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Sulla parte mancante delle Stanze di Dzyan (Schepis)

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Sulla parte mancante delle Stanze di Dzyan (Schepis)
Sulla parte mancante
delle Stanze di Dzyan
PIETRO SCHEPIS
S
ai corrispondenti mondi dei Deva ma, combinati opportunamente con la “visione analitica”
(in scr. vipasyana), consentono la Liberazione.
Stanze di Dzyan è perciò come dire Stanze
della Meditazione. È di conseguenza verosimile
che quella parte delle Stanze, che non fu tradotta e pubblicata da Blavatsky, contenesse insegnamenti sulla meditazione, non divulgabili
esplicitamente a quell’epoca. Ne La Dottrina
Segreta (vol. 3, 1897, p. 405), H.P.B. dice che il
Libro di Dzyan è il primo dei quattordici volumi
di commentari segreti sui sette fogli, altrettanto
segreti, del Kiu-te. Un corpo dottrinario appartenente alla setta buddhista Gelugpa (quella
del Dalai Lama)1, esistente nel Tibet, regione
dove ella aveva appreso gli insegnamenti esoterici 2. Blavatsky ha anche indicato, come una
possibile fonte di informazioni occulte, la sezione GYUT di quella parte del canone buddhista
tibetano chiamata Kanjur 3. Poco meno di un
secolo dopo, l’orientalista e affiliato alla S.T.,
David Reigle, mettendo in evidenza alcuni problemi di traslitterazione dal tibetano alle lingue
occidentali4, ha potuto scoprire che Kiu-Te era
una versione fonetica (usata da Blavatsky) del
tibetano rgyud sde. Egli è stato così in grado di
determinare che un tale corpo dottrinario appartiene effettivamente alla letteratura tradizionale buddhista tibetana, anche se copie simili
alla traduzione di Blavatsky devono ancora essere individuate. La ricerca di Reigle ha anche
rivelato che i libri del Kiu-Te (o rgyud sde ) contengono insegnamenti Kalacakra, tenuti in alta
considerazione in Tibet 5. Infatti, la tradizione
econdo quanto dice H.P. Blavatsky nel
I vol. de La Dottrina Segreta, le Stanze di
Dzyan sarebbero state scritte da lei stessa,
interpretando l’antichissimo linguaggio ideografico Senzar di un manoscritto tibetano altrettanto antico, il Libro di Dzyan. Il manoscritto
da lei studiato era scritto “su foglie di palma, ma
rese inalterabili al fuoco, all’acqua e all’aria mediante qualche processo specifico ignoto”. Nel presentare
le sette Stanze della Cosmogenesi H.P.B. precisa: “È quasi superfluo dire che solo una parte delle
sette Stanze è presentata in quest’opera; se fossero pubblicate per intero resterebbero incomprensibili a tutti,
eccetto che ad alcuni profondi occultisti. E neppure
l’autrice, o meglio, l’umile trascrittrice, capirebbe quei
passaggi proibiti”.
Che le Stanze non siano complete sarebbe
stato deducibile anche da una loro evidente
caratteristica. Infatti l’argomento indicato dal
titolo non è trattato né nella Cosmogenesi, né
nell’Antropogenesi, o lo è solo simbolicamente. Quale dovrebbe essere infatti l’argomento
principale? Nel Theosophical Glossary di H.P.B.
si legge: “Dzyn o Dzyan (Tib.). Scritto anche Dzen.
Una corruzione del Sanscrito Dhyan e jñana (o gnyana foneticamente) - Saggezza, conoscenza divina. In
tibetano, l’apprendimento è chiamato dzin”.
La traduzione più frequente del sanscrito
Dhyan o Dhyana – di cui Dzyan sarebbe dunque
una “corruzione” tibetana – è “assorbimento
meditativo”. Nel Buddhismo se ne contano generalmente otto: 4 Dhyana formali (Rupa Dhyana) e 4 senza-forma (Arupa Dhyana). I dhyana, se
praticati da soli, consentono soltanto l’accesso
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Boris de Zirkoff (1902-1981), legato da parentela ad H.P. Blavatsky, fu il curatore della sua opera omnia.
Visse per molti anni nella comunità di Point Loma, dove creò e diresse il periodico Theosophia.
vuole che gli insegnamenti del Kalacakra (dal
sanscrito: Kala, tempo, e cakra, cerchio, ruota e
perciò complessivamente “Ruota del tempo” o
“Ciclo di tempo”) siano stati redatti in sanscrito6 e portati da Shambala (conosciuta nell’esoterismo come la dimora del Re del Mondo) in
India nel 900 d.C. Gli insegnamenti Kalacakra
sarebbero stati successivamente portati in Tibet, nel tentativo di preservarli dalla distruzione, durante l’invasione e l’occupazione musulmana dell’India. Di conseguenza, essi acquisirono un’identità buddhista tibetana, anche se
la tradizione ne attribuisce l’origine alla sacra
Shambala. Sembra dunque che sia il Kalacakra,
sia il gemello Libro di Dzyan (coappertenenti al
rgyud-sde) facciano parte di un insegnamento
misterioso, che emana da Shambala ed è protetto in una porzione alquanto inaccessibile del
canone buddhista tibetano. David Reigle ha
peraltro ricevuto l’iniziazione al Kalacakra dal
Dalai Lama, a Madison, Wisconsin, nel 1981, la
prima volta cioè in cui questa iniziazione è stata
conferita in Occidente. Reigle pubblicò la sua
opera nei primi anni ’80 per scoprire poi che,
già nel 1975, un teosofo olandese, Henk J. Spierenburg, aveva fatto analoga identificazione dei
Libri del Kiu-Te coi Tantra buddhisti tibetani.
Per meglio chiarire, aggiungo che la comprensione del tempo è usata nel Kalacakra come
base delle pratiche finalizzate all’Illuminazione
e alla Liberazione. Il simbolismo cosmogonico
e antropogonico delle Stanze di Dzyan ha perciò
verosimilmente un analogo fine.
È da rilevare che non sono mancati “apocrifi” della parte mancante delle Stanze. Si può
citare ad es. la Theogenesis, edita dal Temple of
The People, Halcyon, California e pubblicata
per la prima volta sulle pagine del Temple Artisan – rivista ufficiale di tale organizzazione – nel
numero del luglio 1906, sotto il titolo “Ulteriori
Stanze Rivelate”. Il Tempio del Popolo si considera una continuazione diretta dell’opera iniziata da H.P.B. a New York nel 1875. Fu fondato
a Syracuse, New York, nel 1898, da Francia A.
La Due e dal dr William H. Dover. Nel 1903 il
Tempio fu trasferito in California, in quella che
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ranno in un frutto che l’uomo non aveva mai assaporato. I fanciulli, come gli adulti, si nutriranno di
esso e parole di saggezza usciranno dalle loro labbra,
tra lo stupore degli Dèi” (Stanza III, 3° sloka) ed
anche “Il Drago di Saggezza discese, e con Esso la
Gerarchia dall’Anima di Diamante. Nella propria essenza divina Essi avvolsero le forme create per Loro –
non erano più Figli di Maya, ma Figli della Volontà
e dello Yoga” (Stanza VI, 9° sloka). Il complesso
dell’opera, però, sembra più simile ad un bel
romanzo di Tolkien che a un completamento
del testo blavatskyano.
Altri versetti presunti delle “Stanze di Dzyan”
sono stati successivamente pubblicati da Alice Bailey nel Trattato del Fuoco Cosmico (1925).
Bailey ha sostenuto che questi le erano stati
dettati telepaticamente dal Maestro tibetano
Djwal Kool. Leggendo l’opera, si ha la netta
impressione che, più che completare le Stanze pubblicate da H.P.B., quelle di Bailey le vogliano in pratica sostituire. Infatti le Stanze di
H.P.B. non vengono sostanzialmente utilizzate
nella trattazione e neppure ne viene mostrata
la connessione con le presunte nuove. Mancano, anche in questo caso, riferimenti diretti alla
meditazione. Nell’insieme, sembra di avere a
che fare più con un testo alternativo a quello
blavatskyano che non con un completamento
di quest’ultimo.
La strada indicata da David Reigle sembra
perciò, al momento, l’unica veramente promettente ai fini del reperimento dell’originale del
Libro di Dzyan.
oggi è chiamata Halcyon. Le Ulteriori Stanze e
i commentari sarebbero “opera dei Maestri Hilarion, Morya e Koot Hoomi, e dei loro rappresentanti,
cioè i successivi Guardiani in Capo del Tempio del
Popolo: Francia A. La Due, conosciuta come Stella
Blu; il dr William H. Dover, conosciuto come Stella
Rossa; e Pearl F. Dover, conosciuta come Stella D’Oro”. Nell’introduzione alle Ulteriori Stanze si
legge: “Gli ultimi tre yloka della Stanza XII si riferiscono alla Quinta Razza e ai suoi istruttori divini.
Queste Stanze addizionali che ora la Grande Loggia
trasmette all’umanità sono la continuazione diretta
della Stanza XII del secondo volume de La Dottrina
Segreta e vanno suddivise nelle principali tematiche
di quella che può essere appropriatamente chiamata
Teogenesi, poiché lo scopo evidente è di mostrare il
processo tramite il quale il Regno Umano si unirà al
Regno Divino”.
Nelle “Ulteriori Stanze” non vi è alcun riferimento concreto alla meditazione né al significato della parola Dzyan. Nel testo non mancano espressioni suggestive come “Tutto quel che
cresce sotto il terreno della Ruota da allora in poi sarà
proibito e l’uomo vivrà mediante il potere della sua
Volontà e non di cibi grossolani. Quando la Ruota
avrà girato una crora e mezza, le Scintille si incarne-
Piero Marcello Schepis è socio del
Gruppo “Luce” di Milano.
Note:
1. Boris de Zirkoff, ed., H.P. Blavatsky Collected Writings, vol. XIV, p. 422.
2. Sylvia Cranston, Helena Blavatsky, pp. 80 - 101.
3. H.P. Blavatsky, Collected Writings, vol. XIV, p. 402.
4. David Reigle, The Books of Kiu-Te, p. 2.
5. David Reigle, cit., p. 36.
6. David Reigle, cit., p. 34.
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