’importanza del fenomeno spiacevole di bocca secca che si
accompagna al sorgere della sete. Infine, si è scelto di considerare come variabile la
diagnosi concomitante di diabete che, come asserito in precedenza, può andare a influire
sul bisogno di bere (Asplund, 2005).
La seconda parte del questionario ha riguardato, invece, gli aspetti pratici della compliance
al regime dietetico, alla prescrizione di restrizione idrica, le variabili soggettive
psicologiche e comportamentali, andando ad indagare su preferenze, abitudini,
informazioni ricevute e soddisfazione del paziente. Kenney e Chiu (2001) afferma che per
variabili psicologiche si intende la propensione dei pazienti ad assumere liquidi in funzione
della disponibilità e non in funzione della reale necessità, mentre quelle comportamentali
rappresentano l’influenza esercitata dai terzi sull’individuo inserito in un contesto sociale.
La domanda relativa alla situazione familiare (“Con chi vive?”) è suggerita dalla pratica ed
è stata posta con lo scopo di verificare se il livello di compliance al regime terapeutico
dipendesse dal fatto di vivere da soli, piuttosto che in famiglia o con assistenza. A tal fine è
stato chiesto se il paziente provvedesse da solo all'assunzione della terapia farmacologica e
alla preparazione dei pasti; in particolare, chiedere se i pazienti introducono sale o spezie
permette di verificare la compliance alla prescrizione dietetica dal momento che le
indicazioni suggerite dalle linee guida e comunicate in reparto consigliano una dose
massima di sodio pari a 3 g/die. Scopo della domanda è anche quello di verificare la l'uso
da parte dei pazienti di misure alternative per mantenere le preparazioni saporite, anche se
alcune spezie possono aumentare il senso di sete (come pepe e peperoncino). Sempre
inerente alla dieta è la domanda relativa all'assunzione di frutta e/o verdura giornaliera, in
quanto alimenti ricchi di acqua e per questo da considerare nel conteggio totale dei fluidi
assunti per via orale. La domanda relativa ad altre restrizioni dietetiche è stata posta con lo
22
scopo di differenziare un regime alimentare già controllato da uno non sottoposto a
particolari limitazioni.
Seguendo le indicazioni di Van der Walt (2006), nel questionario è stato poi domandato
quale fosse il limite giornaliero di restrizione idrica, dato necessario ai fini della
valutazione della difficoltà nell’adesione alla prescrizione. Il quesito “Come si comporta
quando le offrono qualcosa da bere?” è stato posto per verificare l'influenza della variabile
comportamentale sopra citata sull'effettivo regime idrico del paziente. Per verificare la
reale compliance alla restrizione è stato chiesto come avvenisse il controllo della quantità
introdotta di liquidi, per esempio mediante l'uso di strumenti.
I pazienti sono stati sottoposti ad un test per valutare la loro capacità di riconoscere
visivamente le quantità di liquido: sono stati riempiti due bicchieri da 200 ml
rispettivamente con 150 ml e 60 ml di acqua ed è stato chiesto ai pazienti di stimarne la
quantità contenuta.
Per valutare la difficoltà ad aderire alla restrizione di fluidi è stata utilizzata la scala
Numerical Rating Scale (NRS, 0-10). La difficoltà da parte dei pazienti è stata misurata
con una scala di valutazione numerica che fornisce una misura oggettiva del dato, potendo
quantificare ciò che il malato soggettivamente percepisce in termini di difficoltà
nell’aderenza alla restrizione di fluidi. Nonostante il metodo standard sia rappresentato
dalla Visual Analogic Scale (VAS) (Waldréus et al., 2013; Holst et al., 2008; Kenney e
Chiu, 2001), l'utilizzo di tale scala non è stato considerato poiché, trattandosi di un metodo
visivo, esso non risultava compatibile con le interviste sottoposte telefonicamente.
A questo punto è stata posta la domanda “Soffre la sete?”, che si pone come vero e proprio
criterio di inclusione in quanto solo i pazienti che hanno risposto in maniera affermativa a
tale domanda sono stati compresi nel campione in esame. La domanda “Quando le capita
di soffrirne maggiormente?” è stata inserita nel questionario per indagare sulle variabili
soggettive sella sete, così come è stato chiesto l'intervallo minimo che di solito intercorre
tra l'atto di bere e il successivo. In seguito ai risultati dello studio di Forabosco (2010) che
han visto l'acqua come rimedio di prima scelta per la sete, è stato chiesto quali liquidi i
pazienti assumessero più di frequente. La domanda “In che modo?” è stata invece inserita
interrogandosi se l'illimitata disponibilità di acqua (rubinetto) rispetto una disponibilità
limitata (bottiglia) potesse causare una differenza negli introiti totali giornalieri in termini
di quantità. Il fatto di chiedere ai pazienti se succhiano o mordono cubetti di ghiaccio è
23
ritenuto un criterio per la valutazione della compliance alla restrizione ed un’ottima
strategia per fronteggiare la sete (Schorer, 1971), mentre la domanda relativa ai risvegli
notturni è stata posta per scoprire se la sete influisce anche sul sonno dei pazienti e quindi
sulla qualità di vita.
Partendo da quanto emerso dagli studi di Sawka e Montain (2000) e Graff e Benson (1969)
in merito all'influenza, rispettivamente, di temperatura e lavoro fisico sul senso di sete, è
stato chiesto ai pazienti se pratichino abitualmente un'attività fisica che richiede un minimo
sforzo (p. e. andare in bicicletta o camminare per almeno 30 minuti), se la sete aumentasse
dopo l'attività fisica, se di solito risultasse aumentata la quantità di liquidi introdotta ed
infine se il bisogno di bere fosse maggiore nei mesi più caldi.
Solo a questo punto è stato chiesto di determinare quanto la sete influenzi la vita del
paziente, anche in tal caso ricorrendo ad una scala verbale numerica (NRS).
Dal momento che alcune fonti raccomandano un miglioramento delle conoscenze da parte
dei pazienti sulla propria patologia ed enfatizzano l’importanza delle strategie di self-care
(Waldréus et al., 2013; Van der Walt et al., 2010), l'ultima parte del questionario è stata
dedicata alla qualità e alla quantità di informazioni sanitarie ricevute dal paziente durante il
proprio percorso di malattia, se ne avesse mai ricevuto e se le ritenesse utili o meno.
L'ultima domanda, “Crede che il contatto telefonico periodico possa migliorare la sua
educazione e in generale il suo stile di vita?” mira ad indagare l'impatto soggettivo sulla
vita del paziente di una strategia cui efficacia è già stata provata dalla letteratura (Thompson
et al., 2010).
I dati raccolti in seguito alla prima intervista e a quelle telefoniche sono poi stati inseriti in
maniera organizzata in foglio Excel e successivamente elaborati. In seguito sono stati
individuati rapporti di causa-effetto statisticamente significativi tra variabili. Sono stati
considerati significativi i valori di p<0.05.
24
CAPITOLO 4: Risultati
La raccolta dati è avvenuta nel periodo compreso fra il 18 febbraio e il 31 marzo 2013.
Essa è stata effettuata anche tramite consultazione della documentazione clinica e intervista
al paziente al quale è stato necessario spiegare il progetto di studio, esplicitare
dettagliatamente l’impegno che avrebbe dovuto assumersi e chiedere il consenso per
rintracciarlo telefonicamente. L'intervista è stata effettuata mediante la somministrazione di
apposito questionario costruito sulla base delle evidenze emerse dalla revisione della
letteratura dall’investigatore (All.3), recatosi nell'ambulatorio durante le mattine
infrasettimanali dal 18 febbraio al 3 marzo 2013.
In totale, i pazienti che hanno avuto accesso all'ambulatorio scompenso nel periodo
selezionato e nei giorni in cui il ricercatore era presente sono stati 47. Di questi, 2 pazienti
sono stati esclusi immediatamente perché non affetti da SC, 1 è stato escluso per
documentato disorientamento temporo-spaziale, 7 non sono stati intercettati poiché il più
delle volte i colloqui con i pazienti si svolgevano in contemporanea. Non sono stati esclusi
pazienti per difficoltà di comprensione della lingua italiana, non è stato individuato in
anamnesi alcuna diagnosi di demenza o di disturbi psichiatrici. Un solo paziente è stato
escluso per la concomitanza di una patologia tumorale in trattamento, mentre 3 pazienti
non sono stati inclusi a seguito di negazione del consenso. Complessivamente, dunque, il
campione incluso nello studio contava 34 pazienti.
È stato quindi delineato il gruppo campione una volta aver applicato i criteri di inclusione e
di esclusione: dei 34/47 (72%) pazienti a cui è stata proposta l'intervista, 17/34 (50%)
pazienti sono risultati rispondere al criterio fondamentale rappresentato dal frequente e
dichiarato senso di sete; tra questi, 2/34 (5.88%) non rispondevano nemmeno al criterio di
restrizione idrica domiciliare. Le interviste di questi ultimi sono state tuttavia considerate,
in quanto hanno permesso di studiare interessanti correlazioni tra le variabili demografiche
e il dichiarato senso si sete.
E’ stato possibile esaminare con la prima intervista ambulatoriale 34 pazienti; mentre sono
stati 15/34 (44.1%) quelli che hanno iniziato la fase operativa domiciliare dello studio,
anche se 3/15 (20%) di questi hanno rinunciato a distanza di qualche giorno. Quindi, la
numerosità del campione riferita allo studio domiciliare è stata complessivamente di 12
pazienti.
25
4.1 Risultati questionario ambulatoriale.
Dei pazienti sottoposti alla prima intervista, 25/34 (73.5%) risultavano di sesso maschile e
9/34 (26.5%) di genere femminile. L’età media della popolazione studiata era di 71.3 anni
(mediana 74, DS 12, min 30 - max 92); tra tutti, 17/34 (50%) pazienti rientravano in classe
NYHA II, 12/34 (35.3%) in classe NYHA III, 5/34 (14,7%) in classe NYHA I e, infine,
nessuno in classe NYHA IV. Tra i pazienti, 27/34 (79.4%) seguivano regolarmente il
follow-up, 6/34 (17.6%) risultavano essere al primo accesso in ambulatorio, mentre 1/34
(2.9%) non accedeva all’ambulatorio con regolarità.
Analizzando i dati riguardanti le condizioni di salute: l'anzianità media della patologia era
pari a 10.4 anni (mediana 10, DS 7.3, min 1 – max 30), 30/34 (88.2%) possedevano in
anamnesi ricoveri per SC con un dato medio di 6.9 accessi dall'insorgenza della malattia
(mediana 3, DS 8.3, min 1 – max 40); in aggiunta, 11/34 (32.4%) pazienti risultavano
diabetici e nessuno era sottoposto a terapia dialitica, mentre il valore medio del BMI era
pari a 27.5 (mediana 26.5, DS 4.1, min 18 – max 37); nel campione, 21/34 (61.7%)
pazienti risultava al momento sovrappeso (BMI>25.1), mentre 9/34 (26.5%) erano obesi
(BMI>30). Inoltre, 16/34 (47%) hanno dichiarato di svolgere attività fisica di media
intensità.
Considerando la terapia farmacologica: 32/34 (94.1%) pazienti assumevano regolarmente
diuretici, 31/34 (91.2%) assumevano β-bloccanti, 24/34 (70.6%) assumevano ACEinibitori e 18/34 (52.9%) seguiva una TAO.
Dal punto di vista sociale, 21/34 (61.8%) pazienti hanno dichiarato di vivere con il partner,
4/34 (11.8%) con il partner e figli, lo stesso numero vivevano solo con un figlio, 3/34
(8.8%) in famiglia (per famiglia si intende la presenza nella stessa casa di più nuclei
familiari) e 2/34 (5.8%) da soli. Tra tutti, solo 2/34 (5.9%) pazienti godevano di assistenza
a domicilio. Per quanto riguarda la terapia farmacologica, 28/34 (82.3%) intervistati la
gestiva in maniera autonoma, mentre ridotta è la percentuale di chi si preoccupava
autonomamente dell'alimentazione, intesa come preparazione dei cibi: 26/34 (76.8%)
pazienti ha dichiarato di cucinare per sé, 25/34 (73,5%) utilizzavano sale nelle
preparazioni, 20/34 (58.8%) ricorrevano a sale e spezie e solo 3/34 (8.9%) sostituivano le
prime con le seconde. Infine, 5/34 (14.7%) pazienti non seguivano altre restrizioni
dietetiche, mentre per quanto concerne il consumo di frutta e verdura, 26/34 (76,5%)
26
pazienti ne consumavano almeno una porzione al giorno, 7/34 (20,6%) ne consumavano
più di una, mentre 1/34 (2.9%) pazienti non ne consumava.
Per quanto concerne i 32 pazienti sottoposti a restrizione idrica, il limite massimo era
rappresentato da 1500 ml per 22/32 (68.8%) pazienti, da 1000 ml per 9/32 (28.1%) e da
1200 ml per 1/32 (3.1%). Inoltre, 15/32 (46.9%) pazienti hanno riferito di attuare un
controllo della quantità mediante uno strumento: di questi, 8/15 (53.3%) adoperavano una
bottiglia, 3/15 (20%) una brocca millimetrata, 1/15 (6.7%) si affidava al controllo del
personale sanitario in quanto ricoverato. Tra i 17/32 (53.1%) pazienti che non effettuavano
un controllo oggettivo della quantità, 9/17 (52.5%) riferivano di “controllare a occhio”,
3/17 (17.6%) invece contavano i bicchieri. Quest'ultima soluzione risulta difficilmente
efficace in quanto in risposta al test del bicchiere, nessun paziente è riuscito ad indovinare
entrambe le quantità. Per quanto riguarda il bicchiere da 150 ml, 10/34 (29.4%) hanno
sottostimato la quantità, la stessa percentuale non è stata in grado di proporre alcuna stima,
9/34 (26.5%) hanno la hanno sovrastimata, mentre solo 4/34 (11.8%) pazienti hanno
indovinato la quantità esatta. In merito al bicchiere da 60 ml le percentuali risultavano
essere le stesse. In risposta alla domanda “Come si comporta quando le offrono qualcosa
da bere?”, 15/34 (44.1%) pazienti accettavano con moderazione, 13/34 (38.2%)
accettavano senza problemi e 4/34 (11.8%) rifiutano.
Tra i pazienti in restrizione idrica, 12/34 (38.2%) lamentano difficoltà nell'aderire alla
prescrizione; il livello medio di difficoltà misurato tramite la scala numerica NRS era pari
a 6.9 (mediana 7, DS 2.4, min 3 – max 10). In merito alle motivazioni riferite, 5/12
(41.6%) pazienti attribuivano le difficoltà alla sete, 2/12 (16.6%) ad una difficoltosa
misurazione, la stessa percentuale indicava come responsabili gli alimenti, 1/12 (8.3%) la
secchezza delle fauci.
È stata posta a questo punto la domanda “Soffre la sete?”, per tanto nell'analisi dei risultati
considereremo solo i 17 pazienti che hanno risposto affermativamente alla domanda. Tra di
essi 6/17 (35.3%) lamentavano maggiormente la sete nella notte, 5/17 (29.4%) a pranzo,
3/17 (17.6%) nella mattinata, la stessa percentuale nel pomeriggio e nessuno a cena. Tra
tutti, solo 12/17 (70.6%) pazienti erano in grado di quantificare quanto tempo trascorresse
tra un'assunzione e il manifestarsi del senso di sete: il dato medio in minuti era pari a 96.3
(mediana 105, DS 84.3, min 10 – max 240).
27
La bevanda più consumata per alleviare la sete risultava essere l'acqua, in egual misura
naturale o frizzante: entrambe sono preferite da 7/17 (41.2%) pazienti; sia the, che acqua e
limone, che acqua e vino raccoglievano 1 sola preferenza (5.9%). Solo 1/17 (5.9%)
pazienti consumava abitualmente cubetti di ghiaccio, mentre 7/17 (41.2%) dichiaravano di
svegliarsi durante la notte col desiderio di bere.
In merito alle variabili legate al clima e all'attività fisica, 14/17 (82.4%) pazienti hanno
dichiarato un aumentato senso di sete nella stagione estiva, 7/17 (41.2%) hanno affermato
che l'introito di liquidi solitamente aumentava in seguito allo svolgersi di un'attività fisica
moderata e 6/17 (35.3%) erano concordi nel percepire maggior sete dopo lo stesso tipo di
sforzo.
Tutti i pazienti sono stati in grado di determinare secondo NRS quanto la sete influenzasse
la propria vita: il valore medio del dato raccolto era di 6.5 (mediana 6, DS 2.2, min 2 –
max 10). Solo 6/17 (35.3%) pazienti dichiaravano di aver già ricevuto in passato
informazioni sulla prevenzione e il trattamento della sete, 16/17 (94.1%) le ritenevano utili
ma solamente 5/17 (29.4%) le ritenevano sufficienti. L'unico individuo (5.9%) che non
reputava utili tali indicazioni era convinto che le migliori strategie fossero quelle definite
dalla propria esperienza.
Concludendo con l'analisi dei risultati della prima intervista, 11/17 (64.7%) pazienti hanno
dichiarato di nutrire spesso dei dubbi riguardanti il proprio stato di salute e la patologia,
mentre 13/17 (74.5%) era convinto che il contatto telefonico periodico potesse migliorare
la propria educazione e in generale lo stile di vita (76.5%). Tra questi 5/13 (38.7%) si
sarebbero sentiti più seguiti, 3/13 (23.1%) avrebbero percepito maggiore sicurezza, 2/13
(15.4%) sarebbero stati felici di sapere che il sistema si preoccupasse di loro, 1/13 (7.7%)
pensava che tale intervento potesse garantirgli una maggiore tranquillità, la stessa
percentuale era interessato nel fornire dati utili per la ricerca e, allo stesso modo, una sola
persona riteneva che un maggior controllo equivalesse a maggiore salute.
4.2 Risultati intervista telefonica: prima settimana modello A
Al termine della prima settimana in cui i 12 pazienti dello studio domiciliare sono stati
sottoposti al Modello A, 7/12 (58.3%) non riscontravano variazioni significative del peso
corporeo, 3/12 (25%) riportavano un calo, mentre i restanti 2/12 (16.6%) riferivano un
28
aumento. Inoltre, 3/12 pazienti (25%) dichiaravano di nutrire difficoltà nell'aderire alla
restrizione idrica: il dato medio secondo NRS era pari a 6 (mediana 5.5, DS 2.9, min 3 –
max 10). Proseguendo nell’analisi, 9/12 (75%) pazienti riferivano di continuare a soffrire
la sete, mentre 3/12 (25%) ha fatto presente il fatto di alzarsi ancora la notte per bere. Il
valore medio dell'influenza della sete nella vita secondo scala NRS era pari a 5.7 (mediana
6, DS 1.6, min 3 – max 8). Tuttavia, 8/12 (66.7%) pazienti riportavano di aver trasgredito
al modello di assunzioni. Il numero di assunzione medie giornaliere risultava invece pari a
7.9 (mediana 7, DS 2.8, min 5 – max 15), che corrispondevano a circa 790 ml/die. Al
termine dell'intervista telefonica, 5/12 (41.6%) pazienti riferivano di sentirsi meglio
rispetto al colloquio precedente, la stessa percentuale descriveva la situazione come
piuttosto stabile, mentre 2/12 (16.6%) lamentavano di sentirsi peggio
4.3 Risultati intervista telefonica: seconda settimana modello A
Al termine della seconda settimana secondo il Modello A, 7/12 (58.3%) non riscontravano
variazioni significative del peso corporeo, 4/14 (33.4%) pazienti riportavano un calo,
mentre il restante 1/12 (8.3%) riferiva un aumento. Inoltre, 4/14 pazienti (33.4%) hanno
dichiarato di nutrire difficoltà nell'aderire alla restrizione idrica: il dato medio secondo
NRS era pari a 6.3 (mediana 6.5, DS 2.5, min 3 – max 9). Proseguendo nell’analisi, 8/12
(66.7%) pazienti riferivano di continuare a soffrire la sete, mentre 5/12 (41.6%) ha fatto
presente il fatto di alzarsi la notte per bere. Il valore medio dell'influenza della sete nella
vita secondo scala NRS era pari a 5.4 (mediana 6, DS 1.9, min 2 – max 8). Tuttavia, 9/12
(75%) pazienti hanno dichiarato di aver trasgredito al modello di assunzioni. Il numero di
assunzioni medie giornaliere risultava invece pari a 7.3 (mediana 7, DS 2.8, min 4 – max
11), che corrispondevano a circa 730 ml/die. Al termine dell'intervista telefonica, 7/12
(58.3%) descrivevano la situazione come piuttosto stabile meglio rispetto al colloquio
precedente, 4/12 (33.4%) pazienti riferivano di sentirsi peggio, 1/12 (8.3%) lamentava di
sentirsi peggio.
29
4.4 Risultati intervista telefonica: prima settimana modello B
Al termine della prima settimana secondo il Modello B, restanti 9/12 (75%) non
riscontravano variazioni significative del peso corporeo mentre i restanti 3/12 (25%)
riportavano un calo. Inoltre, 7/12 pazienti (58.3%) hanno dichiarato di nutrire difficoltà
nell'aderire alla restrizione idrica: il dato medio secondo NRS era pari a 6.7 (mediana 6,
DS 2.1, min 2 – max 10). Proseguendo nell’analisi, 9/12 (75%) pazienti riferivano di
soffrire la sete, mentre 4/12 (33.4%) ha fatto presente il fatto di alzarsi la notte per bere. Il
valore medio dell'influenza della sete nella vita secondo scala NRS era pari a 6 (mediana
6.5, DS 2.4, min 4 – max 9). Tuttavia, 5/12 (41.6%) pazienti hanno dichiarato di aver
trasgredito al modello di assunzioni. Il numero di assunzioni medie giornaliere risultava
invece pari a 16.4 (mediana 16.5, DS 3.1, min 11 – max 23), che corrispondevano a circa
492 ml/die. Al termine dell'intervista telefonica, 5/12 (41.6%) pazienti lamentava di
sentirsi peggio rispetto al colloquio precedente, 4/12 (33.4%) descrivevano la situazione
come piuttosto stabile, 3/12 (25%) pazienti riferivano di sentirsi meglio.
4.5 Risultati intervista telefonica: seconda settimana modello B
Al termine della secondo settimana secondo il Modello B, 7/12 (58.3%) pazienti non
riscontravano variazioni significative del peso corporeo mentre 5/12 (41.6%) riportavano
un calo del peso corporeo. Inoltre, 8/12 pazienti (66.7%) hanno dichiarato di nutrire
difficoltà nell'aderire alla restrizione idrica: il dato medio secondo NRS era pari a 7.3
(mediana 7, DS 1.4, min 5 – max 10). Proseguendo nell’analisi, 8/12 (66.7%) pazienti
riferivano di soffrire la sete, mentre 3/12 (25%) hanno lamentato il fatto di alzarsi la notte
per bere. Il valore medio dell'influenza della sete nella vita secondo scala NRS era pari a
5.9 (mediana 6.5, DS 2.4, min 2 – max 9). Tuttavia, 5/12 (41.6%) pazienti hanno dichiarato
di aver trasgredito al modello di assunzioni. Il numero di assunzioni medie giornaliere
risulta invece pari a 16.7 (mediana 16.5, DS 2.8, min 13 - max 21), che corrispondevano a
circa 501 ml/die. Al termine dell'intervista telefonica, 5/12 (41.6%) descrivevano la
situazione come piuttosto stabile rispetto al colloquio precedente, 4/12 (33.4%)
lamentavano di sentirsi peggio mentre 3/12 (25%) pazienti riferivano di sentirsi meglio.
30
In occasione dell'ultima intervista è stato chiesto ai paziente quale modello avessero
preferito in base alla loro esperienza soggettiva: 7/12 (58.3%) hanno dichiarato di essersi
trovato meglio seguendo le indicazioni del modello A (bicchiere da 100 ml con intervallo
minimo di 180 minuti tra le assunzioni), mentre 5/12 (41.6%) risultavano gradire al meglio
il modello B (bicchiere da 30 ml con intervallo minimo di 30 minuti tra le assunzioni).
L'utilità del feedback telefonico è stata confermata da 11/12 (91.7%) pazienti; gli stessi
hanno apprezzato i fini dello studio, sottolineando i meriti del cercatore nella volontà di
indagare le percezioni soggettive del paziente oltre ai puri dati clinici.
31
CAPITOLO 5: Discussione
Il primo dato disponibile è quello relativo all'età; si evince che, nei pazienti che hanno
superato i 70 anni di vita, la probabilità che si manifesti il senso di sete risulta ridotta del
40% (OR=0.60, IC95%=0.14-2.47, p=0.47). Nonostante il dato si collochi in linea con
quanto affermato dalla letteratura, secondo la quale pazienti più anziani manifestano una
riduzione della percezione della sete (Labbe et al., 2009; McKinley e Johnson, 2004;
Sheehy, 1999; Sawka e Montain, 2000; Ramsay, 1989), e con le aspettative del ricercatore,
questa relazione non è statisticamente significativa e l'intervallo di confidenza individuato
non garantisce la riproducibilità dei risultati dello studio, sebbene garantisca un elevato
livello di precisione.
La medesima situazione si osserva per quanto concerne la diagnosi concomitante di diabete
che comporta una riduzione del 24% della probabilità di comparsa della sete persistente
(OR=0.76, IC95%=0.18-3.25, p=0.71); anche in questo caso il dato risulta in linea con
quanto affermato dalla letteratura (Asplund, 2005) e con quanto atteso dal ricercatore.
Tuttavia, gli indici statistici non rendono statisticamente significativo il dato individuato.
Nella compilazione del questionario si è indagato sul BMI dei soggetti coinvolti nello
studio con l'obiettivo di scovare eventuali correlazioni tra l'obesità e il senso di sete.
L'analisi dei dati ha evidenziato una probabilità di manifestazione del bisogno di bere del
315% superiore nei soggetti con BMI>30 rispetto agli individui non obesi (OR=4.15,
IC95%=0.86-19.92, p=0.07): il dato, oltre a non essere statisticamente significativo, risulta
molto impreciso e scarsamente riproducibile nella popolazione.
In merito alla terapia farmacologica, la letteratura analizzata evidenzia una relazione tra
farmaci diuretici e sete, responsabile di un aumento della percezione della stessa e degli
introiti di liquidi. Dallo studio emerge che non c'è associazione tra l'assunzione di questo
tipo di farmaci e la sete (OR= 1, IC95%=0.18-3.23, p=1), ma gli indici statistici non ci
permettono di considerare il dato né preciso, né statisticamente significativo. Per quanto
riguarda invece gli ACE-inibitori, la probabilità che i pazienti che li assumono sviluppino il
senso di sete risulta maggiore del 567% (OR=6.67, IC95%=1.15-38.6, p=0.02). Nonostante
il meccanismo d'azione del farmaco possa far presupporre un effetto mitigante sul bisogno
di bere, la letteratura è concorde nel attribuire ad altri sintomi da esso provocati (es.
secchezza delle fauci) l'aumento della sensazione di sete (Mangrella et al., 2008), in linea
32
con quanto emerso dal nostro studio. Nonostante l'intervallo di confidenza molto ampio
non garantisca la precisione nella riproducibilità del dato, il valore di p<0.05 lo rende
statisticamente significativo. Non sono stati trovati nella letteratura riferimenti in merito
all'influenza di β-bloccati e TAO sulla sete, per questo è stata volontà del ricercatore andare
a ricercarli nello studio. Dall'analisi del campione si evidenzia una riduzione delle
probabilità di incorrere nella sete del 62% (OR=0.38; IC95%=0.10-1.53, p=0.17) per i
pazienti sottoposti a TAO, dato che, seppur preciso, non è da considerarsi significativo.
Diversamente, i β-bloccanti risultano un fattore assolutamente protettivo e con valore
statistico (OR=0, p=0.00), forse per un'eventuale inibizione del sistema reninaangiotensina dovuto all'ipotensione derivata; ciò nonostante, il dato potrebbe essere
influenzato da altre variabili che si evidenzieranno nel corso di questa analisi.
L'indipendenza e l'autonomia del paziente potrebbero incidere sulla probabilità della sete.
Vivere da soli risulta non essere associato al senso di sete (OR=1; IC95%=0.06-17.41; p=1),
anche se il dato non appare statisticamente significativo e preciso; lo stesso avviene per
quanto riguarda i pazienti che gestiscono la terapia in maniera autonoma (OR=1;
IC95%=0.17-5.83, p=1.00) nonostante l'intervallo di confidenza suggerisca una maggiore
precisione del dato. Esiste invece una relazione tra il fatto di provvedere autonomamente
alla preparazione dei cibi rispetto la sete: la probabilità di sviluppare il bisogno di bere
aumenta del 35% (OR=1.35; IC95%=0.29-6.26, p=0.70); il dato, che non acquista però
valore statistico, è probabilmente influenzato da un'altra variabile, ovvero l'utilizzo di sale
come condimento. La probabilità che la sete aumenti in presenza di questo comportamento
risulta aumentare del 680% (OR=7.80; IC95%=1.69-36.03; p=0.01): ci troviamo di fronte ad
un dato che, seppur difficilmente riproducibile, risulta essere atteso e possedere un forte
valore statistico; quanto emerso si tiene in linea con le evidenze scientifiche (Waldréus et
al., 2013). Con lo stesso fine è stata ricercata un'eventuale correlazione tra la sostituzione
del sale con le spezie e l'insorgenza del senso di sete: quest'ultimo intervento sembra
causare un aumento del 113% dello stimolo (OR=2.13; IC95%=0,17-26.03; p=0.55), ma il
dato non rientra tra quelli statisticamente significativi. Probabilmente tale esito è dovuto al
fatto che molte spezie (per esempio peperoncino e pepe) sono associate ad un maggiore
introito di liquido a causa del sapore piccante.
Analizzando i dati raccolti mediante le interviste telefoniche è possibile confrontare le due
strategie nell’assunzione di liquide proposte ai pazienti (Tab.A). Per quanto riguarda
33
l’influenza della sete sulla vita, i punteggi NRS più bassi si riscontrano durante le prime
due settimane di studio; tale dato risulta coerente rispetto a quanto asserito dai pazienti
stessi che, in maggior numero, hanno dichiarato di favorire il modello A. Anche le
difficoltà nel sottostare alla restrizione idrica calano durante questo periodo per poi
aumentare nelle due settimane successive: questo dato ci suggerisce che, probabilmente, il
senso di sete influisce su tali difficoltà, in linea con l’opinione dei pazienti che spesso
descrivono il bisogno di bere come maggior ostacolo al mantenimento della restrizione.
Ciò viene confermato dal fatto che, per il modello A, il generale miglioramento riferito dai
pazienti nella prima settimana viene sostituito da una situazione di maggiore stabilità nella
seconda settimana, mentre per il modello B, si evidenzia un iniziale peggioramento che va
a stabilizzarsi nel tempo.
SETTIMANA 1
MODELLO A
SETTIMANA 2
MODELLO A
SETTIMANA 1
MODELLO B
SETTIMANA 2
MODELLO A
5.7
5.4
6
5.9
6
6.3
6.7
7.3
% PZ MIGLIORATI
41.7
33.4
25
25
% PZ STABILI
41.7
58.3
41.7
33.4
% PZ PEGGIORATI
16.6
8.3
33.4
41.7
MEDIA NRS SETE
MEDIA NRS
RESTRIZIONE
Tab.A – Confronto tra le strategie proposte
34
CAPITOLO 6: Conclusioni
6.1 Limiti
Lo studio è soggetto alla presenza di confondimento: i pazienti intervistati non sono stati
intercettati in maniera randomizzata bensì è stato effettuato un campionamento di
convenienza selezionandoli in maniera consecutiva. Inoltre, molti dati raccolti sono stati
riportati dal paziente per cui non è stato possibile per il ricercatore procedere ad un
accertamento diretto degli stessi (per esempio “Come avviene il controllo dei liquidi?” o
“Di solito, quanto tempo intercorre prima che si rimanifesti il senso di sete?”). Il fatto che
lo studio sia avvenuto durante i mesi invernali può avere influito sul numero di pazienti
inclusi nello studio, dal momento che anche la letteratura evidenzia una differenza della
sete percepita nei mesi caldi rispetto a quelli più freddi. In aggiunta, molti pazienti non
sembravano ben disposti a modificare le proprie abitudini quotidiane, dal momento che lo
studio proponeva importanti modifiche nello stile di vita. Tuttavia, appare vincolante la
presenza di un legame fiduciario tra pazienti e professionista, aspetto non presente nei
confronti del ricercatore; in quel caso si sarebbe forse potuto evitare il rifiuto da parte dei
pazienti che hanno negato il consenso. Infine, un ulteriore limite può essere rappresentato
dal fatto che il ricercatore non avesse previsto una linea di comportamento nel caso fosse
incorso un ricovero non programmato dei pazienti presi in esame, che altrimenti avrebbe
costretto il soggetto ad abbandonare lo studio.
6.2 Sintesi
La finalità dello studio era quella di valutare l’efficacia di due diverse strategie, basate
sulle evidenze, per il trattamento e la prevenzione della sete nel paziente con scompenso
cardiaco in un contesto domiciliare. I risultati dello studio non forniscono indicazioni
precise su quali siano le variabili maggiormente responsabili dell’insorgenza del senso di
sete, tuttavia sono emerse relazioni statisticamente significative rispetto all’assunzione di
sale come condimento aggiuntivo e l’assunzione di ACE-Inibitori. Dalle interviste
telefoniche emerge che il modello A (bicchiere da 100 ml con distanze temporali non
inferiore ai 180 minuti) risulta essere gradito dalla maggior parte dei pazienti e ciò può
essere riferito a quanto asserito da Stricker e Sved (2000), ovvero l'esistenza in un riflesso
35
neurale generato dall'orofaringe verso il cervello e associato alla rapida deglutizione
durante l'atto del bere con un rapido effetto inibitorio sulla sete quantità-dipendente.
Tuttavia il problema pare essere influenzato non solo da variabili quali la quantità e la
qualità dei liquidi, o dalla frequenza di assunzioni: le abitudini quotidiane e i diversi modi
di scandire i momenti della giornata, dai pasti all’assunzione della terapia, sembrano
giocare a detta dei pazienti un ruolo chiave. Risulta importante sottolineare che nessuno dei
pazienti presi in esame è venuto meno alle indicazioni in merito al limite massimo delle
quantità di liquidi assumibili prescritti dai medici curanti.
Lo studio ha avuto un forte impatto nello stile di vita dei pazienti, soprattutto per quanto
riguarda soggetti sottoposti a regimi di terapia complessi e visite frequenti a livello
ambulatoriale. Esso non si limitava a proporre nuovi modelli di assunzioni di liquidi a
livello domiciliare, bensì questa redistribuzione delle quantità ha comportato variazioni nei
comportamenti anche fuori da casa, influendo inoltre sulla sfera sociale del paziente.
Questo è testimoniato dal fatto che molti pazienti risultano aver trasgredito ai modelli, per
la sete o per un senso di disagio provato con altri in contesti più gioviali (per esempio una
cena, piuttosto che un aperitivo). Molti degli interessati non hanno celato il loro disagio di
fronte all’impossibilità di bere per diverse ore o di non poter ricorrere a quantitativi
maggiori; altri ancora non se la sono sentita di intraprendere il percorso di studio
abbandonandolo nel corso della prima settimana. Tuttavia, ciò che i pazienti hanno
maggiormente apprezzato è la volontà di indagare quegli aspetti estremamente soggettivi,
quali la sete appunto, a loro detta trascurati a favore di dati più incentrati sulla patologia.
Le telefonate non sono servite unicamente come strumento di raccolta dei dati ma, il più
delle volte, gli stessi intervistati hanno approfittato dei colloqui per esprimere propri dubbi,
preoccupazioni, stati d’animo e necessità di consigli riguardo la loro situazione di malattia.
Quasi tutti i pazienti sono concordi nel confermare l’utilità del feedback telefonico.
6.3 Indicazioni per la pratica clinica
Dall’analisi dei dati non sono emerse particolari indicazioni per la pratica clinica. Gli unici
dati con valore statistico invitano a considerare l’assunzione di ACE-Inibitori e del sale
quale condimento oggettivo come variabili da considerare nell’assessment della sete.
Si è evinto che lo stile di vita del paziente e le proprie abitudini influiscono sulla
36
percezione del bisogno di bere, per tanto è opportuno offrire ai malati delle strategie
personalizzate sulla base di una pianificazione assistenziale ben organizzata per meglio far
fronte a questa problematica. Sarebbe auspicabile estendere lo studio in un ottica di
collaborazione tra le Strutture Ospedaliere e il Servizio Infermieristico Domiciliare,
coinvolgendo quei pazienti in carico ad entrambi i servizi col fine di riuscire ad individuare
un modello secondo il quale possa essere possibile redigere un diario idrico del paziente.
Inoltre, potrebbe essere indicato intervenire con l’educazione terapeutica basandosi in
primo luogo sulle esigenze e le preferenze dei pazienti in termini di qualità dei liquidi, la
quantità degli stessi e la frequenza di assunzioni e, successivamente, sulle strategie cliniche
in ogni caso non trascurabili.
Infine si consiglia di considerare il contatto telefonico come una risorsa utile ad
incrementare la cooperazione tra professionisti sanitari e malati, contribuendo alla
riduzione dei sentimenti di ansia, preoccupazione e solitudine talvolta riferiti dai pazienti
stessi.
37
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http://www.salute.gov.it/dettaglio/pdPrimoPianoNew.jsp?id=77&sub=1 [Access date: 22
Febbraio 2013].
42
ALLEGATI
Allegato 1: consenso informato
Allegato 2: foglio illustrativo consegnato ai pazienti
Allegato 3: questionario
43
Allegato 1
Udine, li …………………………..
Gentile Signora, gentile Signore, mi chiamo Patrick Piras, sono uno studente del terzo anno
del Corso di Laurea in Infermieristica dell’Università degli Studi di Udine.
Per elaborare la tesi di laurea ho la necessità di effettuare una raccolta dati relativa al
vissuto dei pazienti affetti da scompenso cardiaco sottoposti a restrizione idrica. I dati che
raccoglierò saranno esclusivamente finalizzati allo studio per la tesi di laurea e ne sarà
garantito l’anonimato. La raccolta dati sarà effettuata in primo luogo in ambulatorio tramite
intervista e successivamente a domicilio tramite contatto telefonico.
A garanzia del rispetto dell'art. 26 del D.Lgs 196/2003 (Garanzie per i dati sensibili), si
assicura che i dati rilevati saranno oggetto di trattamento solo con il Suo consenso
nell'osservanza della suddetta legge.
La ringrazio per l’attenzione dedicatami.
Firma del Laureando ………………………………
CONSENSO ALLA PARTECIPAZIONE ALLA RACCOLTA DATI
(mediante intervista)
Io sottoscritto (Cognome e nome) …………………………………………… acconsento a
partecipare alla raccolta dati finalizzata alla tesi di laurea rispondendo alle domande
dell’intervista somministrata in ambulatorio e tramite contatto telefonico al numero
………………………………, con la consapevolezza che i dati raccolti saranno
esclusivamente finalizzati allo studio per la tesi di laurea e ne sarà garantito l’anonimato.
Firma …………………………………………………
44
CONSENSO AL TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI
Io sottoscritto (Cognome e nome) ………………………………………………………….
dichiaro di aver ricevuto le informazioni di cui all' art. 13 del D.Lgs 196/2003, in
particolare riguardo ai diritti a me riconosciuti dalla legge ex art. 7 del D.Lgs 196/2003,
acconsento al trattamento dei miei dati con le finalità e per le finalità indicate nell'
informativa stessa, comunque strettamente connesse e strumentali alla stesura della tesi dal
titolo “Prevenzione e trattamento della sete nel paziente con scompenso cardiaco:
confronto di due strategie nell’assunzione domiciliare di liquidi”.
Firma …………………………………………………
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Allegato 2
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Allegato 3
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49
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