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A SCUOLA DI EMOZIONI
Silvia Masci A SCUOLA DI EMOZIONI Insegnanti e genitori ascoltano gli adolescenti ARMANDO EDITORE Sommario Introduzione di DONATA FRANCESCATO 9 Premessa 17 1. Considerazioni 21 Una scuola attenta ai cambiamenti Le relazioni tra insegnanti e genitori Educhiamo ad ascoltare Al centro c’è l’individualità 2. L’adolescenza Nel regno dei sentimenti e delle emozioni Ascoltare, una forza creativa La scuola palestra di vita Le immagini della nostra psiche Chi sono gli adolescenti? Incontrarsi per la prima volta I ricordi dell’adolescenza Gli adulti autorevoli La curiosità L’impegno educativo 21 24 27 30 37 37 39 43 46 48 54 57 59 62 66 Sullo sfondo, la noia Pensare al futuro Ragione e passione 68 73 77 3. Le emozioni in adolescenza 83 …alla scoperta delle emozioni Gioia Tristezza Preoccupazione e paura Rabbia Imbarazzo e vergogna Gelosia e invidia 83 4. Un percorso educativo: diciotto tappe per conoscere le emozioni Un percorso educativo Prima tappa: riconoscere le diverse emozioni Seconda tappa: i pensieri e le emozioni Terza tappa: emozioni piacevoli o spiacevoli? Quarta tappa: l’empatia nelle relazioni Quinta tappa: le relazioni fra pari Sesta tappa: i rapporti d’amicizia Settima tappa: la famiglia Ottava tappa: riconoscere e rispondere ai bisogni in famiglia Nona tappa: l’innamoramento e l’amore in adolescenza Decima tappa: ascoltare i segnali del corpo Undicesima tappa: cogliere l’essenza della vita Dodicesima tappa: imparare a scegliere Tredicesima tappa: imparare a tollerare le frustrazioni Quattordicesima tappa: accettarsi e piacersi Quindicesima tappa: aprirsi agli altri 84 88 94 100 106 111 115 115 117 118 120 123 123 124 126 128 128 131 133 134 135 137 139 Sedicesima tappa: esprimere le emozioni Diciassettesima tappa: sviluppare la creatività Diciottesima tappa: pensare al futuro 141 142 142 Bibliografia 145 Appendice 153 Ringraziamenti 155 Introduzione DONATA FRANCESCATO1 «Occuparsi delle emozioni, un primo passo di un percorso complesso per promuovere l’empowerment degli adolescenti…». Il libro di Silvia Masci è un testo poetico che rivela la passione dell’autrice per gli adolescenti e il suo forte desiderio di aiutare genitori, insegnanti e ragazzi a trasformare la scuola in un luogo di incontro e dialogo tra le generazioni, mettendo le emozioni al centro del processo educativo. Educare, sottolinea giustamente Silvia Masci, significa «promuovere la crescita, stimolando le capacità e le attitudini della persona, aiutandola nel suo sviluppo emotivo, rendendola capace di non fuggire dalle incertezze e incoraggiandola ad affrontare la realtà, così complessa, con i propri limiti e le proprie risorse. Non a caso, alla scuola viene richiesto di essere, oltre che un luogo di elaborazione culturale e intellettuale, uno spazio per esprimersi, tessere relazioni, confrontare esperienze ed emozioni, in modo da assumere quell’affascinante compito di educare istruendo e di istruire educando». 1 Ordinario di Psicologia di comunità alla “Sapienza” Università di Roma. 9 Inoltre la scuola, scrive Silvia Masci, «rappresenta fin dall’infanzia un luogo privilegiato, sia perché costituisce la prima esperienza di allontanamento dalla famiglia, sia perché favorisce la socializzazione. È a scuola che si impara a stare con i coetanei – fonte di gioco ma anche di confronto sul piano delle capacità relazionali e intellettuali –, è a scuola che si apprende l’obbedienza alle regole degli adulti. Ciò è inevitabile in quanto bambini e ragazzi vi trascorrono molto del loro tempo e lì interagiscono, si confrontano, stabiliscono relazioni, acquisiscono molto più di quanto contenuto nelle lezioni che vengono loro impartite». Infatti la scuola non è «solo il luogo nel quale si apprendono nozioni, ma anche quello in cui si creano nuove esperienze, conoscenze e si stabiliscono affetti. Perché allora non parlare delle emozioni? Non nei corridoi, non dentro i bagni, non nei minuti rubati, non durante la ricreazione o la settimana bianca, ma durante le lezioni. Finché i sentimenti sono relegati in un diario, in un blog o in una parte segreta, gli adulti non potranno mai aiutare i ragazzi a capire cosa sta succedendo dentro di loro e fornire i mezzi per affrontare le diverse esperienze interiori. Il silenzio espone i ragazzi a paure, ansie, sensi di colpa che rischiano di contribuire negativamente allo sviluppo della personalità. C’è quindi bisogno di spazi e di tempi per permettere loro di parlare di quello che sentono, per meglio comprendersi e accettarsi, perché la storia affettiva e la quotidianità emozionale sono parte fondamentale e strategica della crescita». Il libro di Silvia Masci offre concreti suggerimenti su come creare spazi e tempi per parlare d’emozioni a scuola, proponendo anche nell’ultima parte del testo un affascinante percorso educativo a 18 tappe che gli insegnanti possono intraprendere con i loro allievi in classe per aiutarli a riconoscere diverse emozioni piacevoli e spiacevoli, come la gioia, l’entusiasmo, la tristezza, la rabbia, 10 l’invidia e la gelosia, la paura, l’imbarazzo, la vergogna e la noia. A riflettere sulle relazioni tra i pari, sulle varie tipologie di amicizie, sui rapporti familiari e sui primi amori adolescenziali. Particolarmente interessanti le fasi del percorso che aiutano gli adolescenti a ripensare il rapporto con il proprio corpo che cambia, a imparare a scegliere, a tollerare le frustrazioni, ad accettarsi e piacersi e ad aprirsi agli altri. Il libro è ricco di spunti su come, durante l’attuazione dei normali programmi didattici, si possano introdurre momenti in cui incoraggiare i ragazzi a esprimere le proprie emozioni, ad esempio scrivendo poesie o utilizzando foto e immagini che nel libro vengono ampiamente citati. L’autrice privilegia infatti un approccio “narrativo”, dando largo spazio a ricordi personali e a poesie e scritti di adolescenti, che rendono agevole e gradevolissima la lettura. Tuttavia, occuparsi delle emozioni costituisce solo un primo passo di un percorso complesso per promuovere l’empowerment degli adolescenti e fornire loro la possibilità di avere una misura di controllo sulle loro vite. Studi psicosociali d’ispirazione naturalistica-positivista documentano quanto sia accresciuta oggi l’importanza dei media sullo sviluppo dell’identità, dei valori e dei desideri degli adolescenti. Pertanto altri strumenti di intervento elaborati dagli psicologi di comunità possono aiutare insegnanti, genitori e allievi ad aumentare il loro empowerment e a non temere il cambiamento, ma a percepirlo – come ben scrive l’autrice – come «un’occasione per leggere in modo critico la realtà e trasformarla secondo le esigenze della scuola e della società». La psicologia di comunità, infatti, esplora i legami tra sfera individuale e collettiva e le influenze reciproche fra psicologico e sociale e fra pubblico e privato. La malinconia e l’ansia che emanano da alcune delle commoventi poesie che appaiono in questo libro 11 esprimono certo sentimenti ed emozioni private di alcuni adolescenti, ma la loro paura del futuro è generata anche dall’attuale livello di disoccupazione giovanile, cioè dai mutamenti in corso nel mondo che li circonda. Aumentare l’empowerment degli adolescenti, ma anche degli adulti che li educano, significa alimentare in loro la tendenza alla speranza, all’ottimismo e migliorare le loro capacità di porsi mete personali e di raggiungerle, come viene sottolineato dall’autrice. Ma anche accrescere il loro empowerment socio-politico, aiutandoli a sentirsi cittadini che contano, e a trovare nuovi obiettivi e significati per la propria vita. È cruciale offrire ai ragazzi strumenti per capire i contesti ambientali che li circondano: dai piccoli gruppi in cui sono inseriti (il gruppo classe, ma anche i gruppi amicali, sportivi) alle organizzazioni di cui fanno parte, alle comunità locali in cui vivono e ai media di cui usufruiscono ogni giorno. In un mondo di continui mutamenti, accrescere la conoscenza dei contesti, la capacità di attivazione personale e, con esse, le abilità di scelta aiuta a fronteggiare con maggior efficacia le diverse esperienze di adattamento e transizione. Gli psicologi hanno così sviluppato una varietà di metodologie che possono essere facilmente apprese per capire i punti di forza e le aree problematiche dei contesti ambientali e massmediologici in cui viviamo, per saper cogliere le opportunità che offrono e attivarsi con altri per risolvere i problemi, prendendoci cura dei luoghi in cui viviamo. Ad esempio, l’Analisi Organizzativa Multidimensionale (AOM) permette di valutare in modo creativo e partecipativo, da quattro punti di vista diversi – dall’economico-strategico al funzionale, dallo psico-ambientale all’emotivo-culturale – lo “stato di salute” delle organizzazioni in cui studiamo, lavoriamo, ci divertiamo o facciamo volontariato. Questa metodologia – che utilizza per esaminare le dimensioni emotiva e culturale tecniche originali e 12 appassionanti come fare la sceneggiatura di un film sulla propria organizzazione e altre metodiche narrative e teatrali – può essere utile a ragazzi e insegnanti per capire se la loro scuola rappresenta un contesto empowering, che aumenta il loro benessere o al contrario un luogo disempowering, che li fa ammalare, deprimere e toglie agli uni e agli altri il piacere di imparare e creare. Ma essa è utile anche per apprendere come andare d’accordo con colleghi e superiori; come affrontare situazioni conflittuali; come decidere se rimanere o cambiare scuola o lavoro, se andare in pensione o iniziare un’attività in proprio. L’analisi organizzativa multidimensionale è stata così promossa in scuole di ogni ordine e grado, dalle materne all’università. Studenti, professori, personale non docente e genitori hanno trovato insieme soluzioni innovative ai loro problemi e migliorato l’empowerment della scuola e il loro benessere (Francescato, Tomai, Mebane 2004, Francescato et al. 2010). Ma molte AOM sono state fatte negli ospedali e servizi sociosanitari territoriali, nel privato sociale, in grandi aziende, in piccole e medie imprese tra le quali quelle a conduzione familiare che dovevano affrontare il passaggio di generazione (Francescato, Tomai, Solimeno 2008, Morganti 1998). La formazione empowering (Bruscaglione 2007, Francescato 2010) è forse lo strumento più efficace per esaminare l’influenza dei media e dei contesti culturali anche virtuali, oggi sempre più variegati e accessibili a tutti tramite i nuovi smartphones e internet. La formazione empowering favorisce un processo di acquisizione di potere effettuata attraverso l’accrescimento nell’individuo della capacità di controllare attivamente la propria vita e di influenzare le decisioni attuando azioni nei contesti ambientali utili al raggiungimento dei risultati desiderati. Questa prevede diverse fasi. In una prima fase si esplora il pas13 sato personale e del proprio ambiente di provenienza per far emergere desideri e affrontare nodi problematici. Si dà molto spazio all’esplorazione delle emozioni positive che promuovono l’empowerment e delle emozioni negative che possono ostacolare i mutamenti desiderabili, come previsto anche nel percorso descritto in questo libro da Silvia Masci. Alcuni strumenti operativi utilizzati in questa fase sono: – il romanzo familiare, attraverso il quale ciascun partecipante può far emergere i ricordi/pensieri negativi e positivi del proprio passato nei rapporti con la propria famiglia; – il romanzo scolastico lavorativo, attraverso il quale è possibile riesaminare il proprio percorso scolastico e/o lavorativo, i sogni, le delusioni e le attese realizzate e non; – lo sceneggiato dei futuri possibili, che comprende l’utilizzo di una varietà di tecniche narrative per aiutare i partecipanti a riscoprire i loro desideri prioritari rispetto agli ambiti: lavorativi, affettivi e familiari, attività di tempo libero, impegno politico-sociale, aspetto fisico e salute. Particolare rilevanza viene data all’esame delle influenze positive e negative dei media su valori, desideri e sulla costruzione del nostro patrimonio emotivo individuale e generazionale. A questo scopo vengono utilizzati il romanzo mediatico personale, consistente nell’analisi dei media maggiormente seguiti/utilizzati in diverse fasi della vita, per ricercare conferme sulle proprie paure e ansie, sui propri desideri e sui modelli comportamentali adottati. Per capire invece come i media abbiano influenzato il nostro immaginario erotico e le prime esperienze sessuali e sentimentali si esamina il romanzo mediatico generazionale (i film, le canzoni, le trasmissioni televisive dell’epoca storica in cui si è vissuta la propria adolescenza). 14 L’uso di questi strumenti permette di rintracciare la genesi del nostro modo di vivere le emozioni negative come rabbia, ira, vergogna, e invidia; di liberarci dell’influenza di alcune “frasi killer” della nostra autostima pronunciate da figure chiave come genitori, professori o amici. Soprattutto di capire quali sono i nostri desideri più autentici, depurati da condizionamenti mediatici. In una seconda fase, la formazione empowering prevede che ogni persona faccia un bilancio di competenze. Si tratta di una tecnica di orientamento che ha lo scopo di aiutare a fare il punto su se stessi, rilevando capacità acquisite, esperienze maturate, interessi, attitudini e aspirazioni spesso inespresse e quindi sconosciute allo stesso soggetto. Esso rappresenta un percorso di valutazione della situazione attuale e potenziale, che si conclude con l’elaborazione di un progetto che consenta lo sviluppo professionale e personale. Scopo della terza fase è quello di sottolineare l’importanza delle interazioni reciproche tra individui e sistemi sociali nel promuovere empowerment o frustrazione, impotenza e rassegnazione. A tal fine si chiede ai partecipanti di rappresentare la propria rete sociale evidenziando i sistemi in cui sono inseriti e di analizzare ampiezza, densità, rete, opportunità, richieste, vincoli che ogni sistema chiede e offre loro, il grado di accordo psicosociale in essi sperimentato, i tipi di potere esercitati su di loro e da loro su altri. Il percorso empowering prosegue fornendo effettivi ed efficaci strumenti per “conoscere il mondo”; principalmente per imparare a “leggere” i territori in cui una persona vive, utilizzando versioni ridotte delle tecniche di analisi dei piccoli gruppi, l’AOM e i profili di comunità sono in grado di individuare i problemi e i punti di forza dei vari contesti ambientali in cui è inserita. Nella quarta e ultima fase si cerca di individuare il grado di congruenza tra i desideri individuali e/o organizzativi e le richieste dei contesti di appartenenza. Si confrontano desideri e limiti personali, 15 da una parte le opportunità e vincoli ambientali, dall’altra si ridisegna e riprogetta il proprio futuro e si programmano le prime azioni coerenti da compiere per raggiungere i mutamenti desiderati, anche sviluppando la propria rete personale di contatti che possono essere d’aiuto nel processo di cambiamento auspicato. In quest’ultima fase si realizza un’analisi tra esterno e interno, tra individuo e contesto/i di appartenenza (gruppo, organizzazione, comunità), al fine di aiutare persone e organizzazioni a individuare con maggiore chiarezza spazi di azione possibili. Questa fase utilizza gli elementi e le informazioni derivate dal lavoro nelle fasi precedenti e ne promuove una sintesi creativa: i partecipanti al percorso empowering sono incoraggiati a scoprire, tramite strumenti ed esercitazioni specifiche, la congruenza tra aspirazioni, desideri, paure, competenze specifiche individuali (lavoro della prima e seconda fase) da un lato, e opportunità e vincoli ambientali dall’altro (elementi emersi nella terza fase). L’intento, ambizioso, è quello di mettere a fuoco – tra il desiderio e la rinuncia, tra il volere e il dovere, tra l’impotenza e l’onnipotenza – lo spazio riservato al “possibile”. La formazione svolge, in questo modo, fino in fondo la sua funzione di “possibilitazione” proposta da Bruscaglioni (2007), lasciando i suoi destinatari non solo rinnovati nella loro dimensione desiderante e consapevoli di avere possibilità di scelta e realizzazione di progetti di cambiamento e miglioramento che li riguardano, ma anche accompagnati nell’orientamento verso alcune delle opzioni possibili, costruite attraverso un percorso di sperimentazione e riflessione condiviso. 16 Premessa Scrivere queste pagine è stato per me un grande piacere. Mi sono offerta uno spazio e un tempo per pensare e ripercorrere con la memoria la mia storia personale e professionale. Un’occasione che mi ha permesso, attraverso la pratica lavorativa, di analizzare più attentamente la natura del disagio dei giovani e il significato delle loro manifestazioni comportamentali. Mi sono rivista ragazzina delle medie e delle superiori con tutti i ricordi e le emozioni di quell’età per poi calarmi nel mondo degli adolescenti. Ritornare nel passato e confrontarmi con i ragazzi di oggi ha confermato l’idea che i cambiamenti e le trasformazioni avvenute nell’arco di un trentennio sono proprio evidenti. I tempi sono cambiati e richiedono modalità diverse per affrontare le problematiche di questa età, ma se leggiamo attentamente tra le righe è sempre presente lo stesso bisogno: essere ascoltati e visti per quello che si è. Un bisogno che poi, di riflesso, è un bisogno sociale espresso dai molteplici interventi educativi, rivolti sia ai genitori sia agli insegnanti. Oggi, infatti, più amministrazioni comunali inseriscono nei “Progetti per gli adolescenti” attività formative come supporti preziosi per una promozione dell’agio in adolescenza. Occasioni, queste, che permettono agli educatori di riflettere sugli atteggiamenti degli adolescenti, sui loro comporta17 menti e sui modelli a cui fanno riferimento per poter migliorare la relazione affettiva. L’adolescente ricerca nell’adulto, a cui fa riferimento, un sostegno alla sua crescita; un sostegno che non può essere delegato ai coetanei perché è parte integrante delle funzioni che solo un adulto può svolgere. Proprio in questo periodo gli adolescenti chiedono di essere contemporaneamente guidati, ascoltati, tenuti al centro dell’attenzione ed aiutati a crescere. Si aspettano dai genitori e dagli insegnanti quella guida e quei punti di riferimento offerti con discrezione, per evitare intrusioni e sostituzioni al loro agire. Un incoraggiamento che parla di fiducia nell’altro, una comunicazione attenta ai bisogni e ai sentimenti. I ragazzi cercano adulti competenti e fiduciosi nel futuro; non vogliono persone distratte e, soprattutto, non vogliono essere lasciati soli. Evitiamo di deluderli e di bloccarli con i nostri timori. Insieme a loro, cerchiamo invece di esplorare nuove strade della creatività per sviluppare competenze che facilitino il superamento dei compiti di sviluppo. Spero che queste pagine possano diventare degli spunti di riflessione anche per gli insegnanti intenzionati ad intraprendere un percorso didattico che presti una maggiore attenzione alla sfera emozionale. Capire le emozioni diventa un’opportunità per comprendere le proprie reazioni e il comportamento altrui. Imparare a gestirle permetterà di affrontare la vita con maggiore consapevolezza. Nella relazione insegnanti e studenti, in modo particolare durante l’adolescenza, diventa fondamentale tenere in considerazione i rispettivi vissuti emozionali. La responsabilità della crescita educativa, da una parte, ed il continuo confronto con le proprie capacità dall’altra generano spesso un livello di attivazione emotiva elevato che se non viene gestito adeguatamente può compromettere il processo di insegnamento-apprendimento. 18 Il testo parte da alcune considerazioni sull’educazione, compito sia della scuola che della famiglia in un costante rapporto di sinergia e sulle recenti scoperte scientifiche, per poi sviluppare un’analisi delle principali emozioni attraverso il punto di vista degli adolescenti. Sostiene, inoltre, l’importanza di saper ascoltare le emozioni proprie ed altrui per riuscire a capire il significato di ciò che si sta provando e di conseguenza mettere in atto azioni volte a gestire in modo adeguato le situazioni. Introduco ogni argomento con la testimonianza di alcuni ragazzi (versi e pensieri), poesie recuperate da un libro ormai decennale, frutto di una collaborazione tra le istituzioni scolastiche e l’Azienda dei Servizi sanitari n. 6 del Friuli Venezia Giulia, per rendere visibile la ricchezza del mondo interiore degli adolescenti, per poi immergermi nella mia esperienza passata alla riscoperta delle mie emozioni. In questo modo, voglio comunicare quanto sia importante riconoscere ciò che si prova in ogni esperienza di vita. Ognuno, sia esso genitore o insegnante o adolescente, dovrebbe confrontarsi con i sentimenti e con una gamma diversificata di emozioni. Imparare a individuarle, gestendole senza reprimerle, permette di migliorare la qualità della relazione. Nell’affrontare le diverse tematiche si utilizzano con scopi distinti due linguaggi, uno che si può definire razionale per la sua azione teorica e l’altro invece affettivo perché segue il flusso delle emozioni e degli stati d’animo. Due linguaggi che si connettono, si intrecciano e si influenzano reciprocamente. L’ultima parte “Un percorso educativo: diciotto tappe per conoscere le emozioni” è finalizzata ad offrire agli insegnanti o ai genitori alcuni stimoli per affrontare gli aspetti emozionali degli adolescenti attraverso discussioni che potranno, in un percorso guidato, far vivere o ri-vivere il piacere di istruire-educando attraverso una vicinanza affettiva. 19 1. Considerazioni Una scuola attenta ai cambiamenti «I ragazzi sono cambiati, la scuola non è più quella di una volta. Programmi sempre più intensi, nuovi argomenti da affrontare: cittadinanza attiva, educazione sessuale, stradale e all’immagine, promozione della salute e prevenzione del disagio scolastico… Tutto è più complesso e faticoso… Ci chiede sempre di più… Non riusciamo più a insegnare come vorremmo… La scuola ormai è diventata un distributore…» (un insegnante). Verso una rete per condividere le emozioni di fronte ai cambiamenti: programmi più intensi, argomenti innovativi, società in evoluzione, accrescono notevolmente il carico di lavoro dei docenti. La scuola italiana è teatro di numerosi cambiamenti legati alla presa di coscienza della crescente complessità della società odierna. Lo scopo del Ministero della Pubblica Istruzione è quello di formare i giovani come persone e come cittadini, al fine di aiutarli a realizzare al meglio il loro progetto di vita. Nel nuovo disegno istituzionale che promuove l’autonomia scolastica, la scuola è vista come un’organizzazione dinamica chiamata a favorire l’apprendi21 mento e la formazione degli allievi attraverso una progettazione collettiva e rispondente ai bisogni specifici del territorio. Questo mandato, per essere attuato in modo attento e tempestivo, necessita delle capacità del personale docente e non di interagire attivamente con i colleghi, gli studenti, le famiglie e gli altri professionisti, in modo tale da strutturare interventi mirati e flessibili. Tutti questi cambiamenti, pur destando interesse, proprio in quanto richiedono di realizzare qualcosa di nuovo e ancora ignoto possono generare vissuti di inadeguatezza, impotenza e rabbia che molto spesso sono difficili da tollerare. Il processo educativo è molto di più di una semplice trasmissione di conoscenze e teorie; comprende infatti una profonda attenzione verso gli aspetti relazionali e una certa responsabilità verso l’avvenire dei giovani. In questa panoramica, la figura del docente è sovraccaricata di nuovi compiti e doveri. I ritmi di lavoro sono divenuti insostenibili e le attività da svolgere sono talmente numerose che l’insegnamento si sta trasformando in una corsa contro il tempo. Per di più, la complessità relazionale e psicologica che caratterizza il ruolo del docente spesso non viene riconosciuta. Assenteismo, demotivazione e conflittualità con allievi e colleghi non sono altro che l’espressione delle ansie lavorative, del timore di non riuscire a svolgere il proprio compito in modo adeguato. Ciò va ad alimentare un atteggiamento di chiusura verso ogni tipo di cambiamento che mette a rischio la sicurezza e la tranquillità derivanti dalle prassi e dalle procedure consuete. Esse offrono elementi di prevedibilità che aiutano i docenti a tollerare l’ansia legata alla responsabilità educativa sentendosi meno vulnerabili e meno esposti ad esiti negativi. Spesso gli insegnanti sono lasciati soli nel loro percorso professionale e, di giorno in giorno, vivono le difficoltà associate al 22 contenimento e alla gestione delle emozioni che il loro lavoro comporta. Rimangono quindi un diffuso pessimismo, rassegnata impotenza e, a volte, voglia di abbandonare il campo. Ancora oggi non sempre si usa un metodo efficace per gestire le tensioni emotive, spesso inconsce, che sono sottese a tutte le relazioni umane e che ne costituiscono il vero problema. In particolare nelle fasi di cambiamento, quando la tensione lavorativa è più intensa, le difficoltà relazionali giungono a una fase acuta. Spesso in questi momenti, all’interno della scuola, non è possibile trovare uno spazio fisico e mentale di ascolto e condivisione che permetta di far emergere i vissuti e i sentimenti di inadeguatezza e di rabbia. I cambiamenti che vengono introdotti nella scuola rispecchiano la necessità di adeguarsi al processo di continua evoluzione della società. Un atteggiamento di rifiuto verso questi elementi non farà altro che ostacolare la crescita dei giovani impedendo una formazione adeguata. D’altra parte, anche l’adattamento passivo non rappresenta una strategia adattiva per il benessere della scuola e dei ragazzi. Il cambiamento, pur essendo un fenomeno che rischia di destabilizzare la situazione, non va temuto ma colto come un’occasione per leggere in modo critico la realtà e trasformarla secondo le esigenze della scuola e della società. Ogni istituzione che si occupa della salute psichica delle persone dovrebbe esplorare le proprie modalità relazionali per poterle comprendere ed eventualmente trasformarle. È necessario, quindi, creare uno spazio in cui i docenti possano esprimere la propria ansia e i propri sentimenti, elaborandoli attraverso il confronto e la discussione con i colleghi. Una opportunità per scambiare le proprie esperienze e i propri vissuti, per non sentirsi soli di fronte al cambiamento. In questo modo i docenti diventeranno consapevoli che i sentimenti di inadeguatezza e impotenza non sono solo personali, ma spesso comuni 23 tra i colleghi. Gli sforzi individuali, pur lodevoli, non lasceranno che poche tracce. Invece un clima di collaborazione, di fiducia reciproca e di confronto autentico permetteranno di gestire le trasformazioni in atto e le tensioni che ne conseguono in un modo più funzionale al raggiungimento degli obiettivi educativi mantenendo saldo anche il proprio senso di sé. Nelle scuole dove il confronto e la riflessione sono riconosciuti come strategie basilari vengono infatti organizzati dei corsi formativi per docenti. Attraverso queste attività gli insegnanti hanno la possibilità di rafforzare le loro strategie educative, l’autorevolezza, vivendo quindi confronti realistici e ottenendo risultati efficaci. Essere responsabili della crescita di un’altra persona significa osservare cambiamenti, progressi e regressioni non sempre prevedibili e controllabili. Accettare di affrontare in modo critico le trasformazioni, invece di bloccare ogni nuova progettualità, è il primo passo verso la realizzazione di un processo educativo rispondente alla complessità della società odierna. Le relazioni tra insegnanti e genitori «Quando l’insegnante offende mio figlio è per me una ferita. Quando invece lo elogia mi fa volare» (un genitore). «I genitori sanno solo difendere ad oltranza i loro figli e criticare gli insegnanti» (un insegnante). Una nuova qualità relazionale tra scuola e famiglia è un aspetto di cruciale rilevanza al fine di accompagnare i ragazzi in modo 24 attivo e costruttivo nel processo di crescita e di conquista della maturità. Sebbene negli ultimi anni, anche a livello legislativo, sia stata evidenziata l’esigenza di un maggior coinvolgimento della famiglia nelle attività di formazione del figlio, allo stato attuale i rapporti tra insegnanti e genitori continuano a essere sporadici e spesso connotati da critiche. Queste difficoltà relazionali traggono origine da un atteggiamento valutativo reciproco che impedisce di vivere i momenti di incontro come occasioni utili ai fini di un confronto autentico e di riflessione. Da una parte, i genitori a volte accusano gli insegnanti di non essere sufficientemente preparati o di avere pregiudizi; dall’altra, gli insegnanti incolpano i genitori di non dedicare abbastanza tempo all’educazione del figlio o di essere troppo di parte. Simili messaggi, più o meno espliciti, nascono dal timore spesso inconscio che il proprio ruolo di educatore (professionista nel caso dell’insegnante e naturale nel caso del genitore) venga messo in discussione. Conflitti e colloqui brevi non sono altro che tentativi di contrastare l’ansia e la paura del confronto, di nascondere le emozioni. Le tensioni che sottostanno alle relazioni scuola-famiglia, se pur mascherate, influiscono negativamente sulla comunicazione. Ogni scambio verbale, infatti, oltre ad un messaggio esplicito, porta con sé un significato implicito. Gesti, espressioni del volto, postura, sguardo, tono e volume della voce costituiscono una forma di comunicazione non verbale molto forte che esprime emozioni e sensazioni spesso in netta contrapposizione con il messaggio dichiarato. Il ruolo dell’insegnante nel condurre il colloquio con i genitori è molto complesso, in quanto richiede una profonda attenzione a 25 molti aspetti che potrebbero generare fraintendimenti ed equivoci, ma anche ferire. A volte il genitore avverte le parole dell’insegnante, che esprimono un giudizio sulle prestazioni del ragazzo, come una valutazione sul proprio operato. Le difficoltà di apprendimento e di adattamento scolastico vengono talvolta vissute come un fallimento nella gestione del ruolo genitoriale e generano spesso sensi di colpa e di inadeguatezza che possono portare a una chiusura verso ogni genere di confronto. Una mancata elaborazione del profondo disagio emotivo dei genitori potrebbe nel tempo ripercuotersi in modo negativo non solo sul rapporto con la scuola, ma anche sulla relazione con il figlio. È così che le difficoltà di comunicazione e la mancanza di un scambio autentico fanno sì che l’allievo descritto dagli insegnanti sia spesso molto diverso dalla rappresentazione che i genitori hanno del proprio figlio, a causa di una carenza di integrazione tra le due differenti prospettive di osservazione, frutto di interazioni e di un coinvolgimento emotivo diversi. Quel ragazzo che vedono prevalentemente come figlio o come allievo è in realtà una persona unica che interagisce al tempo stesso con la famiglia e la scuola. Entrambi i contesti influiranno, positivamente o negativamente, sul suo processo di crescita, agendo in modo complementare. È evidente a questo punto che la loro collaborazione è indispensabile per aiutare il figlio-allievo a maturare secondo principi coerenti e in sintonia nella gestione delle proprie emozioni. È necessario che il genitore sia considerato come un partner nel processo educativo e che assuma la consapevole responsabilità di contribuire attivamente e con competenza all’elaborazione del Piano dell’Offerta Formativa della Scuola. Un approccio basato sul rispetto reciproco degli interlocutori e sul riconoscimento delle diversità dei rispettivi ruoli potrà evitare sentimenti di inadeguatezza. L’interazione con la famiglia può of26 frire la possibilità di costruire un quadro più completo della personalità dell’alunno e di comprendere se siano presenti particolari dinamiche relazionali che possano influire sull’approccio del ragazzo con il contesto scolastico e con l’apprendimento. Insegnanti in grado di gestire le proprie emozioni e aiutare poi il genitore o alunno a riconoscerle e ad affrontarle rappresentano uno strumento indispensabile per contribuire alla creazione di un buon ambiente di crescita. L’obiettivo è quello di realizzare una forma di comunicazione basata sulla fiducia reciproca, sul rispetto delle idee, delle diversità e della sensibilità individuale. Così facendo, scuola e famiglia contribuiranno congiuntamente a costruire uno dei determinanti fondamentali dello sviluppo dei ragazzi: la coerenza tra i contesti di vita. Educhiamo ad ascoltare «La capacità di riconoscere le emozioni permette di acquisire la sensibilità giusta per sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda degli altri» (un insegnante). In una civiltà come la nostra, impostata sul primato della ragione, spesso educare ad ascoltare le emozioni è considerato con timore o ritenuto superfluo. Se la ragione promette all’uomo il dominio su se stesso e sulle cose, le emozioni producono turbamento e conflitto: non sono mai totalmente controllabili e a volte inducono a dire o fare cose di cui, una volta cessato l’impeto emotivo, ci si pente. Eppure, sono le 27 emozioni che fanno apprezzare la vita ed è proprio dalle emozioni, piccole o grandi, che l’individuo ricava nuovi stimoli per rendere le sue giornate più intense. Come si potrebbe dire di vivere appieno se non si sperimentassero mai il peso e il dolore provocati dalla sofferenza, il tremito dello smarrimento o della paura, l’abbandono alla nostalgia, la gioia o l’entusiasmo delle passioni? Purtroppo esistono pochi luoghi nella nostra società dove si sente di poter esprimere i propri sentimenti, piangere, parlare delle proprie gioie, sogni, paure e dolori. La maggior parte degli individui tiene tutto dentro di sé, per vergogna, per timore di non essere compresi o semplicemente perché ciò che si prova rappresenta spesso una realtà che non piace. Si cerca così di nascondere le emozioni, di mascherarle o renderle socialmente accettabili. Mettere a tacere l’essere interiore significa far abdicare una parte della nostra libertà. Le emozioni hanno bisogno di emergere, se si soffocano, opprimono. Si può riuscire a mettere in disparte le angosce per un po’ di tempo, ma un giorno o l’altro esse riemergeranno. Ogni paura o vergogna che non ha potuto essere affrontata, o che nessuno ha voluto ascoltare, sarà ancora presente in noi e sarà pronta a manifestarsi alla prima occasione che somigli, più o meno, a quella che ha originato l’emozione iniziale. Una reazione oggi spropositata può sottolineare il ricordo di un avvenimento represso in un angolino del nostro cervello. Quando infatti non si riesce a esternare i bisogni e le frustrazioni al momento giusto, il risentimento si costruisce, i non detti e i piccoli rancori si accumulano, per poi esplodere. La scuola non è solo il luogo nel quale si apprendono nozioni ma anche quello in cui si creano nuove esperienze, conoscenze e si stabiliscono affetti. Perché allora non parlare delle emozioni? Non nei corridoi, non dentro i bagni, non nei minuti rubati, non durante la ricreazione o la settimana bianca, ma durante le lezioni. Finché i 28 sentimenti sono relegati in un diario, in un blog, o in una parte segreta, gli adulti non potranno mai aiutare i ragazzi a capire cosa sta succedendo dentro di loro e fornire i mezzi per affrontare le diverse esperienze interiori. Il silenzio espone i ragazzi a paure, ansie, sensi di colpa che rischiano di contribuire negativamente allo sviluppo della personalità. C’è quindi bisogno di spazi e di tempi per permettere ai ragazzi di parlare di quello che sentono, per meglio comprendersi e accettarsi, perché la storia affettiva e la quotidianità emozionale sono parte fondamentale e strategica della crescita. «Noi non possiamo più accontentarci di una vita dove il cuore ha le proprie ragioni che la ragione non conosce – come scrive Bruno Bettelheim in Il cuore vigile – I nostri cuori devono conoscere il mondo della ragione e la ragione deve avere per guida un cuore cosciente». Riempiamo di senso la nostra vita, impariamo ad essere il più possibile noi stessi, a trovare il posto che più ci si addice. Aggiungere all’intelligenza della ragione quella del cuore è la sfida di oggi. Tutti noi possiamo avvicinarci al mondo interiore degli adolescenti attraverso aree di attività in cui gli adolescenti vengano guidati a osservare le emozioni, i sentimenti e i propri modi di mettersi in relazione con gli altri. La lettura e il commento di testi letterari, di quotidiani e le discussioni in classe su temi strutturati possono aiutare a evidenziare stati d’animo, affetti e passioni. È importante, ad esempio, che l’insegnante non abbia solo competenze tecniche, ma sia capace di sostenere certi argomenti e sappia preparare i ragazzi ad affrontare la vita. Nei diversi capitoli di questo libro sono state inserite alcune 29 poesie di studenti di varie scuole medie superiori. Le poesie sono state scritte per essere lette, per comunicare bisogni, problemi, pensieri, sentimenti di angoscia come di gioia, di delusione come di speranza e ottimismo. Gli insegnanti potrebbero proprio proporre ai ragazzi di scrivere delle poesie per dare voce al loro mondo interiore. La scrittura, e soprattutto la poesia, è infatti un tentativo di dare forma ai turbamenti e ai conflitti tipici del periodo che l’adolescente sta vivendo, organizzandoli in modo che siano rappresentabili e condivisibili con gli altri. Un percorso ignoto, a volte, all’adolescente ma anche all’adulto. Tante possono essere le strade della creatività per aprirsi e aprire gli alunni alle emozioni attraverso progetti strutturati in funzione dei livelli scolastici. Ritrovarsi come gruppo insegnanti all’interno di un consiglio di classe che vuole umanizzare le materie significa creare insieme momenti di discussione nei quali la sfera emotiva diventa il motore che dà energia alle diverse materie didattiche, ma anche alle relazioni tra i colleghi e le famiglie degli studenti. Al centro c’è l’individualità «Ogni cosa è profondamente intrecciata con le altre; è sacro il filo che tiene legate le cose. Nessuna, certamente, può dirsi estranea a un’altra» (Marco Aurelio). Al centro c’è l’individualità: le nuove scienze lo dimostrano. I vari studi sulla medicina olistica, sull’epigenetica, sulla salutogenesi, sulle neuroscienze, sulle differenze di genere, sulle emozioni, sulla psicologia, sull’antropologia, sulla pedagogia e sull’in30 fluenza dell’ambiente sociale sono solo alcuni esempi per far cogliere il filo comune che le unisce. Siamo tutti simili e anche tutti diversi. La consapevolezza della nostra realtà è il prodotto della nostra evoluzione biologica e culturale insieme. Che cosa mantiene le persone in salute? Come si diventa tolleranti verso le frustrazioni, verso lo stress, sviluppando un carattere stabile? Di che cosa è capace il nostro cervello? Sono domande che incuriosiscono non solo il mondo accademico, ma anche chi vuole saperne di più sulla mente umana e sui risultati scientifici per star bene. Tra i diversi studi c’è un indirizzo di ricerca, la salutogenesi, che si occupa di studiare le fonti della salute fisica, psichica e spirituale. Il termine “salutogenesi” è formato dalla parola latina salus, salutis = salute, e dalla parola greca genesi = origine, inizio, derivazione. La salutogenesi si occupa quindi delle “cause” della salute. I medici e gli psicologi non si orientano più a comprendere solo i meccanismi che generano le malattie e come influenzarli, ma si interrogano anche su cosa ha protetto chi non si è ammalato e quali fonti di salute hanno agito. Il modello bio-psico-sociale, introdotto da Engel alla fine degli anni Settanta, ha comportato una vera rivoluzione in tema di salute e malattia e con essa una nuova prospettiva di analisi e intervento. Il modello di Engel si rifà all’approccio sistemico della complessità e propone una visione sistemica di salute che vede quest’ultima correlata a una moltitudine di determinanti afferenti alle dimensioni biologica, psicologica e sociale. Recenti ricerche nell’ambito della psicologia della salute, del benessere e della comunità hanno evidenziato l’importanza di sviluppare la realizzazione delle potenzialità dell’individuo e del suo empowerment. 31 L’Organizzazione Mondiale della Sanità – con la Dichiarazione di Alma Ata (1978), la Carta di Ottawa (1986), la Dichiarazione di Jakarta (1998) e la Carta di Bangkok (2005) – ha affermato a più riprese che l’empowerment è un prerequisito importante per la salute. Il termine empowerment è un concetto adottato dalla psicologia di comunità, che indica contemporaneamente un processo e un risultato. È un processo che permette ai singoli e ai gruppi di accrescere le capacità di controllare attivamente la propria vita (il verbo to empower significa infatti “favorire l’acquisizione di potere, rendere in grado di”), ma anche la condizione finale di chi è ormai divenuto capace di esercitare questo controllo. Il controllo sulla propria vita e sul proprio ambiente, un ruolo attivo sulla propria esistenza. Il potere è il potere di fare, di riuscire a fare e della conoscenza. Donata Francescato, ordinaria di psicologia di comunità all’Università “Sapienza”, descrive l’empowerment come un potere costruttivo o generativo che apre sia a se stessi che agli altri nuove possibilità. È il potere di permettere di desiderare e di realizzare, e non di costringere a fare quello che non si vuole, cioè il potere su. Le persone possono così migliorare la gestione diretta delle proprie condizioni di benessere agendo sulla qualità del loro stile di vita. La salute diviene una scelta di crescita indispensabile sia per il benessere dell’individuo che della comunità. In quest’ottica diventa importante promuovere, sia in famiglia che a scuola, nei bambini e nei giovani, quelle abilità che permettono all’individuo di mettere in atto strategie efficaci (di coping) per affrontare gli eventi critici e le situazioni problematiche nel ciclo di vita, le cosiddette life skills o abilità per la vita. I programmi di potenziamento di tali abilità si basano sulla promozione di capacità individuali, relazionali e sociali favorendo il ruolo attivo e il benessere delle persone. È proprio nel periodo dell’infanzia e dell’adolescenza, fasi cruciali della vita dell’individuo, che questi interventi 32 psicoeducativi assumono forte rilevanza: famiglia, scuola e comunità diventano di conseguenza ambienti idonei per incrementare le conoscenze e avviare un’educazione all’affettività, alla solidarietà e al benessere. Il mondo scolastico, per esempio, è un contesto privilegiato per realizzare interventi che mirano a sviluppare l’empowerment e le competenze interpersonali per diverse ragioni: innanzitutto, la scuola è un contesto circoscritto che offre risorse strutturali e organizzative, è un luogo di passaggio obbligato per la stragrande maggioranza della popolazione e per una considerevole durata di tempo, permette di raggiungere la quasi totalità delle persone in un periodo della vita sufficientemente precoce per promuovere capacità e competenze per affrontare la vita. Negli ultimi vent’anni la conoscenza è a portata di tutti e ha permesso a ciascuno di noi di diventare più capace di scegliere. Grazie alle scienze positiviste, alle neuroscienze, agli studi di meta-analisi, al costruttivismo e ai media che veicolano le informazioni, ognuno ha tante, variegate opportunità per apprendere e prendersi cura di sé, degli altri e dell’ambiente circostante. Possiamo affermare che chi aumenta il bagaglio delle conoscenze incrementa anche un capitale personale, relazionale e sociale. Corpo, mente e contesto familiare e sociale sono interconnessi tra loro e la persona ne è l’esempio concreto. Lo scienziato Gregory Bateson afferma che la relazione tra l’individuo e la mente va vista in una prospettiva olistica. La mente è integrata in un sistema totale, che comprende cervello, corpo e azione sull’ambiente. La mente e il cervello funzionano in una relazione di reciproca influenza: la prima è un prodotto del secondo. I sentimenti, le emozioni e la coscienza sono in rapporto tra loro e influenzano le decisioni e i comportamenti umani. Il neurobiologo Joseph LeDoux nel suo libro Il cervello emotivo distingue le 33 emozioni dai sentimenti. Le emozioni sono programmi fisiologici e psicologici integrati emersi nel corso dell’evoluzione biologica. I sentimenti sono invece il prodotto della coscienza, etichette soggettive che l’uomo attribuisce alle emozioni. Egli riconduce le emozioni e le funzioni superiori alla loro complessità neurobiologica e ritiene che la struttura chiave del cervello emotivo, almeno per la rabbia e la paura, sia l’amigdala che può essere raggiunta dagli stimoli tramite due circuiti. Il circuito talamo-amigdala è una via diretta che consente una rapida risposta di attacco e fuga mentre il circuito talamo-neocorteccia-amigdala consente una valutazione e una risposta emotiva più ponderata. Gli scienziati sono oggi anche in grado di documentare la varietà delle differenze strutturali, chimiche, genetiche e funzionali del cervello di donne e uomini. Sottolineano come le prime differenze cerebrali si manifestino già all’ottava settimana di sviluppo fetale: gli uomini potenzieranno in particolare i centri cerebrali legati al sesso e all’aggressività; le donne tenderanno invece a sviluppare una maggiore agilità verbale, capacità di stabilire profonde relazioni amicali e abilità nel gestire i conflitti. La neuropsichiatra Brizendine Louann, nei suoi libri Il cervello delle donne e Il cervello dei maschi, aiuta a far cogliere come l’elaborazione emotiva avvenga in maniera diversa nel cervello maschile e in quello femminile e come il destino biologico influenzi il modo di interpretare ed esprimere le emozioni. Indica, infatti, che il cervello ha due sistemi emotivi che operano simultaneamente: il sistema dei neuroni specchio e il sistema temporo-parietale. Le femmine usano prevalentemente l’uno, utilizzando il rispecchiamento con le emozioni altrui. I maschi, invece, usano l’altro, più cognitivo, rivolto alla ricerca delle soluzioni di fronte alle emozioni. Altrettanto interessante è notare come i geni e il DNA siano influenzati da fattori esterni: per quanto le predisposizioni biologiche 34 influenzino il modo di affrontare le situazioni della vita, l’educazione, l’esperienza e l’ambiente possono col tempo cambiare la struttura cerebrale. Il DNA non determina più i nostri comportamenti e le nostre caratteristiche fisiche in maniera assoluta, come riteneva Darwin. Di fronte alla solita domanda: Fino a che punto l’impronta genetica, piuttosto che i segnali ambientali, influisce sullo sviluppo e la personalità degli individui?, l’epigenetica ritiene che esistano meccanismi che vanno oltre il determinismo genetico, offrendo così a uomini e donne la libertà di vivere come veri individui. La medicina epigenetica dimostra come possiamo assumere il controllo sulla nostra salute e sul benessere, accrescendo la consapevolezza delle nostre azioni. Le neuroscienze evidenziano così una visione nuova del funzionamento del cervello. Numerose ricerche descrivono la plasticità del cervello e la sua capacità di auto-apprendere su se stesso. Il cervello si trasforma continuamente, i nostri neuroni e le sinapsi aumentano a seconda dell’uso che ne facciamo. Anche il nostro cervello indica quindi che l’evoluzione della specie umana è orientata verso l’individualità. Il cervello, come ha sostenuto un giovane relatore, non è una macchina, ma un’architettura vivente che mira a costruirsi perfetta, attraverso continui errori e correzioni. Volete sapere di cosa è capace il cervello? Usiamolo. È di certo il metodo migliore per essere coautori almeno in parte della propria vita. 35