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muoiono se mangiano... ma non smetterebbero mai di mangiare!

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muoiono se mangiano... ma non smetterebbero mai di mangiare!
Poste Italiane. Spedizione in abbonamento postale - 70% aut. DRT/DCB/Torino - N. 1 - Anno 2008 - CARTA E PENNA, Via Susa 37 - 10138 Torino -
ANNO VI - N. 22 - Primavera 2008 Poesia, narrativa, letteratura, cultura generale RIVISTA TRIMESTRALE
MUOIONO SE MANGIANO...
MA NON SMETTEREBBERO MAI DI MANGIARE!
LA SINDROME DI PRADER WILLI COLPISCE
UN BIMBO OGNI 15.000 NATI.
LA DIAGNOSI PRECOCE PUÒ AIUTARE I PAZIENTI
E LE LORO FAMIGLIE A VIVERE MEGLIO!
VISITA IL SITO WWW.PRADERWILLI.IT
O CONTATTA LA FEDERAZIONE AL 338 68 90 187
PER EVENTUALI DONAZIONI:
BANCA SELLA - DIP. TORINO, PIAZZA CARDUCCI - C/C 0084756661 0 ABI 3268 CAB 01012
REALIZZATO DA:
Studio fotografico
Daylight Studio - Torino
Federazione tra le
Associazioni Prader Willi
Associazione Culturale Carta e Penna
Via Susa, 37 - 10138 Torino
Tel. 011 434 68 13
www.cartaepenna.it
Si ringrazia Elena Santarelli
per la sensibilità dimostrata
Con il patrocinio della
I l S alotto degli A utori
IL SALOTTO DEGLI AUTORI
ANNO VI - N. 22 - Primavera 2008
Editore: Carta e Penna - Via Susa, 37
10138 TORINO
Tel.: 011.434.68.13 - Cell.: 339.25.43.034
E-mail: [email protected]
Registrato presso il Tribunale di Torino
al n. 5714 dell’11 luglio 2003
DIRETTORE RESPONSABILE:
Donatella Garitta
[email protected]
Stampato in proprio
SITI INTERNET:
www.ilsalottodegliautori.it - www.cartaepenna.it
E-mail: [email protected]
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I testi pubblicati sono di proprietà degli autori che si assumono la responsabilità del contenuto degli
scritti stessi. L’editore non può essere ritenuto responsabile di eventuali plagi o irregolarità di utilizzo di
testi coperti dal diritto d’autore commessi dagli autori. La collaborazione è libera e gratuita.
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comunicazione al Direttore del giornale, responsabile del trattamento dei dati, da inviarsi presso la sede
della testata stessa: Via Susa, 37 - 10138 Torino.
Sommario
Dante Alighieri -opere minori di Carlo Alberto Calcagno (Arenzano - Ge) .................................................... 13
Raccontami una storia... d’amore Rubrica a cura di Gennaro Battiloro .......................................................... 15
Il pensiero ha bisogno del cuore di Giovanni REVERSO (Torino) ................................................................. 16
Storia del Teatro di Maria Francesca Cherubini (Perugia) ............................................................................... 17
Elaborare il lutto di Giuseppe Dell’Anna (Torino) ..................................................................................... 21
Sark, dove il tempo si è fermato di Gianfranco Gremo (San Gillio – TO) ...................................................... 24
Conoscere Torino attraverso passeggiate a tema di Micaela Martini (Torino) ................................................. 26
Casa Leopardi: attrazione turistica marchigiana di Corrado Alessandrini ................................................... 27
La brutalità della vita e la brutalità della parola nel romanzo di N. Ammaniti, COME DIO COMANDA di
Francesca Luzzio (Palermo) ............................................................................................................................ 28
Prete cattolico felicemente sposato pur continuando a fare il prete? Si può! Ecco la storia… di Franco
Pignotti ............................................................................................................................................................. 30
L’iceberg di Gian Franco Micheletti (Orbassano – TO) ................................................................................. 33
Fiabe e storie albanesi di Bruna Tamburrini ................................................................................................... 35
Ricordando Fischer di Claudio GIOVANARDI (Novara) ............................................................................... 37
La sacralità della vita di Cinthia De Luca (Roma) ........................................................................................... 38
27 gennaio: Giorno della memoria ... per non ripetere con altri semiti di Fulvio Ferrero (Torino) ............... 40
Narrativa .......................................................................................................................................................... 40
Recensioni........................................................................................................................................................ 53
Premi Letterari ................................................................................................................................................. 58
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P rimavera 2008
La vetrina dei libri pubblicati dagli autori
di Carta e Penna
Tutti i libri pubblicati da Carta e Penna sono presentati sia al sito www.cartaepenna.it sia in queste pagine - I lettori
interessati all’acquisto dei testi possono contattare la segreteria che provvederà a far recapitare il libro direttamente
dall’autore - Per ulteriori informazioni sia per la stampa, sia per l’acquisto dei libri contattare la segreteria dell’associazione allo 011.434.68.13 oppure al cellulare n. 339.25.43.034 o inviare un e-mail a [email protected] - Nelle
pagine centrali di questa rivista sono riportate le modalità associative e di pubblicazione dei libri senza codice ISBN IN CAMMINO... di Antonio BICCHIERRI - ISBN: 978-88-89209-73-8 - 12 €.
Antonio Bicchierri ha vinto il primo premio nella sezione poesia della quarta edizione del
Premio Letterario Internazionale Prader Willi - Anno 2007 - Questo libro è il premio che
l’Associazione Carta e Penna, promotrice del concorso, ha messo in palio; la raccolta contiene le prime poesie scritte dall’autore che ha iniziato da poco a cimentarsi nella stesura di
versi. Il poeta ha scelto di raccogliere le proprie liriche in diversi capitoli, raggruppandole in
base ai contenuti e all’ispirazione che hanno guidato il nascere del verso.
Nella premessa Antonio Bicchierri sostiene che”La vita è passione, sentimento, felicità, dolore, tormento” e nelle sue poesie vi sono questi sentimenti, espressi con versi chiari, semplici
e mai banali, utili ad esternare le proprie emozioni.
Leggendo i versi di Antonio Bicchierri si coglie l’attenzione al dettaglio, la riflessione dettata
dalla sensibilità del poetare per arrivare a comunicare al lettore i propri convincimenti o dubbi.
L’amore per la propria terra, il duro lavoro del contadino, i grandi e terribili eventi che hanno
costellato la storia, diventano argomenti duttili sotto la penna del poeta attento che, con
poche pennellate, ritrae un quadro ardente e ricco di sfumature...
PERCORSI - Raccolta poetica di Giacomo GIANNONE ISBN: 978-88-8920-70-7 - Prezzo: 7,00 €.
GIACOMO GIANNONE ha vinto il primo premio nella sezione poesia della terza edizione
del Premio Letterario Internazionale Prader Willi - Anno 2006 - La sensibilità poetica di
G.G. ha portato i giurati ad esprimere un corale consenso nei confronti delle poesie Sul
monte crateri fumanti - Cocci di terracotta - Dalla cuna della casa antica presentate al
concorso poiché i versi dell’autore colpiscono per la profondità e per la delicatezza con
cui espone il proprio sentire. Questo libro è il premio che l’Associazione Carta e Penna,
promotrice del concorso, ha messo in palio e l’autore ha scelto di raccogliere le proprie
poesie in tre diversi capitoli, raggruppandole in base ai contenuti e all’ispirazione che
hanno guidato il nascere del verso. Nei componimenti l’autore affronta argomenti anche
gravosi quali l’emarginazione, il difficile rapporto tra generazioni (vicine, ma così diverse
da non riuscire quasi più ad intendersi) o il passar del tempo e la malattia e si può
osservare una grande attenzione al dettaglio che offre l’ispirazione. L’autore effettua
un’attenta ricerca di termini e analogie per esprimere il proprio punto di vista e questo
coinvolge il lettore che si lascia avvolgere dall’atmosfera creata. Inoltre la ricerca attenta
delle parole porta alla creazione di un verso con una sintesi lessicale elegante, mai scarna
ma equilibrata e capace di comunicare le forti emozioni del poeta.
FINALMENTE...L’AMORE VERO di Maria Rosa GELLI
ISBN: 978-88-89209-71-4 - 15 € .
Maria Rosa Gelli è nata e vive in Toscana.
Giornalista pubblicista collabora regolarmente a delle testate giornalistiche in seno
alle quali cura rubriche e articoli vari.
Poetessa e narratrice ha al suo attivo, tra l’altro, due sillogi poetiche: Una promessa è
una promessa e Dietro lo specchio editate da G. Laterza di Bari e un romanzo Una
goccia nell’oceano ed. Colombo. Tali pubblicazioni sono state accolte dalla Critica
ufficiale con lusinghieri giudizi.
Diverse riviste specializzate e antologie, italiane e straniere, riportano poesie cui seguono commenti assolutamente favorevoli.
Presente e conosciuta nel mondo della cultura, ha ricevuto significativi premi e riconoscimenti.
Fa parte, quale Accademica, di varie strutture italiane.
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I l S alotto degli A utori
LE LACRIME DEL SOLE di Giuseppina IANNELLO SICCARDO
ISBN: 978-88-89209-75-2 - Prezzo: 13 euro
Questo mio libro “Le Lacrime del sole”, ha come tema di fondo, la figura umana nella
interezza della propria spiritualità. Racchiude altresì, il concetto del rispetto per ogni forma di
vita e per ogni espressione della vita stessa articolata secondo un sano equilibrio e rapporto
tra spiritualità e materia e, se trovo simpatici, perfino alcuni oggetti, una statuina, una scatola,
un bacile, è perché dalla loro fattura, traspare il temperamento artistico e poetico di chi tali
opere ha costruito (demiurgo). Nelle “Lacrime del sole”, sole auspicato dagli esseri umani,
quasi sempre, immagino che il celebre astro, versi una lacrima di commozione, ogni qualvolta,
un bambino viene alla luce. Per lacrime intendo anche la rugiada, quella per la quale un
giardino appare ancora più incantevole perché baciato dalla luce delle emozioni; ecco perché
ros solis, mi è sembrato un titolo appropriato per ciò che io voglio esprimere. In conclusione,
il mio libro tratta argomenti autobiografici e non, ma con un contenuto ed una forma che sono
il risultato di una sottile fusione tra realtà e fantasia; fusione, anche, tra pianto ed umorismo.
Acquistando una copia si avrà in omaggio il volume di poesie dell’autrice: Nel mare dei miei
sogni.
A SUD DI NESSUNO di Agostino MARANO
ISBN: 978-88-89209-78-3 - Prezzo: 8 €.
Agostino Marano è nato a Napoli il 17-03-1942, dove vive e opera. Pittore poeta e scrittore.
Scrive poesie da vari anni in napoletano, italiano e francese. L’autore in questa raccolta di
racconti colleziona attimi di vita quotidiana, esperienze di vita vissuta e sentimenti veri, guidando il lettore tra le esperienze ch’egli ha vissuto o immaginato. Per desiderio dell’autore i proventi ricavati dalla vendita di questo volume saranno devoluti a favore dell’Associazione Prader
Willi, malattia genetica rara che colpisce un nato ogni 15.000 causando ipotonia, appetito insaziabile, obesità, ritardo mentale, ritardo funzionale, bassa statura negli adulti e problemi
comportamentali, legati alla mancanza del senso di sazietà. Questo è uno dei problemi maggiori: il paziente, essendo privo del senso di sazietà, a causa di un’anomalia nel centro che controlla
questo stimolo nel cervello, ha un appetito inestinguibile; allo stesso tempo la malattia causa una
disfunzione nel metabolismo che riduce notevolmente la capacità dell’organismo di bruciare le
calorie assunte. La diagnosi precoce è di primaria importanza in quanto dà la possibilità di
intervenire con farmaci e cure affinché, sin dai primi mesi, si possa migliorare la qualità della vita
del bimbo e della famiglia.
RISVEGLIO E ALTRE STORIE CON LE ALI
di Giuseppina RANALLI - Prezzo: 13,00 euro ISBN 978-88-89209-72-1
Le farfalle, delicate creature, le cui ali sembrano tele di pittore sulle quali la natura si diletta a
dipingere usando ogni colore della tavolozza, sollecitano l’immaginazione degli artisti, che
nella loro danza, nel loro fondersi ai colori dei fiori, e nelle loro metamorfosi, vedono la vita
dell’uomo, mutevole, magnifica e crudele, ma soprattutto breve.
Alla, la protagonista di tutti e quattro i racconti, è una farfalla dalle ali completamente bianche. È una creatura semplice e sensibile, con un senso profondo dell’amicizia. È l’esempio di
come nella vita sia importante essere e non apparire, di come le qualità della mente siano più
importanti di quelle del corpo. Non manca tra i racconti, un mito, genere di favola che tanto
piace all’autrice e che ancora una volta, con “Risveglio e altre storie con le ali”, ci guida nel
mondo della fantasia, raccontandoci la vita col suo scrivere semplice e scorrevole.
LA COMUNICAZIONE AUMENTATIVA ALTERNATIVA, GIOELE E IO
di Susanna Voccia
ISBN: 978-88-89209-74-5 - Prezzo: 12,50 €.
Questo libro fornisce delle indicazioni su come gestire la CAA dall’inizio con un bambino
diversamente abile. Gli strumenti utilizzati mi sono stati forniti da diverse logopediste ma
anche da altre mamme che come me avevano un bimbo speciale. Altre cose le ho inventate e
sperimentate con Gioele. Sicuramente la cosa indispensabile per conseguire risultati è la
costanza, la collaborazione con più persone e la fiducia nelle possibilità di mia figlia e nel
sistema CAA. Mi rendo conto che ogni bambino è un mondo a se ma forse potrete trovare
tra le pagine qualcosa di utile.
Per contatti diretti con l'autrice: e-mail: [email protected] - Cellulare: 339.44.76.340
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P rimavera 2008
PRIME POESIE di Giacomo ABBATE - 10 €. Le poesie raccolte in questo volume sono, come si evince dal titolo, i primi scritti
dell'autore e toccano gli argomenti più disparati: l'handicap, il ruolo dela donna, i
ricordi... Proponiamo alcuni versi dedicati alla moglie:
Da più di vent’anni noi siamo sposati,
belli dolci e sani abbiamo tre figli
abbastanza studiosi e aperti ai consigli
ci amiamo come quando ci siamo incontrati.
Mia moglie è una donna opulenta e formosa
ha belle curve da accarezzare e da vedere
Belle le rughe profonde d’espressione
incantato dalle movenze del sedere
ha amato, ha sofferto, si è anche divertita
piene ho le mani della sua carne setosa.
ha partorito i figli, ha amato la vita
ha dato tanto con dolcezza e passione.
IL MIO ESSERE VITA di Andrea BERTI- 13 €.
Dalla prefazione di Marzia Carocci: “Andrea Berti nasce a Firenze, dove trascorre la propria vita attingendo all’arte poetica, uomo sensibile e fortemente religioso, è dotato di
spiccate capacità artistiche ed umane. Già autore di volumi poetici, si cimenta in questo
libro aprendo il suo cuore, mettendo a nudo un’anima semplice, liberandosi da ogni
inibizione, ci offre così un quadro limpido e traboccante di vissuto. Le sue riflessioni ci
regalano emozioni forti e ne comprendiamo tutta la sua interiorità, ciò fa del Berti un
uomo di altri tempi, con radici ben radicate al richiamo familiare, al Credo religioso,
dove trova rifugio ad ogni suo timore umano, ogni paura sembra scomparire al cospetto
di Colui che fa sperare mondi migliori. Il poeta è ben conscio della realtà conforme alla
natura umana con tutti i suoi drammi ed ostacoli, descrive esperienze personali, stati
d’animo, dubbi, il tutto narrato servendosi reminiscenze spesso dolorose, ma sempre
guardando avanti, attraverso immagini luminose, senza retoriche o banalità e comunque
mai pessimistiche.
NEI GIARDINI DI SPAGNA di Oreste BONVICINI
Note di viaggio e letteratura
Non sapere che itinerari / la sera il vento il cuore / sopra la pietra che si è fatta ombra.
(Souvenir, Giorgio Simonotti Manacorda)
Ci sono mete che si raggiungono all’alba come il risveglio dopo una notte di sogni torbidi e
gravi, quando la luce filtra la cortina delle tende. Ci sono mete che si oltrepassano smarrendo
l’occasione di riconoscerle. Ci sono mete che non si raggiungono mai. E invano il cammino si
affanna ripercorrendo il già percorso sui sentieri del tempo, invocando anche l’intercessione
divina, aspettando la luce delle stelle indicarci la direzione. Di tanti valori avevamo caricato il
viaggio in Andalusia, meta raggiunta all’alba di una primavera che stentava a decollare, fredda
ancora, con sbalzi umorali di pioggia e squarci di sereno e notti fresche o fredde e improvvisi
rovesci, meta oltrepassata perché tutto concorre a far della Spagna di questi anni un cantiere
dove il passato si annulla, nella frenesia di nuovi modelli economici che hanno nel consumismo
quel desiderio di rivincita che la nostra esperienza ha maturato in decenni ormai trascorsi ...
SOGNANDO IN VENTI MINUTI di Paolo BONZO - Prezzo: 8 €.
Il continuo oscillare tra il razionale e l’irrazionale, la realtà e l’irrealtà elementi sempre più
vivi e presenti nell’epoca dove sembrerebbe facile poter dare una spiegazione a tutti gli eventi
che completano la nostra vita, mi ha indotto a scrivere questo breve libro che vorrei fosse di
aiuto a chi avrà la pazienza e la voglia di leggerlo, per meglio comprendere tra gli innumerevoli enigmi che stuzzicano la curiosità umana, uno in particolare con il quale ci troviamo
costantemente in diretto rapporto senza preoccuparci della sua importante e entusiasmante
naturalità, cioè i sogni. Intendo riferirmi ai sogni come dire gli incoscienti o forse coscienti
fatti di estasi e vagabondaggi dello spirito, di abbandoni e di aspirazioni, di contemplazioni e
bisogni emotivi che si avviano nel cervello quando “Morfeo” ci chiude le palpebre e stende
sulla nostra vita da svegli una coltre trasparente e leggera...Il nostro corpo, allora giace inerte
appena turbato dal respiro, alla vita attiva, cosciente, subentra per ragioni fisiche la vita incosciente, inattiva. Il corpo riposa ma il centro della vita, il cervello, non rinuncia alla sua attività, costruisce per mezzo delle impressioni sensoriali quelle meravigliose sequenze di momenti
che sanno di beatitudine e di dolore, di gioie e di disillusioni, il nostro corpo è quasi immobilizzato, mentre la mente costruisce una vastità enorme di fantasie...
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I l S alotto degli A utori
PUZZLE - Racconti gialli e del mistero di Matilde CISCOGNETTI - 15 € Poetessa e scrittrice napoletana, Matilde Ciscognetti ha pubblicato vari libri, tra cui ‘La luna
nelle mani’ (Premio Città di Vallesenio) e ‘Kimeo e altri racconti’ per la narrativa. Per la poesia
‘Cuore di legno’, ‘Il fiore di sabbia(versi haiku), ‘Axidie’ (poesie in vernacolo), ‘Le voci del
tempo’, ‘E chi se non il vento…’, Versi sciolti, ed altri. Autrice anche di testi teatrali, ha di
recente ottenuto il premio ‘Città di Mesagne’ (BA) per il teatro, per il lavoro ‘Il pegno galeotto’. L’autrice cura personalmente le copertine dei suoi libri con disegni, foto e composizioni
grafiche di sua creazione.
Le storie narrate in questi racconti, scritti agli inizi degli anni '90, si succedono con i loro
personaggi, fatti e luoghi, sullo sfondo della imponderabilità umana che, pure sfuggendo al
controllo della razionalità, finisce per diventare filo conduttore di eventi plausibili, possibili
nella loro dinamica di svolgimento, e suscettibili di una interpretazione logica anche dell'inconscio. Ciò in virtù di un meccanismo di scrittura avvincente e nel contempo attenta agli aspetti
inconoscibili dell'animo umano.
IL VALORE DELLE COSE - Racconti di Edda PELLEGRINO CONTE Dal primo racconto che dà il titolo alla raccolta: Si sentiva un intruso. Forse la memoria gli
suggeriva visioni ingannevoli, illusa da un vissuto lontano. Non ritrovava né persone né cose
che avessero un legame con la sua infanzia. L’ambiente era mutato, il vivere diverso, la gente
sconosciuta. Quello non gli sembrava il suo paese, né quella era la sua gente. Si chiedeva se
gli anni trascorsi altrove potessero essere motivo sufficiente a creare tale sensazione di
estraneità. Invano ricercava la bellezza dei vasti orizzonti, o il colore della sua terra: terra
rossa sotto ulivi giganti, in mezzo a viti generose e forti. Una società nuova aveva cancellato
il georgico candore di un tempo. Trattori moderni e congegni automatizzati avevano sostituito la fatica dell’uomo nei campi. Il vivere quotidiano ne risultava rivoluzionato. Anche lui,
del resto, non era più la stessa persona che un giorno lasciò la terra dei padri per un vivere
diverso. Con la sua fuga l’aveva forse tradita, quella sua terra, che oggi non lo riconosceva,
che forse lo rifiutava..... Un triste ritorno, una serie di pensieri amari di uno che tornava,
chiamato ad assolvere un triste compito, quello di raccogliere i resti di una modesta eredità.
ALI NEL TEMPO di Ermanno CROTTO - 10 €.
Ermanno Crotto è nato a Torino nel 1974 dove vive e lavora. Divide il suo tempo libero tra
scrivere poesie, pensieri e l’hobby per la fotografia prediligendo paesaggistica, ritratti, macro.
Attivo come cantante (baritono) nel Sunshine Gospel Choir di Torino. E’ alla sua prima pubblicazione con Carta e Penna editore. La poesia che segue è tratta dalla silloge:
C HIARO DI L UNA
Le tue mani
…nell’etere
nei passaggi silenziosi
spargevi
inesplorati
celato forse
ancora una volta l’infinito
del tuo presente immortale
dagli attriti
ebbe la meglio sulle tempeste
scorrevano
di un tempo
del mondo
sul suono
prematuro
di un rinnovato idealismo
che il tuo animo
…suggerivi
(al maestro
dipingeva
vibrazioni
Ludwig Van Beethoven)
sulle ali del tempo,
nuova luce
Agata Fernandez Motzo, è nata a Trapani il 9 marzo
1927, ha conseguito la laurea in Lettere classiche all’Università di Palermo, è sposata, ha tre figli e un
nipotino.Insegnante in pensione può dedicarsi con più
disponibilità di tempo al binomio Religione-Poesia. È
francescana secolare dal 1950, attualmente nella
fraternità Immacolata concezione di Roma. Ha pubblicato finora, in seguito a premiazioni e segnalazioni conseguite in concorsi letterari, su riviste letterarie e antologie; con Carta e Penna Editore ha pubblicato la silloge
poetica Una voce divina, quale primo premio del concorso Re Sole bandito da Penna Magica, associazione
letteraria di Garbagnate Milanese. Ha inoltre pubblicato, con Carta e Penna Editore, le raccolte poetiche Il
Sacro fuoco e Col nodo più stretto e, tra i quaderni del
Convivio, la silloge Misteriosi orizzonti.
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P rimavera 2008
CENISCHIA E MORIANA - Raccolta poetica di Fulvio FERRERO Dalla premessa dell'autore:
Primo Levi è lo scrittore che preferisco, una delle mie radici. Al Museo della Resistenza, lo
vidi ritratto con lo sfondo del ghiacciaio delle Evettes: anche lui in Moriana e nel periodo
della foto ero negli stessi luoghi! Adoro il libro “Sistema periodico”, racconti legati ad un
elemento chimico. Mi avvince sempre il racconto del “Carbonio”. Quest’ultimo marcò il
mio mestiere d’alchimista, quando ebbi la sorte di manipolarlo nei polimeri. Era solo materia inanimata. Mi coinvolge soprattutto perché ricomincia senza sosta il ciclo tra anidride
carbonica, calcari e la materia vivente. Negli anni ‘90 incominciai a scrivere ricordi d’escursioni. Per affinità (od imitazione di Primo?), volli dare loro il nome di un fiore alpino. Narro
trentacinque anni di gite sulle montagne sorelle della bassa Val Susa e della Haute Maurienne.
Qui ne riporto alcuni con poesie. Sono grato a Silvio che me le fece scoprire. Mi fece
assaggiare, “la carne dell’orso” come il Sandro del Ferro ed imparai a superare pericoli,
paure non solo sulle pietre e sui ghiacci. Le cime sono ormai irraggiungibili. Pensai che
avrei sofferto molto, mi sono adattato, è la regola della natura.
SINFONIA CELESTE di Elio Porfirio GASBARRO - 10 euro
L’autore è nato a L’Aquila risiede a Ciampino (Roma). Ha frequentato Licei classici in Istituti
religiosi. Dirigente importante Società Responsabile Abruzzo. Ha partecipato a molti Concorsi letterari Nazionali e Internazionali, riscuotendo sempre ed ovunque lusinghieri successi.
Nomina a Membro Honoris causa a vita della Unione Pionieri della Cultura Europea - CDAP
- UPCE. Finalista in più Associazioni tra cui la Ibiskos di A. Ulivieri; Associazione Primavera
Strianese; Associazione Il Simposio, Libera Associazione Poeti e Scrittori ed altre.
Tra i vari premi vinti si segnalano i più recenti: Premio Letterario Nazionale Cuore di Sicilia,
concorso Internazionale Arte e Letteratura Città di Avellino Trofeo verso il futuro - Premio
Festival della Poesia Europea - Associazione Culturale Il Pianeta dell’amore - Premio Associazione Culturale Astra - Premio Nazionale Cuore di Sicilia / Quasimodo - Premio Accademia Italiana gli Etruschi. Premio al VI Festival della poesia europea, Ass. Il Pianeta dell’Amore - Diploma d’onore Accademico Contea di Modica - Secondo premio Terza Biennale d’Arte e Letteratura 2006, Omaggio alla Città di Roma.
UOMINI E DONNE... SEMPRE PIÙ SOLI
di Gianfranco GREMO - 12 euro
L’autore è nato il 17 ottobre 1947 a Torino. Ama scrivere racconti, poesie e commedie; la sua
opera “Nostalgia del presente” è stata più volte replicata con successo in diversi teatri torinesi. Questo è il secondo volume che pubblica con Carta e Penna ed è il proseguimento del
primo poiché continua l’escursione dell’autore nel mondo emotivo degli uomini e delle donne.
Un mondo affascinante, nonostante quel “sempre più” che tende a colorarlo di pessimismo.
Questa volta il suggerimento è di ricavare forza dalle difficoltà relazionali che si incontrano
nella vita.
Affrontarle per vincerle è il compito di tutti noi.
IL BAMBINO VENUTO DAL CIELO di Roberta LOLLI
Una persona speciale ha attraversato, come un angelo, le nostre vite. Spesso però ci si dimentica delle persone che con la loro dedizione e la loro rassegnazione silenziosa, hanno fatto sì
che queste persone diventino speciali. E’ per questo che ho scritto queste poche righe, per
ricordare la dedizione esemplare dei genitori di Emanuele e la rassegnazione e la rinuncia ad
un loro abbraccio da parte di Luca, grandissimo fratello; e un po’ per tutti noi che l’abbiamo
accolto ed amato. Ho sempre creduto che i numeri fossero in qualche modo legati ad un
significato ben preciso e si presentino a noi in momenti ben definiti.
3 è il numero della S. Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo.
7 è il numero perfetto di Dio. Nella Sacra Bibbia è un numero ricorrente: in 7 giorni Dio compie
la Creazione, 7 sono i bracci dei candelabri ebrei,... e infine 7 sono gli anni della sua vita.
Affiancando i due numeri si ha proprio la data di nascita di Emanuele: 3 - 7 - 1998
“Ecco, la Vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi” ( Matteo 1,23 )
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I l S alotto degli A utori
I GIALLI DEI LIMONI di Silvio Minieri - 10 euro
Dall’introduzione: “Il protagonista di queste brevi storie è, ad oggi, l’ultimo arrivato tra i
commissari di polizia della letteratura italiana di genere “giallo” e da neofita è sicuramente un po’ intimidito dalla compagnia illustre, in cui si è venuto a trovare. E’ un personaggio abbastanza evanescente, appartiene al Mondo 3 di Popper, ha la stessa consistenza
dei disegni animati o delle figurine dei fumetti, forse non esiste, come dice di essere sicuro
Eco di tali personaggi (A passo di gambero, p.264), anche se Gadamer afferma la “entità”
dei prodotti dello spirito umano. E’ verosimilmente uno dei tanti simulacri o idola, che
scivolato via dall’esistenza di una sua particolare realtà, si aggirerà per sempre negli
infiniti spazi, a dirla con il linguaggio di Epicuro e di Lucrezio, per andare a finire chissà
dove. Eppure oggi molti di codesti simulacri vengono captati con frequenza quotidiana
dalle potenti antenne televisive e noi li vediamo muoversi sul piccolo schermo di casa:
chissà se sono veri (reality) o falsi (fiction)! Dicevo della timidezza del mio commissario: è
un giovane, direi un giovanissimo, di carattere riservato, più sognatore che policeman,
quasi un poeta con i suoi “gialli dei limoni” di montaliana memoria. Se consideriamo la
sua attività, ci rendiamo conto che esordisce con un arresto “spettacolare” abbastanza
discutibile, per poi ripiegarsi nell’interiorità di un suo infelice amore. ...
FARFALLE raccolta poetica di Lina PALMIERI
Lina Palmieri, è nata a Sessa Aurunca (CE). Vive a Torino, dove ha lavorato come insegnante in alcune scuole elementari. Da quando è andata in pensione, ha potuto dedicarsi con più
impegno alla scrittura, che ha sempre amato.
Con Carta e Penna Editore ha pubblicato i suoi primi racconti nel libro Arcobaleno; di esso
fanno parte i Racconti Bonsai, da lei ideati, cioè racconti brevi che si svolgono in un breve
arco di tempo. In questa silloge, Farfalle, l’autrice ha raccolto poesie scritte nell’arco di
molti anni, e due opere del marito, Pier Paolo Bassignana.
LUCI NOTTURNE
(10-11-06)
L’AURORA ROSA
(27-2-07)
NEL MIO CUORE
(27-2-07)
Luci notturne
scintillano nell’aria:
stille di vita.
L’aurora rosa
dipinge il mio cielo:
calda speranza.
Nel mio cuore
albergano visioni;
sogni d’amore.
IL GRANDE BOSCO di Fiorella REY di VILLAREY
Che cosa vorrà mai comunicare un poeta, oggi? Credo abbia ancora un senso consegnare dei versi ad un libro. Chi li scrive trasmette emozioni,vuol essere un amico che
racconta il giorno ,l’eterno, il dolore che ci attornia, tra muri di solitudine e la ricerca
del volo. Fiorella, anche lei nel labirinto della vita, alla ricerca di certezze, tra aneliti
e realtà, scandisce il suo pensiero con parole alte, di cristallo. La forma essenziale,
ove scorre la musica, i contenuti equilibrati, tendenti all’ottimismo,rivelano schiettezza di sentire e capacità di ascolto dell’altro.
Fulvio Ferrero
A pagina 19 l’omoma poesia di apertura del libro
RACCOLTA DELLE OPERE DI POESIA
DEL CONCORSO LETTERARIO
INTERNAZIONALE PRADER WILLI
ISBN: 978-88-89209-76-9 - 12 euro
RACCOLTA DELLE OPERE DI NARRATIVA DEL CONCORSO LETTERARIO
INTERNAZIONALE PRADER WILLI
ISBN: 978-88-89209-77-6 - 12 euro
Contattare la segreteria per prenotazioni di copie:
Tel: 011.434.68.13 - 339.25.43.034
e-mail: [email protected]
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P rimavera 2008
Cinque gioielli firmati dalla scrittrice partenopea Monica FIORENTINO:
LA STORIA DELL’ANGELO AZZURRO - LA STORIA DELL’AQUILA NANA - LA LEGGENDA DEL
DRAGO TURATI E DELLA STREGA CHE NON VOLEVA CUCIRGLI L’ALA - LA FANTASTICA AVVENTURA DELL’ELFO SILVANO - IL RACCONTO DEL FOLLETTO LUCIDASTELLE In questi libri tascabili Monica Fiorentino ha raccolta delle brevi ma intense storie dedicate ai lettori in cerca di letture
che facciano volare la fantasia tra personaggi immaginari e leggende antiche.
Il dottor Manzo (poeta, filosofo, teologo, traduttore di classici greci, latini e della letteratura internazionale) prosegue con la pubblicazione di sue poesie, saggi e traduzioni.
Ecco gli ultimi titoli: ESSER SANTO OGGI - L’AVATARA KRISHNA - CONFUCIO
E LAOZI - ORIGENE, “PRINCIPII” - QUALCOSA DI TE IN ME, DI ME IN TE AURELIO CLEMENTE PRUDENZIO “INNI DI OGNI GIORNO - POESIA GRECA - POESIA LATINA A fianco: l’autore con Kabir Bedi, interprete del
celebre sceneggiato televisivo Sandokan, tratto dai
romanzi di Emilio Salgari.
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I l S alotto degli A utori
Quattro chiacchiere col Direttore
Gentili Autrici,
Gentili Autori,
negli ultimi mesi si sono susseguite moltissime novità!
Inizio con quella che mi
coinvolge in prima persona
e che introduco con una battuta: ebbene sì, anche i direttori pubblicano i propri libri! È uscito, alla fine di dicembre, pubblicato dalla
Neos Edizioni di Rivoli il mio primo romanzo intitolato
Il rio racconta – Una storia del ‘600; è un romanzo storico ambientato a Torino e in altri luoghi che mi sono particolarmente cari. Chi avesse piacere di leggere il libro
può richiederlo all’editore o direttamente a me ai miei
soliti recapiti: sarà inviato senza spese postali all’indirizzo che vorrete indicare.
Un’altra bella novità è data dalla diffusione dello spot
realizzato a favore della diffusione della conoscenza della Sindrome di Prader Willi. Il 16 febbraio, durante il telegiornale delle 13,00 su Canale 5 è stato trasmesso il
servizio realizzato da Beppe Gandolfo, corrispondente
del TG5 da Torino, nell’ambito della rubrica Indignato
speciale e curata da Andrea Pamparana; in questo servizio si metteva in rilievo il fatto che, purtroppo, lo spot
realizzato grazie alla collaborazione gratuita di tante persone, sarebbe rimasto in un cassetto poiché la Fondazione Pubblicità Progresso ha negato gli spazi per trasmetterlo in televisione. Quel servizio ha, come si suol dire,
smosso le acque e portato i primi risultati concreti; a pochi minuti di distanza dalla trasmissione del servizio il
telefono di Via Susa ha iniziato a suonare quasi ininterrottamente… erano persone che volevano esprimere la
propria solidarietà! Siamo stati contattati dal direttore della
rivista TRENTAGIONI, mensile a distribuzione gratuita che ci ha dato la disponibilità di una pagina per la pubblicazione del manifesto che vedete in copertina. Successivamente ci ha contattati l’associazione Associazione per
la tutela degli utenti della strada che ha predisposto un
link all’interno del proprio sito www.assotus.org.
Il NetWork www.spotdream.com di Daniele Proietto
con varie WebTv (totalizza più di 6 milioni di accessi al
mese da tutta Italia) ha trasmesso gratuitamente per un’intera settimana lo spot nell’ambito di alcune TV presenti
in Internet. Inoltre su www.spotandweb.it è stata pubblicata un’intervista, realizzata da Fabio Muzzio, in merito
alla S.P.W.
Un altro bel regalo è stato fatto da SKY TV, la televisione satellitare che lo ha trasmesso per due settimane su
vari canali grazie all’interessamento di Enrico Di Rosa,
nostro associato che ha curato anche la parte organizzativa
della realizzazione. Ovviamente continueremo a cercare
spazi dove poter trasmettere lo spot, confidando nella disponibilità dei funzionari televisivi.
Passando alle notizie dei vari concorsi a pagina 59 troverete le graduatorie della seconda edizione del premio
letterario Infermierionline AIOL 2007 e del concorso letterario Città di San Gillio: un ringraziamento a tutti i partecipanti e complimenti ai vincitori.
Si è anche concluso il PREMIO DEL DIRETTORE
e la graduatoria finale è la seguente:
Sezione articoli: 1° posto – Giulia Del Giudice; 2° posto
– Pacifico Topa; 3° posto ex æquo – Rubbianesi Silvia e
Paolo Bonzo;
Sezione poesia: 1° posto – Tina Piccolo; 2° posto –
Mariateresa Biasion Martinelli; 3° posto – Gianclaudio
Vassarotto.
Ringrazio sentitamente la giuria, composta dai lettori
della rivista e mi complimento con i vincitori che si sono
classificati, come si suol dire, sul fil di lana!
Sempre in tema di concorsi si è svolta a Torino il 25
novembre 2007, presso il Circolo Eridano di Corso
Moncalieri, 88, la premiazione della quarta edizione del
concorso Prader Willi. È stata una giornata piacevole, trascorsa nelle accoglienti sale del Circolo affacciato sulla
riva del Po e sede estiva del circolo degli Artisti di Torino.
Sono stati con noi, oltre agli autori premiati, la Segretaria
dell’Ass. S.P.W. del Piemonete con suo figlio Fabio, incaricato di consegnare i premi.
A pagina 58 il bando completo della quinta edizione
che chiude le iscrizioni il 30 giugno. Sono anche state
realizzate due antologie contenenti tutte le opere che hanno partecipato al concorso, una per la narrativa e una per
la poesia, presentate tra i libri nelle pagine successive; chi
fosse interessato ad averne copia potrà richiederla alla segreteria oppure, se pensa di visitare la Fiera del Libro che
si terrà a Torino dall’8 al 12 maggio, potrà trovarla allo
stand che condividiamo con la Federazione Malattie Rare
Infantili di Torino. Al momento non ci è ancora stato comunicato il numero dello stand ma lunedì 12 maggio alle
ore 18,30 – Spazio Autori Calligaris B – si terrà la conferenza stampa di presentazione delle nuove iniziative
associatie e degli autori presenti in Fiera.
Donatella Garitta
Carissima Donatella,
eccoci a riprendere il nostro cammino letterario nel 2008.
Innanzitutto desidero ringraziare te e quanti, tra gli amici
autori, mi siete stati vicini per la perdita del mio papà.
C’è un senso di grande tristezza che avvolge l’animo in
queste circostanze e per superare un simile stato emozionale è pur necessario attraversarlo fino in fondo, viverlo
nella sua interezza per poterlo poi lasciare partire e aprire
così una nuova porta. In realtà, per riuscire ad esprimermi
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P rimavera 2008
in questo modo, ho fatto un corso di preparazione al “lutto” e cioè alla “perdita”, a qualcosa che “termina”, ma
per poter entrare successivamente in una nuova fase. Sono
stato indeciso fino all’ultimo, ma ho poi accolto lo stimolo interno di scrivere un articolo sull’esperienza appena vissuta, col profondo desiderio di essere d’aiuto a me stesso e
a coloro che, in queste circostanze, ne hanno bisogno.
Ho notato che hai già stilato un programma operativo
per il 2008, l’augurio che tutto proceda per il meglio, sia
attraverso la tua attività, sia attraverso la nostra presenza e
collaborazione.
Buon lavoro a te e agli amici autori.
Giuseppe Dell’Anna (Torino)
Cara Donatella,
siamo arrivati ad un nuovo Otto Marzo, ed è piacevole
porre a tutte le rappresentanti femminili del “Salotto”, un
caloroso Augurio, così come mi preme ricordare che l’Otto
Marzo 2006 a Vinovo, è stato presentato il libro
“Ottimesia”, un altro modo di vedere ed apprezzare la
vita.
Giuseppina Ranalli ideatrice del “Progetto” si è prodigata nel relazionare circa l’Ottimesia, spiegando che “è il
desiderio condiviso di molti poeti di evidenziare l’aspetto positivo della vita, in quanto la scrittura, in modo particolare della poesia, è un efficace metodo terapeutico
perché aiuta l’uomo a liberarsi di pesanti fardelli condividendoli con gli altri e permettendo loro di prenderne coscienza, tanto da scoprire, attraverso lo scritto, l’univer-
salità del proprio dolore (che diventa condivisione e quindi
liberazione)”.
L’Ottimesia si prefissa come scopo, ci ricorda sempre
l’ideatrice del progetto, “di condividere attraverso la poesia, non solo i momenti più dolorosi della vita, ma anche le emozioni più gioiose, quindi di trasmettere un
messaggio positivo che sappia infondere fiducia”.
E’ senz’altro uno sforzo che vale la pena di compiere
per ritagliarsi anche un piccolo spazio, che sia una boccata d’aria pura contro l’inquinamento, di tutti i tipi, sempre
più aggressivo e diffuso.
E’ un dovere morale verso se stessi ed una piccola grande
gioia della vita, poter avere una scansia della memoria in
cui riporre pensieri positivi da condividere con gli altri.
Di notizie pessimistiche e negative, abbiamo già riempito la mente tanto da farci condizionare e anche al mercato dell’insipienza, non possiamo più venderne né regalarne perché ormai tutti ne possediamo già oltre il dignitoso fabbisogno.
E’ una grande occasione quindi questa Ottimesia, una
grande opportunità che ci permette di stare meglio con
noi stessi e con gli altri.
Ricordiamocene, permettendole di allargare i suoi confini.
E a questo punto, che l’Otto Marzo sia, oltre che la
festa dell’altra metà del cielo che brilla nell’universo dei
sentimenti, anche quella dell’”Ottimesia”.
Auguri a tutti!
Aldo Di Gioia (Torino)
Il romanzo è ambientato nei dintorni di Torino e nella città stessa negli anni che vanno dal 1630 al 1642,
trattando un particolare assedio subito dalla città nel 1640. Quest'assedio è poco conosciuto ma piuttosto
insolito: Maria Cristina, sorella del Re di Francia Luigi XIII e soprannominata Madama Reale, reggente del
Ducato di Savoia è barricata nella Cittadella Fortificata con alcuni soldati francesi a lei fedeli; la città, che circonda la cittadella, è in mano ai principisti che,
col sostegno degli spagnoli, cercano di resistere all'accerchiamento dei francesi che vogliono conquistare Torino e liberare Madama Reale i militari della
cittadella. L'esercito francese, però, è a sua volta accerchiato da quello spagnolo che ha tutto l'interesse di liberare la città dalla morsa francese...
In tutto questo trambusto fatto di alleanze, tradimenti e inganni si muove
Sebastiano, un giovane obbligato a lasciare la propria casa a causa della
peste... la stessa epidemia resa famosa dal Manzoni e che colpì tutt'Italia e
non solo!
La vita di Sebastiano e degli altri protagonisti si intreccia con quella dei grandi personaggi, che hanno segnato tappe significative nella Storia dei Savoia.
Tutto inizia col ritrovamento, in una biblioteca devastata dall'alluvione, di alcuni
documenti... In appendice è stata inserita la ricerca storica effettuata per poter
ambientare adeguatamente fatti e personaggi.
IL RIO RACCONTA
di Donatella Garitta Saracino
Neos Edizioni ISBN 978-88-88245-82-9
11,00 euro
Per richiedere il libro:
NEOS EDIZIONI
Via Genova 57 - Rivoli (TO)
Tel.: 011.957.64.50 Fax 011.957.64.49
www.neosedizioni.it
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I l S alotto degli A utori
Congratulazioni a...
La giuria del premio PENSIERI IN VERSI ha premiato, tra gli autori di Carta e Penna:
ERNESTO D’ACQUISTO: nominato Ambasciatore di Pace nel mondo dalla Commissione di lettura
internazionale della Casa Editrice Edizioni
Universum (Trento)
ROBERTO BRUCIAPAGLIA: si è classificato al
primo posto al concorso letterario “Emilio Gay”
ALBERTINA ZAGAMI: si è aggiudicata il primo
premio della Minerva Edizioni con la pubblicazione di una raccolta di racconti; inoltre la sua favola
Joy e l’invisibile re condor è stata pubblicata nel volume “Il nonno racconta” (Priuli e Verlucca Editore)
Sezione poesia:
SANTI ZAGAMI: 4° posto per l’opera Ricordo;
MATTIA BADALUCCO CAVASINO: 5° posto per
l’opera Le lacrime degli angeli;
Sezione silloge poetica:
CINTHIA DE LUCA: per la raccolta Infiniti meandri di luce;
SALVO INSERAUTO: per la raccolta Nudi incompleto;
GIOVANNI TAVCAR: segnalazione di merito per
Nulla vi è di eterno.
GIUSEPPINA RANALLI: la sua favola intitolata La
casa è stata premiata con la pubblicazione nel volume “Il nonno racconta” (Priuli e Verlucca Editore)
FOSCA ANDRAGHETTI: si è classificata al 3° posto al Premio Garcia Lorca, ass. Due Fiumi di Chieri
con l’opera Quello che ancora non sai.
MARIA CRISTINA SACCHETTI: 1° posto al concorso letterario Giovanni Casale di Pralormo con
la poesia La carezza della luna.
CLAUDIO RACCAGNI: sabato 15 marzo, alle ore
presso l’Hotel ERMITAGE DU RIOU di Mandelieu La
Napoule (Cannes), ha presentato, in qualità di unico
scrittore, in una manifestazione dedicata alla pittura il
libro Passo, dopo passo, edito da Carta e Penna.
Claudio Raccagni durante la presentazione.
CR
ONA
CA C
ON TES
Ta
CRONA
ONACA
CON
TEST
15-12-07 - La Camera approva la Finanziaria 2008, ora
passa al Senato e c'è chi scommette: cade o non cade il
Governo? Ma durerà. 18-12 - Le Nazioni Unite approvano una Risoluzione che chiede la sospensione delle pene
capitali in tutto il mondo. 28-12 - Scontri con morti a
decine in Pakistan dopo l'assassinio di Benazir Bhutto
rivendicato da Al Qaeda e attribuito al governo militare.
Anche in India tumulti, chiese incendiate e cristiani uccisi. 15-1-08 - Mentre Libano e Palestina lamentano morti
e feriti, in Italia sentiamo di una regione mezza annegata
nei rifiuti, di ordinanze che impongono la chiusura di discariche. Qualcuno ha il coraggio di scherzarci su - spazzatura made in Italy, primi esportatori nel mondo. 25-1 Dopo il voto di fiducia al Senato (161 NO e 156 SI)
Romano Prodi si dimette e il Presidente Napolitano inizia le consultazioni per un nuovo Governo. 30-1 - Incaricato il Presidente del Senato Marini di formare un gover-
cura di Eugenio Borra
no per concordare una nuova Legge elettorale. 6-2 - Il
Presidente della Repubblica scioglie il Parlamento. Nuove elezioni indette per il 13 e 14 di Aprile. 17-2 - Strage a
Kandahar in Afghanistan. 18-2 - Elezioni in Pakistan. 1-3
- Risposta israeliana ai missili dalla striscia di Ghaza: morti
a decine. 2-3 - "Colpo di fulmine" vince il Festival di
Sanremo. Intanto salgono a 177 (diconsi centosettantasette) i simboli presentati per le elezioni di Aprile.
SOLUZIONI del 18° quiz: Iguaçù, Marmore, Niagara
e Paranà.
DICIANNOVESIMO QUIZ
Unire le sillabe, qui elencate in ordine alfabetico, in
modo da formare l'inizio di una famosa lirica:
A AL BE BEI CUI DAI DE DE FIOR GLI
GO GRA IL L' LA LET LO MA ME MI NO
NO PAR RO TA TEN VER VER VI
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P rimavera 2008
DANTE ALIGHIERI
OPERE MINORI
di Carlo Alberto CALCAGNO (Arenzano - Ge)
Questio florulenta ac perutilis de duobus elementis aquae et terrae
Epistole
Forse Dante si recò a Mantova1 nel 1319 e qui nacque,
come ci racconta il poeta stesso2, una grossa disputa, la
quale egli volle poi trattare e definire in una conferenza
nella chiesa di S. Elena a Verona il 20/01/13203.
Tale questione concerneva il fatto se l’acqua in qualche
punto fosse più alta della terra, visto che per i dotti l’elemento più nobile deve stare sempre in alto (fuoco su aria,
aria su acqua, acqua su terra)4.
Dante affronta l’argomento anche per rispondere alle
critiche ricevute per la sua cosmografia dell’Inferno5 ed è
per la negativa: la terra è in ogni punto più alta dell’acqua, che pure è elemento più nobile, per l’attrazione esercitata dalle stelle; porta a sostegno delle sue considerazioni Aristotele, Tolomeo e Alfergano6 oltreché ad esperienze di carattere fisico che hanno per il poeta la maggior importanza.
La scienza di Dante tuttavia non supera quella del suo
tempo nonostante porti qualche buona ragione (ad es. l’illusione dei naviganti in alto mare di vedere la terra più
bassa): l’opera tuttavia ha un valore storico perché fa il
punto sullo stato delle conoscenze del secolo.
Interessa anche la dichiarazione del poeta di essere vissuto fin dalla puerizia nell’amore della verità e la condanna delle indagini volte a cose che trascendono il nostro
intelletto.
Il valore letterario è invece discutibile: il latino utilizzato è piano e dimesso, seppure l’architettura del trattato
sia armonica7.
L’attribuzione a Dante è per alcuno8 incerta perché la
concezione dell’Inferno è contrastante ed inoltre i commentatori antichi hanno ignorato quest’opera che è stata
ritrovata solo nel XVI secolo.
Però c’è anche da rilevare che D. parlò della questione
al clero di Verona (ne è testimone il figlio Pietro) e che
l’Inferno e la Questio divergerebbero solo perché il primo è frutto di invenzione fantastica.
Dell’Alighieri si sono conservate poche epistole ma
quelle di cui disponiamo sono di grande importanza: dirette ad uomini pubblici importanti, dibattono temi politici e sociali di grande attualità e ci consegnano degli spaccati assai preziosi del secolo XIV.
Nel marzo del 1304 D. scrive una lettera al Cardinale
Niccolò di Prato a nome dei Bianchi fuoriusciti, perché il
vescovo di Ostia e legato pontificio, riporti la pace in Firenze.
In altra epistola si conduole con Guido e con Oberto
da Romena della morte del loro zio Alessandro (estate
del 1304); è dubbio che appartenga a Dante perché questo Alessandro troverà posto nell’Inferno.
Un’epistola anteriore al 1306 è diretta a Cino da Pistoia
e ha ad oggetto la risposta ad una questione - posta da
Cino con un sonetto - se l’anima possa passare dall’amore per una persona all’amore per un’altra con la stessa
facoltà.
D. risponde affermativamente con il sonetto “Io sono
stato con amore insieme” e spiega meglio nella lettera
che la potenza dell’anima non si esaurisce in un atto e
quando questo è compiuto essa passa ad un altro.
Altre tre epistole, dallo stile polemico e personale (contrariamente a quanto richiesto dall’epistolografia latina)
sono scritte in occasione della discesa di Arrigo VII: una
ai Principi di Italia: ai re d’Italia, ai signori dei feudi, ai
senatori romani, perché accolgano l’Imperatore voluto da
Dio (1310), un’altra «agli scelleratissimi fiorentini di
dentro» perché non resistano alla calata di Arrigo VII
(1311); la terza all’Imperatore stesso, in uno stile solenne
tanto quanto il destinatario cui tale epistola è rivolta (1311).
Ancora nel 1311 Dante indirizza un’epistola al marchese Moroello Malaspina di Giovagallo: in essa confida all’amico che appena allontanato dalla Curia (quella del
Marchese o di Arrigo VII) giunse sulle acque dell’Arno
dove vide una donna che lo infiammò di una passione terribile (anche in questo caso forse si tratta di un’allegoria).
Della primavera del 1311 sono anche tre biglietti di ringraziamento scritti da Dante in nome della contessa
Gherardesca di Battifolle (figlia del conte Ugolino) e destinati all’imperatrice Margherita (moglie di Arrigo VII).
Altra epistola è diretta ai cardinali convenuti in conclave dopo la morte di Clemente V nel 1314, perché si accordino ad eleggere un papa più degno (Clemente V aveva ingannato Arrigo VII) e soprattutto eleggano un pontefice italiano in modo che la sede di Pietro sia riportata a
Roma.
Del 1315 è invece un’epistola destinata ad un amico
fiorentino (di valore inferiore rispetto a quelle scritte in
occasione della calata di Arrigo VII) che il poeta non vuole
nominare: D. scrive in occasione dell’amnistia concessa
da Firenze, affermando di non volerne fruire poiché egli
è sempre stato innocente e quindi non ha intenzione di
piegarsi ad inutili umiliazioni, ma preferisce seguire la
ragione che appunto gli impedisce il ritorno.
L’ultima epistola è diretta al signore di Verona
Cangrande della Scala (Par., XVII, 76 e ss.) ma sull’autenticità i dantisti sono quanto mai discordi; per contrac-
- 13 -
I l S alotto degli A utori
cambiare i favori ricevuti l’autore di questa lettera offre a
Cangrande il Paradiso, con parole che fanno presumere
che fosse già ultimato.
D. ci spiega che un’opera dottrinale (così definisce la
sua) va indagata su sei punti: soggetto, autore, forma, fine,
titolo del libro, il genere di filosofia; che la sua opera ha
due sensi quello letterale e quello allegorico (il morale
l’anagogico sono qui da ricomprendere nell’allegorico);
c’è quindi un chiaro riferimento al Convivio.
Il poeta passa poi a spiegare i sei punti: il soggetto di
tutta l’opera nel senso letterale è «lo stato delle anime
dopo la morte, semplicemente preso; nell’allegorico, l’uomo che meritando o demeritando per la libertà dell’arbitrio, sia soggetto alla giustizia del premio o della pena».
Il fine dell’opera per il poeta è quello di rimuovere i
viventi in questa vita presente dallo stato di miseria e condurli allo stato di felicità.
Il genere di filosofia è quello morale, perché l’opera è
composta non con un intento speculativo ma pratico e se
vi si trattano questioni speculative ciò è sempre in vista
dell’operare.
Il titolo di Commedia è giustificato in quanto l’opera
ha principio aspro e fine felice ed è scritta in stile dimesso
ed in lingua volgare «nella quale anche le donnicciole
conversano», all’opposto della tragedia che ha principio
mirabile e quieto e fine orribile e stile sublime.
Ma, indipendentemente dal fatto che non è sicuro che
il titolo di Commedia sia stato dato da Dante al suo poema, quel che è certo è che lo stile illustre e difficile del
Paradiso mal si conciliano con la definizione sovraesposta.
Premesse queste cose l’autore passa all’esposizione
letterale della cantica, cominciando dal prologo, cioè dai
primi 36 versi del canto I. Parla diffusamente dei primi
12 versi. Poi opera un’affrettata divisione dell’invocazione e d’improvviso si interrompe protestando che la povertà lo incalza così da costringerlo ad abbandonare queste ed altre cose utili allo stato.
In un rapido ultimo paragrafo poi traccia le linee generali della cantica fino alla visione di Dio.
NOTE
1
Purtroppo però della disputa mantovana o della conferenza veronese non abbiamo notizia sicura in nessun
documento storico e in nessun commentatore e biografo
di Dante, ad eccezione di un cenno nel commento di Pietro Alighieri alla Commedia. Sfortunatamente non possediamo neppure un codice manoscritto della Quaestio,
che però conosciamo perché nel secolo XVI Benedetto
Moncetti, Priore degli Agostiniani di Padova, scoprì l’autografo e la pubblicò a Venezia nel 1508 in 14 facciate di
testo. Tuttavia tale autografo andò perduto ed abbiamo
notizia soltanto una successiva ristampa del 1576.
2
L’accenno al fatto di Verona è contenuto nella seconda egloga di Dante a Giovanni del Virgilio, scritta dopo il
20 gennaio 1320.
3
Mantova e Verona erano città culturalmente vivaci per
la presenza di dotti ingegni e scuole di scienze fisiche.
4
Il problema dei reciproci rapporti tra l’acqua e la terra
abitata si era imposto alla attenzione della cultura medioevale quando questa si accolse l’aristotelismo e la visione
cosmologica che poneva la terra al centro dell’universo e
postulava la concentricità delle quattro sfere (terra, acqua,
aria, fuoco) ove, nell’ordine, la sfera precedente è tutta circondata dalla seguente, e quindi la terra doveva risultare
conglobata e sommersa dall’acqua, il che appariva in contrasto, oltre che con l’esperienza, anche con la separazione
delle acque affermata dal Genesi.
5
La narrazione dell’emersione della terra nell’emisfero
boreale causato dalla caduta di Lucifero [Inf., XXXIV)
aveva attirato gravi critiche, per cui Dante vuol dimostrare qui che è anche in grado di darne spiegazione razionale e scientifica. Mentre la visione teologica spiega
l’emersione in termini di repulsione, quella scientifica la
precisa in termini di attrazione.
6
Al Farghani (nato a Baghdad, visse IX sec. e morì
nell’861 in Egitto), astrofisico e astronomo revisore del
sistema tolemaico, fu al servizio del califfo di Baghdad
tra l’813 e l’833. I suoi studi sulla cosmologia tolemaica
sono esposti nell’opera nota come “Compendio sulla
scienza degli astri” e tradotta in latino con il titolo di
“Rudimenta astronomica” da Gherardo da Cremona. Essa
contiene considerazioni interpretative sulle eclissi di Sole
e di Luna, che nel sistema geocentrico richiedevano spiegazioni meccaniche diverse da quelle attuali (la previsione delle eclissi forniva quindi un ulteriore meccanismo di
verifica della validità della cosmologia di Tolomeo). Inoltre Alfergano (latinizzazione del nome Al Farghani) fissa
le dimensioni degli astri e le loro distanze fornendo una
descrizione quantitativa dell’universo che lo stesso Dante
Alighieri accetterà come modello dell’universo, come si
evince inoltre dalle citazioni presenti nel “Convivio” e
dai riferimenti astronomici nella Divina Commedia.
7
E si dipani secondo l’ordine tipico delle Summae scolastiche: alla tesi avversarie Dante oppone la solutio
auctoris, per ribattere poi uno ad uno gli argomenti contrari; all’interno delle varie sezioni, l’argomentazione segue i princìpi ed i moduli scolastici e gli abituali schemi
sillogistici.
8
I primi dubbi li avanzò Giuseppe Pelli nel 1758, seguito dal Tiraboschi, dal Foscolo ed altri. Si giunse perfino ad attribuirla bizzarramente a un Dante III, umanista
veronese del 1500. Il primo che fondò l’opinione negativa su argomenti seri fu il Bartoli, seguito da Lodrini,
Passerini, Ricci, Scartazzini e Luzio-Renier. La tesi dell’autenticità fu validamente sostenuta da Angelitti, Moore,
Russo, Toynbee, Biagi e più recentemente da Mazzoni,
mentre la tesi negativa trovava ancora agguerriti sostenitori in Boffito e in Nardi (v. Pio Gaja, Introduzione
QUESTIO DE AQUA ET TERRA DE FORMA ET SITU
DUORUM ELEMENTORUM AQUE VIDELICET ET
TERRE di Dante Alighieri, su www.classicitaliani.it)
- 14 -
P rimavera 2008
Raccontami una storia... d’amore
Rubrica a cura di Gennaro Battiloro
UN AMORE D’ALTRI TEMPI
Questa è una storia realmente vissuta, ma anche se non
lo fosse, sarebbe ugualmente una storia importante, perché è una storia d’amore. Diversi anni fa viveva in un
paesino del centro-sud Italia una soave fanciulla dagli occhi
verdi, languidi e sognanti. Era molto bella e tutti i ragazzi
del paese le facevano la corte e, tra questi, c’era anche un
bel ragazzo bruno dallo sguardo ammaliatore, che si era
perdutamente innamorato di lei. Anche la ragazza non
rimaneva indifferente alle amorose attenzioni che il giovane le rivolgeva ogni volta che la incontrava, ed insieme
formavano davvero una bella coppia che era invidiata da
tutti. Ma il ragazzo era povero e non rappresentava certo
un buon partito, come si usava dire allora, agli occhi dei
genitori che diedero la figlia in sposa a un uomo che,
all’epoca, rappresentava un buon partito. Il povero ragazzo bruno ne soffrì tanto e non si dava pace al non poter
più incontrare la donna che amava tanto, perché si era
trasferita col marito in una città molto lontana. Passarono
tanti anni, ma il ragazzo, che era diventato un uomo, non
dimenticò mai quella fanciulla dagli occhi verdi: la porta-
va sempre nel cuore e avrebbe dato qualsiasi cosa per
rivederla ancora una volta. Ne soffriva tanto… e lo confidò al fratello di lei, il quale, di fronte a un sentimento così
grande, si offrì di aiutarlo a rivedere sua sorella, ance se
per una sola volta, appena fosse venuta a far visita ai genitori. L’occasione capitò e il fratello fece in modo di
farlo incontrare casualmente con la giovane, che si stava
avviando verso la macchina, dove il marito la stava spettando per far ritorno alla città in cui abitavano ormai da
anni. Lei si fermò per salutare il fratello che, facendo finta di nulla, le ditte “Ti presento un amico!” Lei lo riconobbe subito, non ostante fossero trascorsi tanti anni e,
forse, sentì il cuore battere forte… Lui la guardò intensamente negli occhi, in quegli occhi verdi che aveva tanto
amato e, porgendole la mano, gliela strinse fortemente,
disperatamente, presumendo che non l’avrebbe più rivista. Poi, con l’allontanarsi dell’auto lui sentì che si stava
portando via anche il suo cuore. Potete chiudere in gabbia una rondine, ma non potete cancellare dai suoi occhi
la libertà, la fantasia, il volo, l’amore… Meditate gente,
meditate…
JORGE LUIS BORGES: UNA VITA DI POESIA
Edizioni Spirali Pag. 670 - Collana L’Alingua - Isbn 978887770-7895 - Prezzo € 48.00
Nuova edizione integrale, in lingua originale con traduzione a fronte, illustrata con fotografie
inedite - Un Borges più che mai sorprendente, ironico, impertinente, umile, epico, immortalato
nelle sue “lezioni italiane”. Il testamento spirituale e poetico di un grandissimo della letteratura
mondiale. Ospite per una serie di lezioni presso la villa San Carlo Borromeo di Senago, Borges
parla per l’ultima volta a Milano nel Dicembre 1985 (solo cinque mesi prima della morte), lungo
dodici conferenze organizzate dall’Università internazionale del secondo rinascimento.
Il maestro - “l’Omero del XX secolo” come è stato definito - offre la sua ultima visione del mondo: parla del potere
della poesia, del sublime piacere della lettura, della differenza tra il presente vissuto ed il futuro da costruire, del senso
dell’esistenza. In questo volume sono raccolte le risposte a domande e sollecitazioni emerse in quell’occasione;
davanti al grande vecchio, ormai completamente cieco, sfila gente comune ed ospiti importanti (intellettuali come
Vittorio Mathieu, Viktor Nekrasov, Fernando Arrabal ed altri) cui Borges offre perle di saggezza e di cultura: “Io vivo
pensando che sono immortale, anche se è un’illusione”; “a quale genere letterario appartiene la realtà? Al sogno”;
“non so se ci sia un senso della Storia, non credo, a me basterebbe un progresso etico...”; “noi americani siamo
europei in esilio. Il cuore della cultura rimane l’Europa”; e a chi gli chiede perché il massimo poeta dell’antichità
fosse cieco, risponde: “Quel che più conta è l’ascolto”.
Jorge Luis Borges (Buenos Aires, Agosto 1899 – Ginevra, Giugno 1986) è tra i principali protagonisti della letteratura del Novecento. Cresce in una famiglia in cui si parla sia l’inglese sia il castigliano: a sette anni effettua la sua prima
composizione letteraria, a nove la prima traduzione. Nel 1914 arriva in Europa a causa della guerra, fermandosi per
alcuni anni a Ginevra. Tornato in Argentina, pubblica libri di poesia e di saggistica, svolgendo intanto attività di
redattore, collaboratore e traduttore per riviste. Negli anni ’40, pubblica le prime grandi opere (Ficciones e El Aleph).
Presidente della Società argentina degli Scrittori che resiste al regime di Peron, diviene direttore della Biblioteca
Nazionale e, nel ’56, professore di letteratura inglese all’Università di Buenos Aires. Numerosissimi i premi, riconoscimenti illustri e lauree honoris causa ricevute negli anni, tra i quali spicca il mancato Nobel.
SPIRALI / THE SECOND RENAISSANCE - via Fratelli Gabba 3, 20121 Milano (MI)
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I l S alotto degli A utori
IL PENSIERO HA BISOGNO DEL CUORE
di Giovanni REVERSO (Torino)
Ogni pensiero, qualsiasi pensiero, non nasce mai dal
nulla. Qualcosa preesistente l’ha costruito, l’ha fatto nascere, l’ha tirato fuori, l’ha fatto vivere, gli ha dato la carica necessaria a renderlo operante. Nessun pensiero è
inutile, perché ogni pensiero finisce col materializzare
qualcosa, materializzandosi. I poteri e i limiti del pensiero sono radicati nel corpo. Il cuore, motore della vita, ha
una parte importantissima nella creazione del pensiero. I
pensieri più importanti partono dal cuore e vanno diritti
al cervello, il quale li elabora e può già materializzarli,
oppure farli ritornare al cuore affinché si spieghi meglio.
Il cuore che tutto comprende, riprende il pensiero, lo perfeziona, lo aggiusta, se necessario lo amplia e lo rimanda
al cervello. Il cervello, ricevuto il pensiero-cuore, può gioire come può soffrire. Difficilmente le sue cellule sensibilissime rimangono indifferenti. Un’aridità di cuore può
creare un’aridità di cervello, ma un’aridità di cervello non
può durare a lungo. Crea insoddisfazione agli altri organi
che, prima o poi si ribellano, somatizzando malumori e
sofferenze in malattie anche gravi. Pertanto il cervello deve
poter contare su un cuore sensibile, che sappia percepire
l’evolversi della vita, le sue fasi, le situazioni più strane e
imprevedibili, gli eventi più impensati . Un cuore palpitante che, vibrando ad ogni pensiero creato dalla vita, sappia modellarlo a suo favore chiedendo sostegno e rinforzo alla razionalità del cervello, dal quale devono e non
possono che passare tutti i pensieri che nascono.
Ritengo che la mente sia la creazione dell’incontro tra
il cuore e il cervello. Insieme questi due organi danno vita
a ciò che poi esprime il pensiero. La mente è il magazzino dove la fucina cuore-cervello, invia la sua produzione
quasi continua di pensieri. Il cuore, come il cervello, non
riposa mai. Se si fermasse si fermerebbe la vita, e questo
sarebbe la fine di tutto. Il pensiero, attraverso il cuore,
vive la sensibilità che si è formata dentro ognuno di noi.
Sensibilità che la vita, il vivere quotidiano, può trasformare di continuo. Il pensiero prodotto dal cuore può incorrere in errori, per questo inviato al cervello, può subire
modifiche che eliminando gli eventuali errori rendano il
pensiero stesso, degno di essere esternato affinché viva di
una vita sua propria, che può essere breve o molto lunga
a seconda della sua importanza. Una mente operosa è
quella che senza tregua sa assimilare i pensieri più fecondi che non devono servire solamente a chi li riceve
materializzati, ma anche a chi li formula costantemente
nel connubio cuore-cervello.
I pensieri che nascono dal cervello e non dal cuore,
dovrebbero seguire il cammino inverso: non cervello-cuore, ma cuore-cervello. Solo in questo modo sono completi e validi. Diversamente possono incorrere in errori a
volte molto gravi e di vitale importanza. Il pensiero dato
dal cervello e non sottoposto al vaglio del cuore, sarà sempre arido, senza sentimento, più che mai senza amore,
quell’amore che muove il mondo e, fors’anche le stelle.
Ogni idea se è già un pensiero, ha la sua credibilità. Puntare su questa idea e crederci, vuoi dire realizzarla, vuoi
dire andare avanti, lottare, combattere e non lasciarsi sopraffare da idee contrarie che generano fermate, sofferenze, rinunce. Non bisogna mai rinunciare alla realizzazione di una buona idea. Rinunciarci vuoi dire perdere la
fiducia in se stessi, nelle proprie capacità realizzatrici, vuol
dire insomma subire una sconfitta.
Avanzare dunque, a volte anche fermarsi solo per meglio riprendere il cammino, ma mai rinunciare.
Ciò che ci fa credere in qualcosa, è un pensiero positivo
nato dal cuore e passato dal cervello. Vitalità di pensiero
ed energia della parola. Più il pensiero è vitale, più la
parola che l’esprime è piena di quell’energia che la rende
vera, accettabile.
I limiti sono dentro di noi. Il segreto per dominarli è
avere sempre pensieri positivi. Il pensiero positivo ha una
sua forza particolare che, a volte, può realizzare risultati
impensabili, se non addirittura ritenuti impossibili.
Dietro a ciò che sembra incomprensibile, sovente non
c’è nulla da scoprire. È dalle idee che nascono e si creano
soluzioni. Anche le tecnologie apro-no molte strade. Quale
sarà quella migliore dipende dalle nostre scelte. Saper
scegliere dipende anche dalla nostra esperienza che dà
vita al futuro, che è creato dal pensiero, che sempre di più
ha bisogno del cuore.
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VERTICALI GEOMETRIE
di Giovanni TAVÈAR (Trieste)
Passa invano la brezza
sul grumo di pensieri aggrovigliati.
Il cuore oppresso
vaga nell’esilio degli sbiaditi orizzonti.
L’anima stenta a districarsi
Nell’intrico delle stridenti dissonanze.
Fluttuanti parvenze
di abissi e di misteri risuonano
nel fievole eco
di una lontana voce perduta
che chiama
nell’afono silenzio di una giovinezza
già da tempo sfiorita.
Nelle verticali geometrie
di fughe continue e di laceranti ferite
girandola veloce
una vita in ciondolanti frantumi.
P rimavera 2008
STORIA DEL TEATRO
Rinascimento: la Commedia Italiana
- Quarta parte di Maria Francesca CHERUBINI (Perugia)
Giordano Bruno
Anche il grande filosofo Giordano Bruno (1548-1600),
il sostenitore del «senso dell’infinità illimitata del cosmo,
onnicentrico, popolato di mondi innumerevoli e di innumerevoli forme di vita, pervaso in ogni suo aspetto da un
unico afflato vitale, al quale appartengono le anime stesse degli uomini»1 si fece sedurre dal fascino del Teatro.
Giordano Bruno, il filosofo «dal linguaggio immaginoso,
rapito, travolto da un acceso lirismo, a volte involuto,
barocco, sovrabbondante, insofferente di ogni schema,
genialmente mosso, attraverso cui il senso e la commozione si esprimono»2, cadde attratto dall’inquietante musa
del Teatro.
Egli scrisse la Commedia «Il Candelaio» (1582) che
raccolse intorno a sé tanti consensi e altrettanti dissensi.
Ci fu chi pose la sua opera, per altezza e profondità, accanto all’opera somma di Niccolò Machiavelli; chi invece la stroncò come opera di gran lunga minore.
Afferma Silvio d’Amico «a noi pare che, di tutte le
Commedie del secolo, questa opera di Giordano Bruno,
scritta sul suo morire, sia la più libera e la meno schiava
di modelli greco-latini»3
«C’è un gran sole afoso in questa commedia tutta meridionale: la vita v’è napoletanamente contemplata come
un viavai di farabutti e di beffati … e pare considerare
tutti con l’indifferente ripugnanza con cui si guarda un
immondo brulicare di vermi, in una giornata di calura
infingarda. Ma anche, e più che nelle altre faconde commedie del secolo, tutto vi si espone e distende con una
prolissità, con un peso, con una spenta lentezza che la
magniloquenza del tronfio Manfurio (uno dei protagonisti) e gli scontri e le imprecazioni delle canaglie e delle
donnacce, animano a fatica»4
L’intreccio è noto. «Burle e beffe sono il tema in questa
Commedia ambientata a Napoli. Il Candelaio, un certo
Messer Bonifacio, nonostante sia sposato alla bella
Carubina, spasima per donna Vittoria; vi è Manfurio, il
pedante che sproloquia in latino, ma è goffo, oltre che
credulone; e vi è Bartolomeo, dilettante alchimista.Tutti e
tre sono facile preda di un gruppetto di imbroglioni di
vario calibro, tra i quali Donna Vittoria che vorrebbe approfittare della passione di Bonifacio, per spillargli un
po’ di quattrini. Bonifacio si affida al mago Scaramure,
affinché con un incantesimo lo faccia amare da Vittoria;
ma al desiderato convegno troverà l’indignata Carubina,
tanto indignata anzi che, fino ad allora virtuosa, si lascerà
convincere, dall’innamorato Giovan Bernardo, che non è
cosa grave tradire certi mariti.
Quanto a Manfurio, viene sbeffeggiato, derubato e più
volte bastonato e a Bartolomeo tocca analoga sorte»5.
Al di là delle alterne fortune dell’opera “Il Candelaio”,
il nostro autore, Giordano Bruno, deve essere ricordato
innanzi tutto per la sua filosofia degli “Infiniti mondi” e
per avere posto “Il Vero” sopra tutte le cose.
Vi sono nelle sue parole, riprese soprattutto dall’opera
«Spaccio de la Bestia trionfante…(1584)» un’esaltazione della verità fatta con una accensione, forte come una
protesta di fede, in cui pare di presentire il martirio al
rogo cui sarà condannato.
Egli dice infatti nelle pagine dell’opera citata:
«Sopra tutte le cose, è situata la Verità; perché questa è
la unità che soprasiede al tutto, e la bontà che è preminente ad ogni cosa; perché uno è lo ente,buono e vero; medesimo è vero ente e buono. La verità è quella entità che
non è inferiore a cosa alcuna; perché se vuoi fingere qualche cosa avanti la verità, bisogna che stimi quella essere
altro che verità; e se la fingi altro che verità, necessariamente la intenderai non aver verità in sé, ed essere senza
verità, non essere vera; onde conseguentemente è falsa, è
cosa de niente, è nulla, è non ente …
… Dunque la verità è avanti tutte le cose, è con tutte le
cose, è dopo tutte le cose; è sopra tutto, con tutto, dopo
tutto; ha raggione di principio, mezzo e fine… Essa è
avanti le cose, per modo di causa e principio, mentre per
essa le cose hanno dependenza…
… La verità è la cosa più sincera, più divina di tutte;
anzi la divinità e la sincerità, bontà e bellezza de le cose, è
la verità; la quale né per violenza si toglie, né per antiquità
si corrompe, né per occultazione si sminuisca, né per comunicazione si disperde: perché senso non la confonde,
tempo non l’arruga, luogo non l’asconde, notte non l’interrompe, tenebra non la vela; anzi, con essere più e più
impugnata, più e più risuscita e cresce. Senza difensore e
protettore si difende …
… e però dimora altissima, dove tutti remirano e pochi
veggono»6.
Parole nelle quali è già il presentimento della difesa di
Giordano Bruno, quando il filosofo portato dinanzi ai
giudici protestò di non avere nulla da ritrarre delle proprie dottrine.
Giambattista Della Porta
Verso la fine del sec. XVI troviamo la vasta produzione
teatrale del napoletano Giambattista Della Porta (1535 –
1615), anch’egli filosofo, ma anche viaggiatore e scienziato.
Le sue commedie migliori sono: “La sorella, La fantesca,
I due fratelli rivali, L’astrologo”.
Tali commedie sono state scritte con l’intento di rag-
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I l S alotto degli A utori
giungere una notevole originalità e di fatto rappresentano
un grande sforzo di allontanamento della imitazione dei
classici ricercando soprattutto un accostamento alla realtà della vita contemporanea.
In tali opere emergono, nonostante tutto, alcuni personaggi tipici della Commedia classica, ma anche protagonisti completamente nuovi e aderenti all’ambiente attuale: il Napoletano, il Tedesco, il Capitano.
«La fama dell’opera sua, rappresentata inizialmente da
dilettanti, si divulgò presto e indusse anche i comici di
mestiere a metterla in scena: così si continuò con successo in molte città d’Italia per quasi un secolo. Fu con il
Settecento che le Commedie del Della Porta caddero in
dimenticanza»7
Solo in questi ultimi tempi studiosi e critici le hanno
riportare in auge.
Il Croce sostiene che nelle Commedie di Della Porta
«l’invenzione è quasi costantemente la solita: si parla del
giovane che ama una giovane, avversato dal padre o dal
rivale o da altri, finchè l’impedimento è rimosso per opera del servo o del parassita e un riconoscimento finale
lascia tutti, contenti. Ma il vecchio intrigo si svolge con
facilità, l’azione fila dritta senza scene superflue o altri
ristagni: il dialogo è chiaro, netto, senza pretese di eloquenza o di declamazione».
E il Torelli sottolinea «Nessuno fino a Goldoni ebbe come
lui il così detto “senso del Teatro”: nessuno fece agire con
altrettanta abilità un mondo caotico, rumoroso e pittoresco, dominato dall’unico Dio, il Caso… La Commedia
portiana è d’intreccio … e il Poeta è veramente un maestro
nell’ingarbugliare le fila fino all’assurdo, e dipanarle poi
fino alla semplicità più naturale; un maestro pieno di trovate, che combinate insieme in modo originale, organizzate
secondo una personale tonalità, appaiono nuove.
Sentimentalità romanzesca, comicità enorme e
buffonesca, realismo con punte satiriche: tali le caratteristiche più appariscenti dell’arte portiana».
“La Venexiana”
La critica recente ha riconosciuto qualità di originalità
eccezionale ad una Commedia in 5 atti intitolata “La Veneziana”, anonima e scoperta dallo studioso Emilio
Lovarini.
Gli elevatissimi pregi di tale testo sono costituiti in
massima parte dal totale abbandono dei modelli classici
greco-latini.
Non si conosce chi sia il suo autore, ma lo stile è di
indubbia appartenenza al Cinquecento.
Il realismo rinascimentale, dunque, partorisce il suo frutto più maturo, collegato alla commedia cittadina, agli inizi del Cinquecento.
L’anonima “Venexiana” è commedia totalmente originale e già nel titolo mette in luce la centralità della dimensione urbana.
La sua assoluta particolarità nasce soprattutto dal fatto
che non ha nulla a che vedere con il teatro classico del
Cinquecento.
I protagonisti non sono più i “tipi” del teatro classico,
ma soprattutto non c’è più la struttura chiusa della Commedia classica.
Inizia con un primo atto che altro non è che un “Prologo” dove vengono presentati i pochi personaggi. Dopo di
esso la Commedia procede diversamente: è come se si
aprisse in due parti prive di agganci interni.
I protagonisti sono rappresentati, come notorio, da due
nobildonne veneziane: la vedova e non più giovane Angela e la giovane maritata Valeria, le quali si contendono
l’amore di un giovane bello e spregiudicato, un forestiero
di nome Iulio.
Il secondo e terzo atto trattano dell’amore di Angela
per il giovane, il quarto e il quinto atto sono dedicati all’amore di Valeria per Iulio.
È come se, dunque, dopo il “Prologo”, la Commedia
risultasse tagliata in due commedie minori, legate solamente dalla continua presenza e eroticità di Iulio che passa indifferentemente dalla attrazione fisica per Angela a
quella per Valeria.
“La Venexiana” si può dire che sia priva di finale: Iulio
passa continuamente dalle braccia amorose dell’una a
quelle dell’altra senza che vi sia un epilogo.
Dunque, tale Commedia è, come dire, una rappresentazione “aperta” dell’esistenza: non ha una conclusione,
come spesso accade nella vita quotidiana che non conclude.
BIBLIOGRAFIA
Gianni, Balestrieri, Pasquali “Antologia della Letteratura Italiana” Vol II Parte I, Casa Editrice G.D’Anna. Messina-Firenze – Aprile 1964
Roberto Alone, Roberto Tessari “Manuale di Storia del Teatro” UTET Torino – Gennaio 2005
Cesare Molinari “Storia del Teatro” Editore Laterza – Bari –
Marzo 2003
Oscar G. Brockett “Storia del Teatro” Marsilio Editori – Venezia 1988
Silvio D’Amico “Storia del Teatro” Vol I Aldo Garzanti Editore 1960
Enciclopedia della Letteratura A. Garzanti Editore – Ottobre 1972
NOTE
1 Gianni Balestrieri Pasquali – Antologia della letteratura Italiana Volume II, Parte prima
2 idem
3 Silvio d’Amico – “Storia del Teatro” Vol I – Aldo Garzanti
Editore 1960
4 idem
5 Enciclopedia della Letteratura - A. Garzanti Editore, Ottobre
1972
6 Giordano Bruno dallo «Spaccio de la bestia trionfante …
(1582) >>
7 Silvio d’Amico – Storia del Teatro Vol I – Garzanti Editore
1960
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P rimavera 2008
LO SPECCHIO
di Fabio CLERICI (Milano)
FESTIVITÀ
di Giuseppina IANNELLO SICCARDO
(Brescia)
Le poetiche parole vagano nell’aria,
allo specchio della vita,
divengono creature;
come un sorpreso bimbo,
le vedo danzare nella stanza
partorite dal mio ventre
e per sempre con l’inchiostro animate,
lo specchio riflette
suoni e paesaggi,
e storie di umana virtù;
le danzanti parole,
trovano giusto riparo
nei pensieri del poeta,
umile cronista
degli eventi dell’anima.
Festività,
forse i tuoi intenti
sono buoni, ma molte gente fa baldoria
e di capire il tuo messaggio
non se ne parla.
Uno schiocco di dita,
un batter di ciglia,
ed è già Natale,
“che meraviglia!”
Natale...
Per la gioia dei bambini,
per i pranzi delle giovani famiglie,
per la solitudine dei vecchi,
per chi giace all’ospedale.
Ed un canto si perde nella notte
lungi dalla città, dalle luci
forse si ferma su un ponte,
forse su un vicolo buio:
è il canto gonfio di pianto
del viandante, o semplicemente,
dello straniero?
Che dire? Un uomo
sta piangendo: è la notte di Natale.
E’ Natale; le chiese son gremite
di gente che andata per “pregare”,
ma, anche, per fermarsi
a parlare del più e del meno.
La chiesa è illuminata;
però c’è un angolo discreto,
vi sta raccolto il perdente
cercando un dialogo con Dio.
QUASI ALTRAMONTO
di Luciano SOMMA (Napoli)
Ti ho cercato inutilmente
da una vita
nell’aria, nel vento,
nella mano tesa d’un povero,
nel disperato sguardo d’un malato,
nel bene, nel male,
nell’urlo del mare,
o nel silenzio d’una cattedrale.
Forse troppo distratto
dai problemi terreni del niente
che sembravano tutto
non potevo sentirti!
Ora, quasi al tramonto,
al limite dei miei giorni,
vicino al traguardo,
alla frontiera,
ti vedo
nel rigo d’un verso,
ti sento
infinito universo,
immagine senza contorni
ma viva,
luce d’un’alba diversa
che illumini.
TI AMERÒ DI NUOVO
di Claudio GIOVANARDI (Novara)
Prima di ogni tua promessa
Lavati le labbra
E poi vieni a bermi dalle mani la fatica e i giorni
Prima di amarmi di nuovo
Lavati il cuore
E poi vieni a contendermi coi denti questo morso di pane
Solo dopo che sarai rimasta nei miei occhi in silenzio
Lascerò che mi abiti la tua voce
E diventi il rio della mia anima contadina
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I l S alotto degli A utori
IL GRANDE BOSCO
di Fiorella REY DI VILLAREY
(Torino)
SAPPIAMO AMARE CON PAROLE
AMARE… di Anna BRUNO
(Sommavesuviana - NA)
Il grande bosco respira
muto e segreto
nell’aria tremula.
Ci affatichiamo a parlar d’amore
nel Tempo che ha oscurato le comete,
profanato presepi e devastato culle
e reso brulle le strade del cuore,
ma è un brandir parole come spade
per strade che non offrono rifugio
e nell’indugio la sosta fa paura
come tana di malefica creatura.
Sappiamo amare con parole amare
che ruotano su giostra saracena
nel sicuro schianto del toccarsi appena
se priva d’armatura è la ventura.
Ci arrabattiamo per accenti nuovi
che tra rovi procedano spediti,
ma feriti li salviamo a stento
dal tradimento della borra insana.
Dal fondo melmoso di frasi stantie,
da spudorate spie s’alzano le parole
spandendo malìe di trepidanti fole.
E bivaccando tra fatui sentimenti
ai venti disperdiamo il nostro dire
su quest’amore che non vuol morire,
ma si trascina intorno a fuochi spenti.
Le dita nere delle radici
s’allungano nell’ombra,
affiorano e par che affondino
nella coltre degli aghi.
Le chiome altissime
in cerca di luce
che sfugge all’abbraccio
e penetra in lame dorate,
formando sentieri di sole
nella cattedrale dei pini.
Le colonne brunite dei tronchi
vibrano piano
memoria dell’antico retaggio
di portare le vele maestre
sul mare.
Con passo di danza
un giovane cervo s’avanza
il bianco specchio
luccicante nell’ombra.
Ecco, ha sentito il mio odore.
Dovrebbe fuggire,
come i saggi del branco
gli hanno insegnato.
Si cela soltanto dietro il tronco
e non sa che le orecchie
ne sbucano fuori.
HO RACCOLTO SASSI
di Cristina MANTISI (Savona)
Ho raccolto sassi, piatti e levigati,
rubandoli a composizioni del mare,
incastonati sulla rena bagnata.
Ne sento, al tocco, ancora
la percezione della sabbia,
all’odore, il profumo dell’oceano,
all’udito, il rumore dell’onda in attesa,
sospesa lontana, arrotolata e sbuffante
come un cavallo che scalpita.
Ho raccolto sassi sul sentiero del monte,
piccole creste di punte per inventare paesaggi.
Ne sento, al tocco, la roccia sotto le dita,
all’odore, il profumo dei pascoli alti,
all’udito, il soffio del vento
e le sue scorribande tra i passi.
Ho raccolto sassi nella macchia di timo,
sculture bucate, lasciate dal mare
a offrire conchiglie odorose di pini.
Ne sento, al tocco, la sabbia dimenticata,
all’odore, l’aroma d’acqua salmastra,
all’udito, il sospiro dell’onda obliata nel tempo
tra piccole viole all’ombra dei lecci.
Nei giardini di pietra cerco la mia anima
e seguo, nei tuoi occhi,
il volo disteso del falco.
Poi s’allontana con flemma
altero nel silenzio del bosco
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P rimavera 2008
ELABORARE IL LUTTO
di Giuseppe DELL’ANNA (Torino)
(in qualità di Infermiere Coordinatore)
In data 25 Ottobre 2007, il Collegio IP.AS.VI. di Torino in via Stellone 5, ha organizzato l’Evento formativo
“Voltar pagina: Elaborare il lutto”, al quale il sottoscritto ha partecipato. Non è che il tema in sé e per sé mi
attirasse molto, anche perché di solito la parola “lutto” fa
subito predisporre gli scongiuri di rito, ma dentro me stava maturando il dilemma su come avrei affrontato la perdita dei miei genitori ormai giunti alla veneranda età di
ultraottantenni, anche se, a loro dire, in punto di morte
già da quando ero un ragazzino! Ora invece sentivo che
l’evento sarebbe potuto presentarsi da un momento all’altro, ed un senso di impotenza, di incapacità a gestire
l’evento mi attanagliava l’animo, per cui il Corso programmato dall’IP.AS.VI. di Torino mi è sembrato presentarsi “a fagiolo” per poter sbrogliare la matassa del
mio ingarbugliato stato d’animo. Inoltre l’Evento
formativo veniva condotto dal dott. Lorenzo Bracco (medico, psicoterapeuta, Fisiatra) che avevo conosciuto in un
precedente Convegno sull’”Obesità” tenutosi a Pinerolo
nel Giugno 2005 e del quale mi era rimasto un bel ricordo partecipativo; e così il senso di giovialità non è venuto
a mancare, con la presenza del dr. Bracco, nel gestire un
tema dall’aspetto ostico quale quello del lutto. La premessa del Corso, esplicitata dal dr Bracco, è stata quella
di saper innanzitutto meglio gestire i propri lutti attraverso l’elaborazione, per poter poi essere “contenitori” dei
lutti altrui. Gli obiettivi, miranti a fornire elementi terapeutici
e di supervisione, si sono sviluppati attraverso:
z Informazioni e strumenti sulla gestione del trauma,
z Lavoro in condivisione con un componente del gruppo,
z Visione del film “Un viaggio in Inghilterra” quale esempio cinematografico di elaborazione del lutto,
z Elementi di terapia Gestalt (= forme incompiute) miranti alla consapevolezza fisica, emozionale e mentale.
Tengo a precisare che l’argomento non è stato affrontato dal punto di vista religioso, ma etico e terapeutico, per
poter essere d’aiuto a chiunque professa qualsivoglia fede.
Farò un rapido excursus delle tematiche trattate, in
particolar modo sul significato del lutto, per poi dirigere
l’articolo sulla personale esperienza – poi verificatasi come
espresso nelle mie iniziali previsioni – riguardante la scomparsa di mio padre.
Ogni nuovo “inizio” nella vita ha come punto di partenza un “distacco”, un cambiamento di stato e, di conseguenza, un lutto da elaborare. Può sembrare paradossale, ma lo stesso neonato, nascendo, ha un lutto da elaborare, come pure, da parte della madre, vi è un lutto da
elaborare con la nascita del figlio. Simbolicamente è come
se si debba chiudere una porta per poterne aprire un’altra;
ma anche se questa dinamica può sembrare ovvia, i distacchi oggi sono più traumatici rispetto ad una volta.
“Trauma” deriva dal greco, che, letteralmente, significa
“ferita”. Il trauma quindi non dipende dall’evento in sé
ma dalla stimolazione che resta non smaltita nel Sistema
Neurovegetativo dell’individuo.
Il Sistema Neurovegetativo si compone del Sistema
Simpatico e Sistema Vagale.
1.
Il Sistema simpatico, di fronte ad una minaccia,
ci permette la risposta di lotta o quella di fuga; in ambedue i casi l’organismo mobilizza una grande quantità di
energia per combattere o far correre.
2.
Il Sistema vagale si suddivide a sua volta in:
z Sistema vagale dorsale, il quale rallenta i battiti cardiaci, accentua le funzioni viscerali, dà sonnolenza;
z Sistema vagale ventrale, strettamente connesso con
l’appagamento, la soddisfazione, la socializzazione, quali risultanza di eventi vissuti come arricchimento dell’esperienza.
Se rispetto ad un evento, uno dei due Sistemi non si
scarica completamente, nei tempi successivi questa situazione darà origine al “trauma”, provocando situazioni di
“stress”, cioè di contrapposizione uno contro l’altro. La
fluidità fra i sistemi neurovegetativi si dovrebbe avere in
tutta la vita esperienziale dell’uomo, per poter attraversare qualunque evento della vita con l’emozione ad esso
connessa. La parola “emozione” deriva dal latino e significa “muovere fuori”, “portare fuori”, ne consegue che
un’emozione non percepita e non espressa non può essere attraversata, ed un’emozione non attraversata non è
messa a distanza e, di conseguenza, la si porta con sé. La
tristezza è una delle emozioni che può essere difficile attraversare e non attraversarla significa accumularla nel
tempo e ritornare quindi sui propri passi. Sentire ed esprimere la tristezza o la collera o la paura o la gioia, permette di chiudere una forma aperta (gestalt) per poter poi
voltare pagina, chiudere una porta per poterne aprire un’altra. L’elaborazione del lutto avviene per gradi, così identificati: 1. Negazione; 2. Rabbia; 3. Rinegoziazione;
4. Rassegnazione; 5. Accettazione. Accompagnare qualcuno nell’elaborazione del lutto significa offrirgli un vuoto
per potersi espandere.
Nel mese di Novembre 2007, a mio padre viene fatta
diagnosi di K del pancreas. La prima settimana di Dicembre, assieme a mio fratello Antonio che dimora in
trentino, ci rechiamo in Puglia dove abita papà, e viviamo assieme a lui giornate di compagnìa, di ricordi, di
stimoli sugli odori e sui sapori, tanto che lui smette di
manifestare i suoi dolori e si lascia andare ai bei ricordi e
alla compagnìa… Nella notte tra il 29 e il 30 Dicembre
2007, tra molti dolori fisici, papà muore. Assieme a mio
fratello raggiungiamo la Puglia in aereo. Il mio stato d’animo è avvolto da una morsa di tristezza e di dolore che
- 21 -
I l S alotto degli A utori
vorrei contenere, poi memore di quanto appreso durante l’evento formativo di Ottobre 2007, lascio che le mie
emozioni facciano il loro corso, lascio che il pianto scorra irruento, poi fluido, quasi lavacro della stessa tristezza,
accogliendo e sostenendo in me il sorgere di una preghiera di misericordia per l’anima del defunto al cospetto dell’Altissimo, accogliendo la solidarietà e la vicinanza di
tantissimi parenti e amici nella loro stretta di mano o an-
che solo nel ricordo espresso da un sms.
Essendo il sottoscritto un soggetto che manifesta le proprie emozioni principalmente attraverso lo scritto, ho
manifestato attraverso due poesie i sentimenti vissuti, da
cui traspare evidente il sentimento di tristezza nella prima
composizione, ma poi anche, nella successiva, il recupero
di un bellissimo dono ricevuto da mio padre:
LE STAGIONI
NOTTE DI ADDIO
Fuochi d’operosità
accendevi un tempo
padre
lungo il nostro cammino.
Ed ora
che i bagliori sopiscono
mi riporta
la tua canuta testa…
Il vento
alzato improvviso
soffiò sulle piante e le cose
sferzandomi il viso
e portandomi
quel triste annuncio
che serbavo
in un angolo nascosto
del mio cuore.
Il dolore
ti ha consumato padre
fino al tuo ultimo respiro
consegnato nelle braccia
più amate
più invocate
più attese…
quelle di tua madre,
dove dolcemente,
con il capo reclinato
su un cuscino di bianco raso,
con appena un sorriso abbozzato,
ora tu – alfine – riposi.
Alle notti di luna
sullo scintillìo del mare
dove mi consegnavi pesci
dal bianco ventre…
Alle giornate assolate
sulla porosa terra
dove mi offrivi spighe
dai biondi riflessi…
Alle giornate di nebbia
sull’umido muschio
dove mi colmavi d’uva
dai rigogliosi chicchi…
Alle giornate di freddo
sotto i secolari ulivi
dove mangiavamo pane
ricolmo d’olio…
Non capivo allora
il susseguirsi del tempo
ma ora so:
mi consegnavi le Stagioni
padre!
C’è stato un tempo, vissuto dall’autore in età da bambino, dove la figura paterna ha assunto un ruolo significativo nello scandire i ritmi di vita rappresentati dal mare,
dal sole, dalla terra e dai suoi frutti.
Il padre appare guida indiscussa nelle varie fasi di
passaggio scandite dai ritmi della natura. Ora molti anni
sono trascorsi (“ i bagliori sopiscono”) e la “canuta
testa” indica la vecchiaia del padre che, alfine, non spegne le intense emozioni e quello scandire le fasi del tempo vissute dall’autore accanto al padre, la cui figura viene assunta come firmatario di un generoso testamento
d’amore rappresentato da quella attenzione, inculcata e
trasmessa, rivolta ai ritmi meravigliosi delle Stagioni.
- 22 -
Il “vento” è il simbolo di qualcosa che giunge
improvviso, qualcosa che l’autore vorrebbe
evitare, negare, perché porta con sé l’annuncio di
un triste evento: la morte del padre, avvenuta nel
dolore e con l’invocazione continua d’aiuto
rivolta alla madre.
Appare crudele il morire nel dolore, come pure
vivere la morte come superamento dello stesso
dolore. L’affidarsi sembra superare la strettoia del
passaggio, del transito, del trapasso, donando
alfine – sul volto del padre – un sorriso appena
abbozzato, indice dell’agognato riposo.
P rimavera 2008
Una poesia che tenta di spiegare chi sono gli artisti e
cosa conta per loro.
1° Maggio
di Bruna MURGIA (Torino)
ARTISTI
di Walter MILONE (Druento - TO)
È festa!
Siamo scesi in piazza
per dirlo a questa
gente
che la dignità si conquista
col duro e onesto lavoro,
che non v’
è ricchezza senza braccia
e non c’è gloria senza fatica.
Siamo artisti,
liberi istrioni,
sognatori disperati,
zingari vagabondi per polverose contrade.
Come clown strampalati
regaliamo illusioni
in cambio di un sorriso.
Abbiamo l’età dei nostri sogni,
gli anni ricamano ragnatele sul volto,
ma le reti del tempo
non fermano
un vento di primavera nell’anima.
Siamo felici per una poesia,
per una musica
in cui viviamo,
per un viso di donna regalato alla tela,
per un corpo
strappato ad un’opprimente prigione di marmo.
A volte,
improvvisamente,
sparisce il mondo intorno a noi
e voliamo leggeri,
cavalieri erranti,
negli infiniti,
inconfessabili labirinti
della nostra arte.
L’abbiamo
detto:
poco vale taluna vittoria
da giusta norma impressa
se troppa
umana gente muore!
Su ogni volto scolpito dal sole
e sulle mani
callose guardiamo
bambini che non avranno un padre.
Conosciamo donne
sole e precarie,
sfruttate, annientate, vendute.
Anche per loro oggi
deve esser festa.
Non dimentichiamo il dolore silente
di uomini
premiati dal Mondo,
oggi in catene sconosciute.
Ricordiamo i nomi dei
Paesi
che negano la verità, feriscono
e uccidono la dignità.
Sulle corde di un vecchio mandolino
canteremo ancora
le antiche,
eterne canzoni
ed il nostro canto
avrà il sapore
aspro
del mare;
sul brivido di un accordo
rivivremo arcane malinconie,
figlie di lontane,
indimenticate emozioni.
Chissà
qual prezzo o valore
hanno le parole,
ma col silenzio un uomo si
svende
e paga cara l’omertà
al Sud come al Nord.
Siamo artisti, liberi istrioni, sognatori disperati; è
assurdo cercare di capirci, inutile
tentare di cambiarci; siamo strani, fuori tempo.
Nessuno è solo nel
Giorno del Lavoro:
siamo tutti qua con i sogni
e le speranze dei nostri
bambini.
In un mondo
che pesa l’uomo in oro
noi alziamo nel cielo
le vele
della nostra incontaminata fantasia.
- 23 -
I l S alotto degli A utori
SARK, DOVE IL TEMPO SI È FERMATO
IN EUROPA ESISTONO ANCORA ANGOLI DI PARADISO!
di Gianfranco GREMO (San Gillio – TO)
Chi di noi non ha mai sognato un’isola tutta per sé,
un’isola lontana simboleggiante l’evasione, il distacco, il
fascino della solitudine?
Questo paradiso esiste e neppure tanto lontano da qui,
si trova nella Manica e si chiama Sark (per gli inglesi, fa
parte della Corona e non del Regno Unito) o Sercq (per i
francesi, perché le sue origini sono normanne). Questo
minuscolo lembo di paradiso fa infatti parte delle Channel
Islands (per gli inglesi) o Anglo-Normandes (per i francesi) assieme a Jersey e Guernsey (più estese), Alderney
(delle stesse dimensioni di Sark) ed Herm, la più piccola.
La caratteristica principale della nostra isola, quella che
la rende unica ed indimenticabile, è che non vi circolano
auto e le strade non sono asfaltate; pertanto inquinamento
zero, a parte qualche trattore necessario per le poche coltivazioni presenti sul suo territorio.
Arrivarci è facile e divertente, occorre percorrere un
migliaio di chilometri da Torino sino a Saint-Malo, la
splendida città interamente cinta da mura sulla costa
bretone, dove i giochi delle maree sono affascinanti ed
impressionanti insieme. Da Saint-Malo partono gli aliscafi
per le Anglo-normanne e nessuna auto può esservi caricata; a Jersey e a Guernsey è possibile noleggiarle in numero
limitato, a Sark ciò è fortunatamente impossibile.
Il primo approdo è Jersey, la “capitale” delle isole, dove
sono espletate le formalità doganali ed il controllo dei
documenti (basta la carta d’identità), poi l’aliscafo riparte
per Sark. A vederla da lontano non è dissimile da altre
isole, le sue scogliere sono alte intorno al centinaio di
metri e l’altopiano è verdeggiante ed ondulato, ma appena vi si mette piede si entra in un mondo a parte, dove la
natura è dolce e intatta, i profumi ed i colori sono unici,
dove non esistono recinzioni ed ogni passo è una scoperta.
Lungo le strade in ghiaietta e lungo i sentieri che percorrono i boschi e la campagna si ode soltanto il trillo del
campanello delle biciclette noleggiate per poche sterline.
Per raggiungere le spiagge collocate centro metri più in
basso occorre lasciare la bicicletta sul margine della scogliera ma nessuno ve la toccherà, qui il furto è impensabile.
Sull’isola il numero di posti disponibili per alloggiare
non è elevato ed in alta stagione è opportuno prenotare,
ma la scelta è vasta: alberghi di tutte le categorie, pensioni di famiglia, alloggi da affittare per almeno una settimana. Normalmente viene fornito il pernottamento e la prima colazione all’inglese, ma è facile avere anche, prenotando, il pasto serale. I ristoranti comunque non mancano. A mezzogiorno le innumerevoli sale da tè (deliziosi
luoghi con giardino dove il tè viene servito con dolci,
torte, panna e marmellata fatta in casa) basteranno a placare i pochi morsi della fame perché al mattino la colazione è stata copiosa.
Come si è detto, l’isola ha origini normanne ed i nomi
dei luoghi risentono di questa influenza, ma il dialetto
locale (completamente distante dall’inglese) è praticamente scomparso e la lingua inglese è imperante, assieme alle
abitudini ed i costumi. Una curiosità consiste nella valuta
(banconote e monete) che è differente da quella inglese.
Quest’ultima è circolante sulle isole ma quella locale non
è accettata nel Regno Unito.
Su Sark è la natura a farla da padrona, i posti sono incantevoli ed incontaminati, si possono vedere cose impensabili,
uccellini che vengono a bere nella tazza posata davanti a
voi sul tavolino all’aperto ed a beccare le briciole della
torta nel piatto. Abbiamo visto una mamma pennuta fare la
spola e nutrire sul prato i suoi piccoli a qualche passo da
noi, calabroni al lavoro da un fiore all’altro nei vasi sui
tavolini, leprotti che attraversano il sentiero sfiorando le
biciclette, cerbiatti che si rifugiano nel bosco.
Affascinanti sono i cottage sparsi in simpatico disordine nella campagna; intorno a questi lindi villini di solida
pietra, curatissimi giardini pieni di fiori, siepi di ribes ed
uva spina; qui un piccolo stagno quieto sul quale scivolano altezzose anatre e goffi paperi, là una scorcio su spiagge e calette racchiuse tra rocce rossastre e strapiombanti.
Più il tempo scorre in questa pace impensabile, più si
allontana il mondo convulso nel quale viviamo, più si
vorrebbe non finisse mai la vacanza. Inevitabilmente occorre riprendere l’aliscafo e tornare nel mondo “civile”,
rivedere la terraferma, la magica Saint-Malo, addentrarsi
nuovamente nel traffico, nel rumore e
LUNA di Pacifico TOPA
nell’inquinamento.
Quasi spiace rive- (Cingoli – MC)
lare l’esistenza di un
paradiso come Sark, Astro misterioso
perché se troppi ne che vegli su sonno
verranno a cono- del mondo che, impassibile,
scenza potrebbe ti guarda di lontano.
perdere, un domani, Luna, meta agognata
il suo fascino. E’ dif- di titanici sforzi,
ficile tuttavia tacere che puntano a svelare
della sua bellezza ed il mistero ch’è in te.
unicità, ed a questa Luna, amica preziosa
tentazione di condi- di amanti e di poeti,
videre la felicità non forse non ti si addice
il ruolo misterioso
ho saputo resistere.
dal momento che l’uomo
è giunto fino a te.
Luna, dolce compagna
Di giovanili ambasce,
portatrice i sogni
e di tante speranze.
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P rimavera 2008
LE FOGLIE
di Fosca ANDRAGHETTI
(Bologna)
GRANULI DI QUARZO
di Giancarlo PETRELLA (Roma)
A Epidauro un dito al cielo
con fronde
marmoree qual l’amore
eterno di Phidia
o come il monumento funebre del Satrapo:
sentenze di Febo.
Foglie ambrate dei pioppi
come mare alla risacca, al principio
del giorno. Più in là il rosso
della vite americana, il nero
d’asfalto, macchine veloci,
vita che pulsa nel giorno feriale
scuole, negozi, lavori stradali
e di lato i muri di un ospedale.
Nel letto dei vecchi
la vita si ferma.
CIAO COMPARE
di Giacomo GIANNONE
(Torino)
Io, figlia, non ho più timore
D’un padre che non ha difese.
Ciao compare
e scorrevano le lacrime
sul viso
mentre una vela bianca
sul mare scuro si involava
e io t’abbracciavo
e le vie percorse ricordavo.
2008: ANNO BISESTILE
di Giovanni REVERSO (Torino)
Dice un detto reversiano, cioè mio:
“Tutti gli anni bisestili mordono”.
Si tratta allora solo di scoprire
il giorno della morsicatura, che può
essere il primo, come uno qualsiasi
dell’anno stesso, ma di sicuro c’è!
Morsicatura certo in senso metaforico,
ma con risultato, conseguenze effettive.
Ciò vale a cominciare dalle singole
persone, per passare ai nuclei nazionali,
continentali e globali, investendo cioè
il mondo intero come un unicum,
in quanto ora ogni azione ha effetti
globalmente accertabili e misurabili.
Si afferma che le speranze aiutano a vivere,
perché la speranza una certa forza
la possiede e conviene accettarla.
Ma conta di più l’azione, conta più
d’ogni speranza e d’ogni preghiera,
in quanto l’azione è la preghiera che
ha sempre una risposta, sia positiva
che negativa, ma ce l’ha.
Non faccio nomi, ma chi guida le nazioni
sotto qualsiasi regime, anche totalitario,
può molto per dare al 2008 almeno
un po’ di serenità e di pace.
Due cose necessarie al potenziamento
di quelle azioni costruttive, tendenti
a fermare tutto quello che contribuisce
a determinare la fine dell’uomo stesso,
esaurendo le risorse primarie della Terra.
2008: in quest’anno bisestile,
l’umanità deve con forza e tenacia rivedere
il suo rovinoso agire, modificandone lo stile.
La bicicletta altalenante
sulla strada di pietrisco
il gioco a palla nel cortile
o nell’androne
le sfide a dama con
il libro aperto e
le declinazioni.
Poi le balze di Sardegna
a inseguire le pernici
fra i rovi e i muri di confine,
l’allegria nel cuore
il nostro avvenire
con le cicale a frinire
e il cane a ruzzolare.
Così il tempo
e un giorno ancora
per ritrovarci
dopo lungo cammino
sotto la pergola e l’uva
matura con il profumo
della citronella e il gelsomino
Ora la notte precipitosa scende
una navicella sul fiume
fra nugoli di nebbia
minacciosa s’avvicina
sente il nocchiero borbogliare
una voce gridare
‘’Stammi vicino Compare”.
- 25 -
I l S alotto degli A utori
CONOSCERE TORINO
ATTRAVERSO
PASSEGGIATE A TEMA
MICAELA (MICKINVENTOUR) guida turistica in Torino e dintorni,
propone passeggiate guidate a tema nel capoluogo e nelle vicinanze su usi
e costumi in epoche passate e personaggi nati o vissuti in Piemonte che in
questa terra hanno lasciato un’impronta indelebile. Al sito
www.cercaturismo.it occorre cliccare su “Piemonte” nella cartina
geografice dell’Italia e nuovamente cliccare sulla voce guide e
accompagnatori oppure visitare http://it.geocities.com/guide interpret
intorino. Oltre ai tours elencat nel volantino, la guida Micaela propone i
seguenti giri guidati di propria ideazione e conduzione:
TORINO PUBBLICITARIA Il grande ruolo di Torino nella pubblicità e
le creazioni pubblicitarie che hanno fatto storia
z
IL MALATOUR: sulla “mala” di un tempo e gli imbonitori che popolavano il Balon e Porta Palazzo, il loro gergo piemontese e i luoghi di loro
dominio
z
SIGNORSÌ: itinerario in Torino sui vari corpi militari che sono al servizio della Nazione
z
UNA FOTOGRAFIA
di Gaetano PIZZUTO (Torino)
Una parete tappezzata
a fiorellini rosa
trascurata dalla luce del giorno.
Una fotografia appesa,
ingiallita come l’erba d’Agosto
incorniciata da un tenero ricordo.
Il tuo sorriso disegnato,
dolcemente sinuoso
i tuoi capelli carezzati dal vento,
negl’occhi misteriosi bagliori.
Momenti che si fermano
sui muretti dell’eternità
nel volgere d’uno scatto.
Ogni giorno ti penso,
ti penso ora, ovunque sei
forse sarai poco lontana
dall’altro crinale del monte
e la nostalgia di te
è come un foulard di seta
che m’avvolge l’anima
quando scende la sera.
SÌ VOSTRO ONORE: la giustizia nel corso dei secoli a Torino, come
veniva amministrata, come è cambiata, giuristi insigni, come era vista dai
Savoia
z
TORINO INGLESE E PICCOLA PARIGI: Testimonianze “inglesi” e
francesi che hanno contribuito a dare a Torino l’appellativo di “piccola
Parigi”
z
AL SERVIZIO DI SUA MAESTÀ: tutti coloro che ruotavano intorno al
re ed erano al suo servizio: valletti, paggi, cameriere, ecc.
MATTUTINA LUCE
di Silvia SPALLONE
(Torino)
z
z
INVENTORI E INVENZIONI
TORINO IN PRIMA PAGINA: gli eventi più importanti che hanno segnato Torino attraverso le prime pagine dei giornali
z
TORINO IN FORMA: la cura di sé nel tempo: la toeletta, la cura del
corpo, come è cambiato il concetto di igiene e cura di sé nei secoli, pregiudizi e assurdità di un tempo
z
TORINO SEGRETA E PROIBITA: tour “trasgressivo” su tutto ciò che
era proibito in passato a Torino e dintorni
z
z
AGNELLI, L’AVVOCATO
z
BELLA E ODIATA sulla “Madama Reale” Cristina di Francia
EMANUELE FILIBERTO IERI E OGGI: tour su “Testa di ferro”, il
duca Emanuele Filiberto che ha traslato la Sindone a Torino e accenni ad
Emanuele Filiberto di Savoia vivente (confronto)
z
z
DIAVOLI E MASCHE: le “masche” nella tradizione popolare
z
SFERE DI CRISTALLO: maghi e veggenti “buoni” di ogni epoca
- 26 -
Taglia l’ombra
della notte, a fette,
tra gli antichi
e moderni palazzi
ornati di viali alberati
e piazze in fiore,
la calda e tiepida
luce mattutina;
si riflette nelle
acque verdastre dei fiumi.
Dolce e cara Torino
offuscarti non devi!
quando il grigio mantello
della nebbia t’avvolge
d’umido freddo;
paziente, attendi,
il vento di primavera
che spolvera
la vecchia foschia d’inverno.
Brevi viaggi di luce infiorano
le piante della
profumata primavera.
P rimavera 2008
CASA LEOPARDI:
ATTRAZIONE TURISTICA MARCHIGIANA
di Corrado ALESSANDRINI (Recanati - MC)
Sia provenendo da Macerata che da Ancona si sale per
raggiungere la ridente e accogliente cittadina marchigiana:
Recanati, che dette i natali all’insigne poeta Giacomo
Leopardi. Lungo tre ridenti e ubertosi colli si stendono i
fabbricati antichi e nuovi, dominati dall’alto dalla torre
del «natio borgo selvaggio» e dalla torre «del passero
solitario», che s’eleva dal chiostro della chiesa di S.
Agostino. Da Porta nuova si entra nel paese.Allo sguardo
del visitatore si presenta il palazzo dei Marchesi Antici da
cui uscì sposa la marchesa Adealaide, madre del poeta.
Proseguendo s’incontra la chiesetta di Montemorello le
cui campane argentine annunziavano, la sera del sabato,
la prossima festa; «la
piazzetta del villaggio» che ancor oggi
risuona delle festose
grida dei bambini
che giocano e infine
il palazzo dei Conti
Leopardi, dove attualmente risiedono
gli eredi del conte
Monaldo, padre del
poeta.
II palazzo si eleva
maestoso e solenne
rispetto alle casette
basse e raggruppate
del
rione
di
Montemorello. Il disegno del palazzo fu opera del canonico Carlo Orazio Leopardi architetto e zio del poeta. Il
progetto fu ardito poiché unì in un sol corpo di fabbricato
diverse case già esistenti senza demolirle. Dello stesso
arehitetto furono i disegni delle facciate delle chiese di S.
Michele e di S. anna in Recanati.
Un tempo la biblioteca di famiglia fu aperta al
pubblico e vi si accedeva da una porta ancora esistente,
alla sommità della quale c’era scritto: «Filiis, amicis,
civibus Monaldus Leopardi ». Fu merito del conte Giacomo, figlio di Pierfrancesco, l’idea di raccogliere in un
medesimo luogo i manoscritti del poeta e tutte le opere
che si venivano pubblicando, formando così la biblioteca
leopardiana. Ora al palazzo è stato aggiunto un altro fabbricato denominato «Centro degli Studi leopardiani » dove
gli studiosi possono consultare le varie opere di cui è ricca la biblioteca. I trentamila volumi che vi si conservano
e che formano l’antica biblioteca leopardiana hanno la
loro importanza non tanto per la quantità, ma perché sono
legati alla stessa vita del poeta che, studiandoli profondamente, alimentò e sviluppò il suo genio immortale. Nella
prima sala della biblioteca sono conservati religiosamen-
te, in una teca, i principali manoscritti dell’età puerile e
giovanile del poeta, (è con vera commozione che si osserva la calligrafia così nitida ed ordinata del poeta), un
suo ritratto opera del Lolli, l’albero genealogico della famiglia. Appesi alle pareti, oltre ai ritratti dei genitori, sono
quelli dei fratelli Paolina, Carlo e Pierfrancesco, di Giacomo figlio di Pierfrancesco, fondatore della biblioteca e
di sua moglie Contessa Sofia.
Nella seconda sala il poeta trascorreva il suo miglior
tempo «sulle sudate carte»; si conservano ancora il tavolino che il poeta collocava vicino alla finestra, il suo calamaio e le coperte con cui si avvolgeva le ginocchia durante i rigidi inverni.
Affacciandosi alla
finestra prospiciente
la piazzuola, l’osservatore può rivivere
le scenette descritte
con arte insuperabile
dal poeta nella poesia «II sabato del villaggio»; può vedere
la casa della giovane Silvia che allietava con suo canto la
vita triste del poeta.
Nelle altre sale sono
conservati gli altri
libri riposti in vecchi
scaffali suddivisi per materie: filosofia, leterratura, giurisprudenza. Si trovano fra essi alcuni esemplari di gran
pregio come l’Enciclopedia francese del Diderot, La Bibbia poliglotta stampata in sette lingue un manoscritto della Divina Commedia del 1300; «De Civitate Dei» di S.
Agostino. La stanza che era adibita a studio dal conte
Monaldo è rimasta intatta cogli stessi mobili di allora.
Dal giardino il poeta poteva vedere la casa di «Nerina»
e uscendone, percorrendo uno stretto viottolo lungo le
mura dell’odierno Educandato femminile di S. Stefana.
si recava sul monte Tabor (ora Colle dell’Infinito). Da lì il
suo sguardo spaziava sull’immenso e splendido panorama che gli ispirò la bellissima poesia «L’infinito» e udiva
il canto del passero solitario che proveniva dalla torre del
chiostro della chiesa di S. Agostino. Tutti luoghi suggestivi che incantano e destano nel cuore dei visitatori, di
ogni parte del mondo, grande commozione e fanno capire che il poeta soltanto a Recanati, in questa cittadina un
tempo a lui cosi ostile ed ora così riverente davanti al suo
genio, poteva trarre motivi atti a suscitare in lui
l’ammirabile sua poesia.
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I l S alotto degli A utori
LA BRUTALITÀ DELLA VITA E LA BRUTALITÀ
DELLA PAROLA NEL ROMANZO DI
N. AMMANITI, COME DIO COMANDA
di Francesca LUZZIO (Palermo)
Il romanzo Come Dio comanda di N. Ammaniti possiede tutte le caratteristiche formali e contenutistiche per
essere considerato dal lettore medio un best-seller. Strutturalmente esso è diviso in due parti: prima e dopo, preceduti da un prologo; il prima comprende tre giorni ( venerdì, sabato e domenica), il dopo ne include altri tre (lunedì, martedì e mercoledì). La struttura dell’opera coincide quindi con la dimensione temporale. Quest’ultima a
sua volta, pur nello scandirsi dei giorni, si sottrae ad una
specifica determinazione cronologica attraverso la generica successione di ciò che accade prima e dopo
l’apocalittico temporale che investì la località di Varrano
e la pianura circostante, la notte compresa tra domenica e
lunedì. La dimensione spaziale è invece dettagliatamente
proposta con la descrizione analitica degli interni, del
paese, della pianura circostante piena di capannoni industriali, campi, villette, boschi, strade, ponti, fiumi, palcoscenico tragico di eventi che nella cieca brutalità del loro
realizzarsi, tuttavia non escludono l’esistenza o la ricerca
di valori anche metafisici.
Protagonisti sono quattro personaggi: Rino e Cristiano
Zeno, padre e figlio uniti da un amore viscerale e violento; Danilo Aprea, angosciato dal senso di colpa per la
morte occasionale della figlia, evento che è stato anche la
causa preminente della separazione dalla moglie; Quattro Formaggi (così chiamato perché preferiva la pizza
omonima), un uomo strano soprattutto dopo un incidente
con i fili dell’alta tensione. La comune condizione di disoccupati, di miserabili e di alcolizzati li rende molto amici
e condividono insieme esperienze e problemi.
Un giorno Danilo propone di scassinare un bancomat
per dare una svolta alla loro vita di deietti..
In una notte di terribile tempesta però le loro sorti si
dividono tragicamente, poiché ognuno di essi resterà legato a ciò in cui crede o che il caso, scambiato per Dio,
farà sentire come tale. Così Dino per la paura di essere
scoperto e di essere privato dai servizi sociali della compagnia del figlio, alla fine non vuole più partecipare allo
scasso; Quattro Formaggi, strano com’è, indugia a lungo
ad uscire di casa e quando decide di farlo il caso gli farà
incontrare una biondina che sprigiona in lui sfrenato
erotismo e istinti oscuri che lo inducono all’omicidio della ragazza, compagna di scuola di Cristiano. Nell’impotenza della sua balordaggine , telefona a Rino che accorso, nel vedere l’operato dell’amico lo colpisce violentemente, ma anche lui cade a terra, come morto a causa di
un’emorragia cerebrale da tempo annunziata da forti emicranie. Danilo così, affronta da solo lo scasso al bancomat nel sogno di potersi rifare una nuova vita con l’ex
moglie,che non aveva mai smesso di amare, ma poiché
era ubriaco, nel recarsi presso la banca muore a causa di
un incidente stradale. Frattanto la tempesta imperversa, i
fiumi straripano,il fango seppellisce ogni cosa, anche la
loro vita.
Tutto come Dio comanda, infatti se Quattro Formaggi
si sente innocente, perché uccidendo la ragazza si convince di eseguire un ordine divino, anche la sorte degli altri
sembra ordinata da un Dio violento che ama accanirsi
contro i miserabili.
Altri personaggi, altre storie s’intersecano nella vita dei
quattro amici e l’opera nel complesso risulta avvincente,
uno di quei romanzi che il lettore non riesce a posare se
prima non sa “come va a finire”.
Ne risulta un grande affresco che ci pone di fronte agli
emarginati della società attuale, che spesso la precarietà
lavorativa ed economica rende violenti anche
nell’esplicazione dei sentimenti più forti e puri, quale
l’amore paterno, viscerale e perciò illimitato che unisce
Rino al figlio Cristiano.
Per Ammaniti, se la sofferenza è di tutti, non pare distribuirsi in modo uguale in tutte le classi sociali, sembra
preferire i poveri, gli offesi, inducendoli ad acquisire progressivamente un habitus morale e un conseguente modus
vivendi che alla violenza affida la propria vita, gli affetti e
la stessa morte.
Questa è un’ideologia opinabile, ma sostenuta fortemente dall’autore attraverso gli eventi narrati e le parole
dei personaggi, anche se poi, in fondo, anche questi ultimi sono alla ricerca di un proprio Dio, al di là della brutalità della loro vita. In Quattro Formaggi questo bisogno
di Dio diventa maniacale e si esplica non solo nell’atto
omicida da lui santificato, ma anche nello zelo paranoico
con cui si dedica alla realizzazione del suo grottesco presepe che con il cadavere della ragazza, avrebbe avuto il
compimento migliore. E che dire di Danilo? Quando trova le chiavi della sua macchina nel fiume, dopo cinque
anni da quel maledetto giorno in cui, essendo morta sua
figlia, gliele aveva buttate, pensa che “su in cielo c’era
qualcuno che l’aiutava”. Il miracolo capita pure a Beppe
Trecca, l’assistente sociale che seguiva Cristiano . L’uomo di colore che, da lui investito sembrava morto, torna a
vivere dopo il suo voto che lo impegnava a non rivedere
Ida Lo Vino, sua amante e moglie del suo migliore amico. Il romanzo così è realistico anche nella descrizione
della percezione del divino: Dio abitualmente assente nel
quotidiano o addirittura sentito come persecutore degli
afflitti o mandante di omicidi, diviene entità positiva e
presente, quando sporadici fatti considerati miracolistici
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P rimavera 2008
costellano il ginepraio confuso dell’esistenza. Questo è il
Domande disperate di chi si ostina a credere che l’arte
messaggio quasi blasfemo che Ammmaniti ci invia, mes- per essere tale deve attenersi all’estetica; ma se quest’ultisaggio a dire il vero non nuovo nell’ambito della lettera- ma indica l’insieme dei fattori richiesti ed accettati dal
tura contemporanea che spesso si serve degli strati sociali gusto e dal sentimento del bello, a me pare che il narratosubalterni per attribuire a Dio situazioni e comportamenti re si sia completamente dimenticato di tali fattori.
la cui causa prima è da connettersi all’uomo e al suo egoAnche la pornografia è letteratura se realizzata con arte,
ismo. La tecnica narrativa è cinematografica, soprattutto ma il linguaggio volutamente e insistentemente osceno e
nella seconda parte, dove il filo del discorso viene inter- volgare no. Da sempre la volgarità espressiva fa parte del
rotto spessissimo con brevi episodi che seguono di volta linguaggio della gente comune, non per questo i grandi
in volta l’azione dei vari personaggi; attuale anche la scrittori realisti o neorealisti hanno fatto uso di un lessico
proposizione dei messaggi telefonici con il loro linguag- simile per proporci un quadro reale anche degli strati più
gio sintetico ed iconografico. Il lessico è semplice, comu- bassi della società.
ne, ma anche volgare e spesso gratuitamente osceno; la
sintassi ineccepibile, ma tale correttezza appare poco adatta
al realismo e all’attualità ostentata, sicchè la perfezione
grammaticale fa a pugni con l’oscenità del lessico .
NOTTURNO
L’attualità, il realismo devono necessariamente comdi Gian Franco MICHELETTI
portare la volgarità? La volgarità può essere letteratura?
(Orbassano - TO)
La parolaccia gratuita serve a dare realismo espressivo
allo stile o a favorire la mercificazione
Sotto un pergolato di sparsi corimbi
del prodotto?
ROCCIA D’ARGILLA
trabocca siero di melanconico
(A mia nonna Igina
essenza di vita…)
Cinthia DE LUCA
(Roma)
SILENZI di Bernadette BACK
(Casapesenna - CE)
Silenzi,
diamanti nel tempo,
nell’infinito si perdono
come chiarore del sole.
Silenzi
nei fervidi sogni,
che la speranza raccoglie
in sospiri d’amore.
Silenzi,
soffi vitali
di pienezza universale
son d’un cuore pura ala.
Silenzi
vibrano d’entusiasmo,
tremolano senza voce,
salgono al Creatore.
Silenzi,
complici della storia,
sogni di vittorie,
avanzano coi cuori.
Eri
il tronco
da cui
presi vita,
l’antica radice
da cui
ho originato
tepore silente,
lontano,
compagno
di palpiti
ormai spenti,
profondo
alimentava
i miei vuoti…
di tenerezza,
roccia
d’argilla,
su di te
i miei sguardi
innocenti…
porto sicuro
in cui
mi rifugiavo
nei momenti
in cui
non ero
che un fuscello
al vento…
- 29 -
e barbagli di luna
come bagliori di una fioca lampada
irrorano perle su volteggi di foglie
rinsecchite sul desco della vita.
L’effluvio della luna
è un alveare di stelle
in una notte gravida del giorno
su tronchi crocifissi dal tempo
ed il notturno, senza un gemito,
da’ alla luce il silenzio.
A FINE GIORNATA
di Franca MARIANNI
(Novara)
Ho fermato a piacere
volti e momenti
quel sussulto d’immagine
che a prova disperde
i suoi frammenti di nuda
occasione.
Ho inteso fissare
volute di pena
o meste esultanze
al riparo dal tempo,
se ciò che accade è già ombra leggera
passato l’istante.
Ho speso vane risorse
a inseguire l’effimero
resta il nulla
d’un palpito assopito
quando cala il silenzio
a fine giornata.
I l S alotto degli A utori
PRETE CATTOLICO FELICEMENTE SPOSATO
PUR CONTINUANDO A FARE IL PRETE?
SI PUÒ! ECCO LA STORIA…
di Franco PIGNOTTI
La scorsa estate, per la seconda volta, ho di nuovo scelto la Calabria per le mie vacanze estive, che ho trascorso,
insieme alla mia famiglia, a Torremezzo di Falconara
Albanese, provincia di Cosenza, in una casa sul mare
messaci a disposizione da amici calabresi. Ci siamo goduti la spiaggia infuocata, la limpidezza dell’acqua, il fascino dei tramonti sul mare, cosa strana per chi è abituato
a vedere scendere il sole tra i monti. Una volta siamo
anche riusciti a scorgere la sagoma dello Stromboli. Abbiamo ammirato lo splendido castello di Fiumefreddo
arroccato sullo sperone della montagna a picco sul mare,
le serate rumorose di Amantea o di Paola, che terminavano con il classico cornetto a mezzanotte; gustato il pesce
al ristorante Dragut dal nome di un famoso rinnegato
calabrese che aveva fatto fortuna a Tunisi come capo
corsaro ‘barbaresco’. Il tutto trascorso e vissuto insieme
ai nostri amici calabresi, una splendida famiglia con tre
figli adolescenti, davvero normale, se non fosse per il fatto che papà Giuseppe è anche il parroco di Falconara
Albanese, regolarmente sposato con Francesca nel 1985
e ordinato prete dal suo vescovo nel 1988. Insomma, nel
linguaggio ecclesiastico, un “prete uxorato”, un prete cioè
ordinato “sacerdote” dopo aver celebrato il sacramento
del matrimonio. Non un prete che si è sposato dunque,
“gettando la talare” ma un “uomo sposato” che è stato
ordinato prete.
Il fatto sembra davvero curioso. Poche cose infatti vengono percepite così sacre e così assolute come la circostanza che il prete cattolico sia una persona che si dedichi
totalmente a Dio e debba per ciò stesso restare celibe.
Celibato e servizio totale a Dio sembrano includersi per
definizione. Dedizione a Dio ed esclusione della sessualità,
anche biblicamente santa (è il primo comandamento dato
da Dio all’uomo e alla donna appena creati – per gli ebrei
era peccato non sposarsi), appaiono alla maggioranza
come cosa ovvia. Eppure le cose non stanno affatto così.
Si sa che i Protestanti hanno i loro pastori sposati, ed ora
molte chiese protestanti hanno addirittura aperto il ministero alle donne. Si sa inoltre che tra gli ortodossi ci sono
preti sposati, anche se la chiesa ortodossa ci affascina con
i loro ‘patriarchi’ dalle folte barbe, dagli strani copricapi
e dalle lunghe tuniche nere; iconografia semmai ancora
più sacrale di quella cattolica. Dunque nelle ‘secolari’
chiese protestanti e nelle ‘sacrali’ chiese ortodosse il celibato dei preti non fa problema, sia che esista (per gli ortodossi) sia che non esista (per i protestanti) un presbiterato
celibatario. Nella chiesa cattolica se si parla di preti e di
sessualità lo si fa in genere o per raccontare barzellette
boccaccesche, o per parlare di scandali (le accuse di
pedofilia) o perché qualche noto prete si è ‘spretato’ per
amore di una donna. Insomma appare sempre come una
trasgressione particolarmente deprecabile.
Il Concilio Vaticano II, riprendendo la migliore tradizione teologica del secondo millennio, costruisce quello
che può essere definito il teorema della triplice vocazione
cristiana: vita consacrata, ministero presbiterale e vocazione laicale: la ‘vita consacrata’ caratterizzata dai tre voti
e dalla fuga mundi come segno e anticipo della realtà
escatologica; il ‘ministero presbiterale’ caratterizzato dal
celibato come segno di dedizione totale a Dio per la guida pastorale e la vita sacramentale della chiesa; la ‘vocazione laicale’ caratterizzata dalla vita familiare e dall’immersione nelle realtà del mondo per fermentarle con il
lievito evangelico. Dal punto di vista della spiritualità pratica, però, la teologia cattolica sembra non fare molta differenza fra la vocazione monastica (con i suoi tre voti di
obbedienza, povertà e castità) – tenuta in grandissima considerazione anche nel mondo ortodosso ma storicamente
inesistente nel mondo protestante – e il ministero presbiterale
celibatario. Entrambe le ‘vocazioni’ incarnano in maniera
eccelsa l’homo religiosus, una dedizione totale al Regno di
Dio e alle cose celesti. La terza vocazione, quella del laicato,
nonostante la grande rivalutazione del Concilio Vaticano II
che ne ha fatto rilevare il carattere di via alla santità, è una
vocazione compromessa con il mondo secolare e pertanto
poco adatta alle ‘cose sacre’.
Ma se guardiamo alla storia, ‘magistra vitae’, troviamo
che nella bimillenaria tradizione ecclesiale c’era un tempo, durato oltre mille anni, che le cose non stavano proprio così; e parliamo del millennio ‘fondante’ a cui si rifanno più o meno tutte le tradizioni cristiane, i cui teologi
vengono chiamati “Padri della Chiesa”. Fino al Secondo
Concilio Lateranense (nel 1123) non esisteva nella chiesa
cattolica latina un obbligo del celibato, anche se nel corso
dei secoli diversi sinodi locali avevano già adottato questa norma, ma mai a livello universale. Vigeva nella
Chiesa Latina (cattolica) la stessa regola della Chiesa
Greca (ortodossa): il sacramento dell’ordine veniva conferito sia a celibi che a sposati. Dunque i ‘laici’ sposati
potevano accedere al sacramento dell’ordine. I monaci
celibi, al contrario, non accedevano affatto al sacramento
dell’ordine; erano e restavano ‘laici’ da questo punto di
vista. In effetti, soprattutto nell’occidente latino e cattolico, questi monaci tutti dediti al servizi di Dio erano così
‘laicamente’ compromessi con il mondo che i loro monasteri sono diventati la fucina della cultura (arte, letteratura, architettura), dell’agricoltura e dell’urbanistica della
nascente società che sarà ‘europea’. Dal punto di vista
del sacramento dell’ordine, solo gli abati diventavano anche ‘preti’ a servizio delle loro comunità monastiche, ma
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P rimavera 2008
non i monaci in quanto tali. Ma quando l’esperienza monastica divenne l’esperienza leader della cristianità, la figura dell’abate-sacerdote del monastero si estese e si sovrappose alla
figura del vescovo al quale si comincia così a richiedere, per
mimesi, il celibato e pertanto si cominciò a scegliere i vescovi
tra i monaci che avevano già fatto la promessa del celibato,
mentre la maggioranza dei presbiteri delle comunità cristiane
restarono con la loro forma ‘laica’ di uomini sposati.
Dunque l’attuale teorema della spiritualità cattolica è cosa
‘moderna’ rispetto alla ‘tradizione’ del primo millennio. Ma
questo teorema non è neanche ‘verificato’ nella stessa attualità
della chiesa cattolica. Tra i preti più stimati oggi in Italia, ricordiamo fra tutti don Luigi Ciotti, troviamo senza ombra di dubbio quelli profondamente schierati sul fronte del sociale che
altro non è che attività politica in senso vero, teso alla introduzione dei valori del Regno nelle realtà ‘mondane’, valore tipico
della spiritualità del laicato. Basta inoltre conoscere e frequentare delle comunità neocatecumenali, che nomino solo a titolo
di esempio, per imbattersi in laici, dalle famiglie numerose, che
hanno fatto della evangelizzazione il perno della loro vita come
e più di tanti preti. Per non parlare poi del mondo dei cosiddetti
‘consacrati’ alla ‘vita religiosa’ che a fronte di una spiritualità
che li vorrebbe particolari testimoni dell’escatologia, presentano una gamma completa di possibili forme di vita cristiana,
dall’eremitismo classico al più intenso coinvolgimento ‘politico’ al servizio nella società terrena. Tra questi ‘sconfinamenti’
dei limiti imposti dal ‘teorema cattolico’ troviamo anche la questione del celibato dei preti.
Pochi sanno che anche nella chiesa cattolica ci sono preti
regolarmente ed ufficialmente sposati che celebrano messa,
contrariamente all’onnipresente figura del prete celibatario. Qui
bisogna introdurre una distinzione per specialisti: la diversità
dei Riti, il Rito Latino e il Rito Greco. Il rito latino è quello
tipico della chiesa cattolica che dal 1123 (secondo concilio
lateranense) ha imposto il celibato ai preti. Il rito greco è quello
tipico della chiesa ortodossa che ha mantenuto il doppio canale
del prete celibatario e di quello sposato. Ora il rito greco appartiene non solo a chiese che non riconoscono il papa come
autorità suprema, ma anche a chiese in tutto e per tutto ‘ortodosse’, ma unite al papa di Roma. E’ il caso delle ‘chiese uniate’ dell’est Europa (per ‘chiesa uniate’ si intende la porzione di
una chiesa ortodossa staccatasi dalla chiesa madre per unirsi
all’obbedienza cattolica pur mantenendo tutte le tradizioni del
Rito Greco), ma anche della chiesa albanese nel sud dell’Italia,
di cui parlerò fra poco qui di seguito. In queste chiese i preti
sono nello stesso tempo ortodossi e cattolici. La Chiesa Cattolica ha un apposito Diritto Canonico per le Chiese Orientali,
come vengono chiamate, esattamente come il Diritto Canonico per le Chiese di Rito Latino. Secondo il Diritto Canonico
delle Chiese Orientali, i preti possono sposarsi, se lo vogliono,
prima di essere ordinati sacerdoti. E’ il caso del mio amico e
anfitrione Giuseppe Bellizzi, parroco di Falconara Albanese,
felicemente sposato con Francesca e padre di Sofia, Irene e
Giuseppe Gerardo.
Ma prima di passare a raccontare la storia di questi miei amici, vorrei completare il quadro parlando del fatto che anche
nella stessa Chiesa Cattolica di Rito Latino, dove vige la regola
del celibato, troviamo preti in attività pastorale anche se regolarmente sposati. Nei paesi anglosassoni ci sono molti preti
cattolici che sono passati dalle loro originarie chiese anglicana,
episcopaliana o persino luterana, alla chiesa cattolica. E sicco-
me nelle loro chiese di origine rivestivano il ruolo di pastori,
una volta convertiti al cattolicesimo, tramite una procedura
particolare che comprendeva anche una nuova ‘ordinazione’
secondo il rito cattolico, sono diventati preti cattolici e hanno
continuato la loro attività pastorale mantenendo la famiglia.
Curiosamente, le disposizioni vaticane che hanno permesso
questa possibilità di avere preti cattolici sposati regolarmente
in funzione, sono dovute allo stesso papa che ha invece
drasticamente ridotto, se non impedito del tutto la possibilità
per i preti cattolici celibi di potersi sposare regolarmente in
chiesa pur dovendo abbandonare il ministero sacerdotale: Giovanni Paolo II.
A ben vedere comunque, anche in questo caso, non ci si discosta formalmente dalla tradizione orientale che vuole il sacerdozio dato a chi ha già precedentemente fatto la scelta del
matrimonio o del celibato. Per la Chiesa Cattolica, infatti, in
questo caso vale l’ordinazione cattolica fatta evidentemente
dopo la conversione e quindi anche dopo il loro matrimonio; e
non l’ordinazione anglicana o episcopaliana precedente grazie
alla quale esercitavano il servizio pastorale nelle loro chiese di
origine. Ma è indubbio che questi uomini sono stati ordinati
‘preti cattolici’ sulla base della loro precedente esperienza pastorale nelle chiese di origine. Dunque fondamentalmente essi
sono stati ordinati preti per la loro ‘maturità’ cristiana esattamente secondo il principio tradizionale dell’anzianità (presbitero
= anziano) e della saggezza acquisite sul campo, anche grazie –
perchè no? – al loro stato matrimoniale. San Paolo, infatti, dà
come regola per eleggere un presbitero o un vescovo, la provata capacità di aver saputo guidare la propria famiglia ed educare i propri figli (1 Tm 3,1-5).
Dopo questa lunga digressione che inserisce il suo caso in un
contesto più ampio, torniamo al mio amico Giuseppe Bellizzi;
‘padre Giuseppe’ come viene giustamente chiamato dai suoi
parrocchiani. Originario di San Basile (vicino a Castrovillari),
uno dei numerosi paesi di origine albanese della Calabria, il
mio amico, appena adolescente, come tanta gente della sua
regione, era emigrato verso il Nord Italia in cerca di lavoro. E
a Milano trascorrerà molti anni. Nella sua esperienza di vita ci
saranno anche alcuni anni vissuti con i Piccoli Fratelli di Charles
de Foucauld e lo studio della teologia. Quando decide di sposarsi con Francesca Salvador, insegnante di religione di
Codognè (provincia di Treviso, diocesi di Vittorio Veneto), si
reca nella sua diocesi di origine per i documenti necessari alla
celebrazione del matrimonio religioso. E qui incontra una grande
sorpresa che cambierà il corso della sua vita.
In tutti gli anni trascorsi fuori della sua terra natale, Giuseppe Bellizzi si era perfino dimenticato della particolarità della
sua Chiesa di origine: il Rito Greco-Bizantino. La Chiesa Cattolica di Rito Greco-Bizantino in Italia è quella relativa alle
comunità italo-albanesi che cinque secoli fa, a partire dalla conquista Ottomana dei Balcani, per sfuggire alla sudditanza
musulmana, cominciarono a trasferirsi dall’Albania ad alcune
regioni dell’Italia del Sud (Abruzzo, Puglia, Basilicata, Calabria
e Sicilia) e che in questi cinque secoli, in alcuni casi sono riuscite a mantenere intatte non solo la loro lingua albanese, i loro
usi e costumi, ma anche la loro tradizione religiosa cristianobizantina. Il Rito Bizantino prevede una liturgia particolare,
legata alla tradizione greca, ma anche il mantenimento di alcune caratteristiche come il fatto dell’ordinazione sacerdotale di
uomini sposati. Il vescovo di Lungro dunque, una di queste
diocesi italo-albanesi, nel rilasciare a Giuseppe i documenti richiesti, vista la sua formazione teologica ed ecclesiale, gli fa
una proposta che a lui sembrò sul momento davvero strana:
“Adesso ti sposi, vivi qualche tempo la tua vita di famiglia cristiana con la tua sposa e poi torna qui. Ci conosceremo meglio
- 31 -
I l S alotto degli A utori
e se vorrai ti manderò a fare un anno di liturgia grecobizantina e poi ti ordinerò presbitero della nostra Eparchia
di Lungro”. “Eparchia” è il nome della tradizione greca
per “diocesi”.
Giuseppe e Francesca seguirono il consiglio del vescovo: ad un anno dalla celebrazione del loro matrimonio
tornarono a Lungro per mettersi a sua disposizione. Il
vescovo di Lungro li inviò a Roma dove Giuseppe studierà “Sacra Liturgia” presso il Pontificio Istituto per le Chiese
Orientali, mentre Francesca, anche per mantenere gli studi di Giuseppe, insegnerà Religione cattolica in alcune
scuole della capitale. Tornati a Lungro, Giuseppe fu ordinato Presbitero l’8 dicembre del 1988 e fu nominato parroco nella parrocchia di Falconara Albanese, funzione che
mantiene ancora oggi. Nel frattempo la famiglia è cresciuta e nell’ordine sono venute Francesca Sofia, Irene
Angela e Giuseppe Gerardo, tre splendidi adolescenti con
una grande comunicativa e tanta voglia di divertirsi, proprio come tutti i nostri adolescenti, i miei figli ad esempio,
con i quali hanno subito familiarizzato e fatto amicizia.
A conoscere i coniugi Bellizzi, non si può che rimanere
piacevolmente sorpresi dalla testimonianza di questa famiglia, nella quale si può tranquillamente riconoscere la
naturalità propria di ogni esperienza familiare, nella sua
dinamica di rapporto fra marito/moglie e genitori/figli; ma
nella quale è anche presente con altrettanta naturalezza la
pienezza di quel Sacramento dell’Ordine che in niente differisce da quello dei presbiteri celibatari. Giuseppe Bellizzi
infatti è “presbitero” e “pastore d’anime” della Chiesa
Cattolica, esattamente come i suoi confratelli non sposati,
anche se nella nostra formazione “latina” il sacerdozio
sembrerebbe incompatibile con la vita matrimoniale. Del
resto, in questo, la tradizione bizantina si riallaccia direttamente e senza soluzione di continuità alla prassi del primo millennio cristiano, anche occidentale e latino: uno
dei santi più venerati ancora oggi nel sud Italia è san Paolino
da Nola, contemporaneo di Sant’Ambrogio e
sant’Agostino, prima presbitero e poi vescovo, pur essendo sposato. Nell’Eparchia di Lungro attualmente i preti
con famiglia sono circa una ventina, il 50% del totale dell’intera diocesi.
Nella Chiesa Cattolica, nonostante le ripetute riconferme
magisteriali sulla validità permanente del binomio sacerdozio-celibato, il celibato obbligatorio dei preti resta un
problema aperto. Ne fanno fede non solo le richieste che
provengono sia dalla base di determinate chiese soprattutto del terzo mondo che dalle varie associazioni dei preti sposati, ma anche le sporadiche uscite di eminenti personalità ecclesiastiche al di sopra di ogni sospetto. Nel
Dicembre del 2006 il cardinale brasiliano Claudio Hummes,
arcivescovo di San Paolo, chiamato da Benedetto XVI a
dirigere la Congregazione Vaticana per il Clero riaffermò,
in una intervista al quotidiano brasiliano Estrado do
S.Paulo, il carattere puramente disciplinare del celibato
ecclesiastico, esprimendosi favorevolmente per la sua rimessa in discussione, davanti alla grave emergenza della
mancanza di clero. Alla fine del 2007, sia il cardinale inglese Cormac Murphy-O’Connor, Arcivescovo di
Westminster e capo della Conferenza Episcopale dei Vescovi d’Inghilterra e Galles (intervista al Financial Times
del 21 dicembre 2007), che il cardinale francese Roger
Etchegaray, presidente emerito del Pontificio consiglio
Giustizia e Pace e vicepresidente del collegio cardinalizio
(intervista dell’11 novembre 2007 al quotidiano francese
Le Parisien), si sono espressi in favore di una disponibilità
a rivedere questa norma disciplinare. Lo stesso aveva fatto il cardinale scozzese Keith Michael Patrick O’Brien, arcivescovo di Saint
Andrews ed Edimburgo, al momento della sua nomina a cardinale
da parte di Giovanni Paolo II. Spingono in questo senso anche vicende come quella dell’ex prete padovano don Sante Sguotti, oppure il famosissimo arcivescovo esorcista africano Milingo per le
note vicende legate al suo matrimonio con l’agopunturista coreana
Maria Sung e la sua recente associazione “Married Priest Now”,
con la quale si propone di spingere la Chiesa Cattolica alla reintegrazione dei 150.000 preti che hanno abbandonato o sono stati costretti ad abbandonare il ministero presbiterale per essersi sposati.
Dobbiamo però sottolineare che ciò che chiedono i vari Milingo,
don Sante e associazioni varie di preti sposati è altra cosa rispetto a
come il problema è posto nella storia della Chiesa sia Cattolica che
Ortodossa; perché la prassi è sempre stata quella di ordinare ‘preti’
degli uomini già sposati e mai di far sposare preti che avevano optato per il celibato al momento dell’ordinazione. Per questo ritengo
che dovrebbero essere non tanto i cosiddetti ‘preti sposati’ di questo tipo a farsi carico della ‘battaglia’ per il ripristino del sacerdozio
‘uxorato’, quanto semmai altre componenti della chiesa non necessariamente coinvolte in modo diretto. La eventuale riapertura, anche nella Chiesa Cattolica, del canale tradizionale del sacerdozio
‘uxorato’ non inciderebbe in alcun modo sull’ortodossia delle Fede
Cattolica. Ne è testimonianza il fatto che, come abbiamo mostrato,
esistono già preti cattolici regolarmente sposati, che sono contemporaneamente in piena comunione con il magistero ecclesiale e in
piena attività pastorale, come il mio amico padre Giuseppe Bellizzi,
ad esempio. Basterebbe solo estendere questa possibilità. I tempi
potrebbero essere maturi per questo ritorno alla ‘Tradizione’.
[email protected]
MELODIE DI...FISARMONICHE IMPAZZITE
di Raffaella CARRISI MARTINI (Torino)
Melodie di note nella notte,
di pari passo si diffonde il
profumo di resina: da quale tronco si stacca,
in quale “Baita” si può far festa?
E’ dal fienile accanto che giungono
le melodie delle fisarmoniche impazzite?
L’incanto della notte è breve,
tutto pare dedicato alla natura,
mancano solo
le note del vecchio violino,
la nenia è pari alla voce
d’un bambino.
La notte ansiosa cala, confusa, il giorno non si
è ancora liberato dal buio.
La sua nota è breve,
quella stessa nenia che ebbe a donarmi,
l’illusione
d’una notte senz’amore.
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P rimavera 2008
L’ICEBERG
di Gian Franco MICHELETTI
(Orbassano – TO)
Nella ricerca interiore della propria identità, cessare di
essere non toglie il desiderio di avere e l’uomo imbottigliato in questa intercapedine, si trova solo come un lume
di candela su una zattera di sughero, e fra orche e squali si
addentra senza clamori nel limbo delle sofferenze, causa
questa, del suo fragile “essere” e del suo “volere” tutto e
ad ogni costo.
Il cuore esplode, poiché troppo stretto il suo abitacolo,
le paure esistenziali sono eruzioni in un dedalo di silenzi
e soffoca nel vuoto delle parole inutili, abbarbicato in una
soffitta di scorpioni e di scheletri rumoreggianti dentro
l’armadio delle sue fragilità.
Il desiderio di volare via, lontano, dove ogni respiro è
fatto di fiori selvatici esalanti il profumo del pane fatto in
casa, diventa un’eco nella grande valle.
Passata è la tempesta odo augelli far festa... decantava
un illustre poeta... ed ecco il risveglio dal forzato nulla, si
aprono spiragli di luce e si torna al vecchio mulino con la
farina nel sacchetto, per camminare nel bosco, soli, per
piangere, per riassaporare l’odore buono emanato dai
LA POESIA...
di Anna PRESUTTI
(Sulmona – AQ)
La poesia scatena la fantasia;
la mente e il cuore
ti dettano d’improvviso
i tuoi cambiamenti d’umore;
l’odio o l’amore,
il falso o il vero
sono senza velo davvero;
inoltre la poesia
può dare impulsi di gelosia,
ma basta riflettere un attimo
e ritorna l’armonia.
La poesia fa sognare
ad occhi aperti o chiusi,
l’importante è non restare delusi.
Un ciclo pieno di stelle,
un prato verde,
o un immenso mare blu
ti fanno chiedere, sorridendo,
cosa vuoi di più?
Con poesia e volontà
si può vivere la realtà.
profumi del vento, nella carezza del sole e dell’amore
dimenticato in un sottoscala come un vecchio giocattolo.
Ti fermi al capanno a mangiare una fetta di polenta ed
ascolti il vecchio dissennato che racconta le stesse cose
da 30 anni, rivoltate come calzini consumati, ma che pur
danno vita.
Vedi alfine che stai rinascendo, che il tempo pian piano
ti ha ritrovato e le tue rughe non pesano, anzi, ti spingono
ad accarezzarle perché sono i loghi della saggezza che
aspettavi.
Il mistero dei silenzi e della follia dell’uomo, questo
poliedrico essere che non smette mai di aggrovigliare la
propria esistenza, fino a diventare un’ombra che non sente più il freddo e si muove per inerzia.
Ma, tutto ha una fine, dopo la notte viene il giorno e
allora ecco riaffacciarsi il battito del cuore per uno sguardo all’apparenza insignificante, rivelatosi poi dimora nella
bufera.
Tutto torna come una provvidenziale alba ed allora doni
ogni cellula con tutta la tua forza soverchiando gli ostacoli che opprimono l’intrusione dell’amore, padrone finalmente, di lambire ogni tua latitudine.
Il tempo passa incurante del bene e del male e ricama
diagrammi attorno a noi che segnano precise geometrie,
dove nulla si muove per caso e ci si scopre parte integrante dell’immenso ingranaggio che ruota attorno a questo
regno fatto di nuvole e di terra, capace di suscitare emozioni tali da far sussultare il cuore così fragile dell’uomo.
Dalla poesia
NOTTE di Tina PICCOLO
(Pomigliano d’Arco - NA)
Notte
dammi ali di stelle
per il volo di luce,
dammi note di gioia
per la melodia d’amore.
Notte,
dammi il giaciglio della libertà
per donare il mistero di donna
all’abbraccio più vero dell’uomo.
BRICIOLE D’AMORE
di Gennaro BATTILORO
(Sesto F.ni - FI)
Come un passerotto
infreddolito
rovisterò nella neve
e raccoglierò briciole...
d’amore
per poter sopravvivere...
e poi raccoglierò
i miei ricordi
e girerò un film...
un film che non
vedrà nessuno,
ma sarà il mio film
più bello...
e lo girerò per te!
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I l S alotto degli A utori
TI HO INVOCATO
di Clelia PALOMBO (Trevozzo – PC)
Ti ho invocato Pace,
ascoltando e provando le mie ragioni
e nel silenzio di disadorno splendore:
deserto, crudo, il mio cuore si è rivelato.
Ho invidiato tutto di te:
la libertà
l’allegria,
la serenità,
la forza pura della passione,
la dignità,
l’idea.
E vergognoso il pianto
ha tradito le mie paure, le mie insicurezze.
IN MEMORIA DI HANADI
JARADAT (4 ottobre 2003)
di Leonardo TOMASETTA (Genova)
TAYSIR
Un urlo dentro,
un addio alla vita, al mondo,
che esplode insieme a te, Hanadi,
figlia di tante madri innocenti,
che hanno vissuto trovandosi
dalla parte sbagliata,
ignare di negare,
con la loro esistenza,
altre donne, altri bambini,
che in quella stessa terra erano nati,
e vi sono tornati profanati
da un orrendo misfatto:
l’olocausto dei padri.
Nuda,
sola,
sbandata,
ho riconosciuto la tua tenacia
contro ogni forma di umana miseria e nefandezza
e unbrivido di accorata pietà
ha concesso che il tuo amore mi stupisse
e trasformasse me in vita.
SCORRONO IN FILA INDIANA
di Donato VOLANTE
(Rovigo)
Scorrono in fila indiana
silenziosi e sornioni
i tronchi massicci e scuri
dei platani
che cingono i bordi di questa strada.
Hanno ascoltato le lunghe storie
degli ignari passanti
mentre si nutrivano
con le loro lunghe radici
saldamente attaccate alla terra,
con le foglie ingiallite
riscaldate dal respiro della gente
ai primi freddi dell’autunno.
NOTE D’ARPA
di Barbara PARUTTO (TO)
Senza questa voce
esile come un raggio di luna
potrei dissolvermi
al primo sbuffo di vento
o celarmi fra le nebbie
e tramontare con le stelle.
Come acqua sgorgherei
confondendomi fra i flutti
senza più coscienza dei confini.
Sarei solo una scintilla,
caduca cometa,
traccia d’arcobaleno
che svanisce
dopo il temporale.
Ma ho parole da gridare!
Innalzo allora al creato
questo inerme canto;
lacrime fan vibrare
le corde di un’arpa
che m’accompagna
in un sommesso pianto.
Testimoni insensibili dello scorrere del tempo:
soldati schierati come guardiani
di una strada culla di vita
che ferve tra cielo e terra,
ma anche tinta di sangue
e stridore di metalli
cozzati nel buio di un sabato notte.
Tutto cambia
nel breve frullo d’un battito d’ali.
Non c’è più fretta ora
il cammino si arresta:
manca la calda carezza
delle mani protese sul viso di un figlio.
Prosegue il cammino,
nel cuore è rimasta solo pietra.
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P rimavera 2008
FIABE E STORIE ALBANESI
di Bruna TAMBURRINI
Per comprendere le caratteristiche delle fiabe albanesi
dobbiamo, in qualche modo e per sommi capi, ripercorrere le tappe principali della storia dell’Albania, uno Stato spesso sottomesso da potenze straniere. I progenitori
degli Albanesi sono gli Illiri, una popolazione stanziata
dal Danubio ai Balcani. Pare che la prima forma di questa civiltà risalga al secondo millennio A.C, quando tra le
varie tribù degli Illiri poteva distinguersi quella degli
ALBANET. Solo verso il 1000 A.C. gli Illiri occupano il
territorio dell’attuale Albania fondandovi un regno. Subito si ha lo scontro con Roma dopo di che, nel 395, i
territori albanesi, precedentemente ridotti in schiavitù,
passano all’impero d’Oriente. Iniziano a questo punto le
incursioni barbariche dei Visigoti, degli Unni, degli
Ostrogoti che si riversano in Illiria, in Macedonia e in
Grecia. Più tardi, verso la fine del VI secolo, anche le
tribù slave dei Serbi raggiungono il territorio albanese
cancellando e assimilando a sé la storia di questa popolazione. Resistono solo gli Illiri del Sud che, più tardi, si
faranno chiamare ALBANOI. Nei secoli X e XI i nobili
arbereshe si sganciano da Bisanzio e formano il principato di Arberia: primo stato federale albanese della storia!
Da qui il nome di Albanesi. Questo popolo subirà molte
invasioni e, prima fra tutte, quella dei Turchi. Questi
dominatori usano metodi molto repressivi, il popolo
albanese lotterà coraggiosamente, si costituirà come unico Stato centralizzato sotto la famiglia Kastrioti e da qui
si formerà la bandiera nazionale albanese con l’aquila nera
bicipite in campo rosso.
L’impero ottomano travolge comunque gli Albanesi e
questa occupazione è talmente violenta che distrugge le
città, le opere d’arte. Gli Albanesi si rivoltano in diversi
modi al dominio turco, ma non riusciranno ad abbatterlo
definitivamente, perché l’impero ottomano sarà
definitivamente sconfitto solo dopo la prima guerra mondiale.
Il movimento indipendentista albanese riesce ad ottenere qualcosa solo dopo l’indebolimento della Turchia
ad opera della Russia negli anni 1877-78.
Nel 1877 si ha, infatti, l’apertura della scuola albanese
e viene introdotto un alfabeto comune in tutto il paese.
La vera e propria indipendenza dell’Albania si ottiene solo
nel 1920. Ma all’interno del paese, nel 1924, si scatenano
crisi continue tra democratici borghesi e latifondisti reazionari e sale al trono un governo progressista. Subito si
ha una controrivoluzione e il governo democratico viene
rovesciato, mentre Ahmet Zogu si fa eleggere, nel 1925,
presidente della Repubblica e nel 1928 si proclama re
con poteri dittatoriali. Nel periodo tra le due guerre l’Albania è sicuramente il paese più arretrato dell’Europa. La
gente vive di agricoltura, c’è poca istruzione e la vita media
arriva a 38 anni.
Nel 1939 subisce un’altra occupazione: quella di
Mussolini! Gli Albanesi si oppongono in modo eroico
con lotte partigiane e si fonda così il Partito Comunista
Albanese. Nel 1945 Enver Hoxha proclama la Repubblica Popolare di Albania. Hoxha vuole fare avanzare lo Stato
costruendo un sistema di alleanze con i paesi amici. Si
unisce alla Jugoslavia, poi all’URSS dopo il distacco della Jugoslavia dall’Unione Sovietica. Nel 1961 l’Albania
rompe con l’URSS e si avvicina alla Repubblica Popolare Cinese. Esce dal Patto di Varsavia. Nel 1977-78 prende le distanze anche da Pechino. Hoxha usa un pugno di
ferro e, sullo stampo dello stalinismo, abolisce la proprietà privata, limita la possibilità di professare una fede,
crea bunker di cemento. Muore nel 1985 e da allora l’Albania si ribella alla cosiddetta “dittatura del proletariato”.
Ad Oxha succede Ramiz Alia che fa riavvicinare l’Albania all’Occidente, ma con sanguinosi scontri con gli
avversari ed eredi di Oxha. Nelle elezioni del ’91 questi
ultimi conquistano una larga maggioranza parlamentare
rendendo così difficoltosa la democratizzazione.
A questo punto la parte più povera della popolazione
prende la via dell’espatrio. Nel 1992 nuove elezioni portano al potere i democratici di Sali Berisha. Nel 1997,
all’interno del paese, si ha un movimento insurrezionale
e le elezioni vengono vinte dall’opposizione socialista
guidata da Fatos Nano. Dal 1997 al 2005 si susseguono
disordini, si ha l’afflusso dei profughi dal Kosovo e nel
2005 ritorna il Primo ministro Berisha.
NELLE FIABE E NEI RACCONTI
ALBANESI
C’E’ IL CORAGGIO DI UN POPOLO
Le fiabe e i racconti albanesi hanno probabilmente origine illirica e la materia è tratta da due grandi cicli: il
ciclo delle montagne del nord e il ciclo degli Arbereshe.
Sono antiche leggende e vicende storiche, sono anche
ballate, rapsodie popolari. In pratica i temi trattati nei
racconti risalgono al tempo dell’invasione dei Turchi e
pongono in risalto le doti e il valore umano del popolo
albanese. Le fiabe raccontano la vita degli eroi, di coloro
che hanno combattuto in difesa del paese, un paese continuamente invaso. Cercherò di raccontare alcune storie,
almeno quelle più importanti. Una è quella di Gjergi Elez
Alia ed è anche una testimonianza dell’arte popolare
albanese. La storia è questa:
Elez Alia era un combattente, ma era malato e pieno di
piaghe. Stava con la sorella che lo accudiva amorevolmente. Ad un certo punto giunse dal mare un principe
nero, malvagio, conquistò la terra albanese. Il popolo
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I l S alotto degli A utori
dovette sacrificargli una fanciulla e un montone arrostito.
Tutti avevano paura ed erano sottomessi. Giergj continuava a stare a letto malato. Arrivò il giorno in cui Alia
doveva dare al principe nero il montone arrostito e la sorella. Quest’ultima intanto piangeva e pregava di morire.
Alia si commosse pensando al dolore della ragazza, dimenticò le sue sofferenze e saltò in piedi come se non
fosse malato, chiese alla sorella di dargli il suo cavallo
bianco e lo fece ferrare. La ragazza ubbidì al fratello, ma
quando andò nella città a ferrare il cavallo non trovò nessuno disposto ad aiutarla, perché la gente non si ricordava più di Alia. Alla fine riuscì a trovarne uno che ancora
gli era rimasto amico e lo ringraziò. Al ritorno vide che il
fratello era già pronto per difendere l’onore e per salvare
la sorella, quindi era in grado di combattere il principe
nero. I due si affrontarono in duello e sono significative
le parole di Alia: “Dici bene o principe! Veramente da
nove anni io sono sulla via della tomba, perché porto in
corpo nove piaghe. Ma quando ancora non ero arrivato
alla tomba tu mi hai richiamato indietro. Perché hai voluto mia sorella prima di affrontarmi in duello, hai voluto il bestiame senza chiederlo al pastore. Io sono venuto
qui a mostrarti che cosa dice la legge dei nostri antenati:
non abbandonare i tuoi beni prima di averli difesi con le
armi in pugno, non dare le tue sorelle al principe nemico
prima di averlo affrontato in duello: preparati principe,
che è arrivato il tuo ultimo giorno! Parola di Gjergj Elez
Alia!” (Fiabe e leggende albanesi, p.30)
Alia riuscì a vincere il principe colpendolo con un dardo. Gli staccò la testa e l’appese nella parte superiore della sella, trascinò il tronco per i piedi lungo i campi tra
cespugli e rovi per poi gettarlo in un burrone. “Il sangue
del principe scorse per il torrente e annerì tutto il fiume.
Per tre anni tutt’intorno si sentiva puzzo di cadavere” .
Alia tornò a casa, affidò tutti i suoi averi ai suoi amici e
poi andò dalla sorella, ma, nel momento dell’abbraccio, i
due caddero a terra morti. Furono seppelliti insieme circondati da un muretto per significare il loro amore. Gli
amici piantarono vicino alla tomba un bel tiglio dove sempre andavano a riposare gli uccelli d’estate. Alla fine rimane il ricordo di questo grande eroe e a raccontare la
sua storia rimane la tomba. La fiaba termina con una frase significativa: “E il canto non muore mai” E’ come
dire che gli eroi rimangono per l’eternità. Come si può
notare, anche in questo caso i due protagonisti muoiono.
Molte storie ricordano l’avanzata dei Turchi, in particolare ce n’è una: “Gjon Pretika”, eccola raccontata integralmente: “Di guerra in guerra i Turchi invasero l’Albania. E fecero di tutto: uccisero, rapirono, oppressero. Ma
l’Albania si ribellò, con le armi in pugno. Allora i Turchi
mandarono un grande esercito a domare l’insurrezione.
L’esercito si fermò ai piedi di un alto monte, cantava una
pastorella: Chi è tanto giovane e così bravo da prendere
tra i monti la pastorella?
Corsero molti soldati a prenderla, ma non la presero. Il
più valoroso di tutti i soldati era Gjon Pretika. Egli salì
veloce sulla montagna, vide la pastorella e la seguì di balza in balza. La pastorella fuggiva, Gjon la inseguiva. Alla
fine il giovane la raggiunse e la prese. Gli piacque la bella
pastorella della montagna e le disse:
-O mia bella pastorella, io voglio sposarti!
Rispose la pastorella:
-Tu sei un nemico, non ti voglio!
E sfuggì alla presa di Gjon e si diede alla fuga. Egli la
raggiunse e l’afferrò per i capelli, arrabbiato, e la trascinò
per terra. Allora la pastorella gli gridò:
-Non prendermi per i capelli, infedele! Io non sono sola
al mondo. Ho un fratello valoroso che non te la farà passare liscia.
E Gjon: -E dov’è tuo fratello, che gli venga un accidente!
- Non maledire infedele! Mio fratello è nell’esercito,
perché lo hanno rapito i Turchi fin da bambino e lo hanno
portato lontano. Sono passati quindici anni, ma mio fratello ritornerà.
- Come si chiama tuo fratello?
- Si chiama Gjon. Egli ha dei segni che lo distinguono
da tutti: ha sei dita nelle mani e sei dita nei piedi.
- Allora tu sei Fasile, sorella mia?
- Si, sono io Gjon, fratello!
- E tutti e due si abbracciarono e si baciarono come
fratello e sorella. Da tanti anni non si vedevano…
- Che cosa fa nostra madre, mia cara sorella?
- La mamma è morta, caro fratello Gjon…
- E cosa fa nostro padre, mia cara sorella?
- Papà è stato ammazzato, caro fratello Gjon…
E tutti e due morirono all’istante per il dolore e la commozione.
…Lì dove cadde Gjon spuntò un melocotogno; lì dove
cadde Fasile spuntò un melograno. E dal melocotogno
sbocciarono i fiori di melocotogno; dal melograno i fiori
di melograno….” (op.cit, p.168)
Come si può notare nella prima storia, quella di Elia,
uno dei temi ricorrenti è la figura del PRINCIPE che di
solito è anche un saccheggiatore, mentre l’EROE si distingue sempre per la parola data ed è sempre difensore
dell’onore.
Altro aspetto importante è la descrizione della natura
che a volte sembra personificarsi per avvicinarsi di più
all’uomo. Le stelle, la luna, il faggio si rivestono di poesia e così pure i ritratti fisici e psicologici delle persone,
degli eroi. Anche nella storia di Gjon, alla fine i due fratelli morti fanno spuntare qualcosa della natura, dei fiori,
dei frutti. In queste fiabe non mancano le DONNE, anzi
esse rivestono un ruolo di particolare importanza: sono
madri, sorelle, innamorate. Tutte hanno una personalità
contraddistinta dal senso della fedeltà alla famiglia, al
padre, al fratello. Un esempio è il racconto “La giovane
Omer” (op.cit.p.117) che presenteremo sul prossimo numero di questa rivista.
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P rimavera 2008
RICORDANDO FISCHER
di Claudio GIOVANARDI (Novara)
Il 17 gennaio scorso è morto all’età di 64 anni Bobby
Fischer, per molti il più grande e geniale campione di
scacchi di sempre.
Fu protagonista nel 1972 con il russo Spassky della sfida del secolo a Reykjavík dove conquistò, primo e unico
americano nella storia, la corona del mondo di scacchi.
Di Fischer non mi soffermerò in questo articolo a descriverne la vita, della quale sono a portata di tutti ampie
cronache e curiosità nel vasto mondo di internet, ma per
quelli come me che hanno vissuto la gioventù in quegli
anni, la notizia della sua morte è di quelle eclatanti che
rimbalzano come un tam tam.
Fischer ha avuto il grande merito di aver fatto appassionare al gioco degli scacchi un’intera generazione e a
me di aver coinvolto nella lettura di un intero scaffale di
libri che tutt’oggi conservo, facendomi conoscere, in tempi
ancora non sospetti di globalizzazione, il mondo variopinto e bizzarro che circonda il mondo degli scacchi e i
suoi vari tornei.
Si era allora in tempo di guerra fredda e lontani dal
disincanto di oggi, ma gli eroi del mio circolo erano i
campioni jugoslavi che ci venivano a sfidare e con le loro
novità sul gioco ci proponevano i loro libri, per noi autentiche reliquie. E quanti libri ho divorato scritti in greco, inglese, russo: sì perché lo studio degli scacchi e la
notazione di ogni loro partita è la sola cosa al mondo che
può essere comprensibile a tutti e in tutte le lingue.
Gli scacchi e la letteratura hanno molte cose in comune. Non solo perché i primi hanno nell’intelletto la propria palestra, ma anche perché Calliope ha sempre avuto
un debole per la “nobile arte”.
Jorge Luis Borges in una sua celebre poesia (“Ajedrez”
dal volume l’Artefice) ne fa metafora della vita stessa. Io
con una riconosciuta punta di presunzione (e di coraggio)
vi propongo uno stralcio di una mia riflessione giovanile
in risposta alla poesia sopra menzionata del grande scrittore argentino:
Una passione severa ogni qualvolta mi avvicino alla scacchiera
e che trepidazione muovere quei pezzi
e urtare l’altra mente rivale in un braccio di ferro altrimenti impossibile.
“Magici rigori” vi definì il poeta, lenti e gravi, paragonandovi al fato assurdo del creato
(mettendovi forse catene che non avete)
Dite a Borges le vostre vere sembianze:
la donna superba e fiera in realtà è la salute: senza siam
derelitti, claudicanti e disarmati.
Stravagante, svelto, alato, il cavallo è la nostra gioventù: non vede ostacoli ma neppur lontano.
Sogna e gli basta.
L’ordinata torre è il lavoro. Nobilita ed accerchia il
popolo,l’organizza e lo dispone in ordinate fila.
L’alfiere sbieco è l’amore. Tagliente, Cieco, perduto. Batte
solo in terra propria ed accecato vede solo ciò che l’amor
gli consente.
I pedoni, popolo in fenditoie, son le possibilità, la fortuna, il destino.
Raramente indifferenti, come gli amici potrebbero aiutarti o tradirti.
Il re ultimo, lento e tacito maestro, è la nostra vecchiaia:
esperienza che da giovani s’ignora e si schiva, ma alla
fine è l’unica cosa che resta.
Scacchi. Intrepidi ed “adamantini”.
Bianchi e neri. Dalla trama lunga, agonizzante, laboriosa, fatale o patta.
Scaltrezza e fato dimorano in cuor vostro come a noi
uomini le possibilità.
Non v’ha scorto Borges perdendosi in divagazioni teologiche,
perché ben più modesta è la realtà e i suoi dolori.
Ammaliante, sbieca e incatenata
come i pezzi lenti e gravi
sulla spaziosa e angolata scacchiera.
Saluto chi è riuscito a leggermi fin qui, ed auguro a
Fischer di vincere la partita più importante, mentre lo
immagino apparecchiare la scacchiera tra file di cherubini confabulanti.
Il bianco e il nero ; la rosa bianca e la rosa rossa; il sole
e la burrasca ; la sregolatezza e la maestria. Ghiotte le
combinazioni aspettan le cupide e gravi geometrie
per il palato arguto della ragione.
Ma non v’hanno scorto Borges ed Unamuno nelle vostre
vere sembianze?
Affascinato dalle vostre geometrie v’ho incasellato in tante
vicissitudini.
Cupidi o meccanici? Siete veramente strumento dell’uomo come noi di Dio?
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I l S alotto degli A utori
LA SACRALITÀ DELLA VITA
di Cinthia DE LUCA (Roma)
Ho pensato di spendere poche parole per qualcosa in
cui credo,cercando di dar voce a quanti,ormai una
minoranza,ma non per questo degna di minor
rispetto,credono ancora nella sacralità della vita in tutti i
suoi aspetti,fin dal suo concepimento.
Questa decisione è nata dalla riflessione che, in un mondo in cui tutto è lecito,in cui vige la libertà di espressione
assoluta, anche in termini di “assoluta” trasgressività, spesso non si consente a noi pochi, ormai inevitabilmente
considerati “diversi”, di seguire ed esprimere il proprio
credo religioso e morale, difendendo la dignità umana e
la sacralità della vita.
E ritengo giusto far presente che anche questa è discriminazione, visto che di discriminazione non si vuol più
sentir parlare, religiosa e sociale verso chi ha pienamente
diritto di seguire le proprie convinzioni cattoliche.
Mi trovo spesso a contatto con altri giovani, impegnati
a combattere la discriminazione razziale o religiosa o la
pena di morte nell’associazione “Difendiamo Caino” e
certamente si tratta di tutte nobili iniziative, degne della
massima considerazione e dell’appoggio di tutti, perché
costituiscono baluardi di civiltà, ma proprio per questo
trovo assurdo che nel momento in cui ci si trova a parlare
di vita, di aborto, di dignità del malato grave, terminale,
si verifichi spesso una sorta di discriminazione, e lo dico
a costo di ripetermi,ma non c’è parola che esprima meglio questo concetto, nei confronti del cattolico, perché
bigotto, anacronistico e fuori moda; il cattolico dà fastidio a molte coscienze e lo dico perché mi trovo io per
prima a viverlo sulla mia pelle.
Ed è qui, proprio qui l’assurda contraddizione di queste persone, difensori e fautori della libertà dell’oppresso, dello straniero, del detenuto,che poi emarginano chi è
portatore di altre vedute esistenziali e morali, semplicemente diverse!
La libertà religiosa e civile e la sua piena espressione
deve essere garantita a tutti, in eguale misura, anche a chi,
come me, crede che la vita vada difesa fin dall’inizio, dal
suo apparire, poiché ogni vita è irripetibile e può sbocciare e fiorire in mille modi diversi, inaspettati ed ogni vita
soppressa, magari da una madre ansiosa di liberarsi della
propria “disattenzione”, è un essere tristemente reciso.
E’ una vita che non sarà mai vissuta, un fiore calpestato, un seme gettato al vento.
Vivo e studio in ambiente medico e posso assicurare
che nessuna prova può escludere che quella scintilla di
vita non sia già esplosa nel piccolo embrione fin dai primi giorni.
E’ una piccola vita che si forma, in un miracolo unico
ed irripetibile, che non sarà mai più, per tutta la storia
dell’umanità.
Noi non vedremo mai quegli occhi per le strade, non
sapremo mai come sarebbe stato quel volto, quella voce,
quei capelli, quel sorriso…
E ancora una parola sugli embrioni già vitali, gettati via
come rifiuti, nei quali la vita non si può negare, essendo
già evidente e manifesta; come può una società che si
definisce civile e che difende la vita di “Caino” stroncare
un’esistenza non vissuta?
Sono creature chiamate alla vita e alle quali la vita viene
crudelmente rifiutata ed purtroppo c’è molta omertà riguardo a questo problema, soprattutto in ambiente medico, ma
tacere significa diventare complice di questo sotterraneo
infanticidio; quindi bisogna gridare e “gridare forte”.
E allora, aiutiamo “Caino”, è giusto, ha diritto ad una
seconda possibilità di vita, ma allo stesso modo è doveroso aiutare l’innocente, colui che non ha voce e che viene gettato via senza possibilità di appello, senza che di
possibilità ne abbia avuta nemmeno una.
Oggi appunto sono qui a dar voce a quell’innocente, insieme a tutti coloro che, come me, credono fermamente
che anche l’innocenza sia vita ed abbia diritto ad aver voce.
PREMIO INTERNAZIONALE CITTÀ DI POMIGLIANO D’ARCO
Fondato dalla poetessa Tina PICCOLO
Il premio si articola nelle seguenti sezioni:
Poesia: si partecipa con una più liriche in lingua o vernacolo, di massimo 40 versi o una silloge di max. 10
liriche, in tre copie di cui una sola firmata e con i dati completi dell’autore.
Narrativa: si partecipa con un libro edito dal 1990 a oggi, con una novella edita o con un dossier su tematiche
varie, in tre copie.
Fotografia: inviare una foto a tema libero con formato a scelta dell’autore.
Pittura, scultura e grafica: opere da inviare solo in fotografia di formato idoneo per la corretta interpretazione. Non inviare originali.
Inviare profilo biografico di max. 20 righe con dichiarazione autenticità opere, e dati completi.
Quota di partecipazione: 30 euro per ogni opera presentata da versare con vaglia o in contanti. Inviare le
opere partecipanti a: Tina Piccolo, Via Rossini 14 – 80038 Pomigliano d’Arco (NA) entro il 30 giugno 2008. I
vincitori riceveranno comunicazione tremite invito. Premi: trofei, medaglioni d’argento, pergamene d’onore e
medaglie artistiche. Premi speciali saranno consegnati ai giornalisti della stampa, della radio e televisione e
alle personalità della cultura e medicina, dello spettacolo e politica.
Per ulteriori informazioni: Tina Piccolo: 081.80.33.459 – Gennaro Battiloro: 339.411.41.01
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P rimavera 2008
LACAREZZADELLALUNA
di Maria Cristina SACCHETTI
(Riva di Chieri – TO)
Notte torrida d’estate,
distesa sul mio letto, senza veli,
porgo i bianchi seni
alla carezza della luna
che, maliarda, si staglia nel vano
della finestra spalancata,
quasi a far cornice sul creato.
Ariadna De [email protected]
…EADESSO…
di Carla SCOVERO LETO
(Torino)
Come un soffio di vento
è passato il “tempo delle mele”
e dei prati in flore
che profumavano d’aurora
e di desideri amorosi.
Allora i nostri cuori
palpitavano
nell’ansia dell’incontro,
e l’aria bruciava
di sensazioni nuove,
ed era dolce
anche piangere d’amore.
Abbiamo mietuto
distese di grano maturo...
Abbiamo calpestato
sentieri spinosi
e raccolto ceste d’ortiche
e d’erbe amare....
Ma il Sole del nostro amore
ci ha sempre accompagnati
e lungo il tempo
e il riciclar delle stagioni,
con i suoi raggi dorati,
ci ha scaldati.
E adesso ...
canne mosse dal vento
e legate alla stessa radice,
guardiamo al futuro
prendendoci per mano.
E ci teniamo stretti
perché il domani
faccia meno paura.
DIALOGANDO CON UN’AMICA
di Francesca LUZZIO (Palermo)
Di afflati di sofferenze
inaudite
restano diffuse
mollezze inaspettate.
E’ l’effetto della gara con i lupi:
conseguenza naturale
di normale darwinismo sociale .
Ali metto ai miei pensieri
E percorro filigrana di giorni
Consumati di tempo,
giungo a notti d’anni verdi,
a sguardi complici di stella,
olezzo di resina montana,
capelli scompigliati d’emozioni,
promesse e giuramenti spudorati…
Io, animale acquatico
non raggiungerò
come salmone il fiume.
Non ho energia, né determinazione
mi lascio andare
non cambio colore
e digerisco il mio corpo
solo nell’attesa di finire.
… un sospiro profondo
Torno al presente, rientro nel corpo,
sul letto disfatto.
Eppure nel dolore si può nuotare,
volare, attraverso la calda
corrente ascensionale
e poi……tendere la mano
all’amica luna che sa ascoltare
i brusii umani………
e insieme a lei girare e guardare
l’inattesa, grande bolla
che da terra sale.
L’incantevole luna,
la stessa di allora,
tende i suoi raggi,
lambisce il mio cuore.
Poi ammicca e lentamente,
nella notte, si dilegua oltre il muro.
Primo premio conc. “Giovanni
Casale” di Pralormo -TO
ARCO diAlda FORTINI
(Villongo – BG)
Giorni assurdi nell’estate
calda e afosa dove il richiamo
degli uccelli è vago
e sotto questa siepe
un nuovo pomeriggio trascorre.
E conto il silenzio avuto
nelle lontane giornate
dove si consumano i ricordi.
Guardo il grano maturo
nella distesa alta
dove il papavero è sparso
e la mia stagione traduce
giorni alteni e certi
sotto gli ulivi maturi.
Lenta la sera scende
e confusa da voci lontane
giunge un passante
con la bisaccia a tracolla
e la fontana all’angolo
zampilla acqua fresca.
Lieto è il vento nella sera
e corrono foglie accartocciate
nel vento per il sentiero aperto
e sotto l’arco di questa casa
un nido di passeri alto.
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Confluenza occasionale,
di lacrime evaporate
da diversi rivoli adunati:
ciò che laggiù si perde, qui s’aduna.
E’ un processo normale
che non impedisce allo stivale
di continuare a infangare
gocce pure di acqua lustrale.
E se anche per Ariosto fosse nata
redentrice saggezza di primavera ?
[email protected]
I l S alotto degli A utori
27 gennaio:
GIORNO DELLA MEMORIA
... per non ripetere con altri semiti
Fulvio FERRERO (Torino)
Due pagine dentro una scatola trovata in una cantina. Non conosco la bimba che scrisse e non so come il
foglio a righe fosse capitato in quel luogo. Cercai tra le carte ma non trovai il seguito. E’ testimonianza della
corruzione operata sull’animo dei bimbi e sappiamo cosa capitò in seguito.
13 marzo 1942 - Tema: “ Il fascismo e gli ebrei”
Gli ebrei sono un popolo di razza non ariana disperso in tutto il mondo- Sono detti
semiti, perché, secondo la denominazione biblica, appartengono alla stirpe discendente
da Sem, figlio di Noè. Hanno sempre mantenuto i loro caratteri.
Sono avidi di denaro, rapaci, usurai. Le loro caratteristiche fisiche sono: capelli neri e
crespi; naso camuso, labbra pronunciate,estremità quasi sempre piatte, mani adunche.
Essi non si sono mai fusi con le popolazioni dei paesi in cui dimorarono,godettero in
Italia la più grande ospitalità e mirarono ad assicurarsi grandi posizioni.
Pur essendo essi un numero molto inferiore al nostro,aspirarono sempre alla vita politica ed economica.
Nonostante la generosità fascista verso gli ebrei,l’ebraismo si pose contro il
fascismo,alleandosi ai popoli nemici,aiutando le congiure straniere ordite ai nostri danni. Essi, pur godendo di tutti i diritti dei cittadini italiani credettero di poter sfruttare la
generosità fascista,e purtroppo riuscirono nel loro intento.
S’impadronirono dei posti di comando, accaparrandosi le ricchezze nazionali. Essi , con
tutti i mezzi,riuscirono ad entrare nella vita politica,sociale ed economica,nei campi dell’arte,della letteratura,della scienza,rappresentando così un grande pericolo per l’Italia
di domani. E così che il nostro…
DIO di Alessandrini CORRADO (Recanati)
Eterno miracolo, silente Signore d’immenso universo,
ove presente, passato, futuro si fondono.
Signore di soli, d’astri infiniti,
di cieli celesti, d’eterni scenari: perpetua poesia
d’eterno silenzio d’amore ci mostri.
Eterna onnipotenza visibile e invisibile
entro perfette armonie d’universale mistero,
purissima poesia dell’amore, Tu sei,
del silenzio di miliardi d’astri;
assoluto Signore di dissimili colori e profumi:
eterna giovinezza d’antico mistero,
sorriso infinito d’azzurri cieli, eterna,
silente universale luce Tu sei d’incommensurabili
spazi celesti, d’astri infiniti.
Assoluto Signore d’acque d’oceani,
di mari, di fiumi, di laghi che generose terre
bagnano donando vita all’umana progenie.
Onnipotente, invisibile, infinito mistero,
a Te, noi mortali c’inchiniamo devoti, ubbidienti.
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IL RESTO E’ SILENZIO
di Mario DILUVIANI (Taibon – BL)
Morte, sei forse un sonno
sospeso nel nulla
un sogno tra immagini scialbe
d’incerti contorni?
Possiedi o ti manca
un senso del tempo fuggente
tra impronte di vuoto?
Oppure Amleto
ha sciolto l’enigma:
soltanto pregnante Silenzio?
da Amleto - finale atto 5°
P rimavera 2008
NARRATIVA
I sogni non hanno stagioni
Fosca Andraghetti
Il pallone ha colpito il vetro con un tonfo leggero, poi è rotolato accanto a me che sto in terrazza nascosta tra vasi di fiori
e lenzuola stese ad asciugare. Resto nel mio cantuccio, ad
ascoltare i richiami dal cortile.
“Lauri, Lauriii…”
Fingo di non sentire.
“Laura, butta il pallone per favore!” urla Michele
“Lauri, oh Lauri, ti prego butta il pallone!” scimmiotta Alessandro.
Li sento ridere, nonno e nipote, amici e complici. Scosto
l’angolo di un lenzuolo e sbircio giù nel cortile: stanno ancora ridacchiando. Lancio la preziosa sfera, rifiuto di andare
anch’io a tirare calci e proseguo a sistemare i vasi.
Le punte dei petali di una rosa rossa ammiccano indolenti a
raggi di sole. E’ primavera. E’ svanito il velo di nebbia acquosa, segno delle ultime brume invernali, che questa mattina velava uomini e cose. La rosa sembra sorridere, un po’
come gli occhi di Michele quando mi guardano. Nel cortile
le voci si rincorrono gioiose, fra qualche ora riempiranno le
stanze di questa casa, quella dove volevo vivere sola!
“Puoi chiamarmi Ale!”
Il pallone era rotolato sotto la panchina dove ero seduta. Il
bambino stava in piedi davanti a me, sperduto in una maglietta di cotone troppo lunga e con i colori della squadra del
cuore. Le efelidi del viso rispecchiavano il nocciola degli
occhi e del ciuffo di capelli, leggermente sudato, che gli ricadeva sulla fronte.
“E tu puoi chiamarmi Laura!” avevo ribattuto allungandogli
la palla.
“Fa lo stesso se ti chiamo Lauri? Mi piace di più!”
Avevo annuito divertita.
Michele era comparso alle sue spalle: lungo, magro e infilato in una tuta che doveva avere visto tempi migliori. Mi aveva guardato. Io avevo finto indifferenza, sorridendo al bambino che lo strattonava.
“Dai, Michele, andiamo a giocare! Poi fa buio e dobbiamo
tornare a casa!
“Lei resta qui?” aveva chiesto l’uomo.
“No! Riprendo la mia corsa!”
Prima di salutarmi, Alessandro aveva dichiarato i suoi anni
sistemando puntigliosamente le dita ad una ad una.
Se ne erano andati, il nonno con l’andatura dinoccolata e il
nipote che correva dondolando il sedere pieno. Era alto per i
suoi cinque anni, ma il corpo aveva ancora le rotondità dei
bambini piccoli.
Avevo lasciato il parco quasi a malincuore. Improvvisamente mi ero accorta di quanto grande fosse la voglia di baci e
abbracci. Del mio matrimonio finito troppo in fretta, rimpiangevo un figlio mai nato e i nipoti ormai cresciuti, anche
se della zia avevano ormai un ricordo nebuloso.
Michele lo rividi la sera stessa, davanti alla porta di casa
mia, il dito incollato al campanello.
“Prego?” avevo chiesto osservandolo curiosamente.
Lui aveva allungato la mano, nascosta dietro la schiena, per
porgermi un’azalea bianca.
“C’è anche un biglietto!” aveva aggiunto. L’avevo aperto
sospettosa.
“Mi vorrebbe come amico? Non sono un bruto e abitiamo
sullo stesso pianerottolo.”
Ero scoppiata a ridere e lo avevo guardato negli occhi. Lui
aveva tirato un sospiro di sollievo.
Un’amicizia nata così, quasi per gioco. E quasi per gioco
misi in discussione il mio stile di vita, la riservatezza che, nei
molti anni vissuti in quel palazzo, mi aveva impedito di allacciare rapporti con i miei vicini di casa creandomi intorno,
così mi disse in seguito Michele, un alone di mistero.
Poco per volta riuscì a creare una crepa nella mia corazza
facendomi sentire di nuovo vulnerabile. Mi raccontò della
dolorosa arresa di sua moglie, volata via troppo in fretta.
Assumeva, a volte, un tono querulo e con una punta di rancore verso un destino incomprensibile e inaccettabile. Avevo voglia di un amico e gli dissi della mia solitudine voluta.
Mi spaventava anche solo l’idea di un nuovo compagno.
Lui mi parlò di un’amica speciale con la quale aveva condiviso un dolore troppo grande per sopportarlo da solo e la
rabbia contro il mondo intero.
“Lei mi è stata vicina in un momento particolarmente difficile!”
Avrei voluto essere io quella donna che, senza muovere un
dito, sembrava avere un posto privilegiato nel suo cuore.
Ribellandomi a quel desiderio, forse non troppo inconscio,
di uscire dal mio isolamento, mi ero stretta nelle spalle dandomi della stupida per avere cullato un sogno in un’età in
cui i sogni svaniscono soltanto. Poi ci fu un momento magico e quella che sembrava essere un’amicizia senza sbocchi,
diventò qualcosa di molto più importante.
“Lauri, il pallone!”
Eccolo di nuovo! Mimo il gesto di tagliarlo con le forbici,
poi rido e lo ributto giù. Michele mi avverte che suo figlio e
la nuora arriveranno in ritardo per cena.
Michele! E’ riuscito a stemprare la sua sofferenza, ha mandato in frantumi la mia corazza, mi fatto dono della sua famiglia. Ale è un bambino stupendo e mi regala quegli abbracci che mi mancavano tanto.
Mi sono lasciata alle spalle paure e insicurezze radicate come
gramigna. In un’età dove le donne per l’altro sesso diventano trasparenti, qualcuno mi ha vista, mi ha regalato tutto
quanto potevo desiderare: tenerezza, affetto, comprensione,
complicità, dialogo… E’ stato come rifiorire, un poco come
le rose del mio balcone.
Il bocciolo rosso si è piegato docile sotto la carezza del vento, il sole è diventato più coraggioso e l’aria più calda.
Il cielo è azzurro come i sogni, quelli che non hanno
stagioni e allora, perché non andare anch’io a tirare calci ad un pallone!
La Casa
di Maria Francesca Cherubini (Pg)
Norma, abita al centro della città, tra due vie cittadine di
notevole percorrenza. Il traffico è caotico.
Ma lei è ugualmente immersa nel silenzio e può avere tutta
la concentrazione che vuole perché, dopo aver salito i suoi
quasi 103 gradini, tutti ripidi, si trova in cima ad un grande
vecchio palazzo, lontana in tal modo da rumori e vocìi.
La sua “ Casa” è quindi nella quiete e rappresenta il suo rifugio e in un certo senso, oseremmo dire, una “grande madre”.
È “Casa” infatti che, quando Norma rientra affranta e stanca, la prende tra le enormi braccia e la culla.
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I l S alotto degli A utori
La culla a lungo finché tutti i brutti pensieri o le delusioni del
giorno non fuggono via, impauriti da tanto amore materno.
Norma è sola, veramente sola. Non ha nessuno.
“La Casa” però veglia sullo stato umorale e di salute della
ragazza.
D’inverno, quando fuori nevica e sulla terra tira quel vento
freddo di tempesta che punge gli occhi e le dita … Norma è
al sicuro nelle viscere di “Casa” che la riscalda con le sue
ampie e calde pareti … che la riparano dai venti maligni e
irosi che fuori circolano con gran vociare.
E se il caldo estivo preme troppo sui tetti della città, sui comignoli, sulle grondaie … e sghembi riquadri di sole violento riescono ad insinuarsi persino nelle viuzze strette ed alte
… Norma sempre trova rifugio nella sua “Casa” che con la
profondità dei suoi muri crea per lei frescura e sollievo.
Norma vide per la prima volta “Casa” parecchi anni fa e si
può dire che ne rimase subito folgorata tanto le piacque!
Volle quindi trasferircisi immediatamente. Occorre dire comunque che fu amore a prima vista “reciproco”!
Perché anche Norma piacque molto alla “Casa”.
La ragazza era delicata e sensibile … lei e “la Casa” avevano gusti molto simili.
Se Norma si sedeva ad ascoltare gli amati Chopin,
Rachmaninoff, Stravinskij … anche “la Casa” si metteva
quieta e rimaneva rapita nell’ascolto.
Norma leggeva poesie e novelle a voce alta … e “Casa”
commossa ascoltava partecipante.
Tutte le case hanno un’anima, certo!
Questo ognuno lo sa! Ma la Casa di “via della Cometa” ne
aveva una così sensibile e poetica che si legava perfettamente con quella di Norma !!! Nelle serate di Plenilunio, la ragazza si affacciava dall’altezza del suo ultimo piano, apriva
le finestre che si inargentavano di colpo ed insieme a “Casa”,
anima contro anima, si metteva a rimirare cotanto spettacolo. In lontananza la fontanella dei giardinetti pubblici, non
più sopraffatta dal rumore dei vari Autobus e auto private,
cantava con la sua voce di cristallo liberamente nella notte,
mentre grappoli di piccioni dormivano sopra i bordi alti delle persiane delle soffitte, situate sotto gli spioventi del tetto.
Se Norma cantava ed era allegra, anche “Casa” sembrava
animarsi e ridere a cuore spiegato con lei, come potrebbe
fare una buona madre.
Sempre si crea questa simbiosi tra la casa e le persone che la
abitano, ma il “feeling” creatosi tra la ragazza e la sua “Casa”
era qualcosa di più, poiché si estrinsecava in una perfetta
intesa su tutto e in un profondo affetto filial-materno.
Così il sodalizio tra l’anima sola e solitaria di Norma e quella protettiva e materna della sua “Casa” durò per più di 15
anni !!! Ma un giorno … non di Aironi … ma di neri Corvi
… giunse la ferale notizia !!!
Norma, dopo una assenza di qualche giorno, tornava con la
sua valigetta ad abbracciare “Casa” che nel frattempo le aveva
custodito con cura affettuosa tutti gli oggetti e le cose a cui la
ragazza tanto teneva. Si aprì con lentezza la porta della signora del piano sottostante … e con viso spettrale e voce
incolore comunicò con terribili suoni: “ Lo sa? Hanno mandato un avviso a tutti gli inquilini !!! Vendono lo stabile, ogni
appartamento. Ci danno lo sfratto per finita locazione! Come
faremo? Io sono vecchia e stanca e qui ho le mie abitudini!”
disse con voce che le morì in gola.
Norma sentì un pugnale calarsi con forza nella parte alta del
petto … Si sentiva pallidissima … il sangue era fuggito dalle
sue vene … Tentò una risposta che non venne.
Salutò velocemente e corse, corse … su per le scale rimaste
…, corse a gettarsi nelle braccia della sua “Casa”!
“Casa mia, casa mia, ti portano via da me!” singhiozzava
forte … “Casa” era in un canto … anche la sua anima piangeva … piangeva silenziosamente.
Per un momento sembrò volesse dire qualcosa alla disperata
ragazza, anzi Norma era quasi sicura di aver percepito per un
poco la voce di “Casa”, calda e buona. Ma poi non vi fu altro.
Solo dolore e lacrime da parte di entrambe.
Poi Norma si fece coraggio cominciò a preparare tutte le sue
cose, a riporle in scatoloni, a sigillarli.
E tutto questo sotto l’occhio silenzioso e triste di “Casa”,
tutto di fronte alla sua anima ammutolita!
Certo “Casa” cercò di cullarla ancora altre volte per alleviarle il dolore e Norma le fu grata di questo … ma nulla era
come prima. Ora l’ombra spettrale dell’Addio … premeva
con forza sulle loro anime.
Sapevano che avrebbero dovuto lasciarsi per sempre … ed
era come morire ogni giorno un poco, sapendo di morire.
Norma preparò tutti i suoi pacchi, chiamò la “Ditta Trasporti”, guardò una, dieci, cinquanta volte ancora “Casa” che era
sempre più triste e più avvolta nell’aria di “Abbandono”…
sguarnita, vuota, dilaniata, povera e sola… e l’amò più di
prima … e “Casa” questo amore lo sentì.
Era stato detto a Norma … :”Dopo aver effettuato il trasloco, lei il giorno 7 alle ore 10 tornerà qui per consegnare le
chiavi al nuovo proprietario definitivamente!!!”
E lei si assoggettò alle regole. Con viso tèrreo traslocò.
E il giorno 7 alle ore 10 si trovò nuovamente lì per consegnare le chiavi.
Anzi, no, Norma arrivò un’ora prima perché volle rientrare
quando ancora non c’era nessuno, nelle braccia della sua
“Casa”. Aprì il portoncino d’entrata e … “Casa” era lì ad
attenderla fedele … Povera, sguarnita, ferita in più parti dai
traslocatori, disadorna con fili pendenti da tutte le pareti, cartacce in ogni dove … ma era ancora lì ad attendere Norma!!!
Girò, rigirò e ancora girò in tutte le stanze la ragazza, guardandole una dopo l’altra. E poi d’accapo come ad imprimerle per sempre nella mente.
“Casa” sorrideva un poco.
Poi giunse l’ora fatidica dell’ultimo addio.
Con le lacrime agli occhi Norma si diresse verso il portoncino.
Uscì. Se lo richiuse alle spalle.
Ora non le rimaneva che riconsegnare le chiavi.
Mancavano 5 minuti.
Loro arrivarono puntuali: il nuovo padrone, la moglie, l’avvocato, il geometra.
“Noi siamo giunti. Eccoci. Le ha portate le chiavi?”
“Certamente. Tutte le copie”.
“Bene apriamo”
Il nuovo padrone infilò la chiave nella toppa ma questa si
inceppò e la porta non si aprì.
Provò allora il geometra. Nulla accadde.
Quindi l’avvocato. Ancora niente.
Infine la moglie del nuovo padrone. Tutto fermo.
“Ma è sicura che siano le chiavi giuste? Non si sarà sbagliata?”
“Non è possibile!” Intervenne la signora del piano di sotto
che sentendo trambusto era venuta a vedere “Non è possibile! La signorina Norma è entrata poco fa, l’ho sentita io!”
“Sì è vero, sono entrata per rivedere la Casa” confessò Norma a testa bassa.
“Sarà come lei dice, ma qui il portoncino non si apre.
Non si vuole aprire. Ci abbiamo provato tutti! Ci provi anche lei allora che dice di esserci entrata. Ci provi!”
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P rimavera 2008
Così Norma si avvicinò e provò anche lei.
La “Casa” non si aprì neanche a lei.
Norma provò e riprovò.
La porta rimase bloccata.
Allora Norma capì.
La “Casa” non apriva a lei perché non era sola, ma in compagnia di volgari acquirenti che non l’amavano.
Fu chiamato di corsa un fabbro che giunse con una borsa di
arnesi tremendi tra cui la famigerata fiamma ossidrica.
E dopo mezz’ora di fiamma e duro lavoro, lacerò la serratura e la porta cedette.
Si spalancò sotto la spinta dei nuovi acquirenti frementi e
ansiosi che entrarono a grappolo.
Anche Norma sbirciò dentro!
Tutto vuoto!!! Dio mio!!
“L’Anima della Casa” era fuggita!!! Fuggita!!!
Erano rimaste solo pareti: vuote … orride … livide … nere!!!
Norma prese tristemente il Tram e sotto la pioggia che si
confondeva alle lacrime giunse alla nuova abitazione.
Girò la chiave ed entrò e vide subito la luce!
“L’Anima della Casa” era lì ad attenderla sorridente per prenderla ancora tra le sue braccia materne!
Norma allora felice si gettò al collo di “Casa” che l’avvolse
amorevolmente con le enormi braccia … E Norma si lasciò
cullare, cullare … cullare tutta la notte.
La pazzia del vecchio Susino
favola di Edda Conte (Pisa)
Non sempre l’età si accompagna alla saggezza.
Il merlo la sapeva lunga. Lui che svernava in quella zona ne
conosceva tutti i lati positivi e anche quelli negativi. A una
giornata di vento gelido poteva seguire una settimana di sole,
a un periodo di pioggia si alternavano coppie di giornate in
cui il capriccioso libeccio spazzava il cielo dalle nubi e le
strade dalle cartacce. Ma poi anche il vento pazzo lasciava
tutto come aveva trovato e.... l’inverno rimaneva inverno
come ogni altra cosa che deve seguire l’ordine stabilito dalla
Natura.
Tutte queste cose sapeva il merlo, e non si lasciava certo
ingannare dai rami fioriti di un susino impazzito.
-Pazzo- gli disse infatti, mentre gli volava sopra -ti brucerai
alla prima gelata e comprometterai tutti i tuoi frutti.Il susino non gli rispose, perché non aveva bisogno di imparare la lezione dal merlo. Aveva vissuto a lungo, conosceva bene
i sintomi della primavera e sapeva che ora non era tempo di
primavera. Di fatto tutti gli alberi dormivano con le gemme
ben strette intorno alla punta dei rami. Ma l’erba del prato era
di un bel verde, e gli uccelli saltavano numerosi tra i pini. Il
sole aveva poche ore di vita ma il suo tepore era così piacevole. Tutte tentazioni per il vecchio susino, il quale cominciò a
fremere d’impazienza. Il mondo era bello anche in Dicembre
e lui voleva vivere, non voleva sottostare alle regole comuni.
Tanti mesi di sonno gli sembravano la morte.
Conosceva la tristezza della morte; bastava pensare alla sorte
di tutti quei fiori che riempivano il prato nel mese di Maggio.
Orgogliosi delle loro corolle colorate si esponevano al sole
abbandonandosi alla carezza dei venti e al ristoro della notte.
Dopo uno ne sbocciava subito un altro, e poi un altro, tutti figli
di una stessa pianticella, soddisfatti di un naturale avvicendamento, paghi di andarsene nel vento quando i petali troppo
maturi si facevano leggeri e si staccavano uno a uno.
Era un piacere assistere al continuo rinnovarsi di tanti colori
e di tante forme; per il vecchio susino era la vita stessa che
godeva del suo trionfo, e lui godeva con lei.
Ma poi veniva Luglio, il sole si avvicinava troppo alle tenere
corolle, la terra si induriva intorno alle piccole radici, la notte troppo breve e afosa non ce la faceva a rinfrescare il prato.
Subito una nuova alba era a ridosso, i raggi del sole arrivavano già carichi di calore, e come frecce di fuoco colpivano
tutto ciò che incontravano nel momento dell’impatto con la
terra.
Lui, col suo tronco annoso e la folta chioma, resisteva bene,
mentre il prato moriva giorno dopo giorno e di tutti i fiori
colorati presto non rimaneva che il ricordo. Questo significava morire.
Ma in fondo che differenza c’era tra il morire in estate e il
morire in inverno? Quando l’alba grigia e fredda illuminava
i rami stecchiti, non era forse l’immagine della morte?
Il susino era tanto vecchio e non aveva più voglia di aspettare il momento del risveglio obbligato. Mise fuori timidamente
un fiorellino bianco, gonfiò le gemme di un ramo più alto,
salutò il sole di Dicembre con tono di confidenza.
Il sole accettò il saluto e ricambiò.
Per qualche giorno il sodalizio andò avanti senza scosse. Il
vecchio susino si coprì di fiori sulla chioma, che ora si allargava con tante braccia felici; i fiori piccoli, bianchi, teneri,
gli ridavano l’illusione della giovinezza.
Ogni giorno si specchiava in un cielo pallido ma amico, ogni
giorno gustava la gioia della trasgressione. Era consapevole
di rubare qualcosa che non gli spettava e ne gustava tutto il
sapore come di cosa mai provata.
Dalla cima del monte il vento di tramontana aprì l’occhio
gelido, nemico. Vide l’accordo tra il susino e il sole e si sentì
offeso di tanta audacia. Chi credeva di essere quell’albero
pazzo, che osava sovvertire le sacre leggi dell’inverno e minacciare il suo trono?
Si gonfiò d’ira e andò in cerca di aiuto presso i collaboratori.
Quella chioma fiorita non piacque a nessuno e a turno tutti si
scatenarono contro il povero susino.
Non fu difficile per il Vento la Pioggia e il Gelo distruggere
in una sola notte tanto ardimento. L’albero, indebolito dall’età e dallo sforzo recente e inconsueto, fu presto fuori combattimento. Avvenne così che il nuovo giorno lo trovò spoglio e umiliato. Nudo, rinsecchito e mutilato di molti suoi
rami il susino ora sembrava davvero morto.
Lo vide il solito merlo che era intento a cercare i vermi nelle
vicinanze. Scosse il becco con aria di disprezzo e fece il suo
commento che suonò come la voce del malaugurio: il vecchio pazzo ha voluto fare il canto del cigno.
Il tesoro di Faustina
di Leila Gambaruto (Chieri)
Tommaso detto “Mezzo cric” faceva il ladro di professione,
perché proveniva da una famiglia di ladri, ben nota alla malavita ed alle forze dell’ordine.
Sfortunatamente per lui, non era tagliato per quel mestiere e
benché affermasse con profonda convinzione di essere un
dritto perseguitato dalla sfortuna, scippatori, borsaioli e piccoli truffatori, lo snobbavano, rifiutando di lavorare con lui,
perché lo consideravano soltanto una mezza tacca.
Soltanto ad un balordo del suo stampo poteva venire in mente di rapinare una stazione di servizio da solo, agitando una
pistola giocattolo sotto il naso del gestore che stava sistemando un pesante cric, con il risultato che l’altro gli aveva
sgranato i denti e rotto il naso con un preciso e ben assestato
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I l S alotto degli A utori
colpo sul muso, prima di consegnarlo, svenuto e grondante
sangue, ad una sollecita pattuglia di carabinieri.
Insieme al naso storto e i denti rifatti pagati da Mary, la sua
ardente amichetta, a Tommaso era rimasto l’infame soprannome di “Mezzo cric” che gli bruciava più della botta ricevuta, perché lo marchiava di velleitaria imbecillità.
Figuriamoci, improvvisare una rapina, lui che non riusciva
nemmeno a rubacchiare nei supermercati!
Per sua fortuna, Tommaso non era rimasto molto al fresco,
perché una provvidenziale amnistia lo aveva scodellato in
strada molto prima della scadenza della pena.
Non appena libero, il ragazzo, niente affatto redento, ma
completamente al verde, aveva ripreso la sua losca attività,
ripromettendosi di andarci più cauto con i prossimi colpi e
sognando un grande colpo in banca, che lo avrebbe arricchito e riabilitato tra i balordi.
Un giorno, mentre si aggirava con aria indifferente tra le
bancarelle di un mercatino, adocchiando la merce esposta,
Tommaso ripensò ad una certa signora Faustina, cliente occasionale dell’emporio dove la sua Mary lavorava come addetta alle pulizie.
Una domenica pomeriggio, dopo una bollente seduta di sesso sfrenato, che li aveva lasciati sazi e sfiniti a riprendere
fiato sotto le coperte, Mary gli aveva parlato, ridendo, della
vedova Faustina, una eccentrica vecchietta che aveva paura
di tutto e non appena calava il crepuscolo si barricava in
casa, rifiutando di aprire a chiunque. Ne sapevano qualcosa
i commessi che venivano di tanto in tanto a casa sua per
consegnarle le bottiglie di acqua minerale frizzante e dovevano fare in modo di passare
con il sole, perché se c’era poco luce (e in inverno il buio
calava presto) lei non apriva più e lasciava tutto davanti alla
porta fino al mattino successivo, salvo poi lamentarsi vivacemente con il padrone dell’emporio.
Alcuni contadini che passavano vicino a casa sua per andare
a lavorare nelle vigne, l’avevano vista all’alba, cauta come
una cospiratrice, trascinare dentro con grandi sforzi dei pesanti scatoloni lasciati lì il giorno prima, lamentandosi e brontolando ad alta voce. La vedova Faustina viveva come un’eremita in una vecchia cascina isolata tra le vigne, curando il
suo orticello ed allevando galline. Per un certo tempo aveva
abitato con lei una sorella, zitellina stagionata che le rassomigliava molto, ma dopo qualche mese di convivenza burrascosa, la donna se n’era tornata in città e Faustina era rimasta sola nel suo guscio. Nessuno veniva mai a trovarla, né
lei si preoccupava troppo di rendersi simpatica o di cercarsi
amicizie. Se ne stava per conto suo e passava tutto il suo
tempo a pregare. Era estremamente religiosa.
I soliti contadini l’avevano sentita sgranare ad alta voce tutto
il rosario mentre stendeva in cortile la sua biancheria, immacolata e fuori moda. Altre volte era stata notata in ginocchio
davanti ad una cappelleria, mentre pregava i santi e la Madonna col fervore di una novizia.
Tommaso, riflettendo sulla faccenda, giunse ad una conclusione semplice e cinica: se la vecchia percepiva una pensione e non spendeva nulla, doveva per forze tenere i soldi in
casa, dal momento che non frequentava le banche.
Quanto poteva esserci in quella casa? Nella fantasia di
Tommaso, l’entità del malloppo incominciò a lievitare ogni
volta che ci ripensava e la vecchia, bislacca signora Faustina
prese ad ossessionare i sogni di Tommaso trasformandosi in
una seducente fata benefica, vestita di zecchini d’oro e di
gemme preziose.
Tommaso si procurò un saggio vestito usato, grigio topo, un
po’ abbondante, ed una consunta borsa di pelle, che riempì
di vecchi giornali. Dopodichè, sfoderando un’aria professionale, severa, ma cortese ed efficiente, suonò alla porta
della vedova Faustina, dopo essersi assicurato che non ci
fosse nessuno nelle vicinanze.
Alla vecchia, che stava facendo le pulizie ed odorava di
candeggina, Tommaso si presentò come un ispettore inviato
dal “Dipartimento provinciale di controllo delle pratiche
pensionistiche”. Disse che erano state rilevate delle irregolarità nell’erogazione della sua pensione e che era necessario
controllare tutti i soldi che le erano stati versati.
La signora Faustina lo fissò, diffidente, socchiudendo le palpebre grinzose. Delle irregolarità nei pagamenti? Che genere di irregolarità? Tommaso assunse l’espressione un po’ altezzosa e passabilmente annoiata dei funzionario che non ha
tempo da perdere. A quanto pareva, c’erano stati degli errori
nei conteggi della sua pensione, per cui le erano state pagate
delle somme inferiori al dovuto. Lui era stato mandato apposta dal suo dipartimento per rimediare. Ma, era necessario
parlarne sulla porta? Doveva esaminare le banconote e non
aveva tempo da perdere.
La donna non pareva troppo convinta. Era veramente un ispettore? Gli pareva troppo giovane.
Chiese di vedere un tesserino di riconoscimento.
Tommaso s’impettì, stringendo con aria offesa la sua borsa
di cuoio. Certo che aveva un documento qualificativo (aveva notato che i paroloni difficili impressionavano sempre le
persone semplici) ed era pronto ad esibirlo. Fece il vago gesto di aprire la borsa, ma si fermò lì ed aggiunse seccamente
che se non voleva riceverlo in casa, avrebbe dovuto passare
lei alla sede centrale, in città, entro una settimana.
“Va bene” disse la vecchia “Vado a prendere la mia pensione, ma lei aspetti qui, fuori dalla porta.”
“Signora, cerchiamo di fare in fretta!” gridò Tommaso “Io
ho altre pratiche da espletare.”
La signora Faustina entrò in casa, lasciando la porta socchiusa ed incominciò a salire, ciabattando, una ripida rampa
di scale. Tommaso aspettò che la padrona di casa fosse in
cima alla rampa, poi sgusciò dentro, furtivo come un topo e
s’infilò nella cucina.
La piccola stanza era modesta, ma pulita ed ordinatissima,
tutta odorosa di sapone di Marsiglia.
Tommaso sapeva per esperienza che spesso la gente tiene
del denaro nel buffet ed aprì cautamente i cassetti del mobile, ma trovò solo vecchi sacchetti di plastica accuratamente
ripiegati e cartacce inutili. Rovistò un po’ in giro, ritornò
nell’ingresso, provò ad aprire un’altra porta che era chiusa a
chiave. Stava per salire al piano di sopra, quando si fermò,
allarmato, perché la vecchia stava parlando ad alta voce con
un’altra donna dalla voce querula. Ma, non era sola in casa?
La sua solita sfortuna! Sentì che discutevano di un ispettore.
Tese l’orecchio:parlavano di lui.
“Cosa devo fare?” chiedeva la signora Faustina, tutta affannata “Quell’ispettore....è qui che aspetta fuori dalla porta,
ma io non posso...”
“Mandalo via! Mandalo via!” insisteva l’altra “Non deve
entrare in casa! Guai se scopre che tutti i nostri soldi sono....”
e il resto della frase si perse in un mormorio sommesso.
Tommaso drizzò le orecchie, tutto interessato, sforzandosi
di seguire la discussione. Captò soltanto brandelli di frasi “
..migliaia e migliaia di euro...ma, sei stupida? Non devi assolutamente....”
Dunque il suo intuito non l’aveva ingannato. In quella casa
c’era qualcosa di sostanzioso da arraffare. “Signora, io sto
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P rimavera 2008
aspettando!” gridò ad alta voce “Guardi che non posso restare qui tutto il giorno.” E mentre parlava, con due agili
balzi fu in cima alle scale.
Un acre odore di conegrina e disinfettante lo prese alla gola,
mentre si dirigeva verso una linda stanzetta in penombra,
lasciata con la porta socchiusa.
La signora Faustina era lì, e si torceva le mani, mentre
dialogava affannosamente con....
“Signora” disse in fretta Tommaso “vogliamo sbrigarci a...”,
ma solo in quel momento realizzò, stupefatto ed inorridito,
che cosa c’era nel letto e la frase gli morì in gola, trasformandosi in un urlo stridulo, che si spense in una specie di guaito.
Soffocando un conato di vomito, Tommaso lasciò cadere la
sua borsa piena di giornali e si voltò di scatto per correre
fuori, ma commise l’errore fatale di voltare la schiena alla
signora Faustina che, con un’agilità ed una ferocia inaspettata, lo colpì e gli fracassò il cranio con un’ascia che teneva
nascosta accanto al letto. Poi, mentre Tommaso sussultava
ancora sul pavimento, negli ultimi spasimi dell’agonia, la
signora Faustina tornò verso il letto, incominciò a ripulirsi
dagli schizzi di sangue ed accarezzò con affetto il teschio
che giaceva sul cuscino bianco, ben stirato.
“Hai visto?” disse gentilmente allo scheletro “Sono stata brava. Quell’ispettore non ci darà più fastidio.”
Poi assunse un’espressione remota, come raggelata e quando parlò la sua voce era diversa, flebile e
stridula, come quella di una vecchia bambina petulante. “Mi
hai sporcata tutta di sangue” si lamentò “Adesso dovrai lavarmi, ma non con la conegrina, come fai sempre. Puzza, te
l’ho detto tante volte. Non la voglio più.”
Il dialogo demenziale proseguì, tra le chiazze di sangue e di
materia cerebrale.
“Ti lamenti sempre, sei incontentabile, peggio della mamma. Anche lei trovava da ridire su tutto quello che facevo e
mi gridava dietro dal mattino alla sera. Gridava come una
matta, eppure io ho sempre cercato di accontentarla...”
“Ma poi l’hai ammazzata con un ferro da stiro! Non ti ricordi più? Il processo, lo scandalo.. .io e
papà abbiamo dovuto trasferirci ed io mi facevo chiamare
col cognome della mamma, perché mi vergognavo.”
“Ero malata”
“Hai anche buttato il gatto dalla finestra”
“Ero malata, ti dico. Non sapevo quello che facevo”
“Ma l’hai buttato giù dal quinto piano”
“Perché stavo proprio male, ma adesso sono guarita, l’hanno detto anche i medici. Da quando sono stata dimessa non
sento più le voci dei santi e non vedo più l’arcangelo Gabriele sul terrazzo. Sono perfettamente normale, mia cara Luisa,
dovresti essere contenta.”
“E non chiamarmi Luisa, quella sei tu, io sono Faustina. Tu
mi hai soffocata con un cuscino e ti fai passare per me, per
riscuotere la mia pensione. Io te l’ho sempre detto che prima
o poi qualcuno si sarebbe insospettito. Hai visto? Hanno
mandato quell’ispettore a controllare, con una scusa. Pensa
se ci avessero scoperte.”
“E chi ha avuto la buona idea dì nascondere un’ascia vicino
al letto per difendersi dai
malintenzionati? Tu te ne stai lì distesa a puzzare sotto le
lenzuola. Non è che mi aiuti molto! Devo fare tutto da sola.”
“Ma io sono uno scheletro e tu sei un’ingrata, perché ti avevo preso a vivere con me, quando ero rimasta vedova e tu
anziché ringraziarmi, mi ha ammazzata”
“Non volevo soffocarti, Faustina, lo giuro, volevo solo farti
tacere. Quella notte tu continuavi a tossire e tossire... non mi
hai lasciato chiudere occhio ed io avevo un mal di testa tremendo, così mi sono saltati i nervi. Ma, poi ho rimediato.
Adesso mi occupo io di te, provvedo a tutto e prego ogni
giorno, prego moltissimo per la tua anima, per mamma e
papa ed anche per il gatto. Veramente i gatti non avrebbero
un’anima, ma l’altra notte ho sognato S.Antonio da Padova
che mi ha detto.....”
“Luisa, Luisa, non divagare. Cosa ne facciamo dell’ispettore? Non vorrai metterlo nel mio letto, spero! Io sono una
donna seria e questo estraneo con me....”
“Non preoccuparti, Faustina, ci ho già pensato. Lo sistemerò subito in cantina, nel congelatore, poi verrò a lavarti bene
ed a ripulire la stanza come si deve.”
“E poi?”
“Niente, starà lì. Ma d’ora in avanti pregherò anche per lui.
Pregherò tutti i giorni, perché riposi in santa pace.”
Incipit del romanzo “Desiderata” di
Grazia Fassio Surace
Mi manca nulla, senz’altro sarei felice se ogni notte non la
sognassi, quella manina che si tende, che m’invoca, dalla
buca profonda, e tutto intorno è fango, e io vorrei aiutare chi
la protende, ma sono paralizzata, vorrei muovermi, ma non
mi muovo, non posso muovermi: ed ecco che vedo solo più
le ditina, e poi niente, è sparita, precipitata nel baratro, e anche a me allora pare di precipitare da un’altezza infinita, e
mi manca il fiato come per un tonfo, come se precipitassi
davvero, e mi desto sudata, angosciata, e urlo, e mio marito,
come sempre, mi deve consolare, ma rassegnato, non domanda più nulla, mi stringe solamente a sé, e ripete le parole
ormai logore:
“Non piangere, stella mia, è solo un sogno …. ci sono io,
vicino a te, e ti amo…”
Confortata dalla sua voce, mi sveglio alla realtà e a poco a
poco mi calmo, ma l’angoscia è sempre in me, ed è così
quasi ogni notte, non vorrei venisse mai, la notte.
E allora penso: “Dio mio, perché devo soffrire, che cosa ho
fatto, perché mi castighi così…”
Ma purtroppo lo so il perché, lo so …
Nacqui di primavera, non sotto il solito cavolo ma, come
una regina, in un’aiuola di rose, e non mi punsi nemmeno.
Quando mi raccolsero i miei genitori impazzirono di gioia.
Raccontano che fossi talmente bella da apparire irreale.
Sulla testolina la lanuggine dorata era chiara da sembrare
argento, e gli occhi splendevano come stelle azzurre.
Mio padre che mi aveva attesa tanto (ero la prima figlia ed
aveva quarant’anni) volle chiamarmi Desiderata.
Appena nata, già si diceva ch’ero stata baciata dalla fortuna.
La casa bianca sulle pendici della collina era un tripudio di
fiori e di sole.
La culla di legno, vecchia di generazioni, venne dipinta di
rosa e rivestita con tendine di organza ricamate con nodi
d’amore.
Mio padre attendeva tutto il giorno il momento di rientrare a
casa.
Avevo circa un anno.
La mamma aveva cucito dei legacci ad un grosso cuscino
Lui lo legava sotto il sedere, poi si accovacciava in terra, mi
prendeva in braccio e ci trascinavamo sul pavimento imitan-
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I l S alotto degli A utori
do il verso del treno.
lo lanciavo piccoli strilli di gioia.
Adoravo mio padre, tanto quanto lui adorava me.
Potevo avere due anni, e già ero esperta nell’arte di mandarlo in visibilio.
“Sei il papà più bello del mondo “ tubavo, accarezzandolo.
E guai se qualcuno osava sostenere il contrario!
Questo è quanto mi narrava la mamma quando, ancora bambina, seduta sul suo grembo, le domandavo: “Mamma, ti
prego, raccontami di quand’ero piccina piccina ...”
E tanto adoravo sentirla favoleggiare sulla minuscola Desiderata raccolta in un’aiuola di rose profumate, che mi facevo ripetere spesso la storia così che, alla fine, a forza di sentirla e di immedesimarmi in essa, mi pareva che tutto fosse
frutto di una mia reminiscenza, i primi vagiti tra i fiori, le
manine festose protese oltre il bordo di organza della culla
rosa, i giochi con papà, quasi che, prodigiosamente, la memoria potesse arrivare fino al momento in cui avevo visto la
luce, e neppure mi sfiorava il pensiero che le scene che mi
apparivano nitide altro non fossero che il risultato del racconto ripetuto e della mia immaginazione.
Leonardo
di Guido Bava (Biella)
Anni ed anni trascorsi nei cantieri edili di mezza Italia, mi
hanno permesso di conoscere, oltre a molte particolari sottigliezze relative al lavoro, molti uomini con i quali ho trascorso le mie ore più belle ed interessanti. Ho detto mezza
Italia e non credo di aver esagerato
Infatti Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana e Lazio rappresentano territorialmente proprio metà
Italia. Quindi, oltre al suddetto invidiabile bagaglio di nozioni tecniche, ho raccolto innumerevoli dati storici, artistici e
umani che si sono aggiunti alle centinaia di schede su località piemontesi, tradotte in parte sui tre volumi di Piemonte in
Flash. Ma dicevo degli uomini che ho conosciuto, ed anche
aiutato quando ne ho avuto la possibilità, uomini come quelli del “cantiere dei miracoli” dei quali ho già detto in altra
parte del testo. Centinaia di visi, di figure che mi appaiono
come fantasmi quando il pensiero ricorre ai luoghi, ai tempi
e se di alcuni ricordo a malapena i nomi, di quasi tutti ricordo la iniziale diffidenza nei miei confronti che si stemperava, in poco tempo con affezione e confidenza. Centinaia di
storie di difficoltà enormi, di famiglie divise, di fame, di povertà, di sogni irrealizzabili, ma anche di amicizie importanti, di collaborazione, di successi.
Storie tutte uguali, raccontate durante la pausa pranzo che,
spesso e per mia scelta, dividevo con loro, momenti brevi
ma intensi all’uscita a fine giornata con un caffè o un bicchiere nel bar più vicino…..
Leonardo lo conobbi così mentre, attorno al grande tavolaccio
venivano consumati i pasti contenuti nelle gavette riempite a
casa e riscaldate in una grande vasca di lamiera riempita di
acqua e posta su un fuoco di fortuna. Notai Leonardo perché
non aveva gavetta ma toglieva un grosso pane casereccio da
un sacchetto e, dallo stesso, prelevava poi dei peperoncini
che usava da companatico. Vidi quella scena per diversi giorni
durante i quali seguii l’operaio anche durante le ore di lavoro notando che era abbastanza esperto come addetto ai lavori più pesanti e dotato di una particolare allegria. Credo che
la mia amicizia con quel pugliese doc, sia nata così accettan-
do di buon grado le sue battute che, peraltro, ricambiavo con
altrettanto salaci mie. E poi si arrivò agli spagnolini che, secondo il mio parere avrebbero finito col procurargli un’ulcera con i fiocchi e riuscii a fargli cambiare abitudini e gli regalai la gavetta uguale a quella degli altri. Amicizia era fatta e,
nei momenti liberi. o nelle pause del lavoro, conobbi la storia della sua vita dal piccolo paese natio, all’emigrazione in
Germania, al ritorno al paese con la speranza di trovare un
lavoro e poi Torino con la valigia di fibra, i pochi soldi rimasti e nuove speranze. Ora aveva moglie e figlio, anzi due
figli anche se il più grande era figlio di primo letto della
madre e portava un altro cognome. Aveva trovato da affittare
una cadente cascina alle porte di Torino e vi aveva portato
moglie e figli, nelle ore libere dal lavoro, aveva preparato un
orto e allevava conigli e galline ovaiole. Il figlio suo aveva
superato la poliomielite ma trascinava una gamba inoltre
aveva un carattere chiuso e rifuggiva la compagnia di altri
ragazzi proprio per quel suo handicap. Passava ore e ore in
casa a scarabocchiare ed era il cruccio del padre che era riuscito a sistemare l’altro presso una lavanderia della zona.
Regalai al minore Paolo, una macchina da scrivere acquistata al Monte di Pietà e, con ciò divenni amico del ragazzo e di
casa. La gratitudine di quelle persone era incredibile, mi riempivano la casa di polli, di uova, di verdure di ogni tipo e non
riuscivo a dir loro di smettere o di diminuire le portate perché si sarebbero offesi. Per evitare problemi in casa mia,
riuscii a trovare un compromesso e, il sabato a mezzogiorno,
accettavo spesso un invito a pranzo da loro.
Nella zona, operavano due società calcistiche dilettantistiche delle quali, una nota e importante e, l’altra, in embrione,
che si avvaleva del terreno dell’Oratorio e stava preparando
un campo vero e proprio in un terreno dell’Acquedotto Municipale. Noi, come lavoro, stavamo rifacendo il Monte di
Pietà e portavamo alla discarica vecchi mobili,lastroni di pietra e di cemento, scaffalature di ferro, vetri e serramenti e, un
sabato pomeriggio, Leonardo mi accompagnò al “campo”
dove fervevano i lavori. Compresi il motivo senza che nessuno me lo chiedesse e, da quel giorno, molti autocarri di
recuperi presero la strada del campo dove divennero, in breve, piazzole per il bar, il bar stesso, panchine, attrezzature
per gli spogliatoi e, ciò che non servì direttamente, fu venduto in zona e se ne usò il ricavato. A mie spese feci costruire i
servizi dell’Oratorio. Leonardo era felice perché vantava la
sua amicizia che aveva reso possibile tutto quello e, quando
fui eletto alla presidenza, affidai a Leonardo e famiglia la
gestione del bar. Paolo, dapprima un po’ riottoso, finì col
diventare amico di tutti i ragazzi delle squadre e sia lui che
gli altri si dimenticarono della sua gamba matta.
I lavori del Monte di Pietà terminarono ed io ebbi nuove
destinazioni che, però, mi permettevano di tornare ogni sabato al campo e, qualche volta, pranzavo da Leonardo.
La cascina ora era una bella casa colonica (parecchi autocarri
avevano scaricato anche nella sua aia) e Leonardo l’aveva
acquistata con un mutuo pagato dai figli che avevano entrambi trovato lavoro in zona mentre, Leonardo si occupava della
casa, dell’orto e degli allevamenti. Paolo aveva messo gli occhi su una calabrese e si muoveva sotto scorta dei fratelli di lei
tra le battute degli amici e ciò fino a quando si sposarono.
Leonardo non era più il manovalaccio dei primi tempi , ma
un’altra persona meglio vestita e, come parecchi meridionali piemontesizzati, anche un po’ critico nei confronti di nuovi immigrati cosa che io, bonariamente, gli rimproveravo;
una cosa soltanto era rimasta tale dai primi tempi della nostra conoscenza, gli spagnolini, quei maledetti peperoncini
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P rimavera 2008
di Caienna che finirono col “bucargli” lo stomaco portandolo alla morte.
Ricordo le sue ultime parole durante la mia ultima visita in
ospedale: “Avevi ragione. Geo, ti ricordi al cantiere quando
mi dicevi che mi avrebbero bucato lo stomaco……E proprio adesso che ce l’avevamo fatta e che potevo invecchiare
tranquillo….” Mi ricordo che riuscii a sorridergli nonostante
sentissi una grande voglia di piangere, gli strinsi le mani
callose e lo lasciai a morire, povero amico mio…..
Fratellino robot e altri sogni
di Eugenio Borra
Invecchiando perdono consistenza e si affievoliscono perfino i sette doni dello Spirito Santo, cioè sapienza, intelletto,
consiglio, fortezza, temperanza, scienza e timor di Dio. Quest’ultimo dono almeno in senso religioso dovrebbe crescere:
con l’età si avvicina il giorno del Suo Giudizio. Gli altri doni
diminuiscono. Come la salute, la resistenza alle malattie, la
forza fisica e la capacità di sognare ad occhi aperti.
Nel caso mio resta invariata solo la capacità di sognare dormendo. Lamento incubi molto frequenti. A volte mi fanno
svegliare, a volte dopo un momentaneo sollievo riprendono
dal punto dove il risveglio li aveva interrotti.
Quasi sempre sogno fuori del tempo attuale, come non avessi tutti questi anni. A volte cerco un lavoro, creo un’attività in
proprio, addirittura faccio delle invenzioni. Una l’ho trovata
bell’e fatta. Fatta non so da chi, ma reale e parlante. L’ho
vista prima di cartone e piatta, poi in tre dimensioni e animata. Come parlava chiaro e assennatamente! Si rivolgeva al
bimbo di tre o quattro anni che mi guardava con l’aria di
dire: “Ma non è mica un bambino vero!”
Poi non era più un robot e mi abbracciava e intanto cresceva,
mi stringeva, diventava un giovanetto o una ragazza, non ne
capivo il sesso. Nell’incertezza se andare avanti o no, ecco il
risveglio; forse temevo di baciare uno omosessuale.
Resta l’idea per un’invenzione: il fratellino o sorellina robot,
che parla, ride, risponde ai ragionamenti infantili con tanta
infantile saggezza.
* * *
Da quando mi delizia il mio unico nipotino, ritorna un sogno
che è anche un’invenzione. Giochiamo ad un gioco che lo
diverte molto. La forza di gravità fa da molla e da batteria.
Ad un metro e mezzo di altezza si trova un imbuto dove si
mette una biglia, che scende lungo un tubo quasi orizzontale
detto galleria fino a uscire fuori e compiere un giro veloce
prima di saltare dentro un condotto, percorso il quale passa
in una seconda galleria. Mentre la percorre, accende varie
lucine, fa cantare un usignolo e prima di cadere in una scodella grida “Aiuto!” Dentro la scodella compie vari giri dovuti allo slancio della caduta obliqua. Poi dal fondo forato
della scodella da cui esce, la biglia balza in un condotto trasparente e la si vede fare due giri fino a ricadere sul pavimento ai piedi del punto donde era partita.
Ci gioco nel sogno ma non mi decido mai per una realizzazione, magari limitata alle parti più facili.
* * *
Dormendo partecipo anche a qualche gioco televisivo. Uno
in particolare mi interessa ricostruire, estraendolo dalle nebbie del sogno. Lo chiamerei DUE CONTRO TUTTI oppure
VINCI COI REBUS e ne rivendico qui stesso il ©.
Ogni giorno sono messi in palio centomila euro affidati a
due concorrente che li difendono.
Chi fa domanda per partecipare si rende disponibile anche
per rispondere al telefono in diretta e dare da casa la soluzione, che i due concorrenti non avessero fornito esatta. Il tempo a disposizione è sempre di un minuto primo.
I due sfidanti vedono dimezzare il gruzzolo quando: a) sbagliano una delle domande a raffica; b) non fanno in tempo a
risolvere il cruciverba durante l’intervallo pubblicitario con
ospite; c) non risolvono i due rebus finali proposti; d) il chiamato a casa non riesce a difendere la loro vittoria.
Un terzo concorrente gioca a nome di tutti. Gioca solo contro due, ma si avvale dell’aiuto telefonico. Lui stesso compone un numero (dei sette ricevuti) per recuperare i
cinquantamila euro persi dalla coppia che non ha risposto
bene. Ove il chiamato risolva il quesito, egli dovrà a sua
volta superare tre scogli. O gli va bene e dovrà difendere il
malloppo in cabina insieme ai due, o gli va male e riceverà
due milioni di vecchie lire, come premio di consolazione da
spartire con il chiamato.
Comunque termini la prima fase, si passa ai cruciverba da
risolvere durante l’intervista con esibizione di un ospite
- cantante, scrittore, attore - accompagnata immancabilmente
da uno stacco pubblicitario. In cabina entrano i due con un
terzo uomo, che difende i suoi cinquantamila ovvero concorre
alla metà della cifra in mano ai due concorrenti iniziali.
Anche qui si danno diversi casi. Risolve per primo uno dei
due? Se ne va il terzo con il premio di consolazione. Risolve
per primo il terzo uomo? Mantiene la sua cifra o cattura metà
di quella dei due.
Al gioco dei rebus partecipa sempre un terzo uomo con i due
concorrenti iniziali. Anche qui si danno casi diversi e conta
chi per primo risolve entrambi i rebus, che possono anche
rimanere irrisolti, sicché non resta altro che il premio di consolazione. Questo però può venir raddoppiato da casa. La
cifra eventualmente rimasta in possesso dei due o del terzo
va invece difesa, affrontando una nuova raffica di domande
con possibile chiamata di un utente a casa, che potrà riceverne una parte. Partecipando di persona o al telefono, si
vince comunque un milione di vecchie lire.
Un gioco inesistente, dunque, che ha il pregio di coinvolgere le persone a casa. Io l’ho inventato dormendo, ma non ho
vinto mai niente. Anzi una volta che non c’era il presentatore, ma soltanto il Comitato, questo mi ha posto una domanda facile cui non mi veniva da rispondere. Per la vergogna
volevo scappare. Scalzo e in mutande, facevo ridere il pubblico. La pubblicità – che cordialmente detesto – mi ha salvato dall’essere trasmesso in eurovisione...
* * *
Incubi. Fanno soffrire. Il più penoso m’è capitato di recente.
Aspettavamo il pullman le mie bambine, il primogenito ed
io. Arriva tutto pieno e i tre bambini salgono su. Io che non
credo di poter entrare gli faccio segno di no, mentre un signore spingendo si preme nella calca. L’autista ritiene il mio
no diretto a lui, chiude la porta e parte. Mi metto le mani nei
capelli! Che fare? Correre dietro non posso. Mi affretto verso la fermata seguente. Spero che il più grande che va già a
scuola scenda e mi aspetti con le sorelline. Ma l’angoscia
aumenta, mi ricordo che mi manca il fiato e questo mi sveglia. Che sollievo! Sono già grandi e adulti, hanno tutti la
macchina.
Un incubo ricorrente riguarda le assicurate. Più o meno uguale mi si è presentato parecchie volte nel tempo. Lavoravo alle
Poste, nell’Ufficio Estero Posta aerea che smaltiva lettere, cartoline, stampe e raccomandate dal Piemonte per tutto il mondo, nonché le assicurate da tutta Italia per la Francia, il Regno
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I l S alotto degli A utori
Unito e l’Irlanda. Da giugno a settembre le assicurate lievitavano perché alcune banche spedivano franchi e sterline cambiati dai turisti in lire. Io temevo una rapina ed ho pure sognato
– per una volta sola credo – di aver opposto resistenza e messo
in fuga due banditi, uno che puntava la pistola e l’altro che
stava ficcando le assicurate in un sacco. Con uno scatto felino
gli faccio cadere l’arma e quello fugge. I colleghi tolgono il
sacco all’altro e anche quello scappa.
“Dobbiamo inseguirli!” Grido. Però il capo mi dice di lasciar perdere.
Di questi sogni il più brutto e ricorrente mi fa star male. Ho
finito il lavoro. Assicurate e raccomandate sono già nei sacchi piombati, ma allo spunto me ne manca una. Le vedo
descritte con numero, provenienza, destinazione, valore in
franchi oro. Sono costernato e assillato. Presto dovremo consegnare i dispacci: l’ambulante Torino – Modane deve partire in orario. I colleghi mi guardano di brutto. Io già mi preparo a rispondere al giudice:
“Non l’ho rubata io. Non so che fine ha fatto”. Nel sogno mi
dico: la coscienza ce l’ho pulita. Per fortuna c’è Dio che è
buono, giusto e sa tutto. Al giudice terreno potrò dire:
“Le sembro così furbo da perdere il posto di lavoro per una
misera assicurata?”
Tuttavia spesso l’angoscia mi sveglia, penso: meno male,
sono in pensione, non è mai successo e non potrà succedere
mai. Mi riaddormento tranquillo e, dannazione, quello riprende dal punto dove s’era interrotto!
Quattro donne
di Franco Calandrini
-Breve raccolta di racconti Perché il tempo è poco, e l’acqua si sta alzando
(Raymond Carver)
grire e tenermi un po’ in forma. E invece in casa, a fare da
madre, da casalinga, da amica, da mucca, da schiava.
“L’ho scelto io”, m’ha detto, e mi sa che ha anche ragione.
Bella scelta!
Ho le tette che ormai non so più come tenerle, la pancia
molle e gonfia, le gambe che ormai sono diventate una riserva permanente di grasso e cellulite, il sedere ormai un sacco
da pugile buttato in un angolo. E sento che tra un po’ andrò
anche in menopausa.
Mi dice che sono ormai quindici anni che mi tradisce.
Ma Cristo santo, perché non me l’ha detto quindici anni fa?
Quindici anni fa ero ancora una bella donna, avrei potuto
rifarmi una vita con chiunque, anche con i miei tre figli. E
invece viene fuori tutto adesso, e non per qualche rigurgito
di coscienza, no, solo perché il poveretto - poveretto sì,
perché in nessun altro modo saprei battezzare un essere
capace di una simile meschinità - è stato talmente stronzo e
anche vanesio, direi, da farsi trovare con le mani… con le
mani nel sacco, diciamo - non voglio scendere al suo livello
- sennò per chissà quanto ancora sarebbe andato avanti.
“Perché - gli ho chiesto - ma perché?”.
Lui si è alzato dalla poltrona, è andato in sala, ha acceso la
TV, con tutta calma ha cercato un portacenere di fortuna, di
solito una delle due tazzine dove ha gustato il caffè che amorevolmente sorseggiamo assieme dopo cena, si è acceso la
sigaretta, m’è venuto incontro e m’ha detto, nel modo più
distaccato e crudele possibile: “Ma ti sei vista?”.
Non potevo credere che sarebbe stato capace di dire una cosa
simile. Se mi son vista? Cristo che mi son vista! E mi sono
vista trasformare negli anni, anno dopo anno, figlio dopo
figlio e non è stato un gran bello spettacolo.
“E adesso?” gli chiedo. “Capisci che non possiamo più stare
assieme come se non fosse successo niente”.
“Quindi?”, fa lui.
“Quindi dobbiamo almeno dirlo ai ragazzi”, gli dico io.
“Dobbiamo?”, risponde impassibile, come se gli avessi
chiesto di comunicare loro e di renderli partecipi di una piccola ammaccatura riportata in un parcheggio. “Tu devi, se
proprio ci tieni. Tu devi dirlo ai ragazzi. Per me non è
cambiato niente, sono quindici anni che vivo così e a loro, e
nemmeno a te, non ho mai fatto mancare niente. E tu adesso
vorresti rovinare tutto per....per... per cosa? No, se vuoi sfasciare tutto fallo con le tue mani, dillo tu ai ragazzi. Dillo tu
che per un semplice infantile moto d’orgoglio sei disposta a
buttare tutto quello che abbiamo costruito”.
Ad un certo punto mi sono perfino chiesta se non fosse impazzito tutto d’un tratto. Chi era quello strano uomo, appesantito
dagli anni e da una vita stracolma d’agi, con le mani e i denti
gialli perennemente e irreversibilmente segnati dalla nicotina,
il taglio di capelli alla moda, vestito in modo così ridicolo, da
ragazzino, quel frutto acerbo marcito sull’albero che adesso si
era messo in mente di tagliarmi pezzo per pezzo?
“Pensi sia stato semplice per me? Stare con una donna che
ormai non somiglia nemmeno più ad una donna e fare tutto
di nascosto per tentare di salvare le apparenze e la famiglia?
Pensi davvero sia stato semplice?”
Io non so cosa possa portare un uomo ad essere così cattivo,
non so dove abbia trovato la forza per umiliarmi fino a questo punto, certo è che una donna non sarebbe mai capace di
fare e di dire una cosa simile. Ma cosa potevo aspettarmi?
Li vedo ovunque questi cinquantenni, sessantenni, morti
dentro, che per sentirsi vivi devono succhiare la vita alle ragazzine di turno. Li vedo, li vedevo ovunque, solo pensavo
che non sarebbe successo anche a me. Una volta ci amava-
NON SERVE NESSUN TALENTO
Quando l’ho visto palpare il culo a quella troia che avrà avuto sì e no vent’anni, non c’ho più visto. Comunque non è
solo per questo che ho perso il controllo e ho fatto quello che
ho fatto. Anche per questo, ma non solo. Mi è sembrato di
fare un favore all’umanità.
Ma chi siamo noi? Qual è la regola, la legge divina che legittima, che sancisce, che giustifica che un uomo, arrivato a
cinquant’ anni, gli stessi che ho io, possa avere ancora il diritto di sfregarsi addosso ad una ragazzina che potrebbe essere sua figlia? Anzi, peggio, nostra figlia ha cinque anni in
più. Come si sono garantiti, gli uomini, questo diritto, questo privilegio, questo... questo... questa... questa vigliaccata,
insomma?
Mi sono fatta in quattro per cercare di tenere in piedi questo
straccio di famiglia, gli ho dato tre figli - per me uno era già
più che sufficiente - tre sì, perché lui “li ama i bambini”, e
anche le bambine vedo; “i bambini sono tutta la mia vita”
diceva. E io lì, meschina, a fingere di provare ancora chissà
cosa, ad impegnarmi anche, a convincermi, a mettercela tutta insomma, anche quando ormai non era rimasto nemmeno
più un briciolo di passione. Un figlio ogni tre anni, è così
che è andata, è così che mi sono devastata in modo
irreversibile.
Avrei voluto - avrei dovuto, lo so - anche lavorare per uscire
dall’effetto chioccia che mi ha sottratta alla vita per quasi
vent’anni - gli stessi della schifosa - senza contare gli altri
sprecati - sprecati sì, dato il risultato - per cercare di dima- 48 -
P rimavera 2008
mo, pensavo saremmo invecchiati assieme.
Ma attente voi, state attente, tra un po’ inizierà a cadervi il
seno, il vostro sedere e il vostro ventre non saranno più tesi
come la pelle di un tamburo e allora il vostro grand’uomo,
che vi ha promesso chissà quali mondi e chissà quale vita
magnifica, vi sostituirà con un pezzo di carne più giovane e
se non siete riuscite a capitalizzare quel pezzo di strada fatta
assieme vi troverete nella fogna ancor prima di avere capito
cosa stava succedendo.
E allora, care bambine, un consiglio - perché nonostante tutto ho più considerazione di voi che di lui, che di loro -: rifiutate i suoi soldi, non vi fate pagare cene o viaggi, date un bel
segno di solidità, d’autonomia, in modo che quando vi regalerà un brillante da migliaia d’euro o v’intesterà una casa
sembri un favore che voi fate al poveretto. Siate scaltre perché quel periodo potrebbe durare molto meno di quanto immaginate. Perché non serve nessuna abilità particolare per
essere giovani, non serve nessuna capacità, nessun talento.
Lo siamo state tutte.
...continua
Giorgio
di Tavcar Giovanni (Trieste)
Giorgio si svegliò verso le nove, quella mattina, con un profondo senso di soddisfazione. Aveva dormito bene, saporitamente. Si stirò con energia, fremendo dal sottile piacere che
l’operazione gli procurava. Poi si mise in ascolto. Il leggero
tambureggiare sui vetri della finestra lo avvisò che fuori stava piovendo. Non si rabbuiò, come era solito fare in simili
circostanze. Per quanto sintonizzasse l’udito, non percepì
nessun altro rumore. L’appartamento era silenzioso come
un convento di clausura. La moglie era andata al lavoro, dopo
aver accompagnato i figli a scuola. Lui non si era accorto di
niente.
Rimase per alcuni minuti in balia di quell’insolito e rasserenante silenzio, che non aveva certo modo di esplicarsi spesso, in quella casa, abitata da tre ragazzi molto svegli e talvolta scatenati. Un fuori programma piacevole e distensivo, da
godere fino in fondo.
Annodò le mani dietro alla nuca e posò lo sguardo sul soffitto che non aveva ancora terminato di imbiancare. Un confine slabbrato, proprio sopra alla sua testa, delimitava il
giallastro biancore del fondo vecchio dalla fresca e luminosa patina della vernice nuova. Lo assalì perentoria la voglia
di rimettersi al lavoro ( non amava le cose incompiute ), ma
si ricordò che aveva qualcosa di più importante da fare.
Volgendosi verso la parete alla sua sinistra si trovò ad accarezzare con lo sguardo il bel mobile a vetri che aveva disegnato lui stesso e le centinaia di dischi che vi erano contenuti,
riposti con ordine e cura meticolosa. Provò un vivo piacere
nell’immaginare la caterva di voci, umane e strumentali, che
riposavano nelle infinite pieghe dei tenui e delicati solchi. Si
sentì come un privilegiato custode di preziose reliquie.
Un bronzeo medaglione, che aveva acquistato anni fa a
Vienna, tratteggiava con delicate e sapienti volute Johann
Strauss junior, emblema stesso della Vienna musicale, che
gli sorrideva con familiare arguzia sotto l’arcuata prominenza dei famosi baffi. Un Pierrot di ceramica languiva in un
angolino, immerso nel suo triste destino di malinconico pagliaccio.
Nell’aria vagava un dolce tepore che lo illanguidiva. Sarebbe rimasto volentieri a letto, a vagabondare con i suoi pensieri. Il richiamo di un preciso dovere lo richiamò però ener-
gicamente alla realtà. Doveva scrivere. Doveva approfittare
di quella mattinata piena di tranquillità e di pace per continuare il suo romanzo, che incominciava appena ora, dopo
quasi tre anni di lavoro, ad assumere una forma definitiva. Il
piacere di scrivere lo scosse con forza e lo fece letteralmente
balzare dal letto.
Indossò la vestaglia blu, la sua preferita, e si recò in bagno a
farsi la barba. Quel rito quotidiano lo aiutava a rilassarsi e gli
procurava un gran senso di freschezza e di benessere fisico.
Poi andò in cucina. Il caffè che sua moglie gli aveva preparato era ancora tiepido. Non perse tempo a riscaldarlo, ma lo
sorseggiò davanti alla grande porta-vetrata. Il cielo era plumbeo e una fitta pioggierellina stava scendendo con ostinata
insistenza. Consultò il barometro: non prometteva nulla di
buono. Il piacevole tepore che regnava in casa lo consolò
dell’umida atmosfera grigiastra che permeava l’ambiente
esterno.
Tornò nella stanza da letto, riassettò con cura il letto, vi stese
sopra il copriletto marrone, appoggiò accuratamente il cuscino sulla testata e si coricò, semiseduto, permeato da un
vago senso di lievitante voluttà.
Aveva l’abitudine, fin dagli anni dell’infanzia, di leggere,
scrivere e studiare a letto. In quella posizione, semiseduto, si
sentiva fisicamente rilassato e la concentrazione mentale ne
risultava molto avvantaggiata. Poi, con il passare degli anni,
aveva preso l’abitudine anche di ascoltare a letto; aveva perciò sistemato il suo sofisticato impianto stereofonico proprio
sul mobile che conteneva l’ampia raccolta di dischi. La radio l’aveva invece sistemata dietro di lui, sul ripiano della
testata. Andava a sedersi alla scrivania solo quando doveva
copiare qualcosa a macchina.
Prima di iniziare a scrivere lesse un breve racconto dai “
Sillabari “ di Goffredo Parise. Gli serviva per entrare nel
clima giusto, per colorare l’atmosfera, per spronare la fantasia.
Terminata la lettura prese il quaderno degli appunti e la penna. Sfogliò le ultime pagine che aveva abbozzato qualche
giorno prima e riportò così alla memoria frasi e situazioni.
Poi si concentrò.
Una volta, quando non scriveva ancora, era convinto dell’esistenza dell’ispirazione. Poi, però, con l’andare del tempo, si era accorto che per scrivere occorrevano soprattutto
ordine e applicazione. L’ispirazione veniva, sì, ogni tanto,
ma quando pareva a lei. Guai però ad aspettarla passivamante.
Avrebbe corso il rischio di non scrivere nulla. Bisognava
invece applicarsi, giorno dopo giorno, con tenacia e insistita
volontà. Talvolta la penna rimaneva inoperosa per minuti,
per ore. Talaltra invece le pagine si riempivano con appagante scorrevolezza.
Giorgio comprese subito che quella mattinata sarebbe stata
fruttuosa. Si sentiva in felice equilibrio. I pensieri ruotavano
leggeri, gli incastri tra immagini e parole si armonizzavano
con fluidità, la fantasia scoppiettava con allegra effervescenza.
Ogni tanto alzava lo sguardo dalla pagina, la penna sostava a
mezz’aria, mentre la mente tentava di modellare un’immagine non ancora del tutto sbozzata.
Lavorò così per buone due ore, senza apprezzabili interruzioni, che non fossero solo delle brevi pause di riflessione e
di concentrazione. Riusciva a seguire il trascorrere del tempo dal numero delle pagine scritte. Sapeva ormai per lunga
esperienza che tre pagine del suo abituale quaderno equivalevano a una pagina dattiloscritta e che in media quattro pagine di appunti, quando la fantasia lo sorreggeva, volevano
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I l S alotto degli A utori
dire all’incirca un’ora di lavoro.
Questa volta aveva oltrepassato la media abituale di quasi il
doppio. Ci volevano del resto anche questi momenti di grazia, per compensare le tante giornate improduttive e vuote.
Ancora teso nel pensiero, si alzò, e andò a controllare in
cucina l’ora sul grande orologio appeso in alto, sulla parete
frontale. Mancava un quarto a mezzogiorno. A mezzogiorno e mezza doveva recarsi a scuola a recuperare i ragazzi.
“ Troppo poco tempo “ pensò “ per concentrarmi di nuovo e
troppo per incominciare a vestirmi. “
Rintracciò nella dispensa un succo di frutta, che sorbì con
assorta partecipazione. Sbirciando dalla finestra catturò lo
sguardo una ragazza, sul poggiolo della casa di fronte, sposina
da poco, tutta intenta a cercare qualcosa nell’armadietto di
metallo biancolaccato.
Il suo abigliamento consisteva in una canottiera leggera e in
un paio di calzoncini sportivi, corti e aderenti. Giorgò rabbrividì a quella vista. Il termomemtro esterno mostrava sei
gradi. La osservò per qualche momento. Dovette riconoscere che era piuttosto bene in carne e discretamente bellina.
Notò pure che le finestre della camera da letto e la porta del
soggiorno erano del tutto spalancate. Si trovò a considerare
che non avrebbe potuto mai vivere con un pinguino, anche
se formoso e grazioso.
Tornò lentamente nella stanza da letto e si abbandonò al piacevole tepore dell’ambiente, che la vista della ragazza-pinguino aveva pericolosamente incrinato.
Si distese di nuovo sul letto. Dal cassetto prese le poesie del
Cardarelli. Aveva migliaia di libri nella sua ricca biblioteca.
I pochi libri che però veramente amava, li teneva sempre a
portata di mano. La raccolta poetica del Cardarelli era uno di
questi. Un piccolo vangelo poetico che non si stancava mai
di consultare, di sviscerare, di assaporare. Gli offriva immagini sempre nuove e spunti originali che riuscivano a innestare infallibilmente le spolette della sua fantasia più intima
e profonda.
Lesse ad alta voce alcune poesie, lentamente, sillabando verso
dopo verso, assaporando le pastose e turgide immagini, le
fresche e originali combinazioni, le lapidarie intuizioni,
ritmando la fluida costruzione musicale interna che tanto
doveva alla grande lezione del Leopardi.
Sulle ali dell’entusiasmo per quei mirabili versi che davano
cromatico rilievo pittorico ai suoi sentimenti, cercò di limare
l’abbozzo di una sua poesia che giaceva in embrione da mesi
nel suo quaderno di appunti. La densa e originale ispirazione del Cardarelli finì però per sbiancare ulteriormente il già
debole abbozzo.
Un segnale interno lo avvisò che era ormai giunta l’ora di
prepararsi. La sua giornata personale era terminata. L’aveva
usata bene, perchè aveva realizzato ciò che si era prefissato.
In pace con sè stesso e con il mondo, si vestì in fretta e si
preparò a subire l’umida e fastidiosa carezza che la pioggia
gli avrebbe inevitabilmente elargito.
La grotta segreta
di Santi Zagami (Torino)
Giorgio, Edoardo e Federica erano tre fratelli e insieme, esplorando il folto del bosco, avevano scoperto, in un anfratto,
una caverna che chiamarono “la nostra segreta”. Lì si rifugiavano sovente e si confidavano i loro sogni. La “tana”,
piena di mistero per le date e gli scritti incisi sulle pareti,
destava viva curiosità nei tre ragazzi, che facevano mille
congetture pensando persino a creature strane come, ad esempio, ai folletti del bosco, o a esseri misteriosi che volevano
lasciare traccia di sé. Pensarono pure a persone amanti della
natura e che nella “tana” avevano voluto, con la scrittura
sulle pareti, soltanto richiamare l’attenzione sul loro passaggio, come gli extraterrestri, e su questo argomento fecero
mille congetture: quali motivi li avevano spinti a rifugiarsi in
una caverna, a bivaccarvi e a scrivere sulle pareti frasi che,
già da sole, erano piene di mistero.
Decisero quindi di parlarne al nonno, che conosceva quei
luoghi e certamente era in condizione di chiarire ogni cosa.
Il nonno era molto aperto e loquace e, quando i tre ragazzi
avevano bisogno di chiarimenti, correvano da lui, che era
sempre a loro disposizione per qualsiasi spiegazione. Scoperta la “tana”, i ragazzi furono quindi portati a mettere al
corrente il nonno della loro scoperta, ma egli aveva già intuito tutto. Fu Giorgio, il più grandicello, a suggerire di rivelare al vegliardo la loro scoperta e allorché si presentarono a
lui, egli, con un sorriso sulle labbra, disse che aveva già capito la natura del loro segreto, che era felice di vedere che si
erano decisi a parlargliene e spiegò che la “tana” egli l’aveva scoperta già molti anni prima, ai tempi della sua gioventù
e in circostanze particolari perché in tempo di guerra, per
rifugiarsi durante i rastrellamenti.
Quindi la tana era stata un sicuro rifugio durante le retate che
i tedeschi facevano contro i partigiani.
I ragazzi vollero sapere molte cose sul mistero della “tana” e
il nonno cominciò a raccontare la sua vita di allora, in quel
riparo che si rivelò prezioso per lui e per i comandati partigiani. “La guerra divampava e la “tana” fu un buon nascondiglio per me e per i miei compagni e ci salvò nei rastrellamenti sulle montagne fatti dai nazisti”.
“Allora tu, nonno, - disse Federica - conoscevi tutti i partigiani?”
“Tutti no, ne conoscevo i capi e uno in particolare: il suo
nome era Walter ed aveva frequentato l’Istituto Magistrale
“Domenico Berti” di Torino, dove ci conoscemmo e diventammo amici. Con lui, sovente, andavo a passeggiare a Torino sotto il duplice filare dei tigli di corso Racconigi. Walter
fu promosso a pieni voti e, nell’attesa di essere chiamato al
servizio militare, egli vinse un concorso delle Ferrovie dello
Stato, posto che poi dovette lasciare perché chiamato a frequentare il Corso di Allievi Ufficiali di complemento e ne
uscì con il grado di sottotenente. Indi fu assegnato al suo
Reggimento, che era in zona di guerra in Albania dove, però,
le truppe italiane e tedesche subirono una disfatta.
Walter fu incaricato dal suo comandante di portare in salvo
la bandiera di combattimento del Reggimento per non farla
cadere in mani nemiche. Egli attraversò il mare a bordo di
un peschereccio, portando così a compimento le sua missione. Fu durante tale incarico che vide a Bologna e a Torino le
deportazioni di massa fatte dai tedeschi. Comprese l’orrore
dei loro metodi brutali e, per i suoi principi di libertà, scelse
la dura e rischiosa vita del partigiano, arruolandosi volontario nelle Brigate Garibaldine della Val di Susa, in mezzo alle
montagne, dove la sua attività non conosceva soste. Ma una
sera, tradito da due prigionieri russi, che si erano venduti ai
tedeschi, cadde trafitto da una raffica di mitragliatrice presso
Bruzolo. Quello fu un agguato premeditato e atroce.”
Il nonno si interruppe: aveva le lacrime agli occhi, poi si
riprese e disse: “Pensate che qui, nella nostra “tana segreta”,
sarebbe stato al sicuro... Io gliela avevo mostrata per lui e
peri Capi partigiani, braccati dai tedeschi.”
Poi soggiunse: “Se avessi ascoltato meglio, quella sera, nel
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P rimavera 2008
gelido vento della valle, avrei udito il suo estremo saluto alla
vita”.
“Questi episodi non tutti sono citati dai libri di storia, ma
ricordate sempre, nipoti miei, che anche ai partigiani dobbiamo oggi la nostra libertà. Ecco perché la nostra “tana” ha
un suo valori storico e ricorda ancora, a distanza di decenni,
la lotta partigiana.
Walter Fontan è uno dei tanti eroi ed è ricordato su di una
lapide alla stazione di Torino Porta Nuova, sul lato di via
Nizza, che rammenta ai posteri il nome dei ferrovieri caduti
per la libertà”.
Il nonno aveva finito il suo racconto fatto ai tre nipotini, che
gli fecero altre
domande sulla Resistenza, sullo spirito garibaldino dei partigiani, sui rastrellamenti dei tedeschi. Egli spiegò i difficili
momenti ormai passati e li esortò a non dimenticare.
Promise infine che un giorno li avrebbe portati in via Nizza,
sotto il portico
ferroviario, a vedere la lapide di cui aveva parlato prima.
Precisò inoltre che era stato un bravo radio - telegrafista ed
aveva svolto un ruolo molto importante per i collegamenti
con gli alleati. Raccontò pure di essere stato ferito alla gamba sinistra durante un attacco nazifascista.
Fu allora che i tre nipotini vollero vedere i segni della cicatrice nella gamba e ne furono orgogliosi perché il loro nonno si
era battuto con onore e Giorgio esclamò: “Allora la nostra
“tana” ha un valore storico, ma noi non lo sapevamo e la
ricorderemo sempre come “Tana misteriosa” perché piena
di firme, di date e di motti come questo: <<Chi per la Patria
muor, vissuto è assai>>”.
Federica era pensierosa e poi soggiunse: “Tu, nonno, ci hai
fatto una promessa e devi mantenerla, così vedremo la lapide di cui ci hai parlato e porteremo dei fiori, a ricordo di tutti
i caduti per la libertà”.
Da “Il grido del gufo” (1974)
Sogni Bastardi
di Ernesto D’Acquisto - Chieri (To)
“No! Basta con i sogni bastardi. Vivere... Vivere...”
Erano le tre del mattino quando Ceco andò a stravaccarsi
con la sua macchina in un burrone insieme con Venes. La
macchina, nuova fiammante, gliel’aveva donata suo padre
come premio per avere conquistato il primo traguardo culturale. Ora, supino su un letto in una corsia di ospedale sembrava che delirasse. Linda, entrata in quel frangente, si sentì
gelare la pelle: il ragazzo dei suoi sogni aveva la fronte fasciata e la borsa sulla testa sovrastata da una bottiglia
pensolante. Gli si avvicinò: aveva gli occhi chiusi. Gli accarezzò la tempia sinistra e lo chiamò: Ceco, Ceco. Il ragazzo
aprì gli occhi, e la fissò a lungo. Poi balbettò; Basta! con i
sogni bastardi...
“Ceco... stai male?”
“Non moIto; ma le ferite mi bruciano” sillabò lui chiudendo
gli occhi.
“Quante volte ti ho pregato di lasciare perdere quella sala
infernale?”
Ceco non rispose, ché nel suo cervello danzavano ancora
lampi policroni, rimbombi tamburici e sferzate di bronzi.
“Com’è successo?” chiese Linda.
E lui abbozzò un sorriso che sembrò di cane, e disse: Venes
è morta.
Ceco e Linda si erano conosciuti qualche anno prima ad una
festa, fra loro sembrò scoccare subito la scintilla. Ma quando Ceco la invitò insistentemente a fargli da partner nella
sala dei”sogni bastardi”, lei se ne allontanò. Lui continuò a
sognare con Venes. E Linda, diciottenne, continuò a sognare
per conto proprio la vita coniugale con quel ventenne alto
quanto basta, sagoma perfetta, bruno con capelli ondulati,
fronte alta, disinvolto e sicuro con la coda dei capelli al vento e occhi castani piccoli e incassati. Forse intendeva
recuperarlo.
La notizia dell’incidente, Linda l’apprese dalla televisione.
Non stette più nella pelle, e corse all’ospedale inseguita dai
rimbrotti della madre.
“Com’è successo?” insistette Linda piegandosi sul ragazzo.
Ma ceco spense il sorriso da cane; e sprofondò nei sogni di
quella notte.
“Balio con Venes. Lei mi afferra le orecchie con una veemenza tale che sembra volesse staccarmele. Ora mi fissa negli
occhi, mi tira e sé. Sento un colpetto alla spalla. Mi stacco da
lei. E’ Carlo che mi offre le sigarette estere. Prendo il pacchetto e ne pago il prezzo centuplicato. II Lampadario si è
spento; s’è accesa una luce rossa. Ogni ragazzo è avvinghiato alla sua donna. Nessuno, ancora fuma: il viaggio deve
incominciare in un tempo per tutti, e il suo inizio è subordinato alla fine dell’intermittenza sincromatioa delle lampadine rossa e verde. Fumo... Fumiamo. Incomincia una musica
lenta frammista a passione e intrigo. Le coppie prendono
l’abbrivio. Molte rugazze vagano ad occhi chiusi. Si accendono tutte le lampadine; lampeggiano. I colori si fondono e
generano altri colori. La sala è un proscenio astrale in metamorfosi tempestata di larve umane variopinte. Vaghiamo...
Quanto tempo è che gavazziamo con i nostri corpi...? Il ritmo delle luminescenze tende a degradare; forse la fase di
preparazione al viaggio sta per concludersi. Ecco, la luce
bianca si è spenta; anche le altre. Buio, S’è accesa la lampadina gialla: la sala sembra un luogo magico. Io e Venes prendiamo posto sul divano più vicino. E’ incominciata una musica ricca di sincopi altalenanti e carezzevoli ohe mi portano
sopra una sottile bruma gialla. Venes mi salta addosso; mi
morde l’orecchio destro; si stacca; mi fissa; dice qualcosa
che non capisco. La sala è avviluppata in una nube trasparente. Vedo delle coppie sparse ancora vaganti; altre sono
distese a terra sopra un largo tappeto che Carla ha disposto
nel centro della sala. La mia compagna ha finito la prima
sigaretta; ne vuole un’altra. Gliel’accendo. Nell’evanescenza
spumosa vedo altre fiammelle. La mia sigaretta ora è a metà.
II giallo che prima era opaco, ora lo vedo vivido como se il
fumo delle sigarette non ci fosse; la lampadina è d’uno splendore meraviglioso. Mi sento illuminare la mente, Questo, è
il grande potere che mi da il viaggio. Una nuova adepta gridai: No! non voglio... non voglio morire; aiuto! non voglio
morire; voglio tornaro indietro. Si alza, si butta sopra il tappeto, si rotola e grida ancora: Assassini! state dìsintegrando
il mio corpo; raccoglietelo, ridatemelo, è mio, lo voglio. Che
delizia! Vedo il mondo nella sua interezza, assoluto e fecondo di fuoco amorevole. Gli uomini della terra sono raccolti
tutti in un punto. S’abbracciano, finalmente, cantano l’inno
mondiale accompagnato dal suono del ganzavar. E’ un’armonia di pace, di gloria umana eterna. Le belve hanno perduto la loro ferocia. Ballano con gli ucraini una danza uniforme è la danza del mondo; è la sembiosi dei geni. Mio
padre, come un minchione al benzolo, arde sopra la collina
fiorita del mondo: torcia che si scioglie ai piedi degli uomini
umani e delle belve e degli insetti. Nel mare gli squali sono
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I l S alotto degli A utori
a raccolta con tutte le specie marine; sembra che tengano una
riunione. Ora tutti si muovono in direzione d’una nave abbandonata. La nave scompare negli abissi marini come inghiottita
da un immenso mulinello. In quel punto, tutte le specie marine volteggiano al ritmo soave delle sirene. Nell’aria gli uccelli
di tutte le razze si sono avventati contro un missile minaccioso. Ora cantano, cinguettano, gracchiano intorno alla cenere
ondeggiante dell’insidia. Un oggetto cubico scende silenzioso in mezzo agli uomini raccolti. Ne discendono degli esseri:
uno, due, tre... dieci. E’ la rappresentanza d’un altro mondo.
Hanno tre gambe e quattro braccia con le estremità prensili.
La loro testa cubiforme dispone di quattro occhi immobili fluorescenti: uno in ogni faccia laterale. La faccia superiore sembra essere sormontata da una cupoletta. Cinque cupolette si
distinguono dalle altre. Da queste esce un ciuffo indecifrabile
di colore viola cangiante fra l’azzurro oltremare e il verdescuro. Forse sono femmine. La pelle esposta è Violacea. In
una faccia, al di sotto dell’occhio, una cavità articolata mostra
due file di denti centrali: una sotto, una sopra. In due facce
opposte, al di sopra degli occhi, hanno una protuberanza simile ad un padiglione auricolare sempre in movimento: si muovono in ogni senso; mentre il corpo massiccio coperto fino
alle giunture inferiori rimane immobile. II corpo è coperto da
una tubola gialla vivace ohe arriva fin dove incomincia l’organo prensile. La loro altezza supera i due metri. Ci abbracciamo; balliamo al suono dei ganzavar.
A GABRIELLA
di Gian Claudio VASSAROTTO
(Lombriasco - TO)
“Ora vado alla ricerca di altri mondi senza pace per portarvi il
messaggio dell’Homo Sapiens. In fondo alla sala, oltre la parete, vedo quattro uomini di razze diverse ai quali se ne avvicina un altro che ha la pelle variamente pigmentata. Questi ha in
una mano una una sega ricavata dalla mandibola d’un coccodrillo e nell’altra una scatola diamantina. Appoggia la scatola
a terra, agguanta il primo uomo, e con la sega gli scoperchia il
cranio; ne risucchia il contenuto. Ora dalla scatola estrae un
cervello nuovo, e speditamente lo sistema nel cranio vuoto; si
accinge subito a ricucirlo. S’avvicina ad un altro dei quattro.
Sembra ohe voglia ripetere l’operazione su tutti i suoi simili...
“I quattro pazienti hanno formato un cerchio; ognuno tende le
braccia ai due di destra e di sinistra formando une catena circolare. Il chirurgo viene invitato a parteciparvi. Tutti insieme
si librano all’altezza d’una finestra. Attraverso le loro teste
vedo il mare calmo e azzurro assopito nella sua maestosa bellezza. Vedo due flotte da guerra: sono belle, quelle navi! Gli
occhi nucleari dei missili ci guardano con amore ineffabile;
nella loro espressione si legge il desiderio amorevole di abbracciarci in un sogno di gioia eterna. II chirurgo alza la sinistra; grida: Andate! La pace non ha bisogno di forza.
“Le navi sono svanite nel nulla. E tutti insieme abbracciati
imboccano una grande via guarnita di alberi e fiori di ogni
colore e collegata con la Via Lattea oltre il mio sogno.”
A questo punto, Ceco spalancò i piccoli occhi e li piantò contro Linda e disse con voce flebile: “Venes è andata; vado anche io.” Ed emise un rantolo seguito dal respiro conclusivo
dei suoi sogni.
UN CANTICO NUOVO
di Rino PIOTTO (Fontaniva -PD)
Gabriella non vede più tra le ansanti
stagioni il viso solcato dall’amore,
dagli affanni e dal dolore di colei
che cullò il suo primo stupito vagito.
Non sente più le note
della cara voce che accompagnava
il flauto incantato della sua giovinezza,
e nel meriggio dello svanire dei sogni
empiva come un suono di luce
i deserti di buio,
arpeggiava la sua allegria.
Arrivammo dopo un lungo viaggio
sradicati dalle nostre terre d’Angola
schiavi nel nuovo mondo di Bahia.
Ci sedemmo esausti sui nostri tamburi
silenti ascoltavamo il nostro cuore
piangevamo senza lacrime e senza voce.
Sollevando le palme aperte al cielo
pregavamo un Dio sconosciuto
perché eravamo abbandonati da tutti.
Ci coccolavano i messaggi del vento
che lenivano la nostra sete e la fame
quando d’incanto udimmo un segnale.
Sul tamburo piombò un cocco di palma
il suo suono ci diede nuova energia
i nostri cuori riempì di grande gioia.
Intonammo un cantico nuovo
al Signore che ci aveva ascoltati
e lodammo le sue meraviglie.
Battemmo i tamburi con le nude mani
ed i piedi stanchi sulla terra nuova
e la voce riprese col soffio del vento.
Lodiamo il Signore per le sue meraviglie
dal niente con Lui abbiamo ogni cosa
sorrisi e canzoni son nati dal cuore.
Ringraziamo il Signore per tutte le cose
che ci ha offerto dal niente
offriamo gli inni di un cantico nuovo.
Gabriella si sente sola e tra i dipinti
del commiato del sole, raggiunge
la quieta dimora dei morti.
In mezzo alla carne assopita, il suo cuore
di pace s’imbeve e a sua madre,
che vive oltre la tomba del tempo,
confida i tormenti e le ansie
a cui son condannati i mortali.
Dal mondo infinito, un raggio di verità arriva,
e Gabriella vola verso lo splendore
del mistero, squarciando il telo
che soffoca gli amanti della terra.
La colomba della preghiera s’innalza
e, nella festa della comunione dei santi,
la mamma conduce Gabriella alla vita.
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P rimavera 2008
LE RECENSIONI DI...
MARCO DEI FERRARJS
apparire questi termini come retaggio usato ed abusato
LA TERZA STANZA, romanzo di Edda PEL- dell’ipocrisia di chi, opportunisticamente se ne approLEGRINI CONTE (Ibiskos-Ulivieri, Empoli, pria per meri vantaggi personali.
2007), è un libro di “poesia narrativa” che ci fa riflettere, Giuseppe, che conosciamo soprattutto per la partecipainchinandoci alla sua pagina senza rimpianto né pretesa, ma solo ricordandoci profeticamente una sequenza
di livelli o fasi esistenziali che necessariamente dobbiamo percorrere senza pregiudizi o prevenzioni strategiche e saccenti, ma con serenità e pazienza di avvenuta
maturazione psicologica e spirituale. Il nodo dello scenario poetico è l’enigma, il mistero di una stanza aperta
e chiusa: una stanza di ricordi -di protezioni materico
psicologiche- di poesie da leggere e ascoltare- di ritratti
presenti/futuri (o senza tempo?). Una introspezione
retroattiva di personaggi che “poeticamente” si amano,
passeggiano, programmano, vivono un tempo senza limiti, uniti, coesi da un sentimento assoluto che pervade
“piccoli borghi” profumati di camini accesi, sfoglia scaffali di libri, verifica il bisogno di un presente da vivere,
inventando il futuro; che appare liricamente solco di semi,
dita gemmate, fragore di onde imprigionate di conchiglie nella provvisorietà dell’esistere filtrata da metafore
filosoficamente sedimentate in un poetare classico e seducente. La terza stanza come “terza età”, ma priva di
temporalità e di realtà spazializzate e circoscritte, una
terza età totale, onnicomprensiva, con immanenza e
mutamento di personaggi, illuminazioni di saggezze
(Tagore) riflessioni sulla serenità delle cose nella pace e
sulla vita. Quanto alla struttura e scomposizione di questo poetico narrato: esistono, mi pare, i temi fondamentali di una realtà fiabesca e miticamente elaborata in sfere di azioni parallele che GREIMAS chiamerebbe atlanti
corrispondenti agli attori della vicenda. “La Terza Stanza” è un mondo narrative-poetico, che ha ignoti confini
d’incipit ed explicit, che individua percorsi fuoriuscenti
dall’osservatorio codice della trama, che attira il lettore
coinvolgendolo in un vero e proprio “sistema di valori”
sempre protagonista determinante per una catarsi annunciata in un reale mimeticamente rievocato.
ALDO DI GIOIA
Cara Donatella, ti invio una recensione, in questo caso
un po’ particolare, direi anomala, recensione di “una persona” nella sua interezza sviluppata attraverso la conoscenza nei Salotti Letterarari e l’analisi dei suoi scritti.
Questo sentirlo spiegare e raccontare mi ha indotto ad
aggiungere mattone a mattone, fino a tratteggiare questo quadro di Giuseppe Dell’Anna, (spero sufficientemente riuscito), che ti invio appunto come “Recensione d’Autore”.
GIUSEPPE DELL’ANNA:
La prima volta che mi è stato presentato, Giuseppe Dell’Anna mi è stato presentato come “fine dicitore”.
Fine, lo è anche per costituzione e per equilibrio.
Mai oserebbe sprecare i temi cari della libertà, dell’etica,
della legalità e della moralità gettandoli nel mare
magnum dell’imbecillità, che tutto travolge, facendo
zione ai salotti letterari e per i puntuali articoli che redige per questa rivista, realizza con fare descrittivo a tutto
tondo, la sua soddisfazione certamente per quanto riguarda il proprio tempo libero.
Non conosco la sua soddisfazione in ambito lavorativo
ma, visto il suo impegno sempre puntuale e concreto
sottolineato altresì dai riferimenti alle fonti autorevoli
da cui attinge, oso pensare che anche in quest’ambito,
sia almeno di buona qualità.
Oltre che fine dicitore quindi, fine “espressionista”, che
con la pacatezza del suo ragionamento riesce a coinvolgere emotivamente l’interlocutore.
E dal suo vissuto, dal quale spesso trae spunto per interpretare le sue opere, nascono note di grande umanità,
che lo fanno rientrare di diritto, nella categoria dei
“dispensatori d’arte”.
RISVEGLIO E ALTRE STORIE CON LE ALI
racconti di Giuseppina RANALLI Carta e Penna Editore (Dicembre 2007)
«Narra la leggenda che il cielo si colorò di porpora e d’oro,
furono stesi damaschi e broccati e tu nascesti, per colorare con FANTASIA il mondo.»
Fu questo l’augurio che l’Autrice ricevette a coronamento
di uno dei suoi compleanni. Avremmo voluto mantenere
il segreto, il riserbo, la privacy, ma di fronte a tale esplosione di “FANTASIA”, ad un foglio bianco che l’Autrice
riempie con il frullo d’ali delle sue farfalle, riuscendo ad
identificare il lento inesorabile scorrere della vita, “magnifica e crudele, ma soprattutto breve”, non abbiamo
potuto che rendere di pubblico dominio l’evento, augurandoci di non averle reso cosa sgradita. Vola sulle ali di
una farfalla quindi, la FANTASIA dell’Autrice, che delle
fiabe e dei miti riesce a fare i suoi cavalli di battaglia.
Anche le sue poesie sono emotivamente coinvolgenti,
ma questa, è un’altra storia.
In questi racconti sono sgargianti, inimitabili i colori di
cui Giuseppina Ranalli ci fa dono, ma Alla, la protagonista, “è una farfalla dalle ali completamente bianche”. Ci
sarà pure un motivo per aver scelto questo colore come
protagonista: il bianco è il simbolo della purezza, dell’amore idealizzato, della fedeltà, della semplicità, e viene issato dall’Autrice come bandiera dell’Amicizia, “E’
l’esempio di come nella vita sia importante essere e non
apparire”, di fronte alla prepotenza di un mondo, che
oggi come oggi, vorrebbe insegnarci il contrario.
Altri “vizi e virtù, propri dell’essere umano” sono già
magnificamente ritratti, oltreché nelle fiabe presenti nel
libro, nella delicata prefazione di Mariateresa Biasion che
come un refolo di vento, consiglia di ricercare nella lettura “quel senso di appartenenza, le radici”, che mai del
tutto possono essere strappate alla memoria.
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I l S alotto degli A utori
CINTHIA DE LUCA
ANCHE NELLA NOTTE SPLENDE IL SOLE”
silloge poetica di
Gian Claudio
VASSAROTTO (L’Autore Libri - Firenze).
C’è una frase in copertina, quasi incisa, che riporta preziose parole “L’Anima dipinge arcobaleni di infinito amore,
trasfigurata dalla speranza” ed è impossibile non fermarsi
a riflettere su queste parole, un po’ mistiche, ma in fondo
profondamente umane,perché la Speranza, più che
l’Amore, che è e resta grande ideale, è pane quotidiano
dell’uomo e questo coraggioso autore, che si fa difensore di valori antichi in un’epoca senza più valori, ci indica
la via per sublimare il nostro quotidiano, a volte bello,
ma spesso amaro e deludente, alla luce della speranza.
La vita ancora sorride nelle “note” di questo poeta, la
vita ancora sa cantare le sue melodie, non si è spenta la
musica, soffocata dalle grida del mondo, ma continua
eterea ad effondere la sua voce.
E’ l’Amore trascendente che sembra toccare questo insolito cantore d’Eterno, è l’Amore assoluto che ci sorride
attraverso di lui, che squarcia le tenebre, affinchè non sia
permesso alla “spietata belva del mondo” di assalire l’uomo nella polvere.
Egli conosce il mondo, lo conosce profondamente e non
si fa confondere, sa che il desiderio di pace, d’amore, che
le illusioni sono ferite nel cuore dell’uomo che sorride alla
vita,restandone sgomento; egli è consapevole che “l’inverno ghiacciato seppellirà tutto nella notte del mondo”,
eppure descrive così bene l’incanto della vita,quell’incanto
che fa “sbocciare il fiore del divino mistero”.
Si fa così portavoce del canto dell’esistenza, quel canto
oggi spesso dimenticato, del canto dell’anima, che culla i
sogni e li veste di allegria.
E c’è sempre una scintilla di speranza nei suoi versi
sereni,eppure profondamente consapevoli di questo
grande poeta, poiché egli è grande, nella sua fede e nella
sua poesia.
Questa scintilla ci sfiora,ci pervade pian piano, ci convince che, nonostante il vento contrario, si possa ancora
guardare oltre l’orizzonte oscuro, perché c’è ancora un
senso nello scorrere dei giorni e la notte, che avanza minacciosa, non ci trascinerà via o sarà forse, soltanto, terra
di transizione verso un’Alba nuova.
“Ma il frumento/ della tua anima,/ non si è disperso/ con il
tempo;/ il contadino del cielo/ l’ha raccolto:/ sarà pane bianco/
in Paradiso”.
Si coglie questa dimensione profondamente trascendente nell’incantevole poesia di Gian Claudio Vassarotto,
molto bene espressa nella lirica “Tu Gesù”: Gesù è l’amico, l’unico, il vero, il pane dei giorni, il conforto del cuore; solo in Lui c’è rifugio, solo nel Suo caldo abbraccio,
più intenso nei momenti di buio. E il pensiero dell’autore, in questa logica di condivisione, va ad ogni fratello,
raggiunge tutti i bisognosi, i sofferenti, gli ultimi della
terra; il suicida, la cui anima vaga disperatamente tra le
buie gallerie del mondo, la fanciulla, sorella di ogni tempo, cui è stato offuscato il sole della purezza, il volto dell’innocenza; nessuno è lasciato fuori da questa comunione, che ci rende tutti uniti, tutti insperatamente fratelli.
E’ una dimensione impalpabilmente sempre presente
quella spirituale, lievito e gioia per l’animo dell’autore.
Si scorge sempre, in ogni verso, un senso di rinascita
quotidiana, fatta di piccole e grandi cose, un incontro,
un pensiero, un canto interiore, come una liberazione che
proietta all’intorno un prezioso alone di leggerezza.
E sfogliando ogni pagina, dalla prima all’ultima, sopraffatti spesso dalla notte del cuore, ci convinciamo gioiosi
che il buio non prevarrà.
MICHELE FRANCIPANE
I sogni sono come le ciliegie di Clelia PALOMBO - Per contattare direttamente l'autrice: Casa
editrice ALBERTINI - Via Manzoni, 11 - 29010
TREVOZZO DI NIBBIANO (PC) Tel.:
0523.99.82.58 - Fax: 0523.99.86.25
Un’opera letteraria è interpretabile da vari punti di vista:
forma, contenuto, stile e valore estetico; simboli e risvolti psicologici, sociali, etici. Il punto più spesso trascurato
è l’analisi dei nomi che l’autore sceglie per individuare e
connotare gli attori della ‘sua’ storia. Ed è proprio grazie
alla ricerca onomastica che ‘rileggo’ sotto una nuova luce
il racconto-favola I sogni sono come le ciliegie.
L’autrice avrà meditato a lungo prima di ‘inventare’ e
attribuire a ciascun personaggio un nome proprio che
servisse a delinearne i tratti essenziali della personalità
ma anche a rilevarne la funzione antropica nella trama.
E così la piccola-grande protagonista Dorotea (‘dono di
Dio’) è il fulcro intorno al quale ruotano tutti gli altri coprotagonisti. Fra questi l’amica del cuore Zefirina (‘alito
di vento’ primaverile e il cuginetto Lucio che ‘illumina’
entrambe sul come-e-perché ridare uno scopo di vita allo
sbandato clochard Vasco, il cui destino parrebbe scritto
anch’esso , nel nome: ‘vagabondare’ senza meta. Poi,
sorpresa finale da fiaba, sarà la tata Adele, povera ma
dal cuore ‘nobile e illustre. Di contro il brusco e sospettoso Nunzio, figlio della limpida Olimpia, tradirà la sostanza
del proprio nome di ‘angelo messaggero’... Felicissimi
anche i nomi dei due cagnolini innamoratisi a prima vista: la tenera Milly e il ‘foresto’ Golia conquistato... da
Stella e Luna.
Evviva, questa ‘ciliegina’ letteraria di Clelia (‘gloriosa’)
Palumbo risponde bene all’intuizione di Plauto: “”omen
est omen” nel nome l’auspicio, il fato. Vi si respira un’aura
di amicizia, altruismo, solidarietà. Spirito diffusivo di
‘pietas’ e amore.
FLAVIA LEPRE
ALDA FORTINI: PRIMO VERSO – ED12. Il
Conventino – Bergamo – Pref. di Angelo Ubiali
SCRITTI SCIOLTI – Soc. Editr. Vannini – Pref. di Romano Leoni
IDEALI DI CRISTALLO – Venilia Editrice – Pref. di
Liana de Luca
TEMPO SCONFINATO – Lorenzo Editore
Quattro Raccolte che formano l’atmosfera creativa di
un’età giovanile e di un’età più matura. Ma la differenza
è irrilevante, perché in tutti e quattro i volumi, c’0è una
meravigliosa fioritura artistica che genera Poesia.
E nella Poesia c’è sensibilità e talento, dove Alda Fortini
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P rimavera 2008
dimostra così la sua personalità e tutta la sua ricchezza
emotiva. Poetessa, con una ispirazione autentica, nella
cui anima femminile risplende una specie di arcobaleno
nel quale sette strisce colorate, sono come sette abissi
entro cui vaga un sottile velo di mistero; anche se, in effetti, il fatto di essere poetessa vuol dire essere grande
collaboratrice della vita, che mai si estingue.
Ed esplorando le profonde plaghe della propria interiorità, ella penetra là dove nasce e si avvia il processo di
formazione e la ricerca della individuazione che ogni
donna riesce a trovare in sé, unitamente al senso recondito dell’intimo valore.
Perché spesso “scrivere” non vuol dire “comporre”, specialmente quando si tratta di poesie, forse perché queste
obbediscono ad un impulso emotivo e a sentimenti sempre mossi nella sfera delle imprevedibilità.
I testi raccolti in quattro volumi e pubblicati in anni diversi, sono il panorama poetico di una donna che mette in
gioco la sua anima, anche se poi, quando sembra che tocchi il mistero dell’origine dei suoi pensieri, si richiude in
una specie di indicibile enigmaticità. Di solito, la maggioranza dei poeti, nelle loro Raccolte mescolano vari generi,
ma Alda Fortini no, lei resta fedele alle sue tematiche emozionali ed evita le alternanze con altre problematiche. Così
che le sue opere mettono a fuoco sempre le stesse dimensioni esistenziali adeguandole al momento in cui le vive e
contornandole da una splendida varietà di effetti panoramici che di volta in volta mutano, ma soltanto per il normale intervento della Natura.
E devo dire che questo è un sistema tutto personale e
trovo che sia un ottimo metodo letterario, perché alla
fine, permette di far esplodere le molteplici forme espressive, i vari modelli inseriti nella sua sfera mentale. Ma
per meglio approfondire l’argomento e rendere più agevole la comprensione del mio dire, riporto qui di seguito
e per intero, una sola linea, dal titolo “21 Marzo” ed inserita nella Raccolta n. 4, l’ultima: “Quando il cielo / nell’ultimo specchio di stelle / copre il nostro capo / prendimi per
mano /. La malinconia attesa 7 sarà compagna dei nostri passi
/. Ma non temere / avrò trovato la forza / di afferrare il passato
/. Di scindere l’idolo di latta / dall’amaro contesto / nelle ali
grandi di un passero /. E se tentassi un giorno il ritorno / non
so quando / stringimi forte la mano /. Il disporre vasto / di
questo giorno così nuovo / interrompe le grandi imprese / e
lascia spazio all’insegna / per non credere e giudicare /. 21
Marzo / forse una festa / forse un incontro / ma il gioco avaro
ha captato / l’ultima riga / di una breve nota”.
La lettura di questa lirica, come del resto anche quella di
tutte le altre, mi ha stranamente colpito, per un motivo
che può apparire anche banale, se il significato di questa
parola non avesse il potere di muovere il mondo! E la
parola “assente” è “AMORE”.
In tutto l’insieme di queste poesie, non viene mai pronunciata. Qualcuno può anche pensare che i “segreti”
devono essere liberati soprattutto quando ci si occupa di
Poesia, anche se qualche volta può essere consigliabile
tendere al silenzio del vero e sostituirlo con la vaghezza
ambigua di una verità passata attraverso una infinità di
filtri, perché in questo modo il verso può diventare più
interessante, addirittura uno strumento di conoscenza
più elaborata, dato che le poesie acquistano una doppia
immagine. E qui, esse, sono il segno coerente della memoria della poetessa, del ritorno reiterato alle ferite da
sempre impresse nella psiche ma mai esposte allo sbaraglio. A me, sembra un segno dell’assenza di una storia
concreta, dell’immobilità del sentimento amoroso che
non si palesa, che non emette luce. Tutto però rientra nel
bellissimo quadro panoramico e viene sostituito dalla
parola scritta che però trattiene le frasi che non vanno
esplicitamente dette. La poesia che ho appena riportato,
ne è l’esempio, anche se è ampiamente soffusa di leggera malinconia sapientemente celata nell’ombra dell’anima e, quasi di soppiatto, vi circola una brezza d’amore
non propriamente felice e non si sa per chi.
E c’è lei, la poetessa Alda Fortini, che colloquia con qualcuno che non nomina. Ma chi sarà mai quell’Identità segreta e misteriosa? Un’amica? Un uomo amato? Dio? Il
suo splendido quadro personale par che resti immoto,
anche se nella realtà, in esso si muove il lago, il fiume, le
rondini, gli alberi, i fiori… Tutto appare chiaro e i colori
vivaci. Ma il suo parlare è un soliloquio che non ha risposte, quasi che la poetessa potesse inorridire venendo a
contatto con altra voce! Lei però non tace o meglio, non
depone la penna: continua a vivere la sua iniziale solitudine, l’inconfessata malinconia, la tristezza di un’assenza a cui però non fa chiaramente cenno, perché lei non
parla apertamente d’amore, non dice se il suo cuore freme, se soffre, se gioisce, se s’infiamma nella speranza di
una attesa… Pare che il suo scrivere Poesie sia una fuga
attraverso l’ombroso dedalo disseminato da un’infinità
di parole. C’è un intimo dramma nella sua vita? C’è felicità? Trasogno, fantasia e realtà, qual è il rapporto? Io ho
scrutato a lungo questo suo mondo e, certa di arrivare a
centrare il cuore, potrei anche azzardare una mia versione della sua storia di via, ma sarebbe facile, per me, far
cadere i veli che, così astutamente l’autrice ha alzato, per
celare ciò che ella non intende dire… Magari potrei non
giovarle, non arrecarle danno, per cui penso che sia più
interessante lasciare che questo inusuale rebus venga lasciato all’intelligenza e alla sensibilità dei lettori, perché
scoprire, attraverso un’accurata lettura, la nota misteriosa di una vita impastata di poesia, può anche riservare
una piacevole sorpresa!
KARINA ANDREA OLIVERA
LA FRAGILITÀ DEI CORPI di Pietro PRESTI - Circorivolta Edizioni - 2007
Altro scacco matto per questo giovane autore di Gela.
Ne “La fragilità dei corpi” Pietro Presti mette in risalto il
degrado umano caratterizzato dall’arrendersi di giovani
vite che s’abbandonano a un’esistenza precaria, dedita
alla droga; abitanti dei bassifondi di una città che potrebbe essere “la più bella del reame”, ma che accompagna indifferente l’annullamento di questi “non guerrieri”. Sono giovani che rinunciano ancor prima di combattere, che rifiutano qualsiasi identità sociale, spinti a gettare via le proprie esistenze annebbiati da alcool e artificiose fughe dalla realtà; giovani che abitano una Palermo che non perdona, che non concede speranze e che
inghiotte le loro vite una ad una nel silenzio e nel distacco di un moderno degrado. E’ una realtà crudele, scomo-
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I l S alotto degli A utori
da, reietta, narrata dall’autore con uno stile crudo, violento, caratterizzato da immagini piene, che scavano la
pelle, uno stile chiaro, senza pause o interruzioni, una
prosa densa che porta il lettore ad immaginare più che a
pensare, come se si trovasse di fronte ad uno schermo
cinematografico. E’ un “viaggio” autolesionistico, quello dei protagonisti di questo romanzo, vissuto come unica valvola di sfogo nei confronti di una società priva di
ideali e certezze, un viaggio che li condurrà verso una
verità inconfutabile: la fragilità dei corpi.
PACIFICO TOPA
MARIA FRANCESCA CHERUBINI “Vorrei
vestirmi di vento” n°20 pag.15 di questa rivista.
Più che una vera e propria composizione questa di Maria Francesca Cherubini è un afflato di affettività. Il sognare di potersi vestire di vento la dice lunga sulla forza
dell’immaginazione: “Per vagare nel bosco/ dei tuoi pensieri/ ed impigliarmi/ ai rami”. Cosa di più fiabesco si
poteva pensare per dichiarare il proprio affetto alla persona cara? Si può parlare di slaccio amoroso, infatuazione, quasi follia, per essere trasportata dal vento dell’intimo della persona cara, potersi immedesimare nei suoi
pensieri quasi fossero raffigurati in un groviglio confuso.
ANNA PRESUTTI “A Te…Signore” n° 21 pag.
LUCIANO SOMMA “Napoli” n°21 pag.22 di
30 di questa rivista.
Con questa composizione Anna Presutti si è rivolta al questa rivista.
Signore, ringraziandolo per tutti i doni che Egli ha voluto elargirle nella vita; l’autrice ha dato libero sfogo alla
sua profonda fede, cercando anche di fare logici collegamenti con le cose belle che la natura ci offre: “Se guardo
una splendida rosa/ o un immenso prato verde/ è a te
che penso, Signore.” Non solo, ma anche “un cielo pieno
di stelle/ e un meraviglioso mare blu”, viene spontaneo
rivolgere un grato pensiero al Sommo Creatore di tutte
queste belle cose. Lo stesso dicasi quando ammiriamo
“l’alba radiosa/ di un nuovo giorno” tutto è motivo di
grande emozione; cosa dire di un “bel tramonto” che
riesce a suscitare nell’animo “tanta soddisfazione”. Ma,
ci sono anche altri motivi che sollecitano la gratitudine:
“La solidità/ della mia famiglia” e altrettanto dicasi per
l’uomo che ho sposato, i “bei figli/ che mi ha dato.” In
fine, quando “stringo fra le braccia/ i miei due meravigliosi nipotini/ che nascendo mi hanno resa nonna”. Tutto questo ha provocato nel mio animo tanta felicità.
E’ quindi naturale, per chi ha fede, di ringraziare costantemente il Signore, autore di tutto ciò!
FRANCA MARIANNI “Il passo degli aironi”
n°21 pag.30 di questa rivista.
Franca Marianni, con “il passo degli aironi”, fa una
immaginifica rivisitazione di una realtà che, col tempo,
va sfuggendo. E’ l’ora del riposo, una pausa dopo un laborioso impegno di ristrutturazione d’un edificio: “C’è
un tremolio d’ali/ sotto la gronda” ciò riguarda l’abitudine di alcuni uccelli di nidificare sotto le grondaie, posto
che li ripara dalle intemperie e dall’ aggressione di altri
rapaci; “Ogni impresa che dilata/ i suoi confini/ a giro
d’orizzonte.” C’è insito nell’uomo il desiderio di evadere
dall’abitudinarietà, di avventurarsi in nuove iniziative.
“Tu la conosci qui/ questa fatica di vivere/ a mente fredda.” Versi che delucidano ancor meglio le difficoltà di
sopravvivenza, di fronteggiare, diuturnamente, gli impegni più o meno gravosi. “Reclinati i sogni/ di troppo
facile7 presagio.” Si allude alla caduta di tante speranze
accarezzate i gioventù e che, col passare del tempo, sono
sfumate, come i sogni che sfocano col risveglio. “A stormo/ nel risveglio si profila/ il passo degli aironi.” Analogia quanto mai azzeccata, perché porta, con efficacia
realistica, ad una verità dalla quale nessuno può sfuggire: la fugacità delle speranze carezzate in gioventù, ma
rimaste solo nei ricordi.
Forse mai come in questo momento la città di Napoli è
nel cuore di tutti gli Italiani; i recenti problemi del cumulo della spazzatura che ingorga le vie testimonia il degrado d’una città che ha sempre costituito un sogno canoro. Luciano Somma sintetizza questo clima con una
accorata composizione focalizzata al rammarico di tanto abbandono; egli chiama il clima di Napoli
“lebbrosario” per dare un’idea della gravità in cui è ridotta, sacrificata da “un lungo calvario/ larva d’un fasto
lezioso” del quale rimane solo il ricordo, mentre la città,
tanto decantata, è avvolta “in tenue sudario”, reietta per
tale stato di abbandono, ma tuttavia lei continua a respirare: “il tuo cuore aritmico/ pulsa” mentre tutto attorno
nelle viuzze in cui si svolgono i commerci più strani: “case
di latta/ scenario di beffa/ testimoniano ossario di storia/
l’ignavia di tanti.” Ciò malgrado la città soffre e sospira:
“ed ancora tu canti/ lavori e rattoppi/ gli stracci impregnati di pianto.” Innegabile il fatto che ci sia una parte
della popolazione che soffre al vedere tanto degrado,
ma: “fra teneri idilli/ tessuti tra notti di attese” c’è solo da
sperare in “un’alba diversa”, ossia che le cose possano
cambiare, ma, indubbiamente, v’è bisogno d’uno sforzo
comune!
ROSANNA MURZI “Mamma” n°21 pag.22 di
questa rivista.
Rosanna Murzi fa l’apoteosi della mamma, immaginando di poterla circondare di tutte quelle delicatezze che
lei merita: “Avvolgere quel corpo gracile in coperte calde/ per non far più sciogliere la mente.” per poterla ricordare efficiente e viva, mentre invece “ricordi lontani
tornano come lampi/ per svanire in giochi di bimba”. E’
naturale che si desideri ricordare la mamma fin dalla sua
infanzia ed allora “mescoli rimorsi e nostalgia perenne”
su “epopea di tenerezza” ossia canti infantili: “Vorrei
prenderti per mano mamma bambina/ senza forza di
lasciarti.” E’ senza dubbio questo uno dei desideri che ci
accompagnano, specie quando lei viene a mancare e questo non può non provocare il pianto accompagnato dal
desiderio di “avvolgerti in sciarpe calde”; questo per dire
del senso di affetto estremo onde evitare a lei ogni forma di tristezza e di sacrificio. Inutile dire che il senso di
questa composizione è quanto mai pregno di affezione
illimitata per colei che ci ha dato la vita.
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P rimavera 2008
VITO GIUSEPPE MELE “La tua carezza” Salotto n°21 pag.15 di questa rivista.
Una metaforica composizione inneggiante a quel gesto
affettivo che è la carezza; con molta immaginazione l’autore la eguaglia: “al volo radente/ d’una colomba” quindi eterea, quasi impalpabile, offerta dalle “esili dita/ della tua mano.” Indubbiamente la carezza della persona
amata ha un bel chiaro significato ed una forza affettiva
difficilmente descrivibile. L’evocazione della carezza è
strettamente collegata alla persona cara, Giuseppe Mele
la compara ad un leggero tocco, quasi “nella punta
d’un’ala.” Ciò per determinare meglio la delicatezza e la
dolcezza del gesto sempre molto ambito.
TRA LE MEDUSE DI LUCE
di Mario BELLO (Roma)
Cade
inerme come un’oncia,
la sera, fredda
come un’unghia di luna,
e scarno è il telo del vento
che sbuffa e inquieta
l’anima di carta
di un aquilone,
appeso sul terrazzo
del cielo, a beccheggiare
in mani inesperte.
Si inarca
il ventre delle barche,
nel porto,
al tramestio dei pescatori
a piedi nudi, come
il morso di un’amante,
che si addentra
nell’utero delle acque,
lasciandosi dietro
la scia luminosa
della lampara.
PREGHIERA
di Baldassarre TURCO (Genova)
A leggere i giornali, è uno sgomento:
non parlan d’altro che di guerre e stragi,
di stupri, d’assassini e di violenze
contro le donne, gli anziani e i bambini.
Come vorremmo che non fosse vero!
A legger le Scritture, trovi pace:
al di sopra di tutti c’è il buon Dio
che fa piover sui giusti e sui cattivi
e sa attendere, dando tempo al tempo.
Signore, dacci fede nel tuo Amore!
Verdi,
gli sguardi delle alghe
affiorano
tra le meduse di luce,
nell’aratura assonnata
del mare, allattato,
in un fiume di correnti,
da stormi di pesciolini
fluttuanti, dalla pelle
incerata d’argento, tra
i seni delle onde rigonfie.
A leggere i giornali, si dispera:
va tutto alla rovescia e a catafascio,
sembra che da un minuto all’altro il Male
sopraffarà vincendo sopra il Bene.
Come vorremmo che non fosse vero!
A legger le Scritture, c’è speranza
perché a tirar le fila della storia
sarà Iddio e sua l’ultima parola
secondo i piani suoi eterni e fedeli.
Signore, dacci fede nel tuo Amore!
Fremono
le mani, ingravidate
dalle reti
che ricadono a bordo,
poi remano cavalcando
le Orse, al ritorno,
verso l’attesa di mogli
che sbiancano l’alba,
quando è forte il rombo
della mareggiata, per un
abbraccio senza fantasmi.
A leggere i giornali, siam nell’ora
delle tenebre: i dèmoni di morte
s’aggirano incarnati nei malvagi
che propinano soltanto distruzione.
Come vorremmo che non fosse vero!
A legger le Scritture, siam nell’ora
della luce: l’esercito dei santi
avanza armato della sola Croce,
da cui rifulge trionfante la Vita.
Signore, dacci fede nel tuo Amore!
Primo classificato - Sezione Poesia,
“Decathlon della letteratura” - 2006
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I l S alotto degli A utori
P R E M I
L E T T E R A R I
Sui siti Internet dell’associazione è disponibile un servizio gratuito di inserimento automatico dei bandi.
L’Associazione Culturale «CARTA E PENNA» indice la quinta edizione del
CONCORSO LETTERARIO INTERNAZIONALE PRADER WILLI
Prader e Willi sono i due studiosi che, mettendo insieme un complesso di sintomi caratteristici che
costituiscono il quadro clinico di questa malattia genetica rara, hanno per primi descritto la Sindrome.
Le persone affette dalla sindrome di Prader Willi (che colpisce un bambino ogni 15.000 nati)
presentano ritardo mentale, ipotonia muscolare e sono prive del senso di sazietà, a causa di
un’anomalia nel centro che controlla questo stimolo nel cervello. Allo stesso tempo, la patologia è
causa di una disfunzione nel metabolismo, che riduce notevolmente la capacità dell’organismo di
bruciare le calorie assunte con l’alimentazione. Nel giro di pochi anni i soggetti, se non
opportunamente controllati, raggiungono un peso corporeo eccessivo che danneggia
irreparabilmente la salute. Le Associazioni Prader Willi sono presenti in tutto il mondo e promuovono
un programma informativo ma... hanno bisogno
anche del nostro aiuto!
L’Associazione Culturale Carta e Penna, in
collaborazione con la Federazione tra le
Associazioni Prader Willi italiane, ha deciso di
bandire annualmente questo concorso letterario
al fine di far conoscere ad un vasto pubblico la
Sindrome; si è anche stabilito di devolvere alla
Federazione, il 10% delle quote di partecipazione
al concorso. Il premio articola nelle seguenti
sezioni:
1) NARRATIVA: un racconto a tema libero, max.
5 cartelle. Quota di partecipazione: 10,00 euro Gratuita per gli associati a Carta e Penna.
(L’autore associato potrà partecipare ad una sola
sezione gratuita)
2) POESIA: un massimo di tre poesie a tema
libero, composte da non più di 105 versi
complessivi più i titoli. Quota di partecipazione:
10,00 euro. Gratuita per gli associati. (L’autore
associato potrà partecipare ad una sola sezione
gratuita)
3) NARRATIVA A TEMA: un racconto che tratti le
problematiche relative all’handicap, max. 5
cartelle. Quota di partecipazione: 10,00 euro.
4) POESIA A TEMA: un massimo di tre poesie
che trattino le problematiche relative all’handicap,
composte da non più di 105 versi complessivi più
i titoli. Quota di partecipazione: 10,00 euro.
Sconto di 5 euro sulla quota di partecipazione per
gli associati a Carta e Penna che intendono
partecipare a più sezioni.
Tutte le opere presentate non devono mai essere
state premiate. Le opere partecipanti alle sezioni
a tema non dovranno trattare necessariamente i
problemi del Prader Willi ma delle disabilità in
genere e si lascia agli autori la più ampia libertà
di interpretazione del tema stesso. Le cartelle
s’intendono composte da 60 battute per 30 righe
cad. Gli autori possono partecipare alle varie
sezioni versando le relative quote. Gli scrittori di
lingua straniera dovranno allegare la traduzione
italiana del testo. Ogni autore dovrà inviare
all’associazione CARTA E PENNA - Via Susa 37
- 10138 Torino:
-tre copie di ogni elaborato. Una copia deve
contenere le complete generalità dell’autore,
l’indicazione a quale sezione si intende
partecipare ed essere firmata;
-bollettino del versamento della quota da
effettuare sul c.c. postale n. 43279447 (CAB
01000 -ABI 07601) intestato a Carta e Penna. La
somma può essere allegata in contanti o con
assegno non trasferibile intestato a Carta e
Penna;
-file contenente le opere presentate (anche
tramite
posta
elettronica
a
[email protected]).
N.B. l’omissione dell’invio del file precluderà
la pubblicazione dell’opera nelle antologie che
comprenderanno tutte le opere presentate.
-breve curriculum. Il termine per la presentazione
degli elaborati è fissato per il 30 giugno 2008 e
farà fede il timbro postale.
Gli autori conservano la piena proprietà delle
opere e concedono all’Associazione Carta e
Penna il diritto di pubblicarle senza richiedere
alcun compenso. Tutte le opere presentate
saranno pubblicate in due distinte antologie (una
per le poesie e una per la narrativa)
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P rimavera 2008
PREMI
1° posto: pubblicazione di un’opera di 52 pagine
con omaggio di 100 copie, coppa o targa e diploma
d’onore. I libri saranno pubblicati da Carta e Penna
Editore, muniti di codice ISBN e presentati al sito
www.cartaepenna.it e sulla rivista Il Salotto degli
Autori
2° posto: e-book con testi di narrativa e/o poesia;
oltre al CD MASTER saranno consegnate all’autore
20 copie munite di bollino SIAE e di codice ISBN;
coppa o targa e diploma d’onore.
3° posto: abbonamento, quale Socio Benemerito,
alla rivista Il Salotto degli Autori per un anno, coppa
o targa e diploma d’onore.
4° e 5° posto: coppa o targa, diploma d’onore e
abbonamento, quale Socio Autore, alla rivista Il
Salotto degli Autori per un anno.
Dal 6° al 10° posto: menzione d’onore, medaglia
ricordo.
Dall’11 al 15° posto: segnalazione di merito,
medaglia ricordo. I menzionati e segnalati
avranno anche una pagina web personale al sito
www.cartaepenna.it per un anno.
L’autore, partecipando al concorso, autorizza il
trattamento dei propri dati personali alla legge sulla
privacy vigente. Per ogni altra informazione:
[email protected] - Tel.: 011.434.68.13
- 339.25.43.034
IIª EDIZIONE PREMIO LETTERARIO
“INFERMIERIONLINE” AIOL 2007
- GRADUATORIA PREMI SEZ. POESIA
1° Classificato: Antonietta Barboni - Candelo Bi
2° Classificato: Pietro Catalano - Roma
3° Classificato: Giuseppe Dell’Anna -Torino
Menzione d’onore:Elisabetta Comastri - S. Giacomo
di Spoleto PG; Mauro Dommarco - Gorizia.
PREMI SEZ. RACCONTO
1° Classificato: Giuseppina Ranalli - Candiolo To
2° Classificato: Stefano Borghi - Cassina De Pecchi Mi
3° Classificato: Antonietta Barboni - Candelo Bi
Menzione d’onore: Cesarina Bo - Balangero To; Luca
Angeletti - Ancona.
La Giuria ha, inoltre, assegnato il Premio Speciale della
professione Infermieristica a:
Angela Aiello - Palermo
Emiliano Boi - S. Giovanni Suergiu (Ca)
La cerimonia di premizaione si terrà sabato 19 Aprile
2008 - alle ore 15,00 presso il “Salone degli Affreschi” - Comune di Candelo - Via Matteotti n. 48
Candelo (Bi)
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GRADUATORIA DEL CONCORSO
LETTERARIO CITTÀ DI SAN GILLIO
NOTE D’AUTORE
Terza edizione – Anno 2007
Sezione Narrativa Ragazzi:
1° classificato: Sofia Sabato (Torino) col racconto Come
gli uomini arrivarono sulla terra;
2° classificato: Maximilien Colao (Castellammare di
Stabbia – NA) col racconto L’elfo nero;
Sezione Poesia Ragazzi:
1° classificato: Giulia Vannucchi (Viareggio – LU) con
la poesia Stelle;
2° classificato: Matteo Bozzetto (Pianezza) con la poesia Una vita senza suoni;
3° classificato ex æquo: Giada Buzzi (Porto Ceresio –
VA) con la poesia Mamma;
3° classificato ex æquo: Sofia Sabato (Torino) con la
poesia Io sono la Luna.
Sezione Narrativa:
1° classificato: Stefano Borghi (Cassina de Pecci – MI)
col racconto La risposta di Dio;
2° classificato: Milly Nale (Manciano – GR) col racconto Capricci di nuvole;
3° classificato: Maria Camilla Bellinato (Loreggia –
PD) col racconto Festa della classe 1977;
Menzione d’onore: Luisa Manzoni con Maledetta primavera; Luca Zara con Prigioniero; Walter Milone con
Eughenios Levanteakys; Arturo Bernava con Luisella din
din; Valter Fascio con Torino città magica.
Segnalazione di merito: Arianna e Selena Mannella
con Sogni all’angolo di una strada; Dionigi Mainini con
Le due tortorelle; Bruno Bianco con Punteggio: diciannove ventesimi; Roberto Pallocca con Nel frattempo;
Gabriele Omaggio con Incubo.
Sezione Poesia:
1° classificato: Silvano Nuvolone (Cavagnolo – TO)
con la poesia Prima di partire;
2° classificato ex æquo: Barbara Parutto (Torino) con
la poesia Allietami all’alba;
2° classificato ex æquo: Piero Abrate (Torino) con la
poesia Langa d’autunno;
3° classificato: Virgilio Atz (Belgioioso – PV) con la
poesia In fila.
Menzioni d’onore: Rodolfo Vettorello con Molecole
d’aria; Fabiano Braccini con Colore bianco; Franco
Casadei con E io di tre anni; Gabriella Maddalena
Macidi con Oasi di pace; Loriana Capecchi con Da
un’infanzia lontana chiamo il tempo.
Segnalazioni di merito: Chantal Mazzacco con Al
mare; Pietro Baccino con Giorno del ricordo; Elisa Bassi con Sentieri; Federica Sciandivasci con Le parole che
bruciano dentro; Giovanni Bottaro con Di là dalla mia
stanza.
I l S alotto degli A utori
Carisssima Donatella,
per troppo tempo ritengo di aver usurpato l’attribuzione di “critico” mentre, a ragion veduta, il mio impegno era
quello di esprimere delle opinioni personali (e quindi da “opinionista”) sulle opere sottopostemi. L’antipatica diatriba
con De Simone non ha solamente rubato spazio al giornale, ma mi ha anche indotto a riflettere ed a maturare questa
decisione.: Togli quindi il mio nominativo dall’elenco dei “critici”ed io, se vorrai, , ma come opinionista, esprimerò
liberamente le mie considerazioni sulle opere che tu mi invierai o che gli autori vorranno inviarmi direttamente ma
sempre previo accordo con Te. Mi riservo però naturalmente, la libertà di scelta.
Guido
I
CRITICI
LETTERARI
Gli associati a Carta e Penna hanno diritto annualmente ad una recensione gratuita di un libro edito che sarà
pubblicata sulla rivista e sul sito Internet nella pagina personale - Inviare i libri direttamente ai critici letterari
con lettera di accompagnamento contenente indirizzo, numero di telefono, breve curriculum e numero della
tessera associativa a Carta e Penna. z Gli autori che non sono associati a Carta e Penna e richiedono una
recensione dovranno versare un contributo economico variabile a seconda del tipo di libro e quindi dovranno
contattare la Segreteria dell’Associazione telefonando allo 011.434.68.13 oppure al 339.25.43.034 oppure
scrivendo a Carta e Penna, Servizio Recensioni - Via Susa 37 - 10138 Torino o all’indirizzo e-mail
[email protected]. z Il materiale inviato non viene restituito
z
OPINIONISTA:
GUIDO BAVA
via Dante 9 13900 Biella
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PACIFICO TOPA
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Per l’inserimento contattare la redazione - Si richiede e si offre la disponibilità all’inserimento di estratti
dei bandi di concorso e/o iniziative culturali intraprese T e sta ta
In d iri zzo
Re s p o n sa b i le
D iba t tit o De m oc rat ico
Pia z z a S an F ran ce sc o , 60 - 51 10 0 Pis t oia
En zo C ab ella
G li Art is ti d el g ior n o
V ia Sa n Pie t r o, 8 - 1 20 12 B o v es (C N )
C ar lo Di B ene det t o
I l C on vivio
V . Pie t ra m a ri na- V er z ella 66 - 95 01 2 C as t iglion e di Sic ilia
En za C on t i
I l L ab or at o rio d el S e gn alibro
V ia U go de C aro lis, 7 0 – 0 01 36 R om a
Br u n o F o nt a n a
I l M ulin o let t er ario
H of s t ras se ,1 0 77 78 7 N o rd r ac h (G erm an ia)
An t on io P e s cia io li
L a G rint a
V ia Pac ino tt i, 1 6 - 13 10 0 V erc e lli
St e fan o Di Ta n o
L e N uvo l e
V ia E n ea, 4 7 - 8 01 2 4 N ap oli
M aria Pia De M art in o
L e V oc i
C .P . 12 4 - 80 03 8 Pom ig lian o d ’Arc o (N A)
C laud io P erillo
N oialt r i
V ia C . C olom bo , 11 /a – 9 80 40 – P e llegr in o (M E )
An dr e a T rim a rc hi
P oe t i ne lla S o c ie t à
V ia Par rillo, 7 - 8 01 46 N a po li
Pas qu ale F ran ci sc he t ti
P r es en za
V ia Palm a , 5 9 - 80 04 0 S t ri ano (N A)
L uigi Pu m bo
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Piet r o R o c co
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C as ella Pos t ale 80 - 8 31 00 A v e llino
N un z io M enn a
V o lt a, 1 6 - 87 03 0 R en de (C S )
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