muoiono se mangiano... ma non smetterebbero mai di mangiare!
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muoiono se mangiano... ma non smetterebbero mai di mangiare!
Poste Italiane. Spedizione in abbonamento postale - 70% aut. DRT/DCB/Torino - N. 1 - Anno 2008 - CARTA E PENNA, Via Susa 37 - 10138 Torino - ANNO VI - N. 22 - Primavera 2008 Poesia, narrativa, letteratura, cultura generale RIVISTA TRIMESTRALE MUOIONO SE MANGIANO... MA NON SMETTEREBBERO MAI DI MANGIARE! LA SINDROME DI PRADER WILLI COLPISCE UN BIMBO OGNI 15.000 NATI. LA DIAGNOSI PRECOCE PUÒ AIUTARE I PAZIENTI E LE LORO FAMIGLIE A VIVERE MEGLIO! VISITA IL SITO WWW.PRADERWILLI.IT O CONTATTA LA FEDERAZIONE AL 338 68 90 187 PER EVENTUALI DONAZIONI: BANCA SELLA - DIP. TORINO, PIAZZA CARDUCCI - C/C 0084756661 0 ABI 3268 CAB 01012 REALIZZATO DA: Studio fotografico Daylight Studio - Torino Federazione tra le Associazioni Prader Willi Associazione Culturale Carta e Penna Via Susa, 37 - 10138 Torino Tel. 011 434 68 13 www.cartaepenna.it Si ringrazia Elena Santarelli per la sensibilità dimostrata Con il patrocinio della I l S alotto degli A utori IL SALOTTO DEGLI AUTORI ANNO VI - N. 22 - Primavera 2008 Editore: Carta e Penna - Via Susa, 37 10138 TORINO Tel.: 011.434.68.13 - Cell.: 339.25.43.034 E-mail: [email protected] Registrato presso il Tribunale di Torino al n. 5714 dell’11 luglio 2003 DIRETTORE RESPONSABILE: Donatella Garitta [email protected] Stampato in proprio SITI INTERNET: www.ilsalottodegliautori.it - www.cartaepenna.it E-mail: [email protected] [email protected] I testi pubblicati sono di proprietà degli autori che si assumono la responsabilità del contenuto degli scritti stessi. L’editore non può essere ritenuto responsabile di eventuali plagi o irregolarità di utilizzo di testi coperti dal diritto d’autore commessi dagli autori. La collaborazione è libera e gratuita. I dati personali sono trattati con estrema riservatezza e nel rispetto della normativa vigente. Per qualsiasi informazione e/o rettifica dei dati personali o per richiederne la cancellazione è sufficiente una comunicazione al Direttore del giornale, responsabile del trattamento dei dati, da inviarsi presso la sede della testata stessa: Via Susa, 37 - 10138 Torino. Sommario Dante Alighieri -opere minori di Carlo Alberto Calcagno (Arenzano - Ge) .................................................... 13 Raccontami una storia... d’amore Rubrica a cura di Gennaro Battiloro .......................................................... 15 Il pensiero ha bisogno del cuore di Giovanni REVERSO (Torino) ................................................................. 16 Storia del Teatro di Maria Francesca Cherubini (Perugia) ............................................................................... 17 Elaborare il lutto di Giuseppe Dell’Anna (Torino) ..................................................................................... 21 Sark, dove il tempo si è fermato di Gianfranco Gremo (San Gillio – TO) ...................................................... 24 Conoscere Torino attraverso passeggiate a tema di Micaela Martini (Torino) ................................................. 26 Casa Leopardi: attrazione turistica marchigiana di Corrado Alessandrini ................................................... 27 La brutalità della vita e la brutalità della parola nel romanzo di N. Ammaniti, COME DIO COMANDA di Francesca Luzzio (Palermo) ............................................................................................................................ 28 Prete cattolico felicemente sposato pur continuando a fare il prete? Si può! Ecco la storia… di Franco Pignotti ............................................................................................................................................................. 30 L’iceberg di Gian Franco Micheletti (Orbassano – TO) ................................................................................. 33 Fiabe e storie albanesi di Bruna Tamburrini ................................................................................................... 35 Ricordando Fischer di Claudio GIOVANARDI (Novara) ............................................................................... 37 La sacralità della vita di Cinthia De Luca (Roma) ........................................................................................... 38 27 gennaio: Giorno della memoria ... per non ripetere con altri semiti di Fulvio Ferrero (Torino) ............... 40 Narrativa .......................................................................................................................................................... 40 Recensioni........................................................................................................................................................ 53 Premi Letterari ................................................................................................................................................. 58 -2- P rimavera 2008 La vetrina dei libri pubblicati dagli autori di Carta e Penna Tutti i libri pubblicati da Carta e Penna sono presentati sia al sito www.cartaepenna.it sia in queste pagine - I lettori interessati all’acquisto dei testi possono contattare la segreteria che provvederà a far recapitare il libro direttamente dall’autore - Per ulteriori informazioni sia per la stampa, sia per l’acquisto dei libri contattare la segreteria dell’associazione allo 011.434.68.13 oppure al cellulare n. 339.25.43.034 o inviare un e-mail a [email protected] - Nelle pagine centrali di questa rivista sono riportate le modalità associative e di pubblicazione dei libri senza codice ISBN IN CAMMINO... di Antonio BICCHIERRI - ISBN: 978-88-89209-73-8 - 12 €. Antonio Bicchierri ha vinto il primo premio nella sezione poesia della quarta edizione del Premio Letterario Internazionale Prader Willi - Anno 2007 - Questo libro è il premio che l’Associazione Carta e Penna, promotrice del concorso, ha messo in palio; la raccolta contiene le prime poesie scritte dall’autore che ha iniziato da poco a cimentarsi nella stesura di versi. Il poeta ha scelto di raccogliere le proprie liriche in diversi capitoli, raggruppandole in base ai contenuti e all’ispirazione che hanno guidato il nascere del verso. Nella premessa Antonio Bicchierri sostiene che”La vita è passione, sentimento, felicità, dolore, tormento” e nelle sue poesie vi sono questi sentimenti, espressi con versi chiari, semplici e mai banali, utili ad esternare le proprie emozioni. Leggendo i versi di Antonio Bicchierri si coglie l’attenzione al dettaglio, la riflessione dettata dalla sensibilità del poetare per arrivare a comunicare al lettore i propri convincimenti o dubbi. L’amore per la propria terra, il duro lavoro del contadino, i grandi e terribili eventi che hanno costellato la storia, diventano argomenti duttili sotto la penna del poeta attento che, con poche pennellate, ritrae un quadro ardente e ricco di sfumature... PERCORSI - Raccolta poetica di Giacomo GIANNONE ISBN: 978-88-8920-70-7 - Prezzo: 7,00 €. GIACOMO GIANNONE ha vinto il primo premio nella sezione poesia della terza edizione del Premio Letterario Internazionale Prader Willi - Anno 2006 - La sensibilità poetica di G.G. ha portato i giurati ad esprimere un corale consenso nei confronti delle poesie Sul monte crateri fumanti - Cocci di terracotta - Dalla cuna della casa antica presentate al concorso poiché i versi dell’autore colpiscono per la profondità e per la delicatezza con cui espone il proprio sentire. Questo libro è il premio che l’Associazione Carta e Penna, promotrice del concorso, ha messo in palio e l’autore ha scelto di raccogliere le proprie poesie in tre diversi capitoli, raggruppandole in base ai contenuti e all’ispirazione che hanno guidato il nascere del verso. Nei componimenti l’autore affronta argomenti anche gravosi quali l’emarginazione, il difficile rapporto tra generazioni (vicine, ma così diverse da non riuscire quasi più ad intendersi) o il passar del tempo e la malattia e si può osservare una grande attenzione al dettaglio che offre l’ispirazione. L’autore effettua un’attenta ricerca di termini e analogie per esprimere il proprio punto di vista e questo coinvolge il lettore che si lascia avvolgere dall’atmosfera creata. Inoltre la ricerca attenta delle parole porta alla creazione di un verso con una sintesi lessicale elegante, mai scarna ma equilibrata e capace di comunicare le forti emozioni del poeta. FINALMENTE...L’AMORE VERO di Maria Rosa GELLI ISBN: 978-88-89209-71-4 - 15 € . Maria Rosa Gelli è nata e vive in Toscana. Giornalista pubblicista collabora regolarmente a delle testate giornalistiche in seno alle quali cura rubriche e articoli vari. Poetessa e narratrice ha al suo attivo, tra l’altro, due sillogi poetiche: Una promessa è una promessa e Dietro lo specchio editate da G. Laterza di Bari e un romanzo Una goccia nell’oceano ed. Colombo. Tali pubblicazioni sono state accolte dalla Critica ufficiale con lusinghieri giudizi. Diverse riviste specializzate e antologie, italiane e straniere, riportano poesie cui seguono commenti assolutamente favorevoli. Presente e conosciuta nel mondo della cultura, ha ricevuto significativi premi e riconoscimenti. Fa parte, quale Accademica, di varie strutture italiane. -3- I l S alotto degli A utori LE LACRIME DEL SOLE di Giuseppina IANNELLO SICCARDO ISBN: 978-88-89209-75-2 - Prezzo: 13 euro Questo mio libro “Le Lacrime del sole”, ha come tema di fondo, la figura umana nella interezza della propria spiritualità. Racchiude altresì, il concetto del rispetto per ogni forma di vita e per ogni espressione della vita stessa articolata secondo un sano equilibrio e rapporto tra spiritualità e materia e, se trovo simpatici, perfino alcuni oggetti, una statuina, una scatola, un bacile, è perché dalla loro fattura, traspare il temperamento artistico e poetico di chi tali opere ha costruito (demiurgo). Nelle “Lacrime del sole”, sole auspicato dagli esseri umani, quasi sempre, immagino che il celebre astro, versi una lacrima di commozione, ogni qualvolta, un bambino viene alla luce. Per lacrime intendo anche la rugiada, quella per la quale un giardino appare ancora più incantevole perché baciato dalla luce delle emozioni; ecco perché ros solis, mi è sembrato un titolo appropriato per ciò che io voglio esprimere. In conclusione, il mio libro tratta argomenti autobiografici e non, ma con un contenuto ed una forma che sono il risultato di una sottile fusione tra realtà e fantasia; fusione, anche, tra pianto ed umorismo. Acquistando una copia si avrà in omaggio il volume di poesie dell’autrice: Nel mare dei miei sogni. A SUD DI NESSUNO di Agostino MARANO ISBN: 978-88-89209-78-3 - Prezzo: 8 €. Agostino Marano è nato a Napoli il 17-03-1942, dove vive e opera. Pittore poeta e scrittore. Scrive poesie da vari anni in napoletano, italiano e francese. L’autore in questa raccolta di racconti colleziona attimi di vita quotidiana, esperienze di vita vissuta e sentimenti veri, guidando il lettore tra le esperienze ch’egli ha vissuto o immaginato. Per desiderio dell’autore i proventi ricavati dalla vendita di questo volume saranno devoluti a favore dell’Associazione Prader Willi, malattia genetica rara che colpisce un nato ogni 15.000 causando ipotonia, appetito insaziabile, obesità, ritardo mentale, ritardo funzionale, bassa statura negli adulti e problemi comportamentali, legati alla mancanza del senso di sazietà. Questo è uno dei problemi maggiori: il paziente, essendo privo del senso di sazietà, a causa di un’anomalia nel centro che controlla questo stimolo nel cervello, ha un appetito inestinguibile; allo stesso tempo la malattia causa una disfunzione nel metabolismo che riduce notevolmente la capacità dell’organismo di bruciare le calorie assunte. La diagnosi precoce è di primaria importanza in quanto dà la possibilità di intervenire con farmaci e cure affinché, sin dai primi mesi, si possa migliorare la qualità della vita del bimbo e della famiglia. RISVEGLIO E ALTRE STORIE CON LE ALI di Giuseppina RANALLI - Prezzo: 13,00 euro ISBN 978-88-89209-72-1 Le farfalle, delicate creature, le cui ali sembrano tele di pittore sulle quali la natura si diletta a dipingere usando ogni colore della tavolozza, sollecitano l’immaginazione degli artisti, che nella loro danza, nel loro fondersi ai colori dei fiori, e nelle loro metamorfosi, vedono la vita dell’uomo, mutevole, magnifica e crudele, ma soprattutto breve. Alla, la protagonista di tutti e quattro i racconti, è una farfalla dalle ali completamente bianche. È una creatura semplice e sensibile, con un senso profondo dell’amicizia. È l’esempio di come nella vita sia importante essere e non apparire, di come le qualità della mente siano più importanti di quelle del corpo. Non manca tra i racconti, un mito, genere di favola che tanto piace all’autrice e che ancora una volta, con “Risveglio e altre storie con le ali”, ci guida nel mondo della fantasia, raccontandoci la vita col suo scrivere semplice e scorrevole. LA COMUNICAZIONE AUMENTATIVA ALTERNATIVA, GIOELE E IO di Susanna Voccia ISBN: 978-88-89209-74-5 - Prezzo: 12,50 €. Questo libro fornisce delle indicazioni su come gestire la CAA dall’inizio con un bambino diversamente abile. Gli strumenti utilizzati mi sono stati forniti da diverse logopediste ma anche da altre mamme che come me avevano un bimbo speciale. Altre cose le ho inventate e sperimentate con Gioele. Sicuramente la cosa indispensabile per conseguire risultati è la costanza, la collaborazione con più persone e la fiducia nelle possibilità di mia figlia e nel sistema CAA. Mi rendo conto che ogni bambino è un mondo a se ma forse potrete trovare tra le pagine qualcosa di utile. Per contatti diretti con l'autrice: e-mail: [email protected] - Cellulare: 339.44.76.340 -4- P rimavera 2008 PRIME POESIE di Giacomo ABBATE - 10 €. Le poesie raccolte in questo volume sono, come si evince dal titolo, i primi scritti dell'autore e toccano gli argomenti più disparati: l'handicap, il ruolo dela donna, i ricordi... Proponiamo alcuni versi dedicati alla moglie: Da più di vent’anni noi siamo sposati, belli dolci e sani abbiamo tre figli abbastanza studiosi e aperti ai consigli ci amiamo come quando ci siamo incontrati. Mia moglie è una donna opulenta e formosa ha belle curve da accarezzare e da vedere Belle le rughe profonde d’espressione incantato dalle movenze del sedere ha amato, ha sofferto, si è anche divertita piene ho le mani della sua carne setosa. ha partorito i figli, ha amato la vita ha dato tanto con dolcezza e passione. IL MIO ESSERE VITA di Andrea BERTI- 13 €. Dalla prefazione di Marzia Carocci: “Andrea Berti nasce a Firenze, dove trascorre la propria vita attingendo all’arte poetica, uomo sensibile e fortemente religioso, è dotato di spiccate capacità artistiche ed umane. Già autore di volumi poetici, si cimenta in questo libro aprendo il suo cuore, mettendo a nudo un’anima semplice, liberandosi da ogni inibizione, ci offre così un quadro limpido e traboccante di vissuto. Le sue riflessioni ci regalano emozioni forti e ne comprendiamo tutta la sua interiorità, ciò fa del Berti un uomo di altri tempi, con radici ben radicate al richiamo familiare, al Credo religioso, dove trova rifugio ad ogni suo timore umano, ogni paura sembra scomparire al cospetto di Colui che fa sperare mondi migliori. Il poeta è ben conscio della realtà conforme alla natura umana con tutti i suoi drammi ed ostacoli, descrive esperienze personali, stati d’animo, dubbi, il tutto narrato servendosi reminiscenze spesso dolorose, ma sempre guardando avanti, attraverso immagini luminose, senza retoriche o banalità e comunque mai pessimistiche. NEI GIARDINI DI SPAGNA di Oreste BONVICINI Note di viaggio e letteratura Non sapere che itinerari / la sera il vento il cuore / sopra la pietra che si è fatta ombra. (Souvenir, Giorgio Simonotti Manacorda) Ci sono mete che si raggiungono all’alba come il risveglio dopo una notte di sogni torbidi e gravi, quando la luce filtra la cortina delle tende. Ci sono mete che si oltrepassano smarrendo l’occasione di riconoscerle. Ci sono mete che non si raggiungono mai. E invano il cammino si affanna ripercorrendo il già percorso sui sentieri del tempo, invocando anche l’intercessione divina, aspettando la luce delle stelle indicarci la direzione. Di tanti valori avevamo caricato il viaggio in Andalusia, meta raggiunta all’alba di una primavera che stentava a decollare, fredda ancora, con sbalzi umorali di pioggia e squarci di sereno e notti fresche o fredde e improvvisi rovesci, meta oltrepassata perché tutto concorre a far della Spagna di questi anni un cantiere dove il passato si annulla, nella frenesia di nuovi modelli economici che hanno nel consumismo quel desiderio di rivincita che la nostra esperienza ha maturato in decenni ormai trascorsi ... SOGNANDO IN VENTI MINUTI di Paolo BONZO - Prezzo: 8 €. Il continuo oscillare tra il razionale e l’irrazionale, la realtà e l’irrealtà elementi sempre più vivi e presenti nell’epoca dove sembrerebbe facile poter dare una spiegazione a tutti gli eventi che completano la nostra vita, mi ha indotto a scrivere questo breve libro che vorrei fosse di aiuto a chi avrà la pazienza e la voglia di leggerlo, per meglio comprendere tra gli innumerevoli enigmi che stuzzicano la curiosità umana, uno in particolare con il quale ci troviamo costantemente in diretto rapporto senza preoccuparci della sua importante e entusiasmante naturalità, cioè i sogni. Intendo riferirmi ai sogni come dire gli incoscienti o forse coscienti fatti di estasi e vagabondaggi dello spirito, di abbandoni e di aspirazioni, di contemplazioni e bisogni emotivi che si avviano nel cervello quando “Morfeo” ci chiude le palpebre e stende sulla nostra vita da svegli una coltre trasparente e leggera...Il nostro corpo, allora giace inerte appena turbato dal respiro, alla vita attiva, cosciente, subentra per ragioni fisiche la vita incosciente, inattiva. Il corpo riposa ma il centro della vita, il cervello, non rinuncia alla sua attività, costruisce per mezzo delle impressioni sensoriali quelle meravigliose sequenze di momenti che sanno di beatitudine e di dolore, di gioie e di disillusioni, il nostro corpo è quasi immobilizzato, mentre la mente costruisce una vastità enorme di fantasie... -5- I l S alotto degli A utori PUZZLE - Racconti gialli e del mistero di Matilde CISCOGNETTI - 15 € Poetessa e scrittrice napoletana, Matilde Ciscognetti ha pubblicato vari libri, tra cui ‘La luna nelle mani’ (Premio Città di Vallesenio) e ‘Kimeo e altri racconti’ per la narrativa. Per la poesia ‘Cuore di legno’, ‘Il fiore di sabbia(versi haiku), ‘Axidie’ (poesie in vernacolo), ‘Le voci del tempo’, ‘E chi se non il vento…’, Versi sciolti, ed altri. Autrice anche di testi teatrali, ha di recente ottenuto il premio ‘Città di Mesagne’ (BA) per il teatro, per il lavoro ‘Il pegno galeotto’. L’autrice cura personalmente le copertine dei suoi libri con disegni, foto e composizioni grafiche di sua creazione. Le storie narrate in questi racconti, scritti agli inizi degli anni '90, si succedono con i loro personaggi, fatti e luoghi, sullo sfondo della imponderabilità umana che, pure sfuggendo al controllo della razionalità, finisce per diventare filo conduttore di eventi plausibili, possibili nella loro dinamica di svolgimento, e suscettibili di una interpretazione logica anche dell'inconscio. Ciò in virtù di un meccanismo di scrittura avvincente e nel contempo attenta agli aspetti inconoscibili dell'animo umano. IL VALORE DELLE COSE - Racconti di Edda PELLEGRINO CONTE Dal primo racconto che dà il titolo alla raccolta: Si sentiva un intruso. Forse la memoria gli suggeriva visioni ingannevoli, illusa da un vissuto lontano. Non ritrovava né persone né cose che avessero un legame con la sua infanzia. L’ambiente era mutato, il vivere diverso, la gente sconosciuta. Quello non gli sembrava il suo paese, né quella era la sua gente. Si chiedeva se gli anni trascorsi altrove potessero essere motivo sufficiente a creare tale sensazione di estraneità. Invano ricercava la bellezza dei vasti orizzonti, o il colore della sua terra: terra rossa sotto ulivi giganti, in mezzo a viti generose e forti. Una società nuova aveva cancellato il georgico candore di un tempo. Trattori moderni e congegni automatizzati avevano sostituito la fatica dell’uomo nei campi. Il vivere quotidiano ne risultava rivoluzionato. Anche lui, del resto, non era più la stessa persona che un giorno lasciò la terra dei padri per un vivere diverso. Con la sua fuga l’aveva forse tradita, quella sua terra, che oggi non lo riconosceva, che forse lo rifiutava..... Un triste ritorno, una serie di pensieri amari di uno che tornava, chiamato ad assolvere un triste compito, quello di raccogliere i resti di una modesta eredità. ALI NEL TEMPO di Ermanno CROTTO - 10 €. Ermanno Crotto è nato a Torino nel 1974 dove vive e lavora. Divide il suo tempo libero tra scrivere poesie, pensieri e l’hobby per la fotografia prediligendo paesaggistica, ritratti, macro. Attivo come cantante (baritono) nel Sunshine Gospel Choir di Torino. E’ alla sua prima pubblicazione con Carta e Penna editore. La poesia che segue è tratta dalla silloge: C HIARO DI L UNA Le tue mani …nell’etere nei passaggi silenziosi spargevi inesplorati celato forse ancora una volta l’infinito del tuo presente immortale dagli attriti ebbe la meglio sulle tempeste scorrevano di un tempo del mondo sul suono prematuro di un rinnovato idealismo che il tuo animo …suggerivi (al maestro dipingeva vibrazioni Ludwig Van Beethoven) sulle ali del tempo, nuova luce Agata Fernandez Motzo, è nata a Trapani il 9 marzo 1927, ha conseguito la laurea in Lettere classiche all’Università di Palermo, è sposata, ha tre figli e un nipotino.Insegnante in pensione può dedicarsi con più disponibilità di tempo al binomio Religione-Poesia. È francescana secolare dal 1950, attualmente nella fraternità Immacolata concezione di Roma. Ha pubblicato finora, in seguito a premiazioni e segnalazioni conseguite in concorsi letterari, su riviste letterarie e antologie; con Carta e Penna Editore ha pubblicato la silloge poetica Una voce divina, quale primo premio del concorso Re Sole bandito da Penna Magica, associazione letteraria di Garbagnate Milanese. Ha inoltre pubblicato, con Carta e Penna Editore, le raccolte poetiche Il Sacro fuoco e Col nodo più stretto e, tra i quaderni del Convivio, la silloge Misteriosi orizzonti. -6- P rimavera 2008 CENISCHIA E MORIANA - Raccolta poetica di Fulvio FERRERO Dalla premessa dell'autore: Primo Levi è lo scrittore che preferisco, una delle mie radici. Al Museo della Resistenza, lo vidi ritratto con lo sfondo del ghiacciaio delle Evettes: anche lui in Moriana e nel periodo della foto ero negli stessi luoghi! Adoro il libro “Sistema periodico”, racconti legati ad un elemento chimico. Mi avvince sempre il racconto del “Carbonio”. Quest’ultimo marcò il mio mestiere d’alchimista, quando ebbi la sorte di manipolarlo nei polimeri. Era solo materia inanimata. Mi coinvolge soprattutto perché ricomincia senza sosta il ciclo tra anidride carbonica, calcari e la materia vivente. Negli anni ‘90 incominciai a scrivere ricordi d’escursioni. Per affinità (od imitazione di Primo?), volli dare loro il nome di un fiore alpino. Narro trentacinque anni di gite sulle montagne sorelle della bassa Val Susa e della Haute Maurienne. Qui ne riporto alcuni con poesie. Sono grato a Silvio che me le fece scoprire. Mi fece assaggiare, “la carne dell’orso” come il Sandro del Ferro ed imparai a superare pericoli, paure non solo sulle pietre e sui ghiacci. Le cime sono ormai irraggiungibili. Pensai che avrei sofferto molto, mi sono adattato, è la regola della natura. SINFONIA CELESTE di Elio Porfirio GASBARRO - 10 euro L’autore è nato a L’Aquila risiede a Ciampino (Roma). Ha frequentato Licei classici in Istituti religiosi. Dirigente importante Società Responsabile Abruzzo. Ha partecipato a molti Concorsi letterari Nazionali e Internazionali, riscuotendo sempre ed ovunque lusinghieri successi. Nomina a Membro Honoris causa a vita della Unione Pionieri della Cultura Europea - CDAP - UPCE. Finalista in più Associazioni tra cui la Ibiskos di A. Ulivieri; Associazione Primavera Strianese; Associazione Il Simposio, Libera Associazione Poeti e Scrittori ed altre. Tra i vari premi vinti si segnalano i più recenti: Premio Letterario Nazionale Cuore di Sicilia, concorso Internazionale Arte e Letteratura Città di Avellino Trofeo verso il futuro - Premio Festival della Poesia Europea - Associazione Culturale Il Pianeta dell’amore - Premio Associazione Culturale Astra - Premio Nazionale Cuore di Sicilia / Quasimodo - Premio Accademia Italiana gli Etruschi. Premio al VI Festival della poesia europea, Ass. Il Pianeta dell’Amore - Diploma d’onore Accademico Contea di Modica - Secondo premio Terza Biennale d’Arte e Letteratura 2006, Omaggio alla Città di Roma. UOMINI E DONNE... SEMPRE PIÙ SOLI di Gianfranco GREMO - 12 euro L’autore è nato il 17 ottobre 1947 a Torino. Ama scrivere racconti, poesie e commedie; la sua opera “Nostalgia del presente” è stata più volte replicata con successo in diversi teatri torinesi. Questo è il secondo volume che pubblica con Carta e Penna ed è il proseguimento del primo poiché continua l’escursione dell’autore nel mondo emotivo degli uomini e delle donne. Un mondo affascinante, nonostante quel “sempre più” che tende a colorarlo di pessimismo. Questa volta il suggerimento è di ricavare forza dalle difficoltà relazionali che si incontrano nella vita. Affrontarle per vincerle è il compito di tutti noi. IL BAMBINO VENUTO DAL CIELO di Roberta LOLLI Una persona speciale ha attraversato, come un angelo, le nostre vite. Spesso però ci si dimentica delle persone che con la loro dedizione e la loro rassegnazione silenziosa, hanno fatto sì che queste persone diventino speciali. E’ per questo che ho scritto queste poche righe, per ricordare la dedizione esemplare dei genitori di Emanuele e la rassegnazione e la rinuncia ad un loro abbraccio da parte di Luca, grandissimo fratello; e un po’ per tutti noi che l’abbiamo accolto ed amato. Ho sempre creduto che i numeri fossero in qualche modo legati ad un significato ben preciso e si presentino a noi in momenti ben definiti. 3 è il numero della S. Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo. 7 è il numero perfetto di Dio. Nella Sacra Bibbia è un numero ricorrente: in 7 giorni Dio compie la Creazione, 7 sono i bracci dei candelabri ebrei,... e infine 7 sono gli anni della sua vita. Affiancando i due numeri si ha proprio la data di nascita di Emanuele: 3 - 7 - 1998 “Ecco, la Vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi” ( Matteo 1,23 ) -7- I l S alotto degli A utori I GIALLI DEI LIMONI di Silvio Minieri - 10 euro Dall’introduzione: “Il protagonista di queste brevi storie è, ad oggi, l’ultimo arrivato tra i commissari di polizia della letteratura italiana di genere “giallo” e da neofita è sicuramente un po’ intimidito dalla compagnia illustre, in cui si è venuto a trovare. E’ un personaggio abbastanza evanescente, appartiene al Mondo 3 di Popper, ha la stessa consistenza dei disegni animati o delle figurine dei fumetti, forse non esiste, come dice di essere sicuro Eco di tali personaggi (A passo di gambero, p.264), anche se Gadamer afferma la “entità” dei prodotti dello spirito umano. E’ verosimilmente uno dei tanti simulacri o idola, che scivolato via dall’esistenza di una sua particolare realtà, si aggirerà per sempre negli infiniti spazi, a dirla con il linguaggio di Epicuro e di Lucrezio, per andare a finire chissà dove. Eppure oggi molti di codesti simulacri vengono captati con frequenza quotidiana dalle potenti antenne televisive e noi li vediamo muoversi sul piccolo schermo di casa: chissà se sono veri (reality) o falsi (fiction)! Dicevo della timidezza del mio commissario: è un giovane, direi un giovanissimo, di carattere riservato, più sognatore che policeman, quasi un poeta con i suoi “gialli dei limoni” di montaliana memoria. Se consideriamo la sua attività, ci rendiamo conto che esordisce con un arresto “spettacolare” abbastanza discutibile, per poi ripiegarsi nell’interiorità di un suo infelice amore. ... FARFALLE raccolta poetica di Lina PALMIERI Lina Palmieri, è nata a Sessa Aurunca (CE). Vive a Torino, dove ha lavorato come insegnante in alcune scuole elementari. Da quando è andata in pensione, ha potuto dedicarsi con più impegno alla scrittura, che ha sempre amato. Con Carta e Penna Editore ha pubblicato i suoi primi racconti nel libro Arcobaleno; di esso fanno parte i Racconti Bonsai, da lei ideati, cioè racconti brevi che si svolgono in un breve arco di tempo. In questa silloge, Farfalle, l’autrice ha raccolto poesie scritte nell’arco di molti anni, e due opere del marito, Pier Paolo Bassignana. LUCI NOTTURNE (10-11-06) L’AURORA ROSA (27-2-07) NEL MIO CUORE (27-2-07) Luci notturne scintillano nell’aria: stille di vita. L’aurora rosa dipinge il mio cielo: calda speranza. Nel mio cuore albergano visioni; sogni d’amore. IL GRANDE BOSCO di Fiorella REY di VILLAREY Che cosa vorrà mai comunicare un poeta, oggi? Credo abbia ancora un senso consegnare dei versi ad un libro. Chi li scrive trasmette emozioni,vuol essere un amico che racconta il giorno ,l’eterno, il dolore che ci attornia, tra muri di solitudine e la ricerca del volo. Fiorella, anche lei nel labirinto della vita, alla ricerca di certezze, tra aneliti e realtà, scandisce il suo pensiero con parole alte, di cristallo. La forma essenziale, ove scorre la musica, i contenuti equilibrati, tendenti all’ottimismo,rivelano schiettezza di sentire e capacità di ascolto dell’altro. Fulvio Ferrero A pagina 19 l’omoma poesia di apertura del libro RACCOLTA DELLE OPERE DI POESIA DEL CONCORSO LETTERARIO INTERNAZIONALE PRADER WILLI ISBN: 978-88-89209-76-9 - 12 euro RACCOLTA DELLE OPERE DI NARRATIVA DEL CONCORSO LETTERARIO INTERNAZIONALE PRADER WILLI ISBN: 978-88-89209-77-6 - 12 euro Contattare la segreteria per prenotazioni di copie: Tel: 011.434.68.13 - 339.25.43.034 e-mail: [email protected] -8- P rimavera 2008 Cinque gioielli firmati dalla scrittrice partenopea Monica FIORENTINO: LA STORIA DELL’ANGELO AZZURRO - LA STORIA DELL’AQUILA NANA - LA LEGGENDA DEL DRAGO TURATI E DELLA STREGA CHE NON VOLEVA CUCIRGLI L’ALA - LA FANTASTICA AVVENTURA DELL’ELFO SILVANO - IL RACCONTO DEL FOLLETTO LUCIDASTELLE In questi libri tascabili Monica Fiorentino ha raccolta delle brevi ma intense storie dedicate ai lettori in cerca di letture che facciano volare la fantasia tra personaggi immaginari e leggende antiche. Il dottor Manzo (poeta, filosofo, teologo, traduttore di classici greci, latini e della letteratura internazionale) prosegue con la pubblicazione di sue poesie, saggi e traduzioni. Ecco gli ultimi titoli: ESSER SANTO OGGI - L’AVATARA KRISHNA - CONFUCIO E LAOZI - ORIGENE, “PRINCIPII” - QUALCOSA DI TE IN ME, DI ME IN TE AURELIO CLEMENTE PRUDENZIO “INNI DI OGNI GIORNO - POESIA GRECA - POESIA LATINA A fianco: l’autore con Kabir Bedi, interprete del celebre sceneggiato televisivo Sandokan, tratto dai romanzi di Emilio Salgari. -9- I l S alotto degli A utori Quattro chiacchiere col Direttore Gentili Autrici, Gentili Autori, negli ultimi mesi si sono susseguite moltissime novità! Inizio con quella che mi coinvolge in prima persona e che introduco con una battuta: ebbene sì, anche i direttori pubblicano i propri libri! È uscito, alla fine di dicembre, pubblicato dalla Neos Edizioni di Rivoli il mio primo romanzo intitolato Il rio racconta – Una storia del ‘600; è un romanzo storico ambientato a Torino e in altri luoghi che mi sono particolarmente cari. Chi avesse piacere di leggere il libro può richiederlo all’editore o direttamente a me ai miei soliti recapiti: sarà inviato senza spese postali all’indirizzo che vorrete indicare. Un’altra bella novità è data dalla diffusione dello spot realizzato a favore della diffusione della conoscenza della Sindrome di Prader Willi. Il 16 febbraio, durante il telegiornale delle 13,00 su Canale 5 è stato trasmesso il servizio realizzato da Beppe Gandolfo, corrispondente del TG5 da Torino, nell’ambito della rubrica Indignato speciale e curata da Andrea Pamparana; in questo servizio si metteva in rilievo il fatto che, purtroppo, lo spot realizzato grazie alla collaborazione gratuita di tante persone, sarebbe rimasto in un cassetto poiché la Fondazione Pubblicità Progresso ha negato gli spazi per trasmetterlo in televisione. Quel servizio ha, come si suol dire, smosso le acque e portato i primi risultati concreti; a pochi minuti di distanza dalla trasmissione del servizio il telefono di Via Susa ha iniziato a suonare quasi ininterrottamente… erano persone che volevano esprimere la propria solidarietà! Siamo stati contattati dal direttore della rivista TRENTAGIONI, mensile a distribuzione gratuita che ci ha dato la disponibilità di una pagina per la pubblicazione del manifesto che vedete in copertina. Successivamente ci ha contattati l’associazione Associazione per la tutela degli utenti della strada che ha predisposto un link all’interno del proprio sito www.assotus.org. Il NetWork www.spotdream.com di Daniele Proietto con varie WebTv (totalizza più di 6 milioni di accessi al mese da tutta Italia) ha trasmesso gratuitamente per un’intera settimana lo spot nell’ambito di alcune TV presenti in Internet. Inoltre su www.spotandweb.it è stata pubblicata un’intervista, realizzata da Fabio Muzzio, in merito alla S.P.W. Un altro bel regalo è stato fatto da SKY TV, la televisione satellitare che lo ha trasmesso per due settimane su vari canali grazie all’interessamento di Enrico Di Rosa, nostro associato che ha curato anche la parte organizzativa della realizzazione. Ovviamente continueremo a cercare spazi dove poter trasmettere lo spot, confidando nella disponibilità dei funzionari televisivi. Passando alle notizie dei vari concorsi a pagina 59 troverete le graduatorie della seconda edizione del premio letterario Infermierionline AIOL 2007 e del concorso letterario Città di San Gillio: un ringraziamento a tutti i partecipanti e complimenti ai vincitori. Si è anche concluso il PREMIO DEL DIRETTORE e la graduatoria finale è la seguente: Sezione articoli: 1° posto – Giulia Del Giudice; 2° posto – Pacifico Topa; 3° posto ex æquo – Rubbianesi Silvia e Paolo Bonzo; Sezione poesia: 1° posto – Tina Piccolo; 2° posto – Mariateresa Biasion Martinelli; 3° posto – Gianclaudio Vassarotto. Ringrazio sentitamente la giuria, composta dai lettori della rivista e mi complimento con i vincitori che si sono classificati, come si suol dire, sul fil di lana! Sempre in tema di concorsi si è svolta a Torino il 25 novembre 2007, presso il Circolo Eridano di Corso Moncalieri, 88, la premiazione della quarta edizione del concorso Prader Willi. È stata una giornata piacevole, trascorsa nelle accoglienti sale del Circolo affacciato sulla riva del Po e sede estiva del circolo degli Artisti di Torino. Sono stati con noi, oltre agli autori premiati, la Segretaria dell’Ass. S.P.W. del Piemonete con suo figlio Fabio, incaricato di consegnare i premi. A pagina 58 il bando completo della quinta edizione che chiude le iscrizioni il 30 giugno. Sono anche state realizzate due antologie contenenti tutte le opere che hanno partecipato al concorso, una per la narrativa e una per la poesia, presentate tra i libri nelle pagine successive; chi fosse interessato ad averne copia potrà richiederla alla segreteria oppure, se pensa di visitare la Fiera del Libro che si terrà a Torino dall’8 al 12 maggio, potrà trovarla allo stand che condividiamo con la Federazione Malattie Rare Infantili di Torino. Al momento non ci è ancora stato comunicato il numero dello stand ma lunedì 12 maggio alle ore 18,30 – Spazio Autori Calligaris B – si terrà la conferenza stampa di presentazione delle nuove iniziative associatie e degli autori presenti in Fiera. Donatella Garitta Carissima Donatella, eccoci a riprendere il nostro cammino letterario nel 2008. Innanzitutto desidero ringraziare te e quanti, tra gli amici autori, mi siete stati vicini per la perdita del mio papà. C’è un senso di grande tristezza che avvolge l’animo in queste circostanze e per superare un simile stato emozionale è pur necessario attraversarlo fino in fondo, viverlo nella sua interezza per poterlo poi lasciare partire e aprire così una nuova porta. In realtà, per riuscire ad esprimermi - 10 - P rimavera 2008 in questo modo, ho fatto un corso di preparazione al “lutto” e cioè alla “perdita”, a qualcosa che “termina”, ma per poter entrare successivamente in una nuova fase. Sono stato indeciso fino all’ultimo, ma ho poi accolto lo stimolo interno di scrivere un articolo sull’esperienza appena vissuta, col profondo desiderio di essere d’aiuto a me stesso e a coloro che, in queste circostanze, ne hanno bisogno. Ho notato che hai già stilato un programma operativo per il 2008, l’augurio che tutto proceda per il meglio, sia attraverso la tua attività, sia attraverso la nostra presenza e collaborazione. Buon lavoro a te e agli amici autori. Giuseppe Dell’Anna (Torino) Cara Donatella, siamo arrivati ad un nuovo Otto Marzo, ed è piacevole porre a tutte le rappresentanti femminili del “Salotto”, un caloroso Augurio, così come mi preme ricordare che l’Otto Marzo 2006 a Vinovo, è stato presentato il libro “Ottimesia”, un altro modo di vedere ed apprezzare la vita. Giuseppina Ranalli ideatrice del “Progetto” si è prodigata nel relazionare circa l’Ottimesia, spiegando che “è il desiderio condiviso di molti poeti di evidenziare l’aspetto positivo della vita, in quanto la scrittura, in modo particolare della poesia, è un efficace metodo terapeutico perché aiuta l’uomo a liberarsi di pesanti fardelli condividendoli con gli altri e permettendo loro di prenderne coscienza, tanto da scoprire, attraverso lo scritto, l’univer- salità del proprio dolore (che diventa condivisione e quindi liberazione)”. L’Ottimesia si prefissa come scopo, ci ricorda sempre l’ideatrice del progetto, “di condividere attraverso la poesia, non solo i momenti più dolorosi della vita, ma anche le emozioni più gioiose, quindi di trasmettere un messaggio positivo che sappia infondere fiducia”. E’ senz’altro uno sforzo che vale la pena di compiere per ritagliarsi anche un piccolo spazio, che sia una boccata d’aria pura contro l’inquinamento, di tutti i tipi, sempre più aggressivo e diffuso. E’ un dovere morale verso se stessi ed una piccola grande gioia della vita, poter avere una scansia della memoria in cui riporre pensieri positivi da condividere con gli altri. Di notizie pessimistiche e negative, abbiamo già riempito la mente tanto da farci condizionare e anche al mercato dell’insipienza, non possiamo più venderne né regalarne perché ormai tutti ne possediamo già oltre il dignitoso fabbisogno. E’ una grande occasione quindi questa Ottimesia, una grande opportunità che ci permette di stare meglio con noi stessi e con gli altri. Ricordiamocene, permettendole di allargare i suoi confini. E a questo punto, che l’Otto Marzo sia, oltre che la festa dell’altra metà del cielo che brilla nell’universo dei sentimenti, anche quella dell’”Ottimesia”. Auguri a tutti! Aldo Di Gioia (Torino) Il romanzo è ambientato nei dintorni di Torino e nella città stessa negli anni che vanno dal 1630 al 1642, trattando un particolare assedio subito dalla città nel 1640. Quest'assedio è poco conosciuto ma piuttosto insolito: Maria Cristina, sorella del Re di Francia Luigi XIII e soprannominata Madama Reale, reggente del Ducato di Savoia è barricata nella Cittadella Fortificata con alcuni soldati francesi a lei fedeli; la città, che circonda la cittadella, è in mano ai principisti che, col sostegno degli spagnoli, cercano di resistere all'accerchiamento dei francesi che vogliono conquistare Torino e liberare Madama Reale i militari della cittadella. L'esercito francese, però, è a sua volta accerchiato da quello spagnolo che ha tutto l'interesse di liberare la città dalla morsa francese... In tutto questo trambusto fatto di alleanze, tradimenti e inganni si muove Sebastiano, un giovane obbligato a lasciare la propria casa a causa della peste... la stessa epidemia resa famosa dal Manzoni e che colpì tutt'Italia e non solo! La vita di Sebastiano e degli altri protagonisti si intreccia con quella dei grandi personaggi, che hanno segnato tappe significative nella Storia dei Savoia. Tutto inizia col ritrovamento, in una biblioteca devastata dall'alluvione, di alcuni documenti... In appendice è stata inserita la ricerca storica effettuata per poter ambientare adeguatamente fatti e personaggi. IL RIO RACCONTA di Donatella Garitta Saracino Neos Edizioni ISBN 978-88-88245-82-9 11,00 euro Per richiedere il libro: NEOS EDIZIONI Via Genova 57 - Rivoli (TO) Tel.: 011.957.64.50 Fax 011.957.64.49 www.neosedizioni.it - 11 - I l S alotto degli A utori Congratulazioni a... La giuria del premio PENSIERI IN VERSI ha premiato, tra gli autori di Carta e Penna: ERNESTO D’ACQUISTO: nominato Ambasciatore di Pace nel mondo dalla Commissione di lettura internazionale della Casa Editrice Edizioni Universum (Trento) ROBERTO BRUCIAPAGLIA: si è classificato al primo posto al concorso letterario “Emilio Gay” ALBERTINA ZAGAMI: si è aggiudicata il primo premio della Minerva Edizioni con la pubblicazione di una raccolta di racconti; inoltre la sua favola Joy e l’invisibile re condor è stata pubblicata nel volume “Il nonno racconta” (Priuli e Verlucca Editore) Sezione poesia: SANTI ZAGAMI: 4° posto per l’opera Ricordo; MATTIA BADALUCCO CAVASINO: 5° posto per l’opera Le lacrime degli angeli; Sezione silloge poetica: CINTHIA DE LUCA: per la raccolta Infiniti meandri di luce; SALVO INSERAUTO: per la raccolta Nudi incompleto; GIOVANNI TAVCAR: segnalazione di merito per Nulla vi è di eterno. GIUSEPPINA RANALLI: la sua favola intitolata La casa è stata premiata con la pubblicazione nel volume “Il nonno racconta” (Priuli e Verlucca Editore) FOSCA ANDRAGHETTI: si è classificata al 3° posto al Premio Garcia Lorca, ass. Due Fiumi di Chieri con l’opera Quello che ancora non sai. MARIA CRISTINA SACCHETTI: 1° posto al concorso letterario Giovanni Casale di Pralormo con la poesia La carezza della luna. CLAUDIO RACCAGNI: sabato 15 marzo, alle ore presso l’Hotel ERMITAGE DU RIOU di Mandelieu La Napoule (Cannes), ha presentato, in qualità di unico scrittore, in una manifestazione dedicata alla pittura il libro Passo, dopo passo, edito da Carta e Penna. Claudio Raccagni durante la presentazione. CR ONA CA C ON TES Ta CRONA ONACA CON TEST 15-12-07 - La Camera approva la Finanziaria 2008, ora passa al Senato e c'è chi scommette: cade o non cade il Governo? Ma durerà. 18-12 - Le Nazioni Unite approvano una Risoluzione che chiede la sospensione delle pene capitali in tutto il mondo. 28-12 - Scontri con morti a decine in Pakistan dopo l'assassinio di Benazir Bhutto rivendicato da Al Qaeda e attribuito al governo militare. Anche in India tumulti, chiese incendiate e cristiani uccisi. 15-1-08 - Mentre Libano e Palestina lamentano morti e feriti, in Italia sentiamo di una regione mezza annegata nei rifiuti, di ordinanze che impongono la chiusura di discariche. Qualcuno ha il coraggio di scherzarci su - spazzatura made in Italy, primi esportatori nel mondo. 25-1 Dopo il voto di fiducia al Senato (161 NO e 156 SI) Romano Prodi si dimette e il Presidente Napolitano inizia le consultazioni per un nuovo Governo. 30-1 - Incaricato il Presidente del Senato Marini di formare un gover- cura di Eugenio Borra no per concordare una nuova Legge elettorale. 6-2 - Il Presidente della Repubblica scioglie il Parlamento. Nuove elezioni indette per il 13 e 14 di Aprile. 17-2 - Strage a Kandahar in Afghanistan. 18-2 - Elezioni in Pakistan. 1-3 - Risposta israeliana ai missili dalla striscia di Ghaza: morti a decine. 2-3 - "Colpo di fulmine" vince il Festival di Sanremo. Intanto salgono a 177 (diconsi centosettantasette) i simboli presentati per le elezioni di Aprile. SOLUZIONI del 18° quiz: Iguaçù, Marmore, Niagara e Paranà. DICIANNOVESIMO QUIZ Unire le sillabe, qui elencate in ordine alfabetico, in modo da formare l'inizio di una famosa lirica: A AL BE BEI CUI DAI DE DE FIOR GLI GO GRA IL L' LA LET LO MA ME MI NO NO PAR RO TA TEN VER VER VI - 12 - P rimavera 2008 DANTE ALIGHIERI OPERE MINORI di Carlo Alberto CALCAGNO (Arenzano - Ge) Questio florulenta ac perutilis de duobus elementis aquae et terrae Epistole Forse Dante si recò a Mantova1 nel 1319 e qui nacque, come ci racconta il poeta stesso2, una grossa disputa, la quale egli volle poi trattare e definire in una conferenza nella chiesa di S. Elena a Verona il 20/01/13203. Tale questione concerneva il fatto se l’acqua in qualche punto fosse più alta della terra, visto che per i dotti l’elemento più nobile deve stare sempre in alto (fuoco su aria, aria su acqua, acqua su terra)4. Dante affronta l’argomento anche per rispondere alle critiche ricevute per la sua cosmografia dell’Inferno5 ed è per la negativa: la terra è in ogni punto più alta dell’acqua, che pure è elemento più nobile, per l’attrazione esercitata dalle stelle; porta a sostegno delle sue considerazioni Aristotele, Tolomeo e Alfergano6 oltreché ad esperienze di carattere fisico che hanno per il poeta la maggior importanza. La scienza di Dante tuttavia non supera quella del suo tempo nonostante porti qualche buona ragione (ad es. l’illusione dei naviganti in alto mare di vedere la terra più bassa): l’opera tuttavia ha un valore storico perché fa il punto sullo stato delle conoscenze del secolo. Interessa anche la dichiarazione del poeta di essere vissuto fin dalla puerizia nell’amore della verità e la condanna delle indagini volte a cose che trascendono il nostro intelletto. Il valore letterario è invece discutibile: il latino utilizzato è piano e dimesso, seppure l’architettura del trattato sia armonica7. L’attribuzione a Dante è per alcuno8 incerta perché la concezione dell’Inferno è contrastante ed inoltre i commentatori antichi hanno ignorato quest’opera che è stata ritrovata solo nel XVI secolo. Però c’è anche da rilevare che D. parlò della questione al clero di Verona (ne è testimone il figlio Pietro) e che l’Inferno e la Questio divergerebbero solo perché il primo è frutto di invenzione fantastica. Dell’Alighieri si sono conservate poche epistole ma quelle di cui disponiamo sono di grande importanza: dirette ad uomini pubblici importanti, dibattono temi politici e sociali di grande attualità e ci consegnano degli spaccati assai preziosi del secolo XIV. Nel marzo del 1304 D. scrive una lettera al Cardinale Niccolò di Prato a nome dei Bianchi fuoriusciti, perché il vescovo di Ostia e legato pontificio, riporti la pace in Firenze. In altra epistola si conduole con Guido e con Oberto da Romena della morte del loro zio Alessandro (estate del 1304); è dubbio che appartenga a Dante perché questo Alessandro troverà posto nell’Inferno. Un’epistola anteriore al 1306 è diretta a Cino da Pistoia e ha ad oggetto la risposta ad una questione - posta da Cino con un sonetto - se l’anima possa passare dall’amore per una persona all’amore per un’altra con la stessa facoltà. D. risponde affermativamente con il sonetto “Io sono stato con amore insieme” e spiega meglio nella lettera che la potenza dell’anima non si esaurisce in un atto e quando questo è compiuto essa passa ad un altro. Altre tre epistole, dallo stile polemico e personale (contrariamente a quanto richiesto dall’epistolografia latina) sono scritte in occasione della discesa di Arrigo VII: una ai Principi di Italia: ai re d’Italia, ai signori dei feudi, ai senatori romani, perché accolgano l’Imperatore voluto da Dio (1310), un’altra «agli scelleratissimi fiorentini di dentro» perché non resistano alla calata di Arrigo VII (1311); la terza all’Imperatore stesso, in uno stile solenne tanto quanto il destinatario cui tale epistola è rivolta (1311). Ancora nel 1311 Dante indirizza un’epistola al marchese Moroello Malaspina di Giovagallo: in essa confida all’amico che appena allontanato dalla Curia (quella del Marchese o di Arrigo VII) giunse sulle acque dell’Arno dove vide una donna che lo infiammò di una passione terribile (anche in questo caso forse si tratta di un’allegoria). Della primavera del 1311 sono anche tre biglietti di ringraziamento scritti da Dante in nome della contessa Gherardesca di Battifolle (figlia del conte Ugolino) e destinati all’imperatrice Margherita (moglie di Arrigo VII). Altra epistola è diretta ai cardinali convenuti in conclave dopo la morte di Clemente V nel 1314, perché si accordino ad eleggere un papa più degno (Clemente V aveva ingannato Arrigo VII) e soprattutto eleggano un pontefice italiano in modo che la sede di Pietro sia riportata a Roma. Del 1315 è invece un’epistola destinata ad un amico fiorentino (di valore inferiore rispetto a quelle scritte in occasione della calata di Arrigo VII) che il poeta non vuole nominare: D. scrive in occasione dell’amnistia concessa da Firenze, affermando di non volerne fruire poiché egli è sempre stato innocente e quindi non ha intenzione di piegarsi ad inutili umiliazioni, ma preferisce seguire la ragione che appunto gli impedisce il ritorno. L’ultima epistola è diretta al signore di Verona Cangrande della Scala (Par., XVII, 76 e ss.) ma sull’autenticità i dantisti sono quanto mai discordi; per contrac- - 13 - I l S alotto degli A utori cambiare i favori ricevuti l’autore di questa lettera offre a Cangrande il Paradiso, con parole che fanno presumere che fosse già ultimato. D. ci spiega che un’opera dottrinale (così definisce la sua) va indagata su sei punti: soggetto, autore, forma, fine, titolo del libro, il genere di filosofia; che la sua opera ha due sensi quello letterale e quello allegorico (il morale l’anagogico sono qui da ricomprendere nell’allegorico); c’è quindi un chiaro riferimento al Convivio. Il poeta passa poi a spiegare i sei punti: il soggetto di tutta l’opera nel senso letterale è «lo stato delle anime dopo la morte, semplicemente preso; nell’allegorico, l’uomo che meritando o demeritando per la libertà dell’arbitrio, sia soggetto alla giustizia del premio o della pena». Il fine dell’opera per il poeta è quello di rimuovere i viventi in questa vita presente dallo stato di miseria e condurli allo stato di felicità. Il genere di filosofia è quello morale, perché l’opera è composta non con un intento speculativo ma pratico e se vi si trattano questioni speculative ciò è sempre in vista dell’operare. Il titolo di Commedia è giustificato in quanto l’opera ha principio aspro e fine felice ed è scritta in stile dimesso ed in lingua volgare «nella quale anche le donnicciole conversano», all’opposto della tragedia che ha principio mirabile e quieto e fine orribile e stile sublime. Ma, indipendentemente dal fatto che non è sicuro che il titolo di Commedia sia stato dato da Dante al suo poema, quel che è certo è che lo stile illustre e difficile del Paradiso mal si conciliano con la definizione sovraesposta. Premesse queste cose l’autore passa all’esposizione letterale della cantica, cominciando dal prologo, cioè dai primi 36 versi del canto I. Parla diffusamente dei primi 12 versi. Poi opera un’affrettata divisione dell’invocazione e d’improvviso si interrompe protestando che la povertà lo incalza così da costringerlo ad abbandonare queste ed altre cose utili allo stato. In un rapido ultimo paragrafo poi traccia le linee generali della cantica fino alla visione di Dio. NOTE 1 Purtroppo però della disputa mantovana o della conferenza veronese non abbiamo notizia sicura in nessun documento storico e in nessun commentatore e biografo di Dante, ad eccezione di un cenno nel commento di Pietro Alighieri alla Commedia. Sfortunatamente non possediamo neppure un codice manoscritto della Quaestio, che però conosciamo perché nel secolo XVI Benedetto Moncetti, Priore degli Agostiniani di Padova, scoprì l’autografo e la pubblicò a Venezia nel 1508 in 14 facciate di testo. Tuttavia tale autografo andò perduto ed abbiamo notizia soltanto una successiva ristampa del 1576. 2 L’accenno al fatto di Verona è contenuto nella seconda egloga di Dante a Giovanni del Virgilio, scritta dopo il 20 gennaio 1320. 3 Mantova e Verona erano città culturalmente vivaci per la presenza di dotti ingegni e scuole di scienze fisiche. 4 Il problema dei reciproci rapporti tra l’acqua e la terra abitata si era imposto alla attenzione della cultura medioevale quando questa si accolse l’aristotelismo e la visione cosmologica che poneva la terra al centro dell’universo e postulava la concentricità delle quattro sfere (terra, acqua, aria, fuoco) ove, nell’ordine, la sfera precedente è tutta circondata dalla seguente, e quindi la terra doveva risultare conglobata e sommersa dall’acqua, il che appariva in contrasto, oltre che con l’esperienza, anche con la separazione delle acque affermata dal Genesi. 5 La narrazione dell’emersione della terra nell’emisfero boreale causato dalla caduta di Lucifero [Inf., XXXIV) aveva attirato gravi critiche, per cui Dante vuol dimostrare qui che è anche in grado di darne spiegazione razionale e scientifica. Mentre la visione teologica spiega l’emersione in termini di repulsione, quella scientifica la precisa in termini di attrazione. 6 Al Farghani (nato a Baghdad, visse IX sec. e morì nell’861 in Egitto), astrofisico e astronomo revisore del sistema tolemaico, fu al servizio del califfo di Baghdad tra l’813 e l’833. I suoi studi sulla cosmologia tolemaica sono esposti nell’opera nota come “Compendio sulla scienza degli astri” e tradotta in latino con il titolo di “Rudimenta astronomica” da Gherardo da Cremona. Essa contiene considerazioni interpretative sulle eclissi di Sole e di Luna, che nel sistema geocentrico richiedevano spiegazioni meccaniche diverse da quelle attuali (la previsione delle eclissi forniva quindi un ulteriore meccanismo di verifica della validità della cosmologia di Tolomeo). Inoltre Alfergano (latinizzazione del nome Al Farghani) fissa le dimensioni degli astri e le loro distanze fornendo una descrizione quantitativa dell’universo che lo stesso Dante Alighieri accetterà come modello dell’universo, come si evince inoltre dalle citazioni presenti nel “Convivio” e dai riferimenti astronomici nella Divina Commedia. 7 E si dipani secondo l’ordine tipico delle Summae scolastiche: alla tesi avversarie Dante oppone la solutio auctoris, per ribattere poi uno ad uno gli argomenti contrari; all’interno delle varie sezioni, l’argomentazione segue i princìpi ed i moduli scolastici e gli abituali schemi sillogistici. 8 I primi dubbi li avanzò Giuseppe Pelli nel 1758, seguito dal Tiraboschi, dal Foscolo ed altri. Si giunse perfino ad attribuirla bizzarramente a un Dante III, umanista veronese del 1500. Il primo che fondò l’opinione negativa su argomenti seri fu il Bartoli, seguito da Lodrini, Passerini, Ricci, Scartazzini e Luzio-Renier. La tesi dell’autenticità fu validamente sostenuta da Angelitti, Moore, Russo, Toynbee, Biagi e più recentemente da Mazzoni, mentre la tesi negativa trovava ancora agguerriti sostenitori in Boffito e in Nardi (v. Pio Gaja, Introduzione QUESTIO DE AQUA ET TERRA DE FORMA ET SITU DUORUM ELEMENTORUM AQUE VIDELICET ET TERRE di Dante Alighieri, su www.classicitaliani.it) - 14 - P rimavera 2008 Raccontami una storia... d’amore Rubrica a cura di Gennaro Battiloro UN AMORE D’ALTRI TEMPI Questa è una storia realmente vissuta, ma anche se non lo fosse, sarebbe ugualmente una storia importante, perché è una storia d’amore. Diversi anni fa viveva in un paesino del centro-sud Italia una soave fanciulla dagli occhi verdi, languidi e sognanti. Era molto bella e tutti i ragazzi del paese le facevano la corte e, tra questi, c’era anche un bel ragazzo bruno dallo sguardo ammaliatore, che si era perdutamente innamorato di lei. Anche la ragazza non rimaneva indifferente alle amorose attenzioni che il giovane le rivolgeva ogni volta che la incontrava, ed insieme formavano davvero una bella coppia che era invidiata da tutti. Ma il ragazzo era povero e non rappresentava certo un buon partito, come si usava dire allora, agli occhi dei genitori che diedero la figlia in sposa a un uomo che, all’epoca, rappresentava un buon partito. Il povero ragazzo bruno ne soffrì tanto e non si dava pace al non poter più incontrare la donna che amava tanto, perché si era trasferita col marito in una città molto lontana. Passarono tanti anni, ma il ragazzo, che era diventato un uomo, non dimenticò mai quella fanciulla dagli occhi verdi: la porta- va sempre nel cuore e avrebbe dato qualsiasi cosa per rivederla ancora una volta. Ne soffriva tanto… e lo confidò al fratello di lei, il quale, di fronte a un sentimento così grande, si offrì di aiutarlo a rivedere sua sorella, ance se per una sola volta, appena fosse venuta a far visita ai genitori. L’occasione capitò e il fratello fece in modo di farlo incontrare casualmente con la giovane, che si stava avviando verso la macchina, dove il marito la stava spettando per far ritorno alla città in cui abitavano ormai da anni. Lei si fermò per salutare il fratello che, facendo finta di nulla, le ditte “Ti presento un amico!” Lei lo riconobbe subito, non ostante fossero trascorsi tanti anni e, forse, sentì il cuore battere forte… Lui la guardò intensamente negli occhi, in quegli occhi verdi che aveva tanto amato e, porgendole la mano, gliela strinse fortemente, disperatamente, presumendo che non l’avrebbe più rivista. Poi, con l’allontanarsi dell’auto lui sentì che si stava portando via anche il suo cuore. Potete chiudere in gabbia una rondine, ma non potete cancellare dai suoi occhi la libertà, la fantasia, il volo, l’amore… Meditate gente, meditate… JORGE LUIS BORGES: UNA VITA DI POESIA Edizioni Spirali Pag. 670 - Collana L’Alingua - Isbn 978887770-7895 - Prezzo € 48.00 Nuova edizione integrale, in lingua originale con traduzione a fronte, illustrata con fotografie inedite - Un Borges più che mai sorprendente, ironico, impertinente, umile, epico, immortalato nelle sue “lezioni italiane”. Il testamento spirituale e poetico di un grandissimo della letteratura mondiale. Ospite per una serie di lezioni presso la villa San Carlo Borromeo di Senago, Borges parla per l’ultima volta a Milano nel Dicembre 1985 (solo cinque mesi prima della morte), lungo dodici conferenze organizzate dall’Università internazionale del secondo rinascimento. Il maestro - “l’Omero del XX secolo” come è stato definito - offre la sua ultima visione del mondo: parla del potere della poesia, del sublime piacere della lettura, della differenza tra il presente vissuto ed il futuro da costruire, del senso dell’esistenza. In questo volume sono raccolte le risposte a domande e sollecitazioni emerse in quell’occasione; davanti al grande vecchio, ormai completamente cieco, sfila gente comune ed ospiti importanti (intellettuali come Vittorio Mathieu, Viktor Nekrasov, Fernando Arrabal ed altri) cui Borges offre perle di saggezza e di cultura: “Io vivo pensando che sono immortale, anche se è un’illusione”; “a quale genere letterario appartiene la realtà? Al sogno”; “non so se ci sia un senso della Storia, non credo, a me basterebbe un progresso etico...”; “noi americani siamo europei in esilio. Il cuore della cultura rimane l’Europa”; e a chi gli chiede perché il massimo poeta dell’antichità fosse cieco, risponde: “Quel che più conta è l’ascolto”. Jorge Luis Borges (Buenos Aires, Agosto 1899 – Ginevra, Giugno 1986) è tra i principali protagonisti della letteratura del Novecento. Cresce in una famiglia in cui si parla sia l’inglese sia il castigliano: a sette anni effettua la sua prima composizione letteraria, a nove la prima traduzione. Nel 1914 arriva in Europa a causa della guerra, fermandosi per alcuni anni a Ginevra. Tornato in Argentina, pubblica libri di poesia e di saggistica, svolgendo intanto attività di redattore, collaboratore e traduttore per riviste. Negli anni ’40, pubblica le prime grandi opere (Ficciones e El Aleph). Presidente della Società argentina degli Scrittori che resiste al regime di Peron, diviene direttore della Biblioteca Nazionale e, nel ’56, professore di letteratura inglese all’Università di Buenos Aires. Numerosissimi i premi, riconoscimenti illustri e lauree honoris causa ricevute negli anni, tra i quali spicca il mancato Nobel. SPIRALI / THE SECOND RENAISSANCE - via Fratelli Gabba 3, 20121 Milano (MI) - 15 - I l S alotto degli A utori IL PENSIERO HA BISOGNO DEL CUORE di Giovanni REVERSO (Torino) Ogni pensiero, qualsiasi pensiero, non nasce mai dal nulla. Qualcosa preesistente l’ha costruito, l’ha fatto nascere, l’ha tirato fuori, l’ha fatto vivere, gli ha dato la carica necessaria a renderlo operante. Nessun pensiero è inutile, perché ogni pensiero finisce col materializzare qualcosa, materializzandosi. I poteri e i limiti del pensiero sono radicati nel corpo. Il cuore, motore della vita, ha una parte importantissima nella creazione del pensiero. I pensieri più importanti partono dal cuore e vanno diritti al cervello, il quale li elabora e può già materializzarli, oppure farli ritornare al cuore affinché si spieghi meglio. Il cuore che tutto comprende, riprende il pensiero, lo perfeziona, lo aggiusta, se necessario lo amplia e lo rimanda al cervello. Il cervello, ricevuto il pensiero-cuore, può gioire come può soffrire. Difficilmente le sue cellule sensibilissime rimangono indifferenti. Un’aridità di cuore può creare un’aridità di cervello, ma un’aridità di cervello non può durare a lungo. Crea insoddisfazione agli altri organi che, prima o poi si ribellano, somatizzando malumori e sofferenze in malattie anche gravi. Pertanto il cervello deve poter contare su un cuore sensibile, che sappia percepire l’evolversi della vita, le sue fasi, le situazioni più strane e imprevedibili, gli eventi più impensati . Un cuore palpitante che, vibrando ad ogni pensiero creato dalla vita, sappia modellarlo a suo favore chiedendo sostegno e rinforzo alla razionalità del cervello, dal quale devono e non possono che passare tutti i pensieri che nascono. Ritengo che la mente sia la creazione dell’incontro tra il cuore e il cervello. Insieme questi due organi danno vita a ciò che poi esprime il pensiero. La mente è il magazzino dove la fucina cuore-cervello, invia la sua produzione quasi continua di pensieri. Il cuore, come il cervello, non riposa mai. Se si fermasse si fermerebbe la vita, e questo sarebbe la fine di tutto. Il pensiero, attraverso il cuore, vive la sensibilità che si è formata dentro ognuno di noi. Sensibilità che la vita, il vivere quotidiano, può trasformare di continuo. Il pensiero prodotto dal cuore può incorrere in errori, per questo inviato al cervello, può subire modifiche che eliminando gli eventuali errori rendano il pensiero stesso, degno di essere esternato affinché viva di una vita sua propria, che può essere breve o molto lunga a seconda della sua importanza. Una mente operosa è quella che senza tregua sa assimilare i pensieri più fecondi che non devono servire solamente a chi li riceve materializzati, ma anche a chi li formula costantemente nel connubio cuore-cervello. I pensieri che nascono dal cervello e non dal cuore, dovrebbero seguire il cammino inverso: non cervello-cuore, ma cuore-cervello. Solo in questo modo sono completi e validi. Diversamente possono incorrere in errori a volte molto gravi e di vitale importanza. Il pensiero dato dal cervello e non sottoposto al vaglio del cuore, sarà sempre arido, senza sentimento, più che mai senza amore, quell’amore che muove il mondo e, fors’anche le stelle. Ogni idea se è già un pensiero, ha la sua credibilità. Puntare su questa idea e crederci, vuoi dire realizzarla, vuoi dire andare avanti, lottare, combattere e non lasciarsi sopraffare da idee contrarie che generano fermate, sofferenze, rinunce. Non bisogna mai rinunciare alla realizzazione di una buona idea. Rinunciarci vuoi dire perdere la fiducia in se stessi, nelle proprie capacità realizzatrici, vuol dire insomma subire una sconfitta. Avanzare dunque, a volte anche fermarsi solo per meglio riprendere il cammino, ma mai rinunciare. Ciò che ci fa credere in qualcosa, è un pensiero positivo nato dal cuore e passato dal cervello. Vitalità di pensiero ed energia della parola. Più il pensiero è vitale, più la parola che l’esprime è piena di quell’energia che la rende vera, accettabile. I limiti sono dentro di noi. Il segreto per dominarli è avere sempre pensieri positivi. Il pensiero positivo ha una sua forza particolare che, a volte, può realizzare risultati impensabili, se non addirittura ritenuti impossibili. Dietro a ciò che sembra incomprensibile, sovente non c’è nulla da scoprire. È dalle idee che nascono e si creano soluzioni. Anche le tecnologie apro-no molte strade. Quale sarà quella migliore dipende dalle nostre scelte. Saper scegliere dipende anche dalla nostra esperienza che dà vita al futuro, che è creato dal pensiero, che sempre di più ha bisogno del cuore. - 16 - VERTICALI GEOMETRIE di Giovanni TAVÈAR (Trieste) Passa invano la brezza sul grumo di pensieri aggrovigliati. Il cuore oppresso vaga nell’esilio degli sbiaditi orizzonti. L’anima stenta a districarsi Nell’intrico delle stridenti dissonanze. Fluttuanti parvenze di abissi e di misteri risuonano nel fievole eco di una lontana voce perduta che chiama nell’afono silenzio di una giovinezza già da tempo sfiorita. Nelle verticali geometrie di fughe continue e di laceranti ferite girandola veloce una vita in ciondolanti frantumi. P rimavera 2008 STORIA DEL TEATRO Rinascimento: la Commedia Italiana - Quarta parte di Maria Francesca CHERUBINI (Perugia) Giordano Bruno Anche il grande filosofo Giordano Bruno (1548-1600), il sostenitore del «senso dell’infinità illimitata del cosmo, onnicentrico, popolato di mondi innumerevoli e di innumerevoli forme di vita, pervaso in ogni suo aspetto da un unico afflato vitale, al quale appartengono le anime stesse degli uomini»1 si fece sedurre dal fascino del Teatro. Giordano Bruno, il filosofo «dal linguaggio immaginoso, rapito, travolto da un acceso lirismo, a volte involuto, barocco, sovrabbondante, insofferente di ogni schema, genialmente mosso, attraverso cui il senso e la commozione si esprimono»2, cadde attratto dall’inquietante musa del Teatro. Egli scrisse la Commedia «Il Candelaio» (1582) che raccolse intorno a sé tanti consensi e altrettanti dissensi. Ci fu chi pose la sua opera, per altezza e profondità, accanto all’opera somma di Niccolò Machiavelli; chi invece la stroncò come opera di gran lunga minore. Afferma Silvio d’Amico «a noi pare che, di tutte le Commedie del secolo, questa opera di Giordano Bruno, scritta sul suo morire, sia la più libera e la meno schiava di modelli greco-latini»3 «C’è un gran sole afoso in questa commedia tutta meridionale: la vita v’è napoletanamente contemplata come un viavai di farabutti e di beffati … e pare considerare tutti con l’indifferente ripugnanza con cui si guarda un immondo brulicare di vermi, in una giornata di calura infingarda. Ma anche, e più che nelle altre faconde commedie del secolo, tutto vi si espone e distende con una prolissità, con un peso, con una spenta lentezza che la magniloquenza del tronfio Manfurio (uno dei protagonisti) e gli scontri e le imprecazioni delle canaglie e delle donnacce, animano a fatica»4 L’intreccio è noto. «Burle e beffe sono il tema in questa Commedia ambientata a Napoli. Il Candelaio, un certo Messer Bonifacio, nonostante sia sposato alla bella Carubina, spasima per donna Vittoria; vi è Manfurio, il pedante che sproloquia in latino, ma è goffo, oltre che credulone; e vi è Bartolomeo, dilettante alchimista.Tutti e tre sono facile preda di un gruppetto di imbroglioni di vario calibro, tra i quali Donna Vittoria che vorrebbe approfittare della passione di Bonifacio, per spillargli un po’ di quattrini. Bonifacio si affida al mago Scaramure, affinché con un incantesimo lo faccia amare da Vittoria; ma al desiderato convegno troverà l’indignata Carubina, tanto indignata anzi che, fino ad allora virtuosa, si lascerà convincere, dall’innamorato Giovan Bernardo, che non è cosa grave tradire certi mariti. Quanto a Manfurio, viene sbeffeggiato, derubato e più volte bastonato e a Bartolomeo tocca analoga sorte»5. Al di là delle alterne fortune dell’opera “Il Candelaio”, il nostro autore, Giordano Bruno, deve essere ricordato innanzi tutto per la sua filosofia degli “Infiniti mondi” e per avere posto “Il Vero” sopra tutte le cose. Vi sono nelle sue parole, riprese soprattutto dall’opera «Spaccio de la Bestia trionfante…(1584)» un’esaltazione della verità fatta con una accensione, forte come una protesta di fede, in cui pare di presentire il martirio al rogo cui sarà condannato. Egli dice infatti nelle pagine dell’opera citata: «Sopra tutte le cose, è situata la Verità; perché questa è la unità che soprasiede al tutto, e la bontà che è preminente ad ogni cosa; perché uno è lo ente,buono e vero; medesimo è vero ente e buono. La verità è quella entità che non è inferiore a cosa alcuna; perché se vuoi fingere qualche cosa avanti la verità, bisogna che stimi quella essere altro che verità; e se la fingi altro che verità, necessariamente la intenderai non aver verità in sé, ed essere senza verità, non essere vera; onde conseguentemente è falsa, è cosa de niente, è nulla, è non ente … … Dunque la verità è avanti tutte le cose, è con tutte le cose, è dopo tutte le cose; è sopra tutto, con tutto, dopo tutto; ha raggione di principio, mezzo e fine… Essa è avanti le cose, per modo di causa e principio, mentre per essa le cose hanno dependenza… … La verità è la cosa più sincera, più divina di tutte; anzi la divinità e la sincerità, bontà e bellezza de le cose, è la verità; la quale né per violenza si toglie, né per antiquità si corrompe, né per occultazione si sminuisca, né per comunicazione si disperde: perché senso non la confonde, tempo non l’arruga, luogo non l’asconde, notte non l’interrompe, tenebra non la vela; anzi, con essere più e più impugnata, più e più risuscita e cresce. Senza difensore e protettore si difende … … e però dimora altissima, dove tutti remirano e pochi veggono»6. Parole nelle quali è già il presentimento della difesa di Giordano Bruno, quando il filosofo portato dinanzi ai giudici protestò di non avere nulla da ritrarre delle proprie dottrine. Giambattista Della Porta Verso la fine del sec. XVI troviamo la vasta produzione teatrale del napoletano Giambattista Della Porta (1535 – 1615), anch’egli filosofo, ma anche viaggiatore e scienziato. Le sue commedie migliori sono: “La sorella, La fantesca, I due fratelli rivali, L’astrologo”. Tali commedie sono state scritte con l’intento di rag- - 17 - I l S alotto degli A utori giungere una notevole originalità e di fatto rappresentano un grande sforzo di allontanamento della imitazione dei classici ricercando soprattutto un accostamento alla realtà della vita contemporanea. In tali opere emergono, nonostante tutto, alcuni personaggi tipici della Commedia classica, ma anche protagonisti completamente nuovi e aderenti all’ambiente attuale: il Napoletano, il Tedesco, il Capitano. «La fama dell’opera sua, rappresentata inizialmente da dilettanti, si divulgò presto e indusse anche i comici di mestiere a metterla in scena: così si continuò con successo in molte città d’Italia per quasi un secolo. Fu con il Settecento che le Commedie del Della Porta caddero in dimenticanza»7 Solo in questi ultimi tempi studiosi e critici le hanno riportare in auge. Il Croce sostiene che nelle Commedie di Della Porta «l’invenzione è quasi costantemente la solita: si parla del giovane che ama una giovane, avversato dal padre o dal rivale o da altri, finchè l’impedimento è rimosso per opera del servo o del parassita e un riconoscimento finale lascia tutti, contenti. Ma il vecchio intrigo si svolge con facilità, l’azione fila dritta senza scene superflue o altri ristagni: il dialogo è chiaro, netto, senza pretese di eloquenza o di declamazione». E il Torelli sottolinea «Nessuno fino a Goldoni ebbe come lui il così detto “senso del Teatro”: nessuno fece agire con altrettanta abilità un mondo caotico, rumoroso e pittoresco, dominato dall’unico Dio, il Caso… La Commedia portiana è d’intreccio … e il Poeta è veramente un maestro nell’ingarbugliare le fila fino all’assurdo, e dipanarle poi fino alla semplicità più naturale; un maestro pieno di trovate, che combinate insieme in modo originale, organizzate secondo una personale tonalità, appaiono nuove. Sentimentalità romanzesca, comicità enorme e buffonesca, realismo con punte satiriche: tali le caratteristiche più appariscenti dell’arte portiana». “La Venexiana” La critica recente ha riconosciuto qualità di originalità eccezionale ad una Commedia in 5 atti intitolata “La Veneziana”, anonima e scoperta dallo studioso Emilio Lovarini. Gli elevatissimi pregi di tale testo sono costituiti in massima parte dal totale abbandono dei modelli classici greco-latini. Non si conosce chi sia il suo autore, ma lo stile è di indubbia appartenenza al Cinquecento. Il realismo rinascimentale, dunque, partorisce il suo frutto più maturo, collegato alla commedia cittadina, agli inizi del Cinquecento. L’anonima “Venexiana” è commedia totalmente originale e già nel titolo mette in luce la centralità della dimensione urbana. La sua assoluta particolarità nasce soprattutto dal fatto che non ha nulla a che vedere con il teatro classico del Cinquecento. I protagonisti non sono più i “tipi” del teatro classico, ma soprattutto non c’è più la struttura chiusa della Commedia classica. Inizia con un primo atto che altro non è che un “Prologo” dove vengono presentati i pochi personaggi. Dopo di esso la Commedia procede diversamente: è come se si aprisse in due parti prive di agganci interni. I protagonisti sono rappresentati, come notorio, da due nobildonne veneziane: la vedova e non più giovane Angela e la giovane maritata Valeria, le quali si contendono l’amore di un giovane bello e spregiudicato, un forestiero di nome Iulio. Il secondo e terzo atto trattano dell’amore di Angela per il giovane, il quarto e il quinto atto sono dedicati all’amore di Valeria per Iulio. È come se, dunque, dopo il “Prologo”, la Commedia risultasse tagliata in due commedie minori, legate solamente dalla continua presenza e eroticità di Iulio che passa indifferentemente dalla attrazione fisica per Angela a quella per Valeria. “La Venexiana” si può dire che sia priva di finale: Iulio passa continuamente dalle braccia amorose dell’una a quelle dell’altra senza che vi sia un epilogo. Dunque, tale Commedia è, come dire, una rappresentazione “aperta” dell’esistenza: non ha una conclusione, come spesso accade nella vita quotidiana che non conclude. BIBLIOGRAFIA Gianni, Balestrieri, Pasquali “Antologia della Letteratura Italiana” Vol II Parte I, Casa Editrice G.D’Anna. Messina-Firenze – Aprile 1964 Roberto Alone, Roberto Tessari “Manuale di Storia del Teatro” UTET Torino – Gennaio 2005 Cesare Molinari “Storia del Teatro” Editore Laterza – Bari – Marzo 2003 Oscar G. Brockett “Storia del Teatro” Marsilio Editori – Venezia 1988 Silvio D’Amico “Storia del Teatro” Vol I Aldo Garzanti Editore 1960 Enciclopedia della Letteratura A. Garzanti Editore – Ottobre 1972 NOTE 1 Gianni Balestrieri Pasquali – Antologia della letteratura Italiana Volume II, Parte prima 2 idem 3 Silvio d’Amico – “Storia del Teatro” Vol I – Aldo Garzanti Editore 1960 4 idem 5 Enciclopedia della Letteratura - A. Garzanti Editore, Ottobre 1972 6 Giordano Bruno dallo «Spaccio de la bestia trionfante … (1582) >> 7 Silvio d’Amico – Storia del Teatro Vol I – Garzanti Editore 1960 - 18 - P rimavera 2008 LO SPECCHIO di Fabio CLERICI (Milano) FESTIVITÀ di Giuseppina IANNELLO SICCARDO (Brescia) Le poetiche parole vagano nell’aria, allo specchio della vita, divengono creature; come un sorpreso bimbo, le vedo danzare nella stanza partorite dal mio ventre e per sempre con l’inchiostro animate, lo specchio riflette suoni e paesaggi, e storie di umana virtù; le danzanti parole, trovano giusto riparo nei pensieri del poeta, umile cronista degli eventi dell’anima. Festività, forse i tuoi intenti sono buoni, ma molte gente fa baldoria e di capire il tuo messaggio non se ne parla. Uno schiocco di dita, un batter di ciglia, ed è già Natale, “che meraviglia!” Natale... Per la gioia dei bambini, per i pranzi delle giovani famiglie, per la solitudine dei vecchi, per chi giace all’ospedale. Ed un canto si perde nella notte lungi dalla città, dalle luci forse si ferma su un ponte, forse su un vicolo buio: è il canto gonfio di pianto del viandante, o semplicemente, dello straniero? Che dire? Un uomo sta piangendo: è la notte di Natale. E’ Natale; le chiese son gremite di gente che andata per “pregare”, ma, anche, per fermarsi a parlare del più e del meno. La chiesa è illuminata; però c’è un angolo discreto, vi sta raccolto il perdente cercando un dialogo con Dio. QUASI ALTRAMONTO di Luciano SOMMA (Napoli) Ti ho cercato inutilmente da una vita nell’aria, nel vento, nella mano tesa d’un povero, nel disperato sguardo d’un malato, nel bene, nel male, nell’urlo del mare, o nel silenzio d’una cattedrale. Forse troppo distratto dai problemi terreni del niente che sembravano tutto non potevo sentirti! Ora, quasi al tramonto, al limite dei miei giorni, vicino al traguardo, alla frontiera, ti vedo nel rigo d’un verso, ti sento infinito universo, immagine senza contorni ma viva, luce d’un’alba diversa che illumini. TI AMERÒ DI NUOVO di Claudio GIOVANARDI (Novara) Prima di ogni tua promessa Lavati le labbra E poi vieni a bermi dalle mani la fatica e i giorni Prima di amarmi di nuovo Lavati il cuore E poi vieni a contendermi coi denti questo morso di pane Solo dopo che sarai rimasta nei miei occhi in silenzio Lascerò che mi abiti la tua voce E diventi il rio della mia anima contadina - 19 - I l S alotto degli A utori IL GRANDE BOSCO di Fiorella REY DI VILLAREY (Torino) SAPPIAMO AMARE CON PAROLE AMARE… di Anna BRUNO (Sommavesuviana - NA) Il grande bosco respira muto e segreto nell’aria tremula. Ci affatichiamo a parlar d’amore nel Tempo che ha oscurato le comete, profanato presepi e devastato culle e reso brulle le strade del cuore, ma è un brandir parole come spade per strade che non offrono rifugio e nell’indugio la sosta fa paura come tana di malefica creatura. Sappiamo amare con parole amare che ruotano su giostra saracena nel sicuro schianto del toccarsi appena se priva d’armatura è la ventura. Ci arrabattiamo per accenti nuovi che tra rovi procedano spediti, ma feriti li salviamo a stento dal tradimento della borra insana. Dal fondo melmoso di frasi stantie, da spudorate spie s’alzano le parole spandendo malìe di trepidanti fole. E bivaccando tra fatui sentimenti ai venti disperdiamo il nostro dire su quest’amore che non vuol morire, ma si trascina intorno a fuochi spenti. Le dita nere delle radici s’allungano nell’ombra, affiorano e par che affondino nella coltre degli aghi. Le chiome altissime in cerca di luce che sfugge all’abbraccio e penetra in lame dorate, formando sentieri di sole nella cattedrale dei pini. Le colonne brunite dei tronchi vibrano piano memoria dell’antico retaggio di portare le vele maestre sul mare. Con passo di danza un giovane cervo s’avanza il bianco specchio luccicante nell’ombra. Ecco, ha sentito il mio odore. Dovrebbe fuggire, come i saggi del branco gli hanno insegnato. Si cela soltanto dietro il tronco e non sa che le orecchie ne sbucano fuori. HO RACCOLTO SASSI di Cristina MANTISI (Savona) Ho raccolto sassi, piatti e levigati, rubandoli a composizioni del mare, incastonati sulla rena bagnata. Ne sento, al tocco, ancora la percezione della sabbia, all’odore, il profumo dell’oceano, all’udito, il rumore dell’onda in attesa, sospesa lontana, arrotolata e sbuffante come un cavallo che scalpita. Ho raccolto sassi sul sentiero del monte, piccole creste di punte per inventare paesaggi. Ne sento, al tocco, la roccia sotto le dita, all’odore, il profumo dei pascoli alti, all’udito, il soffio del vento e le sue scorribande tra i passi. Ho raccolto sassi nella macchia di timo, sculture bucate, lasciate dal mare a offrire conchiglie odorose di pini. Ne sento, al tocco, la sabbia dimenticata, all’odore, l’aroma d’acqua salmastra, all’udito, il sospiro dell’onda obliata nel tempo tra piccole viole all’ombra dei lecci. Nei giardini di pietra cerco la mia anima e seguo, nei tuoi occhi, il volo disteso del falco. Poi s’allontana con flemma altero nel silenzio del bosco - 20 - P rimavera 2008 ELABORARE IL LUTTO di Giuseppe DELL’ANNA (Torino) (in qualità di Infermiere Coordinatore) In data 25 Ottobre 2007, il Collegio IP.AS.VI. di Torino in via Stellone 5, ha organizzato l’Evento formativo “Voltar pagina: Elaborare il lutto”, al quale il sottoscritto ha partecipato. Non è che il tema in sé e per sé mi attirasse molto, anche perché di solito la parola “lutto” fa subito predisporre gli scongiuri di rito, ma dentro me stava maturando il dilemma su come avrei affrontato la perdita dei miei genitori ormai giunti alla veneranda età di ultraottantenni, anche se, a loro dire, in punto di morte già da quando ero un ragazzino! Ora invece sentivo che l’evento sarebbe potuto presentarsi da un momento all’altro, ed un senso di impotenza, di incapacità a gestire l’evento mi attanagliava l’animo, per cui il Corso programmato dall’IP.AS.VI. di Torino mi è sembrato presentarsi “a fagiolo” per poter sbrogliare la matassa del mio ingarbugliato stato d’animo. Inoltre l’Evento formativo veniva condotto dal dott. Lorenzo Bracco (medico, psicoterapeuta, Fisiatra) che avevo conosciuto in un precedente Convegno sull’”Obesità” tenutosi a Pinerolo nel Giugno 2005 e del quale mi era rimasto un bel ricordo partecipativo; e così il senso di giovialità non è venuto a mancare, con la presenza del dr. Bracco, nel gestire un tema dall’aspetto ostico quale quello del lutto. La premessa del Corso, esplicitata dal dr Bracco, è stata quella di saper innanzitutto meglio gestire i propri lutti attraverso l’elaborazione, per poter poi essere “contenitori” dei lutti altrui. Gli obiettivi, miranti a fornire elementi terapeutici e di supervisione, si sono sviluppati attraverso: z Informazioni e strumenti sulla gestione del trauma, z Lavoro in condivisione con un componente del gruppo, z Visione del film “Un viaggio in Inghilterra” quale esempio cinematografico di elaborazione del lutto, z Elementi di terapia Gestalt (= forme incompiute) miranti alla consapevolezza fisica, emozionale e mentale. Tengo a precisare che l’argomento non è stato affrontato dal punto di vista religioso, ma etico e terapeutico, per poter essere d’aiuto a chiunque professa qualsivoglia fede. Farò un rapido excursus delle tematiche trattate, in particolar modo sul significato del lutto, per poi dirigere l’articolo sulla personale esperienza – poi verificatasi come espresso nelle mie iniziali previsioni – riguardante la scomparsa di mio padre. Ogni nuovo “inizio” nella vita ha come punto di partenza un “distacco”, un cambiamento di stato e, di conseguenza, un lutto da elaborare. Può sembrare paradossale, ma lo stesso neonato, nascendo, ha un lutto da elaborare, come pure, da parte della madre, vi è un lutto da elaborare con la nascita del figlio. Simbolicamente è come se si debba chiudere una porta per poterne aprire un’altra; ma anche se questa dinamica può sembrare ovvia, i distacchi oggi sono più traumatici rispetto ad una volta. “Trauma” deriva dal greco, che, letteralmente, significa “ferita”. Il trauma quindi non dipende dall’evento in sé ma dalla stimolazione che resta non smaltita nel Sistema Neurovegetativo dell’individuo. Il Sistema Neurovegetativo si compone del Sistema Simpatico e Sistema Vagale. 1. Il Sistema simpatico, di fronte ad una minaccia, ci permette la risposta di lotta o quella di fuga; in ambedue i casi l’organismo mobilizza una grande quantità di energia per combattere o far correre. 2. Il Sistema vagale si suddivide a sua volta in: z Sistema vagale dorsale, il quale rallenta i battiti cardiaci, accentua le funzioni viscerali, dà sonnolenza; z Sistema vagale ventrale, strettamente connesso con l’appagamento, la soddisfazione, la socializzazione, quali risultanza di eventi vissuti come arricchimento dell’esperienza. Se rispetto ad un evento, uno dei due Sistemi non si scarica completamente, nei tempi successivi questa situazione darà origine al “trauma”, provocando situazioni di “stress”, cioè di contrapposizione uno contro l’altro. La fluidità fra i sistemi neurovegetativi si dovrebbe avere in tutta la vita esperienziale dell’uomo, per poter attraversare qualunque evento della vita con l’emozione ad esso connessa. La parola “emozione” deriva dal latino e significa “muovere fuori”, “portare fuori”, ne consegue che un’emozione non percepita e non espressa non può essere attraversata, ed un’emozione non attraversata non è messa a distanza e, di conseguenza, la si porta con sé. La tristezza è una delle emozioni che può essere difficile attraversare e non attraversarla significa accumularla nel tempo e ritornare quindi sui propri passi. Sentire ed esprimere la tristezza o la collera o la paura o la gioia, permette di chiudere una forma aperta (gestalt) per poter poi voltare pagina, chiudere una porta per poterne aprire un’altra. L’elaborazione del lutto avviene per gradi, così identificati: 1. Negazione; 2. Rabbia; 3. Rinegoziazione; 4. Rassegnazione; 5. Accettazione. Accompagnare qualcuno nell’elaborazione del lutto significa offrirgli un vuoto per potersi espandere. Nel mese di Novembre 2007, a mio padre viene fatta diagnosi di K del pancreas. La prima settimana di Dicembre, assieme a mio fratello Antonio che dimora in trentino, ci rechiamo in Puglia dove abita papà, e viviamo assieme a lui giornate di compagnìa, di ricordi, di stimoli sugli odori e sui sapori, tanto che lui smette di manifestare i suoi dolori e si lascia andare ai bei ricordi e alla compagnìa… Nella notte tra il 29 e il 30 Dicembre 2007, tra molti dolori fisici, papà muore. Assieme a mio fratello raggiungiamo la Puglia in aereo. Il mio stato d’animo è avvolto da una morsa di tristezza e di dolore che - 21 - I l S alotto degli A utori vorrei contenere, poi memore di quanto appreso durante l’evento formativo di Ottobre 2007, lascio che le mie emozioni facciano il loro corso, lascio che il pianto scorra irruento, poi fluido, quasi lavacro della stessa tristezza, accogliendo e sostenendo in me il sorgere di una preghiera di misericordia per l’anima del defunto al cospetto dell’Altissimo, accogliendo la solidarietà e la vicinanza di tantissimi parenti e amici nella loro stretta di mano o an- che solo nel ricordo espresso da un sms. Essendo il sottoscritto un soggetto che manifesta le proprie emozioni principalmente attraverso lo scritto, ho manifestato attraverso due poesie i sentimenti vissuti, da cui traspare evidente il sentimento di tristezza nella prima composizione, ma poi anche, nella successiva, il recupero di un bellissimo dono ricevuto da mio padre: LE STAGIONI NOTTE DI ADDIO Fuochi d’operosità accendevi un tempo padre lungo il nostro cammino. Ed ora che i bagliori sopiscono mi riporta la tua canuta testa… Il vento alzato improvviso soffiò sulle piante e le cose sferzandomi il viso e portandomi quel triste annuncio che serbavo in un angolo nascosto del mio cuore. Il dolore ti ha consumato padre fino al tuo ultimo respiro consegnato nelle braccia più amate più invocate più attese… quelle di tua madre, dove dolcemente, con il capo reclinato su un cuscino di bianco raso, con appena un sorriso abbozzato, ora tu – alfine – riposi. Alle notti di luna sullo scintillìo del mare dove mi consegnavi pesci dal bianco ventre… Alle giornate assolate sulla porosa terra dove mi offrivi spighe dai biondi riflessi… Alle giornate di nebbia sull’umido muschio dove mi colmavi d’uva dai rigogliosi chicchi… Alle giornate di freddo sotto i secolari ulivi dove mangiavamo pane ricolmo d’olio… Non capivo allora il susseguirsi del tempo ma ora so: mi consegnavi le Stagioni padre! C’è stato un tempo, vissuto dall’autore in età da bambino, dove la figura paterna ha assunto un ruolo significativo nello scandire i ritmi di vita rappresentati dal mare, dal sole, dalla terra e dai suoi frutti. Il padre appare guida indiscussa nelle varie fasi di passaggio scandite dai ritmi della natura. Ora molti anni sono trascorsi (“ i bagliori sopiscono”) e la “canuta testa” indica la vecchiaia del padre che, alfine, non spegne le intense emozioni e quello scandire le fasi del tempo vissute dall’autore accanto al padre, la cui figura viene assunta come firmatario di un generoso testamento d’amore rappresentato da quella attenzione, inculcata e trasmessa, rivolta ai ritmi meravigliosi delle Stagioni. - 22 - Il “vento” è il simbolo di qualcosa che giunge improvviso, qualcosa che l’autore vorrebbe evitare, negare, perché porta con sé l’annuncio di un triste evento: la morte del padre, avvenuta nel dolore e con l’invocazione continua d’aiuto rivolta alla madre. Appare crudele il morire nel dolore, come pure vivere la morte come superamento dello stesso dolore. L’affidarsi sembra superare la strettoia del passaggio, del transito, del trapasso, donando alfine – sul volto del padre – un sorriso appena abbozzato, indice dell’agognato riposo. P rimavera 2008 Una poesia che tenta di spiegare chi sono gli artisti e cosa conta per loro. 1° Maggio di Bruna MURGIA (Torino) ARTISTI di Walter MILONE (Druento - TO) È festa! Siamo scesi in piazza per dirlo a questa gente che la dignità si conquista col duro e onesto lavoro, che non v’ è ricchezza senza braccia e non c’è gloria senza fatica. Siamo artisti, liberi istrioni, sognatori disperati, zingari vagabondi per polverose contrade. Come clown strampalati regaliamo illusioni in cambio di un sorriso. Abbiamo l’età dei nostri sogni, gli anni ricamano ragnatele sul volto, ma le reti del tempo non fermano un vento di primavera nell’anima. Siamo felici per una poesia, per una musica in cui viviamo, per un viso di donna regalato alla tela, per un corpo strappato ad un’opprimente prigione di marmo. A volte, improvvisamente, sparisce il mondo intorno a noi e voliamo leggeri, cavalieri erranti, negli infiniti, inconfessabili labirinti della nostra arte. L’abbiamo detto: poco vale taluna vittoria da giusta norma impressa se troppa umana gente muore! Su ogni volto scolpito dal sole e sulle mani callose guardiamo bambini che non avranno un padre. Conosciamo donne sole e precarie, sfruttate, annientate, vendute. Anche per loro oggi deve esser festa. Non dimentichiamo il dolore silente di uomini premiati dal Mondo, oggi in catene sconosciute. Ricordiamo i nomi dei Paesi che negano la verità, feriscono e uccidono la dignità. Sulle corde di un vecchio mandolino canteremo ancora le antiche, eterne canzoni ed il nostro canto avrà il sapore aspro del mare; sul brivido di un accordo rivivremo arcane malinconie, figlie di lontane, indimenticate emozioni. Chissà qual prezzo o valore hanno le parole, ma col silenzio un uomo si svende e paga cara l’omertà al Sud come al Nord. Siamo artisti, liberi istrioni, sognatori disperati; è assurdo cercare di capirci, inutile tentare di cambiarci; siamo strani, fuori tempo. Nessuno è solo nel Giorno del Lavoro: siamo tutti qua con i sogni e le speranze dei nostri bambini. In un mondo che pesa l’uomo in oro noi alziamo nel cielo le vele della nostra incontaminata fantasia. - 23 - I l S alotto degli A utori SARK, DOVE IL TEMPO SI È FERMATO IN EUROPA ESISTONO ANCORA ANGOLI DI PARADISO! di Gianfranco GREMO (San Gillio – TO) Chi di noi non ha mai sognato un’isola tutta per sé, un’isola lontana simboleggiante l’evasione, il distacco, il fascino della solitudine? Questo paradiso esiste e neppure tanto lontano da qui, si trova nella Manica e si chiama Sark (per gli inglesi, fa parte della Corona e non del Regno Unito) o Sercq (per i francesi, perché le sue origini sono normanne). Questo minuscolo lembo di paradiso fa infatti parte delle Channel Islands (per gli inglesi) o Anglo-Normandes (per i francesi) assieme a Jersey e Guernsey (più estese), Alderney (delle stesse dimensioni di Sark) ed Herm, la più piccola. La caratteristica principale della nostra isola, quella che la rende unica ed indimenticabile, è che non vi circolano auto e le strade non sono asfaltate; pertanto inquinamento zero, a parte qualche trattore necessario per le poche coltivazioni presenti sul suo territorio. Arrivarci è facile e divertente, occorre percorrere un migliaio di chilometri da Torino sino a Saint-Malo, la splendida città interamente cinta da mura sulla costa bretone, dove i giochi delle maree sono affascinanti ed impressionanti insieme. Da Saint-Malo partono gli aliscafi per le Anglo-normanne e nessuna auto può esservi caricata; a Jersey e a Guernsey è possibile noleggiarle in numero limitato, a Sark ciò è fortunatamente impossibile. Il primo approdo è Jersey, la “capitale” delle isole, dove sono espletate le formalità doganali ed il controllo dei documenti (basta la carta d’identità), poi l’aliscafo riparte per Sark. A vederla da lontano non è dissimile da altre isole, le sue scogliere sono alte intorno al centinaio di metri e l’altopiano è verdeggiante ed ondulato, ma appena vi si mette piede si entra in un mondo a parte, dove la natura è dolce e intatta, i profumi ed i colori sono unici, dove non esistono recinzioni ed ogni passo è una scoperta. Lungo le strade in ghiaietta e lungo i sentieri che percorrono i boschi e la campagna si ode soltanto il trillo del campanello delle biciclette noleggiate per poche sterline. Per raggiungere le spiagge collocate centro metri più in basso occorre lasciare la bicicletta sul margine della scogliera ma nessuno ve la toccherà, qui il furto è impensabile. Sull’isola il numero di posti disponibili per alloggiare non è elevato ed in alta stagione è opportuno prenotare, ma la scelta è vasta: alberghi di tutte le categorie, pensioni di famiglia, alloggi da affittare per almeno una settimana. Normalmente viene fornito il pernottamento e la prima colazione all’inglese, ma è facile avere anche, prenotando, il pasto serale. I ristoranti comunque non mancano. A mezzogiorno le innumerevoli sale da tè (deliziosi luoghi con giardino dove il tè viene servito con dolci, torte, panna e marmellata fatta in casa) basteranno a placare i pochi morsi della fame perché al mattino la colazione è stata copiosa. Come si è detto, l’isola ha origini normanne ed i nomi dei luoghi risentono di questa influenza, ma il dialetto locale (completamente distante dall’inglese) è praticamente scomparso e la lingua inglese è imperante, assieme alle abitudini ed i costumi. Una curiosità consiste nella valuta (banconote e monete) che è differente da quella inglese. Quest’ultima è circolante sulle isole ma quella locale non è accettata nel Regno Unito. Su Sark è la natura a farla da padrona, i posti sono incantevoli ed incontaminati, si possono vedere cose impensabili, uccellini che vengono a bere nella tazza posata davanti a voi sul tavolino all’aperto ed a beccare le briciole della torta nel piatto. Abbiamo visto una mamma pennuta fare la spola e nutrire sul prato i suoi piccoli a qualche passo da noi, calabroni al lavoro da un fiore all’altro nei vasi sui tavolini, leprotti che attraversano il sentiero sfiorando le biciclette, cerbiatti che si rifugiano nel bosco. Affascinanti sono i cottage sparsi in simpatico disordine nella campagna; intorno a questi lindi villini di solida pietra, curatissimi giardini pieni di fiori, siepi di ribes ed uva spina; qui un piccolo stagno quieto sul quale scivolano altezzose anatre e goffi paperi, là una scorcio su spiagge e calette racchiuse tra rocce rossastre e strapiombanti. Più il tempo scorre in questa pace impensabile, più si allontana il mondo convulso nel quale viviamo, più si vorrebbe non finisse mai la vacanza. Inevitabilmente occorre riprendere l’aliscafo e tornare nel mondo “civile”, rivedere la terraferma, la magica Saint-Malo, addentrarsi nuovamente nel traffico, nel rumore e LUNA di Pacifico TOPA nell’inquinamento. Quasi spiace rive- (Cingoli – MC) lare l’esistenza di un paradiso come Sark, Astro misterioso perché se troppi ne che vegli su sonno verranno a cono- del mondo che, impassibile, scenza potrebbe ti guarda di lontano. perdere, un domani, Luna, meta agognata il suo fascino. E’ dif- di titanici sforzi, ficile tuttavia tacere che puntano a svelare della sua bellezza ed il mistero ch’è in te. unicità, ed a questa Luna, amica preziosa tentazione di condi- di amanti e di poeti, videre la felicità non forse non ti si addice il ruolo misterioso ho saputo resistere. dal momento che l’uomo è giunto fino a te. Luna, dolce compagna Di giovanili ambasce, portatrice i sogni e di tante speranze. - 24 - P rimavera 2008 LE FOGLIE di Fosca ANDRAGHETTI (Bologna) GRANULI DI QUARZO di Giancarlo PETRELLA (Roma) A Epidauro un dito al cielo con fronde marmoree qual l’amore eterno di Phidia o come il monumento funebre del Satrapo: sentenze di Febo. Foglie ambrate dei pioppi come mare alla risacca, al principio del giorno. Più in là il rosso della vite americana, il nero d’asfalto, macchine veloci, vita che pulsa nel giorno feriale scuole, negozi, lavori stradali e di lato i muri di un ospedale. Nel letto dei vecchi la vita si ferma. CIAO COMPARE di Giacomo GIANNONE (Torino) Io, figlia, non ho più timore D’un padre che non ha difese. Ciao compare e scorrevano le lacrime sul viso mentre una vela bianca sul mare scuro si involava e io t’abbracciavo e le vie percorse ricordavo. 2008: ANNO BISESTILE di Giovanni REVERSO (Torino) Dice un detto reversiano, cioè mio: “Tutti gli anni bisestili mordono”. Si tratta allora solo di scoprire il giorno della morsicatura, che può essere il primo, come uno qualsiasi dell’anno stesso, ma di sicuro c’è! Morsicatura certo in senso metaforico, ma con risultato, conseguenze effettive. Ciò vale a cominciare dalle singole persone, per passare ai nuclei nazionali, continentali e globali, investendo cioè il mondo intero come un unicum, in quanto ora ogni azione ha effetti globalmente accertabili e misurabili. Si afferma che le speranze aiutano a vivere, perché la speranza una certa forza la possiede e conviene accettarla. Ma conta di più l’azione, conta più d’ogni speranza e d’ogni preghiera, in quanto l’azione è la preghiera che ha sempre una risposta, sia positiva che negativa, ma ce l’ha. Non faccio nomi, ma chi guida le nazioni sotto qualsiasi regime, anche totalitario, può molto per dare al 2008 almeno un po’ di serenità e di pace. Due cose necessarie al potenziamento di quelle azioni costruttive, tendenti a fermare tutto quello che contribuisce a determinare la fine dell’uomo stesso, esaurendo le risorse primarie della Terra. 2008: in quest’anno bisestile, l’umanità deve con forza e tenacia rivedere il suo rovinoso agire, modificandone lo stile. La bicicletta altalenante sulla strada di pietrisco il gioco a palla nel cortile o nell’androne le sfide a dama con il libro aperto e le declinazioni. Poi le balze di Sardegna a inseguire le pernici fra i rovi e i muri di confine, l’allegria nel cuore il nostro avvenire con le cicale a frinire e il cane a ruzzolare. Così il tempo e un giorno ancora per ritrovarci dopo lungo cammino sotto la pergola e l’uva matura con il profumo della citronella e il gelsomino Ora la notte precipitosa scende una navicella sul fiume fra nugoli di nebbia minacciosa s’avvicina sente il nocchiero borbogliare una voce gridare ‘’Stammi vicino Compare”. - 25 - I l S alotto degli A utori CONOSCERE TORINO ATTRAVERSO PASSEGGIATE A TEMA MICAELA (MICKINVENTOUR) guida turistica in Torino e dintorni, propone passeggiate guidate a tema nel capoluogo e nelle vicinanze su usi e costumi in epoche passate e personaggi nati o vissuti in Piemonte che in questa terra hanno lasciato un’impronta indelebile. Al sito www.cercaturismo.it occorre cliccare su “Piemonte” nella cartina geografice dell’Italia e nuovamente cliccare sulla voce guide e accompagnatori oppure visitare http://it.geocities.com/guide interpret intorino. Oltre ai tours elencat nel volantino, la guida Micaela propone i seguenti giri guidati di propria ideazione e conduzione: TORINO PUBBLICITARIA Il grande ruolo di Torino nella pubblicità e le creazioni pubblicitarie che hanno fatto storia z IL MALATOUR: sulla “mala” di un tempo e gli imbonitori che popolavano il Balon e Porta Palazzo, il loro gergo piemontese e i luoghi di loro dominio z SIGNORSÌ: itinerario in Torino sui vari corpi militari che sono al servizio della Nazione z UNA FOTOGRAFIA di Gaetano PIZZUTO (Torino) Una parete tappezzata a fiorellini rosa trascurata dalla luce del giorno. Una fotografia appesa, ingiallita come l’erba d’Agosto incorniciata da un tenero ricordo. Il tuo sorriso disegnato, dolcemente sinuoso i tuoi capelli carezzati dal vento, negl’occhi misteriosi bagliori. Momenti che si fermano sui muretti dell’eternità nel volgere d’uno scatto. Ogni giorno ti penso, ti penso ora, ovunque sei forse sarai poco lontana dall’altro crinale del monte e la nostalgia di te è come un foulard di seta che m’avvolge l’anima quando scende la sera. SÌ VOSTRO ONORE: la giustizia nel corso dei secoli a Torino, come veniva amministrata, come è cambiata, giuristi insigni, come era vista dai Savoia z TORINO INGLESE E PICCOLA PARIGI: Testimonianze “inglesi” e francesi che hanno contribuito a dare a Torino l’appellativo di “piccola Parigi” z AL SERVIZIO DI SUA MAESTÀ: tutti coloro che ruotavano intorno al re ed erano al suo servizio: valletti, paggi, cameriere, ecc. MATTUTINA LUCE di Silvia SPALLONE (Torino) z z INVENTORI E INVENZIONI TORINO IN PRIMA PAGINA: gli eventi più importanti che hanno segnato Torino attraverso le prime pagine dei giornali z TORINO IN FORMA: la cura di sé nel tempo: la toeletta, la cura del corpo, come è cambiato il concetto di igiene e cura di sé nei secoli, pregiudizi e assurdità di un tempo z TORINO SEGRETA E PROIBITA: tour “trasgressivo” su tutto ciò che era proibito in passato a Torino e dintorni z z AGNELLI, L’AVVOCATO z BELLA E ODIATA sulla “Madama Reale” Cristina di Francia EMANUELE FILIBERTO IERI E OGGI: tour su “Testa di ferro”, il duca Emanuele Filiberto che ha traslato la Sindone a Torino e accenni ad Emanuele Filiberto di Savoia vivente (confronto) z z DIAVOLI E MASCHE: le “masche” nella tradizione popolare z SFERE DI CRISTALLO: maghi e veggenti “buoni” di ogni epoca - 26 - Taglia l’ombra della notte, a fette, tra gli antichi e moderni palazzi ornati di viali alberati e piazze in fiore, la calda e tiepida luce mattutina; si riflette nelle acque verdastre dei fiumi. Dolce e cara Torino offuscarti non devi! quando il grigio mantello della nebbia t’avvolge d’umido freddo; paziente, attendi, il vento di primavera che spolvera la vecchia foschia d’inverno. Brevi viaggi di luce infiorano le piante della profumata primavera. P rimavera 2008 CASA LEOPARDI: ATTRAZIONE TURISTICA MARCHIGIANA di Corrado ALESSANDRINI (Recanati - MC) Sia provenendo da Macerata che da Ancona si sale per raggiungere la ridente e accogliente cittadina marchigiana: Recanati, che dette i natali all’insigne poeta Giacomo Leopardi. Lungo tre ridenti e ubertosi colli si stendono i fabbricati antichi e nuovi, dominati dall’alto dalla torre del «natio borgo selvaggio» e dalla torre «del passero solitario», che s’eleva dal chiostro della chiesa di S. Agostino. Da Porta nuova si entra nel paese.Allo sguardo del visitatore si presenta il palazzo dei Marchesi Antici da cui uscì sposa la marchesa Adealaide, madre del poeta. Proseguendo s’incontra la chiesetta di Montemorello le cui campane argentine annunziavano, la sera del sabato, la prossima festa; «la piazzetta del villaggio» che ancor oggi risuona delle festose grida dei bambini che giocano e infine il palazzo dei Conti Leopardi, dove attualmente risiedono gli eredi del conte Monaldo, padre del poeta. II palazzo si eleva maestoso e solenne rispetto alle casette basse e raggruppate del rione di Montemorello. Il disegno del palazzo fu opera del canonico Carlo Orazio Leopardi architetto e zio del poeta. Il progetto fu ardito poiché unì in un sol corpo di fabbricato diverse case già esistenti senza demolirle. Dello stesso arehitetto furono i disegni delle facciate delle chiese di S. Michele e di S. anna in Recanati. Un tempo la biblioteca di famiglia fu aperta al pubblico e vi si accedeva da una porta ancora esistente, alla sommità della quale c’era scritto: «Filiis, amicis, civibus Monaldus Leopardi ». Fu merito del conte Giacomo, figlio di Pierfrancesco, l’idea di raccogliere in un medesimo luogo i manoscritti del poeta e tutte le opere che si venivano pubblicando, formando così la biblioteca leopardiana. Ora al palazzo è stato aggiunto un altro fabbricato denominato «Centro degli Studi leopardiani » dove gli studiosi possono consultare le varie opere di cui è ricca la biblioteca. I trentamila volumi che vi si conservano e che formano l’antica biblioteca leopardiana hanno la loro importanza non tanto per la quantità, ma perché sono legati alla stessa vita del poeta che, studiandoli profondamente, alimentò e sviluppò il suo genio immortale. Nella prima sala della biblioteca sono conservati religiosamen- te, in una teca, i principali manoscritti dell’età puerile e giovanile del poeta, (è con vera commozione che si osserva la calligrafia così nitida ed ordinata del poeta), un suo ritratto opera del Lolli, l’albero genealogico della famiglia. Appesi alle pareti, oltre ai ritratti dei genitori, sono quelli dei fratelli Paolina, Carlo e Pierfrancesco, di Giacomo figlio di Pierfrancesco, fondatore della biblioteca e di sua moglie Contessa Sofia. Nella seconda sala il poeta trascorreva il suo miglior tempo «sulle sudate carte»; si conservano ancora il tavolino che il poeta collocava vicino alla finestra, il suo calamaio e le coperte con cui si avvolgeva le ginocchia durante i rigidi inverni. Affacciandosi alla finestra prospiciente la piazzuola, l’osservatore può rivivere le scenette descritte con arte insuperabile dal poeta nella poesia «II sabato del villaggio»; può vedere la casa della giovane Silvia che allietava con suo canto la vita triste del poeta. Nelle altre sale sono conservati gli altri libri riposti in vecchi scaffali suddivisi per materie: filosofia, leterratura, giurisprudenza. Si trovano fra essi alcuni esemplari di gran pregio come l’Enciclopedia francese del Diderot, La Bibbia poliglotta stampata in sette lingue un manoscritto della Divina Commedia del 1300; «De Civitate Dei» di S. Agostino. La stanza che era adibita a studio dal conte Monaldo è rimasta intatta cogli stessi mobili di allora. Dal giardino il poeta poteva vedere la casa di «Nerina» e uscendone, percorrendo uno stretto viottolo lungo le mura dell’odierno Educandato femminile di S. Stefana. si recava sul monte Tabor (ora Colle dell’Infinito). Da lì il suo sguardo spaziava sull’immenso e splendido panorama che gli ispirò la bellissima poesia «L’infinito» e udiva il canto del passero solitario che proveniva dalla torre del chiostro della chiesa di S. Agostino. Tutti luoghi suggestivi che incantano e destano nel cuore dei visitatori, di ogni parte del mondo, grande commozione e fanno capire che il poeta soltanto a Recanati, in questa cittadina un tempo a lui cosi ostile ed ora così riverente davanti al suo genio, poteva trarre motivi atti a suscitare in lui l’ammirabile sua poesia. - 27 - I l S alotto degli A utori LA BRUTALITÀ DELLA VITA E LA BRUTALITÀ DELLA PAROLA NEL ROMANZO DI N. AMMANITI, COME DIO COMANDA di Francesca LUZZIO (Palermo) Il romanzo Come Dio comanda di N. Ammaniti possiede tutte le caratteristiche formali e contenutistiche per essere considerato dal lettore medio un best-seller. Strutturalmente esso è diviso in due parti: prima e dopo, preceduti da un prologo; il prima comprende tre giorni ( venerdì, sabato e domenica), il dopo ne include altri tre (lunedì, martedì e mercoledì). La struttura dell’opera coincide quindi con la dimensione temporale. Quest’ultima a sua volta, pur nello scandirsi dei giorni, si sottrae ad una specifica determinazione cronologica attraverso la generica successione di ciò che accade prima e dopo l’apocalittico temporale che investì la località di Varrano e la pianura circostante, la notte compresa tra domenica e lunedì. La dimensione spaziale è invece dettagliatamente proposta con la descrizione analitica degli interni, del paese, della pianura circostante piena di capannoni industriali, campi, villette, boschi, strade, ponti, fiumi, palcoscenico tragico di eventi che nella cieca brutalità del loro realizzarsi, tuttavia non escludono l’esistenza o la ricerca di valori anche metafisici. Protagonisti sono quattro personaggi: Rino e Cristiano Zeno, padre e figlio uniti da un amore viscerale e violento; Danilo Aprea, angosciato dal senso di colpa per la morte occasionale della figlia, evento che è stato anche la causa preminente della separazione dalla moglie; Quattro Formaggi (così chiamato perché preferiva la pizza omonima), un uomo strano soprattutto dopo un incidente con i fili dell’alta tensione. La comune condizione di disoccupati, di miserabili e di alcolizzati li rende molto amici e condividono insieme esperienze e problemi. Un giorno Danilo propone di scassinare un bancomat per dare una svolta alla loro vita di deietti.. In una notte di terribile tempesta però le loro sorti si dividono tragicamente, poiché ognuno di essi resterà legato a ciò in cui crede o che il caso, scambiato per Dio, farà sentire come tale. Così Dino per la paura di essere scoperto e di essere privato dai servizi sociali della compagnia del figlio, alla fine non vuole più partecipare allo scasso; Quattro Formaggi, strano com’è, indugia a lungo ad uscire di casa e quando decide di farlo il caso gli farà incontrare una biondina che sprigiona in lui sfrenato erotismo e istinti oscuri che lo inducono all’omicidio della ragazza, compagna di scuola di Cristiano. Nell’impotenza della sua balordaggine , telefona a Rino che accorso, nel vedere l’operato dell’amico lo colpisce violentemente, ma anche lui cade a terra, come morto a causa di un’emorragia cerebrale da tempo annunziata da forti emicranie. Danilo così, affronta da solo lo scasso al bancomat nel sogno di potersi rifare una nuova vita con l’ex moglie,che non aveva mai smesso di amare, ma poiché era ubriaco, nel recarsi presso la banca muore a causa di un incidente stradale. Frattanto la tempesta imperversa, i fiumi straripano,il fango seppellisce ogni cosa, anche la loro vita. Tutto come Dio comanda, infatti se Quattro Formaggi si sente innocente, perché uccidendo la ragazza si convince di eseguire un ordine divino, anche la sorte degli altri sembra ordinata da un Dio violento che ama accanirsi contro i miserabili. Altri personaggi, altre storie s’intersecano nella vita dei quattro amici e l’opera nel complesso risulta avvincente, uno di quei romanzi che il lettore non riesce a posare se prima non sa “come va a finire”. Ne risulta un grande affresco che ci pone di fronte agli emarginati della società attuale, che spesso la precarietà lavorativa ed economica rende violenti anche nell’esplicazione dei sentimenti più forti e puri, quale l’amore paterno, viscerale e perciò illimitato che unisce Rino al figlio Cristiano. Per Ammaniti, se la sofferenza è di tutti, non pare distribuirsi in modo uguale in tutte le classi sociali, sembra preferire i poveri, gli offesi, inducendoli ad acquisire progressivamente un habitus morale e un conseguente modus vivendi che alla violenza affida la propria vita, gli affetti e la stessa morte. Questa è un’ideologia opinabile, ma sostenuta fortemente dall’autore attraverso gli eventi narrati e le parole dei personaggi, anche se poi, in fondo, anche questi ultimi sono alla ricerca di un proprio Dio, al di là della brutalità della loro vita. In Quattro Formaggi questo bisogno di Dio diventa maniacale e si esplica non solo nell’atto omicida da lui santificato, ma anche nello zelo paranoico con cui si dedica alla realizzazione del suo grottesco presepe che con il cadavere della ragazza, avrebbe avuto il compimento migliore. E che dire di Danilo? Quando trova le chiavi della sua macchina nel fiume, dopo cinque anni da quel maledetto giorno in cui, essendo morta sua figlia, gliele aveva buttate, pensa che “su in cielo c’era qualcuno che l’aiutava”. Il miracolo capita pure a Beppe Trecca, l’assistente sociale che seguiva Cristiano . L’uomo di colore che, da lui investito sembrava morto, torna a vivere dopo il suo voto che lo impegnava a non rivedere Ida Lo Vino, sua amante e moglie del suo migliore amico. Il romanzo così è realistico anche nella descrizione della percezione del divino: Dio abitualmente assente nel quotidiano o addirittura sentito come persecutore degli afflitti o mandante di omicidi, diviene entità positiva e presente, quando sporadici fatti considerati miracolistici - 28 - P rimavera 2008 costellano il ginepraio confuso dell’esistenza. Questo è il Domande disperate di chi si ostina a credere che l’arte messaggio quasi blasfemo che Ammmaniti ci invia, mes- per essere tale deve attenersi all’estetica; ma se quest’ultisaggio a dire il vero non nuovo nell’ambito della lettera- ma indica l’insieme dei fattori richiesti ed accettati dal tura contemporanea che spesso si serve degli strati sociali gusto e dal sentimento del bello, a me pare che il narratosubalterni per attribuire a Dio situazioni e comportamenti re si sia completamente dimenticato di tali fattori. la cui causa prima è da connettersi all’uomo e al suo egoAnche la pornografia è letteratura se realizzata con arte, ismo. La tecnica narrativa è cinematografica, soprattutto ma il linguaggio volutamente e insistentemente osceno e nella seconda parte, dove il filo del discorso viene inter- volgare no. Da sempre la volgarità espressiva fa parte del rotto spessissimo con brevi episodi che seguono di volta linguaggio della gente comune, non per questo i grandi in volta l’azione dei vari personaggi; attuale anche la scrittori realisti o neorealisti hanno fatto uso di un lessico proposizione dei messaggi telefonici con il loro linguag- simile per proporci un quadro reale anche degli strati più gio sintetico ed iconografico. Il lessico è semplice, comu- bassi della società. ne, ma anche volgare e spesso gratuitamente osceno; la sintassi ineccepibile, ma tale correttezza appare poco adatta al realismo e all’attualità ostentata, sicchè la perfezione grammaticale fa a pugni con l’oscenità del lessico . NOTTURNO L’attualità, il realismo devono necessariamente comdi Gian Franco MICHELETTI portare la volgarità? La volgarità può essere letteratura? (Orbassano - TO) La parolaccia gratuita serve a dare realismo espressivo allo stile o a favorire la mercificazione Sotto un pergolato di sparsi corimbi del prodotto? ROCCIA D’ARGILLA trabocca siero di melanconico (A mia nonna Igina essenza di vita…) Cinthia DE LUCA (Roma) SILENZI di Bernadette BACK (Casapesenna - CE) Silenzi, diamanti nel tempo, nell’infinito si perdono come chiarore del sole. Silenzi nei fervidi sogni, che la speranza raccoglie in sospiri d’amore. Silenzi, soffi vitali di pienezza universale son d’un cuore pura ala. Silenzi vibrano d’entusiasmo, tremolano senza voce, salgono al Creatore. Silenzi, complici della storia, sogni di vittorie, avanzano coi cuori. Eri il tronco da cui presi vita, l’antica radice da cui ho originato tepore silente, lontano, compagno di palpiti ormai spenti, profondo alimentava i miei vuoti… di tenerezza, roccia d’argilla, su di te i miei sguardi innocenti… porto sicuro in cui mi rifugiavo nei momenti in cui non ero che un fuscello al vento… - 29 - e barbagli di luna come bagliori di una fioca lampada irrorano perle su volteggi di foglie rinsecchite sul desco della vita. L’effluvio della luna è un alveare di stelle in una notte gravida del giorno su tronchi crocifissi dal tempo ed il notturno, senza un gemito, da’ alla luce il silenzio. A FINE GIORNATA di Franca MARIANNI (Novara) Ho fermato a piacere volti e momenti quel sussulto d’immagine che a prova disperde i suoi frammenti di nuda occasione. Ho inteso fissare volute di pena o meste esultanze al riparo dal tempo, se ciò che accade è già ombra leggera passato l’istante. Ho speso vane risorse a inseguire l’effimero resta il nulla d’un palpito assopito quando cala il silenzio a fine giornata. I l S alotto degli A utori PRETE CATTOLICO FELICEMENTE SPOSATO PUR CONTINUANDO A FARE IL PRETE? SI PUÒ! ECCO LA STORIA… di Franco PIGNOTTI La scorsa estate, per la seconda volta, ho di nuovo scelto la Calabria per le mie vacanze estive, che ho trascorso, insieme alla mia famiglia, a Torremezzo di Falconara Albanese, provincia di Cosenza, in una casa sul mare messaci a disposizione da amici calabresi. Ci siamo goduti la spiaggia infuocata, la limpidezza dell’acqua, il fascino dei tramonti sul mare, cosa strana per chi è abituato a vedere scendere il sole tra i monti. Una volta siamo anche riusciti a scorgere la sagoma dello Stromboli. Abbiamo ammirato lo splendido castello di Fiumefreddo arroccato sullo sperone della montagna a picco sul mare, le serate rumorose di Amantea o di Paola, che terminavano con il classico cornetto a mezzanotte; gustato il pesce al ristorante Dragut dal nome di un famoso rinnegato calabrese che aveva fatto fortuna a Tunisi come capo corsaro ‘barbaresco’. Il tutto trascorso e vissuto insieme ai nostri amici calabresi, una splendida famiglia con tre figli adolescenti, davvero normale, se non fosse per il fatto che papà Giuseppe è anche il parroco di Falconara Albanese, regolarmente sposato con Francesca nel 1985 e ordinato prete dal suo vescovo nel 1988. Insomma, nel linguaggio ecclesiastico, un “prete uxorato”, un prete cioè ordinato “sacerdote” dopo aver celebrato il sacramento del matrimonio. Non un prete che si è sposato dunque, “gettando la talare” ma un “uomo sposato” che è stato ordinato prete. Il fatto sembra davvero curioso. Poche cose infatti vengono percepite così sacre e così assolute come la circostanza che il prete cattolico sia una persona che si dedichi totalmente a Dio e debba per ciò stesso restare celibe. Celibato e servizio totale a Dio sembrano includersi per definizione. Dedizione a Dio ed esclusione della sessualità, anche biblicamente santa (è il primo comandamento dato da Dio all’uomo e alla donna appena creati – per gli ebrei era peccato non sposarsi), appaiono alla maggioranza come cosa ovvia. Eppure le cose non stanno affatto così. Si sa che i Protestanti hanno i loro pastori sposati, ed ora molte chiese protestanti hanno addirittura aperto il ministero alle donne. Si sa inoltre che tra gli ortodossi ci sono preti sposati, anche se la chiesa ortodossa ci affascina con i loro ‘patriarchi’ dalle folte barbe, dagli strani copricapi e dalle lunghe tuniche nere; iconografia semmai ancora più sacrale di quella cattolica. Dunque nelle ‘secolari’ chiese protestanti e nelle ‘sacrali’ chiese ortodosse il celibato dei preti non fa problema, sia che esista (per gli ortodossi) sia che non esista (per i protestanti) un presbiterato celibatario. Nella chiesa cattolica se si parla di preti e di sessualità lo si fa in genere o per raccontare barzellette boccaccesche, o per parlare di scandali (le accuse di pedofilia) o perché qualche noto prete si è ‘spretato’ per amore di una donna. Insomma appare sempre come una trasgressione particolarmente deprecabile. Il Concilio Vaticano II, riprendendo la migliore tradizione teologica del secondo millennio, costruisce quello che può essere definito il teorema della triplice vocazione cristiana: vita consacrata, ministero presbiterale e vocazione laicale: la ‘vita consacrata’ caratterizzata dai tre voti e dalla fuga mundi come segno e anticipo della realtà escatologica; il ‘ministero presbiterale’ caratterizzato dal celibato come segno di dedizione totale a Dio per la guida pastorale e la vita sacramentale della chiesa; la ‘vocazione laicale’ caratterizzata dalla vita familiare e dall’immersione nelle realtà del mondo per fermentarle con il lievito evangelico. Dal punto di vista della spiritualità pratica, però, la teologia cattolica sembra non fare molta differenza fra la vocazione monastica (con i suoi tre voti di obbedienza, povertà e castità) – tenuta in grandissima considerazione anche nel mondo ortodosso ma storicamente inesistente nel mondo protestante – e il ministero presbiterale celibatario. Entrambe le ‘vocazioni’ incarnano in maniera eccelsa l’homo religiosus, una dedizione totale al Regno di Dio e alle cose celesti. La terza vocazione, quella del laicato, nonostante la grande rivalutazione del Concilio Vaticano II che ne ha fatto rilevare il carattere di via alla santità, è una vocazione compromessa con il mondo secolare e pertanto poco adatta alle ‘cose sacre’. Ma se guardiamo alla storia, ‘magistra vitae’, troviamo che nella bimillenaria tradizione ecclesiale c’era un tempo, durato oltre mille anni, che le cose non stavano proprio così; e parliamo del millennio ‘fondante’ a cui si rifanno più o meno tutte le tradizioni cristiane, i cui teologi vengono chiamati “Padri della Chiesa”. Fino al Secondo Concilio Lateranense (nel 1123) non esisteva nella chiesa cattolica latina un obbligo del celibato, anche se nel corso dei secoli diversi sinodi locali avevano già adottato questa norma, ma mai a livello universale. Vigeva nella Chiesa Latina (cattolica) la stessa regola della Chiesa Greca (ortodossa): il sacramento dell’ordine veniva conferito sia a celibi che a sposati. Dunque i ‘laici’ sposati potevano accedere al sacramento dell’ordine. I monaci celibi, al contrario, non accedevano affatto al sacramento dell’ordine; erano e restavano ‘laici’ da questo punto di vista. In effetti, soprattutto nell’occidente latino e cattolico, questi monaci tutti dediti al servizi di Dio erano così ‘laicamente’ compromessi con il mondo che i loro monasteri sono diventati la fucina della cultura (arte, letteratura, architettura), dell’agricoltura e dell’urbanistica della nascente società che sarà ‘europea’. Dal punto di vista del sacramento dell’ordine, solo gli abati diventavano anche ‘preti’ a servizio delle loro comunità monastiche, ma - 30 - P rimavera 2008 non i monaci in quanto tali. Ma quando l’esperienza monastica divenne l’esperienza leader della cristianità, la figura dell’abate-sacerdote del monastero si estese e si sovrappose alla figura del vescovo al quale si comincia così a richiedere, per mimesi, il celibato e pertanto si cominciò a scegliere i vescovi tra i monaci che avevano già fatto la promessa del celibato, mentre la maggioranza dei presbiteri delle comunità cristiane restarono con la loro forma ‘laica’ di uomini sposati. Dunque l’attuale teorema della spiritualità cattolica è cosa ‘moderna’ rispetto alla ‘tradizione’ del primo millennio. Ma questo teorema non è neanche ‘verificato’ nella stessa attualità della chiesa cattolica. Tra i preti più stimati oggi in Italia, ricordiamo fra tutti don Luigi Ciotti, troviamo senza ombra di dubbio quelli profondamente schierati sul fronte del sociale che altro non è che attività politica in senso vero, teso alla introduzione dei valori del Regno nelle realtà ‘mondane’, valore tipico della spiritualità del laicato. Basta inoltre conoscere e frequentare delle comunità neocatecumenali, che nomino solo a titolo di esempio, per imbattersi in laici, dalle famiglie numerose, che hanno fatto della evangelizzazione il perno della loro vita come e più di tanti preti. Per non parlare poi del mondo dei cosiddetti ‘consacrati’ alla ‘vita religiosa’ che a fronte di una spiritualità che li vorrebbe particolari testimoni dell’escatologia, presentano una gamma completa di possibili forme di vita cristiana, dall’eremitismo classico al più intenso coinvolgimento ‘politico’ al servizio nella società terrena. Tra questi ‘sconfinamenti’ dei limiti imposti dal ‘teorema cattolico’ troviamo anche la questione del celibato dei preti. Pochi sanno che anche nella chiesa cattolica ci sono preti regolarmente ed ufficialmente sposati che celebrano messa, contrariamente all’onnipresente figura del prete celibatario. Qui bisogna introdurre una distinzione per specialisti: la diversità dei Riti, il Rito Latino e il Rito Greco. Il rito latino è quello tipico della chiesa cattolica che dal 1123 (secondo concilio lateranense) ha imposto il celibato ai preti. Il rito greco è quello tipico della chiesa ortodossa che ha mantenuto il doppio canale del prete celibatario e di quello sposato. Ora il rito greco appartiene non solo a chiese che non riconoscono il papa come autorità suprema, ma anche a chiese in tutto e per tutto ‘ortodosse’, ma unite al papa di Roma. E’ il caso delle ‘chiese uniate’ dell’est Europa (per ‘chiesa uniate’ si intende la porzione di una chiesa ortodossa staccatasi dalla chiesa madre per unirsi all’obbedienza cattolica pur mantenendo tutte le tradizioni del Rito Greco), ma anche della chiesa albanese nel sud dell’Italia, di cui parlerò fra poco qui di seguito. In queste chiese i preti sono nello stesso tempo ortodossi e cattolici. La Chiesa Cattolica ha un apposito Diritto Canonico per le Chiese Orientali, come vengono chiamate, esattamente come il Diritto Canonico per le Chiese di Rito Latino. Secondo il Diritto Canonico delle Chiese Orientali, i preti possono sposarsi, se lo vogliono, prima di essere ordinati sacerdoti. E’ il caso del mio amico e anfitrione Giuseppe Bellizzi, parroco di Falconara Albanese, felicemente sposato con Francesca e padre di Sofia, Irene e Giuseppe Gerardo. Ma prima di passare a raccontare la storia di questi miei amici, vorrei completare il quadro parlando del fatto che anche nella stessa Chiesa Cattolica di Rito Latino, dove vige la regola del celibato, troviamo preti in attività pastorale anche se regolarmente sposati. Nei paesi anglosassoni ci sono molti preti cattolici che sono passati dalle loro originarie chiese anglicana, episcopaliana o persino luterana, alla chiesa cattolica. E sicco- me nelle loro chiese di origine rivestivano il ruolo di pastori, una volta convertiti al cattolicesimo, tramite una procedura particolare che comprendeva anche una nuova ‘ordinazione’ secondo il rito cattolico, sono diventati preti cattolici e hanno continuato la loro attività pastorale mantenendo la famiglia. Curiosamente, le disposizioni vaticane che hanno permesso questa possibilità di avere preti cattolici sposati regolarmente in funzione, sono dovute allo stesso papa che ha invece drasticamente ridotto, se non impedito del tutto la possibilità per i preti cattolici celibi di potersi sposare regolarmente in chiesa pur dovendo abbandonare il ministero sacerdotale: Giovanni Paolo II. A ben vedere comunque, anche in questo caso, non ci si discosta formalmente dalla tradizione orientale che vuole il sacerdozio dato a chi ha già precedentemente fatto la scelta del matrimonio o del celibato. Per la Chiesa Cattolica, infatti, in questo caso vale l’ordinazione cattolica fatta evidentemente dopo la conversione e quindi anche dopo il loro matrimonio; e non l’ordinazione anglicana o episcopaliana precedente grazie alla quale esercitavano il servizio pastorale nelle loro chiese di origine. Ma è indubbio che questi uomini sono stati ordinati ‘preti cattolici’ sulla base della loro precedente esperienza pastorale nelle chiese di origine. Dunque fondamentalmente essi sono stati ordinati preti per la loro ‘maturità’ cristiana esattamente secondo il principio tradizionale dell’anzianità (presbitero = anziano) e della saggezza acquisite sul campo, anche grazie – perchè no? – al loro stato matrimoniale. San Paolo, infatti, dà come regola per eleggere un presbitero o un vescovo, la provata capacità di aver saputo guidare la propria famiglia ed educare i propri figli (1 Tm 3,1-5). Dopo questa lunga digressione che inserisce il suo caso in un contesto più ampio, torniamo al mio amico Giuseppe Bellizzi; ‘padre Giuseppe’ come viene giustamente chiamato dai suoi parrocchiani. Originario di San Basile (vicino a Castrovillari), uno dei numerosi paesi di origine albanese della Calabria, il mio amico, appena adolescente, come tanta gente della sua regione, era emigrato verso il Nord Italia in cerca di lavoro. E a Milano trascorrerà molti anni. Nella sua esperienza di vita ci saranno anche alcuni anni vissuti con i Piccoli Fratelli di Charles de Foucauld e lo studio della teologia. Quando decide di sposarsi con Francesca Salvador, insegnante di religione di Codognè (provincia di Treviso, diocesi di Vittorio Veneto), si reca nella sua diocesi di origine per i documenti necessari alla celebrazione del matrimonio religioso. E qui incontra una grande sorpresa che cambierà il corso della sua vita. In tutti gli anni trascorsi fuori della sua terra natale, Giuseppe Bellizzi si era perfino dimenticato della particolarità della sua Chiesa di origine: il Rito Greco-Bizantino. La Chiesa Cattolica di Rito Greco-Bizantino in Italia è quella relativa alle comunità italo-albanesi che cinque secoli fa, a partire dalla conquista Ottomana dei Balcani, per sfuggire alla sudditanza musulmana, cominciarono a trasferirsi dall’Albania ad alcune regioni dell’Italia del Sud (Abruzzo, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia) e che in questi cinque secoli, in alcuni casi sono riuscite a mantenere intatte non solo la loro lingua albanese, i loro usi e costumi, ma anche la loro tradizione religiosa cristianobizantina. Il Rito Bizantino prevede una liturgia particolare, legata alla tradizione greca, ma anche il mantenimento di alcune caratteristiche come il fatto dell’ordinazione sacerdotale di uomini sposati. Il vescovo di Lungro dunque, una di queste diocesi italo-albanesi, nel rilasciare a Giuseppe i documenti richiesti, vista la sua formazione teologica ed ecclesiale, gli fa una proposta che a lui sembrò sul momento davvero strana: “Adesso ti sposi, vivi qualche tempo la tua vita di famiglia cristiana con la tua sposa e poi torna qui. Ci conosceremo meglio - 31 - I l S alotto degli A utori e se vorrai ti manderò a fare un anno di liturgia grecobizantina e poi ti ordinerò presbitero della nostra Eparchia di Lungro”. “Eparchia” è il nome della tradizione greca per “diocesi”. Giuseppe e Francesca seguirono il consiglio del vescovo: ad un anno dalla celebrazione del loro matrimonio tornarono a Lungro per mettersi a sua disposizione. Il vescovo di Lungro li inviò a Roma dove Giuseppe studierà “Sacra Liturgia” presso il Pontificio Istituto per le Chiese Orientali, mentre Francesca, anche per mantenere gli studi di Giuseppe, insegnerà Religione cattolica in alcune scuole della capitale. Tornati a Lungro, Giuseppe fu ordinato Presbitero l’8 dicembre del 1988 e fu nominato parroco nella parrocchia di Falconara Albanese, funzione che mantiene ancora oggi. Nel frattempo la famiglia è cresciuta e nell’ordine sono venute Francesca Sofia, Irene Angela e Giuseppe Gerardo, tre splendidi adolescenti con una grande comunicativa e tanta voglia di divertirsi, proprio come tutti i nostri adolescenti, i miei figli ad esempio, con i quali hanno subito familiarizzato e fatto amicizia. A conoscere i coniugi Bellizzi, non si può che rimanere piacevolmente sorpresi dalla testimonianza di questa famiglia, nella quale si può tranquillamente riconoscere la naturalità propria di ogni esperienza familiare, nella sua dinamica di rapporto fra marito/moglie e genitori/figli; ma nella quale è anche presente con altrettanta naturalezza la pienezza di quel Sacramento dell’Ordine che in niente differisce da quello dei presbiteri celibatari. Giuseppe Bellizzi infatti è “presbitero” e “pastore d’anime” della Chiesa Cattolica, esattamente come i suoi confratelli non sposati, anche se nella nostra formazione “latina” il sacerdozio sembrerebbe incompatibile con la vita matrimoniale. Del resto, in questo, la tradizione bizantina si riallaccia direttamente e senza soluzione di continuità alla prassi del primo millennio cristiano, anche occidentale e latino: uno dei santi più venerati ancora oggi nel sud Italia è san Paolino da Nola, contemporaneo di Sant’Ambrogio e sant’Agostino, prima presbitero e poi vescovo, pur essendo sposato. Nell’Eparchia di Lungro attualmente i preti con famiglia sono circa una ventina, il 50% del totale dell’intera diocesi. Nella Chiesa Cattolica, nonostante le ripetute riconferme magisteriali sulla validità permanente del binomio sacerdozio-celibato, il celibato obbligatorio dei preti resta un problema aperto. Ne fanno fede non solo le richieste che provengono sia dalla base di determinate chiese soprattutto del terzo mondo che dalle varie associazioni dei preti sposati, ma anche le sporadiche uscite di eminenti personalità ecclesiastiche al di sopra di ogni sospetto. Nel Dicembre del 2006 il cardinale brasiliano Claudio Hummes, arcivescovo di San Paolo, chiamato da Benedetto XVI a dirigere la Congregazione Vaticana per il Clero riaffermò, in una intervista al quotidiano brasiliano Estrado do S.Paulo, il carattere puramente disciplinare del celibato ecclesiastico, esprimendosi favorevolmente per la sua rimessa in discussione, davanti alla grave emergenza della mancanza di clero. Alla fine del 2007, sia il cardinale inglese Cormac Murphy-O’Connor, Arcivescovo di Westminster e capo della Conferenza Episcopale dei Vescovi d’Inghilterra e Galles (intervista al Financial Times del 21 dicembre 2007), che il cardinale francese Roger Etchegaray, presidente emerito del Pontificio consiglio Giustizia e Pace e vicepresidente del collegio cardinalizio (intervista dell’11 novembre 2007 al quotidiano francese Le Parisien), si sono espressi in favore di una disponibilità a rivedere questa norma disciplinare. Lo stesso aveva fatto il cardinale scozzese Keith Michael Patrick O’Brien, arcivescovo di Saint Andrews ed Edimburgo, al momento della sua nomina a cardinale da parte di Giovanni Paolo II. Spingono in questo senso anche vicende come quella dell’ex prete padovano don Sante Sguotti, oppure il famosissimo arcivescovo esorcista africano Milingo per le note vicende legate al suo matrimonio con l’agopunturista coreana Maria Sung e la sua recente associazione “Married Priest Now”, con la quale si propone di spingere la Chiesa Cattolica alla reintegrazione dei 150.000 preti che hanno abbandonato o sono stati costretti ad abbandonare il ministero presbiterale per essersi sposati. Dobbiamo però sottolineare che ciò che chiedono i vari Milingo, don Sante e associazioni varie di preti sposati è altra cosa rispetto a come il problema è posto nella storia della Chiesa sia Cattolica che Ortodossa; perché la prassi è sempre stata quella di ordinare ‘preti’ degli uomini già sposati e mai di far sposare preti che avevano optato per il celibato al momento dell’ordinazione. Per questo ritengo che dovrebbero essere non tanto i cosiddetti ‘preti sposati’ di questo tipo a farsi carico della ‘battaglia’ per il ripristino del sacerdozio ‘uxorato’, quanto semmai altre componenti della chiesa non necessariamente coinvolte in modo diretto. La eventuale riapertura, anche nella Chiesa Cattolica, del canale tradizionale del sacerdozio ‘uxorato’ non inciderebbe in alcun modo sull’ortodossia delle Fede Cattolica. Ne è testimonianza il fatto che, come abbiamo mostrato, esistono già preti cattolici regolarmente sposati, che sono contemporaneamente in piena comunione con il magistero ecclesiale e in piena attività pastorale, come il mio amico padre Giuseppe Bellizzi, ad esempio. Basterebbe solo estendere questa possibilità. I tempi potrebbero essere maturi per questo ritorno alla ‘Tradizione’. [email protected] MELODIE DI...FISARMONICHE IMPAZZITE di Raffaella CARRISI MARTINI (Torino) Melodie di note nella notte, di pari passo si diffonde il profumo di resina: da quale tronco si stacca, in quale “Baita” si può far festa? E’ dal fienile accanto che giungono le melodie delle fisarmoniche impazzite? L’incanto della notte è breve, tutto pare dedicato alla natura, mancano solo le note del vecchio violino, la nenia è pari alla voce d’un bambino. La notte ansiosa cala, confusa, il giorno non si è ancora liberato dal buio. La sua nota è breve, quella stessa nenia che ebbe a donarmi, l’illusione d’una notte senz’amore. - 32 - P rimavera 2008 L’ICEBERG di Gian Franco MICHELETTI (Orbassano – TO) Nella ricerca interiore della propria identità, cessare di essere non toglie il desiderio di avere e l’uomo imbottigliato in questa intercapedine, si trova solo come un lume di candela su una zattera di sughero, e fra orche e squali si addentra senza clamori nel limbo delle sofferenze, causa questa, del suo fragile “essere” e del suo “volere” tutto e ad ogni costo. Il cuore esplode, poiché troppo stretto il suo abitacolo, le paure esistenziali sono eruzioni in un dedalo di silenzi e soffoca nel vuoto delle parole inutili, abbarbicato in una soffitta di scorpioni e di scheletri rumoreggianti dentro l’armadio delle sue fragilità. Il desiderio di volare via, lontano, dove ogni respiro è fatto di fiori selvatici esalanti il profumo del pane fatto in casa, diventa un’eco nella grande valle. Passata è la tempesta odo augelli far festa... decantava un illustre poeta... ed ecco il risveglio dal forzato nulla, si aprono spiragli di luce e si torna al vecchio mulino con la farina nel sacchetto, per camminare nel bosco, soli, per piangere, per riassaporare l’odore buono emanato dai LA POESIA... di Anna PRESUTTI (Sulmona – AQ) La poesia scatena la fantasia; la mente e il cuore ti dettano d’improvviso i tuoi cambiamenti d’umore; l’odio o l’amore, il falso o il vero sono senza velo davvero; inoltre la poesia può dare impulsi di gelosia, ma basta riflettere un attimo e ritorna l’armonia. La poesia fa sognare ad occhi aperti o chiusi, l’importante è non restare delusi. Un ciclo pieno di stelle, un prato verde, o un immenso mare blu ti fanno chiedere, sorridendo, cosa vuoi di più? Con poesia e volontà si può vivere la realtà. profumi del vento, nella carezza del sole e dell’amore dimenticato in un sottoscala come un vecchio giocattolo. Ti fermi al capanno a mangiare una fetta di polenta ed ascolti il vecchio dissennato che racconta le stesse cose da 30 anni, rivoltate come calzini consumati, ma che pur danno vita. Vedi alfine che stai rinascendo, che il tempo pian piano ti ha ritrovato e le tue rughe non pesano, anzi, ti spingono ad accarezzarle perché sono i loghi della saggezza che aspettavi. Il mistero dei silenzi e della follia dell’uomo, questo poliedrico essere che non smette mai di aggrovigliare la propria esistenza, fino a diventare un’ombra che non sente più il freddo e si muove per inerzia. Ma, tutto ha una fine, dopo la notte viene il giorno e allora ecco riaffacciarsi il battito del cuore per uno sguardo all’apparenza insignificante, rivelatosi poi dimora nella bufera. Tutto torna come una provvidenziale alba ed allora doni ogni cellula con tutta la tua forza soverchiando gli ostacoli che opprimono l’intrusione dell’amore, padrone finalmente, di lambire ogni tua latitudine. Il tempo passa incurante del bene e del male e ricama diagrammi attorno a noi che segnano precise geometrie, dove nulla si muove per caso e ci si scopre parte integrante dell’immenso ingranaggio che ruota attorno a questo regno fatto di nuvole e di terra, capace di suscitare emozioni tali da far sussultare il cuore così fragile dell’uomo. Dalla poesia NOTTE di Tina PICCOLO (Pomigliano d’Arco - NA) Notte dammi ali di stelle per il volo di luce, dammi note di gioia per la melodia d’amore. Notte, dammi il giaciglio della libertà per donare il mistero di donna all’abbraccio più vero dell’uomo. BRICIOLE D’AMORE di Gennaro BATTILORO (Sesto F.ni - FI) Come un passerotto infreddolito rovisterò nella neve e raccoglierò briciole... d’amore per poter sopravvivere... e poi raccoglierò i miei ricordi e girerò un film... un film che non vedrà nessuno, ma sarà il mio film più bello... e lo girerò per te! - 33 - I l S alotto degli A utori TI HO INVOCATO di Clelia PALOMBO (Trevozzo – PC) Ti ho invocato Pace, ascoltando e provando le mie ragioni e nel silenzio di disadorno splendore: deserto, crudo, il mio cuore si è rivelato. Ho invidiato tutto di te: la libertà l’allegria, la serenità, la forza pura della passione, la dignità, l’idea. E vergognoso il pianto ha tradito le mie paure, le mie insicurezze. IN MEMORIA DI HANADI JARADAT (4 ottobre 2003) di Leonardo TOMASETTA (Genova) TAYSIR Un urlo dentro, un addio alla vita, al mondo, che esplode insieme a te, Hanadi, figlia di tante madri innocenti, che hanno vissuto trovandosi dalla parte sbagliata, ignare di negare, con la loro esistenza, altre donne, altri bambini, che in quella stessa terra erano nati, e vi sono tornati profanati da un orrendo misfatto: l’olocausto dei padri. Nuda, sola, sbandata, ho riconosciuto la tua tenacia contro ogni forma di umana miseria e nefandezza e unbrivido di accorata pietà ha concesso che il tuo amore mi stupisse e trasformasse me in vita. SCORRONO IN FILA INDIANA di Donato VOLANTE (Rovigo) Scorrono in fila indiana silenziosi e sornioni i tronchi massicci e scuri dei platani che cingono i bordi di questa strada. Hanno ascoltato le lunghe storie degli ignari passanti mentre si nutrivano con le loro lunghe radici saldamente attaccate alla terra, con le foglie ingiallite riscaldate dal respiro della gente ai primi freddi dell’autunno. NOTE D’ARPA di Barbara PARUTTO (TO) Senza questa voce esile come un raggio di luna potrei dissolvermi al primo sbuffo di vento o celarmi fra le nebbie e tramontare con le stelle. Come acqua sgorgherei confondendomi fra i flutti senza più coscienza dei confini. Sarei solo una scintilla, caduca cometa, traccia d’arcobaleno che svanisce dopo il temporale. Ma ho parole da gridare! Innalzo allora al creato questo inerme canto; lacrime fan vibrare le corde di un’arpa che m’accompagna in un sommesso pianto. Testimoni insensibili dello scorrere del tempo: soldati schierati come guardiani di una strada culla di vita che ferve tra cielo e terra, ma anche tinta di sangue e stridore di metalli cozzati nel buio di un sabato notte. Tutto cambia nel breve frullo d’un battito d’ali. Non c’è più fretta ora il cammino si arresta: manca la calda carezza delle mani protese sul viso di un figlio. Prosegue il cammino, nel cuore è rimasta solo pietra. - 34 - P rimavera 2008 FIABE E STORIE ALBANESI di Bruna TAMBURRINI Per comprendere le caratteristiche delle fiabe albanesi dobbiamo, in qualche modo e per sommi capi, ripercorrere le tappe principali della storia dell’Albania, uno Stato spesso sottomesso da potenze straniere. I progenitori degli Albanesi sono gli Illiri, una popolazione stanziata dal Danubio ai Balcani. Pare che la prima forma di questa civiltà risalga al secondo millennio A.C, quando tra le varie tribù degli Illiri poteva distinguersi quella degli ALBANET. Solo verso il 1000 A.C. gli Illiri occupano il territorio dell’attuale Albania fondandovi un regno. Subito si ha lo scontro con Roma dopo di che, nel 395, i territori albanesi, precedentemente ridotti in schiavitù, passano all’impero d’Oriente. Iniziano a questo punto le incursioni barbariche dei Visigoti, degli Unni, degli Ostrogoti che si riversano in Illiria, in Macedonia e in Grecia. Più tardi, verso la fine del VI secolo, anche le tribù slave dei Serbi raggiungono il territorio albanese cancellando e assimilando a sé la storia di questa popolazione. Resistono solo gli Illiri del Sud che, più tardi, si faranno chiamare ALBANOI. Nei secoli X e XI i nobili arbereshe si sganciano da Bisanzio e formano il principato di Arberia: primo stato federale albanese della storia! Da qui il nome di Albanesi. Questo popolo subirà molte invasioni e, prima fra tutte, quella dei Turchi. Questi dominatori usano metodi molto repressivi, il popolo albanese lotterà coraggiosamente, si costituirà come unico Stato centralizzato sotto la famiglia Kastrioti e da qui si formerà la bandiera nazionale albanese con l’aquila nera bicipite in campo rosso. L’impero ottomano travolge comunque gli Albanesi e questa occupazione è talmente violenta che distrugge le città, le opere d’arte. Gli Albanesi si rivoltano in diversi modi al dominio turco, ma non riusciranno ad abbatterlo definitivamente, perché l’impero ottomano sarà definitivamente sconfitto solo dopo la prima guerra mondiale. Il movimento indipendentista albanese riesce ad ottenere qualcosa solo dopo l’indebolimento della Turchia ad opera della Russia negli anni 1877-78. Nel 1877 si ha, infatti, l’apertura della scuola albanese e viene introdotto un alfabeto comune in tutto il paese. La vera e propria indipendenza dell’Albania si ottiene solo nel 1920. Ma all’interno del paese, nel 1924, si scatenano crisi continue tra democratici borghesi e latifondisti reazionari e sale al trono un governo progressista. Subito si ha una controrivoluzione e il governo democratico viene rovesciato, mentre Ahmet Zogu si fa eleggere, nel 1925, presidente della Repubblica e nel 1928 si proclama re con poteri dittatoriali. Nel periodo tra le due guerre l’Albania è sicuramente il paese più arretrato dell’Europa. La gente vive di agricoltura, c’è poca istruzione e la vita media arriva a 38 anni. Nel 1939 subisce un’altra occupazione: quella di Mussolini! Gli Albanesi si oppongono in modo eroico con lotte partigiane e si fonda così il Partito Comunista Albanese. Nel 1945 Enver Hoxha proclama la Repubblica Popolare di Albania. Hoxha vuole fare avanzare lo Stato costruendo un sistema di alleanze con i paesi amici. Si unisce alla Jugoslavia, poi all’URSS dopo il distacco della Jugoslavia dall’Unione Sovietica. Nel 1961 l’Albania rompe con l’URSS e si avvicina alla Repubblica Popolare Cinese. Esce dal Patto di Varsavia. Nel 1977-78 prende le distanze anche da Pechino. Hoxha usa un pugno di ferro e, sullo stampo dello stalinismo, abolisce la proprietà privata, limita la possibilità di professare una fede, crea bunker di cemento. Muore nel 1985 e da allora l’Albania si ribella alla cosiddetta “dittatura del proletariato”. Ad Oxha succede Ramiz Alia che fa riavvicinare l’Albania all’Occidente, ma con sanguinosi scontri con gli avversari ed eredi di Oxha. Nelle elezioni del ’91 questi ultimi conquistano una larga maggioranza parlamentare rendendo così difficoltosa la democratizzazione. A questo punto la parte più povera della popolazione prende la via dell’espatrio. Nel 1992 nuove elezioni portano al potere i democratici di Sali Berisha. Nel 1997, all’interno del paese, si ha un movimento insurrezionale e le elezioni vengono vinte dall’opposizione socialista guidata da Fatos Nano. Dal 1997 al 2005 si susseguono disordini, si ha l’afflusso dei profughi dal Kosovo e nel 2005 ritorna il Primo ministro Berisha. NELLE FIABE E NEI RACCONTI ALBANESI C’E’ IL CORAGGIO DI UN POPOLO Le fiabe e i racconti albanesi hanno probabilmente origine illirica e la materia è tratta da due grandi cicli: il ciclo delle montagne del nord e il ciclo degli Arbereshe. Sono antiche leggende e vicende storiche, sono anche ballate, rapsodie popolari. In pratica i temi trattati nei racconti risalgono al tempo dell’invasione dei Turchi e pongono in risalto le doti e il valore umano del popolo albanese. Le fiabe raccontano la vita degli eroi, di coloro che hanno combattuto in difesa del paese, un paese continuamente invaso. Cercherò di raccontare alcune storie, almeno quelle più importanti. Una è quella di Gjergi Elez Alia ed è anche una testimonianza dell’arte popolare albanese. La storia è questa: Elez Alia era un combattente, ma era malato e pieno di piaghe. Stava con la sorella che lo accudiva amorevolmente. Ad un certo punto giunse dal mare un principe nero, malvagio, conquistò la terra albanese. Il popolo - 35 - I l S alotto degli A utori dovette sacrificargli una fanciulla e un montone arrostito. Tutti avevano paura ed erano sottomessi. Giergj continuava a stare a letto malato. Arrivò il giorno in cui Alia doveva dare al principe nero il montone arrostito e la sorella. Quest’ultima intanto piangeva e pregava di morire. Alia si commosse pensando al dolore della ragazza, dimenticò le sue sofferenze e saltò in piedi come se non fosse malato, chiese alla sorella di dargli il suo cavallo bianco e lo fece ferrare. La ragazza ubbidì al fratello, ma quando andò nella città a ferrare il cavallo non trovò nessuno disposto ad aiutarla, perché la gente non si ricordava più di Alia. Alla fine riuscì a trovarne uno che ancora gli era rimasto amico e lo ringraziò. Al ritorno vide che il fratello era già pronto per difendere l’onore e per salvare la sorella, quindi era in grado di combattere il principe nero. I due si affrontarono in duello e sono significative le parole di Alia: “Dici bene o principe! Veramente da nove anni io sono sulla via della tomba, perché porto in corpo nove piaghe. Ma quando ancora non ero arrivato alla tomba tu mi hai richiamato indietro. Perché hai voluto mia sorella prima di affrontarmi in duello, hai voluto il bestiame senza chiederlo al pastore. Io sono venuto qui a mostrarti che cosa dice la legge dei nostri antenati: non abbandonare i tuoi beni prima di averli difesi con le armi in pugno, non dare le tue sorelle al principe nemico prima di averlo affrontato in duello: preparati principe, che è arrivato il tuo ultimo giorno! Parola di Gjergj Elez Alia!” (Fiabe e leggende albanesi, p.30) Alia riuscì a vincere il principe colpendolo con un dardo. Gli staccò la testa e l’appese nella parte superiore della sella, trascinò il tronco per i piedi lungo i campi tra cespugli e rovi per poi gettarlo in un burrone. “Il sangue del principe scorse per il torrente e annerì tutto il fiume. Per tre anni tutt’intorno si sentiva puzzo di cadavere” . Alia tornò a casa, affidò tutti i suoi averi ai suoi amici e poi andò dalla sorella, ma, nel momento dell’abbraccio, i due caddero a terra morti. Furono seppelliti insieme circondati da un muretto per significare il loro amore. Gli amici piantarono vicino alla tomba un bel tiglio dove sempre andavano a riposare gli uccelli d’estate. Alla fine rimane il ricordo di questo grande eroe e a raccontare la sua storia rimane la tomba. La fiaba termina con una frase significativa: “E il canto non muore mai” E’ come dire che gli eroi rimangono per l’eternità. Come si può notare, anche in questo caso i due protagonisti muoiono. Molte storie ricordano l’avanzata dei Turchi, in particolare ce n’è una: “Gjon Pretika”, eccola raccontata integralmente: “Di guerra in guerra i Turchi invasero l’Albania. E fecero di tutto: uccisero, rapirono, oppressero. Ma l’Albania si ribellò, con le armi in pugno. Allora i Turchi mandarono un grande esercito a domare l’insurrezione. L’esercito si fermò ai piedi di un alto monte, cantava una pastorella: Chi è tanto giovane e così bravo da prendere tra i monti la pastorella? Corsero molti soldati a prenderla, ma non la presero. Il più valoroso di tutti i soldati era Gjon Pretika. Egli salì veloce sulla montagna, vide la pastorella e la seguì di balza in balza. La pastorella fuggiva, Gjon la inseguiva. Alla fine il giovane la raggiunse e la prese. Gli piacque la bella pastorella della montagna e le disse: -O mia bella pastorella, io voglio sposarti! Rispose la pastorella: -Tu sei un nemico, non ti voglio! E sfuggì alla presa di Gjon e si diede alla fuga. Egli la raggiunse e l’afferrò per i capelli, arrabbiato, e la trascinò per terra. Allora la pastorella gli gridò: -Non prendermi per i capelli, infedele! Io non sono sola al mondo. Ho un fratello valoroso che non te la farà passare liscia. E Gjon: -E dov’è tuo fratello, che gli venga un accidente! - Non maledire infedele! Mio fratello è nell’esercito, perché lo hanno rapito i Turchi fin da bambino e lo hanno portato lontano. Sono passati quindici anni, ma mio fratello ritornerà. - Come si chiama tuo fratello? - Si chiama Gjon. Egli ha dei segni che lo distinguono da tutti: ha sei dita nelle mani e sei dita nei piedi. - Allora tu sei Fasile, sorella mia? - Si, sono io Gjon, fratello! - E tutti e due si abbracciarono e si baciarono come fratello e sorella. Da tanti anni non si vedevano… - Che cosa fa nostra madre, mia cara sorella? - La mamma è morta, caro fratello Gjon… - E cosa fa nostro padre, mia cara sorella? - Papà è stato ammazzato, caro fratello Gjon… E tutti e due morirono all’istante per il dolore e la commozione. …Lì dove cadde Gjon spuntò un melocotogno; lì dove cadde Fasile spuntò un melograno. E dal melocotogno sbocciarono i fiori di melocotogno; dal melograno i fiori di melograno….” (op.cit, p.168) Come si può notare nella prima storia, quella di Elia, uno dei temi ricorrenti è la figura del PRINCIPE che di solito è anche un saccheggiatore, mentre l’EROE si distingue sempre per la parola data ed è sempre difensore dell’onore. Altro aspetto importante è la descrizione della natura che a volte sembra personificarsi per avvicinarsi di più all’uomo. Le stelle, la luna, il faggio si rivestono di poesia e così pure i ritratti fisici e psicologici delle persone, degli eroi. Anche nella storia di Gjon, alla fine i due fratelli morti fanno spuntare qualcosa della natura, dei fiori, dei frutti. In queste fiabe non mancano le DONNE, anzi esse rivestono un ruolo di particolare importanza: sono madri, sorelle, innamorate. Tutte hanno una personalità contraddistinta dal senso della fedeltà alla famiglia, al padre, al fratello. Un esempio è il racconto “La giovane Omer” (op.cit.p.117) che presenteremo sul prossimo numero di questa rivista. - 36 - P rimavera 2008 RICORDANDO FISCHER di Claudio GIOVANARDI (Novara) Il 17 gennaio scorso è morto all’età di 64 anni Bobby Fischer, per molti il più grande e geniale campione di scacchi di sempre. Fu protagonista nel 1972 con il russo Spassky della sfida del secolo a Reykjavík dove conquistò, primo e unico americano nella storia, la corona del mondo di scacchi. Di Fischer non mi soffermerò in questo articolo a descriverne la vita, della quale sono a portata di tutti ampie cronache e curiosità nel vasto mondo di internet, ma per quelli come me che hanno vissuto la gioventù in quegli anni, la notizia della sua morte è di quelle eclatanti che rimbalzano come un tam tam. Fischer ha avuto il grande merito di aver fatto appassionare al gioco degli scacchi un’intera generazione e a me di aver coinvolto nella lettura di un intero scaffale di libri che tutt’oggi conservo, facendomi conoscere, in tempi ancora non sospetti di globalizzazione, il mondo variopinto e bizzarro che circonda il mondo degli scacchi e i suoi vari tornei. Si era allora in tempo di guerra fredda e lontani dal disincanto di oggi, ma gli eroi del mio circolo erano i campioni jugoslavi che ci venivano a sfidare e con le loro novità sul gioco ci proponevano i loro libri, per noi autentiche reliquie. E quanti libri ho divorato scritti in greco, inglese, russo: sì perché lo studio degli scacchi e la notazione di ogni loro partita è la sola cosa al mondo che può essere comprensibile a tutti e in tutte le lingue. Gli scacchi e la letteratura hanno molte cose in comune. Non solo perché i primi hanno nell’intelletto la propria palestra, ma anche perché Calliope ha sempre avuto un debole per la “nobile arte”. Jorge Luis Borges in una sua celebre poesia (“Ajedrez” dal volume l’Artefice) ne fa metafora della vita stessa. Io con una riconosciuta punta di presunzione (e di coraggio) vi propongo uno stralcio di una mia riflessione giovanile in risposta alla poesia sopra menzionata del grande scrittore argentino: Una passione severa ogni qualvolta mi avvicino alla scacchiera e che trepidazione muovere quei pezzi e urtare l’altra mente rivale in un braccio di ferro altrimenti impossibile. “Magici rigori” vi definì il poeta, lenti e gravi, paragonandovi al fato assurdo del creato (mettendovi forse catene che non avete) Dite a Borges le vostre vere sembianze: la donna superba e fiera in realtà è la salute: senza siam derelitti, claudicanti e disarmati. Stravagante, svelto, alato, il cavallo è la nostra gioventù: non vede ostacoli ma neppur lontano. Sogna e gli basta. L’ordinata torre è il lavoro. Nobilita ed accerchia il popolo,l’organizza e lo dispone in ordinate fila. L’alfiere sbieco è l’amore. Tagliente, Cieco, perduto. Batte solo in terra propria ed accecato vede solo ciò che l’amor gli consente. I pedoni, popolo in fenditoie, son le possibilità, la fortuna, il destino. Raramente indifferenti, come gli amici potrebbero aiutarti o tradirti. Il re ultimo, lento e tacito maestro, è la nostra vecchiaia: esperienza che da giovani s’ignora e si schiva, ma alla fine è l’unica cosa che resta. Scacchi. Intrepidi ed “adamantini”. Bianchi e neri. Dalla trama lunga, agonizzante, laboriosa, fatale o patta. Scaltrezza e fato dimorano in cuor vostro come a noi uomini le possibilità. Non v’ha scorto Borges perdendosi in divagazioni teologiche, perché ben più modesta è la realtà e i suoi dolori. Ammaliante, sbieca e incatenata come i pezzi lenti e gravi sulla spaziosa e angolata scacchiera. Saluto chi è riuscito a leggermi fin qui, ed auguro a Fischer di vincere la partita più importante, mentre lo immagino apparecchiare la scacchiera tra file di cherubini confabulanti. Il bianco e il nero ; la rosa bianca e la rosa rossa; il sole e la burrasca ; la sregolatezza e la maestria. Ghiotte le combinazioni aspettan le cupide e gravi geometrie per il palato arguto della ragione. Ma non v’hanno scorto Borges ed Unamuno nelle vostre vere sembianze? Affascinato dalle vostre geometrie v’ho incasellato in tante vicissitudini. Cupidi o meccanici? Siete veramente strumento dell’uomo come noi di Dio? - 37 - I l S alotto degli A utori LA SACRALITÀ DELLA VITA di Cinthia DE LUCA (Roma) Ho pensato di spendere poche parole per qualcosa in cui credo,cercando di dar voce a quanti,ormai una minoranza,ma non per questo degna di minor rispetto,credono ancora nella sacralità della vita in tutti i suoi aspetti,fin dal suo concepimento. Questa decisione è nata dalla riflessione che, in un mondo in cui tutto è lecito,in cui vige la libertà di espressione assoluta, anche in termini di “assoluta” trasgressività, spesso non si consente a noi pochi, ormai inevitabilmente considerati “diversi”, di seguire ed esprimere il proprio credo religioso e morale, difendendo la dignità umana e la sacralità della vita. E ritengo giusto far presente che anche questa è discriminazione, visto che di discriminazione non si vuol più sentir parlare, religiosa e sociale verso chi ha pienamente diritto di seguire le proprie convinzioni cattoliche. Mi trovo spesso a contatto con altri giovani, impegnati a combattere la discriminazione razziale o religiosa o la pena di morte nell’associazione “Difendiamo Caino” e certamente si tratta di tutte nobili iniziative, degne della massima considerazione e dell’appoggio di tutti, perché costituiscono baluardi di civiltà, ma proprio per questo trovo assurdo che nel momento in cui ci si trova a parlare di vita, di aborto, di dignità del malato grave, terminale, si verifichi spesso una sorta di discriminazione, e lo dico a costo di ripetermi,ma non c’è parola che esprima meglio questo concetto, nei confronti del cattolico, perché bigotto, anacronistico e fuori moda; il cattolico dà fastidio a molte coscienze e lo dico perché mi trovo io per prima a viverlo sulla mia pelle. Ed è qui, proprio qui l’assurda contraddizione di queste persone, difensori e fautori della libertà dell’oppresso, dello straniero, del detenuto,che poi emarginano chi è portatore di altre vedute esistenziali e morali, semplicemente diverse! La libertà religiosa e civile e la sua piena espressione deve essere garantita a tutti, in eguale misura, anche a chi, come me, crede che la vita vada difesa fin dall’inizio, dal suo apparire, poiché ogni vita è irripetibile e può sbocciare e fiorire in mille modi diversi, inaspettati ed ogni vita soppressa, magari da una madre ansiosa di liberarsi della propria “disattenzione”, è un essere tristemente reciso. E’ una vita che non sarà mai vissuta, un fiore calpestato, un seme gettato al vento. Vivo e studio in ambiente medico e posso assicurare che nessuna prova può escludere che quella scintilla di vita non sia già esplosa nel piccolo embrione fin dai primi giorni. E’ una piccola vita che si forma, in un miracolo unico ed irripetibile, che non sarà mai più, per tutta la storia dell’umanità. Noi non vedremo mai quegli occhi per le strade, non sapremo mai come sarebbe stato quel volto, quella voce, quei capelli, quel sorriso… E ancora una parola sugli embrioni già vitali, gettati via come rifiuti, nei quali la vita non si può negare, essendo già evidente e manifesta; come può una società che si definisce civile e che difende la vita di “Caino” stroncare un’esistenza non vissuta? Sono creature chiamate alla vita e alle quali la vita viene crudelmente rifiutata ed purtroppo c’è molta omertà riguardo a questo problema, soprattutto in ambiente medico, ma tacere significa diventare complice di questo sotterraneo infanticidio; quindi bisogna gridare e “gridare forte”. E allora, aiutiamo “Caino”, è giusto, ha diritto ad una seconda possibilità di vita, ma allo stesso modo è doveroso aiutare l’innocente, colui che non ha voce e che viene gettato via senza possibilità di appello, senza che di possibilità ne abbia avuta nemmeno una. Oggi appunto sono qui a dar voce a quell’innocente, insieme a tutti coloro che, come me, credono fermamente che anche l’innocenza sia vita ed abbia diritto ad aver voce. PREMIO INTERNAZIONALE CITTÀ DI POMIGLIANO D’ARCO Fondato dalla poetessa Tina PICCOLO Il premio si articola nelle seguenti sezioni: Poesia: si partecipa con una più liriche in lingua o vernacolo, di massimo 40 versi o una silloge di max. 10 liriche, in tre copie di cui una sola firmata e con i dati completi dell’autore. Narrativa: si partecipa con un libro edito dal 1990 a oggi, con una novella edita o con un dossier su tematiche varie, in tre copie. Fotografia: inviare una foto a tema libero con formato a scelta dell’autore. Pittura, scultura e grafica: opere da inviare solo in fotografia di formato idoneo per la corretta interpretazione. Non inviare originali. Inviare profilo biografico di max. 20 righe con dichiarazione autenticità opere, e dati completi. Quota di partecipazione: 30 euro per ogni opera presentata da versare con vaglia o in contanti. Inviare le opere partecipanti a: Tina Piccolo, Via Rossini 14 – 80038 Pomigliano d’Arco (NA) entro il 30 giugno 2008. I vincitori riceveranno comunicazione tremite invito. Premi: trofei, medaglioni d’argento, pergamene d’onore e medaglie artistiche. Premi speciali saranno consegnati ai giornalisti della stampa, della radio e televisione e alle personalità della cultura e medicina, dello spettacolo e politica. Per ulteriori informazioni: Tina Piccolo: 081.80.33.459 – Gennaro Battiloro: 339.411.41.01 - 38 - P rimavera 2008 LACAREZZADELLALUNA di Maria Cristina SACCHETTI (Riva di Chieri – TO) Notte torrida d’estate, distesa sul mio letto, senza veli, porgo i bianchi seni alla carezza della luna che, maliarda, si staglia nel vano della finestra spalancata, quasi a far cornice sul creato. Ariadna De [email protected] …EADESSO… di Carla SCOVERO LETO (Torino) Come un soffio di vento è passato il “tempo delle mele” e dei prati in flore che profumavano d’aurora e di desideri amorosi. Allora i nostri cuori palpitavano nell’ansia dell’incontro, e l’aria bruciava di sensazioni nuove, ed era dolce anche piangere d’amore. Abbiamo mietuto distese di grano maturo... Abbiamo calpestato sentieri spinosi e raccolto ceste d’ortiche e d’erbe amare.... Ma il Sole del nostro amore ci ha sempre accompagnati e lungo il tempo e il riciclar delle stagioni, con i suoi raggi dorati, ci ha scaldati. E adesso ... canne mosse dal vento e legate alla stessa radice, guardiamo al futuro prendendoci per mano. E ci teniamo stretti perché il domani faccia meno paura. DIALOGANDO CON UN’AMICA di Francesca LUZZIO (Palermo) Di afflati di sofferenze inaudite restano diffuse mollezze inaspettate. E’ l’effetto della gara con i lupi: conseguenza naturale di normale darwinismo sociale . Ali metto ai miei pensieri E percorro filigrana di giorni Consumati di tempo, giungo a notti d’anni verdi, a sguardi complici di stella, olezzo di resina montana, capelli scompigliati d’emozioni, promesse e giuramenti spudorati… Io, animale acquatico non raggiungerò come salmone il fiume. Non ho energia, né determinazione mi lascio andare non cambio colore e digerisco il mio corpo solo nell’attesa di finire. … un sospiro profondo Torno al presente, rientro nel corpo, sul letto disfatto. Eppure nel dolore si può nuotare, volare, attraverso la calda corrente ascensionale e poi……tendere la mano all’amica luna che sa ascoltare i brusii umani……… e insieme a lei girare e guardare l’inattesa, grande bolla che da terra sale. L’incantevole luna, la stessa di allora, tende i suoi raggi, lambisce il mio cuore. Poi ammicca e lentamente, nella notte, si dilegua oltre il muro. Primo premio conc. “Giovanni Casale” di Pralormo -TO ARCO diAlda FORTINI (Villongo – BG) Giorni assurdi nell’estate calda e afosa dove il richiamo degli uccelli è vago e sotto questa siepe un nuovo pomeriggio trascorre. E conto il silenzio avuto nelle lontane giornate dove si consumano i ricordi. Guardo il grano maturo nella distesa alta dove il papavero è sparso e la mia stagione traduce giorni alteni e certi sotto gli ulivi maturi. Lenta la sera scende e confusa da voci lontane giunge un passante con la bisaccia a tracolla e la fontana all’angolo zampilla acqua fresca. Lieto è il vento nella sera e corrono foglie accartocciate nel vento per il sentiero aperto e sotto l’arco di questa casa un nido di passeri alto. - 39 - Confluenza occasionale, di lacrime evaporate da diversi rivoli adunati: ciò che laggiù si perde, qui s’aduna. E’ un processo normale che non impedisce allo stivale di continuare a infangare gocce pure di acqua lustrale. E se anche per Ariosto fosse nata redentrice saggezza di primavera ? [email protected] I l S alotto degli A utori 27 gennaio: GIORNO DELLA MEMORIA ... per non ripetere con altri semiti Fulvio FERRERO (Torino) Due pagine dentro una scatola trovata in una cantina. Non conosco la bimba che scrisse e non so come il foglio a righe fosse capitato in quel luogo. Cercai tra le carte ma non trovai il seguito. E’ testimonianza della corruzione operata sull’animo dei bimbi e sappiamo cosa capitò in seguito. 13 marzo 1942 - Tema: “ Il fascismo e gli ebrei” Gli ebrei sono un popolo di razza non ariana disperso in tutto il mondo- Sono detti semiti, perché, secondo la denominazione biblica, appartengono alla stirpe discendente da Sem, figlio di Noè. Hanno sempre mantenuto i loro caratteri. Sono avidi di denaro, rapaci, usurai. Le loro caratteristiche fisiche sono: capelli neri e crespi; naso camuso, labbra pronunciate,estremità quasi sempre piatte, mani adunche. Essi non si sono mai fusi con le popolazioni dei paesi in cui dimorarono,godettero in Italia la più grande ospitalità e mirarono ad assicurarsi grandi posizioni. Pur essendo essi un numero molto inferiore al nostro,aspirarono sempre alla vita politica ed economica. Nonostante la generosità fascista verso gli ebrei,l’ebraismo si pose contro il fascismo,alleandosi ai popoli nemici,aiutando le congiure straniere ordite ai nostri danni. Essi, pur godendo di tutti i diritti dei cittadini italiani credettero di poter sfruttare la generosità fascista,e purtroppo riuscirono nel loro intento. S’impadronirono dei posti di comando, accaparrandosi le ricchezze nazionali. Essi , con tutti i mezzi,riuscirono ad entrare nella vita politica,sociale ed economica,nei campi dell’arte,della letteratura,della scienza,rappresentando così un grande pericolo per l’Italia di domani. E così che il nostro… DIO di Alessandrini CORRADO (Recanati) Eterno miracolo, silente Signore d’immenso universo, ove presente, passato, futuro si fondono. Signore di soli, d’astri infiniti, di cieli celesti, d’eterni scenari: perpetua poesia d’eterno silenzio d’amore ci mostri. Eterna onnipotenza visibile e invisibile entro perfette armonie d’universale mistero, purissima poesia dell’amore, Tu sei, del silenzio di miliardi d’astri; assoluto Signore di dissimili colori e profumi: eterna giovinezza d’antico mistero, sorriso infinito d’azzurri cieli, eterna, silente universale luce Tu sei d’incommensurabili spazi celesti, d’astri infiniti. Assoluto Signore d’acque d’oceani, di mari, di fiumi, di laghi che generose terre bagnano donando vita all’umana progenie. Onnipotente, invisibile, infinito mistero, a Te, noi mortali c’inchiniamo devoti, ubbidienti. - 40 - IL RESTO E’ SILENZIO di Mario DILUVIANI (Taibon – BL) Morte, sei forse un sonno sospeso nel nulla un sogno tra immagini scialbe d’incerti contorni? Possiedi o ti manca un senso del tempo fuggente tra impronte di vuoto? Oppure Amleto ha sciolto l’enigma: soltanto pregnante Silenzio? da Amleto - finale atto 5° P rimavera 2008 NARRATIVA I sogni non hanno stagioni Fosca Andraghetti Il pallone ha colpito il vetro con un tonfo leggero, poi è rotolato accanto a me che sto in terrazza nascosta tra vasi di fiori e lenzuola stese ad asciugare. Resto nel mio cantuccio, ad ascoltare i richiami dal cortile. “Lauri, Lauriii…” Fingo di non sentire. “Laura, butta il pallone per favore!” urla Michele “Lauri, oh Lauri, ti prego butta il pallone!” scimmiotta Alessandro. Li sento ridere, nonno e nipote, amici e complici. Scosto l’angolo di un lenzuolo e sbircio giù nel cortile: stanno ancora ridacchiando. Lancio la preziosa sfera, rifiuto di andare anch’io a tirare calci e proseguo a sistemare i vasi. Le punte dei petali di una rosa rossa ammiccano indolenti a raggi di sole. E’ primavera. E’ svanito il velo di nebbia acquosa, segno delle ultime brume invernali, che questa mattina velava uomini e cose. La rosa sembra sorridere, un po’ come gli occhi di Michele quando mi guardano. Nel cortile le voci si rincorrono gioiose, fra qualche ora riempiranno le stanze di questa casa, quella dove volevo vivere sola! “Puoi chiamarmi Ale!” Il pallone era rotolato sotto la panchina dove ero seduta. Il bambino stava in piedi davanti a me, sperduto in una maglietta di cotone troppo lunga e con i colori della squadra del cuore. Le efelidi del viso rispecchiavano il nocciola degli occhi e del ciuffo di capelli, leggermente sudato, che gli ricadeva sulla fronte. “E tu puoi chiamarmi Laura!” avevo ribattuto allungandogli la palla. “Fa lo stesso se ti chiamo Lauri? Mi piace di più!” Avevo annuito divertita. Michele era comparso alle sue spalle: lungo, magro e infilato in una tuta che doveva avere visto tempi migliori. Mi aveva guardato. Io avevo finto indifferenza, sorridendo al bambino che lo strattonava. “Dai, Michele, andiamo a giocare! Poi fa buio e dobbiamo tornare a casa! “Lei resta qui?” aveva chiesto l’uomo. “No! Riprendo la mia corsa!” Prima di salutarmi, Alessandro aveva dichiarato i suoi anni sistemando puntigliosamente le dita ad una ad una. Se ne erano andati, il nonno con l’andatura dinoccolata e il nipote che correva dondolando il sedere pieno. Era alto per i suoi cinque anni, ma il corpo aveva ancora le rotondità dei bambini piccoli. Avevo lasciato il parco quasi a malincuore. Improvvisamente mi ero accorta di quanto grande fosse la voglia di baci e abbracci. Del mio matrimonio finito troppo in fretta, rimpiangevo un figlio mai nato e i nipoti ormai cresciuti, anche se della zia avevano ormai un ricordo nebuloso. Michele lo rividi la sera stessa, davanti alla porta di casa mia, il dito incollato al campanello. “Prego?” avevo chiesto osservandolo curiosamente. Lui aveva allungato la mano, nascosta dietro la schiena, per porgermi un’azalea bianca. “C’è anche un biglietto!” aveva aggiunto. L’avevo aperto sospettosa. “Mi vorrebbe come amico? Non sono un bruto e abitiamo sullo stesso pianerottolo.” Ero scoppiata a ridere e lo avevo guardato negli occhi. Lui aveva tirato un sospiro di sollievo. Un’amicizia nata così, quasi per gioco. E quasi per gioco misi in discussione il mio stile di vita, la riservatezza che, nei molti anni vissuti in quel palazzo, mi aveva impedito di allacciare rapporti con i miei vicini di casa creandomi intorno, così mi disse in seguito Michele, un alone di mistero. Poco per volta riuscì a creare una crepa nella mia corazza facendomi sentire di nuovo vulnerabile. Mi raccontò della dolorosa arresa di sua moglie, volata via troppo in fretta. Assumeva, a volte, un tono querulo e con una punta di rancore verso un destino incomprensibile e inaccettabile. Avevo voglia di un amico e gli dissi della mia solitudine voluta. Mi spaventava anche solo l’idea di un nuovo compagno. Lui mi parlò di un’amica speciale con la quale aveva condiviso un dolore troppo grande per sopportarlo da solo e la rabbia contro il mondo intero. “Lei mi è stata vicina in un momento particolarmente difficile!” Avrei voluto essere io quella donna che, senza muovere un dito, sembrava avere un posto privilegiato nel suo cuore. Ribellandomi a quel desiderio, forse non troppo inconscio, di uscire dal mio isolamento, mi ero stretta nelle spalle dandomi della stupida per avere cullato un sogno in un’età in cui i sogni svaniscono soltanto. Poi ci fu un momento magico e quella che sembrava essere un’amicizia senza sbocchi, diventò qualcosa di molto più importante. “Lauri, il pallone!” Eccolo di nuovo! Mimo il gesto di tagliarlo con le forbici, poi rido e lo ributto giù. Michele mi avverte che suo figlio e la nuora arriveranno in ritardo per cena. Michele! E’ riuscito a stemprare la sua sofferenza, ha mandato in frantumi la mia corazza, mi fatto dono della sua famiglia. Ale è un bambino stupendo e mi regala quegli abbracci che mi mancavano tanto. Mi sono lasciata alle spalle paure e insicurezze radicate come gramigna. In un’età dove le donne per l’altro sesso diventano trasparenti, qualcuno mi ha vista, mi ha regalato tutto quanto potevo desiderare: tenerezza, affetto, comprensione, complicità, dialogo… E’ stato come rifiorire, un poco come le rose del mio balcone. Il bocciolo rosso si è piegato docile sotto la carezza del vento, il sole è diventato più coraggioso e l’aria più calda. Il cielo è azzurro come i sogni, quelli che non hanno stagioni e allora, perché non andare anch’io a tirare calci ad un pallone! La Casa di Maria Francesca Cherubini (Pg) Norma, abita al centro della città, tra due vie cittadine di notevole percorrenza. Il traffico è caotico. Ma lei è ugualmente immersa nel silenzio e può avere tutta la concentrazione che vuole perché, dopo aver salito i suoi quasi 103 gradini, tutti ripidi, si trova in cima ad un grande vecchio palazzo, lontana in tal modo da rumori e vocìi. La sua “ Casa” è quindi nella quiete e rappresenta il suo rifugio e in un certo senso, oseremmo dire, una “grande madre”. È “Casa” infatti che, quando Norma rientra affranta e stanca, la prende tra le enormi braccia e la culla. - 41 - I l S alotto degli A utori La culla a lungo finché tutti i brutti pensieri o le delusioni del giorno non fuggono via, impauriti da tanto amore materno. Norma è sola, veramente sola. Non ha nessuno. “La Casa” però veglia sullo stato umorale e di salute della ragazza. D’inverno, quando fuori nevica e sulla terra tira quel vento freddo di tempesta che punge gli occhi e le dita … Norma è al sicuro nelle viscere di “Casa” che la riscalda con le sue ampie e calde pareti … che la riparano dai venti maligni e irosi che fuori circolano con gran vociare. E se il caldo estivo preme troppo sui tetti della città, sui comignoli, sulle grondaie … e sghembi riquadri di sole violento riescono ad insinuarsi persino nelle viuzze strette ed alte … Norma sempre trova rifugio nella sua “Casa” che con la profondità dei suoi muri crea per lei frescura e sollievo. Norma vide per la prima volta “Casa” parecchi anni fa e si può dire che ne rimase subito folgorata tanto le piacque! Volle quindi trasferircisi immediatamente. Occorre dire comunque che fu amore a prima vista “reciproco”! Perché anche Norma piacque molto alla “Casa”. La ragazza era delicata e sensibile … lei e “la Casa” avevano gusti molto simili. Se Norma si sedeva ad ascoltare gli amati Chopin, Rachmaninoff, Stravinskij … anche “la Casa” si metteva quieta e rimaneva rapita nell’ascolto. Norma leggeva poesie e novelle a voce alta … e “Casa” commossa ascoltava partecipante. Tutte le case hanno un’anima, certo! Questo ognuno lo sa! Ma la Casa di “via della Cometa” ne aveva una così sensibile e poetica che si legava perfettamente con quella di Norma !!! Nelle serate di Plenilunio, la ragazza si affacciava dall’altezza del suo ultimo piano, apriva le finestre che si inargentavano di colpo ed insieme a “Casa”, anima contro anima, si metteva a rimirare cotanto spettacolo. In lontananza la fontanella dei giardinetti pubblici, non più sopraffatta dal rumore dei vari Autobus e auto private, cantava con la sua voce di cristallo liberamente nella notte, mentre grappoli di piccioni dormivano sopra i bordi alti delle persiane delle soffitte, situate sotto gli spioventi del tetto. Se Norma cantava ed era allegra, anche “Casa” sembrava animarsi e ridere a cuore spiegato con lei, come potrebbe fare una buona madre. Sempre si crea questa simbiosi tra la casa e le persone che la abitano, ma il “feeling” creatosi tra la ragazza e la sua “Casa” era qualcosa di più, poiché si estrinsecava in una perfetta intesa su tutto e in un profondo affetto filial-materno. Così il sodalizio tra l’anima sola e solitaria di Norma e quella protettiva e materna della sua “Casa” durò per più di 15 anni !!! Ma un giorno … non di Aironi … ma di neri Corvi … giunse la ferale notizia !!! Norma, dopo una assenza di qualche giorno, tornava con la sua valigetta ad abbracciare “Casa” che nel frattempo le aveva custodito con cura affettuosa tutti gli oggetti e le cose a cui la ragazza tanto teneva. Si aprì con lentezza la porta della signora del piano sottostante … e con viso spettrale e voce incolore comunicò con terribili suoni: “ Lo sa? Hanno mandato un avviso a tutti gli inquilini !!! Vendono lo stabile, ogni appartamento. Ci danno lo sfratto per finita locazione! Come faremo? Io sono vecchia e stanca e qui ho le mie abitudini!” disse con voce che le morì in gola. Norma sentì un pugnale calarsi con forza nella parte alta del petto … Si sentiva pallidissima … il sangue era fuggito dalle sue vene … Tentò una risposta che non venne. Salutò velocemente e corse, corse … su per le scale rimaste …, corse a gettarsi nelle braccia della sua “Casa”! “Casa mia, casa mia, ti portano via da me!” singhiozzava forte … “Casa” era in un canto … anche la sua anima piangeva … piangeva silenziosamente. Per un momento sembrò volesse dire qualcosa alla disperata ragazza, anzi Norma era quasi sicura di aver percepito per un poco la voce di “Casa”, calda e buona. Ma poi non vi fu altro. Solo dolore e lacrime da parte di entrambe. Poi Norma si fece coraggio cominciò a preparare tutte le sue cose, a riporle in scatoloni, a sigillarli. E tutto questo sotto l’occhio silenzioso e triste di “Casa”, tutto di fronte alla sua anima ammutolita! Certo “Casa” cercò di cullarla ancora altre volte per alleviarle il dolore e Norma le fu grata di questo … ma nulla era come prima. Ora l’ombra spettrale dell’Addio … premeva con forza sulle loro anime. Sapevano che avrebbero dovuto lasciarsi per sempre … ed era come morire ogni giorno un poco, sapendo di morire. Norma preparò tutti i suoi pacchi, chiamò la “Ditta Trasporti”, guardò una, dieci, cinquanta volte ancora “Casa” che era sempre più triste e più avvolta nell’aria di “Abbandono”… sguarnita, vuota, dilaniata, povera e sola… e l’amò più di prima … e “Casa” questo amore lo sentì. Era stato detto a Norma … :”Dopo aver effettuato il trasloco, lei il giorno 7 alle ore 10 tornerà qui per consegnare le chiavi al nuovo proprietario definitivamente!!!” E lei si assoggettò alle regole. Con viso tèrreo traslocò. E il giorno 7 alle ore 10 si trovò nuovamente lì per consegnare le chiavi. Anzi, no, Norma arrivò un’ora prima perché volle rientrare quando ancora non c’era nessuno, nelle braccia della sua “Casa”. Aprì il portoncino d’entrata e … “Casa” era lì ad attenderla fedele … Povera, sguarnita, ferita in più parti dai traslocatori, disadorna con fili pendenti da tutte le pareti, cartacce in ogni dove … ma era ancora lì ad attendere Norma!!! Girò, rigirò e ancora girò in tutte le stanze la ragazza, guardandole una dopo l’altra. E poi d’accapo come ad imprimerle per sempre nella mente. “Casa” sorrideva un poco. Poi giunse l’ora fatidica dell’ultimo addio. Con le lacrime agli occhi Norma si diresse verso il portoncino. Uscì. Se lo richiuse alle spalle. Ora non le rimaneva che riconsegnare le chiavi. Mancavano 5 minuti. Loro arrivarono puntuali: il nuovo padrone, la moglie, l’avvocato, il geometra. “Noi siamo giunti. Eccoci. Le ha portate le chiavi?” “Certamente. Tutte le copie”. “Bene apriamo” Il nuovo padrone infilò la chiave nella toppa ma questa si inceppò e la porta non si aprì. Provò allora il geometra. Nulla accadde. Quindi l’avvocato. Ancora niente. Infine la moglie del nuovo padrone. Tutto fermo. “Ma è sicura che siano le chiavi giuste? Non si sarà sbagliata?” “Non è possibile!” Intervenne la signora del piano di sotto che sentendo trambusto era venuta a vedere “Non è possibile! La signorina Norma è entrata poco fa, l’ho sentita io!” “Sì è vero, sono entrata per rivedere la Casa” confessò Norma a testa bassa. “Sarà come lei dice, ma qui il portoncino non si apre. Non si vuole aprire. Ci abbiamo provato tutti! Ci provi anche lei allora che dice di esserci entrata. Ci provi!” - 42 - P rimavera 2008 Così Norma si avvicinò e provò anche lei. La “Casa” non si aprì neanche a lei. Norma provò e riprovò. La porta rimase bloccata. Allora Norma capì. La “Casa” non apriva a lei perché non era sola, ma in compagnia di volgari acquirenti che non l’amavano. Fu chiamato di corsa un fabbro che giunse con una borsa di arnesi tremendi tra cui la famigerata fiamma ossidrica. E dopo mezz’ora di fiamma e duro lavoro, lacerò la serratura e la porta cedette. Si spalancò sotto la spinta dei nuovi acquirenti frementi e ansiosi che entrarono a grappolo. Anche Norma sbirciò dentro! Tutto vuoto!!! Dio mio!! “L’Anima della Casa” era fuggita!!! Fuggita!!! Erano rimaste solo pareti: vuote … orride … livide … nere!!! Norma prese tristemente il Tram e sotto la pioggia che si confondeva alle lacrime giunse alla nuova abitazione. Girò la chiave ed entrò e vide subito la luce! “L’Anima della Casa” era lì ad attenderla sorridente per prenderla ancora tra le sue braccia materne! Norma allora felice si gettò al collo di “Casa” che l’avvolse amorevolmente con le enormi braccia … E Norma si lasciò cullare, cullare … cullare tutta la notte. La pazzia del vecchio Susino favola di Edda Conte (Pisa) Non sempre l’età si accompagna alla saggezza. Il merlo la sapeva lunga. Lui che svernava in quella zona ne conosceva tutti i lati positivi e anche quelli negativi. A una giornata di vento gelido poteva seguire una settimana di sole, a un periodo di pioggia si alternavano coppie di giornate in cui il capriccioso libeccio spazzava il cielo dalle nubi e le strade dalle cartacce. Ma poi anche il vento pazzo lasciava tutto come aveva trovato e.... l’inverno rimaneva inverno come ogni altra cosa che deve seguire l’ordine stabilito dalla Natura. Tutte queste cose sapeva il merlo, e non si lasciava certo ingannare dai rami fioriti di un susino impazzito. -Pazzo- gli disse infatti, mentre gli volava sopra -ti brucerai alla prima gelata e comprometterai tutti i tuoi frutti.Il susino non gli rispose, perché non aveva bisogno di imparare la lezione dal merlo. Aveva vissuto a lungo, conosceva bene i sintomi della primavera e sapeva che ora non era tempo di primavera. Di fatto tutti gli alberi dormivano con le gemme ben strette intorno alla punta dei rami. Ma l’erba del prato era di un bel verde, e gli uccelli saltavano numerosi tra i pini. Il sole aveva poche ore di vita ma il suo tepore era così piacevole. Tutte tentazioni per il vecchio susino, il quale cominciò a fremere d’impazienza. Il mondo era bello anche in Dicembre e lui voleva vivere, non voleva sottostare alle regole comuni. Tanti mesi di sonno gli sembravano la morte. Conosceva la tristezza della morte; bastava pensare alla sorte di tutti quei fiori che riempivano il prato nel mese di Maggio. Orgogliosi delle loro corolle colorate si esponevano al sole abbandonandosi alla carezza dei venti e al ristoro della notte. Dopo uno ne sbocciava subito un altro, e poi un altro, tutti figli di una stessa pianticella, soddisfatti di un naturale avvicendamento, paghi di andarsene nel vento quando i petali troppo maturi si facevano leggeri e si staccavano uno a uno. Era un piacere assistere al continuo rinnovarsi di tanti colori e di tante forme; per il vecchio susino era la vita stessa che godeva del suo trionfo, e lui godeva con lei. Ma poi veniva Luglio, il sole si avvicinava troppo alle tenere corolle, la terra si induriva intorno alle piccole radici, la notte troppo breve e afosa non ce la faceva a rinfrescare il prato. Subito una nuova alba era a ridosso, i raggi del sole arrivavano già carichi di calore, e come frecce di fuoco colpivano tutto ciò che incontravano nel momento dell’impatto con la terra. Lui, col suo tronco annoso e la folta chioma, resisteva bene, mentre il prato moriva giorno dopo giorno e di tutti i fiori colorati presto non rimaneva che il ricordo. Questo significava morire. Ma in fondo che differenza c’era tra il morire in estate e il morire in inverno? Quando l’alba grigia e fredda illuminava i rami stecchiti, non era forse l’immagine della morte? Il susino era tanto vecchio e non aveva più voglia di aspettare il momento del risveglio obbligato. Mise fuori timidamente un fiorellino bianco, gonfiò le gemme di un ramo più alto, salutò il sole di Dicembre con tono di confidenza. Il sole accettò il saluto e ricambiò. Per qualche giorno il sodalizio andò avanti senza scosse. Il vecchio susino si coprì di fiori sulla chioma, che ora si allargava con tante braccia felici; i fiori piccoli, bianchi, teneri, gli ridavano l’illusione della giovinezza. Ogni giorno si specchiava in un cielo pallido ma amico, ogni giorno gustava la gioia della trasgressione. Era consapevole di rubare qualcosa che non gli spettava e ne gustava tutto il sapore come di cosa mai provata. Dalla cima del monte il vento di tramontana aprì l’occhio gelido, nemico. Vide l’accordo tra il susino e il sole e si sentì offeso di tanta audacia. Chi credeva di essere quell’albero pazzo, che osava sovvertire le sacre leggi dell’inverno e minacciare il suo trono? Si gonfiò d’ira e andò in cerca di aiuto presso i collaboratori. Quella chioma fiorita non piacque a nessuno e a turno tutti si scatenarono contro il povero susino. Non fu difficile per il Vento la Pioggia e il Gelo distruggere in una sola notte tanto ardimento. L’albero, indebolito dall’età e dallo sforzo recente e inconsueto, fu presto fuori combattimento. Avvenne così che il nuovo giorno lo trovò spoglio e umiliato. Nudo, rinsecchito e mutilato di molti suoi rami il susino ora sembrava davvero morto. Lo vide il solito merlo che era intento a cercare i vermi nelle vicinanze. Scosse il becco con aria di disprezzo e fece il suo commento che suonò come la voce del malaugurio: il vecchio pazzo ha voluto fare il canto del cigno. Il tesoro di Faustina di Leila Gambaruto (Chieri) Tommaso detto “Mezzo cric” faceva il ladro di professione, perché proveniva da una famiglia di ladri, ben nota alla malavita ed alle forze dell’ordine. Sfortunatamente per lui, non era tagliato per quel mestiere e benché affermasse con profonda convinzione di essere un dritto perseguitato dalla sfortuna, scippatori, borsaioli e piccoli truffatori, lo snobbavano, rifiutando di lavorare con lui, perché lo consideravano soltanto una mezza tacca. Soltanto ad un balordo del suo stampo poteva venire in mente di rapinare una stazione di servizio da solo, agitando una pistola giocattolo sotto il naso del gestore che stava sistemando un pesante cric, con il risultato che l’altro gli aveva sgranato i denti e rotto il naso con un preciso e ben assestato - 43 - I l S alotto degli A utori colpo sul muso, prima di consegnarlo, svenuto e grondante sangue, ad una sollecita pattuglia di carabinieri. Insieme al naso storto e i denti rifatti pagati da Mary, la sua ardente amichetta, a Tommaso era rimasto l’infame soprannome di “Mezzo cric” che gli bruciava più della botta ricevuta, perché lo marchiava di velleitaria imbecillità. Figuriamoci, improvvisare una rapina, lui che non riusciva nemmeno a rubacchiare nei supermercati! Per sua fortuna, Tommaso non era rimasto molto al fresco, perché una provvidenziale amnistia lo aveva scodellato in strada molto prima della scadenza della pena. Non appena libero, il ragazzo, niente affatto redento, ma completamente al verde, aveva ripreso la sua losca attività, ripromettendosi di andarci più cauto con i prossimi colpi e sognando un grande colpo in banca, che lo avrebbe arricchito e riabilitato tra i balordi. Un giorno, mentre si aggirava con aria indifferente tra le bancarelle di un mercatino, adocchiando la merce esposta, Tommaso ripensò ad una certa signora Faustina, cliente occasionale dell’emporio dove la sua Mary lavorava come addetta alle pulizie. Una domenica pomeriggio, dopo una bollente seduta di sesso sfrenato, che li aveva lasciati sazi e sfiniti a riprendere fiato sotto le coperte, Mary gli aveva parlato, ridendo, della vedova Faustina, una eccentrica vecchietta che aveva paura di tutto e non appena calava il crepuscolo si barricava in casa, rifiutando di aprire a chiunque. Ne sapevano qualcosa i commessi che venivano di tanto in tanto a casa sua per consegnarle le bottiglie di acqua minerale frizzante e dovevano fare in modo di passare con il sole, perché se c’era poco luce (e in inverno il buio calava presto) lei non apriva più e lasciava tutto davanti alla porta fino al mattino successivo, salvo poi lamentarsi vivacemente con il padrone dell’emporio. Alcuni contadini che passavano vicino a casa sua per andare a lavorare nelle vigne, l’avevano vista all’alba, cauta come una cospiratrice, trascinare dentro con grandi sforzi dei pesanti scatoloni lasciati lì il giorno prima, lamentandosi e brontolando ad alta voce. La vedova Faustina viveva come un’eremita in una vecchia cascina isolata tra le vigne, curando il suo orticello ed allevando galline. Per un certo tempo aveva abitato con lei una sorella, zitellina stagionata che le rassomigliava molto, ma dopo qualche mese di convivenza burrascosa, la donna se n’era tornata in città e Faustina era rimasta sola nel suo guscio. Nessuno veniva mai a trovarla, né lei si preoccupava troppo di rendersi simpatica o di cercarsi amicizie. Se ne stava per conto suo e passava tutto il suo tempo a pregare. Era estremamente religiosa. I soliti contadini l’avevano sentita sgranare ad alta voce tutto il rosario mentre stendeva in cortile la sua biancheria, immacolata e fuori moda. Altre volte era stata notata in ginocchio davanti ad una cappelleria, mentre pregava i santi e la Madonna col fervore di una novizia. Tommaso, riflettendo sulla faccenda, giunse ad una conclusione semplice e cinica: se la vecchia percepiva una pensione e non spendeva nulla, doveva per forze tenere i soldi in casa, dal momento che non frequentava le banche. Quanto poteva esserci in quella casa? Nella fantasia di Tommaso, l’entità del malloppo incominciò a lievitare ogni volta che ci ripensava e la vecchia, bislacca signora Faustina prese ad ossessionare i sogni di Tommaso trasformandosi in una seducente fata benefica, vestita di zecchini d’oro e di gemme preziose. Tommaso si procurò un saggio vestito usato, grigio topo, un po’ abbondante, ed una consunta borsa di pelle, che riempì di vecchi giornali. Dopodichè, sfoderando un’aria professionale, severa, ma cortese ed efficiente, suonò alla porta della vedova Faustina, dopo essersi assicurato che non ci fosse nessuno nelle vicinanze. Alla vecchia, che stava facendo le pulizie ed odorava di candeggina, Tommaso si presentò come un ispettore inviato dal “Dipartimento provinciale di controllo delle pratiche pensionistiche”. Disse che erano state rilevate delle irregolarità nell’erogazione della sua pensione e che era necessario controllare tutti i soldi che le erano stati versati. La signora Faustina lo fissò, diffidente, socchiudendo le palpebre grinzose. Delle irregolarità nei pagamenti? Che genere di irregolarità? Tommaso assunse l’espressione un po’ altezzosa e passabilmente annoiata dei funzionario che non ha tempo da perdere. A quanto pareva, c’erano stati degli errori nei conteggi della sua pensione, per cui le erano state pagate delle somme inferiori al dovuto. Lui era stato mandato apposta dal suo dipartimento per rimediare. Ma, era necessario parlarne sulla porta? Doveva esaminare le banconote e non aveva tempo da perdere. La donna non pareva troppo convinta. Era veramente un ispettore? Gli pareva troppo giovane. Chiese di vedere un tesserino di riconoscimento. Tommaso s’impettì, stringendo con aria offesa la sua borsa di cuoio. Certo che aveva un documento qualificativo (aveva notato che i paroloni difficili impressionavano sempre le persone semplici) ed era pronto ad esibirlo. Fece il vago gesto di aprire la borsa, ma si fermò lì ed aggiunse seccamente che se non voleva riceverlo in casa, avrebbe dovuto passare lei alla sede centrale, in città, entro una settimana. “Va bene” disse la vecchia “Vado a prendere la mia pensione, ma lei aspetti qui, fuori dalla porta.” “Signora, cerchiamo di fare in fretta!” gridò Tommaso “Io ho altre pratiche da espletare.” La signora Faustina entrò in casa, lasciando la porta socchiusa ed incominciò a salire, ciabattando, una ripida rampa di scale. Tommaso aspettò che la padrona di casa fosse in cima alla rampa, poi sgusciò dentro, furtivo come un topo e s’infilò nella cucina. La piccola stanza era modesta, ma pulita ed ordinatissima, tutta odorosa di sapone di Marsiglia. Tommaso sapeva per esperienza che spesso la gente tiene del denaro nel buffet ed aprì cautamente i cassetti del mobile, ma trovò solo vecchi sacchetti di plastica accuratamente ripiegati e cartacce inutili. Rovistò un po’ in giro, ritornò nell’ingresso, provò ad aprire un’altra porta che era chiusa a chiave. Stava per salire al piano di sopra, quando si fermò, allarmato, perché la vecchia stava parlando ad alta voce con un’altra donna dalla voce querula. Ma, non era sola in casa? La sua solita sfortuna! Sentì che discutevano di un ispettore. Tese l’orecchio:parlavano di lui. “Cosa devo fare?” chiedeva la signora Faustina, tutta affannata “Quell’ispettore....è qui che aspetta fuori dalla porta, ma io non posso...” “Mandalo via! Mandalo via!” insisteva l’altra “Non deve entrare in casa! Guai se scopre che tutti i nostri soldi sono....” e il resto della frase si perse in un mormorio sommesso. Tommaso drizzò le orecchie, tutto interessato, sforzandosi di seguire la discussione. Captò soltanto brandelli di frasi “ ..migliaia e migliaia di euro...ma, sei stupida? Non devi assolutamente....” Dunque il suo intuito non l’aveva ingannato. In quella casa c’era qualcosa di sostanzioso da arraffare. “Signora, io sto - 44 - P rimavera 2008 aspettando!” gridò ad alta voce “Guardi che non posso restare qui tutto il giorno.” E mentre parlava, con due agili balzi fu in cima alle scale. Un acre odore di conegrina e disinfettante lo prese alla gola, mentre si dirigeva verso una linda stanzetta in penombra, lasciata con la porta socchiusa. La signora Faustina era lì, e si torceva le mani, mentre dialogava affannosamente con.... “Signora” disse in fretta Tommaso “vogliamo sbrigarci a...”, ma solo in quel momento realizzò, stupefatto ed inorridito, che cosa c’era nel letto e la frase gli morì in gola, trasformandosi in un urlo stridulo, che si spense in una specie di guaito. Soffocando un conato di vomito, Tommaso lasciò cadere la sua borsa piena di giornali e si voltò di scatto per correre fuori, ma commise l’errore fatale di voltare la schiena alla signora Faustina che, con un’agilità ed una ferocia inaspettata, lo colpì e gli fracassò il cranio con un’ascia che teneva nascosta accanto al letto. Poi, mentre Tommaso sussultava ancora sul pavimento, negli ultimi spasimi dell’agonia, la signora Faustina tornò verso il letto, incominciò a ripulirsi dagli schizzi di sangue ed accarezzò con affetto il teschio che giaceva sul cuscino bianco, ben stirato. “Hai visto?” disse gentilmente allo scheletro “Sono stata brava. Quell’ispettore non ci darà più fastidio.” Poi assunse un’espressione remota, come raggelata e quando parlò la sua voce era diversa, flebile e stridula, come quella di una vecchia bambina petulante. “Mi hai sporcata tutta di sangue” si lamentò “Adesso dovrai lavarmi, ma non con la conegrina, come fai sempre. Puzza, te l’ho detto tante volte. Non la voglio più.” Il dialogo demenziale proseguì, tra le chiazze di sangue e di materia cerebrale. “Ti lamenti sempre, sei incontentabile, peggio della mamma. Anche lei trovava da ridire su tutto quello che facevo e mi gridava dietro dal mattino alla sera. Gridava come una matta, eppure io ho sempre cercato di accontentarla...” “Ma poi l’hai ammazzata con un ferro da stiro! Non ti ricordi più? Il processo, lo scandalo.. .io e papà abbiamo dovuto trasferirci ed io mi facevo chiamare col cognome della mamma, perché mi vergognavo.” “Ero malata” “Hai anche buttato il gatto dalla finestra” “Ero malata, ti dico. Non sapevo quello che facevo” “Ma l’hai buttato giù dal quinto piano” “Perché stavo proprio male, ma adesso sono guarita, l’hanno detto anche i medici. Da quando sono stata dimessa non sento più le voci dei santi e non vedo più l’arcangelo Gabriele sul terrazzo. Sono perfettamente normale, mia cara Luisa, dovresti essere contenta.” “E non chiamarmi Luisa, quella sei tu, io sono Faustina. Tu mi hai soffocata con un cuscino e ti fai passare per me, per riscuotere la mia pensione. Io te l’ho sempre detto che prima o poi qualcuno si sarebbe insospettito. Hai visto? Hanno mandato quell’ispettore a controllare, con una scusa. Pensa se ci avessero scoperte.” “E chi ha avuto la buona idea dì nascondere un’ascia vicino al letto per difendersi dai malintenzionati? Tu te ne stai lì distesa a puzzare sotto le lenzuola. Non è che mi aiuti molto! Devo fare tutto da sola.” “Ma io sono uno scheletro e tu sei un’ingrata, perché ti avevo preso a vivere con me, quando ero rimasta vedova e tu anziché ringraziarmi, mi ha ammazzata” “Non volevo soffocarti, Faustina, lo giuro, volevo solo farti tacere. Quella notte tu continuavi a tossire e tossire... non mi hai lasciato chiudere occhio ed io avevo un mal di testa tremendo, così mi sono saltati i nervi. Ma, poi ho rimediato. Adesso mi occupo io di te, provvedo a tutto e prego ogni giorno, prego moltissimo per la tua anima, per mamma e papa ed anche per il gatto. Veramente i gatti non avrebbero un’anima, ma l’altra notte ho sognato S.Antonio da Padova che mi ha detto.....” “Luisa, Luisa, non divagare. Cosa ne facciamo dell’ispettore? Non vorrai metterlo nel mio letto, spero! Io sono una donna seria e questo estraneo con me....” “Non preoccuparti, Faustina, ci ho già pensato. Lo sistemerò subito in cantina, nel congelatore, poi verrò a lavarti bene ed a ripulire la stanza come si deve.” “E poi?” “Niente, starà lì. Ma d’ora in avanti pregherò anche per lui. Pregherò tutti i giorni, perché riposi in santa pace.” Incipit del romanzo “Desiderata” di Grazia Fassio Surace Mi manca nulla, senz’altro sarei felice se ogni notte non la sognassi, quella manina che si tende, che m’invoca, dalla buca profonda, e tutto intorno è fango, e io vorrei aiutare chi la protende, ma sono paralizzata, vorrei muovermi, ma non mi muovo, non posso muovermi: ed ecco che vedo solo più le ditina, e poi niente, è sparita, precipitata nel baratro, e anche a me allora pare di precipitare da un’altezza infinita, e mi manca il fiato come per un tonfo, come se precipitassi davvero, e mi desto sudata, angosciata, e urlo, e mio marito, come sempre, mi deve consolare, ma rassegnato, non domanda più nulla, mi stringe solamente a sé, e ripete le parole ormai logore: “Non piangere, stella mia, è solo un sogno …. ci sono io, vicino a te, e ti amo…” Confortata dalla sua voce, mi sveglio alla realtà e a poco a poco mi calmo, ma l’angoscia è sempre in me, ed è così quasi ogni notte, non vorrei venisse mai, la notte. E allora penso: “Dio mio, perché devo soffrire, che cosa ho fatto, perché mi castighi così…” Ma purtroppo lo so il perché, lo so … Nacqui di primavera, non sotto il solito cavolo ma, come una regina, in un’aiuola di rose, e non mi punsi nemmeno. Quando mi raccolsero i miei genitori impazzirono di gioia. Raccontano che fossi talmente bella da apparire irreale. Sulla testolina la lanuggine dorata era chiara da sembrare argento, e gli occhi splendevano come stelle azzurre. Mio padre che mi aveva attesa tanto (ero la prima figlia ed aveva quarant’anni) volle chiamarmi Desiderata. Appena nata, già si diceva ch’ero stata baciata dalla fortuna. La casa bianca sulle pendici della collina era un tripudio di fiori e di sole. La culla di legno, vecchia di generazioni, venne dipinta di rosa e rivestita con tendine di organza ricamate con nodi d’amore. Mio padre attendeva tutto il giorno il momento di rientrare a casa. Avevo circa un anno. La mamma aveva cucito dei legacci ad un grosso cuscino Lui lo legava sotto il sedere, poi si accovacciava in terra, mi prendeva in braccio e ci trascinavamo sul pavimento imitan- - 45 - I l S alotto degli A utori do il verso del treno. lo lanciavo piccoli strilli di gioia. Adoravo mio padre, tanto quanto lui adorava me. Potevo avere due anni, e già ero esperta nell’arte di mandarlo in visibilio. “Sei il papà più bello del mondo “ tubavo, accarezzandolo. E guai se qualcuno osava sostenere il contrario! Questo è quanto mi narrava la mamma quando, ancora bambina, seduta sul suo grembo, le domandavo: “Mamma, ti prego, raccontami di quand’ero piccina piccina ...” E tanto adoravo sentirla favoleggiare sulla minuscola Desiderata raccolta in un’aiuola di rose profumate, che mi facevo ripetere spesso la storia così che, alla fine, a forza di sentirla e di immedesimarmi in essa, mi pareva che tutto fosse frutto di una mia reminiscenza, i primi vagiti tra i fiori, le manine festose protese oltre il bordo di organza della culla rosa, i giochi con papà, quasi che, prodigiosamente, la memoria potesse arrivare fino al momento in cui avevo visto la luce, e neppure mi sfiorava il pensiero che le scene che mi apparivano nitide altro non fossero che il risultato del racconto ripetuto e della mia immaginazione. Leonardo di Guido Bava (Biella) Anni ed anni trascorsi nei cantieri edili di mezza Italia, mi hanno permesso di conoscere, oltre a molte particolari sottigliezze relative al lavoro, molti uomini con i quali ho trascorso le mie ore più belle ed interessanti. Ho detto mezza Italia e non credo di aver esagerato Infatti Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana e Lazio rappresentano territorialmente proprio metà Italia. Quindi, oltre al suddetto invidiabile bagaglio di nozioni tecniche, ho raccolto innumerevoli dati storici, artistici e umani che si sono aggiunti alle centinaia di schede su località piemontesi, tradotte in parte sui tre volumi di Piemonte in Flash. Ma dicevo degli uomini che ho conosciuto, ed anche aiutato quando ne ho avuto la possibilità, uomini come quelli del “cantiere dei miracoli” dei quali ho già detto in altra parte del testo. Centinaia di visi, di figure che mi appaiono come fantasmi quando il pensiero ricorre ai luoghi, ai tempi e se di alcuni ricordo a malapena i nomi, di quasi tutti ricordo la iniziale diffidenza nei miei confronti che si stemperava, in poco tempo con affezione e confidenza. Centinaia di storie di difficoltà enormi, di famiglie divise, di fame, di povertà, di sogni irrealizzabili, ma anche di amicizie importanti, di collaborazione, di successi. Storie tutte uguali, raccontate durante la pausa pranzo che, spesso e per mia scelta, dividevo con loro, momenti brevi ma intensi all’uscita a fine giornata con un caffè o un bicchiere nel bar più vicino….. Leonardo lo conobbi così mentre, attorno al grande tavolaccio venivano consumati i pasti contenuti nelle gavette riempite a casa e riscaldate in una grande vasca di lamiera riempita di acqua e posta su un fuoco di fortuna. Notai Leonardo perché non aveva gavetta ma toglieva un grosso pane casereccio da un sacchetto e, dallo stesso, prelevava poi dei peperoncini che usava da companatico. Vidi quella scena per diversi giorni durante i quali seguii l’operaio anche durante le ore di lavoro notando che era abbastanza esperto come addetto ai lavori più pesanti e dotato di una particolare allegria. Credo che la mia amicizia con quel pugliese doc, sia nata così accettan- do di buon grado le sue battute che, peraltro, ricambiavo con altrettanto salaci mie. E poi si arrivò agli spagnolini che, secondo il mio parere avrebbero finito col procurargli un’ulcera con i fiocchi e riuscii a fargli cambiare abitudini e gli regalai la gavetta uguale a quella degli altri. Amicizia era fatta e, nei momenti liberi. o nelle pause del lavoro, conobbi la storia della sua vita dal piccolo paese natio, all’emigrazione in Germania, al ritorno al paese con la speranza di trovare un lavoro e poi Torino con la valigia di fibra, i pochi soldi rimasti e nuove speranze. Ora aveva moglie e figlio, anzi due figli anche se il più grande era figlio di primo letto della madre e portava un altro cognome. Aveva trovato da affittare una cadente cascina alle porte di Torino e vi aveva portato moglie e figli, nelle ore libere dal lavoro, aveva preparato un orto e allevava conigli e galline ovaiole. Il figlio suo aveva superato la poliomielite ma trascinava una gamba inoltre aveva un carattere chiuso e rifuggiva la compagnia di altri ragazzi proprio per quel suo handicap. Passava ore e ore in casa a scarabocchiare ed era il cruccio del padre che era riuscito a sistemare l’altro presso una lavanderia della zona. Regalai al minore Paolo, una macchina da scrivere acquistata al Monte di Pietà e, con ciò divenni amico del ragazzo e di casa. La gratitudine di quelle persone era incredibile, mi riempivano la casa di polli, di uova, di verdure di ogni tipo e non riuscivo a dir loro di smettere o di diminuire le portate perché si sarebbero offesi. Per evitare problemi in casa mia, riuscii a trovare un compromesso e, il sabato a mezzogiorno, accettavo spesso un invito a pranzo da loro. Nella zona, operavano due società calcistiche dilettantistiche delle quali, una nota e importante e, l’altra, in embrione, che si avvaleva del terreno dell’Oratorio e stava preparando un campo vero e proprio in un terreno dell’Acquedotto Municipale. Noi, come lavoro, stavamo rifacendo il Monte di Pietà e portavamo alla discarica vecchi mobili,lastroni di pietra e di cemento, scaffalature di ferro, vetri e serramenti e, un sabato pomeriggio, Leonardo mi accompagnò al “campo” dove fervevano i lavori. Compresi il motivo senza che nessuno me lo chiedesse e, da quel giorno, molti autocarri di recuperi presero la strada del campo dove divennero, in breve, piazzole per il bar, il bar stesso, panchine, attrezzature per gli spogliatoi e, ciò che non servì direttamente, fu venduto in zona e se ne usò il ricavato. A mie spese feci costruire i servizi dell’Oratorio. Leonardo era felice perché vantava la sua amicizia che aveva reso possibile tutto quello e, quando fui eletto alla presidenza, affidai a Leonardo e famiglia la gestione del bar. Paolo, dapprima un po’ riottoso, finì col diventare amico di tutti i ragazzi delle squadre e sia lui che gli altri si dimenticarono della sua gamba matta. I lavori del Monte di Pietà terminarono ed io ebbi nuove destinazioni che, però, mi permettevano di tornare ogni sabato al campo e, qualche volta, pranzavo da Leonardo. La cascina ora era una bella casa colonica (parecchi autocarri avevano scaricato anche nella sua aia) e Leonardo l’aveva acquistata con un mutuo pagato dai figli che avevano entrambi trovato lavoro in zona mentre, Leonardo si occupava della casa, dell’orto e degli allevamenti. Paolo aveva messo gli occhi su una calabrese e si muoveva sotto scorta dei fratelli di lei tra le battute degli amici e ciò fino a quando si sposarono. Leonardo non era più il manovalaccio dei primi tempi , ma un’altra persona meglio vestita e, come parecchi meridionali piemontesizzati, anche un po’ critico nei confronti di nuovi immigrati cosa che io, bonariamente, gli rimproveravo; una cosa soltanto era rimasta tale dai primi tempi della nostra conoscenza, gli spagnolini, quei maledetti peperoncini - 46 - P rimavera 2008 di Caienna che finirono col “bucargli” lo stomaco portandolo alla morte. Ricordo le sue ultime parole durante la mia ultima visita in ospedale: “Avevi ragione. Geo, ti ricordi al cantiere quando mi dicevi che mi avrebbero bucato lo stomaco……E proprio adesso che ce l’avevamo fatta e che potevo invecchiare tranquillo….” Mi ricordo che riuscii a sorridergli nonostante sentissi una grande voglia di piangere, gli strinsi le mani callose e lo lasciai a morire, povero amico mio….. Fratellino robot e altri sogni di Eugenio Borra Invecchiando perdono consistenza e si affievoliscono perfino i sette doni dello Spirito Santo, cioè sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, temperanza, scienza e timor di Dio. Quest’ultimo dono almeno in senso religioso dovrebbe crescere: con l’età si avvicina il giorno del Suo Giudizio. Gli altri doni diminuiscono. Come la salute, la resistenza alle malattie, la forza fisica e la capacità di sognare ad occhi aperti. Nel caso mio resta invariata solo la capacità di sognare dormendo. Lamento incubi molto frequenti. A volte mi fanno svegliare, a volte dopo un momentaneo sollievo riprendono dal punto dove il risveglio li aveva interrotti. Quasi sempre sogno fuori del tempo attuale, come non avessi tutti questi anni. A volte cerco un lavoro, creo un’attività in proprio, addirittura faccio delle invenzioni. Una l’ho trovata bell’e fatta. Fatta non so da chi, ma reale e parlante. L’ho vista prima di cartone e piatta, poi in tre dimensioni e animata. Come parlava chiaro e assennatamente! Si rivolgeva al bimbo di tre o quattro anni che mi guardava con l’aria di dire: “Ma non è mica un bambino vero!” Poi non era più un robot e mi abbracciava e intanto cresceva, mi stringeva, diventava un giovanetto o una ragazza, non ne capivo il sesso. Nell’incertezza se andare avanti o no, ecco il risveglio; forse temevo di baciare uno omosessuale. Resta l’idea per un’invenzione: il fratellino o sorellina robot, che parla, ride, risponde ai ragionamenti infantili con tanta infantile saggezza. * * * Da quando mi delizia il mio unico nipotino, ritorna un sogno che è anche un’invenzione. Giochiamo ad un gioco che lo diverte molto. La forza di gravità fa da molla e da batteria. Ad un metro e mezzo di altezza si trova un imbuto dove si mette una biglia, che scende lungo un tubo quasi orizzontale detto galleria fino a uscire fuori e compiere un giro veloce prima di saltare dentro un condotto, percorso il quale passa in una seconda galleria. Mentre la percorre, accende varie lucine, fa cantare un usignolo e prima di cadere in una scodella grida “Aiuto!” Dentro la scodella compie vari giri dovuti allo slancio della caduta obliqua. Poi dal fondo forato della scodella da cui esce, la biglia balza in un condotto trasparente e la si vede fare due giri fino a ricadere sul pavimento ai piedi del punto donde era partita. Ci gioco nel sogno ma non mi decido mai per una realizzazione, magari limitata alle parti più facili. * * * Dormendo partecipo anche a qualche gioco televisivo. Uno in particolare mi interessa ricostruire, estraendolo dalle nebbie del sogno. Lo chiamerei DUE CONTRO TUTTI oppure VINCI COI REBUS e ne rivendico qui stesso il ©. Ogni giorno sono messi in palio centomila euro affidati a due concorrente che li difendono. Chi fa domanda per partecipare si rende disponibile anche per rispondere al telefono in diretta e dare da casa la soluzione, che i due concorrenti non avessero fornito esatta. Il tempo a disposizione è sempre di un minuto primo. I due sfidanti vedono dimezzare il gruzzolo quando: a) sbagliano una delle domande a raffica; b) non fanno in tempo a risolvere il cruciverba durante l’intervallo pubblicitario con ospite; c) non risolvono i due rebus finali proposti; d) il chiamato a casa non riesce a difendere la loro vittoria. Un terzo concorrente gioca a nome di tutti. Gioca solo contro due, ma si avvale dell’aiuto telefonico. Lui stesso compone un numero (dei sette ricevuti) per recuperare i cinquantamila euro persi dalla coppia che non ha risposto bene. Ove il chiamato risolva il quesito, egli dovrà a sua volta superare tre scogli. O gli va bene e dovrà difendere il malloppo in cabina insieme ai due, o gli va male e riceverà due milioni di vecchie lire, come premio di consolazione da spartire con il chiamato. Comunque termini la prima fase, si passa ai cruciverba da risolvere durante l’intervista con esibizione di un ospite - cantante, scrittore, attore - accompagnata immancabilmente da uno stacco pubblicitario. In cabina entrano i due con un terzo uomo, che difende i suoi cinquantamila ovvero concorre alla metà della cifra in mano ai due concorrenti iniziali. Anche qui si danno diversi casi. Risolve per primo uno dei due? Se ne va il terzo con il premio di consolazione. Risolve per primo il terzo uomo? Mantiene la sua cifra o cattura metà di quella dei due. Al gioco dei rebus partecipa sempre un terzo uomo con i due concorrenti iniziali. Anche qui si danno casi diversi e conta chi per primo risolve entrambi i rebus, che possono anche rimanere irrisolti, sicché non resta altro che il premio di consolazione. Questo però può venir raddoppiato da casa. La cifra eventualmente rimasta in possesso dei due o del terzo va invece difesa, affrontando una nuova raffica di domande con possibile chiamata di un utente a casa, che potrà riceverne una parte. Partecipando di persona o al telefono, si vince comunque un milione di vecchie lire. Un gioco inesistente, dunque, che ha il pregio di coinvolgere le persone a casa. Io l’ho inventato dormendo, ma non ho vinto mai niente. Anzi una volta che non c’era il presentatore, ma soltanto il Comitato, questo mi ha posto una domanda facile cui non mi veniva da rispondere. Per la vergogna volevo scappare. Scalzo e in mutande, facevo ridere il pubblico. La pubblicità – che cordialmente detesto – mi ha salvato dall’essere trasmesso in eurovisione... * * * Incubi. Fanno soffrire. Il più penoso m’è capitato di recente. Aspettavamo il pullman le mie bambine, il primogenito ed io. Arriva tutto pieno e i tre bambini salgono su. Io che non credo di poter entrare gli faccio segno di no, mentre un signore spingendo si preme nella calca. L’autista ritiene il mio no diretto a lui, chiude la porta e parte. Mi metto le mani nei capelli! Che fare? Correre dietro non posso. Mi affretto verso la fermata seguente. Spero che il più grande che va già a scuola scenda e mi aspetti con le sorelline. Ma l’angoscia aumenta, mi ricordo che mi manca il fiato e questo mi sveglia. Che sollievo! Sono già grandi e adulti, hanno tutti la macchina. Un incubo ricorrente riguarda le assicurate. Più o meno uguale mi si è presentato parecchie volte nel tempo. Lavoravo alle Poste, nell’Ufficio Estero Posta aerea che smaltiva lettere, cartoline, stampe e raccomandate dal Piemonte per tutto il mondo, nonché le assicurate da tutta Italia per la Francia, il Regno - 47 - I l S alotto degli A utori Unito e l’Irlanda. Da giugno a settembre le assicurate lievitavano perché alcune banche spedivano franchi e sterline cambiati dai turisti in lire. Io temevo una rapina ed ho pure sognato – per una volta sola credo – di aver opposto resistenza e messo in fuga due banditi, uno che puntava la pistola e l’altro che stava ficcando le assicurate in un sacco. Con uno scatto felino gli faccio cadere l’arma e quello fugge. I colleghi tolgono il sacco all’altro e anche quello scappa. “Dobbiamo inseguirli!” Grido. Però il capo mi dice di lasciar perdere. Di questi sogni il più brutto e ricorrente mi fa star male. Ho finito il lavoro. Assicurate e raccomandate sono già nei sacchi piombati, ma allo spunto me ne manca una. Le vedo descritte con numero, provenienza, destinazione, valore in franchi oro. Sono costernato e assillato. Presto dovremo consegnare i dispacci: l’ambulante Torino – Modane deve partire in orario. I colleghi mi guardano di brutto. Io già mi preparo a rispondere al giudice: “Non l’ho rubata io. Non so che fine ha fatto”. Nel sogno mi dico: la coscienza ce l’ho pulita. Per fortuna c’è Dio che è buono, giusto e sa tutto. Al giudice terreno potrò dire: “Le sembro così furbo da perdere il posto di lavoro per una misera assicurata?” Tuttavia spesso l’angoscia mi sveglia, penso: meno male, sono in pensione, non è mai successo e non potrà succedere mai. Mi riaddormento tranquillo e, dannazione, quello riprende dal punto dove s’era interrotto! Quattro donne di Franco Calandrini -Breve raccolta di racconti Perché il tempo è poco, e l’acqua si sta alzando (Raymond Carver) grire e tenermi un po’ in forma. E invece in casa, a fare da madre, da casalinga, da amica, da mucca, da schiava. “L’ho scelto io”, m’ha detto, e mi sa che ha anche ragione. Bella scelta! Ho le tette che ormai non so più come tenerle, la pancia molle e gonfia, le gambe che ormai sono diventate una riserva permanente di grasso e cellulite, il sedere ormai un sacco da pugile buttato in un angolo. E sento che tra un po’ andrò anche in menopausa. Mi dice che sono ormai quindici anni che mi tradisce. Ma Cristo santo, perché non me l’ha detto quindici anni fa? Quindici anni fa ero ancora una bella donna, avrei potuto rifarmi una vita con chiunque, anche con i miei tre figli. E invece viene fuori tutto adesso, e non per qualche rigurgito di coscienza, no, solo perché il poveretto - poveretto sì, perché in nessun altro modo saprei battezzare un essere capace di una simile meschinità - è stato talmente stronzo e anche vanesio, direi, da farsi trovare con le mani… con le mani nel sacco, diciamo - non voglio scendere al suo livello - sennò per chissà quanto ancora sarebbe andato avanti. “Perché - gli ho chiesto - ma perché?”. Lui si è alzato dalla poltrona, è andato in sala, ha acceso la TV, con tutta calma ha cercato un portacenere di fortuna, di solito una delle due tazzine dove ha gustato il caffè che amorevolmente sorseggiamo assieme dopo cena, si è acceso la sigaretta, m’è venuto incontro e m’ha detto, nel modo più distaccato e crudele possibile: “Ma ti sei vista?”. Non potevo credere che sarebbe stato capace di dire una cosa simile. Se mi son vista? Cristo che mi son vista! E mi sono vista trasformare negli anni, anno dopo anno, figlio dopo figlio e non è stato un gran bello spettacolo. “E adesso?” gli chiedo. “Capisci che non possiamo più stare assieme come se non fosse successo niente”. “Quindi?”, fa lui. “Quindi dobbiamo almeno dirlo ai ragazzi”, gli dico io. “Dobbiamo?”, risponde impassibile, come se gli avessi chiesto di comunicare loro e di renderli partecipi di una piccola ammaccatura riportata in un parcheggio. “Tu devi, se proprio ci tieni. Tu devi dirlo ai ragazzi. Per me non è cambiato niente, sono quindici anni che vivo così e a loro, e nemmeno a te, non ho mai fatto mancare niente. E tu adesso vorresti rovinare tutto per....per... per cosa? No, se vuoi sfasciare tutto fallo con le tue mani, dillo tu ai ragazzi. Dillo tu che per un semplice infantile moto d’orgoglio sei disposta a buttare tutto quello che abbiamo costruito”. Ad un certo punto mi sono perfino chiesta se non fosse impazzito tutto d’un tratto. Chi era quello strano uomo, appesantito dagli anni e da una vita stracolma d’agi, con le mani e i denti gialli perennemente e irreversibilmente segnati dalla nicotina, il taglio di capelli alla moda, vestito in modo così ridicolo, da ragazzino, quel frutto acerbo marcito sull’albero che adesso si era messo in mente di tagliarmi pezzo per pezzo? “Pensi sia stato semplice per me? Stare con una donna che ormai non somiglia nemmeno più ad una donna e fare tutto di nascosto per tentare di salvare le apparenze e la famiglia? Pensi davvero sia stato semplice?” Io non so cosa possa portare un uomo ad essere così cattivo, non so dove abbia trovato la forza per umiliarmi fino a questo punto, certo è che una donna non sarebbe mai capace di fare e di dire una cosa simile. Ma cosa potevo aspettarmi? Li vedo ovunque questi cinquantenni, sessantenni, morti dentro, che per sentirsi vivi devono succhiare la vita alle ragazzine di turno. Li vedo, li vedevo ovunque, solo pensavo che non sarebbe successo anche a me. Una volta ci amava- NON SERVE NESSUN TALENTO Quando l’ho visto palpare il culo a quella troia che avrà avuto sì e no vent’anni, non c’ho più visto. Comunque non è solo per questo che ho perso il controllo e ho fatto quello che ho fatto. Anche per questo, ma non solo. Mi è sembrato di fare un favore all’umanità. Ma chi siamo noi? Qual è la regola, la legge divina che legittima, che sancisce, che giustifica che un uomo, arrivato a cinquant’ anni, gli stessi che ho io, possa avere ancora il diritto di sfregarsi addosso ad una ragazzina che potrebbe essere sua figlia? Anzi, peggio, nostra figlia ha cinque anni in più. Come si sono garantiti, gli uomini, questo diritto, questo privilegio, questo... questo... questa... questa vigliaccata, insomma? Mi sono fatta in quattro per cercare di tenere in piedi questo straccio di famiglia, gli ho dato tre figli - per me uno era già più che sufficiente - tre sì, perché lui “li ama i bambini”, e anche le bambine vedo; “i bambini sono tutta la mia vita” diceva. E io lì, meschina, a fingere di provare ancora chissà cosa, ad impegnarmi anche, a convincermi, a mettercela tutta insomma, anche quando ormai non era rimasto nemmeno più un briciolo di passione. Un figlio ogni tre anni, è così che è andata, è così che mi sono devastata in modo irreversibile. Avrei voluto - avrei dovuto, lo so - anche lavorare per uscire dall’effetto chioccia che mi ha sottratta alla vita per quasi vent’anni - gli stessi della schifosa - senza contare gli altri sprecati - sprecati sì, dato il risultato - per cercare di dima- 48 - P rimavera 2008 mo, pensavo saremmo invecchiati assieme. Ma attente voi, state attente, tra un po’ inizierà a cadervi il seno, il vostro sedere e il vostro ventre non saranno più tesi come la pelle di un tamburo e allora il vostro grand’uomo, che vi ha promesso chissà quali mondi e chissà quale vita magnifica, vi sostituirà con un pezzo di carne più giovane e se non siete riuscite a capitalizzare quel pezzo di strada fatta assieme vi troverete nella fogna ancor prima di avere capito cosa stava succedendo. E allora, care bambine, un consiglio - perché nonostante tutto ho più considerazione di voi che di lui, che di loro -: rifiutate i suoi soldi, non vi fate pagare cene o viaggi, date un bel segno di solidità, d’autonomia, in modo che quando vi regalerà un brillante da migliaia d’euro o v’intesterà una casa sembri un favore che voi fate al poveretto. Siate scaltre perché quel periodo potrebbe durare molto meno di quanto immaginate. Perché non serve nessuna abilità particolare per essere giovani, non serve nessuna capacità, nessun talento. Lo siamo state tutte. ...continua Giorgio di Tavcar Giovanni (Trieste) Giorgio si svegliò verso le nove, quella mattina, con un profondo senso di soddisfazione. Aveva dormito bene, saporitamente. Si stirò con energia, fremendo dal sottile piacere che l’operazione gli procurava. Poi si mise in ascolto. Il leggero tambureggiare sui vetri della finestra lo avvisò che fuori stava piovendo. Non si rabbuiò, come era solito fare in simili circostanze. Per quanto sintonizzasse l’udito, non percepì nessun altro rumore. L’appartamento era silenzioso come un convento di clausura. La moglie era andata al lavoro, dopo aver accompagnato i figli a scuola. Lui non si era accorto di niente. Rimase per alcuni minuti in balia di quell’insolito e rasserenante silenzio, che non aveva certo modo di esplicarsi spesso, in quella casa, abitata da tre ragazzi molto svegli e talvolta scatenati. Un fuori programma piacevole e distensivo, da godere fino in fondo. Annodò le mani dietro alla nuca e posò lo sguardo sul soffitto che non aveva ancora terminato di imbiancare. Un confine slabbrato, proprio sopra alla sua testa, delimitava il giallastro biancore del fondo vecchio dalla fresca e luminosa patina della vernice nuova. Lo assalì perentoria la voglia di rimettersi al lavoro ( non amava le cose incompiute ), ma si ricordò che aveva qualcosa di più importante da fare. Volgendosi verso la parete alla sua sinistra si trovò ad accarezzare con lo sguardo il bel mobile a vetri che aveva disegnato lui stesso e le centinaia di dischi che vi erano contenuti, riposti con ordine e cura meticolosa. Provò un vivo piacere nell’immaginare la caterva di voci, umane e strumentali, che riposavano nelle infinite pieghe dei tenui e delicati solchi. Si sentì come un privilegiato custode di preziose reliquie. Un bronzeo medaglione, che aveva acquistato anni fa a Vienna, tratteggiava con delicate e sapienti volute Johann Strauss junior, emblema stesso della Vienna musicale, che gli sorrideva con familiare arguzia sotto l’arcuata prominenza dei famosi baffi. Un Pierrot di ceramica languiva in un angolino, immerso nel suo triste destino di malinconico pagliaccio. Nell’aria vagava un dolce tepore che lo illanguidiva. Sarebbe rimasto volentieri a letto, a vagabondare con i suoi pensieri. Il richiamo di un preciso dovere lo richiamò però ener- gicamente alla realtà. Doveva scrivere. Doveva approfittare di quella mattinata piena di tranquillità e di pace per continuare il suo romanzo, che incominciava appena ora, dopo quasi tre anni di lavoro, ad assumere una forma definitiva. Il piacere di scrivere lo scosse con forza e lo fece letteralmente balzare dal letto. Indossò la vestaglia blu, la sua preferita, e si recò in bagno a farsi la barba. Quel rito quotidiano lo aiutava a rilassarsi e gli procurava un gran senso di freschezza e di benessere fisico. Poi andò in cucina. Il caffè che sua moglie gli aveva preparato era ancora tiepido. Non perse tempo a riscaldarlo, ma lo sorseggiò davanti alla grande porta-vetrata. Il cielo era plumbeo e una fitta pioggierellina stava scendendo con ostinata insistenza. Consultò il barometro: non prometteva nulla di buono. Il piacevole tepore che regnava in casa lo consolò dell’umida atmosfera grigiastra che permeava l’ambiente esterno. Tornò nella stanza da letto, riassettò con cura il letto, vi stese sopra il copriletto marrone, appoggiò accuratamente il cuscino sulla testata e si coricò, semiseduto, permeato da un vago senso di lievitante voluttà. Aveva l’abitudine, fin dagli anni dell’infanzia, di leggere, scrivere e studiare a letto. In quella posizione, semiseduto, si sentiva fisicamente rilassato e la concentrazione mentale ne risultava molto avvantaggiata. Poi, con il passare degli anni, aveva preso l’abitudine anche di ascoltare a letto; aveva perciò sistemato il suo sofisticato impianto stereofonico proprio sul mobile che conteneva l’ampia raccolta di dischi. La radio l’aveva invece sistemata dietro di lui, sul ripiano della testata. Andava a sedersi alla scrivania solo quando doveva copiare qualcosa a macchina. Prima di iniziare a scrivere lesse un breve racconto dai “ Sillabari “ di Goffredo Parise. Gli serviva per entrare nel clima giusto, per colorare l’atmosfera, per spronare la fantasia. Terminata la lettura prese il quaderno degli appunti e la penna. Sfogliò le ultime pagine che aveva abbozzato qualche giorno prima e riportò così alla memoria frasi e situazioni. Poi si concentrò. Una volta, quando non scriveva ancora, era convinto dell’esistenza dell’ispirazione. Poi, però, con l’andare del tempo, si era accorto che per scrivere occorrevano soprattutto ordine e applicazione. L’ispirazione veniva, sì, ogni tanto, ma quando pareva a lei. Guai però ad aspettarla passivamante. Avrebbe corso il rischio di non scrivere nulla. Bisognava invece applicarsi, giorno dopo giorno, con tenacia e insistita volontà. Talvolta la penna rimaneva inoperosa per minuti, per ore. Talaltra invece le pagine si riempivano con appagante scorrevolezza. Giorgio comprese subito che quella mattinata sarebbe stata fruttuosa. Si sentiva in felice equilibrio. I pensieri ruotavano leggeri, gli incastri tra immagini e parole si armonizzavano con fluidità, la fantasia scoppiettava con allegra effervescenza. Ogni tanto alzava lo sguardo dalla pagina, la penna sostava a mezz’aria, mentre la mente tentava di modellare un’immagine non ancora del tutto sbozzata. Lavorò così per buone due ore, senza apprezzabili interruzioni, che non fossero solo delle brevi pause di riflessione e di concentrazione. Riusciva a seguire il trascorrere del tempo dal numero delle pagine scritte. Sapeva ormai per lunga esperienza che tre pagine del suo abituale quaderno equivalevano a una pagina dattiloscritta e che in media quattro pagine di appunti, quando la fantasia lo sorreggeva, volevano - 49 - I l S alotto degli A utori dire all’incirca un’ora di lavoro. Questa volta aveva oltrepassato la media abituale di quasi il doppio. Ci volevano del resto anche questi momenti di grazia, per compensare le tante giornate improduttive e vuote. Ancora teso nel pensiero, si alzò, e andò a controllare in cucina l’ora sul grande orologio appeso in alto, sulla parete frontale. Mancava un quarto a mezzogiorno. A mezzogiorno e mezza doveva recarsi a scuola a recuperare i ragazzi. “ Troppo poco tempo “ pensò “ per concentrarmi di nuovo e troppo per incominciare a vestirmi. “ Rintracciò nella dispensa un succo di frutta, che sorbì con assorta partecipazione. Sbirciando dalla finestra catturò lo sguardo una ragazza, sul poggiolo della casa di fronte, sposina da poco, tutta intenta a cercare qualcosa nell’armadietto di metallo biancolaccato. Il suo abigliamento consisteva in una canottiera leggera e in un paio di calzoncini sportivi, corti e aderenti. Giorgò rabbrividì a quella vista. Il termomemtro esterno mostrava sei gradi. La osservò per qualche momento. Dovette riconoscere che era piuttosto bene in carne e discretamente bellina. Notò pure che le finestre della camera da letto e la porta del soggiorno erano del tutto spalancate. Si trovò a considerare che non avrebbe potuto mai vivere con un pinguino, anche se formoso e grazioso. Tornò lentamente nella stanza da letto e si abbandonò al piacevole tepore dell’ambiente, che la vista della ragazza-pinguino aveva pericolosamente incrinato. Si distese di nuovo sul letto. Dal cassetto prese le poesie del Cardarelli. Aveva migliaia di libri nella sua ricca biblioteca. I pochi libri che però veramente amava, li teneva sempre a portata di mano. La raccolta poetica del Cardarelli era uno di questi. Un piccolo vangelo poetico che non si stancava mai di consultare, di sviscerare, di assaporare. Gli offriva immagini sempre nuove e spunti originali che riuscivano a innestare infallibilmente le spolette della sua fantasia più intima e profonda. Lesse ad alta voce alcune poesie, lentamente, sillabando verso dopo verso, assaporando le pastose e turgide immagini, le fresche e originali combinazioni, le lapidarie intuizioni, ritmando la fluida costruzione musicale interna che tanto doveva alla grande lezione del Leopardi. Sulle ali dell’entusiasmo per quei mirabili versi che davano cromatico rilievo pittorico ai suoi sentimenti, cercò di limare l’abbozzo di una sua poesia che giaceva in embrione da mesi nel suo quaderno di appunti. La densa e originale ispirazione del Cardarelli finì però per sbiancare ulteriormente il già debole abbozzo. Un segnale interno lo avvisò che era ormai giunta l’ora di prepararsi. La sua giornata personale era terminata. L’aveva usata bene, perchè aveva realizzato ciò che si era prefissato. In pace con sè stesso e con il mondo, si vestì in fretta e si preparò a subire l’umida e fastidiosa carezza che la pioggia gli avrebbe inevitabilmente elargito. La grotta segreta di Santi Zagami (Torino) Giorgio, Edoardo e Federica erano tre fratelli e insieme, esplorando il folto del bosco, avevano scoperto, in un anfratto, una caverna che chiamarono “la nostra segreta”. Lì si rifugiavano sovente e si confidavano i loro sogni. La “tana”, piena di mistero per le date e gli scritti incisi sulle pareti, destava viva curiosità nei tre ragazzi, che facevano mille congetture pensando persino a creature strane come, ad esempio, ai folletti del bosco, o a esseri misteriosi che volevano lasciare traccia di sé. Pensarono pure a persone amanti della natura e che nella “tana” avevano voluto, con la scrittura sulle pareti, soltanto richiamare l’attenzione sul loro passaggio, come gli extraterrestri, e su questo argomento fecero mille congetture: quali motivi li avevano spinti a rifugiarsi in una caverna, a bivaccarvi e a scrivere sulle pareti frasi che, già da sole, erano piene di mistero. Decisero quindi di parlarne al nonno, che conosceva quei luoghi e certamente era in condizione di chiarire ogni cosa. Il nonno era molto aperto e loquace e, quando i tre ragazzi avevano bisogno di chiarimenti, correvano da lui, che era sempre a loro disposizione per qualsiasi spiegazione. Scoperta la “tana”, i ragazzi furono quindi portati a mettere al corrente il nonno della loro scoperta, ma egli aveva già intuito tutto. Fu Giorgio, il più grandicello, a suggerire di rivelare al vegliardo la loro scoperta e allorché si presentarono a lui, egli, con un sorriso sulle labbra, disse che aveva già capito la natura del loro segreto, che era felice di vedere che si erano decisi a parlargliene e spiegò che la “tana” egli l’aveva scoperta già molti anni prima, ai tempi della sua gioventù e in circostanze particolari perché in tempo di guerra, per rifugiarsi durante i rastrellamenti. Quindi la tana era stata un sicuro rifugio durante le retate che i tedeschi facevano contro i partigiani. I ragazzi vollero sapere molte cose sul mistero della “tana” e il nonno cominciò a raccontare la sua vita di allora, in quel riparo che si rivelò prezioso per lui e per i comandati partigiani. “La guerra divampava e la “tana” fu un buon nascondiglio per me e per i miei compagni e ci salvò nei rastrellamenti sulle montagne fatti dai nazisti”. “Allora tu, nonno, - disse Federica - conoscevi tutti i partigiani?” “Tutti no, ne conoscevo i capi e uno in particolare: il suo nome era Walter ed aveva frequentato l’Istituto Magistrale “Domenico Berti” di Torino, dove ci conoscemmo e diventammo amici. Con lui, sovente, andavo a passeggiare a Torino sotto il duplice filare dei tigli di corso Racconigi. Walter fu promosso a pieni voti e, nell’attesa di essere chiamato al servizio militare, egli vinse un concorso delle Ferrovie dello Stato, posto che poi dovette lasciare perché chiamato a frequentare il Corso di Allievi Ufficiali di complemento e ne uscì con il grado di sottotenente. Indi fu assegnato al suo Reggimento, che era in zona di guerra in Albania dove, però, le truppe italiane e tedesche subirono una disfatta. Walter fu incaricato dal suo comandante di portare in salvo la bandiera di combattimento del Reggimento per non farla cadere in mani nemiche. Egli attraversò il mare a bordo di un peschereccio, portando così a compimento le sua missione. Fu durante tale incarico che vide a Bologna e a Torino le deportazioni di massa fatte dai tedeschi. Comprese l’orrore dei loro metodi brutali e, per i suoi principi di libertà, scelse la dura e rischiosa vita del partigiano, arruolandosi volontario nelle Brigate Garibaldine della Val di Susa, in mezzo alle montagne, dove la sua attività non conosceva soste. Ma una sera, tradito da due prigionieri russi, che si erano venduti ai tedeschi, cadde trafitto da una raffica di mitragliatrice presso Bruzolo. Quello fu un agguato premeditato e atroce.” Il nonno si interruppe: aveva le lacrime agli occhi, poi si riprese e disse: “Pensate che qui, nella nostra “tana segreta”, sarebbe stato al sicuro... Io gliela avevo mostrata per lui e peri Capi partigiani, braccati dai tedeschi.” Poi soggiunse: “Se avessi ascoltato meglio, quella sera, nel - 50 - P rimavera 2008 gelido vento della valle, avrei udito il suo estremo saluto alla vita”. “Questi episodi non tutti sono citati dai libri di storia, ma ricordate sempre, nipoti miei, che anche ai partigiani dobbiamo oggi la nostra libertà. Ecco perché la nostra “tana” ha un suo valori storico e ricorda ancora, a distanza di decenni, la lotta partigiana. Walter Fontan è uno dei tanti eroi ed è ricordato su di una lapide alla stazione di Torino Porta Nuova, sul lato di via Nizza, che rammenta ai posteri il nome dei ferrovieri caduti per la libertà”. Il nonno aveva finito il suo racconto fatto ai tre nipotini, che gli fecero altre domande sulla Resistenza, sullo spirito garibaldino dei partigiani, sui rastrellamenti dei tedeschi. Egli spiegò i difficili momenti ormai passati e li esortò a non dimenticare. Promise infine che un giorno li avrebbe portati in via Nizza, sotto il portico ferroviario, a vedere la lapide di cui aveva parlato prima. Precisò inoltre che era stato un bravo radio - telegrafista ed aveva svolto un ruolo molto importante per i collegamenti con gli alleati. Raccontò pure di essere stato ferito alla gamba sinistra durante un attacco nazifascista. Fu allora che i tre nipotini vollero vedere i segni della cicatrice nella gamba e ne furono orgogliosi perché il loro nonno si era battuto con onore e Giorgio esclamò: “Allora la nostra “tana” ha un valore storico, ma noi non lo sapevamo e la ricorderemo sempre come “Tana misteriosa” perché piena di firme, di date e di motti come questo: <<Chi per la Patria muor, vissuto è assai>>”. Federica era pensierosa e poi soggiunse: “Tu, nonno, ci hai fatto una promessa e devi mantenerla, così vedremo la lapide di cui ci hai parlato e porteremo dei fiori, a ricordo di tutti i caduti per la libertà”. Da “Il grido del gufo” (1974) Sogni Bastardi di Ernesto D’Acquisto - Chieri (To) “No! Basta con i sogni bastardi. Vivere... Vivere...” Erano le tre del mattino quando Ceco andò a stravaccarsi con la sua macchina in un burrone insieme con Venes. La macchina, nuova fiammante, gliel’aveva donata suo padre come premio per avere conquistato il primo traguardo culturale. Ora, supino su un letto in una corsia di ospedale sembrava che delirasse. Linda, entrata in quel frangente, si sentì gelare la pelle: il ragazzo dei suoi sogni aveva la fronte fasciata e la borsa sulla testa sovrastata da una bottiglia pensolante. Gli si avvicinò: aveva gli occhi chiusi. Gli accarezzò la tempia sinistra e lo chiamò: Ceco, Ceco. Il ragazzo aprì gli occhi, e la fissò a lungo. Poi balbettò; Basta! con i sogni bastardi... “Ceco... stai male?” “Non moIto; ma le ferite mi bruciano” sillabò lui chiudendo gli occhi. “Quante volte ti ho pregato di lasciare perdere quella sala infernale?” Ceco non rispose, ché nel suo cervello danzavano ancora lampi policroni, rimbombi tamburici e sferzate di bronzi. “Com’è successo?” chiese Linda. E lui abbozzò un sorriso che sembrò di cane, e disse: Venes è morta. Ceco e Linda si erano conosciuti qualche anno prima ad una festa, fra loro sembrò scoccare subito la scintilla. Ma quando Ceco la invitò insistentemente a fargli da partner nella sala dei”sogni bastardi”, lei se ne allontanò. Lui continuò a sognare con Venes. E Linda, diciottenne, continuò a sognare per conto proprio la vita coniugale con quel ventenne alto quanto basta, sagoma perfetta, bruno con capelli ondulati, fronte alta, disinvolto e sicuro con la coda dei capelli al vento e occhi castani piccoli e incassati. Forse intendeva recuperarlo. La notizia dell’incidente, Linda l’apprese dalla televisione. Non stette più nella pelle, e corse all’ospedale inseguita dai rimbrotti della madre. “Com’è successo?” insistette Linda piegandosi sul ragazzo. Ma ceco spense il sorriso da cane; e sprofondò nei sogni di quella notte. “Balio con Venes. Lei mi afferra le orecchie con una veemenza tale che sembra volesse staccarmele. Ora mi fissa negli occhi, mi tira e sé. Sento un colpetto alla spalla. Mi stacco da lei. E’ Carlo che mi offre le sigarette estere. Prendo il pacchetto e ne pago il prezzo centuplicato. II Lampadario si è spento; s’è accesa una luce rossa. Ogni ragazzo è avvinghiato alla sua donna. Nessuno, ancora fuma: il viaggio deve incominciare in un tempo per tutti, e il suo inizio è subordinato alla fine dell’intermittenza sincromatioa delle lampadine rossa e verde. Fumo... Fumiamo. Incomincia una musica lenta frammista a passione e intrigo. Le coppie prendono l’abbrivio. Molte rugazze vagano ad occhi chiusi. Si accendono tutte le lampadine; lampeggiano. I colori si fondono e generano altri colori. La sala è un proscenio astrale in metamorfosi tempestata di larve umane variopinte. Vaghiamo... Quanto tempo è che gavazziamo con i nostri corpi...? Il ritmo delle luminescenze tende a degradare; forse la fase di preparazione al viaggio sta per concludersi. Ecco, la luce bianca si è spenta; anche le altre. Buio, S’è accesa la lampadina gialla: la sala sembra un luogo magico. Io e Venes prendiamo posto sul divano più vicino. E’ incominciata una musica ricca di sincopi altalenanti e carezzevoli ohe mi portano sopra una sottile bruma gialla. Venes mi salta addosso; mi morde l’orecchio destro; si stacca; mi fissa; dice qualcosa che non capisco. La sala è avviluppata in una nube trasparente. Vedo delle coppie sparse ancora vaganti; altre sono distese a terra sopra un largo tappeto che Carla ha disposto nel centro della sala. La mia compagna ha finito la prima sigaretta; ne vuole un’altra. Gliel’accendo. Nell’evanescenza spumosa vedo altre fiammelle. La mia sigaretta ora è a metà. II giallo che prima era opaco, ora lo vedo vivido como se il fumo delle sigarette non ci fosse; la lampadina è d’uno splendore meraviglioso. Mi sento illuminare la mente, Questo, è il grande potere che mi da il viaggio. Una nuova adepta gridai: No! non voglio... non voglio morire; aiuto! non voglio morire; voglio tornaro indietro. Si alza, si butta sopra il tappeto, si rotola e grida ancora: Assassini! state dìsintegrando il mio corpo; raccoglietelo, ridatemelo, è mio, lo voglio. Che delizia! Vedo il mondo nella sua interezza, assoluto e fecondo di fuoco amorevole. Gli uomini della terra sono raccolti tutti in un punto. S’abbracciano, finalmente, cantano l’inno mondiale accompagnato dal suono del ganzavar. E’ un’armonia di pace, di gloria umana eterna. Le belve hanno perduto la loro ferocia. Ballano con gli ucraini una danza uniforme è la danza del mondo; è la sembiosi dei geni. Mio padre, come un minchione al benzolo, arde sopra la collina fiorita del mondo: torcia che si scioglie ai piedi degli uomini umani e delle belve e degli insetti. Nel mare gli squali sono - 51 - I l S alotto degli A utori a raccolta con tutte le specie marine; sembra che tengano una riunione. Ora tutti si muovono in direzione d’una nave abbandonata. La nave scompare negli abissi marini come inghiottita da un immenso mulinello. In quel punto, tutte le specie marine volteggiano al ritmo soave delle sirene. Nell’aria gli uccelli di tutte le razze si sono avventati contro un missile minaccioso. Ora cantano, cinguettano, gracchiano intorno alla cenere ondeggiante dell’insidia. Un oggetto cubico scende silenzioso in mezzo agli uomini raccolti. Ne discendono degli esseri: uno, due, tre... dieci. E’ la rappresentanza d’un altro mondo. Hanno tre gambe e quattro braccia con le estremità prensili. La loro testa cubiforme dispone di quattro occhi immobili fluorescenti: uno in ogni faccia laterale. La faccia superiore sembra essere sormontata da una cupoletta. Cinque cupolette si distinguono dalle altre. Da queste esce un ciuffo indecifrabile di colore viola cangiante fra l’azzurro oltremare e il verdescuro. Forse sono femmine. La pelle esposta è Violacea. In una faccia, al di sotto dell’occhio, una cavità articolata mostra due file di denti centrali: una sotto, una sopra. In due facce opposte, al di sopra degli occhi, hanno una protuberanza simile ad un padiglione auricolare sempre in movimento: si muovono in ogni senso; mentre il corpo massiccio coperto fino alle giunture inferiori rimane immobile. II corpo è coperto da una tubola gialla vivace ohe arriva fin dove incomincia l’organo prensile. La loro altezza supera i due metri. Ci abbracciamo; balliamo al suono dei ganzavar. A GABRIELLA di Gian Claudio VASSAROTTO (Lombriasco - TO) “Ora vado alla ricerca di altri mondi senza pace per portarvi il messaggio dell’Homo Sapiens. In fondo alla sala, oltre la parete, vedo quattro uomini di razze diverse ai quali se ne avvicina un altro che ha la pelle variamente pigmentata. Questi ha in una mano una una sega ricavata dalla mandibola d’un coccodrillo e nell’altra una scatola diamantina. Appoggia la scatola a terra, agguanta il primo uomo, e con la sega gli scoperchia il cranio; ne risucchia il contenuto. Ora dalla scatola estrae un cervello nuovo, e speditamente lo sistema nel cranio vuoto; si accinge subito a ricucirlo. S’avvicina ad un altro dei quattro. Sembra ohe voglia ripetere l’operazione su tutti i suoi simili... “I quattro pazienti hanno formato un cerchio; ognuno tende le braccia ai due di destra e di sinistra formando une catena circolare. Il chirurgo viene invitato a parteciparvi. Tutti insieme si librano all’altezza d’una finestra. Attraverso le loro teste vedo il mare calmo e azzurro assopito nella sua maestosa bellezza. Vedo due flotte da guerra: sono belle, quelle navi! Gli occhi nucleari dei missili ci guardano con amore ineffabile; nella loro espressione si legge il desiderio amorevole di abbracciarci in un sogno di gioia eterna. II chirurgo alza la sinistra; grida: Andate! La pace non ha bisogno di forza. “Le navi sono svanite nel nulla. E tutti insieme abbracciati imboccano una grande via guarnita di alberi e fiori di ogni colore e collegata con la Via Lattea oltre il mio sogno.” A questo punto, Ceco spalancò i piccoli occhi e li piantò contro Linda e disse con voce flebile: “Venes è andata; vado anche io.” Ed emise un rantolo seguito dal respiro conclusivo dei suoi sogni. UN CANTICO NUOVO di Rino PIOTTO (Fontaniva -PD) Gabriella non vede più tra le ansanti stagioni il viso solcato dall’amore, dagli affanni e dal dolore di colei che cullò il suo primo stupito vagito. Non sente più le note della cara voce che accompagnava il flauto incantato della sua giovinezza, e nel meriggio dello svanire dei sogni empiva come un suono di luce i deserti di buio, arpeggiava la sua allegria. Arrivammo dopo un lungo viaggio sradicati dalle nostre terre d’Angola schiavi nel nuovo mondo di Bahia. Ci sedemmo esausti sui nostri tamburi silenti ascoltavamo il nostro cuore piangevamo senza lacrime e senza voce. Sollevando le palme aperte al cielo pregavamo un Dio sconosciuto perché eravamo abbandonati da tutti. Ci coccolavano i messaggi del vento che lenivano la nostra sete e la fame quando d’incanto udimmo un segnale. Sul tamburo piombò un cocco di palma il suo suono ci diede nuova energia i nostri cuori riempì di grande gioia. Intonammo un cantico nuovo al Signore che ci aveva ascoltati e lodammo le sue meraviglie. Battemmo i tamburi con le nude mani ed i piedi stanchi sulla terra nuova e la voce riprese col soffio del vento. Lodiamo il Signore per le sue meraviglie dal niente con Lui abbiamo ogni cosa sorrisi e canzoni son nati dal cuore. Ringraziamo il Signore per tutte le cose che ci ha offerto dal niente offriamo gli inni di un cantico nuovo. Gabriella si sente sola e tra i dipinti del commiato del sole, raggiunge la quieta dimora dei morti. In mezzo alla carne assopita, il suo cuore di pace s’imbeve e a sua madre, che vive oltre la tomba del tempo, confida i tormenti e le ansie a cui son condannati i mortali. Dal mondo infinito, un raggio di verità arriva, e Gabriella vola verso lo splendore del mistero, squarciando il telo che soffoca gli amanti della terra. La colomba della preghiera s’innalza e, nella festa della comunione dei santi, la mamma conduce Gabriella alla vita. - 52 - P rimavera 2008 LE RECENSIONI DI... MARCO DEI FERRARJS apparire questi termini come retaggio usato ed abusato LA TERZA STANZA, romanzo di Edda PEL- dell’ipocrisia di chi, opportunisticamente se ne approLEGRINI CONTE (Ibiskos-Ulivieri, Empoli, pria per meri vantaggi personali. 2007), è un libro di “poesia narrativa” che ci fa riflettere, Giuseppe, che conosciamo soprattutto per la partecipainchinandoci alla sua pagina senza rimpianto né pretesa, ma solo ricordandoci profeticamente una sequenza di livelli o fasi esistenziali che necessariamente dobbiamo percorrere senza pregiudizi o prevenzioni strategiche e saccenti, ma con serenità e pazienza di avvenuta maturazione psicologica e spirituale. Il nodo dello scenario poetico è l’enigma, il mistero di una stanza aperta e chiusa: una stanza di ricordi -di protezioni materico psicologiche- di poesie da leggere e ascoltare- di ritratti presenti/futuri (o senza tempo?). Una introspezione retroattiva di personaggi che “poeticamente” si amano, passeggiano, programmano, vivono un tempo senza limiti, uniti, coesi da un sentimento assoluto che pervade “piccoli borghi” profumati di camini accesi, sfoglia scaffali di libri, verifica il bisogno di un presente da vivere, inventando il futuro; che appare liricamente solco di semi, dita gemmate, fragore di onde imprigionate di conchiglie nella provvisorietà dell’esistere filtrata da metafore filosoficamente sedimentate in un poetare classico e seducente. La terza stanza come “terza età”, ma priva di temporalità e di realtà spazializzate e circoscritte, una terza età totale, onnicomprensiva, con immanenza e mutamento di personaggi, illuminazioni di saggezze (Tagore) riflessioni sulla serenità delle cose nella pace e sulla vita. Quanto alla struttura e scomposizione di questo poetico narrato: esistono, mi pare, i temi fondamentali di una realtà fiabesca e miticamente elaborata in sfere di azioni parallele che GREIMAS chiamerebbe atlanti corrispondenti agli attori della vicenda. “La Terza Stanza” è un mondo narrative-poetico, che ha ignoti confini d’incipit ed explicit, che individua percorsi fuoriuscenti dall’osservatorio codice della trama, che attira il lettore coinvolgendolo in un vero e proprio “sistema di valori” sempre protagonista determinante per una catarsi annunciata in un reale mimeticamente rievocato. ALDO DI GIOIA Cara Donatella, ti invio una recensione, in questo caso un po’ particolare, direi anomala, recensione di “una persona” nella sua interezza sviluppata attraverso la conoscenza nei Salotti Letterarari e l’analisi dei suoi scritti. Questo sentirlo spiegare e raccontare mi ha indotto ad aggiungere mattone a mattone, fino a tratteggiare questo quadro di Giuseppe Dell’Anna, (spero sufficientemente riuscito), che ti invio appunto come “Recensione d’Autore”. GIUSEPPE DELL’ANNA: La prima volta che mi è stato presentato, Giuseppe Dell’Anna mi è stato presentato come “fine dicitore”. Fine, lo è anche per costituzione e per equilibrio. Mai oserebbe sprecare i temi cari della libertà, dell’etica, della legalità e della moralità gettandoli nel mare magnum dell’imbecillità, che tutto travolge, facendo zione ai salotti letterari e per i puntuali articoli che redige per questa rivista, realizza con fare descrittivo a tutto tondo, la sua soddisfazione certamente per quanto riguarda il proprio tempo libero. Non conosco la sua soddisfazione in ambito lavorativo ma, visto il suo impegno sempre puntuale e concreto sottolineato altresì dai riferimenti alle fonti autorevoli da cui attinge, oso pensare che anche in quest’ambito, sia almeno di buona qualità. Oltre che fine dicitore quindi, fine “espressionista”, che con la pacatezza del suo ragionamento riesce a coinvolgere emotivamente l’interlocutore. E dal suo vissuto, dal quale spesso trae spunto per interpretare le sue opere, nascono note di grande umanità, che lo fanno rientrare di diritto, nella categoria dei “dispensatori d’arte”. RISVEGLIO E ALTRE STORIE CON LE ALI racconti di Giuseppina RANALLI Carta e Penna Editore (Dicembre 2007) «Narra la leggenda che il cielo si colorò di porpora e d’oro, furono stesi damaschi e broccati e tu nascesti, per colorare con FANTASIA il mondo.» Fu questo l’augurio che l’Autrice ricevette a coronamento di uno dei suoi compleanni. Avremmo voluto mantenere il segreto, il riserbo, la privacy, ma di fronte a tale esplosione di “FANTASIA”, ad un foglio bianco che l’Autrice riempie con il frullo d’ali delle sue farfalle, riuscendo ad identificare il lento inesorabile scorrere della vita, “magnifica e crudele, ma soprattutto breve”, non abbiamo potuto che rendere di pubblico dominio l’evento, augurandoci di non averle reso cosa sgradita. Vola sulle ali di una farfalla quindi, la FANTASIA dell’Autrice, che delle fiabe e dei miti riesce a fare i suoi cavalli di battaglia. Anche le sue poesie sono emotivamente coinvolgenti, ma questa, è un’altra storia. In questi racconti sono sgargianti, inimitabili i colori di cui Giuseppina Ranalli ci fa dono, ma Alla, la protagonista, “è una farfalla dalle ali completamente bianche”. Ci sarà pure un motivo per aver scelto questo colore come protagonista: il bianco è il simbolo della purezza, dell’amore idealizzato, della fedeltà, della semplicità, e viene issato dall’Autrice come bandiera dell’Amicizia, “E’ l’esempio di come nella vita sia importante essere e non apparire”, di fronte alla prepotenza di un mondo, che oggi come oggi, vorrebbe insegnarci il contrario. Altri “vizi e virtù, propri dell’essere umano” sono già magnificamente ritratti, oltreché nelle fiabe presenti nel libro, nella delicata prefazione di Mariateresa Biasion che come un refolo di vento, consiglia di ricercare nella lettura “quel senso di appartenenza, le radici”, che mai del tutto possono essere strappate alla memoria. - 53 - I l S alotto degli A utori CINTHIA DE LUCA ANCHE NELLA NOTTE SPLENDE IL SOLE” silloge poetica di Gian Claudio VASSAROTTO (L’Autore Libri - Firenze). C’è una frase in copertina, quasi incisa, che riporta preziose parole “L’Anima dipinge arcobaleni di infinito amore, trasfigurata dalla speranza” ed è impossibile non fermarsi a riflettere su queste parole, un po’ mistiche, ma in fondo profondamente umane,perché la Speranza, più che l’Amore, che è e resta grande ideale, è pane quotidiano dell’uomo e questo coraggioso autore, che si fa difensore di valori antichi in un’epoca senza più valori, ci indica la via per sublimare il nostro quotidiano, a volte bello, ma spesso amaro e deludente, alla luce della speranza. La vita ancora sorride nelle “note” di questo poeta, la vita ancora sa cantare le sue melodie, non si è spenta la musica, soffocata dalle grida del mondo, ma continua eterea ad effondere la sua voce. E’ l’Amore trascendente che sembra toccare questo insolito cantore d’Eterno, è l’Amore assoluto che ci sorride attraverso di lui, che squarcia le tenebre, affinchè non sia permesso alla “spietata belva del mondo” di assalire l’uomo nella polvere. Egli conosce il mondo, lo conosce profondamente e non si fa confondere, sa che il desiderio di pace, d’amore, che le illusioni sono ferite nel cuore dell’uomo che sorride alla vita,restandone sgomento; egli è consapevole che “l’inverno ghiacciato seppellirà tutto nella notte del mondo”, eppure descrive così bene l’incanto della vita,quell’incanto che fa “sbocciare il fiore del divino mistero”. Si fa così portavoce del canto dell’esistenza, quel canto oggi spesso dimenticato, del canto dell’anima, che culla i sogni e li veste di allegria. E c’è sempre una scintilla di speranza nei suoi versi sereni,eppure profondamente consapevoli di questo grande poeta, poiché egli è grande, nella sua fede e nella sua poesia. Questa scintilla ci sfiora,ci pervade pian piano, ci convince che, nonostante il vento contrario, si possa ancora guardare oltre l’orizzonte oscuro, perché c’è ancora un senso nello scorrere dei giorni e la notte, che avanza minacciosa, non ci trascinerà via o sarà forse, soltanto, terra di transizione verso un’Alba nuova. “Ma il frumento/ della tua anima,/ non si è disperso/ con il tempo;/ il contadino del cielo/ l’ha raccolto:/ sarà pane bianco/ in Paradiso”. Si coglie questa dimensione profondamente trascendente nell’incantevole poesia di Gian Claudio Vassarotto, molto bene espressa nella lirica “Tu Gesù”: Gesù è l’amico, l’unico, il vero, il pane dei giorni, il conforto del cuore; solo in Lui c’è rifugio, solo nel Suo caldo abbraccio, più intenso nei momenti di buio. E il pensiero dell’autore, in questa logica di condivisione, va ad ogni fratello, raggiunge tutti i bisognosi, i sofferenti, gli ultimi della terra; il suicida, la cui anima vaga disperatamente tra le buie gallerie del mondo, la fanciulla, sorella di ogni tempo, cui è stato offuscato il sole della purezza, il volto dell’innocenza; nessuno è lasciato fuori da questa comunione, che ci rende tutti uniti, tutti insperatamente fratelli. E’ una dimensione impalpabilmente sempre presente quella spirituale, lievito e gioia per l’animo dell’autore. Si scorge sempre, in ogni verso, un senso di rinascita quotidiana, fatta di piccole e grandi cose, un incontro, un pensiero, un canto interiore, come una liberazione che proietta all’intorno un prezioso alone di leggerezza. E sfogliando ogni pagina, dalla prima all’ultima, sopraffatti spesso dalla notte del cuore, ci convinciamo gioiosi che il buio non prevarrà. MICHELE FRANCIPANE I sogni sono come le ciliegie di Clelia PALOMBO - Per contattare direttamente l'autrice: Casa editrice ALBERTINI - Via Manzoni, 11 - 29010 TREVOZZO DI NIBBIANO (PC) Tel.: 0523.99.82.58 - Fax: 0523.99.86.25 Un’opera letteraria è interpretabile da vari punti di vista: forma, contenuto, stile e valore estetico; simboli e risvolti psicologici, sociali, etici. Il punto più spesso trascurato è l’analisi dei nomi che l’autore sceglie per individuare e connotare gli attori della ‘sua’ storia. Ed è proprio grazie alla ricerca onomastica che ‘rileggo’ sotto una nuova luce il racconto-favola I sogni sono come le ciliegie. L’autrice avrà meditato a lungo prima di ‘inventare’ e attribuire a ciascun personaggio un nome proprio che servisse a delinearne i tratti essenziali della personalità ma anche a rilevarne la funzione antropica nella trama. E così la piccola-grande protagonista Dorotea (‘dono di Dio’) è il fulcro intorno al quale ruotano tutti gli altri coprotagonisti. Fra questi l’amica del cuore Zefirina (‘alito di vento’ primaverile e il cuginetto Lucio che ‘illumina’ entrambe sul come-e-perché ridare uno scopo di vita allo sbandato clochard Vasco, il cui destino parrebbe scritto anch’esso , nel nome: ‘vagabondare’ senza meta. Poi, sorpresa finale da fiaba, sarà la tata Adele, povera ma dal cuore ‘nobile e illustre. Di contro il brusco e sospettoso Nunzio, figlio della limpida Olimpia, tradirà la sostanza del proprio nome di ‘angelo messaggero’... Felicissimi anche i nomi dei due cagnolini innamoratisi a prima vista: la tenera Milly e il ‘foresto’ Golia conquistato... da Stella e Luna. Evviva, questa ‘ciliegina’ letteraria di Clelia (‘gloriosa’) Palumbo risponde bene all’intuizione di Plauto: “”omen est omen” nel nome l’auspicio, il fato. Vi si respira un’aura di amicizia, altruismo, solidarietà. Spirito diffusivo di ‘pietas’ e amore. FLAVIA LEPRE ALDA FORTINI: PRIMO VERSO – ED12. Il Conventino – Bergamo – Pref. di Angelo Ubiali SCRITTI SCIOLTI – Soc. Editr. Vannini – Pref. di Romano Leoni IDEALI DI CRISTALLO – Venilia Editrice – Pref. di Liana de Luca TEMPO SCONFINATO – Lorenzo Editore Quattro Raccolte che formano l’atmosfera creativa di un’età giovanile e di un’età più matura. Ma la differenza è irrilevante, perché in tutti e quattro i volumi, c’0è una meravigliosa fioritura artistica che genera Poesia. E nella Poesia c’è sensibilità e talento, dove Alda Fortini - 54 - P rimavera 2008 dimostra così la sua personalità e tutta la sua ricchezza emotiva. Poetessa, con una ispirazione autentica, nella cui anima femminile risplende una specie di arcobaleno nel quale sette strisce colorate, sono come sette abissi entro cui vaga un sottile velo di mistero; anche se, in effetti, il fatto di essere poetessa vuol dire essere grande collaboratrice della vita, che mai si estingue. Ed esplorando le profonde plaghe della propria interiorità, ella penetra là dove nasce e si avvia il processo di formazione e la ricerca della individuazione che ogni donna riesce a trovare in sé, unitamente al senso recondito dell’intimo valore. Perché spesso “scrivere” non vuol dire “comporre”, specialmente quando si tratta di poesie, forse perché queste obbediscono ad un impulso emotivo e a sentimenti sempre mossi nella sfera delle imprevedibilità. I testi raccolti in quattro volumi e pubblicati in anni diversi, sono il panorama poetico di una donna che mette in gioco la sua anima, anche se poi, quando sembra che tocchi il mistero dell’origine dei suoi pensieri, si richiude in una specie di indicibile enigmaticità. Di solito, la maggioranza dei poeti, nelle loro Raccolte mescolano vari generi, ma Alda Fortini no, lei resta fedele alle sue tematiche emozionali ed evita le alternanze con altre problematiche. Così che le sue opere mettono a fuoco sempre le stesse dimensioni esistenziali adeguandole al momento in cui le vive e contornandole da una splendida varietà di effetti panoramici che di volta in volta mutano, ma soltanto per il normale intervento della Natura. E devo dire che questo è un sistema tutto personale e trovo che sia un ottimo metodo letterario, perché alla fine, permette di far esplodere le molteplici forme espressive, i vari modelli inseriti nella sua sfera mentale. Ma per meglio approfondire l’argomento e rendere più agevole la comprensione del mio dire, riporto qui di seguito e per intero, una sola linea, dal titolo “21 Marzo” ed inserita nella Raccolta n. 4, l’ultima: “Quando il cielo / nell’ultimo specchio di stelle / copre il nostro capo / prendimi per mano /. La malinconia attesa 7 sarà compagna dei nostri passi /. Ma non temere / avrò trovato la forza / di afferrare il passato /. Di scindere l’idolo di latta / dall’amaro contesto / nelle ali grandi di un passero /. E se tentassi un giorno il ritorno / non so quando / stringimi forte la mano /. Il disporre vasto / di questo giorno così nuovo / interrompe le grandi imprese / e lascia spazio all’insegna / per non credere e giudicare /. 21 Marzo / forse una festa / forse un incontro / ma il gioco avaro ha captato / l’ultima riga / di una breve nota”. La lettura di questa lirica, come del resto anche quella di tutte le altre, mi ha stranamente colpito, per un motivo che può apparire anche banale, se il significato di questa parola non avesse il potere di muovere il mondo! E la parola “assente” è “AMORE”. In tutto l’insieme di queste poesie, non viene mai pronunciata. Qualcuno può anche pensare che i “segreti” devono essere liberati soprattutto quando ci si occupa di Poesia, anche se qualche volta può essere consigliabile tendere al silenzio del vero e sostituirlo con la vaghezza ambigua di una verità passata attraverso una infinità di filtri, perché in questo modo il verso può diventare più interessante, addirittura uno strumento di conoscenza più elaborata, dato che le poesie acquistano una doppia immagine. E qui, esse, sono il segno coerente della memoria della poetessa, del ritorno reiterato alle ferite da sempre impresse nella psiche ma mai esposte allo sbaraglio. A me, sembra un segno dell’assenza di una storia concreta, dell’immobilità del sentimento amoroso che non si palesa, che non emette luce. Tutto però rientra nel bellissimo quadro panoramico e viene sostituito dalla parola scritta che però trattiene le frasi che non vanno esplicitamente dette. La poesia che ho appena riportato, ne è l’esempio, anche se è ampiamente soffusa di leggera malinconia sapientemente celata nell’ombra dell’anima e, quasi di soppiatto, vi circola una brezza d’amore non propriamente felice e non si sa per chi. E c’è lei, la poetessa Alda Fortini, che colloquia con qualcuno che non nomina. Ma chi sarà mai quell’Identità segreta e misteriosa? Un’amica? Un uomo amato? Dio? Il suo splendido quadro personale par che resti immoto, anche se nella realtà, in esso si muove il lago, il fiume, le rondini, gli alberi, i fiori… Tutto appare chiaro e i colori vivaci. Ma il suo parlare è un soliloquio che non ha risposte, quasi che la poetessa potesse inorridire venendo a contatto con altra voce! Lei però non tace o meglio, non depone la penna: continua a vivere la sua iniziale solitudine, l’inconfessata malinconia, la tristezza di un’assenza a cui però non fa chiaramente cenno, perché lei non parla apertamente d’amore, non dice se il suo cuore freme, se soffre, se gioisce, se s’infiamma nella speranza di una attesa… Pare che il suo scrivere Poesie sia una fuga attraverso l’ombroso dedalo disseminato da un’infinità di parole. C’è un intimo dramma nella sua vita? C’è felicità? Trasogno, fantasia e realtà, qual è il rapporto? Io ho scrutato a lungo questo suo mondo e, certa di arrivare a centrare il cuore, potrei anche azzardare una mia versione della sua storia di via, ma sarebbe facile, per me, far cadere i veli che, così astutamente l’autrice ha alzato, per celare ciò che ella non intende dire… Magari potrei non giovarle, non arrecarle danno, per cui penso che sia più interessante lasciare che questo inusuale rebus venga lasciato all’intelligenza e alla sensibilità dei lettori, perché scoprire, attraverso un’accurata lettura, la nota misteriosa di una vita impastata di poesia, può anche riservare una piacevole sorpresa! KARINA ANDREA OLIVERA LA FRAGILITÀ DEI CORPI di Pietro PRESTI - Circorivolta Edizioni - 2007 Altro scacco matto per questo giovane autore di Gela. Ne “La fragilità dei corpi” Pietro Presti mette in risalto il degrado umano caratterizzato dall’arrendersi di giovani vite che s’abbandonano a un’esistenza precaria, dedita alla droga; abitanti dei bassifondi di una città che potrebbe essere “la più bella del reame”, ma che accompagna indifferente l’annullamento di questi “non guerrieri”. Sono giovani che rinunciano ancor prima di combattere, che rifiutano qualsiasi identità sociale, spinti a gettare via le proprie esistenze annebbiati da alcool e artificiose fughe dalla realtà; giovani che abitano una Palermo che non perdona, che non concede speranze e che inghiotte le loro vite una ad una nel silenzio e nel distacco di un moderno degrado. E’ una realtà crudele, scomo- - 55 - I l S alotto degli A utori da, reietta, narrata dall’autore con uno stile crudo, violento, caratterizzato da immagini piene, che scavano la pelle, uno stile chiaro, senza pause o interruzioni, una prosa densa che porta il lettore ad immaginare più che a pensare, come se si trovasse di fronte ad uno schermo cinematografico. E’ un “viaggio” autolesionistico, quello dei protagonisti di questo romanzo, vissuto come unica valvola di sfogo nei confronti di una società priva di ideali e certezze, un viaggio che li condurrà verso una verità inconfutabile: la fragilità dei corpi. PACIFICO TOPA MARIA FRANCESCA CHERUBINI “Vorrei vestirmi di vento” n°20 pag.15 di questa rivista. Più che una vera e propria composizione questa di Maria Francesca Cherubini è un afflato di affettività. Il sognare di potersi vestire di vento la dice lunga sulla forza dell’immaginazione: “Per vagare nel bosco/ dei tuoi pensieri/ ed impigliarmi/ ai rami”. Cosa di più fiabesco si poteva pensare per dichiarare il proprio affetto alla persona cara? Si può parlare di slaccio amoroso, infatuazione, quasi follia, per essere trasportata dal vento dell’intimo della persona cara, potersi immedesimare nei suoi pensieri quasi fossero raffigurati in un groviglio confuso. ANNA PRESUTTI “A Te…Signore” n° 21 pag. LUCIANO SOMMA “Napoli” n°21 pag.22 di 30 di questa rivista. Con questa composizione Anna Presutti si è rivolta al questa rivista. Signore, ringraziandolo per tutti i doni che Egli ha voluto elargirle nella vita; l’autrice ha dato libero sfogo alla sua profonda fede, cercando anche di fare logici collegamenti con le cose belle che la natura ci offre: “Se guardo una splendida rosa/ o un immenso prato verde/ è a te che penso, Signore.” Non solo, ma anche “un cielo pieno di stelle/ e un meraviglioso mare blu”, viene spontaneo rivolgere un grato pensiero al Sommo Creatore di tutte queste belle cose. Lo stesso dicasi quando ammiriamo “l’alba radiosa/ di un nuovo giorno” tutto è motivo di grande emozione; cosa dire di un “bel tramonto” che riesce a suscitare nell’animo “tanta soddisfazione”. Ma, ci sono anche altri motivi che sollecitano la gratitudine: “La solidità/ della mia famiglia” e altrettanto dicasi per l’uomo che ho sposato, i “bei figli/ che mi ha dato.” In fine, quando “stringo fra le braccia/ i miei due meravigliosi nipotini/ che nascendo mi hanno resa nonna”. Tutto questo ha provocato nel mio animo tanta felicità. E’ quindi naturale, per chi ha fede, di ringraziare costantemente il Signore, autore di tutto ciò! FRANCA MARIANNI “Il passo degli aironi” n°21 pag.30 di questa rivista. Franca Marianni, con “il passo degli aironi”, fa una immaginifica rivisitazione di una realtà che, col tempo, va sfuggendo. E’ l’ora del riposo, una pausa dopo un laborioso impegno di ristrutturazione d’un edificio: “C’è un tremolio d’ali/ sotto la gronda” ciò riguarda l’abitudine di alcuni uccelli di nidificare sotto le grondaie, posto che li ripara dalle intemperie e dall’ aggressione di altri rapaci; “Ogni impresa che dilata/ i suoi confini/ a giro d’orizzonte.” C’è insito nell’uomo il desiderio di evadere dall’abitudinarietà, di avventurarsi in nuove iniziative. “Tu la conosci qui/ questa fatica di vivere/ a mente fredda.” Versi che delucidano ancor meglio le difficoltà di sopravvivenza, di fronteggiare, diuturnamente, gli impegni più o meno gravosi. “Reclinati i sogni/ di troppo facile7 presagio.” Si allude alla caduta di tante speranze accarezzate i gioventù e che, col passare del tempo, sono sfumate, come i sogni che sfocano col risveglio. “A stormo/ nel risveglio si profila/ il passo degli aironi.” Analogia quanto mai azzeccata, perché porta, con efficacia realistica, ad una verità dalla quale nessuno può sfuggire: la fugacità delle speranze carezzate in gioventù, ma rimaste solo nei ricordi. Forse mai come in questo momento la città di Napoli è nel cuore di tutti gli Italiani; i recenti problemi del cumulo della spazzatura che ingorga le vie testimonia il degrado d’una città che ha sempre costituito un sogno canoro. Luciano Somma sintetizza questo clima con una accorata composizione focalizzata al rammarico di tanto abbandono; egli chiama il clima di Napoli “lebbrosario” per dare un’idea della gravità in cui è ridotta, sacrificata da “un lungo calvario/ larva d’un fasto lezioso” del quale rimane solo il ricordo, mentre la città, tanto decantata, è avvolta “in tenue sudario”, reietta per tale stato di abbandono, ma tuttavia lei continua a respirare: “il tuo cuore aritmico/ pulsa” mentre tutto attorno nelle viuzze in cui si svolgono i commerci più strani: “case di latta/ scenario di beffa/ testimoniano ossario di storia/ l’ignavia di tanti.” Ciò malgrado la città soffre e sospira: “ed ancora tu canti/ lavori e rattoppi/ gli stracci impregnati di pianto.” Innegabile il fatto che ci sia una parte della popolazione che soffre al vedere tanto degrado, ma: “fra teneri idilli/ tessuti tra notti di attese” c’è solo da sperare in “un’alba diversa”, ossia che le cose possano cambiare, ma, indubbiamente, v’è bisogno d’uno sforzo comune! ROSANNA MURZI “Mamma” n°21 pag.22 di questa rivista. Rosanna Murzi fa l’apoteosi della mamma, immaginando di poterla circondare di tutte quelle delicatezze che lei merita: “Avvolgere quel corpo gracile in coperte calde/ per non far più sciogliere la mente.” per poterla ricordare efficiente e viva, mentre invece “ricordi lontani tornano come lampi/ per svanire in giochi di bimba”. E’ naturale che si desideri ricordare la mamma fin dalla sua infanzia ed allora “mescoli rimorsi e nostalgia perenne” su “epopea di tenerezza” ossia canti infantili: “Vorrei prenderti per mano mamma bambina/ senza forza di lasciarti.” E’ senza dubbio questo uno dei desideri che ci accompagnano, specie quando lei viene a mancare e questo non può non provocare il pianto accompagnato dal desiderio di “avvolgerti in sciarpe calde”; questo per dire del senso di affetto estremo onde evitare a lei ogni forma di tristezza e di sacrificio. Inutile dire che il senso di questa composizione è quanto mai pregno di affezione illimitata per colei che ci ha dato la vita. - 56 - P rimavera 2008 VITO GIUSEPPE MELE “La tua carezza” Salotto n°21 pag.15 di questa rivista. Una metaforica composizione inneggiante a quel gesto affettivo che è la carezza; con molta immaginazione l’autore la eguaglia: “al volo radente/ d’una colomba” quindi eterea, quasi impalpabile, offerta dalle “esili dita/ della tua mano.” Indubbiamente la carezza della persona amata ha un bel chiaro significato ed una forza affettiva difficilmente descrivibile. L’evocazione della carezza è strettamente collegata alla persona cara, Giuseppe Mele la compara ad un leggero tocco, quasi “nella punta d’un’ala.” Ciò per determinare meglio la delicatezza e la dolcezza del gesto sempre molto ambito. TRA LE MEDUSE DI LUCE di Mario BELLO (Roma) Cade inerme come un’oncia, la sera, fredda come un’unghia di luna, e scarno è il telo del vento che sbuffa e inquieta l’anima di carta di un aquilone, appeso sul terrazzo del cielo, a beccheggiare in mani inesperte. Si inarca il ventre delle barche, nel porto, al tramestio dei pescatori a piedi nudi, come il morso di un’amante, che si addentra nell’utero delle acque, lasciandosi dietro la scia luminosa della lampara. PREGHIERA di Baldassarre TURCO (Genova) A leggere i giornali, è uno sgomento: non parlan d’altro che di guerre e stragi, di stupri, d’assassini e di violenze contro le donne, gli anziani e i bambini. Come vorremmo che non fosse vero! A legger le Scritture, trovi pace: al di sopra di tutti c’è il buon Dio che fa piover sui giusti e sui cattivi e sa attendere, dando tempo al tempo. Signore, dacci fede nel tuo Amore! Verdi, gli sguardi delle alghe affiorano tra le meduse di luce, nell’aratura assonnata del mare, allattato, in un fiume di correnti, da stormi di pesciolini fluttuanti, dalla pelle incerata d’argento, tra i seni delle onde rigonfie. A leggere i giornali, si dispera: va tutto alla rovescia e a catafascio, sembra che da un minuto all’altro il Male sopraffarà vincendo sopra il Bene. Come vorremmo che non fosse vero! A legger le Scritture, c’è speranza perché a tirar le fila della storia sarà Iddio e sua l’ultima parola secondo i piani suoi eterni e fedeli. Signore, dacci fede nel tuo Amore! Fremono le mani, ingravidate dalle reti che ricadono a bordo, poi remano cavalcando le Orse, al ritorno, verso l’attesa di mogli che sbiancano l’alba, quando è forte il rombo della mareggiata, per un abbraccio senza fantasmi. A leggere i giornali, siam nell’ora delle tenebre: i dèmoni di morte s’aggirano incarnati nei malvagi che propinano soltanto distruzione. Come vorremmo che non fosse vero! A legger le Scritture, siam nell’ora della luce: l’esercito dei santi avanza armato della sola Croce, da cui rifulge trionfante la Vita. Signore, dacci fede nel tuo Amore! Primo classificato - Sezione Poesia, “Decathlon della letteratura” - 2006 - 57 - I l S alotto degli A utori P R E M I L E T T E R A R I Sui siti Internet dell’associazione è disponibile un servizio gratuito di inserimento automatico dei bandi. L’Associazione Culturale «CARTA E PENNA» indice la quinta edizione del CONCORSO LETTERARIO INTERNAZIONALE PRADER WILLI Prader e Willi sono i due studiosi che, mettendo insieme un complesso di sintomi caratteristici che costituiscono il quadro clinico di questa malattia genetica rara, hanno per primi descritto la Sindrome. Le persone affette dalla sindrome di Prader Willi (che colpisce un bambino ogni 15.000 nati) presentano ritardo mentale, ipotonia muscolare e sono prive del senso di sazietà, a causa di un’anomalia nel centro che controlla questo stimolo nel cervello. Allo stesso tempo, la patologia è causa di una disfunzione nel metabolismo, che riduce notevolmente la capacità dell’organismo di bruciare le calorie assunte con l’alimentazione. Nel giro di pochi anni i soggetti, se non opportunamente controllati, raggiungono un peso corporeo eccessivo che danneggia irreparabilmente la salute. Le Associazioni Prader Willi sono presenti in tutto il mondo e promuovono un programma informativo ma... hanno bisogno anche del nostro aiuto! L’Associazione Culturale Carta e Penna, in collaborazione con la Federazione tra le Associazioni Prader Willi italiane, ha deciso di bandire annualmente questo concorso letterario al fine di far conoscere ad un vasto pubblico la Sindrome; si è anche stabilito di devolvere alla Federazione, il 10% delle quote di partecipazione al concorso. Il premio articola nelle seguenti sezioni: 1) NARRATIVA: un racconto a tema libero, max. 5 cartelle. Quota di partecipazione: 10,00 euro Gratuita per gli associati a Carta e Penna. (L’autore associato potrà partecipare ad una sola sezione gratuita) 2) POESIA: un massimo di tre poesie a tema libero, composte da non più di 105 versi complessivi più i titoli. Quota di partecipazione: 10,00 euro. Gratuita per gli associati. (L’autore associato potrà partecipare ad una sola sezione gratuita) 3) NARRATIVA A TEMA: un racconto che tratti le problematiche relative all’handicap, max. 5 cartelle. Quota di partecipazione: 10,00 euro. 4) POESIA A TEMA: un massimo di tre poesie che trattino le problematiche relative all’handicap, composte da non più di 105 versi complessivi più i titoli. Quota di partecipazione: 10,00 euro. Sconto di 5 euro sulla quota di partecipazione per gli associati a Carta e Penna che intendono partecipare a più sezioni. Tutte le opere presentate non devono mai essere state premiate. Le opere partecipanti alle sezioni a tema non dovranno trattare necessariamente i problemi del Prader Willi ma delle disabilità in genere e si lascia agli autori la più ampia libertà di interpretazione del tema stesso. Le cartelle s’intendono composte da 60 battute per 30 righe cad. Gli autori possono partecipare alle varie sezioni versando le relative quote. Gli scrittori di lingua straniera dovranno allegare la traduzione italiana del testo. Ogni autore dovrà inviare all’associazione CARTA E PENNA - Via Susa 37 - 10138 Torino: -tre copie di ogni elaborato. Una copia deve contenere le complete generalità dell’autore, l’indicazione a quale sezione si intende partecipare ed essere firmata; -bollettino del versamento della quota da effettuare sul c.c. postale n. 43279447 (CAB 01000 -ABI 07601) intestato a Carta e Penna. La somma può essere allegata in contanti o con assegno non trasferibile intestato a Carta e Penna; -file contenente le opere presentate (anche tramite posta elettronica a [email protected]). N.B. l’omissione dell’invio del file precluderà la pubblicazione dell’opera nelle antologie che comprenderanno tutte le opere presentate. -breve curriculum. Il termine per la presentazione degli elaborati è fissato per il 30 giugno 2008 e farà fede il timbro postale. Gli autori conservano la piena proprietà delle opere e concedono all’Associazione Carta e Penna il diritto di pubblicarle senza richiedere alcun compenso. Tutte le opere presentate saranno pubblicate in due distinte antologie (una per le poesie e una per la narrativa) - 58 - P rimavera 2008 PREMI 1° posto: pubblicazione di un’opera di 52 pagine con omaggio di 100 copie, coppa o targa e diploma d’onore. I libri saranno pubblicati da Carta e Penna Editore, muniti di codice ISBN e presentati al sito www.cartaepenna.it e sulla rivista Il Salotto degli Autori 2° posto: e-book con testi di narrativa e/o poesia; oltre al CD MASTER saranno consegnate all’autore 20 copie munite di bollino SIAE e di codice ISBN; coppa o targa e diploma d’onore. 3° posto: abbonamento, quale Socio Benemerito, alla rivista Il Salotto degli Autori per un anno, coppa o targa e diploma d’onore. 4° e 5° posto: coppa o targa, diploma d’onore e abbonamento, quale Socio Autore, alla rivista Il Salotto degli Autori per un anno. Dal 6° al 10° posto: menzione d’onore, medaglia ricordo. Dall’11 al 15° posto: segnalazione di merito, medaglia ricordo. I menzionati e segnalati avranno anche una pagina web personale al sito www.cartaepenna.it per un anno. L’autore, partecipando al concorso, autorizza il trattamento dei propri dati personali alla legge sulla privacy vigente. Per ogni altra informazione: [email protected] - Tel.: 011.434.68.13 - 339.25.43.034 IIª EDIZIONE PREMIO LETTERARIO “INFERMIERIONLINE” AIOL 2007 - GRADUATORIA PREMI SEZ. POESIA 1° Classificato: Antonietta Barboni - Candelo Bi 2° Classificato: Pietro Catalano - Roma 3° Classificato: Giuseppe Dell’Anna -Torino Menzione d’onore:Elisabetta Comastri - S. Giacomo di Spoleto PG; Mauro Dommarco - Gorizia. PREMI SEZ. RACCONTO 1° Classificato: Giuseppina Ranalli - Candiolo To 2° Classificato: Stefano Borghi - Cassina De Pecchi Mi 3° Classificato: Antonietta Barboni - Candelo Bi Menzione d’onore: Cesarina Bo - Balangero To; Luca Angeletti - Ancona. La Giuria ha, inoltre, assegnato il Premio Speciale della professione Infermieristica a: Angela Aiello - Palermo Emiliano Boi - S. Giovanni Suergiu (Ca) La cerimonia di premizaione si terrà sabato 19 Aprile 2008 - alle ore 15,00 presso il “Salone degli Affreschi” - Comune di Candelo - Via Matteotti n. 48 Candelo (Bi) - 59 - GRADUATORIA DEL CONCORSO LETTERARIO CITTÀ DI SAN GILLIO NOTE D’AUTORE Terza edizione – Anno 2007 Sezione Narrativa Ragazzi: 1° classificato: Sofia Sabato (Torino) col racconto Come gli uomini arrivarono sulla terra; 2° classificato: Maximilien Colao (Castellammare di Stabbia – NA) col racconto L’elfo nero; Sezione Poesia Ragazzi: 1° classificato: Giulia Vannucchi (Viareggio – LU) con la poesia Stelle; 2° classificato: Matteo Bozzetto (Pianezza) con la poesia Una vita senza suoni; 3° classificato ex æquo: Giada Buzzi (Porto Ceresio – VA) con la poesia Mamma; 3° classificato ex æquo: Sofia Sabato (Torino) con la poesia Io sono la Luna. Sezione Narrativa: 1° classificato: Stefano Borghi (Cassina de Pecci – MI) col racconto La risposta di Dio; 2° classificato: Milly Nale (Manciano – GR) col racconto Capricci di nuvole; 3° classificato: Maria Camilla Bellinato (Loreggia – PD) col racconto Festa della classe 1977; Menzione d’onore: Luisa Manzoni con Maledetta primavera; Luca Zara con Prigioniero; Walter Milone con Eughenios Levanteakys; Arturo Bernava con Luisella din din; Valter Fascio con Torino città magica. Segnalazione di merito: Arianna e Selena Mannella con Sogni all’angolo di una strada; Dionigi Mainini con Le due tortorelle; Bruno Bianco con Punteggio: diciannove ventesimi; Roberto Pallocca con Nel frattempo; Gabriele Omaggio con Incubo. Sezione Poesia: 1° classificato: Silvano Nuvolone (Cavagnolo – TO) con la poesia Prima di partire; 2° classificato ex æquo: Barbara Parutto (Torino) con la poesia Allietami all’alba; 2° classificato ex æquo: Piero Abrate (Torino) con la poesia Langa d’autunno; 3° classificato: Virgilio Atz (Belgioioso – PV) con la poesia In fila. Menzioni d’onore: Rodolfo Vettorello con Molecole d’aria; Fabiano Braccini con Colore bianco; Franco Casadei con E io di tre anni; Gabriella Maddalena Macidi con Oasi di pace; Loriana Capecchi con Da un’infanzia lontana chiamo il tempo. Segnalazioni di merito: Chantal Mazzacco con Al mare; Pietro Baccino con Giorno del ricordo; Elisa Bassi con Sentieri; Federica Sciandivasci con Le parole che bruciano dentro; Giovanni Bottaro con Di là dalla mia stanza. I l S alotto degli A utori Carisssima Donatella, per troppo tempo ritengo di aver usurpato l’attribuzione di “critico” mentre, a ragion veduta, il mio impegno era quello di esprimere delle opinioni personali (e quindi da “opinionista”) sulle opere sottopostemi. L’antipatica diatriba con De Simone non ha solamente rubato spazio al giornale, ma mi ha anche indotto a riflettere ed a maturare questa decisione.: Togli quindi il mio nominativo dall’elenco dei “critici”ed io, se vorrai, , ma come opinionista, esprimerò liberamente le mie considerazioni sulle opere che tu mi invierai o che gli autori vorranno inviarmi direttamente ma sempre previo accordo con Te. Mi riservo però naturalmente, la libertà di scelta. Guido I CRITICI LETTERARI Gli associati a Carta e Penna hanno diritto annualmente ad una recensione gratuita di un libro edito che sarà pubblicata sulla rivista e sul sito Internet nella pagina personale - Inviare i libri direttamente ai critici letterari con lettera di accompagnamento contenente indirizzo, numero di telefono, breve curriculum e numero della tessera associativa a Carta e Penna. z Gli autori che non sono associati a Carta e Penna e richiedono una recensione dovranno versare un contributo economico variabile a seconda del tipo di libro e quindi dovranno contattare la Segreteria dell’Associazione telefonando allo 011.434.68.13 oppure al 339.25.43.034 oppure scrivendo a Carta e Penna, Servizio Recensioni - Via Susa 37 - 10138 Torino o all’indirizzo e-mail [email protected]. z Il materiale inviato non viene restituito z OPINIONISTA: GUIDO BAVA via Dante 9 13900 Biella [email protected] (Inviare solo libri di poesia editi) PACIFICO TOPA Via S. Paterniano, 10 62011 Cingoli (MC) DE LUCA Cinthia Via Badia di Cava, 62 00142 - Roma e-mail: [email protected] TESTATE CHE COLLABORANO CON CARTA E PENNA E IL SALOTTO DEGLI AUTORI Per l’inserimento contattare la redazione - Si richiede e si offre la disponibilità all’inserimento di estratti dei bandi di concorso e/o iniziative culturali intraprese T e sta ta In d iri zzo Re s p o n sa b i le D iba t tit o De m oc rat ico Pia z z a S an F ran ce sc o , 60 - 51 10 0 Pis t oia En zo C ab ella G li Art is ti d el g ior n o V ia Sa n Pie t r o, 8 - 1 20 12 B o v es (C N ) C ar lo Di B ene det t o I l C on vivio V . Pie t ra m a ri na- V er z ella 66 - 95 01 2 C as t iglion e di Sic ilia En za C on t i I l L ab or at o rio d el S e gn alibro V ia U go de C aro lis, 7 0 – 0 01 36 R om a Br u n o F o nt a n a I l M ulin o let t er ario H of s t ras se ,1 0 77 78 7 N o rd r ac h (G erm an ia) An t on io P e s cia io li L a G rint a V ia Pac ino tt i, 1 6 - 13 10 0 V erc e lli St e fan o Di Ta n o L e N uvo l e V ia E n ea, 4 7 - 8 01 2 4 N ap oli M aria Pia De M art in o L e V oc i C .P . 12 4 - 80 03 8 Pom ig lian o d ’Arc o (N A) C laud io P erillo N oialt r i V ia C . C olom bo , 11 /a – 9 80 40 – P e llegr in o (M E ) An dr e a T rim a rc hi P oe t i ne lla S o c ie t à V ia Par rillo, 7 - 8 01 46 N a po li Pas qu ale F ran ci sc he t ti P r es en za V ia Palm a , 5 9 - 80 04 0 S t ri ano (N A) L uigi Pu m bo R n ot es di R u be tt in o Edi to r e V ia A. F ulvi o M a z z a S c o rp ion e L e tt e ra rio C as ella po st ale , 74 0 - Pad ov a An t on ia A r s lan S ila r us V ia B. Bu oz zi , 47 - 8 40 91 B at t ipa glia (S A ) Piet r o R o c co V e r so il fu tu ro C as ella Pos t ale 80 - 8 31 00 A v e llino N un z io M enn a V o lt a, 1 6 - 87 03 0 R en de (C S ) - 60 -