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Difficoltà di apprendimento

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Difficoltà di apprendimento
Difficoltà di apprendimento: la grande sfida
di Giocanni Campana - Dirigente Scolastico della Scuola Media Pasquale Paoli, Modena Formatore presso l'Associazione docenti italiani
Le difficoltà di apprendimento scolastico rappresentano una sfida decisiva.
La competizione globale si gioca oggi, infatti, sul massimo e più diffuso uso del bene
intelligenza: non si può rinunciare né a garantire livelli adeguatamente alti di
apprendimento per tutti i bambini e i ragazzi che manifestano buona disponibilità
intellettuale e personale all'apprendimento, né a raggiungere, nella loro specifica
problematicità, la vasta fascia di alunni in difficoltà nell'apprendimento
scolastico.
La grande difficoltà sta nel creare un sistema formativo in cui ogni singola scuola sia
in grado di articolare, in modo differenziato, la propria azione in funzione delle
differenze nell'apprendimento.
La forbice si apre già nella scuola d'infanzia: bambini che manifestano
"problemini" - nel linguaggio, ecc. - spesso predittivi di difficoltà di apprendimento,
necessitano di un'azione mirata.
Dall'inizio della scuola primaria, poi, con l'aumento di finezza e complessità degli
apprendimenti, aumenta l'area dell'esclusione dal successo nell'apprendimento. Al
termine della quinta elementare, una classe può comprendere 5-7 o più alunni, su
24-27, con gravi difficoltà - almeno un quarto, insomma - che diventano almeno un
terzo, più di un terzo, alla scuola media, per aumentare notevolmente nel II grado.
La scuola produce strutturalmente - il linguaggio è urtante - uno scarto fisso e
progressivo inaccettabile.
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Intanto, pur nella difficoltà e spesso nell'impossibilità di dedicare al singolo alunno
un tempo proporzionale al bisogno, una condizione alta, prioritaria rispetto a
qualunque innovazione è quella qualità professionale del docente consistente nel
prendersi cura dell'alunno, ascoltarlo, occuparsi di lui, seguirlo come può, parlargli e
farlo parlare, porsi obiettivi di fondo che guardino al suo destino di vita,
impegnarsi nella comprensione delle sue difficoltà e del delicato problema
dell'autostima ferita, utilizzare come risorse di aiuto - con sapiente delicatezza compagni e compagne, cercare, insieme con colleghi e colleghe, soluzioni
organizzative che rendano possibili compresenze di docenti o il lavoro in piccoli
gruppi, risorse aggiuntive (anche volontari, docenti in pensione).
Il fatto e lo stile del prendersi cura è la fisiologia della scuola. Una condizione alta,
niente affatto scontata. Ma che oggi non basta: il formidabile apporto della
conoscenza scientifica in tema di difficoltà di apprendimento e l'emersione di una
sensibilità - rigida, a volte, ma segno di civiltà - secondo cui ogni potenzialità pone
un diritto e ogni difficoltà aumenta il diritto, premono sulla scuola.
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Disturbi di Apprendimento: cosa sono e come si manifestano
Un panorama sintetico delle tipologie di disturbi di apprendimento può essere il seguente:
1. Disturbi su base neurobiologica. La dislessia (con disgrafia, disortografia, discalculia).
Dall'età di 2 anni e mezzo, cinque creative storpiature di parole già rappresentano
strategie vicarie per la difficoltà di impostare le parole "difficili" e possono annunciare
disturbi della lettoscrittura. Poi la scuola: per il dislessico, i segni grafici, soprattutto
simmetrici - d b p q, ma anche a ed e, m e n - si confondono ostinatamente. E la memoria
sillabica è troppo breve. Il dislessico non arriverà mai all'automatismo della lettura: se non
trattiene quasi "manualmente" la sillaba già letta, la perde mentre va alla successiva.
Strategie vicarianti potranno ridurre il problema... se la scuola non lo avrà aggravato.
Ma le dislessie gravi rimarranno una grossa limitazione. I dislessici presentano per lo più
anche disturbo della scrittura, per il 40% anche del calcolo, e una difficoltà generale ad
apprendere elenchi (i giorni della settimana, i mesi, le tabelline), ad autorganizzarsi nelle
sequenze temporali (compresi i compiti a casa). Altri disturbi, anche non associati alla
dislessia, possono riguardare funzioni della memoria, il linguaggio, la funzione
visuospaziale (associata ad aspetti della matematica). Possono esservi spiccate singolarità
di funzionamento mentale: a causa di una forte propensione per modalità riferite alla
logica visiva della simultaneità più che alla processualità logico-sequenziale della via
uditivo-linguistica (o viceversa), certi percorsi possono risultare troppo faticosi, quasi
innaturali e generare forti antipatie... Si pone così il problema generale del passaggio dalle
difficoltà di apprendimento alle difficoltà di adattamento all'apprendimento scolastico.
Il dislessico, ad esempio, avverte immediatamente una specie di gradino davanti alla
scrittura, quel "cibo" è ostile ed estraneo all'organo mentale che dovrebbe alimentarsene:
inappetenza, a volte anoressia della lettura... Ciò suscita una reazione di resistenza,
comportamenti di elusione. Se poi nel suo vissuto di bambino o ragazzo ci sono motivi di
sofferenza psicoaffettiva, la miscela è tenacissima e può condizionare tutta la sua
biografia scolastica e successiva. Lo stesso vale per tutti i disturbi e "disturbini": anche se
il problema è blando, subclinico, il gradino può fare da inciampo e, se la personalità è
fragile, il blocco, la svogliatezza grave, sono assicurati. Anche senza alcun disturbo
dell'apprendimento, qualunque situazione di sofferenza affettiva e della personalità può
provocare resistenza psicologica e ritiro dall'apprendimento.
Tra i disturbi su base neurobiologica spicca il disturbo dell'attenzione e iperattività
(ADHD), che comprende anche un tratto di impulsività: è carente nel soggetto la funzione
biochimica di inibizione della risposta agli stimoli, esterni e interni: il bambino/ragazzo è
una banderuola che si muove in continuazione, non regge l'attesa se non è avvinto
dall'interesse, e, se viene compresso e contrastato, non contiene la propria reazione:
parolacce, calci... La caduta dell'attenzione gli impedisce qualunque continuità
nell'apprendimento, producendo il disastro scolastico, i suoi comportamenti lo rendono
difficile in famiglia, insopportabile per insegnanti e compagni (che lo evitano, perché non ha
continuità nel gioco, non rispetta le regole, litiga). Per di più si convince di non potersi
dominare e perciò ci rinuncia ("impotenza appresa"). I programmi di riabilitazione,
associati a intervento farmacologico, servono, anche se per un tempo limitato. Fatto sta
che molti ADHD sviluppano gravi disturbi del comportamento (disturbo oppositivo
provocatorio, disturbo della condotta).
Che fare? Preparare la classe ad assorbire i comportamenti, individuare eventi scatenanti
ricorrenti...
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2. Vi sono inoltre bambini e ragazzi che "non ci arrivano tanto", anche se normodotati in
senso strettamente clinico. La loro stima di sé è seriamente minacciata. Devono più degli
altri sentire la presenza attenta e favorevole dell'insegnante. Se prendono brutte strade
sono particolarmente esposti, per l'eccessiva ingenuità, a impantanarsi gravemente,
divenendo schiavi dei peggiori conformismi e gregari dei bulli di turno.
3. Stesso rischio per gli alunni in situazione di deprivazione socioculturale, spesso in una
condizione di fallimento scolastico resa rigida dall'assenza totale di motivazione e dal
bisogno di trovare altri ambiti di successo, il bullismo, la trasgressività. Il massimo aiuto
nei primi anni di scuola è indispensabile per sperare in una successiva integrazione, ma
tutto si rivelerà inutile se nei gradi successivi la scuola allenterà il legame, l'attenzione e
perciò la presa educativa.
4. Situazioni di sofferenza psicologica. Pare che i bambini e i ragazzi con disturbi di
personalità siano il 20% della popolazione. Il 5% troverà soluzione al suo grave
problema, ma per anni, a scuola avrà - e spesso darà - problemi. Un altro 15% ha gravi
problemi e non li risolve, portandoseli dietro nell'età adulta... Vale per essi, come fatto
generale di enorme diffusione e importanza, la dinamica ricordata del ritiro
dall'apprendimento: l'alunno si blocca, incontra il gradino, non si concede
all'apprendimento, non si espone al rischio. Basta poco, apparentemente: aspettative alte e
rigide in famiglia, una sorella perfetta, gelosia, oppure ospedalizzazioni o gravi malattie
pregresse, proprie o di familiari o, come si sa, separazioni, soprattutto mal gestite, dei
genitori... Quando la svogliatezza è radicale, non è beata pigrizia, è che il bambino o il
ragazzo teme semplicemente di soccombere. "Vissuti" di abbandono affettivo inducono
a volte l'alunno a fare l'estroso, a cercare attenzione, o a esercitare un potere di
maltrattamento su qualcuno più debole, timido, straniero. Per molti il non esser stati
compresi al momento giusto determinerà scelte scolastiche e di vita sbagliate. Primum
non nocere: il primo obiettivo per una scuola è comprendere, per non fare danno.
Tutto ciò impone di realizzare prima di tutto una buona fisiologia della scuola e, sulla base di
questa, il grande obiettivo della differenziazione dell'azione didattica.
"Gli elfi delle classi"
Gli elfi sarebbero folletti dei boschi furbi e dispettosi, ma gli elfi delle classi sono simpatici e
generosi: ragazzine e ragazzini della scuola media, nei pomeriggi in cui non hanno scuola, vanno
alla vicinissima scuola elementare, tornano dalle loro "vecchie" maestre in veste di aiutanti, anche
due o tre per classe, per seguire gruppetti di alunni "in difficoltà". Prima di iniziare hanno
compilato il retro del futuro attestato (che sarà inserito nel loro portfolio, naturalmente),
dichiarando di impegnarsi per un certo tempo stabilito e assumendo certi impegni, anche ideali,
in rapporto a questo gesto di collaborazione. Al momento del loro arrivo, chissà come, i bambini
della scuola elementare diventano buonissimi e bravissimi...
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Nessuno indietro
di Raffaella Zannetti
In questo Speciale intendiamo presentare una fotografia di cosa si sta muovendo nella scuola di
oggi a livello di didattica e di inserimento nei confronti di quegli alunni che "rimangono indietro"
a causa di alcune difficoltà di apprendimento e che non sembrano essere una minoranza. Le
opinioni degli "addetti ai lavori" che abbiamo raccolto sono tutte concordi sulla necessità di una
formazione rinnovata per i docenti di ogni ordine e grado che possa rispondere e meglio
armonizzare la classe nel suo insieme, tenendo presenti le esigenze di alunni con specifiche
difficoltà di apprendimento e disturbo di attenzione e iperattività (ADHD). L'apprendimento e la
socializzazione sono infatti diritti di tutti i bambini.
Giovanni Campana, dirigente scolastico e formatore dell'Associazione docenti italiani, presenta
un interessante modulo utile a definire, da parte di ogni scuola, la propria capacità di articolare
un sistema di risposta alle differenze dell'apprendimento, insieme a un'efficace esperienza di peer
to peer education tra alunni delle classi medie e quelli delle elementari.
Enrico Ghidoni, neurologo dell'Associazione italiana dislessia sottolinea, nel suo articolo, che "si
tratta di bambini che soffrono in silenzio, si rinchiudono in se stessi, oppure, al contrario,
diventano elementi di disturbo, irrequieti, distratti".
Domenico Nardella, psicopedagogista e consigliere dell'Associazione italiana famiglie ADHD,
rileva l'importanza dell'ambiente scolastico per il bambino con disturbo di attenzione e
iperattività, dove si gioca il suo destino educativo.
Infine il contributo di Alessandra Lumachelli, grafologa esperta di riabilitazione della scrittura,
presenta un interessante vademecum per gli insegnanti sui comportamenti da adottare nei confronti
di bambini disgrafici, dotati, secondo l'autrice, di una grande ricchezza e intelligenza.
L'UNICEF, in linea con i principi stabiliti dalla Convenzione sui diritti dell'infanzia, ha avviato
da tempo un'importante riflessione sul ruolo di una scuola in grado di essere "amica dei
bambini", che sappia anche coinvolgere tutti gli alunni, soprattutto quelli più vulnerabili, e i loro
genitori in un ambiente in cui i bambini imparino a sviluppare autostima e fiducia, le basi per
crescere felici e responsabili.
L'obiettivo è porre il bambino nella condizione di sviluppare le sue attitudini, la capacità di
apprendimento, la dignità umana, l'autostima e la fiducia in se stesso. L'istruzione, in questo
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contesto, assume il significato più ampio di educazione per includere la vasta gamma di
esperienze di vita e processi di apprendimento che permettono al bambino, individualmente o
collettivamente, di sviluppare la propria personalità, capacità e attitudini e di vivere una vita
piena e soddisfacente all'interno della società.
Questo approccio comprende non solo il contenuto dei curricula, ma anche i processi formativi, i
metodi pedagogici e l'ambiente all'interno del quale si sviluppa il percorso educativo: a casa, a
scuola, nei gruppi sportivi. Per questo è necessario fornire un'istruzione nel rispetto della dignità
dell'infanzia e che metta in condizione il bambino di esprimere
liberamente la propria opinione e di partecipare alla vita scolastica.
La finalità dell'educazione è lo sviluppo della personalità, delle attitudini e delle potenzialità del
bambino, riconoscendo che ogni individuo possiede caratteristiche, interessi, capacità ed esigenze
di apprendimento uniche. Per questo, il curriculum deve essere in linea con il contesto sociale,
culturale, ambientale ed economico del bambino e delle sue necessità presenti e future,
considerandone le capacità di sviluppo.
Spesso la discriminazione, esercitata apertamente o meno, per motivi legati all'etnia, al sesso, alla
religione e alla "diversa abilità" offende la dignità umana del bambino, compromette e addirittura
distrugge la sua capacità di beneficiare delle opportunità dell'istruzione. L'educazione
dovrebbe favorire il bambino, ispirarlo e motivarlo. Le scuole dovrebbero promuovere
un'atmosfera umana e permettere al bambino di svilupparsi in base alle sue capacità [nota 1].
Gli ultimi della classe
Secondo l'art. 29 della Convenzione sui diritti dell'infanzia "gli Stati parti convengono che
l'istruzione deve favorire lo sviluppo della personalità del bambino, nonché lo sviluppo delle sue
facoltà e delle sue attitudini mentali e fisiche, in tutta la loro potenzialità".
La Convenzione ribadisce anche la necessità che l'istruzione sia a misura di bambino, ne potenzi
le capacità, permettendogli di affrontare la vita, al fine di godere appieno di tutti i diritti umani, e
favorisca una cultura basata sui valori.
Ogni bambino ha il diritto di ricevere un'istruzione di buona qualità, la quale a sua volta
richiede un'attenzione alla qualità dell'ambiente di apprendimento, dei processi di insegnamento,
dei materiali e del rendimento.
Eppure, anche quest'anno in Italia, secondo le statistiche, ci sarà un 10-12% degli studenti che
finirà gli studi senza aver acquisito le conoscenze di base, anche se, nella maggior parte dei casi,
si tratta di alunni intelligenti e curiosi [nota 2]. Sempre secondo gli ultimi dati, nelle nostre
scuole, rispetto a trent'anni fa in cui si parlava di 4-5 alunni particolarmente "svogliati" ogni 100,
oggi ce ne sono 30 che mostrano i cosiddetti "disturbi di apprendimento" [nota 3]. Perché
questo fenomeno sembra essere in rapida crescita? Le ricerche in merito sono molte, così come le
teorie scientifiche e psicologiche che ne danno varie letture.
Ma occorre imparare ad approfondire i comportamenti "estremi" dei bambini perché spesso,
dietro di essi, c'è la difficoltà di affrontare il divario esistente tra ciò che il bambino sente di
essere e ciò che la società pretende da lui. L'impossibilità di essere "perfetti" genera frustrazione
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e incide fortemente sull'autostima del bambino, gettando le basi per lo sviluppo di futuri disagi
nell'età adolescenziale e in quella adulta. In un periodo storico in cui tutto deve essere realizzato
in poco tempo e attraverso la migliore performance possibile è veramente arduo cercare, anche
all'interno delle strutture in cui il bambino cresce e si forma - scuola e famiglia in primis - tempi e
modalità perché nessuno rimanga indietro e possa ricevere un'istruzione che consenta a ciascuno,
secondo il proprio ritmo, di sviluppare il gusto per la conoscenza, per la scoperta, per le cose
nuove.
Perché le cifre sono salite così tanto nel giro di trent'anni? Forse perché il giorno è rimasto di
dodici ore ma evidentemente, dal 1977 al 2007, i ritmi e le attività quotidiane dei bambini si
sono quadruplicate...
Note di questo articolo
[nota 1] Comitato sui diritti dell'infanzia, Commento generale n. 1, Le finalità dell'educazione,
Comitato Italiano per l'UNICEF Onlus, Roma, febbraio 2007, scaricabile dal sito www.unicef.it
[nota 2] Serge Boimare in Il bambino e la paura di apprendere - Edizioni Magi
[nota 3] Federico Bianchi di Castelbianco, direttore istituto di Ortofonologia di Roma su
www.italiasalute.it,: disturbi dell'apprendimento.
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L'ADHD in aula
di Domenico Nardella - Psicopedagogista, Pedagogista Clinico (Torino), Consigliere AIFA
Un'entità intangibile si trova nella scuola, un problema tanto reale quanto non riconosciuto e
definito.
L'ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder), ovvero "disturbo da deficit di attenzione e
iperattività", rappresenta in Italia un problema socio-sanitario spesso sottovalutato o ignorato,
che si presenta frequentemente in comorbidità a disturbi specifici dell'apprendimento.
Gruppi di ricerca italiani segnalano una frequenza di ADHD pari al 4% della popolazione in età
scolare. Il problema si manifesta con un'evidente difficoltà del bambino a mantenere l'attenzione
e la concentrazione per un periodo di tempo sufficientemente prolungato, atto a favorire un
apprendimento adeguato (pur possedendo eccellenti capacità intellettive). Si possono inoltre
riscontrare aspetti di iperattività e impulsività, con difficoltà di autocontrollo in ambito sociale
e nelle relazioni interpersonali.
La scuola, ma anche i servizi sanitari delle Asl, spesso penalizzati da precarietà del personale e
sovraccarico di lavoro, mostrano una inadeguatezza nel far fronte al problema, con situazioni non
solo di inefficienza ma, spesso, anche di impostazione teorica superata e preconcetta, con
l'attribuzione della causa del disturbo a problemi relazionali all'interno della famiglia.
Il contesto in cui si evolvono le relazioni fondamentali per il soggetto ADHD e con difficoltà di
apprendimento è la scuola, dove gli insegnanti si trovano ad affrontare la situazione senza
adeguati strumenti culturali per capire, e spesso senza un supporto tecnico ed emotivo che
sostenga il loro intervento.
Di fatto l'insegnante agisce comunque, anche solo per il fatto di essere in prima battuta col
bambino ADHD, perciò il suo fare o non fare sarà cruciale per il destino e il futuro personale e
scolastico dell'alunno. Si determina così una grande responsabilità, che gli insegnanti affrontano a
volte inconsapevolmente, a volte con coscienza e giustificato timore, a volte con successo e
pazienza e grande impegno personale.
Spesso l'insegnante è la prima persona che può rendersi conto del problema e segnalarlo ai
genitori o ai servizi sanitari. A volte è l'insegnante che deve spingere i genitori, che negano il
problema, a prendere contatto con i servizi per la definizione diagnostica; in altri casi avviene
che i genitori, ben coscienti del disturbo, si trovino di fronte una scuola che non comprende il
problema.
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In genere la scuola italiana è gravata da un ritardo di formazione su questo argomento. Gli
insegnanti lungo il loro percorso formativo ricevono scarse informazioni persino sugli argomenti
di base, come i modelli normali di apprendimento della lettura e della scrittura.
Negli ultimi anni vi è stato un grande progresso nelle scienze cognitive che ha permesso di
formulare dei modelli di riferimento per i meccanismi cognitivi sottostanti il problema ADHD,
ma tali conoscenze hanno avuto una scarsa penetrazione nel mondo della scuola e quindi una
scarsissima applicazione sul piano didattico.
Il bambino ADHD mette in crisi, nel senso comune, gli insegnanti: è un bambino che appare
intelligente, vivace, eppure non impara. Se non impara deve essere poco intelligente oppure non
si impegna, è uno scansafatica: questa è la conclusione che si trae, in entrambi i casi sbagliata.
Ma capire perché è sbagliata esige che si sappia precisamente che cos'è l'ADHD, cioè una
disfunzione prevalentemente neurobiologica, che può essere completamente spiegata solo
nell'ambito di un modello causale di tipo neuro-psicopedagogico e sociale.
L'insegnante deve essere in grado di modificare il proprio approccio culturale, pratico e
motivazionale nei confronti del bambino ADHD, e questo significa rivedere il proprio modello
didattico, valutativo e motivazionale. La didattica per il soggetto ADHD richiede, oltre a una
grande flessibilità in funzione delle caratteristiche individuali, un atteggiamento che coinvolge le
procedure implicite della relazione educativa e che perciò va molto oltre l'informazione esplicita
che il docente può avere acquisito sul problema.
Spesso gli insegnanti sono alla ricerca di una "ricetta", di una prescrizione pratica sulle cose da
fare e da non fare con il bambino ADHD.
Pur se importante, questo non basta: l'ambiente fondamentale del bambino ADHD rimane la
scuola; è dalla scuola che si gioca il suo destino educativo. Il problema, al di là della diagnosi,
non può essere delegato ai servizi sanitari che, comunque, dovranno fare la loro parte, né alla
sola insegnante di sostegno nel caso che esista, e che deve essere adeguatamente preparata.
La ricetta miracolosa non esiste; la soluzione deve essere cercata pazientemente caso per caso,
attraverso un intervento multidisciplinare e sinergico, sapendo che il problema ADHD è una
caratteristica costituzionale dell'individuo, e non potrà essere cancellata con qualche esercizio di
riabilitazione. È importante quindi che gli insegnanti sentano questa responsabilità in termini di
consapevolezza e motivazione, per impegnarsi in prima persona nella gestione del bambino
ADHD; e che tengano presente che forse hanno già incontrato un bambino ADHD, anche se non
è stato ufficialmente diagnosticato. La formazione in questo settore richiede un grande impegno
di forze, disponibilità e amore per il proprio lavoro e per i bambini, e in particolare la capacità di
tradurre il passaggio delle informazioni in atteggiamenti e comportamenti pedagogici
conseguenti.
Bisogna creare già nei primi anni di scuola un clima favorevole, fatto di comprensione,
disponibilità e rispetto, dove ogni bambino si senta accolto e valorizzato. Ciò si traduce, altresì, in
un clima di costante collaborazione tra gli attori dello scenario in cui il bambino vive: la famiglia,
la scuola, i servizi sanitari e di riabilitazione. Attori che oggi sovente non dialogano, o sono
ancorati su logiche di contrapposizione negativa.
Questa contrapposizione negativa è descritta con amarezza da molti genitori e si ripercuote sulla
situazione del bambino ADHD. Gli insegnanti non capiscono il problema e accusano il bambino
o la famiglia; i genitori accusano la scuola o i servizi sanitari per l'incapacità di risolvere il
problema; allora anche gli operatori dei servizi, che dovrebbero essere i più equilibrati, finiscono
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con l'accusare scuola e famiglia. In questa dinamica negativa si cerca costantemente di riversare
la colpa sugli altri per il fatto che il bambino è ADHD, cosa di cui in realtà nessuno ha colpa,
essendo l'ADHD un fatto biologicamente determinato.
Creare una nuova cultura sul problema ADHD è l'unico modo per modificare questi
atteggiamenti negativi e per arrivare a un clima di costante collaborazione che accompagni il
bambino durante il suo difficile itinerario nella scuola e poi nella vita.
Creare una nuova cultura significa innanzitutto creare sinergie e un linguaggio comune fra
scuola, operatori e famiglie. Tutto ciò si determina attraverso una ridefinizione
personale/professionale e contestuale dell'insegnante e del clima "scuola" che trascende ogni pur
valida tecnica didattica e psicopedagogica. Quindi con una visione del ruolo dell'insegnante come
agente di cambiamento, per una evoluzione positiva del clima organizzativo della classe e della
scuola, presupposto fondamentale in ogni relazione di aiuto.
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Barkley, (ed. it. Chiarenza),
Ars Medica editore
Gli adolescenti iperattivi e i loro
problemi
C. Neuhaus, Le Lettere
Il parent training: counseling e
formazione per genitori
L. Benedetto - Carocci
International Consensus Statement on ADHD
da Clinical Child and Family Psycology Review, vol.5, no.2 Gennaio 2002
Russell A. Barkley, Ph.D.
Prof. di Psichiatria Univ. Medicina Sud Carolina Charleston
"Le opinioni di un gruppetto di dottori non esperti che affermano che l'ADHD non esiste sono p
con le consolidate opinioni scientifiche che affermano il contrario, come se entrambe le opinion
godere eguali meriti.
Tali tentativi alla fine danno all'opinione pubblica la sensazione che vi sia un sostanziale disacc
sul fatto che l'ADHD sia un disturbo reale. Infatti, non esiste affatto tale disaccordo almeno no
ne sia sul fatto che il fumo possa causare il cancro o che il virus dell'HIV causi l'AIDS "
ADHD e karate per la prevenzione del crimine
La pratica sportiva del karate come risorsa terapeutica impiegata “nell’ambito d
problematiche dell’età evolutiva e adolescenziale, prevalentemente disabilità di tipo so
quali: ADHD, autismo, fobia sociale e disturbi dello spettro ansioso-depressivo, aggressività e
esternalizzazione” (cfr. Progetto “Dal dojo alla famiglia alla società
www.aifa.it/documenti/progettoDojo.zip).....
ISBN 88-4303275-5
Impulsività, disattenzione e
iperattività nell'adulto
Archivio
Rassegna
Guida trattamento dell' ADHD
RJ. Resnick - McGraw-Hill
articoli
ISBN: 9788838627576
Rivista
Disturbi Attenzione e Iperattività
Edizioni Erickson
Bambini che fanno i capricci
Ray, O'Hanlon Tea Editore,
articoli
l'ADHD
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________________________________________________________________
Autismo Bimbi che non vogliono essere abbracciati
Il Pediatra Pag. 16 N.4 SETTEMBRE 2008
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Il dibattito sul Ritalin e il polverone mediatico
30/09/2008 Corriere di Bologna Pag. 9
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Mi sono recata a visitare la mostra ...
29/07/2008 Il Gazzettino Pag. XIV PADOVA
Antonella De Robbio
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NON METTETE I BIMBI DISABILI NELLA CLASSI DIFFERENZIALI
22/06/2008 - Tratto da la Repubblica - Napoli (di Antonio Nocchetti)
_________________________________________________________________
DAL COMPUTER UNA TERAPIA CONTRO L' ’IPERATTIVITA’ DEI BAMBINI
Un'alternativa ai farmaci per trattare l'Adhd
18/06/2008 - Sanità News
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ADHD: MALATTIA O MARKETING
06/02/08 VANITY FAIR: LETTERE E COMMENTI DEL DIRETTORE
_________________________________________________________________
26/01/2008 Io Donna Pag. 79 N. 4 - "Così ho guarito il mio bimbo IPERATTIVO"
_________________________________________________________________
L’ADIGE il problema: 22/01/2008 Pag. 55 "Bambini iperattivi, vogliamo soluzioni"
Delegata gruppo adhd TRENTO [email protected]
_________________________________________________________________
Gennaio 2008 Vanity Fair "Io, Cattivo io, Ribelle io, Distratto "
di M. Mianiti
Lettere al Direttore
Benvenuto sul sito
AIFA onlus
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DAL COMPUTER UNA TERAPIA
CONTRO L’IPERATTIVITA’ DEI
BAMBINI
Un’alternativa ai farmaci per trattare l’Adhd
Spesso sotto accusa per il loro effetto sulla psiche dei bambini i videogiochi sono stati rivalutati dalla
ricerca medica. Andrew Campbell, della facolta' di scienze della salute dell'universita' di Sydney, ha
sviluppato con buoni risultati un trattamento con giochi da computer per la sindrome da deficit
d'attenzione ed iperattivita' (Adhd), un disturbo neuropsichiatrico caratterizzato da disattenzione,
impulsivita' e iperattivita' motoria, che rende difficoltoso il normale sviluppo e l'integrazione sociale dei
bambini. Campbell e i suoi collaboratori hanno scoperto che un gioco comunemente in commercio, in cui
il giocatore indossa sensori di feedback biologico e deve usare tecniche di respirazione e di meditazione
per avanzare attraverso i vari livelli, puo' migliorare in misura notevole i livelli di stress e di
concentrazione dei pazienti di Adhd. L'innovativa ricerca ha attratto l'attenzione di un grossa compagnia
di giochi da computer di Singapore, la Nexon, che ha accettato di finanziare un ciberlaboratorio con
l'universita' di Sydney, per la produzione congiunta di nuovi giochi terapeutici, miranti a rafforzare
l'autostima, ridurre l'ansieta' e aiutare i bambini a gestire la sindrome. 'La Nexon ritiene che vi sia un
nuovo mercato per giochi terapeutici che producano risultati reali, e noi forniremo loro la base
scientifica', ha detto Campbell. Lo psicologo spera che il trattamento offra ai genitori un'alternativa ai
controversi farmaci stimolanti usati per trattare l'Adhd. 'Non diciamo che questa sia la bacchetta magica,
ma la nostra ricerca mostra che i giochi terapeutici possono migliorare la concentrazione di chi soffre di
Adhd in misura lieve o moderata', aggiunge.
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