“Ebbene sì, sono io la tivu generalista” “Troppo colorato il
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“Ebbene sì, sono io la tivu generalista” “Troppo colorato il
54 TRA ‘ VIRGOLETTE Il pallone è il mondo, ma c’è ben altro. Il football dev’essere un diversivo, un gioco, se no diventa un’ossessione. E purtroppo abbiamo sotto gli occhi le conseguenze Andai a lavorare alla Fininvest, e non mi trovai bene. Il contratto, se non rispettato, prevedeva una penale altissima.Vendetti un intero palazzo, la pagai e me ne andai IL CAFFÈ 15 dicembre 2013 L’uomo della Juventus “Ebbene sì, sono io la tivu generalista” “Troppo colorato il calcio di oggi” Pippo Baudo ALESSANDRA COMAZZI P ippo Baudo, anzi “Pippobaudo”, quasi un aggettivo: uno dei volti più noti della televisione italiana, uno schiacciante avvenire dietro le spalle, esempio di professionalità e di mestiere, mai tentato dalle contaminazioni fra genere. “Per me un cantante deve cantare, un presentatore presentare - premette subito -, pur essendo in grado di fare l’una e l’altra cosa”. A 77 anni compiuti, ha ancora girato l’Italia per una trasmissione di Raitre, “Il viaggio”, alla scoperta di eccellenze conosciute e sconosciute. Se gli si ricorda che dopo trent’anni in parlamento uno magari se ne può anche andare, non chiede la domanda di riserva. “La regola non deve valere per i presentatori - risponde, ironico ma neanche tanto -. Lo dico tra il serio e il faceto, certo, ma comunque cerco di dimostrare con i fatti la mia capacità di rinnovarmi, in un panorama televisivo che invece rifugge le novità. Questo viaggio è in ricordo di Mario Soldati, che lo compì tanti anni fa, per la neonata Rai. Il viaggio è un concetto bellissimo, e io cerco di svilupparlo non tanto in una meta finale, quanto nella ricchezza del percorso. A Prato, ad esempio, ho incontrato un rappresentante della comunità cinese. Si lamentava perché gli italiani dicono sempre che non ci sono cimiteri cinesi. Ma noi siamo arrivati qui tutti giovani, mi ha detto, volete farci arrivare agli 80 anni? E poi è stato bello a Viareggio, dove ho incontrato un me stesso enorme, di cartapesta, un immoto faccione da carro”. Tornerei a Sanremo Giampiero Boniperti VINCENZO TESSANDORI U n dogma, una regola ferrea da seguir nella vita. La sua. Fece scandalo la prima volta che lo disse ad alta voce: “Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”. Intendeva riferirsi soprattutto alla Juventus, grande amore di ieri, di oggi e di domani. Se per Jorge Luis Borges il libro è il mondo, e il mondo è il libro, per Giampiero Boniperti il mondo è il pallone e il pallone il mondo. “Anche se c’è ben altro - ammette divertito -. Il calcio dev’essere un diversivo, un gioco, sennò diventa un’ossessione. E purtroppo abbiamo sotto gli occhi le conseguenze”. Questo giovanotto di 85 anni, concluso un percorso brillante da giocatore, si è trasformato in abile dirigente di club, quindi in imprenditore. Uno di quelli puntuali al lavoro: “È questione di serietà, non mancare a un incontro”, dice. Nell’ingresso del suo ufficio, ai piedi della collina torinese, incorniciati, la maglia azzurra della rappresentativa continentale e i calzettoni: uno è squarciato. “Souvenir del terzino dell’Inghilterra, ma io feci due gol”, sorride malizioso. Quel pomeriggio del 1953 lo stadio di Wembley era pieno come un uovo. Loro, i “maestri”, si erano concessi per impartire una lezione al Resto d’Europa. Finì 4 a 4, pareggio inglese all’ultimo istante su calcio di rigore “Praticamente inventato, come raccontano le cronache - ricorda Boniperti -. Lo so che si parla di un’altra era geologica, ma quello era il calcio. Un calcio in bianco e nero, come la tv; oggi è fin troppo colorato”. E snaturato, investito da fiumi di denaro, lecito e illecito, insidiato pure da dozzine idee bislacche. Infestare i campi verdi di tecnologia, come predica Sepp Blatter, presidente della Fifa, rischia di dissolverne il sapore. “Cambiamenti ce ne sono già stati: i calciatori in panchina, le tre sostituzioni, tutto questo ha abbellito, attualizzato, completato lo spettacolo - spega -. Ma non è lecito mutare lo spirito della partita”. La nazionale svizzera? È tosta L’esordio nella Juve, nel 1947. Al Momo, squadretta del Novarese, avevano pagato 60 mila lire, lui ne aveva ottenute 8 mila e, come parte dell’ingaggio, il ragazzo che aveva già le idee chiare, chiese alcune mucche e, al momento di riscuotere, le scelse pregne: insomma, pagane una e prendine due. Dozzine di foto alle pareti testimoniano quella che nell’autobiografia, ha definito “Una vita a testa alta”. Per la verità l’ha china, in quel ritratto con una giovane donna dal mantello turchese e un incredibile cappellino. “Ma è la regina Elisabetta!”. Facile cadere in equivoco, per quel suo aspetto gentile, i modi educati e i capelli biondi. In una fredda domenica viennese accadde anche ai corazzieri del “Wunderteam”. Giornata di pece per la nazionale ita- li Non è difficile identificare Baudo con il Festival di Sanremo. Ha condotto tredici edizioni (subito dopo di lui Mike Bongiorno, 11 volte), una più lunga dell’altra, con tanto di “Dopofestival” che scolorava all’alba di “Unomattina”. Ha inventato tante cose: “Lo slogan ‘perché Sanremo è Sanremo’ - ricorda - e pure l’accoppiata valletta bionda-valletta bruna. Se mi proponessero di tornare sul palco dell’Ariston di sicuro tornerei”. Lui arrivava, e sembrava un hidalgo, un grande di Spagna e di Sicilia che squadra le forze in campo. Con lui alla conduzione, capitava sempre qualcosa. Certo, Sanremo è regolarmente un pretesto per lo svolgersi di altri accadimenti che con la musica e la sua centralità, ogni anno evocata e nello stesso tempo evitata, non hanno niente a che fare. Ma con Baudo all’Ariston il patto con l’adrenalina era assicurato. “Quella volta che un poveretto voleva buttarsi giù dalla galleria del teatro: che cosa dovevo fare? L’ho fermato - ricorda . E quella volta che gli operai protestavano davanti all’Ariston ladome L’uomo della televisione contro la chiusura di una fabbrica: che cosa dovevo fare? Tra una canzone e l’altra, li ho fatti salire in palcoscenico. Quando Mario Appignani, detto Cavallo pazzo, irruppe sul palco per dire che il Festival era truccato: che dovevo fare? L’ho affrontato”. Senza dimenticare la lite con l’allora presidente Rai, Enrico Manca, che gli aveva dato del “nazionalpopolare”. Il sornione, sicilianissimo Baudo ha sempre sopportato ogni traversia sulle ampie spalle. Anche il passaggio all’allora Fininvest, ai tempi in cui Berlusconi cercava ogni volto noto di mamma Rai. “Andai anch’io a lavorare alla Fininvest e non mi trovai bene - ammette -. Ma avevo un contratto che non lasciava dubbi: se me ne andavo dovevo pagare una penale altissima. Vendetti un palazzo, la pagai e me ne andai. È tuttora di proprietà Mediaset, lo chiamano Palazzo Baudo”. Insomma, Pippo Baudo “è” la televisione generalista, quella della messa cantata, da seguire insieme, che si rivolge a tutti, con rispetto per il pubblico e per le sensibilità. “Mi hanno tanto preso in giro per un ipotetico parrucchino, ora ho i capelli grigi - conclude -. E non mi sono nemmeno mancati i guai con la salute, ma affronto l’età con buon piglio”. ilcaffè Settimanale di attualità, politica, sport e cultura Direttore responsabile Lillo Alaimo Vicedirettore Libero D’Agostino Caposervizio grafico Ricky Petrozzi Società editrice 2R Media Presidente consiglio d’amministrazione Marco Blaser Direttore editoriale Giò Rezzonico DIREZIONE, REDAZIONE E IMPAGINAZIONE Centro Editoriale Rezzonico Editore Via B. Luini 19 - 6600 Locarno Tel. 091 756 24 40 - Fax 091 756 24 39 [email protected] - [email protected] liana, travolta 5 a 1. Nell’Austria giocavano campioni straordinari, tutti tranne il mediano Joksch, che picchiava senza rimorsi. Soprattutto il piccolo e sgusciante Muccinelli. “E lui mi implorava: Giampiero, autami! - rivela Boniperti - Pensai che, con una rovesciata a centrocampo, avrei sistemato quel fabbro ferraio. Non mi accorsi che a portata di tacchetti era finito Ocwirk. Risultato: un naso a sella per quel signore che non avrebbe fatto male a una mosca”. I tifosi tentarono l’invasione ed intervenne la polizia. “Senza, non saremmo usciti dal Prater”. Aveva 33 anni e appena vinto il quinto scudetto quando, nel 1961, soprese tutti: “Ecco le scarpe, non gioco più!”. Non solo pallone e busines: anche la politica. Si considera un moderato, fra il 1994 e il ‘99, con Forza Italia, è stato europarlamentare. “Non ero uno che ‘marinava’ l’aula. Ma quello non è il mio mondo”. In un dopoguerra segnato da cicatrici vistose diventò il più famoso fra gli dei dello stadio. Soltanto Juventus, più tardi ne diventò presidente. Ora guarderà i Mondiali brasiliani in tv. “Si va volentieri in America Latina, ma non sempre il ritorno è felice - osserva azzardando un pronostico -. Per l’Italia girone difficile, ma saprà tirare fuori le unghie: la palla è rotonda. La Svizzera? Tosta, spesso capace di dare di più del suo valore tecnico”. PUBBLICITÀ Via Luini 19 - 6600 Locarno Tel. 091 756 24 12 Fax 091 756 24 19 [email protected] RESPONSABILE MARKETING Maurizio Jolli Tel. 091 756 24 00 – Fax 091 756 24 97 DISTRIBUZIONE Maribel Arranz [email protected] Tel. 091 756 24 08 Fax 091 756 24 97 STAMPA Ringier Print - Adligenswil AG - Druckzentrum Adligenswil 6043 Adligenswil - Tel. 041 375 11 11 - Fax 041 375 16 55 Tiratura (dati Remp ‘12) 56’545 Lettori (dati Mach ‘12-’13) 106’000 Abbonamento annuo Fr. 59.– (prezzo promozionale)