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la mente al di là della rete - Federazione Italiana Tennis

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la mente al di là della rete - Federazione Italiana Tennis
“LA MENTE AL DI LÀ DELLA RETE”
Protocolli di mental training applicati al tennis di vertice
Autori: A. Cannavacciuolo, B. Corolli, A. Rubino
Corso Nazionale di Specializzazione per tecnici FIT
(equivalente al IV Livello Europeo)
Scuola dello Sport CONI
Roma, 26/27 Novembre 2007
Supervisore: Prof. M. Di Paolo
Ringraziamenti
Il gruppo di lavoro composto in occasione di questo project work coglie
l’occasione per ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile la creazione
di questo testo, ed in particolare il Professor Massimo Di Paolo, nella veste
di tutor assegnatoci dalla commissione dei docenti della Scuola Nazionale
Maestri, e di supervisore nel corso dello svolgimento dell’intero nostro
operato.
Un ulteriore e sentito ringraziamento è doveroso porlo a tutti i giocatori ed
allenatori che hanno supportato materialmente il project work attraverso le
loro dichiarazioni raccolte nelle interviste, vera spina dorsale di tutto il
nostro lavoro.
A nome di tutti i componenti del gruppo, che ha redatto questo project
work, un sentito ringraziamento a tutti.
Indice
Introduzione
p. 1
Capitolo 1 - Cenni storici e introduzione all’allenamento
mentale
p. 3
Capitolo 2 - Studi e applicazioni del mental training
al tennis
2.1 Le caratteristiche del tennis
p. 13
2.2 Le abilità mentali nello sport del tennis
p. 14
2.3 Il controllo delle emozioni
p. 18
2.4 Il controllo dei pensieri
p. 23
2.5 L’attribuzione di causalità
p. 24
2.6 Il controllo dell’attenzione
p. 26
2.7 Le abilità immaginative
p. 31
Capitolo 3 - Tecniche di mental training
3.1 Rilassamento
p. 34
3.2 Self talk
p. 38
3.3 Goal setting
p. 40
3.4 Pensiero positivo
p. 42
3.5 Training autogeno
p. 44
3.6 Concentrazione – Gestione dell’arousal
p. 50
3.7 Visualizzazione e imagery
p. 54
3.8 Biofeedback
p. 59
3.9 Automatizzazione delle strategie
p. 62
Capitolo 4 – Una ricerca sul mental training
4.1 Obiettivi della ricerca
p. 64
4.2 Presentazione dello strumento
p. 66
Conclusioni
Appendice
Bibliografia
4.3 Caratteristiche degli intervistati
p. 67
4.4 Elaborazione dei dati: tabelle e grafici
p. 69
p. 98
Capitolo I
Cenni storici e introduzione all’allenamento mentale
Con un notevole anticipo rispetto ai suoi tempi, De Coubertin, ha
sentito il bisogno di applicare la psicologia allo sport. Già nel 1900,
infatti, aveva pubblicato un articolo intitolato: “La psicologia dello
sport”. Tutte le metodiche inerenti alla suddetta disciplina vennero in
seguito prese in considerazione da numerosi paesi soprattutto dopo la
prima guerra mondiale, quando cioè l’espansione dell’attività sportiva
ebbe la sua definitiva affermazione. Bisogna però citare alcuni autori
che per primi hanno svolto un lavoro sistematico condotto presso
l’istituto di educazione fisica di Leipzig, sia prima che dopo la prima
Guerra mondiale: Scultz, Sippel, Giese, Klem, Krueger; in questo
periodo si vede l’influenza della teoria Gestalt. In un secondo periodo,
Leipzig ha sentito l’influenza di alcuni psicologi sovietici, interessati
più ai problemi relativi alle competizioni di alto livello. Numerosi
ricercatori testimoniano che l’importanza sia stata data su problemi
immediati della competizione e della vittoria da conseguire, più che su
quelli dell’individuo alle prese con sé stesso. Il proposito iniziale
quindi è quello di determinare in modo preciso le caratteristiche della
psicomotricità,
della percezione, dell’emozione e dell’intelligenza
richieste nelle varie attività sportive al fine di conseguire le migliori
prestazioni. Il problema però nella maggior parte dei paesi rimaneva,
in quanto gli allenatori continuavano a ritenere che la vittoria nello
sport dipendesse dall’intensità dell’allenamento e dalle capacità
3
superiori dell’atleta piuttosto che da una attenta valutazione delle
condizioni emotive dell’ambiente in cui si svolge la preparazione, o
dai tratti della personalità dell’atleta stesso (Most, 1983).
In Italia, l’approfondimento della conoscenza dei fattori psicologici e
pedagogici che informano lo sport e la competizione in atto ad opera
di numerosi specialisti, avviene nel 1965, a Roma dove si tiene il
primo congresso internazionale di psicologia. L’International Society
of Sport Psicology (ISSP), costituita in occasione del congresso,
originò, a sua volta, nel mondo una sessantina di società nazionali, di
cui una ventina in Italia. In alcuni Paesi la psicologia dello sport (PdS)
veniva identificata con gli studi di psicomotricità e di motor skill atti a
realizzare prestazioni atletiche migliori, mentre in altri si dava
maggior
spazio
allo
studio
delle
motivazioni,
all’assistenza
psicologica per un miglior equilibrio dell’uomo atleta (Tamorri,
2000). Se all’inizio della sua storia la psicologia dello sport si era data
come obiettivo quello di studiare la personalità degli atleti, ricercando
modelli cognitivi e comportamentali utili a differenziare le
caratteristiche degli atleti dagli altri uomini e sviluppando un ampio
spazio all’interno della psicodiagnostica, oggi l’ obiettivo della
psicologia dello sport risulta molto cambiato. Ora il quesito più
impellente posto dai tecnici e dagli atleti è: “come posso compiere
prestazioni sempre più eccellenti?”. In tale contesto la psicologia
dello sport si è trovata a passare da un livello teorico alla pratica,
divenendo in tal modo operativa. Oggi, ogni atleta sa quanto sia vero
che il primo reale nemico da battere è il fantasma della paura,
dell’insicurezza, della bassa stima di sé, prima ancora dell’avversario.
Lo scontro con l’avversario è episodico, un momento nella vita
4
dell’atleta; per tutto il resto del tempo ciò che conta è una lineare e
continua crescita fisica e mentale, attraverso un lavoro che dura anni,
per tutta la carriera agonistica dell’atleta. Dunque, essere operativi
nell’ambito dello sport significa sviluppare un programma di
allenamento per la mente, al pari di programmi di allenamento fisico;
l’agonista non è un robot, non è un gigantesco meccanismo sostenuto
dagli sponsor e da complesse manovre di tipo economico, bensì è un
uomo che ha scelto di sfidare sé e gli altri, con i suoi punti deboli e le
sue illimitate potenzialità. Lo psicologo dello sport deve tenere bene
in mente che dedicherà il suo sostegno ed il suo contributo in primis
all’uomo e in secondo luogo all’atleta che c’è in lui, il quale
rappresenta solo una parte della sua complessità. La psicologia dello
sport è una disciplina giovane, che ha la possibilità di apportare validi
contributi sia nello sport di alto livello che nelle fasi di apprendimento
di una attività. È possibile definire la psicologia dello sport come una
psicologia dell’azione che si pone come obiettivo la comprensione a
360° dell’uomo e del suo essere atleta. Per questa ragione, il primo
punto da fissare con l’atleta è la meta che questi desidera raggiungere.
Per poter lavorare con un atleta è fondamentale fissare un obiettivo
che abbia determinate caratteristiche:
A) Definito in positivo, nel senso di considerarlo come qualcosa a
cui tendere e non da cui allontanarsi, in un esempio si potrebbe
dire “voglio smettere di essere ansioso ed agitato “, anziché
“voglio imparare ad essere tranquillo e determinato”
B) Verificabile. Imparare ad essere tranquillo e determinato,
nell’esempio appena riportato, non risulterà verificabile fino a
quando non si sarà riusciti
a tradurre la tranquillità e la
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determinazione in comportamenti ed atteggiamenti esaminabili,
in altre parole risponderà alla domanda: “come saprò di aver
raggiunto il mio obiettivo, come lo sapranno gli altri?”
C) Specificato rispetto a:
- chi (quali sono le persone coinvolte nel mio obiettivo?)
- come
(quali
comportamenti
produrranno
il
mio
cambiamento?)
- quando (quali tempi scandiranno il passaggio dal mio
stato presente a quello desiderato?)
- dove (quali saranno i luoghi entro i quali produrrò il mio
cambiamento?)
- perché (quali sono le motivazioni di cui dispongo per
poter realizzare il mio cambiamento?)
D) Ecologico (l’obiettivo scelto dall’atleta sarà accettato dalle
persone per lui significative? Tale obiettivo gli procurerà dei
vantaggi?)
Una volta centrato l’obiettivo, è possibile procedere con l’atleta
nella
costruzione
di
quegli
aspetti
della
sua
personalità
indispensabili per lo sviluppo della sua carriera.
Naturalmente, per lavorare sull’obiettivo concordato occorre
instaurare un buon rapporto con l’atleta. La psicologia non
possiede altro strumento che quello di operare sul livello
organizzativo della mente dell’atleta, agendo attraverso la
comunicazione. È fondamentale incontrare l’atleta sul suo terreno,
cogliendo gli elementi più significativi dell’esperienza da lui
narrata, annotando tutto ciò che è possibile osservare, ascoltare, e
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percepire durante il colloquio. La persona deve sentirsi rispettata in
ciò che considera importante: le sue credenze, le sue convinzioni
sul mondo e sulla vita. Il primo passo da fare, dunque è trovare il
modo per sintonizzarsi con lui, utilizzando il più possibile il suo
stesso linguaggio che rappresenta il modo attraverso cui l’atleta si
raffigura il mondo e lo connota di significati. Solo in un momento
successivo ci si adopererà a fornire una guida ragionata
in
direzione di nuovi orizzonti, incentivi e risorse utili all’atleta per
raggiungere i propri risultati. La prima fase dell’incontro è tutta
orientata a definire un terreno d’accordo e di intesa con il mondo
interiore dell’atleta. Questo tipo di approccio non è solo retaggio
dello psicologo dello sport, ma offre un’utile base per uno sviluppo
costruttivo del colloquio, sia in ambito clinico che formativo. Se si
pensa all’impegno che si chiede ad un’atleta, il miglioramento
continuo e costante che deve riuscire a dare durante gli allenamenti,
in un ambiente spesso poco gratificante, in cui solo alcuni sport
sono altamente riconosciuti e premiati, ci si spiega quanto sia
fondamentale il “perchè” che l’atleta si costruisce, che costituisce
la motivazione principale a continuare la sua carriera agonistica. La
motivazione è strettamente collegata alla direzione e alla intensità
di un comportamento, è dunque fondamentale in un momento in
cui l’atleta lavora sulla propria costruzione fisica e psicologica. La
motivazione costituisce la chiave d’accesso ai risultati: essa lavora
attraverso i bisogni dell’atleta, gli stimoli positivi, l’interesse e il
divertimento, la ricerca di affiliazione verso i compagni e
l’allenatore, il bisogno di affermazione e di riuscita.
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La base, però, di tutto l’intervento psicologico è il linguaggio. Nel
suo utilizzo quotidiano non ci rendiamo conto dell’uso che
facciamo delle parole, del loro peso, del significato che con queste
creiamo. Ad esempio il linguaggio usato dall’atleta nel suo dialogo
interno è di fondamentale importanza, infatti i messaggi che questi
manda a sé stesso sono basilari per la riuscita della sua prestazione.
La mente ha una grande abilità che può risultare un forte limite,
quella di orientarsi, spesso in modo inconsapevole, in funzione dei
propri pensieri. È il “sistema attivante reticolare“, in particolare,
che si interessa di mettere in collegamento la mente (i pensieri) con
il corpo (le abilità percettive), orientando in tal modo l’attenzione
del soggetto sulle cose per lui più significative. Ora, dinnanzi ad
uno stesso stimolo è possibile reagire in modo positivo (ottimistico)
o negativo (pessimistico), a seconda di come vengono interpretati i
fatti, dal momento che il sistema percettivo è in grado di analizzare
solo la quantità di uno stimolo e non la qualità, che viene decisa dal
sistema cognitivo. È dunque essenziale che l’atleta utilizzi una
sorta di “dieta mentale”, attraverso la quale nutrirsi di parole che
gli diano la giusta carica, e gli permettano di essere ottimista,
convinto e determinato in rapporto alle sue risorse. Il nostro
vocabolario presenta una netta preponderanza di parole a
connotazione negativa nella descrizione delle emozioni. La lingua
inglese ad esempio contiene circa un migliaio di parole per
esprimere emozioni positive, mentre sono ben duemila le parole
che esprimono emozioni negative. Si pensi a quanti vocaboli
vengono usati da psichiatri e psicologi per descrivere le varie forme
di patologia mentale, e quanti pochi vocaboli vengono usati per
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descrivere gli stati di benessere. Una persona sana, che sta bene, è
una persona che “sta bene e basta”, non esistono particolari modi
per descrivere lo stato di benessere. Culturalmente siamo plasmati
dal nostro linguaggio: le parole modellano le nostre convinzioni,
influenzano i nostri stati
d’ animo e dirigono le nostre azioni. L’atleta, come tutte le altre
persone, va aiutato a comprendere il proprio linguaggio, a porsi le
domande corrette, ad entrare nel significato che dà alle cose, per far
luce sulle opinioni, le credenze e le convinzioni che lo orientano
nelle scelte. Un modo utile di considerare l’atleta è quello di
vederlo proiettato all’interno del suo sistema di riferimento,
prendendo in considerazione il contesto, l’ambiente sociale in cui
vive (società sportiva, team tecnico, amicizie, famiglia), per
valutare nel sistema di appartenenza quale ruolo gioca, come si
trova inserito, quali risposte sta dando, come reagisce alle richieste,
implicite o esplicite, delle persone di riferimento. È sorprendente
come molte risposte ad eventuali difficoltà, verso la realizzazione
di certi progetti, vadano ricercate nella famiglia, o nel sistema di
riferimento, piuttosto che nel singolo individuo. Spesso si riscontra
incongruenza e ambiguità nei i messaggi dei due genitori, o
addirittura atteggiamenti di svalutazione diretti allo sport intrapreso
dal loro figlio. Al contrario, spesso è possibile rilevare una grande
intesa con il proprio partner affettivo, associata ad una grande
volontà di riuscita, nel realizzare il proprio obiettivo. La famiglia
costituisce uno dei pilastri di sostegno per un’atleta, se viene a
mancare il suo apporto il rischio è quello che la situazione entri in
stallo, che si creino dubbi sulla motivazione e si abbia un crollo di
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rendimento. Spesso la società sportiva, i compagni, l’allenatore
sostituiscono la partecipazione e l’affetto della famiglia; è
sorprendente vedere come i nuovi legami affettivi siano in grado di
restituire l’identità a ragazzi altrimenti confusi e sbandati.
L’organizzazione del lavoro va dosata in tutte le attività che
compongono la vita di un soggetto. Non è possibile immaginare
una giornata totalmente orientata agli impegni: la scuola, gli
allenamenti, il lavoro, la famiglia, ecc., senza lasciare altro spazio
alla persona. Agendo in tal modo si rischia di impoverire gli altri
aspetti della vita, e di inimicarsi una parte dell’atleta maggiormente
orientata al divertimento, allo svago e alla creatività. Spesso ci si
trova dinanzi dei ragazzi
completamente assorbiti dalla loro
quotidianità, dalle loro abitudini, senza più la forza di affermare in
prima persona cosa desiderano veramente. Esiste uno sviluppo
fisiologico nella vita mentale di ogni individuo che richiede
un’attenzione particolare. Se si perde di vista il senso delle
proporzioni e del tempo si rischia di creare degli automi che, ben
presto, abbandoneranno lo sport considerandolo un impegno troppo
oneroso, che chiede tanto e dà poco. Un atleta ha bisogno di
pensare, sognare e costruire la propria storia. Costa molto essere
protagonisti in un mondo che, troppo spesso, ci abitua alla
passività; costa molto ed è difficile motivare un individuo a
conquistare il proprio valore, attraverso la costruzione della propria
persona. È più semplice offrire dei surrogati legati maggiormente
all’immagine in contrapposizione alla sostanza, che non offrire
degli spazi entro cui una persona, rappresentando se stessa, è in
grado di realizzarsi. All’interno della carriera di molti atleti sono
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molti i momenti dedicati ad anticipare ciò che avverrà nell’
immediato futuro, risulta quindi utile costruirsi delle “profezie”
vincenti, e dare così spazio a idee e pensieri orientati al futuro nel
modo in cui egli desidera vederlo realizzato. L’atleta ha
essenzialmente bisogno di costruirsi uno stato mentale, un preciso
equilibrio psico-fisico di pensieri e sensazioni che gli consenta,
durante tutto l’arco di una prestazione, ed in particolare nei
momenti maggiormente significativi, di avere la massima
concentrazione, determinazione, e prontezza di esecuzione. Tutto
ciò è racchiuso in uno stato d’allerta in cui ogni cosa attorno
sbiadisce, dove il tempo ha un’altra dimensione, dove il controllo è
totale, non si tratta più di un individuo capace di eseguire e
sviluppare l’azione,
ma di un essere in grado di fondersi
nell’azione stessa. Questo è un “momento magico”, il momento in
cui muta la percezione del soggetto che sviluppa l’azione. Solo
nell’istante in cui l’arciere si sente un tutt’uno con il proprio arco,
ed è in completa armonia con se stesso, può percepire quando
scoccare la freccia, sicuro che questa raggiungerà il bersaglio.
Lo sport è un rito costruito attraverso il proprio corpo, portato
avanti per un tempo sufficientemente lungo da permettere di
identificarsi completamente in ciò che si fa. Potrebbe risultare
interessante l’accostamento di questo aspetto dello sport a molte
tecniche meditative caratterizzate da azioni ripetute per un lungo
tempo, fino ad essere in grado di calarsi completamente in ciò che
si fa; per questa ragione si sposa in pieno l’idea che lo sport, sia
professionistico che quello dilettantistico, rappresenti un intenso
momento meditativo per la mente. Ed è a questo livello di sport
11
come meditazione che il lavoro dello psicologo risulta più
attinente, dal momento che, l’atleta sviluppando doti strettamente
correlate al lavoro mentale, entra in uno stato di trance, uno stato,
cioè, di coscienza alterato, differente da quello legato alla routine
quotidiana, in cui l’Io esercita delle capacità e delle doti che
oltrepassano i limiti della propria coscienza. Questo stato mentale
è quello che si desidera raggiungere e mantenere quando ci si trova
a lavorare con un atleta; la parte difficile del lavoro, infatti, non è
tanto raggiungere di tanto in tanto un tale livello, quanto mantenere
ed attivare questo stato mentale, ottimale per la prestazione, tutte le
volte che se ne ha bisogno. Entrano in gioco un insieme di energie
che l’atleta deve essere in grado di gestire per tutta la durata della
prestazione,
solo
attraverso
una
precisa
modulazione
dell’allenamento mentale è possibile garantire un quadro stabile e
duraturo.
“Siamo quello che pensiamo. Tutto ciò che siamo nasce dai nostri
pensieri. (…) Noi creiamo il nostro mondo.” (Buddha)
In realtà il grosso limite, e insieme la prima opportunità che dimora
in ognuno di noi è proprio costituita dai pensieri, i quali
rappresentano ciò che possiamo conoscere, e con cui possiamo
misurarci. Consentire all’atleta di esprimere il proprio stile e le
proprie abilità nel modo migliore, aprire la strada a nuovi traguardi,
dove l’uomo mette costantemente alla prova sé stesso, in una danza
continua che rappresenta la vita, è la pura espressione della
psicologia nell’ambito dello sport!
12
Capitolo II
Studi e applicazioni del mental training al tennis
2.1 Le caratteristiche del tennis
Per le sue caratteristiche il tennis è senz’altro uno tra gli sport più
logoranti dal punto di vista psicologico. Infatti il tennis è:
•
un’attività “open skill”, in cui le situazioni sono altamente
imprevedibili e variabili. Variano gli avversari, le superfici di
gioco, il tipo di palle, la durata della partita (3 o 5 set)
•
uno sport individuale, non ci sono sostituzioni e il giocatore è solo
ad affrontare lo stress della gara
•
uno sport dove nella maggior parte dei tornei non esiste la
possibilità di avere l’allenatore in panchina, in campo il giocatore è
solo a decidere la tattica e la strategia da adottare
•
uno sport dove non esiste mai una seconda oppotunità, dal campo
si esce vincitori o vinti
•
uno sport dove non esistono limiti di tempo e non c’è la possibilità
di chiedere un time-out
•
uno sport dove ci sono molte interruzioni dovute alle regole del
gioco (attualmente sono il 20% circa della durata totale del match)
•
uno sport in cui soprattutto a livello professionistico si gioca tutto
l’anno, e in tutti i continenti con pochi e brevi periodi da dedicare
al recupero e agli allenamenti
•
uno sport in cui gli spettatori duarante gli scambi assistono in
13
silenzio, ampliando le sensazioni di “solitudine” dei giocatori
2.2 Le abilità mentali nello sport del tennis
La ricerca ha dimostrato come gli allenatori siano sempre più
consapevoli dell'importanza delle abilità mentali per raggiungere la
prestazione ottimale.
La figura1 indica quali sono, secondo gli allenatori le abilità mentali
più importanti nel tennis e quali di queste sono più difficili da
sviluppare (Gould e al., 2001 ; Moran
1995)
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Le abilità mentali più importanti Quelle più difficili da sviluppare
piacere
fiducia in se stessi
controllo delle emozioni
motivazione /passione
gestione positiva degli errori
essere positivi/dialogo interno
gestione dei momenti di crisi
gestione positiva degli errori
immaginazione/visualizzazione
attenzione/concentrazione
autostima
controllo delle emozioni
gestione del tempo
onestà/integrità
motivazione
intensità negli allenamenti
Figura 1 - Le abilità mentali più importanti nel tennis e quelle più difficili da sviluppare
secondo gli allenatori.
La figura2 indica quali sono secondo i giocatori professionisti le
abilità mentali più importanti per il raggiungimento della migliore
prestazione e quali siano mancate durante i match persi (Jones e Terry
,1994; Young, 1998 ).
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Abilità
mentali
ritenute Abilità mentali che sono mancate
importanti dai giocatori per la durante i match persi
loro performance
Determinazione/impegno
Perdita di concentrazione
concentrazione/fiducia in se stessi nervosismo
credere nelle proprie capacità
ansia
abilità nel controllo dell'ansia
mancanza di motivazione
amore e interesse verso il tennis
mancanza di fiducia
Figura 2 - Le abilità mentali più importanti nel tennis e quelle che determinano le
sconfitte secondo giocatori professionisti.
Vealey (1988) suddivide le abilità mentali in abilità di base, di
prestazione e facilitatorie.
Nella schema seguente sono riportate le abilità mentali secondo
Vealey (1988).
Abilità mentali
Abilità di base
Volizione
Consapevolezza di sè
Autostima
Fiducia in sè
Abilità di prestazione
Arousal fisico ottimale
Arousal mentale ottimale
Attenzione Ottimale
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Abilità facilitatorie
Abilità interpersonali
Gestione dello stile di vita
Martens (1987) propone invece 5 abilità mentali di base:
•
controllo dell'attenzione
•
gestione dello stress
•
controllo delle immagini
•
modulazione dell'arousal
•
formulazione degli obiettivi
Bisogna inoltre aggiungere anche il “controllo dei pensieri” per
integrare il modello di Martens.
Ora cercheremo di approfondire alcuni concetti e ci soffermeremo
su alcune delle abilità sopra menzionate che riteniamo più importanti
nel tennis.
La motivazione. Cos’è quella volontà che spinge un’atleta ad
allenarsi duramente ogni giorno per mesi, o quei processi che ci hanno
fatto scegliere il tennis anzichè un altro sport?
Weinberg e Gould (1995) considerano la motivazione come quel
complesso di processi mentali che determina la direzione e l’intensità
dello sforzo.
17
Le teorie attualmente più accreditate che cercano di dare una
spiegazione di cosa sia la motivazione sono quattro:
•
la teoria della riduzione della tensione
•
la teoria dell’auto affermazione
•
la teoria cognitiva
•
la teoria della meta
La teoria della riduzione della tensione si riferisce a stati interni di
tensione che spingono gli individui ad agire per
ridurre quelle
spiacevoli sensazioni che turbano il loro benessere.
La motivazione sarebbe dunque la molla che spinge a soddisfare certi
bisogni interiori.
La teoria dell’autoaffermazione, invece, pone l'accento sulla
tendenza dell’ individuo a realizzare il proprio potenziale anche a
costo di un aumento della tensione .
La teoria cognitiva sostiene che l’individuo sia animato da bisogni di
coerenza, prevedibilità e conoscenza; questo spiega il perchè molti
sportivi, pur non ottenendo grossi risultati, nè fama nè denaro,
continuino a giocare, sentano cioè la necessità di mantenere un quadro
coerente di sè.
La teoria della meta infine, vede l’individuo fortemente interessato a
raggiungere gli obiettivi e i traguardi prefissati.
2.3 Il controllo delle emozioni
Il controllo delle emozioni, durante una partita di tennis è di
fondamentale importanza per raggiungere la massima prestazione.
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Parlando di emozioni e stati d’animo è utile introdurre i concetti di
arousal, ansia e stress.
Arousal
L'arousal viene considerato come una funzione che permette l’accesso
alle risorse energetiche dell'organismo per prepararlo all'azione. Ogni
atleta per rendere al massimo deve avere la capacità di autoregolarsi e
di tenere sotto controllo il livello di attivazione necessario che come
vedremo non dovrà essere nè troppo basso nè troppo alto, ma dovrà
avere un valore medio.
Esistono alcune teorie che mettono in relazione l'arousal con la
prestazione.
Drive theory. Questa teoria sostiene che ci sia una relazione
direttamente
proporzionale
tra
arousal
e
prestazione,
cioè
all’aumentare della prima aumenta anche la seconda o al diminuire
della prima diminuisce anche la seconda. Questa teoria però non
convince perchè molto spesso atleti iperattivati non riescono a
raggiungere la prestazione ottimale. La suddetta teoria, leggermente
modificata, asserisce che nelle abilità già ben acquisite o in compiti
motori molto semplici l’aumento dell'arousal
un'aumento della prestazione, al tempo stesso,
corrisponde a
nell'esecuzione di
abilità complesse o durante le prime fasi di apprendiment , l’aumento
dell’arousal si rivela dannoso per la prestazione.
Inverted-U theory. Questa teoria afferma che l’aumento dell’arousal
sia legato ad un progressivo miglioramento della prestazione fino a un
punto ottimale oltre il quale l’incremento si accompagna invece allo
scadimento della prestazione. Il grado di attivazione ottimale varia da
uno sport all’altro, negli sport più complessi in genere l'attivazione
19
deve essere minore.
Figura 3 - Relazione ad U-inversa fra arousal e prestazione.
Per determinare la complessità del compito vanno considerati i fattori
decisionali, percettivi e motori. Landers e Boutcher (1986).
La figura 4 mostra la ad U-inversa tra arousal e prestazione in compiti
diversi.
20
Figura 4 - Relazione ad U-inversa fra arousal e prestazione in compiti diversi.
Bisogna sottolineare che con l’aumento dell’arousal si determina un
restingimento del focus attentivo. Ad un livello basso corrisponde una
percezione ampia e poco selettiva rispetto agli stimoli; con
l’aumentare dell’arousal entro la gamma di attivazione ottimale, la
selettività percettiva sugli indizi importanti aumenta, a vantaggio della
prestazione; andando oltre una certa soglia di attivazione si ha un
ulteriore restringimento percettivo con l’esclusione sia di stimoli
importanti che irrilevanti a scapito della prestazione. Lo stato di
ottimale di arousal dipende inoltre dalle caratteristiche individuali e
dalle abilità del soggetto.
Ansia. Weinberg e Gould (1995) definiscono l’ansia come uno stato
21
emozionale negativo accompagnato da nervosismo, preoccupazione,
oppressione associati ad un aumento dell’attivazione corporea.
Spielberger (1966) distingue l’ansia di stato e l’ansia di tratto. L’ansia
di stato è concettualizzata come una condizione dell’organismo
transitoria e specifica in un particolare momento. L’ansia di tratto
invece è una caratteristica stabile e duratura della personalità, una
predisposizione a reagire a molte situazioni con un alto livello di ansia
di stato. Una seconda distinzione prende in considerazione le
manifestazioni soggettive degli stati ansiosi. L’ansia cognitiva è la
componente mentale che origina da attese negative, paura delle
conseguenze, scarsa fiducia.L’ansia somatica è la componente
collegata all’attivazione dell’organismo e si manifesta con risposte
fisiologiche quali l’incremento del battito cardiaco, dispnea,
sudorazione, tensione muscolare. Si può parlare anche di ansia
competitiva di stato che è l’insieme di risposte fisiologiche e psichiche
dell’organismo in situazioni competitive come reazione a percezioni
di pericolo o danno potenziali o reali. L’ansia competitiva di tratto
invece è la tendenza a percepire situazioni competitive come paurose
o pericolose e a rispondervi con ansia di stato.
Stress. È un processo derivante dalla percezione di un sostanziale
squilibrio fra richieste ambientali e capacità di risposta dell'individuo,
che sente questa sua inadeguatezza potenzialmente pericolosa,
incrementando così i livelli di ansia di stato.
Per misurare questi stati emozionali sono stati studiati diversi tipi test
tra questi: lo STAI (State Trait Anxiety Inventory ; Spielberger 1970)
22
che è l'autovalutazione più usata, lo SCAT (Sport Competition
Anxiety Test ; Martens 1977) che misura l’ansia competitiva di tratto,
e lo CSAI (Competitive State Anxiety Inventory Martens 1990) e lo
SCAT 2 (Martens 1982) che misura l’ansia competitiva di tratto.
Pressione. Pressione è un termine molto usato tra giocatori e
allenatori (soprattutto nel tennis) per definire lo stress. Questa
pressione
non
causa
automaticamente
un
decremento
della
prestazione, dipende molto dall’interpretazione del giocatore sulla
situazione di stress.
2.4 Il controllo dei pensieri.
Controllare gli aspetti cognitivi del comprtamento è fondamentale
anche per ottenere un’alta prestazione nel tennis.
Ora concentreremo maggiormente l’attenzione su alcune abilità
mentali: credere in sè (self-efficacy) e attribuzione di causalità.
Credere in sè (self efficacy).
Bandura (1977) ha introdotto il concetto di self-efficacy per definire la
fiducia nelle capacità personali di eseguire un compito con esito
positivo attraverso l’espressione di abilità. Diversi studiosi hanno
analizzato la relazione tra self-efficacy e prestazione e la possibilità di
incrementare tali aspettative tramite quattro fonti principali: la
realizzazione di prestazioni (le esperienze vissute come successo
aumentano la self-efficacy, quelle negative la fanno abbassare),
esperienze sostitutive (osservando dei modelli o delle dimostrazioni),
persuasione verbale (spesso gli allenatori ricorrono a questi tipi di
rinforzi per influenzare positivamente il comportamento dell'atleta,
23
possono essere utili come stimolo iniziale ma perdono di efficacia se
vengono usati a sproposito), arousal emozionale (percezioni
dell’arousal possono influenzare dei comportamenti alterando le
aspettative di efficacia). Molte ricerche hanno valutato la self-efficacy
nei tennisti; il metodo più usato per misurarla è il PSE (Physical Self
Efficacy Scale) di Ryckman (1982).
2.5 L’attribuzione di causalità
Weiner (1985) postula la teoria dell'attribuzione, affermando che gli
individui valutano i propri risultati in termini di causalità e considera
l’influenza che tali valutazioni hanno sulle reazioni emotive e sui
comportamenti futuri. Gli atleti ad esempio per spiegare una loro
prestazione positiva o negativa, possono adottare diverse ragioni: la
bravura dell'avversario, la fortuna o la sfortuna, l’arbitro ecc. Esse
sono incluse in tre dimensioni fondamentali:
•
direzione. Le ragioni di successo o insuccesso sono individuati
nelle proprie capacità (attribuzione interna) oppure sono attribiute
ad altri fattori non collegati alla persona (attribuzione esterna);
•
stabilità. La causa della prestazione è considerata più o meno
stabile nel tempo;
•
controllabilità. La persona sente di poter controllare o meno i
fattori che determinano la sua prestazione.
Le reazioni emotive agli eventi sono in genere precedute da una
valutazione cognitiva di quanto è accaduto o del risultato; cioè
l’indivuduo cerca di darsi una spiegazione dei fatti attribuendoli a
cause specifiche e di conseguenza si generano paricolari risposte
24
emotive. La direzione di causalità in genere comporta emozioni
autodirette collegate all'autostima, il controllo invece genera
sentimenti diretti verso gli altri negativi o positivi, la stabilità sembra
generi stati emotivi legati al tempo (speranza , paura).
Figura 5 - Attribuzione di causalità ( Biddle e Fox , 1988 modificato).
25
2.6 Controllo dell'attenzione.
La concentrazione è un’abilità che si compone di diversi elementi, può
sinteticamente essere definita come la capacità di focalizzare
l’attenzione su un compito per un certo periodo di tempo senza essere
influenzati da stimoli non pertinenti. Le operazioni
cognitive in
sintesi sono costituite da:
- raccolta di informazioni esterne e interne attraverso gli organi di
senso (analizzatori) importanti per il movimento (visivo, uditivo,
cinestesico, vestibolare e tattile);
- elaborazione delle informazioni (confronto delle informazioni in
entrata con quelle già depositate in memoria; attivazione di processi
decisionali, scelta e programmazione della risposta);
- esecuzione e controllo della risposta.
Le connessioni tra prestazione e attenzione sono state approfondite da
due teorie, quella cognitivista si è occupata degli aspetti cognitivi
dell'attenzione
(selettività,
capacità,
automatismo)
e
quella
psicosociale che ha studiato le caratteristiche individuali e
dell’ambiente che influiscono sull’attenzione.
Teoria cognitivista. In situazioni sportive quindi anche nel tennis
l’atleta è continuamente bombardato da una grande quantità di stimoli
che
però
non
possono
essere
recepiti
ed
elaborati
tutti
contemporaneamente dato che le capacità umane sono ridotte, quindi
attraverso la selettività solo alcuni stimoli interni o esterni verranno
considerato a scapito di altri che saranno ignorati. La selettività
dell’attenzione qundi è una caratteristica cognitiva molto importante
ed è quella che contraddistingue il giocatore esperto da quello
26
dilettante. Parlando di elaborazione delle informazioni possiamo
anche considerarle in termini di capienza o spazio di elaborazione,
date le scarse capacità dei processi attentivi, la possibilità di svolgere
più compiti contemporaneamente dipende da quanto spazio viene
occupato da ogni singolo compito. Ad esempio un tennista esperto che
esegue un attacco e una discesa a rete, eseguirà il colpo d’approccio in
maniera quasi automatica mentre la sua attenzione sarà rivolta alla
tattica da eseguire, alla posizione dell’avversario ecc. Nel tennista
dilettante, invece, i processi elaborativi saranno quasi completamente
impegnati nell’esecuzione del colpo e poco spazio sarà dato per la
componente tattica e strategica del colpo.
Teoria psicosociale. L’interesse di queste teoria è rivolto allo studio
sull'influenza di fattori cognitivi sulla prestazione come la
preoccupazione, l’eccessiva analisi, le caratteristiche individuali e
quelle relative all’ambiente. Le azioni o programmi motori
consolidati sono guidati da processi elaborativi automatizzati e un uso
inappropriato di processi cognitivi coscenti produce effetti deleteri
sulla prestazione; quest’ultimi, infatti, non contengono informazioni
inerenti le contrazioni muscolari e la coordinazione motoria. Allo
stesso modo, pressione, paura, timore dell’insuccesso, sono fattori che
inducono l’atleta a “controllare” la prestazione e inducono a pensieri
negativi con il risultato di peggiorare la performance. Secondo
Nideffer (1976) ogni persona possiede una particolare stile attentivo
abbastanza stabile nel tempo, poco modificabile; tuttavia vi sono poi
aspetti dell'attenzione che sono specifici alle situazioni sportive su cui
si può lavorare.
27
Nideffer (1986, 1989, 1993) ha individuato due dimensioni
dell’attenzione:
–
l’ampiezza, che definisce l’attenzione lungo un continuum ampioristretto con possibili variazioni tra i due estremi
–
la direzione che può essere interna o esterna rispetto all’individuo
28
Figura 6 - Dimensioni dell'attenzione (Nideffer 1976, 1978 modificato)
Ogni sport richiede una particolare combinazione di ampiezza e
direzione. In generale, in discipline open, con situazioni sempre
diverse e rapidi cambiamenti, l’atleta ha bisogno di uno stile attentivo
esterno ampio o ristretto; in discipline closed, invece, assume più
importanza la dimensione interna dell’attenzione.
Molti sport come il tennis invece richiedono che l’atleta sappia
modificare spesso e molto rapidamente il focus attentivo sia in
ampiezza che in direzione.
Nella figura 7 Prapavessis (1993) propone tre categorie di fattori
distraenti l’attenzione nei tennisti.
29
Figura 7 - Fattori distraenti nel tennis (Prapavessis ,1993)
L'attenzione è anche in stretto collegamento con il livello di arousal
dell’atleta: a un basso livello di attivazione corrisponde un’attenzione
molto ampia che lascia passare sia stimoli pertinenti che irrilevanti, a
un livello di attivazione medio invece l'attenzione si restringe per
captare solo le informazioni pertinenti, aumentando ulteriormente
l’arousal si restringe di molto il campo percettivo con il risultato di
perdere anche stimoli rilevanti.
30
Figura 8 - Ricezione degli stimoli e relazione arousal-prestazione
(Landers, 1980, modificato)
Per misurare lo stile attentivo dell'atleta Nideffer propone il
TAIS(Test of Attentional and Interpretation Style) ma non essendo
specifico per nessuno sport non ha un grande valore predittivo.
Van Schoyk e Grasha (1981) hanno elaborato una versione del TAIS
specifica per i tennisti per misurare la loro capacità di concentrazione.
Modalità alternative di indagine prevedono la verbalizzazione dei
pensieri durante la prestazione, l’analisi dei tempi di reazione in
compiti complessi, la registrazione dei movimenti oculari ed il
monitoraggio di parametri fisiologici.
2.7 Le abilità immaginative.
Gli atleti utilizzano spesso e senza che nessuno abbia insegnato loro
particolari tecniche, attività immaginative per anticipare, rivedere o
31
correggere la loro prestazione. In uno studio condotto da Hall,
Rodgers e Barr (1990) su molti atleti di diverse discipline si notava
come la maggior parte di essi impiegava immagini specifiche per
prepararsi mentalmente, e più alto era il livello tecnico dell’atleta, più
spesso venivano impiegate. L’immaginazione è considerata come la
riproduzione parziale o globale, con un certo grado di realismo, di una
precedente esperienza percettiva in assenza della stimolazione
sensoriale originale. Le immagini possono essere di tre tipi (Hove
1991):
–
riproduttive, quando evocano un’azione già eseguita
–
creative, quando rappresentano un comportamento non ancora
attuato
–
emotive, quando generano sensazioni collegabili con il movimento
Frester (1984) definisce le funzioni della pratica immaginativa:
–
programmatoria, per la scelta di un programma motorio da
svolgere attraverso l’immagine ideale dell’azione;
–
allenante, per il perfezionamento e la stabilizzazione del gesto;
–
regolatoria, nel controllo e nella correzione del movimento
Ipotesi teoriche. Molte ricerche e studi sono stati fatti da diversi
autori, ma i risultati non sempre hanno dato risposte conclusive o
soddisfacenti.
Teoria psiconeuromuscolare. Secondo questa teoria le attività
motorie
immaginate
vividamente
producono
impercettibili
stimolazioni nervose, registrabili con elettromiografo, ai muscoli
coinvolti nell’attività ed altri tipi di risposte a livello cardiocircolatorio
e respiratorio, simili a quelli dell'esecuzione reale. Questi minuscoli
32
impulsi consoliderebbero la traccia di memoria del movimento
determinando un transfer positivo alle situazioni pratiche. In altre
parole le visualizzazioni attiverebbero allora, preparandole, le vie
nervose successivamente coinvolte nella trasmissione dell'impuso
motorio.
Teoria dell'apprendimento simbolico. Secondo questa teoria la
funzione principale della pratica mentale è di rafforzare gli aspetti
cognitivi del movimento. L’immaginazione agisce come un sistema di
codifica per comprendere e acquisire schemi di movimento; aiuta
l’atleta ad esaminare e capire meglio la prestazione e a modificarla
quando necessario.
33
Capitolo III
Tecniche di mental training
3.1 Rilassamento
All’interno di un protocollo di mental training è difficile non includere
un fase detta di “rilassamento”, in cui, attraverso specifiche
esercitazioni l’atleta raggiunge uno stato di equilibrio psico-fisico che
gli consente di addentrarsi in altre tecniche, o semplicemente di
beneficiare degli effetti di questo status psichico.
L'obiettivo del rilassamento è controllare il livello di attivazione al
fine di gestire stati d'ansia e di tensione psicofisica. Il rilassamento è,
probabilmente, tra le tecniche di preparazione mentale, quella più
conosciuta ed accettata. Nonostante ciò, tale pratica ancora troppo
spesso viene lasciata alla libera iniziativa del singolo atleta (che ne
sente il bisogno) e stenta a far parte sistematica dell'allenamento
psicofisico dell'individuo. I benefici che ne possono derivare sono
notevoli: dal miglioramento della qualità di tutto il periodo di
allenamento alla gestione ed ottimizzazione delle ore pre-gara fino
alla creazione di una base solida su cui instaurare un serio progetto di
preparazione mentale. Ecco riassunta una tabella che ne enuncia
alcune caratteristiche peculiari:
1. rallentamento della frequenza respiratoria e
regolarizzazione dei cicli respiratori
34
2. riduzione del consumo di ossigeno
3. rallentamento della frequenza cardiaca
4. aumento della resistenza cutanea
5. diminuzione
del
tono
della
muscolatura
scheletrica
6. vasodilatazione periferica
7. aumento della sincronizzazione dell'EEG cioè,
aumento della percentuale di onde alfa
La caratteristica fisiologica della reazione di rilassamento consiste
fondamentalmente in un abbassamento generale dell'intensità di
eccitazione della componente simpatica del sistema nervoso
autonomo ed in un aumento dell'attività della componente
parasimpatica che si manifesta attraverso:
variazione delle funzioni autonome (diminuzione pressione
arteriosa e della frequenza cardiaca, riduzione del diametro
pupillare, diminuzione della sudorazione e aumento dell'attività
motoria e secretoria del sistema gastrointestinale)
variazioni nervose centrali (aumentate sincronizzazioni dell'EEG e
ipotonia della muscolatura scheletrica)
variazione del comportamento, del vissuto e della coscienza
(inattività, obnubilamento e stato ipnagogico).
Le complesse reazioni fisiologiche che si manifestano durante il
rilassamento non devono essere confuse con quelle caratteristiche del
35
sonno. L'insieme delle risposte che costituiscono lo stato rilassamento
sono opposte rispetto alle reazioni di emergenza tipiche dei riflessi di
lotta e di fuga. Il rilassamento si identifica quindi attraverso una
riduzione della prontezza di eccitazione del tono simpatico.
A livello psicologico il rilassamento si manifesta mediante:
1. sensazione soggettiva di tranquillità e distensione
2. diminuzione della vigilanza
3. marcata indifferenza di fronte a stimoli interni ed
esterni
A livello neurofisiologico, durante lo stato di rilassamento è possibile
registrare una riduzione dell'attività della formazione reticolare e un
equilibrio tra il sistema reticolare (intensità) e quello limbico
(qualitativo-emozionale).
E’ importante sottolineare che lo stato di rilassamento non consiste
nel ridurre al massimo le funzioni fisiologiche, bensì nel
mantenere una condizione di equilibrio della loro interazione.
Vi sono molti metodi per ottenere una buon rilassamento: dal training
autogeno, al rilassamento di Jacobson, yoga, zen, ecc. Per effettuare
un buon rilassamento dobbiamo tener presente tre fasi da sviluppare e
successivamente abbinare tra loro. I modi con si può ottenere un buon
rilassamento sono diversi, basti pensare al Training Autogeno di
Schultz (in cui il termine Autogeno vuole mettere in risalto come le
modificazioni
psichiche
e
somatiche
vengono
provocate
autonomamente dal praticante, adattando il metodo alle proprie
esigenze), al Rilassamento Progressivo di Jacobson (che prevede un
36
rilassamento
generale
dell'intero
corpo
ed
un
rilassamento
differenziale col quale si insegna, nei gesti della vita quotidiana, ad
utilizzare solo i muscoli impegnati in posture o movimenti, lasciando
rilasciati gli altri) o alle tecniche di origine orientale (quali lo joga e lo
zen). La cosa importante è che, a prescindere dalla tecnica utilizzata, il
soggetto deve raggiungere bene l'obiettivo: il controllo del livello di
attivazione psicofisica.
Le tecniche di rilassamento fisico e mentale consentono all'atleta non
solo di gestire l'ansia in vista della gara o durante questa, ma anche di
essere maggiormente presente e concentrato sulla competizione,
potendo accedere a tutte le sue risorse spesso bloccate da un eccesso
di tensione.
Una procedura di rilassamento può prevedere tre fasi differenti da
svilupparsi progressivamente:
1. Esercizi di contrazione-decontrazione di alcuni gruppi muscolari,
mantenendoli in tensione isometrica per alcuni secondi e
successivamente rilasciarli;
2. Concentrarsi sulla frequenza respiratoria, cercando di diminuirla,
con inspirazioni brevi ed espirazioni lente, con movimento
diaframmatico
e
respirazione
addominale.
Difatti.
una
respirazione lenta segnala al cervello un momento di tranquillità,
con conseguente diminuzione delle funzioni vitali; al contrario,
se avessimo una respirazione veloce e frequente, il cervello
interpreterebbe lo stimolo come una situazione di pericolo, non
ideale quindi per rilassarsi;
37
3. Abbinare gli esercizi di contrazione-decontrazione muscolare
alla respirazione: partendo dalla parte bassa del corpo,
inspirando si contrae la muscolatura ed espirando la si rilassa.
Infine, è doveroso porre l'attenzione a quei soggetti affetti da disturbo
d'ansia generalizzata, disturbo da attacchi di panico, “depressione
mascherata”, claustrofobia, fobia specifica poiché il “settino” del
rilassamento potrebbe causare un certo disagio; in tale occasione (non
così rara anche in ambito sportivo) uno psicologo sportivo, con
competenze anche cliniche, troverà insieme all'atleta un modo
“personalizzato” per raggiungere, comunque, il controllo dello suo
stato di attivazione che rimane possibile e che, anzi, in queste persone,
assume una doppia valenza: terapeutica e di preparazione mentale.
3.2 Self talk
Self-Talk tradotto alla lettera vuol dire: ascoltare se stessi.
Durante un match, l'atleta parla a se stesso e, molto spesso, la natura di
questi dialoghi influenza l’esito della sua prestazione. Risulta dunque
necessario, innanzitutto imparare a riconoscere questi flussi di pensieri
negativi che impediscono la totale concentrazione sulla competizione,
per poi gestirli con opportune tecniche che permettono di bloccarli e
trasformarli.
Un’ulteriore definizione di Self Talk inteso come sub-vocalizzazione,
consiste nell’individuazione e nell’utilizzo mirato di parole stimolo
volte a favorire nel giocatore l’ottimizzazione dell’ esecuzione del
gesto tecnico della “self efficacy”(autoefficacia), e del livello ottimale
38
di performance di allenamento e gara. La struttura ed il contenuto di
alcuni specifici pensieri influenzano la prestazione in modo più
marcato rispetto ad altri. Il self talk, secondo questa definizione,
spinge l’atleta durante la gara ad evocare consapevolmente stati
psicologici positivi e produttivi che comportano una percezione di
autocontrollo e una sensazione di autoefficacia.
Generalmente viene considerato che parole, frasi o immagini di natura
positiva possono svolgere una funzione positiva sulla percezione di
efficacia che l'atleta ha di se stesso in una determinata situazione
sportiva. In effetti, è ragionevole credere che la struttura e i contenuti
di specifici pensieri influenzino la prestazioni più di altri:
1. affermazioni rilevanti per il compito (aspetti tecnico-tattici);
2. parole chiave riguardanti l'umore (singole parole a forte
contenuto emotivo-affettivo);
3. affermazioni positive (parole significativamente positive).
Nell’applicare questa tecnica, i "promemoria psicologici" consistono
quindi in simboli o parole chiave il cui scopo funzionale è quello di
richiamare sensazioni associate a ciò che si intende pensare, sentire o
fare. Il self talk viene quindi suggerito attraverso apposite parolestimolo che aiutano l'atleta a focalizzare l'attenzione su aspetti chiave
della prestazione, nel caso specifico, durante l’andamento di un match,
e ad evocare volontariamente stati chiave psicologici positivi e
produttivi, comportando una percezione di autocontrollo e di
autoinduzione emotiva. La procedura consiste nel definire ed
evidenziare un simbolo (una parola specifica o una frase), annotarla,
cercare di visualizzarla, e tenerla impressa nella mente. Ogni qual
volta che si indirizza la propria attenzione al simbolo o si pensa alla
39
parola presa in considerazione, verranno sperimentati i pensieri e le
azioni associate allo stato che si vuole raggiungere. La reiterazione e
l’intensità delle sensazioni che si associano allo specifico simbolo o
parola,
renderanno
quest'ultimo
un
efficiente
promemoria.
In tal modo, si intuisce come il self talk, da una parte, possa costituire
una forma di controllo attentivo, e indirizzi l'attenzione verso segnali
più inerenti e rilevanti rispetto al compito, dall'altra, sia inscildibile
dalla corretta applicazione del “pensiero positivo” assieme al quale
trova la massima espressione.
3.3 Goal setting
Goal setting vuol dire formulazione degli obiettivi.
Durante il susseguirsi delle stagioni di competizione e di preparazione,
la mole degli impegni diviene consistente, ed in alcuni casi l’atleta
finisce per smarrire le giuste coordinate stabilite a priori per il
raggiungimento degli obbiettivi finali.
Frequentemente gli atleti non sono in grado di definire accuratamente
un'adeguata scala degli obiettivi da perseguire durante il corso della
stagione agonistica. Questa difficoltà nel pianificare gli specifici
standard di abilità da raggiungere in un compito, ed in sostanza nel
valutare il giusto livello di performance da ottenere, può
compromettere l'esito di una stagione, con la possibilità di
ripercuotersi sul resto della carriera. La suddetta programmazione
degli obiettivi deve essere suddivisa in sub-obiettivi a breve, medio e
lungo termine, motivando l’atleta ad un miglioramento graduale della
prestazione.
40
I livelli di motivazione, determinazione, impegno, perseveranza e
coinvolgimento di un atleta sono strettamente correlati alla natura e al
tipo di obiettivi che si è posto, in particolare dal loro essere più o
meno generici e più o meno significativi per l'atleta stesso. Gli
obiettivi, infatti, focalizzano l'attenzione, facilitano la concentrazione,
motivano alla performance, creano la sfida e forniscono un'occasione
per analizzare e valutare le proprie abilità.
Attraverso la tecnica del goal setting diverrà possibile la
pianificazione non solo degli obiettivi generici, bensì dei "buoni
obiettivi", caratterizzati da fattori determinati. Gli obiettivi specifici e
significativi per l'atleta, capaci di catalizzare la motivazione che si
trasforma in determinazione, e di dare forma e direzione all'azione
concreta.
Nell’applicazione di questa tecnica, è possibile definire differenti
tipologie di obbiettivi:
OGGETTIVI: cioè misurabili, come ad esempio vincere un
determinato numero di matches, o raggiungere una determinata
posizione in classifica ecc.
SOGGETTIVI: non misurabili (divertirsi, compiere il gesto tecnico il
più preciso possibile, ecc …)
Ed inoltre, il passo successivo alla definizione degli obbiettivi
riguarda il loro indirizzo:
al risultato: vincere una gara;
al miglioramento della performance;
Inoltre possono essere indirizzati:
a. sul piano individuale (per esempio all’incremento di parametri
come: resistenza, velocità, esecuzione del gesto tecnico…)
41
b. del team (facendo riferimento ad un contesto di squadra che
però poco si addice al tennis, che rappresenta in modo
emblematico un esempio di sport individuale)
Nell’organizzare questa “tabella” di obbiettivi è necessario riscontrare
un’ulteriore sfaccettatura:
Specificità (pianificando cosa deve essere fatto);
Realismo (alla portata delle nostre capacità);
Valutabilità (potendo quantificare gli obiettivi);
Timely (mettendo una scadenza per raggiungere determinati
obiettivi a breve-medio – lungo termine);
Strategia (riguardante aspetti puramente tecnico-tattici).
Vi possono essere dei momenti meno consoni al raggiungimento dei
goal prestabiliti; questi devono essere individuati e possono essere di
tipo:
Psicologico (mancanza di sicurezza o di impegno);
Motivazionale (perdita di interesse);
Fisico (infortuni, malattie);
Esterno (variabilità atmosferica, problemi familiari).
3.4 Pensiero positivo
Ogni individuo osserva e vive la realtà di tutti i giorni interpretando le
situazioni quotidiane secondo il proprio punto di vista. I meccanismi
che rendono possibile la continua categorizzazione di fatti e eventi
sono influenzati dalla propria matrice visiva, che imprime la sua
personale impronta, positiva o negativa, ad ogni nuova circostanza. Il
modo di osservare un dato evento assume quindi un carattere di
42
assoluta individualità, e succede che ciò che, inizialmente, sembra
essere
solo
una
predisposizione
poi
diventa
inevitabilmente
un'abitudine. E' proprio così, nella grande differenza interindividuale,
c'è chi spontaneamente, aprendo la porta di una stanza sconosciuta
(come la vita), guarda (o cerca) prevalentemente gli oggetti, gli arredi,
le cose piacevoli e chi, invece, altrettanto naturalmente, guarda (o
cerca) prevalentemente gli oggetti, gli arredi, le cose spiacevoli. Il
perché di questa visione della realtà è, certamente, radicato su
dinamiche psicologiche complesse che, a seconda dei casi, poi trova
conferme e/o disconferme nell'esperienza della quotidianità. Una
verità
maggiormente
eclatante
è
che
in
ogni
individuo,
inequivocabilmente, il positivo c'è. In alcune persone risulta essere
palese, evidente ed in bella mostra, in altri individui emerge solo dopo
un accurato lavoro d’indagine, ma risulta comunque presente. Il
pensiero positivo, quindi, prima ancora di essere una tecnica di
preparazione mentale, si può considerare una “filosofia di vita”.
Ignorando quest’approccio interiore, senza cioè ricercare il positivo
esistente negli altri, diviene complesso e probabilmente improduttivo
l’utilizzo di questa tecnica di mental training. Si cadrebbe,
empaticamente, in contraddizione.
La tecnica. Per riuscire a mettere in atto questa tecnica, è
fondamentale il ruolo dello psicologo sportivo, che deve conoscere
profondamente l'atleta al fine di comprendere meglio quale sia la sua
predisposizione iniziale "a pensare positivo". Bisogna intuire come
l'individuo, che si accinge a prepararsi, vive gli eventi positivi e quelli
negativi, è necessario quindi riuscire a scorgere il suo stesso punto di
vista, interpretando empaticamente la realtà. In seguito a cosa, a suo
43
avviso, si è vinto o perso. Bravura, fortuna, fatalità? Anche attraverso
l’osservazione e l’analisi di questi piccoli elementi lo psicologo può
valutare il livello di autostima dell'atleta e l'autoefficacia (autostima
gesto-specifica)partendo dall’assunto che chi pensa spesso in negativo,
probabilmente, ha un basso livello di autostima. Attraverso un dialogo
psicologo/atleta diviene possibile aiutarlo a cercare ciò che di lui è
positivo per poi cominciare a "tirarlo fuori". E' un allenamento
continuo: spostare e allontanare il negativo, vedere e pensare positivo,
annientare i pensieri neri, ponendo risalto solo a quelli chiari.
Al termine di questa pratica, applicata tenendo conto di tutti i fattori
l'atleta scopre di aver appreso a pensare positivo. E siccome il
pensiero positivo è "contagioso", senza rendersene pienamente conto,
l'atleta comincia ad insegnare a pensare in positivo a chi sta accanto a
lui. L’avverarsi di questa circostanza funge da prova finale per lo
psicologo nella valutazione dell’efficacia del suo intervento.
3.5 Training autogeno
Il training autogeno è una tecnica di rilassamento. Fu sviluppato nel
corso degli anni Trenta da Johannes Heinrich Schultz, psichiatra
tedesco, che nei suoi precedenti studi aveva profondamente analizzato
l’ipnosi. Il training autogeno ha lo scopo di rendere i propri pazienti
indipendenti dal terapeuta per sviluppare il proprio benessere. Il
termine training, dall’inglese, significa esercizio; infatti è solo
esercitandosi che si riescono a raggiungere il vero rilassamento
corporeo. Il termine autogeno indica, invece, come i cambiamenti
psichici scaturiscano dal praticante stesso e non sono generati da
44
un'operatore (psicologo/psicoterapeuta/medico), se non in fase iniziale
di apprendimento della tecnica. Lo scopo principale di questa tecnica
di mental training è l'eliminazione dello stress, dell'ansia, scaricare la
tensione e favorire il recupero delle energie. Questa tecnica è indicata
per atleti e sportivi in genere in quanto favorisce il recupero di energie
permettendo una migliore gestione delle proprie risorse, migliora la
concentrazione e contribuisce al conseguimento di alte prestazioni.
Proprio enunciando queste caratteristiche risulta assolutamente
appropriato abbinare questo strumento di preparazione mentale ad uno
sport così intenso, dal punto di vista psichico, come il tennis.
Il training autogeno agisce come strumento di cambiamento a tre
livelli:
1. A livello fisiologico, favorendo un riequilibrio del Sistema
Nervoso Vegetativo e del Sistema Endocrino, entrambi in stretta
correlazione con gli aspetti emotivi;
2. A livello fisico, incrementando lo stato di benessere e di salute
generale;
3. A livello psicologico, aiutando a ristrutturare le proprie reazioni
negative e migliorando alcuni vissuti psicologici.
Attraverso il training autogeno si crea un crescente equilibrio
psicofisico, soprattutto su quelle funzioni psicosomatiche che sono
mediate dal cosiddetto Sistema Nervoso Autonomo. Gli esercizi infatti
tendono a mettere a riposo quella parte di tale struttura che garantisce
l’attivazione psicofisiologica e diminuiscono quegli eccessi di alcuni
ormoni, come l’adrenalina, che si riversano nel sangue in condizioni
di stress.
45
Allo stesso modo l’allenamento autogeno permette di passare
gradualmente ad una maggiore consapevolezza (e una conseguente
possibilità di controllo) delle attività muscolari involontarie (es.
respirazione), liberandole sempre di più del controllo volontario
negativo che costringe a stati di stress alcuni muscoli volontari.
Il carico di tensioni fisiche e psicologiche accumulate viene scaricato
attraverso le cosiddette “scariche autogene”, ossia quei fenomeni
transitori di origine psicologica o somatica che tendono a manifestarsi
in modo decrescente fino a sparire completamente nel corso
dell’allenamento autogeno e che sono connesse alla possibilità del T.A.
di liberare e decongestionare le aree cerebrali sovraccaricate dallo
stress. Per questo spesso, nelle fasi iniziali dello svolgimento degli
esercizio di training autogeno, si possono verificare scariche motorie
(movimenti involontari, tosse, riso, spasmi), scariche uditive (ronzii,
fischi, rumori), scariche vestibolari (vertigini, senso di galleggiamento)
o ancora scariche affettive (emozioni di vario tipo positive o negative).
Di qualunque tipo siano le scariche autogene esse in genere
interessano aree somatiche (muscoli, vista, ecc.) o aree psicologiche
(affetti, pensieri, ecc.) sovraccariche di tensione che in tal modo viene
diminuita gradualemente.
Altri processi neuropsicologici importanti sembrano inoltre intervenire
nella fase di allenamento al cambiamento psicofisico prodotta
attraverso il “training autogeno”.
Esercizi e utilita’ del training autogeno
Gli esercizi del training autogeno
vanno distinti in due categorie:
1. Training Autogeno Inferiore
46
2. Training Autogeno Superiore
Nella prima area rientrano sei esercizi di base, due fondamentali e
quattro complementari, tutti eseguiti dopo l’esercizio propedeutico.
1. “l’esercizio della calma” - fase propedeutica, di introduzione
agli altri esercizi. Attraverso il raggiungimento di uno stato
iniziale di “calma” in cui si riesce a mettere da parte ogni
preoccupazione ed ogni pensiero diviene possibile sperimentare
in modo adeguato ed efficace gli altri esercizi.
Tale esercizio risulta molto utile per imparare a controllare stati di
ansia generalizzata o di confusione e panico poiché consente di
accrescere la capacità di convogliare all’interno quelle energie mentali
che tendono a disperdersi verso l’esterno, guidate da forze centripete
che catturano l’attenzione su elementi che alimentano vissuti e
pensieri negativi.
2. “esercizio della pesantezza” - rappresenta un utile strumento
per ottenere uno stato generale di rilassamento muscolare e
consente di prendere consapevolezza di tensioni muscolari
inconsapevoli e di vissuti psicologici che tendono a crearle e
quindi a generare delle problematiche psicosomatiche quali
dolori, crampi. Esso, pertanto, risulta estremamente utile per
affrontare problematiche del dolore, cefalee muscolo-tensive,
disturbi da stress, vertigini derivanti da tensioni accumulate sul
collo o per combattere l’insonnia.
3. “esercizio del calore” - consente di ottenere dei cambiamenti a
livello
della
circolazione
nei
vari
distretti
muscolari,
approfondendo lo stato di rilassamento che è possibile ottenere
attraverso
il
precedente
esercizio,
poiché
accresce
il
47
rilassamento e anche la mobilità muscolare. Questo esercizio è
utile per coloro che soffrono di disturbi legati alla cattiva
circolazione e può essere un valido strumento di riscaldamento
mentale dei muscoli che devono essere impegnati in uno sforzo
fisico.
4. “esercizio del cuore” - ci si mette in contatto con il proprio
ritmo interiore di vita e con la parte che simbolicamente viene
designata come “il centro delle emozioni”. E’ un esercizio non
sempre facile da eseguire e strettamente importante per favorire
il contatto e la graduale accettazione sia della propria vita
affettiva-emotiva, sia della natura umana. I risultati che possono
essere ottenuti praticandolo correttamente hanno importanti
ricadute positive nell’alleviare le somatizzazioni che riguardano
problematiche circolatorie centrali, come la tachicardia, che
nascono da situazioni ansiogene e che sono una delle
componenti fondamentali del cosiddetto Disturbo da Attacchi di
Panico.
5. “esercizio del respiro” - si impara a lasciare che la funzione
respiratoria non venga influenzata da aspetti psicologici che
tendono a modificarla alterandola. Anche questo esercizio è
molto utile in caso di problemi somatici legati all’ansia, poiché
questi ultimi tendono sempre a manifestarsi con una ricaduta sul
ritmo respiratorio che in genere viene accelerato, producendo
scarsa ossigenazione e sintomi conseguenti come capogiri o
sensazione di svenire.
6. “esercizio del plesso solare” - è un esercizio coinvolge molti
organi interni quali intestino, fegato, pancreas, milza, rene e
48
surrene, che convogliano tutti verso lo stesso ganglio nervoso
che media il loro funzionamento. Eseguito con una mano sul
ventre fino alla parte finale dello sterno per aumentare il
contatto e la consapevolezza della zona su cui si lavora, questo
esercizio consente sia di lavorare per favorire un migliore
funzionamento degli organi vitali coinvolti, che per ridurre le
tensioni di natura psicologica che spesso sono alla base di
gastriti e problemi digestivi.
7. “esercizio della fronte fresca” - che completa efficacemente
un rilassamento generalizzato, consente di lavorare sia sulle
problematiche somatiche connesse alla cattiva circolazione
cerebrale, poiché agevola una vasocostrizione e quindi un
controllato afflusso del sangue al cervello, sia su quelle
problematiche psicologiche che sono avvertite e vissute come
“calore e sovraccarico della mente”.
Il passo successivo alla fase riguardante tutti gli esercizi del Training
Autogeno Inferiore, è possibile eseguire un’ulteriore parte di specifici
esercizi che appartengono al Training Autogeno Superiore.
Per apprendere correttamente questa tecnica si può ricorrere ad un
operatore specializzato, nel caso specifico, di uno psicologo sportivo.
Infine, esiste anche la possibilità di seguire un vero e proprio percorso
psicoterapeutico
con
specialisti
che
utilizzano
la
cosiddetta
“psicoterapia autogena”.
49
Ambiti di applicazione della tecnica
L’approfondimento della conoscenza degli esercizi di base del
Training Autogeno permette di comprendere meglio le innumerevoli
possibilità applicative che sono state sviluppate rispetto all’uso
originario
di
tale
metodo.
Il training autogeno, infatti, nasce originariamente in campo clinico
psicologico e psicosomatico per affrontare problematiche quali:
disturbi funzionali e somatizzazioni di tipo neurovegetativo(cefalee,
tachicardie, problemi circolatori e respiratori, disturbi digestivi);
fobie e disturbi d’ansia;
tic o balbuzie;
disturbi del sonno (insonnia, apnee).
Attualmente uno dei campi più importanti di applicazione di questa
tecnica è quello della psicologia dello sport e della preparazione
mentale degli atleti (Bassi G.B., Bonfanti M., Arcelli E.) che riguarda
sia intere squadre sportive (di calcio basket, pallacanestro, pallanuoto)
che atleti che praticano sport individuali in cui alcuni esercizi risultano
utilissimi sia alla performance che alla riduzione che al recupero di
alcuni infortuni. È il caso del tennis, in cui si rivela efficacissima
anche
per
il
controllo
della
concentrazione.
3.6 Concentrazione - Gestione dell’arousal
Esistono due tipi di concentrazione:
50
• l’attenzione spontanea (involontaria), che è catturata da ciò che
si muove nell’ambiente esterno attorno all’atleta;
• l’attenzione
conativa
(volontaria),
focalizzata
su
un
determinato stimolo, ed è proprio questa seconda tipologia che
bisogna sviluppare e ottimizzare per la performance nella gara.
Riguardo all’argomento sono stati condotti diversi studi, in
particolar modo lo stile attentivo ha interessato Neideffer che,
nell’anno 1993 ha elaborato un importante modello riportato nella
figura 1
51
Il Focus attentivo può essere:
- ESTERNO AMPIO (Aware) specifico dei giochi di squadra e/o
delle categorie "open skill";
- ESTERNO RISTRETTO (Focused) tipico delle discipline o delle
azioni motorie "closed skill";
- INTERNO AMPIO ( Strategic) caratteristico delle pianificazioni di
gara o di determinate tipologie di pausa all'interno della stessa;
- INTERNO RISTRETTO (Systematic) tipico dell'allenamento
ideomotorio.
Mantenere un buon livello di concentrazione vuol dire controllare i
processi motori di pensiero, dirigere e conservare l'attenzione su un
determinato compito per una esatta esecuzione potenziando le capacità
52
di selezionare gli stimoli su cui focalizzare l'attenzione, escludendo
quelli ininfluenti; dirigere l'attenzione al momento appropriato verso
le informazioni pertinenti; mantenere l'attenzione sugli stimoli
rilevanti.
Il perfezionamento e la gestione volontaria della capacità di
concentrazione si ottengono attraverso il training propriocettivo e le
procedure di rilassamento, andando così a costituire un insieme di
abilità sinergiche ed interconnesse e rappresentando le condizioni
necessarie per la buona riuscita delle successive fasi di visualizzazione
e ripetizione ideomotoria.
Gestione dell'Arousal (Gestione dell'attivazione fisiologica)
Con il termine arousal è indicata in psicofisiologia l'intensità
dell'attivazione fisiologica e comportamentale dell'organismo: quando
l'organismo deve effettuare una prestazione deve attivarsi, cioè
mettere in moto una serie di processi caratteristici dello stato di
arousal quali l'aumento della vigilanza e dell'attenzione, l'attività dei
muscoli che si preparano allo sforzo ed il cuore e i polmoni che si
preparano al dispendio di energia. E' di fondamentale importanza per
un atleta raggiungere e mantenere il suo livello ottimale di attivazione
psicofisiologica in ogni circostanza, allenandosi con delle semplici
tecniche di attivazione o disattivazione secondo le esigenze.
Focalizzazione dell'attenzione e concentrazione (Focusing)
La concentrazione è la capacità di focalizzare l'attenzione su un
compito per un determinato periodo di tempo, senza essere distolti da
53
fattori distraenti interni (ad es. pensieri negativi) ed esterni (ad es. il
rumore della folla). Incremento della motivazione e dell'autostima.
L'acquisizione di fiducia in sè è la vera chiave della motivazione: se
l'atleta ha fiducia in sè e in quello che è in grado di fare non solo è
motivato, ma accresce le sue probabilità di avere successo. Fino a
quando l'atleta cercherà solo nell'ambiente esterno di soddisfare i suoi
bisogni di sicurezza, stima ed approvazione, la vittoria gli sfuggirà,
poichè il suo senso di identità personale sarà dipendente da fattori
esterni di cui avrà bisogno. Il passaggio avviene quando l'atleta inizia
a scoprire queste qualità dentro di sè. Invece di cercare approvazione
trova il suo senso di intimo valore. Diventa abbastanza sicuro di sè da
essere in grado di comprendere di essere un giocatore valido anche se
commette degli errori.
3.7 Visualizzazione e imagery
“Se vuoi essere un campione, devi aver vinto nella tua mente ogni tua
gara, cento volte prima vincerla nella realtà!” (Marti Liquori)
Tra le tecniche più adottate in psicologia dello sport, per incrementare
la performance degli atleti, una delle più interessanti è l'imagery, che,
analizzando semplicemente il significato del termine inglese, si basa
sulle immagini usate per allenare l'atleta mentalmente. Prima di tutto
l'imagery è definita come una visualizzazione o ripetizione o
immaginazione che può coinvolgere uno o più sensi (Liggett &
Hamada).
Secondo Cei (1987) immaginare è un'attività che coinvolge non solo
la vista ma anche il tatto, l'udito, i muscoli, insomma “è un pensiero di
54
tutto il
corpo”.
Nel loro articolo del 1993, Liggett e Hamada, fanno una distinzione
tra imagery mentale ed imagery cenestesica. L'imagery mentale
consiste nel vedersi da soli eseguire la prestazione, nel caso degli atleti,
come se si stesse guardando un film o un video della loro stessa
prestazione. Nell'imagery cenestesica, l'immaginazione diventa più
intensa o più profonda, l'atleta sente realmente il movimento nei
muscoli e sperimenta le emozioni della performance; rispetto a quella
mentale, l'imagery cenestesica è più efficace a causa degli impulsi, più
intimamente confrontabili a quelli dell’evento reale che vanno ai
muscoli.
Frester (1984) chiama allenamento ideomotorio "…tutte quelle forme
di esercitazione nelle quali si ha un'autorappresentazione mentale,
sistematicamente ripetuta, e cosciente dell'azione motoria che deve
essere appresa, perfezionata, stabilizzata o precisata, senza che si
abbia un'esecuzione reale, visibile esternamente, di movimenti parziali
o globali." Il funzionamento dell'allenamento ideomotorio si basa sul
fenomeno, noto anche come “effetto Carpenter” che a sua volta, si
fonda sul fatto che immaginare un movimento determina una
stimolazione, seppure molto lieve, dei muscoli interessati dall'attività
immaginativa. Le stimolazioni non arrivano ad una contrazione
esternamente visibile ma possono essere registrate attraverso il
potenziale elettrico muscolare (EMG). Il risultato sarebbe un rinforzo,
un consolidamento della traccia mnestica nella memoria del
movimento, il che faciliterebbe la successiva esecuzione concreta
Le tecniche di visualizzazione e di allenamento ideomotorio
consentono all'atleta di rilassarsi e di apprendere nuovi gesti o
55
perfezionare quelli già appresi. Poiché questi esercizi richiedono
all'atleta di riuscire a mantenere delle immagini mentali stabili o a
seguire il loro corso nell'esecuzione mentale di un gesto, intervengono
anche nel miglioramento della concentrazione durante l'esecuzione del
gesto stesso.
Gli atleti vengono progressivamente allenati alla rappresentazione
mentale di immagini visive, inserendovi stimoli immaginativi
polisensoriali
e
favorendo
in
questo
modo
un
maggiore
coinvolgimento emozionale e cognitivo da parte del soggetto. La
capacità di visualizzare comprende alcune attività applicabili allo
sport, fra cui l'osservazione di altri atleti in azione (dal vivo o
videoregistrati) seguita dalla ripetizione immaginata delle sequenze
motorie (allenamento ideomotorio); il passo successivo consisterà
nell'esecuzione pratica dell'atleta del movimento prima osservato e poi
visualizzato. La tecnica dell'Imagery, preceduta sempre da una breve
seduta di rilassamento, viene anche utilizzata prima della gara come
momento di concentrazione e di visualizzazione del percorso
tecnico/tattico.
Definizione. Rappresentazione mentale sistematicamente ripetuta e
cosciente dell'azione motoria (Frester, 1985)…che deve essere appresa,
perfezionata o stabilizzata, senza che vi sia una esecuzione reale,
visibile esternamente, di movimenti parziali o globali (Corbin,
1972).Un'altra definizione è quella di Richardson (1969): l'imagery si
riferisce a tutte quelle esperienze quasi-sensoriali e quasi-percettive di
cui siamo coscienti e che per noi esistono in assenza di quelle
condizioni di stimolo che realmente determinano quelle specifiche
reazioni sensoriali e percettive.
56
Le caratteristiche principali, quindi dell'allenamento ideomotorio
sono:
capacità individuale di provare sensazioni in assenza di stimolo
consapevolezza nell'esecuzione di questa attività mentale
assenza di movimenti visibili, durante tale attività
L'allenamento ideomotorio:
1. facilita-supporta l'apprendimento del movimento
2. ottimizza l'esecuzione motoria
La teoria. Fondamentalmente sono cinque le teorie che tentano di
spiegare il perché dell'efficacia dell'allenamento ideomotorio:
1. la teoria
psiconeurosensoriale (Carpenter, 1894; Jacobson, 1934; Suinn, 1972,
1976; Jowdy e Harris, 1990) secondo la quale la ripetizione
ideomotoria
provoca
una
ridotta,
ma
misurabile
attivazione
neuromuscolare specifica (distretti muscolari interessati all'azione);2.
la teoria dell'attivazione("arousal") (Schimidt, 1982; Feltz &
Riessinger, 1990) secondo la quale l'imagery favorisce l'insorgere di
livelli
di
attivazione
adeguati
alle
richieste
(attivazione
neuromuscolare generalizzata);3. la teoria dell'apprendimento
simbolico (Fitts, 1964; Feltz & Landers, 1983; Hall & Erffmeyer,
1983) secondo cui tale pratica fornisce al soggetto l'opportunità di
allenare gli elementi simbolici di un compito motorio e di
preparare/pianificare mentalmente la prestazione (Bandura, 1969);4. la
teoria bioinformazionale (Lang, 1977; Bird, 1984) secondo cui al
variare dell'immagine mentale varia anche il comportamento reale,
entrambi in stretta correlazione.
5. teoria del modello triplo codice (Ahseen, 1984; Murphy e Jowdy,
57
1992) secondo la quale l'efficacia dell'imagery subisce l'influenza di
tre fattori interagenti: il realismo sensoriale delle immagini, le
modificazioni fisiologiche prodotte dalle immagini e il significato
delle immagini che deve essere soggettivamente significativo.
La tecnica. Dopo aver definito la sequenza motoria specifica, si
procede alla sua sistematica ripetizione a livello immaginativo, in
parallelo all'allenamento effettuato sul campo (esecuzione pratica).
Ogni gesto tecnico è composto da una sequenza di movimenti
consecutivi: per la realizzazione della pratica ideomotoria occorre
focalizzare l'attenzione, per ogni step motorio della sequenza, solo sul
movimento del proprio corpo e, una volta memorizzata la sequenza
corretta, anche sulle sensazioni e sui pensieri che lo accompagnano e
sul ritmo respiratorio. Per aiutare l'atleta nell'acquisizione della
sequenza motoria corretta e nell'elaborazione di immagini mentali
appropriate, la rappresentazione mentale viene fatta precedere dalla
visione di un filmato del gesto tecnico. Successivamente, dopo aver
raggiunto lo stato di rilassamento in tempi brevi, si introducono
visualizzazioni polisensoriali riguardanti il setting abituale, al cui
interno si rappresenta mentalmente la sequenza ideomotoria del gesto
atletico, rispettandone i parametri spazio-temporali. La sequenza
ideomotoria deve essere ripetuta da tre a cinque volte, ma nel caso
subentri un calo della concentrazione va sospesa immediatamente per
passare all'esecuzione pratica.
È stato dimostrato che l’allenamento fisico è maggiormente efficace
se accompagnato dall’allenamento ideomotorio e che gli atleti
infortunati che si allenano mentalmente, una volta superati i problemi
fisici, recuperano più in fretta una buona condizione tecnica.
58
3.8 Biofeedback
Il biofeedback (tradotto dall'inglese: retroazione biologica) è
conosciuto nell’ambito del mental training come biofeedback
training. Questa tecnica possiede palesi caratteristiche derivanti dalla
psicoterapia, ed in particolare si fonda sulla teoria comportamentista.
Lo scopo principale di questo strumento terapeutico e quello di aiutare
il paziente/atleta a prendere coscienza e controllo del suo
comportamento. Il biofeedback nacque con la diffusione negli anni '60
della meditazione trascendentale negli USA. Si osservò, utilizzando
un EEG, che nello stato di meditazione il cervello aumenta la
produzione di particolari segnali detti onde alfa, che stanno ad
indicare uno stato di rilassamento
psico-fisico del soggetto.
Addestrando il soggetto sulla sua produzione di onde alfa si può
aumentarne la produzione ed aumentare così il rilassamento. Da quei
primi studi, il passo evolutivo della psicologia sportiva ha condotto
questa tecnica a nuovi sbocchi applicativi, nell’ambito di numerose
discipline sportive, tra cui il tennis.
L'organismo umano interagisce costantemente con la realtà circostante
attraverso l'elaborazione di un comportamento adattativi, che spesso
viene attuato automaticamente ed in modo inconscio, come
meccanismo
di
autoregolazione.
Questo
tipo
di
strategia
comportamentale è la risultante del lavoro sinergico di più sistemi di
controllo interagenti e legati tra di loro. Alcuni di questi meccanismi
sono regolati dai sistemi neurovegetativo, endocrino ed immunitario.
Quando l’atleta percepisce dei segnali che provengono dall’interno del
59
suo corpo, ad esempio la frequenza cardiaca in aumento dopo una
corsa affannosa, può agire per modificarli, formando un sistema
elementare di biofeedback. Il biofeedback è l'applicazione di queste
osservazioni con le tecnologie opportune. Questo tecnica nella suo
utilizzo terapeutico coinvolge tre differenti discipline : psicologia,
fisiologia ed elettronica.
Con il biofeedback, una certa funzione corporea come la tensione
muscolare o la temperatura cutanea viene monitorata con l'uso di
elettrodi o di trasduttori applicati sulla pelle del paziente. I segnali
captati vengono amplificati ed usati per gestire segnali acustici o visivi.
Attraverso questo accurato sistema di monitoraggio, l’atleta può
tentare consciamente di utilizzare delle strategie per imparare a
controllare volontariamente la funzione presa in esame.
Il biofeedback consente al coach di ottenere un ulteriore
approfondimento nella valutazione globale dell'atleta, e la possibilità,
quindi, di individuare il suo specifico profilo di attivazione,
identificando la quantità di energia reclutata nel corso della sua
performance di allenamento e di gara. Attraverso il monitoraggio
fornito dalle specifiche apparecchiature psicofisiologiche diviene
possibile per l'atleta di imparare ad auto-regolare:
•
gli
eventuali
stati
di
ipoattivazione
o
iperattivazione
(disfunzionali alla performance)
•
gestire gli eventi stressanti e recupero dall'over training
•
gestione degli stati ansiosi
•
migliorare la capacità concentrazione
60
Un’altra tecnica del tutto simile al Biofeedback nei canoni principali,
da cui differisce solo per lievi sfumature procedurali è detta “Training
propriocettivo”.
Anche nell’utilizzo di questo tipo di strumento risulta importante il
messaggio che il nostro corpo invia all’individuo stesso, attraverso i
canali fisiologici, da cui egli può trarne vantaggi e benefici fuori e
dentro la performance sportiva in termini di autocontrollo.
L'obiettivo del training propriocettivo è quello di portare l'individuo
ad apprendere ed affinare gradualmente le capacità di autopercezione,
autoispezione e raggiungere una migliore consapevolezza corporea.
Esso può considerarsi come un prerequisito al training di rilassamento
psicofisico vero e proprio. Il sistema principale nell’attuazione di
questo training consiste nell’”ascoltare” il proprio corpo. La
condizione necessaria ascoltare per accedere all’ascolto, risiede
innanzitutto in uno stato silenzioso. Successivamente bisogna
impararne la “lingua”, s’intende tutti gli strumenti di decodifica dei
vari tipi di messaggio: il ritmo cardiaco, la frequenza respiratoria, le
contrazioni e decontrazioni, posture, massa, elasticità, forza, potenza,
e
tutta una serie di sensazioni che, ad un attento ascoltatore,
comunicano qualcosa. Il corpo non smette mai di comunicare e,
pertanto, appare riduttivo prestargli attenzione solamente in caso di
dolore,
fatica
e/o
limitazione
funzionale.
La tecnica per mettere in pratica questa tipologia di preparazione
mentale si articola attraverso esercizi che favoriscono una progressiva
acquisizione della capacità di concentrazione e presa di coscienza
corporea
in
relazione
(rappresentazione
a
mentale,
specifiche
parti
dell'organismo
autopercezione,
esplorazione,
61
autoinduzione di sensazioni di pesantezza e calore). Naturalmente
risulta più semplice per l’atleta cominciare dalla percezione dei
segnali corporei più evidenti (come frequenza cardiaca e respiratoria),
per poi giungere alla percezione di sensazioni corporee conseguenti ad
un determinato movimento fino ad arrivare a riconoscere i segnali
connessi ai gesti più fini. Allenare il “giocatore di tennis” ad ascoltare
il proprio corpo dà all'atleta stesso una maggiore sensazione di
controllo del movimento e, di conseguenza, ne aumenta la sicurezza
durante l'esecuzione dei gesti tecnici o delle sequenze tatticostrategiche.
Gli esercizi di training propriocettivo hanno inoltre l'obiettivo di
aumentare la capacità di reazione dinamica rispetto a sollecitazioni
potenzialmente lesive.
Da questa prospettiva, la suddetta tecnica rappresenta un valido
complemento all’interno della programmazione d’allenamento e nella
prevenzione degli infortuni.
Nell’affermare ciò, risulta scientificamente evidente che a livello del
complesso articolare, legamenti, muscoli e tendini si trovano dei
recettori di diverso tipo che svolgono la funzione di informare
costantemente il Sistema Nervoso Centrale sulla posizione e sullo
stato di tensione delle diverse strutture (informazioni propriocettive).
3.9 Automatizzazione delle strategie
Tra gli obiettivi principali della preparazione mentale vi è senza alcun
dubbio quello di rendere l'atleta autonomo. Per far sì che ciò avvenga,
62
però, è necessario disporre di validi maestri e di diversi anni di
allenamento, sia fisico che mentale. In questo processo di formazione
del giocatore, l’apporto che può dare l'allenamento mentale, è quello
di una maggiore conoscenza e cognizione delle risorse di cui l'uomo
per natura è dotato, ma che non sempre riesce ad utilizzare pienamente.
Difatti, essere in grado di orientare la propria mente al pensiero
positivo, sapersi concentrare, avere degli obiettivi, ascoltare il proprio
corpo, imparare a rilassarsi, avere fiducia e stima di se stessi, ripetere
a mente il gesto atletico perfetto, sono tutti strumenti utili a indurre
ogni individuo a usufruire di tutte le energie più profonde e nascoste
che ogni essere umano possiede. Quella marcia in più che fa la
differenza. Seguire un programma che metta in atto le succitate
tecniche, porta l’atleta ad acquisire quelle capacità necessarie ad
affrontare e gestire nel miglior modo possibile l’intero periodo della
preparazione
di
un
grande
evento,
le
fasi
di
attivazione
immediatamente precedenti la gara, la gara stessa ed il dopo gara, in
maniera completa e
matura.
Il miglior auspicio, che si possa fare ad un atleta è di quello di
saggiare, quanto il più a lungo è possibile, la gioia ed il piacere di
"guidare" il proprio corpo attraverso il pieno utilizzo e controllo delle
sue attività mentali. I successi che, immancabilmente, vivrà faranno da
lieto contorno a quello che sarà l'equilibrio di un atleta perfetto.
63
Capitolo IV
Una ricerca sul mental training
4.1 Obiettivi della ricerca
Il seguente capitolo mira alla comprensione di alcuni aspetti che
riguardano il mental training, il quale si realizza attraverso svariate e
differenti tecniche, in relazione al tennis di alto livello. Nel corso di
questi ultimi anni, in cui il tennis ha proseguito a ritmo incalzante nel
suo
processo
di
evoluzione,
si
è
ulteriormente
evidenziata
l’importanza di una programmazione di preparazione e di attività di
competizioni, sempre più consistente e, soprattutto, completa, che
possa venire incontro alle svariate e differenti esigenze del giocatore.
Al di là delle variegate ipotesi e supposizioni, che in modo
semplicistico, si possono inferire, resta da circoscrivere un quadro
obiettivo e veritiero su quali possano essere le esigenze prioritarie che
hanno una diretta correlazione con la prestazione di alto livello, e
quindi, probabilmente, maggiore incidenza per coaches e giocatori.
Tutte le osservazioni che riguardano il tennis in generale, vengono
fatte esclusivamente osservando i giocatori, e i loro matches.
Attraverso questa prima e superficiale analisi risulta particolarmente
facile affermare che tutti i giocatori “giocano bene”, nel senso che
sono dotati di capacità tecniche e fisiche che consentono loro di
competere a quel livello. Partendo da questo facile assunto: “perché
alcuni giocatori sono più vincenti di altri”? La risposta a questo banale
64
quesito risiede nella moltitudine di variabili interconnesse che
incidono sulla prestazione, e che possono influenzare il corso di un
intera carriera.
Gli aspetti di natura psicologica racchiudono molte di queste variabili.
Essendo uno sport individuale, il tennis pone il singolo individuo ad
affrontare una serie di problemi, legati al gioco, verso i quali è solo
nel ricercare le soluzioni che possano indirizzarlo al successo. Questa
tipologia specifica di “problem solving”, che avviene sia in modo
conscio che in modo inconsapevole, è a sua volta strettamente
correlata alle emozioni.
L’obiettivo della ricerca è comprendere la reale importanza delle
componenti di natura psicologica nel tennis di alto livello, e
successivamente, attraverso un’indagine, capire: se, e come si “allena”
la mente.
Gli obiettivi principali della ricerca sono:
• Accertare l’importanza degli aspetti di natura psicologica
all’interno della prestazione di alto livello.
• Identificare gli eventuali aspetti che hanno una particolare
incidenza sulla prestazione.
• Verificare l’utilizzo o meno di tecniche per la preparazione
mentale. Se sì, menzionare le tecniche utilizzate.
• Verificare se la proposta di mental training passa attraverso la
consulenza di uno psicologo, o soltanto attraverso il coach.
Le ipotesi da cui scaturisce questa ricerca sono:
65
• Gli aspetti psicologici hanno una grande importanza, anche in
rapporto alle altre caratteristiche specifiche
(doti fisiche,
qualità tecniche e tattiche, ecc.).
• Ad alto livello, appare indispensabile curare ogni dettaglio
della preparazione, incluso il supporto psicologico del mental
training.
• Nel tennis di vertice, molti coach si occupano direttamente
della gestione degli aspetti psicologici del giocatore.
4.2 Presentazione dello strumento
Per l’attuazione della ricerca è stato utilizzato come strumento
un’intervista, strutturata allo scopo di conoscere particolari dettagli
specifici riguardanti gli aspetti psicologici, e il mental training. Essa è
rivolta in egual modo a giocatori, e a coaches di alto livello.
L’intervista è composta da 11 quesiti a risposta aperta, in cui
l’intervistato è libero di esprimere la propria opinione e il proprio
punto di vista riguardo all’argomento in questione.
INTERVISTA
1) Quanta importanza ricoprono per Lei gli aspetti mentali
all’interno di un match?
2) Quali sono le componenti di natura mentale che dal Suo punto
di vista maggiormente influiscono all’interno della prestazione?
3) Utilizza strumenti o tecniche per la gestione o per la
preparazione delle suddette capacità mentali?
66
4) Quali tecniche e quali interventi?
5) In che modo si articola questo tipo di intervento?
6) Si avvale anche della consulenza di uno psicologo sportivo?
7) Secondo la Sua esperienza, come si pone il mental training
all’interno del binomio coach/giocatore?
8) Esiste un momento o una condizione particolare nella stagione
competitiva, in cui si avverte maggiormente l’esigenza di un
supporto psicologico?
9) Riesce a riscontrare benefici “oggettivi” dall’utilizzo di queste
tecniche?
10) Quali strumenti di valutazione ha a disposizione?
11) Volgendo lo sguardo a 360°, in che percentuale (o quantità) i
Suoi colleghi utilizzano tecniche di mental training?
4.3 Caratteristiche dei soggetti intervistati
L’intervista è stata somministrata a 30 soggetti, suddivisi in due
gruppi di giocatori ed allenatori che rappresentano in modo
emblematico l’attuale tennis di alto livello. Il primo gruppo è
composto da 10 giocatori che militano tra i top 200 della classifica
ATP, tra cui, per menzionarne qualcuno, Filippo Volandri, Potito
Starace, Uros Vico, ed altri; da 5 coaches che allenano giocatori dello
stesso livello, come Alberto Castellani, Fabrizio Fanucci, ecc..
Il secondo gruppo è composto da 10 giocatori che militano nel gradino
immediatamente al di sotto di quello dei precedenti, e che quindi
svolgono sia attività a livello nazionale, che a livello internazionale
67
ITF e ATP. La restante parte di intervistati del secondo gruppo è
costituita da 5 coaches che allenano giocatori di questo rango.
Le risposte dei soggetti intervistati verranno catalogate e classificate,
al fine di estrarne i dati numerici riguardanti: percentuale e media.
I
dati
numerici
raccolti
di
ogni
singolo
gruppo
saranno
successivamente messi a confronto all’interno di una tabella di
comparazione. Il passo finale della ricerca avverrà con il confronto dei
dati dei due gruppi messi in comparazione, al fine di comprenderne le
eventuali differenze da cui trarne gli aspetti salienti.
68
4.4 Elaborazione dei dati: tabelle e grafici
Domanda 1. Quanta importanza ricoprono per Lei gli aspetti
mentali all’interno di un match?
Quadro Complessivo
Risposta
Importanza maggiore delle altre componenti
Molta importanza
Importanza pari alle altre componenti
Importanza inferiore ad altre componenti
Totale %
7
23,34
7
23,34
14
46,66
2
6,66
30
100,00
Importanza
maggiore
Molta
importanza
Importanza
pari ad altri
fattori
Importanza
minore
Attribuendo inoltre alle risposte valori convenzionali da 1 a 4,
utilizzando la seguente scala
Risposta
Importanza maggiore delle altre componenti
Molta importanza
Importanza pari alle altre componenti
Importanza inferiore ad altre componenti
Valore
4
3
2
1
69
notiamo come la media delle risposte si attesti sul valore 2,6,
rilevando così che gli aspetti mentali ricoprono un’importanza elevata,
tendenzialmente
superiore
alle
altre
componenti
dell’attività
agonistica.
Gruppo 1
Risposta
Importanza maggiore delle altre componenti
Molta importanza
Importanza pari alle altre componenti
Importanza inferiore ad altre componenti
Totale
5
4
4
2
15
%
33,33
26,66
26,66
13,35
100,00
Importanza
maggiore
Molta
importanza
Importanza
pari ad altri
fattori
Importanza
minore
In questo caso, la media è 2,8, leggermente superiore al risultato
complessivo ottenuto prendendo in considerazione entrambi i gruppi.
Scomposizione del gruppo 1
Coach
4
0
0
1
5
%
80
0
0
50
Giocatori
1
4
4
1
10
%
20
100
100
50
Totale
100
100
100
100
70
100%
80%
60%
40%
Giocatori
20%
Coach
0%
Importanza
Molta
Importanza Importanza
maggiore importanza pari ad altri minore
fattori
Gruppo 2
Risposta
Importanza maggiore delle altre componenti
Molta importanza
Importanza pari alle altre componenti
Importanza inferiore ad altre componenti
Totale %
2
13,35
3
20,00
10
66,65
0
0,00
15
100,00
Importanza
maggiore
Molta
importanza
Importanza
pari ad altri
fattori
Importanza
minore
In questo ultimo caso, la media è 2,46, leggermente inferiore al
risultato complessivo ottenuto prendendo in considerazione entrambi i
gruppi.
71
Domanda 2. Quali sono le componenti di natura mentale che
dal Suo punto di vista maggiormente influiscono all’interno
della prestazione?
Quadro Complessivo
Risposta
Gestione delle emozioni e dell’ansia
La concentrazione durante il match
Spirito di sacrificio
Una combinazione delle componenti su elencate
Conoscenza e memorizzazione tecnico-tattica /
automatizzazione
Motivazione e sicurezza
Nessuna in particolare / tutte nella stessa misura
Equilibrio psico-fisico
Totale %
5
16,66
3
10,00
0
0,00
9
30,00
4
13,34
3
2
4
30
10,00
6,66
13,34
100,00
Gestione ansia
Concentrazione
Sacrificio
Una combinazione
Automatizzazione
Motivazione
Nessuna in particolare
Equilibrio
Notiamo che all’interno del quadro complessivo, il 30% degli
intervistati afferma che il tennista di alto livello necessita della
combinazione di più aspetti o caratteristiche di natura psicologica. La
gestione dell’ansia rappresenta, per il 16%, l’elemento di natura
mentale che ha maggiore rilevanza all’interno della prestazione.
72
Gruppo 1
1
2
3
4
5
6
7
8
Risposta
Gestione delle emozioni e dell’ansia
La concentrazione durante il match
Spirito di sacrificio
Una combinazione delle componenti
su elencate
Conoscenza e memorizzazione
tecnico-tattica / automatizzazione
Motivazione e sicurezza
Nessuna in particolare / tutte nella
stessa misura
Equilibrio psico-fisico
Totale %
3
20,00
0
0,00
0
0,00
4
26,67
3
20,00
2
2
13,33
13,33
1
15
6,67
100,00
Gestione ansia
Concentrazione
Sacrificio
Una combinazione
Automatizzazione
Motivazione
Nessuna in particolare
Equilibrio
All’interno del gruppo 1, il valore relativo a “combinazione di più
componenti” si mantiene al di sopra degli altri (26,67%). Grossa
importanza ricoprono per il gruppo 1 anche altri due aspetti: “gestione
dell’ansia” (20%), e “automatizzazione di schemi e strategie” (20%).
73
Scomposizione del gruppo 1
1
2
3
4
5
6
7
8
Coach
0
0
0
2
1
1
0
1
5
%
0
0
0
50
33
50
0
100
Giocatori
3
0
0
2
2
1
2
0
10
%
100
0
0
50
67
50
100
0
Totale
100
100
100
100
100
100
100
100
100%
80%
60%
Giocatori
40%
Coach
20%
0%
Gestione ansia
Una
combinazione
Automatizzazione
Motivazione
Nessuna in
particolare
Equilibrio
Il grafico mostra che, all’interno del gruppo 1, per i giocatori, la
gestione dell’ansia è l’elemento che spicca maggiormente (100%) nel
quadro generale, mentre per i coaches è lo stato di “equilibrio” ad
assumere lo stesso valore percentuale (100%).
74
Gruppo 2
Risposta
Gestione delle emozioni e dell’ansia
La concentrazione durante il match
Spirito di sacrificio
Una combinazione delle componenti su elencate
Conoscenza e memorizzazione tecnico-tattica /
automatizzazione
Motivazione e sicurezza
Nessuna in particolare / tutte nella stessa misura
Equilibrio psico-fisico
Totale %
2
13,33
3
20,00
0
0,00
5
33,33
1
6,67
1
0
3
15
6,67
0,00
20,00
100,00
Gestione ansia
Concentrazione
Sacrificio
Una combinazione
Automatizzazione
Motivazione
Nessuna in particolare
Equilibrio
La combinazione tra più componenti psicologiche (33,33%) risulta
essere la caratteristica preponderante anche per il gruppo 2.
Concentrazione (20%) ed equilibrio psico-fisico (20%) sono le altre
due componenti che spiccano maggiormente.
75
Domanda 3. Utilizza strumenti o tecniche per la gestione o per la
preparazione delle suddette capacità mentali?
Quadro Complessivo
Risposta
Sì, sempre
Sì, talvolta
Sì, in passato
No
Totale %
5
16,66
1
3,34
9
30,00
15
50,00
30
100,00
Sì, sempre
Sì, talvolta
Sì, in passato
No
La tabella ed il grafico mostrano con evidenza che il 50% degli
intervistati non ha mai utilizzato tecniche per la preparazione mentale,
il 30% ha provato questa esperienza soltanto per un periodo limitato
nel passato. Il 16,66% utilizza attualmente il mental training come
strumento di preparazione mentale.
Gruppo 1
Risposta
Sì, sempre
Sì, talvolta
Sì, in passato
No
Totale
2
1
6
6
15
%
13,33
6,67
40,00
40,00
100,00
76
Sì, sempre
Sì, talvolta
Sì, in passato
No
All’interno del gruppo 1 i valori percentuali in merito all’utilizzo o
meno del mental training rimangono del tutto simili. Da segnalare
soltanto il valore di coloro che hanno provato solo in passato il mental
training che aumenta al 40%.
Scomposizione del gruppo 1
Coach
1
1
0
3
5
%
50
100
0
50
Giocatori
1
0
6
3
10
%
50
0
100
50
Totale
100
100
100
100
77
100%
80%
60%
Giocatori
Coach
40%
20%
0%
Sì, sempre
Sì, talvolta
Sì, in passato
No
Nel gruppo 1, il 100% di coloro che utilizzano tecniche per la
gestione o per la preparazione degli aspetti psicologici è collocato
all’interno della categoria degli allenatori. Il 100% di coloro che
hanno provato in passato il mental training appartiene alla categoria
dei giocatori.
78
Gruppo 2
Risposta
Sì, sempre
Sì, talvolta
Sì, in passato
No
Totale %
3
20,00
0
0,00
3
20,00
9
60,00
15
100,00
Sì, sempre
Sì, talvolta
Sì, in passato
No
All’interno del gruppo 2, cresce del 20% il valore percentuale relativo
a coloro che non utilizzano tecniche di mental training (60%), rispetto
allo stesso valore del gruppo 1 (40%).
79
Domanda 4. Quali tecniche e quali interventi?
Quadro Complessivo
Risposta
Training autogeno
Tecniche di rilassamento e respirazione
Le tecniche suddette combinate al visual training
Una molteplicità di tecniche combinate
Dialogo / comunicazione
Meditazione / riflessione
Totale %
3
15,79
2
10,53
8
42,10
2
10,53
3
15,79
1
5,26
19
100,00
Training
autogeno
Rilassamento e
respirazione
Altre tecniche +
visual training
Combinazione
di tecniche
Comunicazione
Meditazione
Il protocollo di tecniche di mental training maggiormente diffuso tra
gli intervistati (42,10%) prevede l’utilizzo di tecniche di rilassamento,
training autogeno e visual training in aggiunta.
Gruppo 1
Risposta
Training autogeno
Tecniche di rilassamento e respirazione
Le tecniche suddette combinate al visual
training
Una molteplicità di tecniche combinate
Dialogo / comunicazione
Meditazione / riflessione
Totale
3
0
3
%
27,27
0,00
27,27
2
3
0
11
18,19
27,27
0,00
100,00
80
Training
autogeno
Rilassamento e
respirazione
Altre tecniche +
visual training
Combinazione
di tecniche
Comunicazione
Meditazione
All’interno del gruppo 1 risulta che il 27,27% degli intervistati
utilizza il training autogeno, il 27,27% basa tutta la propria gestione
mentale sulla comunicazione, e il 27,27% sceglie di utilizzare un
protocollo di tecniche (tecniche di rilassamento, training autogeno,
visual training).
Scomposizione del gruppo 1
Coach
0
0
0
1
2
0
3
%
0
0
50
66,7
-
Giocatori
3
0
3
1
1
0
8
%
100
100
50
33,3
-
Totale
100
100
100
100
-
81
100%
80%
60%
Giocatori
Coach
40%
20%
0%
Training autogeno
Altre tecniche +
visual training
Combinazione
tecniche
Comunicazione
Il grafico mostra come l’aspetto comunicativo abbia grossa rilevanza
per gli allenatori in modo particolare (66,7%).
Gruppo 2
Risposta
Training autogeno
Tecniche di rilassamento e respirazione
Le tecniche suddette combinate al visual
training
Una molteplicità di tecniche combinate
Dialogo / comunicazione
Meditazione / riflessione
Totale %
0
0,00
2
25,00
5
62,50
0
0
1
8
0,00
0,00
12,50
100,00
Training
autogeno
Rilassamento e
respirazione
Altre tecniche +
visual training
Combinazione
di tecniche
Comunicazione
Meditazione
Il 62,50% degli intervistati del gruppo 2 utilizza il protocollo di
tecniche di mental training sopra citato.
82
Domanda 6. Si avvale anche della consulenza di uno psicologo
sportivo?
Quadro Complessivo
Risposta
Sì, sempre
Sì, in modo saltuario
Sì, in passato
No
Totale %
6
21,43
2
7,14
8
28,57
12
42,86
28
100,00
Sì, sempre
Sì, talvolta
Sì, in passato
No
La fetta percentuale più cospicua è rappresentata da coloro che non si
avvalgono della consulenza dello psicologo (42,86%). Un numero
comunque consistente di intervistati, per la precisione il 28,57%, si è
avvalso di tale consulenza in periodi passati. Il 21,43% si avvale
attualmente della consulenza e del supporto dello psicologo.
83
Gruppo 1
Risposta
Sì, sempre
Sì, talvolta
Sì, in passato
No
Totale
3
1
5
5
14
%
21,43
7,15
35,71
35,71
100,00
Sì, sempre
Sì, talvolta
Sì, in passato
No
Il gruppo 1 è caratterizzato, a differenza del quadro generale, da
coloro che hanno avuto in passato l’aiuto dello psicologo (35,71%), e
da chi assolutamente non ha all’interno del proprio staff tecnico la
figura dello psicologo.
Scomposizione del gruppo 1
Coach
1
1
1
2
5
%
33,3
100
20
40
Giocatori
2
0
4
3
9
%
66,7
0
80
60
Totale
100
100
100
100
84
100%
80%
60%
Giocatori
Coach
40%
20%
0%
Sì, sempre
Sì, talvolta
Sì, in passato
No
Il grafico mostra che sono particolarmente gli allenatori a richiedere
saltuariamente l’aiuto dello psicologo (100% degli allenatori alla
risposta “sì, talvolta).
Gruppo 2
Risposta
Sì, sempre
Sì, talvolta
Sì, in passato
No
Totale %
3
21,43
1
7,15
3
21,43
7
49,99
14
100,00
Sì, sempre
Sì, talvolta
Sì, in passato
No
85
Nel gruppo 2 il dato numerico maggiore, 49,99% dei soggetti
intervistati, fa comunque riferimento a coloro che non hanno a
disposizione l’aiuto dello psicologo. Il 21,43% dispone di tale
supporto costantemente nella stagione agonistica, ed il 21,43% ne
ha usufruito soltanto in passato.
86
Domanda 8. Esiste un momento o una condizione particolare
nella stagione competitiva, in cui si avverte maggiormente
l’esigenza di un supporto psicologico?
Quadro Complessivo
Risposta
All’inizio della stagione dei tornei
Nell’ultima parte della stagione dei tornei
Dopo un infortunio o una sconfitta
Quando si è particolarmente in condizione di stress psico-fisico
Non esiste un momento particolare
Totale %
1
3,33
6
20,00
7
23,33
11
36,68
5
16,66
30
100,00
Inizio stagione
Fine stagione
Infortunio / Sconfitta
Stress
Nessun momento
particolare
Il 36,68% degli intervistati ritiene che i momenti di maggiore stress
rappresentino la condizione in cui si avverte l’esigenza di un supporto
psicologico.
Gruppo 1
Risposta
All’inizio della stagione dei tornei
Nell’ultima parte della stagione dei tornei
Dopo un infortunio o una sconfitta
Quando si è particolarmente in condizione di stress psico-fisico
Non esiste un momento particolare
Totale %
0
0,00
3
20,00
3
20,00
7
46,67
2
13,33
15
100,00
87
Inizio stagione
Fine stagione
Infortunio / Sconfitta
Stress
Nessun momento
particolare
Lo stress psico-fisico rappresenta per il 46,67% degli intervistati del
gruppo 1, il momento indicato per un supporto psicologico.
Scomposizione del gruppo 1
Coach
0
0
1
3
1
5
%
0
0
33,3
42,9
50
Giocatori
0
3
2
4
1
10
%
0
100
66,7
57,1
50
Totale
100
100
100
100
100%
80%
60%
Giocatori
40%
Coach
20%
0%
Inizio stagione
Fine stagione
Infortunio /
sconfitta
Stress
Nessun momento
particolare
A fine stagione il 100% dei giocatori sente la necessità di un aiuto
esterno dal punto di vista psicologico.
88
Gruppo 2
Risposta
All’inizio della stagione dei tornei
Nell’ultima parte della stagione dei tornei
Dopo un infortunio o una sconfitta
Quando si è particolarmente in condizione di stress psico-fisico
Non esiste un momento particolare
Totale %
1
6,68
3
20,00
4
26,66
4
26,66
3
20,00
15
100,00
Inizio stagione
Fine stagione
Infortunio / Sconfitta
Stress
Nessun momento
particolare
Dal gruppo 2 emerge un ulteriore punto di vista: il 26,66%
considera opportuno un supporto mentale negli attimi che seguono
particolari sconfitte, o nel recupero dagli infortuni fisici.
89
Domanda
9.
Riesce
a
riscontrare
benefici
“oggettivi”
dall’utilizzo di queste tecniche?
Quadro Complessivo
Risposta
Sì, maggiore sicurezza e positività
Sì, sollievo emozionale
Sì, sollievo dallo stress, migliore concentrazione
Sì, miglioramento in diversi aspetti
No
Totale %
6
25,00
1
4,16
2
8,33
6
25,00
9
37,51
24
100,00
Sicurezza
Sollievo emozionale
Maggiore
concentrazione
Miglioramento in
diversi aspetti
No
Il 37,51% nel quadro complessivo non riscontra nessun tipo di
beneficio dal mental training, mentre il 25% riscontra maggiore
sicurezza e positività.
90
Gruppo 1
Risposta
Sì, maggiore sicurezza e positività
Sì, sollievo emozionale
Sì, sollievo dallo stress, migliore concentrazione
Sì, miglioramento in diversi aspetti
No
Totale %
2
14,28
0
0,00
0
0,00
4
28,57
8
57,15
14
100,00
Sicurezza
Sollievo emozionale
Maggiore
concentrazione
Miglioramento in
diversi aspetti
No
Nel gruppo 1, il dato percentuale, in relazione a coloro che non
riscontrano nessun beneficio dall’utilizzo del mental training, assume
un connotato ulteriormente consistente, aumentando al 57,15%
rispetto al quadro generale.
Scomposizione del gruppo 1
Coach
1
0
0
2
1
4
%
50
0
0
50
12,5
Giocatori
1
0
0
2
7
10
%
50
0
0
50
87,5
Totale
100
100
100
91
100%
80%
60%
40%
Giocatori
20%
Coach
0%
Maggiore
sicurezza
Miglioramento
in diversi
aspetti
No
Il grafico relativo al gruppo 1, mostra con ulteriore chiarezza che
l’87,5% di chi non trova alcun beneficio dall’utilizzo di tali tecniche,
è relativo ai giocatori.
92
Gruppo 2
Risposta
Sì, maggiore sicurezza e positività
Sì, sollievo emozionale
Sì, sollievo dallo stress, migliore concentrazione
Sì, miglioramento in diversi aspetti
No
Totale %
4
40,00
1
10,00
2
20,00
2
20,00
1
10,00
10
100,00
Sicurezza
Sollievo emozionale
Maggiore
concentrazione
Miglioramento in
diversi aspetti
No
Il gruppo 2 differisce in modo marcato dal gruppo 1, in quanto ben il
40% degli intervistati di questo gruppo avverte un senso di maggiore
sicurezza e positività.
93
Domanda 11. Volgendo lo sguardo a 360°, in che percentuale (o
quantità) i Suoi colleghi utilizzano tecniche di mental training?
Quadro Complessivo
Risposta
Una larga maggioranza
Circa la metà
Una percentuale bassa
Minima parte (< 10 %)
Non saprei quantificare
Totale
12
2
12
2
2
%
40,00
6,66
40,00
6,67
6,67
100,00
Larga
maggioranza
Metà
Percentuale
bassa
Minima parte
Non saprei
Il dato numerico che fa riferimento alla diffusione o meno del mental
training nel tennis professionistico risulta essere contrastante: il 40%
degli intervistati afferma che una larga maggioranza dei giocatori del
circuito ne fa utilizzo, un altro 40% smentisce la prima ipotesi,
affermando che soltanto una piccola percentuale utilizza tecniche di
mental training.
94
Gruppo 1
Risposta
Una larga maggioranza
Circa la metà
Una percentuale bassa
Minima parte (< 10 %)
Non saprei quantificare
Totale %
6
40,00
1
6,66
6
40,00
1
6,67
1
6,67
15
100,00
Larga
maggioranza
Metà
Percentuale
bassa
Minima parte
Non saprei
Il gruppo 1 conferma in modo assolutamente preciso i dati percentuali
del quadro generale.
Scomposizione del gruppo 1
Coach
2
1
1
1
0
5
%
33,3
100
14,3
100
0
Giocatori
4
0
6
0
1
9
%
66,7
0
85,7
0
100
Totale
100
100
100
100
100
95
100%
80%
60%
Giocatori
40%
Coach
20%
0%
Larga
maggioranza
Percentuale
bassa
Non saprei
Gruppo 2
Risposta
Una larga maggioranza
Circa la metà
Una percentuale bassa
Minima parte (< 10 %)
Non saprei quantificare
Totale %
1
6,67
2
13,33
9
60,00
3
20,00
0
0,00
15
100,00
Larga
maggioranza
Metà
Percentuale
bassa
Minima parte
Non saprei
Nel gruppo 2 un numero maggiore di intervistati afferma che soltanto
una piccola percentuale di giocatori nel circuito internazionale utilizza
tecniche di preparazione mentale.
96
La decodifica delle svariate risposte ottenute dalle interviste conferma
soltanto una piccola parte delle ipotesi formulate inizialmente. In
modo specifico, si fa riferimento alla convinzione che gli aspetti di
natura mentale giocassero un ruolo di primaria importanza all’interno
della prestazione tennistica. Tutte le restanti supposizioni sono
risultate parzialmente confutate dalle risposte degli elementi
intervistati, riguardo all’utilizzo o meno di tecniche di mental training,
e riguardo all’eventuale intervento dello psicologo sportivo.
Questa parte finale pone il termine alla pura estrapolazione obiettiva
dei dati che effettivamente sono emersi dalle 30 interviste. Il seguente
capitolo è interamente dedicato all’interpretazione dei dati, attraverso
impressioni e commenti che rappresentano soltanto un punto di vista
da mettere in relazione a quello del lettore.
97
Conclusioni
Interpretazione dei dati. L’intervista risulta uno degli strumenti più
adeguati per compiere un’indagine approfondita su tematiche
particolarmente complesse da affrontare. Consente, infatti, di rilevare
l’opinione personale che il singolo individuo ha in merito
all’argomentazione trattata. In questo caso, attraverso i quesiti posti,
gli intervistati hanno avuto la possibilità di sviscerare le proprie
esperienze e impressioni riguardo a tutto ciò che è relativo alla
preparazione mentale applicata al tennis di alto livello. L’intervista
utilizzata per questa ricerca, è stata strutturata essenzialmente a tale
scopo. Ogni singolo quesito è stato formulato con l’intento di giungere
a tutti i soggetti interpellati, in modo chiaro, non invasivo, ed
assolutamente privo di ambiguità a livello interpretativo. Con questi
presupposti di base, è risultato maggiormente semplice per ogni
giocatore o allenatore intervistato compiere questo percorso di
autoanalisi e di introspezione, donando, come risultanza significativa
ed assolutamente emblematica, parte del loro bagaglio socio-culturale.
La condivisione delle idee, delle problematiche, dei sistemi di
programmazione
dell’attività,
consente
potenzialmente
di
comprendere i sottili processi che regolano gli equilibri psico-fisici dei
giocatori di alto livello, e di conseguenza, dona la chance
all’allenatore che si trova in fase di formazione, di vivere, anche se in
modo riflesso, l’avvincente realtà del tennis di vertice. L’insieme
delle
risposte
ottenute,
contenute
totalmente
all’interno
di
un’appendice posta a fine project work, necessita inizialmente di una
98
prima analisi, attraverso una lettura approfondita, dei testi delle
interviste.
Uno dei punti salienti dell’intero project work è il confronto fra i due
gruppi di giocatori e allenatori intervistati. Essi rappresentano in modo
certamente emblematico i due gradini finali della lunga scala, che ha
come punto di partenza la propria nascita tennistica, il momento in cui
si gioca per la prima volta, ed appunto, come passo finale (ma non
conclusivo) il professionismo, sia che si tratti di un giocatore che di un
allenatore.
Tra i due gruppi esistono delle sostanziali differenze che risulta
inevitabile
prendere
disuguaglianza
tra
in
considerazione.
queste
due
La
categorie
prima
risulta
oggettiva
di
facile
individuazione, ma non di semplice lettura. I componenti del gruppo 1
fanno del professionismo il loro mezzo di sostentamento, rispetto ai
membri del gruppo 2, per i quali il sostentamento non deriva
dall’attività di competizioni. Questa circostanza appena descritta pone
in una condizione di favore la categoria dei professionisti, i quali
hanno probabilmente un’ulteriore motivazione di natura esterna che
possa spingerli alla ricerca della “massima prestazione”, e di
conseguenza, della cura di tutti gli aspetti, più o meno rilevanti, che la
compongono, tra cui quelli mentali. Il gruppo 2 contiene invece al suo
interno giocatori e allenatori che ambiscono ed aspirano al
professionismo, ma che al momento vedono la proporzione del
proprio investimento inferiore rispetto ai benefici ricavati. Questo
status potrebbe produrre maggiori difficoltà e svantaggi nell’ottica di
un quadro generale di attività agonistica, sia in termini economici che
in termini organizzativi.
99
Già inizialmente, dopo una prima lettura delle varie interviste, dalle
impressioni ricevute, era riscontrabile una discordanza tra le ipotesi
iniziali in rapporto ad alcune sorprendenti dichiarazioni. I dati
percentuali hanno confermato l’iniziale senso di dissonanza, chiarendo
il ruolo che talvolta ricopre la psicologia dello sport nel tennis di alto
livello, in alcuni casi, al di là delle rispettive motivazioni, del tutto
marginale rispetto alle altre componenti di cui ci si prende cura sia nel
periodo di preparazione che durante l’attività di competizioni.
Dopo la successiva elaborazione in dati numerici del nucleo delle
dichiarazioni, al di là di chiari risultati, emerge lo spunto per nuove
ed ulteriori riflessioni che verranno affrontate nel seguente paragrafo.
In alcuni punti in particolare sono emersi dati interessanti su cui poter
esprimere ulteriori impressioni, e sono i seguenti:
• Il 100% degli intervistati ritiene che gli aspetti di natura
psicologica hanno molta importanza, ed in particolare, il
93,44% sostiene che tali aspetti hanno maggiore importanza
rispetto a tutte le altre qualità o caratteristiche.
Il dato sopra riportato appare assolutamente ben definito. Risulta,
quindi, interessante correlare le cifre sopra citate con il seguente dato:
• Il 50% dei soggetti non utilizza nessun tipo di tecnica di mental
training, ed inoltre un ulteriore 30% ha utilizzato tecniche di
preparazione mentale soltanto per un periodo del passato.
Alla luce di entrambe le cifre percentuali, è ragionevole domandarsi
come mai, se si ritiene che gli aspetti mentali siano così importanti,
100
abbiano assoluta priorità all’interno della preparazione e dell’attività
tutt’ altri aspetti. La motivazione relativa a questo rapporto di
correlazione negativa potrebbe dipendere sia dalla mancanza di
conoscenze sul mental training, maggiormente da parte dei coaches,
sia dalla difficoltà di attuazione di tali tecniche, particolarmente da
parte dei giocatori, a causa dei costi, e del poco tempo a disposizione.
Un ulteriore spunto di riflessione scaturisce dall’osservazione della
tabella relativa alle tecniche di mental training utilizzate:
• Il 42% dei soggetti utilizza un protocollo di preparazione
mentale composto da tecniche di rilassamento, training
autogeno, e visual training.
• Il 15,79% utilizza soltanto il training autogeno.
• Il 10,53% adopera tecniche di rilassamento e respirazione
• Il 15,79% si affida al dialogo e alla comunicazione.
Le cifre percentuali sopra elencate forniscono la testimonianza su
quali possano essere le tecniche di mental training maggiormente
utilizzate. Una ulteriore impressione che scaturisce dall’osservazione
di questi dati, è che probabilmente la proposta di preparazione mentale
possa risultare troppo standardizzata, soprattutto in relazione
all’unicità dell’individuo, il quale necessita sicuramente di uno
screening diagnostico accurato, al solo scopo di fornirgli il giusto
supporto dal punto di vista mentale, attraverso il più giusto protocollo
di tecniche. L’impressione ricevuta è che talvolta, le tecniche
precedentemente citate, possano essere somministrate con troppo
semplicismo, e spesso, col solo intento di proporre un’innovazione,
101
senza
badare
minimamente
all’eventuale
efficacia.
Risulta
emblematica la testimonianza di coloro che hanno vissuto soltanto una
breve esperienza di mental training in passato (30% dei soggetti
intervistati), che nella maggioranza dei casi ha abbandonato tale
pratica a causa della scarsità di risultati e benefici ottenuti.
Il
successivo
punto
saliente
che
necessita
un
ulteriore
approfondimento riguarda la seguente questione:
• Il 21,43% dei soggetti intervistati si avvale del supporto o della
consulenza dello psicologo
Questo dato percentuale si pone in contrasto con il 42,86% relativo a
coloro che non utilizzano tale aiuto.
Le cifre percentuali sopra citate consentono di ipotizzare che in molti
casi la gestione delle componenti psicologiche resta nel binomio
coach/giocatore, spesso affidata al coach stesso, senza passare
attraverso la specifica competenza dello psicologo sportivo.
Al di là dei dati che riguardano il quadro generale degli intervistati, è
interessante evidenziare le differenze di opinione e di comportamento
che esistono tra i due diversi gruppi di giocatori e coaches messi a
confronto.
Le differenze maggiormente rilevanti tra i due gruppi risiedono
nell’utilizzo o meno di tecniche per la preparazione mentale:
• Nel gruppo 1, il 60% (13,33% sempre, 6,67% talvolta, 40% in
passato) utilizza, o ha utilizzato tali tecniche.
• Nel gruppo 2, soltanto il 40% (20% sempre, 20% in passato)
adopera, o ha adoperato mental training.
102
Molto probabilmente la diversità risiede anche nelle difficoltà
economiche ed organizzative, in relazione al gruppo 2, nell’attuare un
programma di preparazione mentale.
Una successiva importante differenza tra i due gruppi riguarda la
consulenza o meno dello psicologo nell’attuare il mental training:
• Nel gruppo 1, solo il 35,71% non si avvale di questo supporto.
• Nel gruppo 2, il 49,99% non è supportato dalla consulenza
dello psicologo.
I motivi che originano questa ulteriore diversità tra i due gruppi di
intervistati si basano (presumibilmente) sulle stesse argomentazioni
del precedente punto, cioè su problematiche economiche e di
programmazione.
Chiaramente il project work da noi redatto evidenzia principalmente la
situazione relativa al mental training nell’ambito del territorio
nazionale, ma risulterebbe di sicuro altrettanto interessante il
confronto, o la semplice comparazione, dei dati raccolti in queste
pagine, con la realtà tennistica di altre nazioni, ed in particolare di
quelle che attualmente hanno un numero consistente di giocatori nei
top 100 ATP o WTA. L’attenta osservazione dei modelli di
prestazione che riscontrano successo oggettivo, analizzandone i
singoli dettagli che ne garantiscono tale qualità, risulterebbe di
assoluta importanza, non nel tentativo di emulare le stesse gesta dei
103
giocatori in questione, che provengono da contesti socio-culturali,
probabilmente, troppo differenti dal nostro. La reale utilità
risiederebbe nella comprensione delle dinamiche, e dei meccanismi
che consentono di ottenere tali risultati.
Alla luce di tutti i risultati emersi dalla ricerca, e grazie anche alla
successiva interpretazione dei dati effettuata, è stato possibile dedurre
interessanti conclusioni.
Premettendo che i 30 soggetti intervistati rappresentano un campione
molto rappresentativo dal punto di vista qualitativo, e meno dal punto
di vista quantitativo, trattandosi di elite tennistica, è possibile
affermare che, nonostante gli aspetti di natura mentale sembrino
ricoprire un’importanza rilevante, non tutti i giocatori ed allenatori ne
hanno particolare cura attraverso l’utilizzo del mental training. Dalla
ricerca è emerso che buona parte di essi si basa sulla propria
esperienza, di giocatore o di allenatore, per gestire al meglio tutti
quegli aspetti che riguardano la psiche. In alcuni casi è emersa scarsa
fiducia nella psicologia dello sport, perché si è portati a soffermarsi su
“credenze
popolari”
in
riferimento
all’argomento,
ignorando
completamente la scientificità della materia e le molteplici possibilità
applicative nel tennis.
Talvolta le motivazioni, che spingono allenatori e giocatori ad
ignorare la preparazione mentale, vanno ricercate a livello di
organizzazione.
Nell’affermare ciò, si fa riferimento a tutte quelle problematiche e
difficoltà che si possono incontrare se si decide di includere un
protocollo di mental training
all’interno del programma di
preparazione e di attività.
104
In Italia, è nostra impressione, che non vi siano una grossa quantità di
strutture sportive sufficientemente capienti ed economicamente ricche
per supportare la consulenza di uno psicologo sportivo. In alcuni casi,
inoltre, subentrano politiche gestionali, all’interno delle suddette
strutture, che non favoriscono gli investimenti sul tennis agonistico, in
particolar modo se si tratta di alto livello. In questa rappresentazione
generale non del tutto positiva, il ruolo di “agnello sacrificale”, fra
tutti gli aspetti che sono implicati all’interno del quadro gestionale di
una struttura, spetta alla psicologia sportiva e alle relative tecniche,
che appaiono maggiormente sacrificabili rispetto a questioni valutate
come più pratiche e redditizie. Se questa impressione rispecchiasse
anche parzialmente la realtà, si tradurrebbe il tutto a svantaggio in
primo luogo dei giocatori, posti di fronte al bivio decisionale che li
pone: o di fronte ad ulteriori e consistenti spese, o alla rinuncia di un
qualcosa che loro stessi (vedi i dati scaturiti dalle interviste) ritengono
sia importante. Tutti gli allenatori, inoltre, sensibili alla tematica del
mental training, dovrebbero addossarsi l’onere relativo alla gestione
degli aspetti psicologici dei propri atleti, in molti casi, pur non
essendone sufficientemente preparati, sia a livello culturale che a
livello organizzativo.
È ragionevole pensare, inoltre, in rapporto a queste impressioni, che
si potrebbe intervenire anche nella formazione dei futuri coaches. In
particolare, basando questa ipotesi anche sulle preziose dichiarazioni
degli allenatori intervistati, potrebbe risultare utile potenziare, nel
periodo di formazione dell’allenatore, la proposta riguardo la
psicologia dello sport e il mental training, ed inoltre approfondire tutti
gli aspetti che riguardano la comunicazione.
105
Con l’aggiunta di queste utili e pratiche nozioni, unite alle capacità
tecniche e all’esperienza di gioco, gli allenatori avrebbero la
possibilità di seguire e supportare a tutto tondo il giocatore. Ciò non
significa che l’allenatore debba occuparsi praticamente di tutti gli
aspetti della preparazione dell’atleta, ma che debba avere l’esperienza
e la cultura necessaria a valutare sempre al meglio le molteplici
situazioni che si presentano, al fine di gestire e guidare in modo
efficiente l’attività del tennista di alto livello.
La conclusione finale di questo project work, pone a confronto le
nostre supposizioni ed ipotesi iniziali, con le preziose dichiarazioni dei
soggetti nelle rispettive interviste, e i dati da esse estrapolati.
1. Gli aspetti di natura psicologica, all’interno della prestazione
ad alto livello, sono di grande importanza.
Questo primo punto evidenzia che, all’interno di uno sport di
situazione come il tennis, in cui gli aspetti tecnico-tattici sono intrisi
dalla componente emotiva, la mente gioca un ruolo di primaria
importanza.
2. Una parte più o meno consistente di coaches e giocatori di alto
livello non utilizza nessun tipo di tecnica di preparazione
mentale.
A causa di svariate motivazioni, in molte situazioni, si ricorre alla
semplice esperienza “del campo”, anche per quanto riguarda la
gestione delle situazioni di natura psicologica, sia da parte dei
coaches, che da parte dei giocatori.
106
3. Le tecniche di mental training che appaiono più utilizzate nel
tennis di alto livello sono: tecniche di rilassamento, training
autogeno, visual training.
Il quadro generale dei dati ottenuti dalle interviste mostra un utilizzo
abbastanza standardizzato delle tecniche rivolte alla preparazione
mentale, probabilmente a causa della scarsità di conoscenze in
materia, da parte dei coaches, o altrimenti, a causa delle difficoltà
organizzative nell’applicare un protocollo di mental training
all’interno della struttura sportiva.
4. Molti giocatori ed allenatori, nel tennis di vertice, non si
avvalgono della consulenza dello psicologo sportivo.
Chiaramente, tutte le problematiche e le difficoltà citate nei
precedenti punti si ripercuotono anche in relazione alla scelta
dell’utilizzo o meno, nella propria preparazione, della consulenza
dello psicologo sportivo.
La risoluzione conclusiva del nostro lavoro, pone, in modo analitico, il
lettore di fronte alla profonda riflessione riguardo ad una tematica di
così complessa esplicazione.
Il nostro intento, attraverso questo percorso culturale, non risiede nella
prescrizione di soluzioni o rimedi “certi” per curare i mali del tennis
moderno, ma nell’idea che la formazione, sia che si tratti di un
giocatore o di un allenatore, sia un processo di continua e crescente
evoluzione.
107
Appendice
Interviste gruppo 1
Intervista – Accardo Alessandro
Class. Ita. 2/1 - Best ranking ATP 418 sing. – 490 doppio
1. Gli
aspetti
di
natura
mentale
rivestono
un’importanza
fondamentale, ma, secondo me, il livello del giocatore è
strettamente correlato con le sue qualità tecniche e fisiche.
2. Gestire lo stress e le emozioni durante il match, anche nelle
situazioni di punteggio più delicate.
3. Soltanto per un breve periodo
4. Training autogeno.
5. Ho utilizzato questa tecnica nel periodo di preparazione con
l’obiettivo (mai raggiunto per mancanza di pratica) di
riutilizzarla prima del match.
6. No, attualmente è l’allenatore a gestire anche gli aspetti
psicologici attraverso la sua esperienza.
7. Credo che coach e giocatore raggiungano una capacità di
comunicazione che sfiora la “telepatia”, nel senso che dopo un
certo periodo trascorso assieme si è in grado di comunicare
sensazioni, emozioni, pensieri in genere senza nemmeno
utilizzare parole. Partendo da questa considerazione risulta
chiaro che è il coach a comprendere e gestire gli aspetti mentali.
8. L’ultima parte della stagione rappresenta per me il momento più
critico, in cui sono spesso sotto stress.
9. In relazione a quella breve esperienza di mental training, nessun
beneficio in particolare.
10.
No.
11.
Esiste una percentuale di giocatori che si cimenta col
mental training.
Intervista – Castellani Alberto - coach
1. Ti rispondo con il sondaggio da me fatto su 30 giocatori
classificati top 100 e altrettanti coach di giocatori top 100: per
quasi tutti l'aspetto mentale è il più importante dei tre: fisico,
tecnico e mentale.
42% mentale, 32% fisico, 26% tecnico. Ho relazionato questi dati in
Francese, all’Insep a Parigi, alcuni anni fa, al “Congresso Mondiale
di Psicologia dello Sport”. Il paradosso è che pur riscontrando
maggiore importanza al mentale, alla domanda successiva rivolta ai
giocatori su che cosa facessero per allenare gli aspetti psicologici,
tutti o quasi, salvo pochissime eccezioni, hanno risposto “nulla, o,
quasi nulla”!!!
Si possono trarne direttamente le conseguenze.
2. Dipende dai giocatori, statisticamente sono: il controllo dell’ansia
prima di un match, e la concentrazione durante il match; ma qui il
problema diviene filosofico: il 99% degli allenatori non conosce il
significato di concentrazione, e non ha un’ idea, insieme ai giocatori,
di come si alleni la concentrazione. Se si considera un campione di 10
giocatori e 10 allenatori, e si chiede loro cosa vuol dire
concentrazione, si otterranno 20 risposte diverse. Da qui, nasce
l’esigenza di dare una definizione precisa e scientifica al termine
“concentrazione”.
Allo stato attuale, se un allenatore dice al suo giocatore durante un
match ”concentrati!", rischia di metterlo seriamente in confusione in
quanto nessuno dei due sa cosa significhi.
3. Sì, ovviamente.
4. Tecniche di rilassamento, visualizzazioni polisensoriali, tecniche di
intervento brevi, tecniche di gruppo, bioenergetica, counseling, analisi
transazionale, colloquio, psicodramma, etc..
5. Tutti i giorni le tecniche di base seguendo programmi
personalizzati, alternando le altre tecniche quando ritengo necessario,
e quando richiesto dal piano di intervento.
6 . Sì.
7. É fondamentale per la crescita personale del giocatore, per quella
dell’allenatore e per la relazione fra i due.
8. Sì, dopo le sconfitte.
9. Sì, ovviamente.
10. Esistono dei questionari valutativi che utilizzo di tanto in tanto, ma
il miglior riscontro positivo, e valutativo in generale sul lavoro
fatto, è fornito dai vissuti, e dal feedback del giocatore stesso.
11. Il 5 % , e moltissimi, non per altro, questa è la follia e il paradosso
del tennis mondiale.
Intervista – Cerovic Ivan (CRO)
Best ranking ATP 303 sing. – 228 doppio
1. Molta importanza, ad alto livello la stessa che ricoprono gli altri
aspetti più specifici.
2. La capacità di gestire le situazioni difficili, le emozioni e lo
stress.
3. No.
4. …
5. …
6. …
7. Risulterebbe utile che l’allenatore abbia competenza anche
nell’ambito psicologico.
8. Nei periodi in cui ho più tornei, e quindi più matches.
9. Il massimo beneficio lo riscontro quando riesco a superare delle
situazioni difficili, ed esco dall’esperienza maggiormente
rafforzato.
10.
Valuto continuamente ed attentamente le mie prestazioni,
in allenamento ed in gara, così da trarne gli elementi per
migliorare ulteriormente.
11.
Non molti giocatori utilizzano queste tecniche.
Intervista - Fanucci Fabrizio - coach
1. Ad alto livello contano maggiormente altri fattori, che
determinano la qualità e il conseguente livello del giocatore. La
componente mentale risulta più importante nel periodo in cui il
giocatore si sta formando sia dal punto di vista tecnico, che dal
punto di vista temperamentale.
2. Non una in particolare, ma il giusto equilibrio fra tutte.
3. Si, ma non in modo continuo. Ricerco questo tipo di aiuto in
presenza di qualche ostacolo da superare.
4. Soprattutto attraverso la comunicazione, il dialogo, risolvo le
difficili problematiche di natura psicologica.
5. …
6. Si, in modo saltuario. Come dicevo prima, ricorro alla
consulenza dello psicologo in presenza di una barriera da
superare.
7. Il mental training può essere d’aiuto, ma quando il rapporto è
profondo e duraturo, è bene provare a capirsi attraverso il
dialogo.
8. Non un momento in particolare, e soprattutto non lo stesso per
tutti. Ogni giocatore vive in periodi disparati della stagione, dei
momenti di difficoltà in cui potrebbe sentire questo tipo di
esigenza.
9. Lo sblocco delle situazioni in stallo.
10.
No, nessuno a parte l’esperienza.
11.
C’è una parte che ne fa utilizzo. Non tutti i progetti sul
mental training hanno buoni sviluppi finali.
Intervista – Giorgini Daniele
Class. Ita. 2/1 - best ranking ATP 293 sing. - 143 doppio
1. Molta importanza a tutti i livelli di gioco. Probabilmente in
modo più differente e raffinato in relazione al tennis di alto
livello.
2. Mantenere un alto livello di concentrazione, ed essere in grado
di dominare e gestire le emozioni.
3. Non attualmente. Fino a pochi anni fa utilizzavo un protocollo
di tecniche di mental training.
4. Tecniche di rilassamento e respirazione, training autogeno, e
sporadicamente visual training.
5. Una prima fase del periodo di mental training era dedicata
all’apprendimento delle tecniche. La successiva fase ne vedeva
l’utilizzo anche dopo l’allenamento in campo ed in vista dei
tornei.
6. Soltanto in quel periodo.
7. Mi piace pensare che il mio allenatore possa capirmi, al fine di
gestire anche tutti quei dettagli di natura psicologica.
8. La sconfitta è l’elemento che può mettere a nudo una qualsiasi
difficoltà, e che può far sorgere questo tipo di esigenza.
9. In passato, nulla in particolare.
10.
No.
11.
Una piccola parte.
Intervista - Mosè Navarra - coach
1. Gli aspetti mentali sicuramente fanno la differenza, la convinzione
dei propri mezzi è fondamentale nel tennis e in tutti gli altri sport.
2. La sicurezza, la capacità di cavarsela con i propri mezzi. In un anno
saranno 10 le partite dove va tutto bene, giochi bene e non ci sono
problemi. È nelle altre 60, 70 partite, dove non giochi al 100% che
devi essere convinto dei tuoi mezzi e devi essere pronto a reagire.
3. Strumenti purtroppo no, mi piacerebbe usare tecniche di mental
training o ricevere l’aiuto di uno psicologo.Quando sono stato
convocato in coppa Davis, ho potuto trarre benefici dall’aiuto di uno
psicologo, con una figura di questo tipo si ha la possibilità di sfogarsi,
anche per molti ragazzi sarebbe utile riuscire a sfogarsi. Io cerco di
trasmettere ai ragazzi le mie esperienze di giocatore professionista,
conosco le pressioni a cui si è sottoposti; cerco di far capire ai ragazzi
che bisogna conoscersi, bisogna conoscere i propri limiti e le proprie
potenzialità.
4. Ne abbiamo già parlato
5. Io lavoro sia in campo che fuori dal campo. Per esempio, quando ci
sono partite in televisione faccio notare ai ragazzi come si comportano
i professionisti, quali sono i loro atteggiamenti. Io ho lavorato molto
con ragazzi indiani e ho notato grosse differenze con gli italiani:
vengono da mondi completamente diversi. Ho notato che i ragazzi
italiani non sanno soffrire mentalmente, quando vanno in fatica non
riescono a essere lucidi, ad analizzare le situazioni. Io cerco di fargli
capire l’errore , di renderli autonomi in tutte le situazioni.
6. Purtroppo no , qui in accademia ne abbiamo uno ma non è uno
psicologo sportivo, sarebbe utile, sarebbe molto utile.
7. Io ho avuto la fortuna di allenare professionisti: Bhupati che era
numero uno nel doppio, Mirny che era 18° nel singolo, con questi
giocatori si parla solo di psicologia, per loro la condizione per rendere
è avere una grossa autostima, una grande sicurezza nei propri mezzi.
A volte dopo alcune sconfitte questa fiducia viene meno e il coach non
deve certo intervenire sul gioco, ma aiutarli a ritrovare quella fiducia e
quella sicurezza.
8. Può essere durante il periodo di allenamento quando il giocatore
sente molta stanchezza, oppure durante le gare dove si è di più sotto
stress; dipende molto dall’individuo e soprattutto dai risultati. Se tutto
va bene non serve alcun sostegno, se il giocatore perde 5 o 6 volte al
primo turno allora tutto diventa più difficile.
9. Sì le ho provate su me stesso, soprattutto quando giocavo in coppa
Davis, si lavorava molto in gruppo. Credo però che uno psicologo
serva soprattutto per i ragazzi, perchè sono in una fase di crescita e se
aiutati al momento giusto sicuramente tale apporto influirà sulla loro
carriera. Se aiutati nel modo giusto a costruire l'autostima e la fiducia
in se stessi saranno pronti ad affrontare in futuro qualsiasi tipo di
difficoltà.
10. Le mie capacità e la mia esperienza.
11. A livello professionistico tutti.
Intervista - Antonio Padovani - coach
1. Ricoprono, secondo me, molta importanza, non soltanto
osservando i singoli momenti o le singole prestazioni, ma in
relazione all’intera carriera. Le componenti di natura psicologica
rappresentano la differenza qualitativa, nel tennis di alto livello,
riscontrabile specialmente in giocatori che hanno una spiccata
“attitudine alla vittoria”.
2. Nella fase di formazione o preparazione è importante la
“conoscenza”,
ossia
l’apprendere
e
la
successiva
“memorizzazione”. Questi due passaggi sono fondamentali per
realizzare il processo di automatizzazione che consente al
giocatore di risolvere problematiche di gioco nel modo più
rapido ed efficace possibile. Un’altra componente che risulta
molto correlata al match è la capacità di gestire la tensione. In
conclusione, ritengo che le qualità o i difetti dal punto di vista
mentale facciano parte delle caratteristiche individuali del
giocatore stesso, e come le altre caratteristiche siano allenabili,
anche se in piccola percentuale.
3. Per la preparazione dei giocatori che alleno mi affido molto alla
mia esperienza e alla mia sensibilità, quindi, non un vero
protocollo di tecniche.
4. Particolare attenzione è rivolta alla comunicazione. Utilizzo
tecniche per incrementare il livello di attenzione, e spesso faccio
ascoltare musica ai giocatori durante gli allenamenti.
5. Considero di importanza fondamentale la chiave comunicativa
che si sceglie di utilizzare, che deve necessariamente variare a
seconda dell’individuo con cui ci si rapporta. Nell’osservare le
attitudini psicologiche di un giocatore, credo che si debba partire
dal concetto di lateralità con cui esse sono strettamente
correlate, verificando la dominanza dei principali distretti
corporei. Mi piace inoltre introdurre la musica (a scelta del
giocatore stesso) all’interno di alcune sedute d’allenamento,
proprio per esaltare il processo di automatizzazione sopra citato.
Le tecniche per l’incremento del livello di attenzione sono più
importanti nella fase di apprendimento.
6. No, non mi avvalgo di alcuna consulenza. L’intervento di uno
psicologo può essere importante se ci si trova di fronte a casi di
natura patologica.
7. Nel
mio
caso,
la
gestione
(mentale,
tecnico-tattica
e
organizzativa) è favorita dal tipo di rapporto che tento di
instaurare col giocatore. In genere, alla base del rapporto
coach/giocatore c’è la credibilità dell’ uomo-allenatore, fatta di
cultura ed esperienza. Lo scambio all’interno del binomio deve
necessariamente essere reciproco.
8. Ad alto livello noto una stretta correlazione tra il numero di
partite perse ed i livelli di stress, tensione o perdita di autostima.
Non c’è, quindi, per un giocatore di vertice un momento in
particolare nella stagione. La scelta e la programmazione dei
tornei può risultare lo strumento attraverso cui è possibile dare il
giusto slancio all’atleta.
9. Osservando in passato progetti di preparazione mentale non ho
mai riscontrato particolari risultati o benefici. L’approccio che
utilizzo, non di stampo puramente psicologico, mi ha dato fino
ad oggi dei buoni risultati.
10. No
11. Non molti utilizzano in modo particolare dei protocolli di
mental training. Ho osservato che gli investimenti in questo campo
non sono sempre effettuati nel modo giusto, sfavorendo in primo
luogo il giocatore, poi il professionista che fornisce la consulenza,
ed i risultati spesso sono scarsi, o del tutto impercettibili.
Intervista – Pastorino Antonio (ARG)
Class. Ita. 2/1 - best ranking ATP 239 sing. – 485 doppio
1. Molta importanza. Le qualità mentali possono evidenziare ed
esaltare le altre caratteristiche.
2. Tutte
le
componenti
concentrazione,
che
gestione
esaltano
delle
gli
emozioni,
aspetti
tattici:
ecc..
Queste
caratteristiche sono più evidenti ad alto livello.
3. Attualmente vivo autonomamente la mia attività, senza
avvalermi di alcuna consulenza o collaborazione, ma negli anni
passati ho partecipato ad alcuni progetti con la federazione
argentina che includevano la preparazione mentale.
4. L’attività era totalmente improntata sul training autogeno.
5. Apprendevamo questo tipo di tecnica con l’aiuto dello
psicologo.
6. Attualmente no.
7. Il giocatore che ha raggiunto la maturità e l’equilibrio psicofisico può assolutamente essere in grado di auto-gestirsi. Non
credo quindi che sia una cosa indispensabile.
8. Quando avverto la sensazione di essere sovraccarico di attività,
e di conseguenza di stress.
9. No.
10.
No.
11.
Pochi giocatori utilizzano mental training.
Intervista – Giancarlo Petrazzuolo
Best ranking ATP 308 sing. – 212 doppio
1. In uno sport come il tennis, direi che sono fondamentali sia nei
momenti cruciali di un match sia nella gestione dell’intera partita.
2. Sicuramente: la tensione, l’emotività, l’insicurezza, la voglia di far
bene.
3.
No,
cerco
solo
di
gestirle
nei
migliori
dei
modi.
4.....
5.....
6. No, solo parlare con il coach preparando bene la partita, in modo da
avere
maggiore
sicurezza
in
campo.
7. Direi che è un altro punto fondamentale l’avere fiducia nel proprio
allenatore, condividere le stesse idee sia tecniche che tattiche aiuta ad
essere tranquilli, e favorisce la concentrazione esclusivamente sul
match senza creare ulteriori tensioni. E poi il primo a dare fiducia e
motivazione al giocatore deve necessariamente essere il coach stesso.
8. Certamente. Con il passare dei mesi, ed al calare della condizione
fisica bisogna reclutare più energie psichiche, perciò una buona
condizione mentale aiuta certamente, e poi, anche nel caso che i
risultati non siano positivi, un aiuto mentale diventa indispensabile.
9.No,
purtroppo
non
riesco
a
riscontrarne.
10.....
11. In Italia non c’è largo utilizzo di mental training, sono pochi i
giocatori che si avvalgono di questo tipo di preparazione, ed anche in
caso positivo, solo per brevi periodi di tempo.
Intervista – Rianna Umberto - coach
1. Un’importanza cruciale. Ad alto livello, tutti giocano bene, tutti
hanno un enorme bagaglio sia dal punto di vista fisico che
tecnico. Le doti mentali consentono al buon giocatore di fare il
salto di qualità, e farlo diventare un giocatore di alto livello.
2. La capacità di “gestire”: risorse energetiche, emozioni e stress,
situazioni specifiche di gioco. I giocatori più forti, che hanno
continuità nelle prestazioni sono assolutamente in grado di
gestire tutti questi aspetti.
3. Ho assistito, nel corso degli anni, all’evoluzione delle tecniche
di mental training, ed oggi anche basandomi su questo bagaglio
di esperienza, sono molto attento a leggere ed interpretare le
situazioni che si presentano. Non utilizzo nessun tipo di tecnica,
ma attraverso il dialogo, l’esperienza, ed il buon senso cerco di
indirizzare i giocatori che seguo verso la direzione più giusta.
4. …
5. L’approccio che utilizzo per gestire il giocatore anche dal punto
di vista psicologico si basa in larga parte sulla capacità di
comunicare. Dopo un po’ di tempo, essa diviene una
componente reciproca, attraverso la quale ci si riesce a
trasmettere in modo rapido e preciso le informazioni utili alla
ricerca della migliore prestazione.
6. In passato mi sono avvalso della consulenza di uno psicologo.
7. La gestione degli aspetti psicologici è un qualcosa che il
giocatore e il suo allenatore condividono in modo equo anche se
differente.
8. Avverto questa maggiore esigenza nei passaggi critici della
stagione: quando ci sono molti tornei, o quando si è reduci da un
ciclo non positivo.
9. Non posso rispondere in maniere diretta, ma secondo ciò che ho
visto i benefici nascono soltanto se il lavoro di preparazione
mentale è continuo nella stagione, e se il giocatore ha piena
fiducia su ciò che fa.
10.
No.
11.
Frequentemente, ma soltanto alcuni progetti di mental
training sono validi dal mio punto di vista.
Intervista – St
Starace Potito
Best ranking ATP 28 sing. – 68 doppio
1. Molta importanza, per me la componente “mente” rappresenta
lo slancio che ti consente di superare l’ostacolo, l’elemento che
può metterti, nel corso di un match combattuto, nella condizione
di avere la meglio sull’avversario.
2. Non vedo una o più componenti più importanti sulle altre,
secondo me la giusta combinazione tra esse può rappresentare la
ricetta vincente. Al di là delle singole componenti il giusto
equilibrio “mente-corpo” è la chiave attraverso cui sento piena
fiducia in me e nei miei mezzi.
3. No, non utilizzo nessun tipo di tecnica, soltanto sporadicamente
ho partecipato a sedute di mental training
4. Nelle rare volte che ho fatto mental training ho lavorato sulla
respirazione
attraverso
tecniche
di
rilassamento,
e
successivamente anche training autogeno.
5. Non definirei questa mia esperienza un vero e proprio
intervento, ma soltanto un tentativo!
6. Attualmente è il mio allenatore (Rianna) a prendersi totalmente
cura di me. Per quanto riguarda il passato, mi è capitato solo di
rado, come dicevo prima, di instaurare un colloquio con uno
psicologo.
7. Il rapporto che si ha col proprio allenatore è alla base della
gestione del giocatore stesso, sia per quanto riguarda gli aspetti
tecnici, ma ad alto livello, anche gli aspetti psicologici.
8. Sento di avere bisogno del sostegno delle persone che mi
seguono, e che mi sono vicine nella mia attività, specialmente
quando sono in difficoltà: reduce magari da infortuni o sconfitte.
9. L’esperienza che ho vissuto riguardo il mental training non mi
ha lasciato nulla, nessun tipo di beneficio. In realtà non credo in
quel tipo di intervento, e preferisco scoprire autonomamente i
miei lati positivi ed i miei difetti.
10.
Nessuno strumento.
11.
Molti giocatori che conosco hanno vissuto la mia stessa
esperienza. Quasi tutti tentano, quantomeno, ad affacciarsi al
mental training.
Intervista – Tarantino Augustin (ARG)
Class. Ita. 2008 2/2 - best ranking ATP 307 sing. – 407 doppio
1. Sono importanti, ma riferendoci al tennis di alto livello, solo se
abbinate ad altre qualità.
2. Mantenere alto il livello di concentrazione, e saper gestire la
tensione e lo stress.
3. No.
4. …
5. …
6. …
7. Potrebbe rappresentare un’ulteriore strumento a disposizione del
coach, ed un ulteriore aiuto per il giocatore. Personalmente
sento maggiore sicurezza in campo quando all’esterno c’è un
allenatore che sa comprendere le mie esigenze, e che quindi sa
consigliarmi sempre la soluzione più giusta per me.
8. Quando avverto stanchezza. Quando sono reduce da troppi
tornei, o quando sono in recupero da infortunio.
9. …
10.
No.
11.
Solo una piccola percentuale utilizza in modo concreto il
mental training. Altri giocatori si limitano ad utilizzarlo in modo
molto superficiale.
Intervista – Vico Uros
Best ranking ATP 166 sing. – 80 doppio
1. Una notevole importanza, assieme agli aspetti fisici e
tecnico-tattici, che comunque, rispetto alla componente
mentale, Quanta importanza ricoprono per Lei gli aspetti mentali
all’interno di un match?
rivestono per me maggiore rilevanza.
2. Il “non pensare” inteso come automatizzazione, sia dal punto di
vista motorio, che dal punto di vista tecnico-tattico. Questo tipo di
“abilità”, durante un match, soprattutto se importante, risulta un
aspetto chiave per il successo finale.
3. Attualmente mi affido solo all’esperienza del mio coach, ma fino
a pochi anni fa, all’interno della mia programmazione quotidiana,
era prevista anche una sezione dedicata al mental training.
4. Il mio programma di mental training prevedeva sedute di
rilassamento, training autogeno, e più raramente visual training.
5. Ho utilizzato le tecniche di rilassamento prevalentemente
nel periodo di allenamento e prima di matches ritenuti
importanti; il training autogeno anche autonomamente durante
alcuni matches, al “cambio campo”; il visual training nei
periodi particolarmente stressanti, la sera, a letto, prima di
dormire.
6. Come dicevo prima, attualmente mi affido totalmente al
mio coach, ma negli scorsi anni, due psicologi si sono
avvicendati nel seguirmi dal punto di vista mentale.
7. Parlando della mia attuale esperienza, ritengo che il coach
ha l’importante ruolo di gestire il giocatore “a tutto tondo”, di
conseguenza deve necessariamente essere dotato di grossa
sensibilità per comprendere le sue esigenze, e poi agire al
meglio per il bene dell’atleta che segue.
8. Il momento in cui potrei sentirne il bisogno è di sicuro prima
di alcuni matches, e non deve trattarsi necessariamente di
partite importanti. Alcune volte mi capita di essere agitato
senza riuscire a trovarne la ragione, ed è lì che provo a
rilassarmi, ma nel tentativo finisco per sentirmi ancora più
stressato!
9. Non sempre, e non in modo così rilevante. Oggi sento di
avere maggiormente bisogno di focalizzare la mia attenzione
sulle motivazioni e sugli obiettivi,e non riuscirei sicuramente a
trovare benefici dalle tecniche che prima utilizzavo.
10. Nessuno.
11. Secondo me, tutti hanno quanto meno provato a far
qualcosa per la propria preparazione mentale, alcuni con il
supporto di psicologi, altri attraverso i propri allenatori.
Intervista – Volandri Filippo
Best ranking ATP 25 sing. – 120 doppio
1. Le qualità mentali sono molto importanti, secondo me,
soprattutto ad alto livello, anche in relazione alle altre
componenti. La gestione degli aspetti mentali risulta essere
fondamentale.
2. Molte sono le componenti di natura mentale. Per me, durante le
fasi di gioco è di primaria rilevanza condurre il match in modo
quasi automatico, lasciando al “pensiero consapevole” solo
poche decisioni. Automatizzare, a partire dall’allenamento può
consentire una maggiore fluidità nel mio gioco.
3. Ho utilizzato alcune procedure fino allo scorso anno. Ora mi
affido totalmente alla mia maturità, e all’esperienza del mio
coach (Fanucci).
4. Tecniche di rilassamento, training autogeno, visual training.
5. Provavamo ad utilizzare queste tecniche durante le giornate di
allenamento, e spesso in previsione di matches importanti, o
dopo alcune particolari sconfitte.
6. Fino allo scorso anno, ho lavorato con una psicologa a tempo
pieno, in quanto parte dello staff della struttura in cui mi alleno.
7. E’ importante il ruolo del coach, soprattutto quando gioco dei
match per me molto importanti. La presenza del proprio
allenatore fuori al campo, mentre giochi, può sicuramente
infonderti sicurezza e fiducia.
8. Il momento in cui ho bisogno di maggiore sostegno è
sicuramente a fine stagione, quando incomincio ad esaurire le
energie!
9. Quando mi preparavo anche con la psicologa, non riuscivo a
riscontrare dei benefici particolari.
10.
No, non ho mai utilizzato particolari strumenti per valutare
la mia condizione psicologica. Riesco, con l’aiuto del coach a
capirmi anche interiormente, ed avere il controllo della
situazione.
11.
Quasi
tutti
i
giocatori
che
conosco
credono
nell’importanza degli aspetti mentali, e per quanto ho visto,
preparano col proprio allenatore, il match da affrontare in ogni
aspetto.
Intervista - giocatrice top 100
Classifica WTA femm.
1. Molto importante anche perchè al giorno d’oggi tante partite si
giocano solo su qualche punto.
2. Motivazione, calma, conoscenza, chiarezza.
3. Sì
4. Lavoro specifico in campo per affrontare al meglio i momenti
delicati di una partita; conoscenza dei vari meccanismi che possono
succedere nei momenti delicati; pianificazione d una strategia da
eseguire sempre in quei momenti; consulenza con una psicologa
sportiva.
5. Vedi punto 4
6. Sì
7. Il coach può aiutare con degli esercizi concreti in campo. Il
mental training va eseguito da una persona competente che lo
fa di mestiere, ovvero lo psicologo sportivo.
8. No, l’esigenza è soggetta a una moltitudine di fattori variabili.
Personalmente non seguo una regola fissa.
9. Sicuramente sì.
10. Le proprie sensazioni. Il superare situazioni problematiche con
i nuovi mezzi a disposizione.
11. Ognuno è molto attento nel nostro ambiente a non fare
capire all’ altro che si ricorre all’ utilizzo di questi mezzi. (Per
tanto le sarei, anch’io, molto grata di mantenere la privacy di
questa intervista e soprattutto il mio nome).
Interviste gruppo 2
Intervista – Archip Oana (ROM)
Class. Ita. 2/5
1. Le componenti di natura psicologica ricoprono, secondo me, un
ruolo cruciale all’interno della prestazione, di maggiore
importanza rispetto alle altre caratteristiche.
2. Non esistono componenti che possano influire maggiormente
rispetto ad altre. Dal mio punto di vista, il giocatore di vertice
deve possedere il giusto equilibrio tra mente e corpo, per
raggiungere la massima prestazione.
3. Sì.
4. Tecniche di rilassamento, training autogeno, visual training.
5. Nella fase iniziale si apprendono le tecniche con l’ausilio dello
psicologo, ed in una fase successiva è possibile riprodurle anche
in maniera autonoma, così da averle sempre a disposizione,
pronte per essere utilizzate in un momento di necessità.
6. Si.
7. Si pone come ulteriore aiuto e sostegno, per il giocatore ed il
suo allenatore.
8. Personalmente, sento maggiormente l’esigenza di un sostegno
dal punto di vista psicologico nella stagione estiva, che si trova
in concomitanza con i tornei per me più importanti.
9. Si. Assoluta sicurezza e fiducia nelle mie potenzialità.
10.
Mettere a confronto le prestazioni dei matches, e talvolta
anche quelle degli allenamenti. Questo sistema rappresenta il
mio sistema di valutazione.
11.
Qualche altra giocatrice utilizza mental training, anche con
l’aiuto del proprio coach.
Intervista – Capone Massimo
Best ranking ATP 928 sing. – 743 doppio
1. Sentirsi in piena fiducia di sé, sentirsi sicuri nell’affrontare un
match, sono sicuramente dettagli di natura mentale di molta
importanza.
2. Gestire le emozioni, mantenere alto il livello di concentrazione.
Queste due componenti rappresentano per me la chiave per
raggiungere un buon livello di fiducia in sé.
3. No, non ne ho mai sentito una reale esigenza, anche se credo che
possano aiutare a migliorare in parte il proprio tennis.
4. …
5. …
6. No.
7. Attualmente sono abbastanza autonomo nella mia attività di
tornei, ma ho sempre considerato positiva la presenza
dell’allenatore durante il proprio match. Credo che il coach
possa mettere nella migliore condizione psicologica il proprio
giocatore, anche attraverso semplici parole.
8. Nei momenti in cui non si riesce a giocare al meglio, e si rischia
di smarrire sicurezza e fiducia in sé.
9. …
10.
…
11.
Non molti. La maggior parte di giocatori che vedo nel
corso dei tornei vivono la mia stessa realtà tennistica.
Intervista – Deighton Thomas (GBR)
Class.ita. 2/6 - Best ranking 302 ITF Junior World Ranking
1. Abbinate alle doti fisiche e tecniche, le qualità mentali hanno
una grandissima importanza.
2. La componente mentale che secondo me incide maggiormente,
per un giocatore di alto livello è la capacità di gestione dello
stress.
3. Sì, ma solo fino alla scorsa stagione, all’interno della struttura
in cui mi allenavo.
4. Tecniche di rilassamento, visual training e imagery, training
autogeno.
5. Durante la giornata di allenamento, attraverso apposite sedute
dedicate soltanto al mental training.
6. Ricordo che sia il coach che lo psicologo si occupavano del
mental training.
7. Anche in virtù del fatto che ho vissuto questo tipo di esperienza,
sono assolutamente convinto che l’allenatore ha anche il
compito di comprendere e mediare i processi di natura
psicologica.
8. Non un momento in particolare. Secondo me è necessario un
supporto costante, in tutto l’arco della stagione.
9. La percezione di sentirsi forti interiormente, l’attitudine a
“pensare in positivo”.
10.
Ho utilizzato in passato anche dei test per la valutazione
della mia condizione mentale.
11.
Una piccola percentuale.
Intervista – Marco Di Vuolo
Best ranking ATP 550 sing. – 859 doppio
1. Molta importanza, assieme alla tecnica ed alla preparazione
fisica.
2. La
capacità
di
restare
concentrati
per
lungo
tempo,l’automatizzazione degli schemi di gioco, e lo spirito di
sacrificio.
3. No.
4. …
5. …
6. No.
7. L’allenatore può infondere fiducia nel giocatore, consentendogli
così di esprimersi al meglio. Al contrario, quando il coach
mostra insicurezza o sfiducia rispetto al proprio giocatore, lo
pone in una condizione di forte negatività.
8. Quando si avverte maggiormente la fatica. Sia quando si
giocano molti match, ma secondo me, soprattutto quando si è
reduci da qualche brutta sconfitta.
9. Non saprei rispondere, ma tutte le volte che ho sentito l’esigenza
di essere sostenuto in momenti difficili, mi sono sentito
sicuramente meglio quando ho analizzato la situazione assieme
al mio allenatore.
10.
No.
11.
No, quasi nessuno. Nelle grosse strutture, in molti casi, è
presente lo psicologo all’interno dello staff tecnico, ma non
conosco nessun giocatore che ne abbia tratto particolari benefici.
Intervista – Fanucci Pietro
Class. Ita. 2/4 - Best ranking ATP 1369 sing. – 667 doppio
1. La componente mentale è, secondo me, di grande importanza, al
pari delle doti dal punto di vista fisico, e delle qualità di natura
tecnico-tattica.
2. La capacità di mantenere un alto livello di concentrazione è
secondo me la componente psicologica che può avere maggior
peso nel tennis di alto livello.
3. Ho utilizzato, fino allo scorso anno un protocollo composto da
diverse tecniche di mental training. Attualmente è il mio
allenatore, che mi segue anche nella mia attività di tornei, ad
occuparsi della gestione degli aspetti psicologici.
4. Tecniche di rilassamento, visual training, visual training.
5. Utilizzavo queste diverse tecniche nel periodo di preparazione,
in
momenti
ben
definiti
della
giornata
d’allenamento.
Generalmente prima della seduta pomeridiana di allenamento in
campo.
6. Fino all’anno scorso sì. Come dicevo, ora è il mio allenatore che
si occupa anche di questi aspetti.
7. Per me, è molto importante che l’allenatore che mi segue nella
mia attività, abbia la competenza necessaria per guidare le mie
scelte anche dal punto di vista mentale.
8. Nel ritorno da infortuni, e dopo le sconfitte. Questi,per me sono
i due momenti più critici, in cui sento questo tipo d’esigenza.
9. Percepivo, dopo un ciclo di sedute di mental training, un
sensazione di maggiore sicurezza.
10.
No.
11.
Qualcuno utilizza il mental training. Credo che questo tipo
di pratica sia in costante aumento.
Intervista – Massimo Ghedin - coach
1. Ritengo che la componente mentale sia di fondamentale
importanza. Oggigiorno tutti i giocatori hanno una buona
preparazione tecnica, tattica, fisica; quindi, ciò che fa la
differenza è l’abilità mentale del giocatore.
2. Credo che la concentrazione sia la componente che
maggiormente influisca sulla prestazione; nell’allenamento,
invece è la motivazione dell’atleta che lo spinge a continuare ad
allenarsi.
3. Non proprio, personalmente ho ottenuto buoni risultati con
tecniche di respirazione e rilassamento prima del match. Non
ritengo queste tecniche molto sofisticate o elaborate perché
derivano dall’esperienza e dalla lettura di qualche testo
sull’argomento. Sarebbe comunque il caso di essere affiancati
da uno psicologo.
4. L’ho già detto, io durante l’allenamento curo molto la
respirazione, cerco di far coincidere l’espirazione con la fase
dell’impatto, perché credo che una buona respirazione consenta
di mantenere una certa rilassatezza muscolare. Cerco poi di non
perdere mai la concentrazione anche durante gli allenamenti,
soprattutto con quei giocatori che hanno alti e bassi durante gli
incontri.
5. L’ho appena detto.
6. No, in accademia viene in maniera occasionale uno psicologo
non sportivo, l’impedimento maggiore è di natura economica.
7. Il compito principale di un coach è quello di preparare l’atleta
nel miglior modo possibile dal punto di vista mentale. Nel tennis
ad alto livello, infatti, la funzione del coach sarà in minima parte
quella di migliorare l’atleta dal punto di vita tecnico e tattico. In
questo caso, l’aspetto mentale diviene un fattore fondamentale.
8. Sì, in particolar modo quando si affrontano periodi difficili, di
sconfitte; è in quei momenti che potrebbe risultare utile un
sostegno psicologico. Sono convinto, però anche che un
rapporto, solido con il proprio allenatore, certe volte, possa
essere di aiuto più di un supporto psicologico.
9. Sì, con le tecniche di respirazione ho ottenuto buoni risultati. Un
po’ meno con le tecniche di rilassamento (prima del match), ma
molto probabilmente perché non sono state eseguite in maniera
corretta, per la mancanza della guida di un professionista. E si
ritorna al discorso del budget.
10.
Maggiormente l’osservazione sistematica, le reazioni
emotive dell’atleta durante la partita, l’esperienza
dell’allenatore poi è fondamentale.
11.
Pochi. Soprattutto nei piccoli club. Nel tennis ad alto
livello, invece, alcuni allenatori le usano ottenendo buoni
risultati.
Intervista – Vincenzo Izzo - coach
1. Credo che la componente psicologica sia importante quanto
quella tecnico-tattica, e, nel tennis moderno, anche quanto
quella fisica.
2. Il salto di qualità molti giocatori lo fanno quando riescono a
trovare equilibrio psico-fisico, e continuità nella qualità delle
prestazioni, che in buona parte dei casi si traduce con continuità
di risultati.
3. No, cerco solo di interpretare nel modo migliore le situazioni di
gioco.
4. …
5. …
6. No.
7. Credo che se si instaura un buon rapporto tra il giocatore ed il
coach, diviene comunque più semplice lavorare per raggiungere
determinati obiettivi, e quindi più probabile raggiungere dei
buoni risultati.
8. Indubbiamente quando il giocatore è sotto stress, per la quantità
o per la tipologia di matches che ha o deve affrontare.
9. …
10.
…
11.
Solo alcuni, in situazioni ambientali differenti, e con
diversi risultati.
Intervista – Piero Melaranci - coach
1. Possono variare da soggetto a soggetto ma hanno importanza
pari alle capacità tecniche fisiche e tattiche.
2. Motivazioni, autostima, aspettative al successo, ansia da
prestazione.
3. Sì, utilizzo tecniche di attivazione e tecniche di rilassamento,
durante l’anno sotto forma di allenamento mentale sulla capacità
di concentrazione, di attivazione e di rilassamento.
4. Dopo una prima fase di apprendimento delle varie tecniche, si
passa all’applicazione e all’utilizzo delle stesse, sia durante il
periodo di preparazione (rafforzamento della capacità di
concentrazione, attivazione e di controllo) che durante le gare
(preparazione pre-gara, attivazione, gestione dell’ansia, ecc.).
5. Vedi punto 4.
6. Sì, nel mio staff è presente anche uno psicologo.
7. É un fattore catalizzante in quanto permette al coach di
conoscere profondamente il proprio giocatore e gli consente
quindi di intervenire nel modo più appropriato; accresce inoltre
la fiducia del giocatore verso il proprio coach, fattore
determinante per la riuscita del lavoro.
8. Molto dipende dall’andamento della stagione agonistica, una
delle fasi delicate è comunque l’inizio della stagione.
9. Sì, in diversi atleti il supporto di queste tecniche ha portato a
miglioramenti del rendimento.
10.
Utilizzo tabelle di valutazione per verifiche periodiche,
unite all’intervento dello psicologo.
11.
Credo che a livello internazionale si faccia un utilizzo di
mental training almeno per il 50% dei coach.
Intervista – Rubino Vittorio
Class. Ita. 2007 2/5 - best ranking ATP 1272 sing.
1. Gli aspetti mentali ricoprono, secondo me, una grande
importanza.
2. La capacità di mantenere un alto livello di concentrazione, e di
gestire le pressioni che derivano dall’esterno.
3. No.
4. …
5. …
6. …
7. Il mental training può essere d’aiuto per interpretare le
situazioni di gioco e di vita quotidiana, e nella scelta della
migliore soluzione adatta al singolo individuo. Il sostegno
mentale può contribuire alla normale maturazione e crescita
dell’”uomo giocatore”.
8. Sicuramente se avessi la possibilità di ricorrere al mental
training, il momento più indicato sarebbe senz’altro al termine
della stagione, in vista degli ultimi tornei, che spesso si
affrontano in condizioni di stanchezza psico-fisica.
9. …
10.
No.
11.
Quasi nessuno. Quasi tutti i giocatori che mi capita di
vedere nel coro dei tornei, sono totalmente autonomi, Soltanto
una piccola percentuale di giocatori ha la possibilità del
sostegno dell’allenatore durante i tornei, e soltanto una
piccolissima parte di essi utilizza il mental training.
Intervista – Santangelo Leonardo
Class. Ita 2/4
1. Secondo me gli aspetti di natura psicologica hanno molta
importanza, al pari di tutte le altre caratteristiche che
compongono questo sport.
2. La capacità di mantenere un alto livello di concentrazione è
secondo me una delle caratteristiche che incidono maggiormente
sull’esito della prestazione.
3. Sì, ma soltanto in passato, ed in modo molto sporadico.
4. All’interno delle sedute di mental training a cui ho partecipato
abbiamo utilizzato: tecniche di rilassamento, training autogeno,
visual training.
5. La seduta di preparazione mentale si articolava in modo
sostanzialmente schematico: gli esercizi di rilassamento,
attraverso cui si esercitava anche la respirazione, seguiti da
training autogeno o da visual training.
6. In quelle determinate occasioni era lo psicologo ad introdurci
queste tecniche.
7. Il mental training si pone come uno dei cardini del binomio
coach/giocatore, in quanto l’allenatore che segue un giocatore di
alto livello, deve essere in grado di gestirlo in ogni aspetto,
compreso quello psicologico.
8. Maggiormente nei momenti in cui lo stress crea confusione, e si
perde la lucidità necessaria a compiere scelte completamente
razionali.
9. Maggiore sicurezza nei propri mezzi e fiducia in sé.
10.
No.
11.
Solo qualcuno, in genere i giocatori che provengono dalle
grosse strutture d’allenamento che si avvalgono anche della
consulenza dello psicologo all’interno dello staff tecnico.
Intervista – Simoni Marco
Class. Ita. 2/2 - Best ranking ATP 1086 sing. – 1272 doppio
1. La componente “mente” è molto importante, soprattutto nel
tennis di alto livello. Io considero di uguale importanza la parte
mentale, la preparazione fisica, e le doti di natura tecnico-tattica.
2. Tutti gli aspetti specifici di natura mentale giocano il proprio
ruolo specifico all’interno del match. La condizione di equilibrio
rappresenta lo stato mentale ideale.
3. No.
4. …
5. …
6. No, non mi sono mai avvalso di tale consulenza.
7. Credo che l’allenatore, nell’ambito del tennis ad alto livello,
debba
necessariamente
conoscere
approfonditamente
le
dinamiche psicologiche che regolano il corso del match, con
l’obiettivo di comprendere e gestire in modo efficace il proprio
giocatore. Ricopre un ruolo di primaria importanza.
8. Molto dipende dalla mia condizione psicologica: alcune volte,
anche in momenti difficili o critici riesco autonomamente a
trovare la giusta soluzione!
9. …
10.
No.
11.
Mi è capitato di notare qualcuno che utilizza il mental
training. In genere sono coloro che provengono da grosse
strutture.
Intervista – Stebe Cedric (GER)
Best ranking 226 ITF Junior World Ranking
1. Molto importante soltanto se affiancati a specifiche qualità.
2. La capacità di mantenere il giusto focus attentivo per tutto
l’arco del match.
3. Sì, in Germania è una pratica discretamente diffusa
all’interno dei centri d’allenamento.
4. Training autogeno, visual training, pilates.
5. Nel periodo d’allenamento, sono ritagliati, all’interno della
giornata d’allenamento, specifici spazi interamente dedicati
al mental training.
6. Ho utilizzato le tecniche di mental training sia con l’aiuto del
coach che con lo psicologo.
7. All’interno del binomio è sicuramente d’aiuto:
nella
comprensione di specifiche situazioni e nella successiva
elaborazione della strategia d’azione.
8. Nei momenti in cui si avverte maggiore stress psico-fisico.
9. Maggiore sensazione di controllo e calma, la capacità di
mantenere un buon livello di concentrazione.
10.
No.
11.
Nonostante l’importanza, solo una piccola percentuale
pratica mental training.
Intervista – Taycar Ian (SLO)
Best ranking 104 ITF Junior World Ranking
1. Molto importanti, in stretta correlazione con il livello in cui si
compete.
2. La capacità di mantenere a lungo la concentrazione, lo spirito di
sacrificio. Questi due dettagli rappresentano per me il giusto
riferimento da seguire per essere competitivi.
3. No.
4. …
5. …
6. No.
7. Immagino che possa essere d’aiuto nella gestione dell’attività di
preparazione e di tornei.
8. Il momento in cui sento questo tipo di esigenza corrisponde in
genere con l’ultima parte della stagione dei tornei, in cui si può
accumulare stress e stanchezza in maniera considerevole.
9. …
10.
No.
11.
Soltanto
una
quest’ulteriore aiuto.
minoranza
di
giocatori
dispone
di
Intervista – Teneriello Fabio
Class.ita. 2/2 - coach
1. Ricoprono secondo me, grande importanza, anche se ritengo che
debbano sempre essere abbinate alle altre specifiche qualità.
2. La capacità di mantenere un alto livello di concentrazione, e di
gestione di emozioni e stress.
3. No.
4. …
5. …
6. No.
7. All’interno del binomio coach/giocatore è importante anche la
gestione
degli aspetti psicologici. Non credo che il mental
training sia indispensabile in questo tipo di gestione. Un buon
allenatore riesce anche attraverso la sua esperienza ad occuparsi
degli aspetti di natura mentale.
8. Il momento maggiormente delicato, all’interno della stagione di
competizioni,
coincide, nella maggioranza dei casi, con gli
ultimi tornei dell’anno.
9. No.
10.
No.
11.
La maggioranza no, ma sicuramente esiste una piccola
percentuale di giocatori e allenatori che utilizzano mental
training.
Intervista – Urbinati Omar - coach
1. Personalmente ritengo che il campione si riconosca dalla
sensibilità di braccio (il “tocco”) e dalla “testa”, vale a dire dalla
capacità di stare concentrato e di sentire il match. Ovviamente,
per questi motivi, nell’atleta sono da valorizzare al massimo
qualità come la creatività e la concentrazione. E ritengo che tali
qualità siano innate.
2. Tre sono le componenti che influenzano qualsiasi tipo di
prestazione: l’improvvisazione, l’adattamento e la volontà di
raggiungere uno scopo.
3. Non utilizzo strumenti diretti (come l’ausilio di uno psicologo
sportivo) perché sono tecniche che non condivido a livello
giovanile, cerco solo di tirare fuori da ciascuno dei miei allievi il
massimo affinché possano dirsi e sentirsi “uomini” in qualsiasi
campo dell’attività umana, nel gioco del tennis come nella vita
quotidiana. Diverso è il discorso per i coach che seguono
tennisti professionisti, per i quali ritengo necessario un certo tipo
di aiuto psicologico, ma solo se in sintonia con i propri
giocatori.
4. Spingo i miei allievi sempre e comunque a ragionare, perché nei
momenti di difficoltà emerge sempre colui che ha dalla sua parte
la ragione e l’esperienza.
5. Ogni giorno sul campo, cercando in allenamento di far
raggiungere un alto livello di “stress” fisico e mentale per poi
immediatamente far giocare alcune partite di allenamento,
analizzandole insieme al giocatore.
6. Solo a livello professionistico.
7. Come già detto, a livello professionistico mi avvalgo della
consulenza di psicologi esperti nell’ambito sportivo.
8. No, ritengo che qualsiasi periodo della stagione sia molto
importante.
9. Certo, sono convinto che la mia sia una strada che dovrebbe
percorrere ogni allenatore.
10.
Gli unici strumenti di valutazione sono i riscontri che
danno i test in allenamento e le prestazioni durante i tornei.
11.
Ritengo che i miei colleghi utilizzino in modo smodato le
tecniche di mental-training, quando secondo me ci si dovrebbe
impegnare maggiormente su questioni di tecnica, tattica e di
educazione allo sport.
Bibliografia
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Società Stampa Sportiva.
Cratty B.- Pigott R.E., (1988), Psicologia dello sport, Società Stampa
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International Tennis Federation Coaching Pubblications.
Lombardo G.P.- Cavalieri P. (1994), Psicologia della personalità
nello sport, Carocci.
Mialet J.P., (2001), L'attenzione, San Paolo Edizioni.
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www.alleniamo.com
www.centrostudikeiron.it
www.mentaltraining.it
www.psicologiasportiva.it
www.psiconline.it
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