la mente al di là della rete - Federazione Italiana Tennis
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la mente al di là della rete - Federazione Italiana Tennis
“LA MENTE AL DI LÀ DELLA RETE” Protocolli di mental training applicati al tennis di vertice Autori: A. Cannavacciuolo, B. Corolli, A. Rubino Corso Nazionale di Specializzazione per tecnici FIT (equivalente al IV Livello Europeo) Scuola dello Sport CONI Roma, 26/27 Novembre 2007 Supervisore: Prof. M. Di Paolo Ringraziamenti Il gruppo di lavoro composto in occasione di questo project work coglie l’occasione per ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile la creazione di questo testo, ed in particolare il Professor Massimo Di Paolo, nella veste di tutor assegnatoci dalla commissione dei docenti della Scuola Nazionale Maestri, e di supervisore nel corso dello svolgimento dell’intero nostro operato. Un ulteriore e sentito ringraziamento è doveroso porlo a tutti i giocatori ed allenatori che hanno supportato materialmente il project work attraverso le loro dichiarazioni raccolte nelle interviste, vera spina dorsale di tutto il nostro lavoro. A nome di tutti i componenti del gruppo, che ha redatto questo project work, un sentito ringraziamento a tutti. Indice Introduzione p. 1 Capitolo 1 - Cenni storici e introduzione all’allenamento mentale p. 3 Capitolo 2 - Studi e applicazioni del mental training al tennis 2.1 Le caratteristiche del tennis p. 13 2.2 Le abilità mentali nello sport del tennis p. 14 2.3 Il controllo delle emozioni p. 18 2.4 Il controllo dei pensieri p. 23 2.5 L’attribuzione di causalità p. 24 2.6 Il controllo dell’attenzione p. 26 2.7 Le abilità immaginative p. 31 Capitolo 3 - Tecniche di mental training 3.1 Rilassamento p. 34 3.2 Self talk p. 38 3.3 Goal setting p. 40 3.4 Pensiero positivo p. 42 3.5 Training autogeno p. 44 3.6 Concentrazione – Gestione dell’arousal p. 50 3.7 Visualizzazione e imagery p. 54 3.8 Biofeedback p. 59 3.9 Automatizzazione delle strategie p. 62 Capitolo 4 – Una ricerca sul mental training 4.1 Obiettivi della ricerca p. 64 4.2 Presentazione dello strumento p. 66 Conclusioni Appendice Bibliografia 4.3 Caratteristiche degli intervistati p. 67 4.4 Elaborazione dei dati: tabelle e grafici p. 69 p. 98 Capitolo I Cenni storici e introduzione all’allenamento mentale Con un notevole anticipo rispetto ai suoi tempi, De Coubertin, ha sentito il bisogno di applicare la psicologia allo sport. Già nel 1900, infatti, aveva pubblicato un articolo intitolato: “La psicologia dello sport”. Tutte le metodiche inerenti alla suddetta disciplina vennero in seguito prese in considerazione da numerosi paesi soprattutto dopo la prima guerra mondiale, quando cioè l’espansione dell’attività sportiva ebbe la sua definitiva affermazione. Bisogna però citare alcuni autori che per primi hanno svolto un lavoro sistematico condotto presso l’istituto di educazione fisica di Leipzig, sia prima che dopo la prima Guerra mondiale: Scultz, Sippel, Giese, Klem, Krueger; in questo periodo si vede l’influenza della teoria Gestalt. In un secondo periodo, Leipzig ha sentito l’influenza di alcuni psicologi sovietici, interessati più ai problemi relativi alle competizioni di alto livello. Numerosi ricercatori testimoniano che l’importanza sia stata data su problemi immediati della competizione e della vittoria da conseguire, più che su quelli dell’individuo alle prese con sé stesso. Il proposito iniziale quindi è quello di determinare in modo preciso le caratteristiche della psicomotricità, della percezione, dell’emozione e dell’intelligenza richieste nelle varie attività sportive al fine di conseguire le migliori prestazioni. Il problema però nella maggior parte dei paesi rimaneva, in quanto gli allenatori continuavano a ritenere che la vittoria nello sport dipendesse dall’intensità dell’allenamento e dalle capacità 3 superiori dell’atleta piuttosto che da una attenta valutazione delle condizioni emotive dell’ambiente in cui si svolge la preparazione, o dai tratti della personalità dell’atleta stesso (Most, 1983). In Italia, l’approfondimento della conoscenza dei fattori psicologici e pedagogici che informano lo sport e la competizione in atto ad opera di numerosi specialisti, avviene nel 1965, a Roma dove si tiene il primo congresso internazionale di psicologia. L’International Society of Sport Psicology (ISSP), costituita in occasione del congresso, originò, a sua volta, nel mondo una sessantina di società nazionali, di cui una ventina in Italia. In alcuni Paesi la psicologia dello sport (PdS) veniva identificata con gli studi di psicomotricità e di motor skill atti a realizzare prestazioni atletiche migliori, mentre in altri si dava maggior spazio allo studio delle motivazioni, all’assistenza psicologica per un miglior equilibrio dell’uomo atleta (Tamorri, 2000). Se all’inizio della sua storia la psicologia dello sport si era data come obiettivo quello di studiare la personalità degli atleti, ricercando modelli cognitivi e comportamentali utili a differenziare le caratteristiche degli atleti dagli altri uomini e sviluppando un ampio spazio all’interno della psicodiagnostica, oggi l’ obiettivo della psicologia dello sport risulta molto cambiato. Ora il quesito più impellente posto dai tecnici e dagli atleti è: “come posso compiere prestazioni sempre più eccellenti?”. In tale contesto la psicologia dello sport si è trovata a passare da un livello teorico alla pratica, divenendo in tal modo operativa. Oggi, ogni atleta sa quanto sia vero che il primo reale nemico da battere è il fantasma della paura, dell’insicurezza, della bassa stima di sé, prima ancora dell’avversario. Lo scontro con l’avversario è episodico, un momento nella vita 4 dell’atleta; per tutto il resto del tempo ciò che conta è una lineare e continua crescita fisica e mentale, attraverso un lavoro che dura anni, per tutta la carriera agonistica dell’atleta. Dunque, essere operativi nell’ambito dello sport significa sviluppare un programma di allenamento per la mente, al pari di programmi di allenamento fisico; l’agonista non è un robot, non è un gigantesco meccanismo sostenuto dagli sponsor e da complesse manovre di tipo economico, bensì è un uomo che ha scelto di sfidare sé e gli altri, con i suoi punti deboli e le sue illimitate potenzialità. Lo psicologo dello sport deve tenere bene in mente che dedicherà il suo sostegno ed il suo contributo in primis all’uomo e in secondo luogo all’atleta che c’è in lui, il quale rappresenta solo una parte della sua complessità. La psicologia dello sport è una disciplina giovane, che ha la possibilità di apportare validi contributi sia nello sport di alto livello che nelle fasi di apprendimento di una attività. È possibile definire la psicologia dello sport come una psicologia dell’azione che si pone come obiettivo la comprensione a 360° dell’uomo e del suo essere atleta. Per questa ragione, il primo punto da fissare con l’atleta è la meta che questi desidera raggiungere. Per poter lavorare con un atleta è fondamentale fissare un obiettivo che abbia determinate caratteristiche: A) Definito in positivo, nel senso di considerarlo come qualcosa a cui tendere e non da cui allontanarsi, in un esempio si potrebbe dire “voglio smettere di essere ansioso ed agitato “, anziché “voglio imparare ad essere tranquillo e determinato” B) Verificabile. Imparare ad essere tranquillo e determinato, nell’esempio appena riportato, non risulterà verificabile fino a quando non si sarà riusciti a tradurre la tranquillità e la 5 determinazione in comportamenti ed atteggiamenti esaminabili, in altre parole risponderà alla domanda: “come saprò di aver raggiunto il mio obiettivo, come lo sapranno gli altri?” C) Specificato rispetto a: - chi (quali sono le persone coinvolte nel mio obiettivo?) - come (quali comportamenti produrranno il mio cambiamento?) - quando (quali tempi scandiranno il passaggio dal mio stato presente a quello desiderato?) - dove (quali saranno i luoghi entro i quali produrrò il mio cambiamento?) - perché (quali sono le motivazioni di cui dispongo per poter realizzare il mio cambiamento?) D) Ecologico (l’obiettivo scelto dall’atleta sarà accettato dalle persone per lui significative? Tale obiettivo gli procurerà dei vantaggi?) Una volta centrato l’obiettivo, è possibile procedere con l’atleta nella costruzione di quegli aspetti della sua personalità indispensabili per lo sviluppo della sua carriera. Naturalmente, per lavorare sull’obiettivo concordato occorre instaurare un buon rapporto con l’atleta. La psicologia non possiede altro strumento che quello di operare sul livello organizzativo della mente dell’atleta, agendo attraverso la comunicazione. È fondamentale incontrare l’atleta sul suo terreno, cogliendo gli elementi più significativi dell’esperienza da lui narrata, annotando tutto ciò che è possibile osservare, ascoltare, e 6 percepire durante il colloquio. La persona deve sentirsi rispettata in ciò che considera importante: le sue credenze, le sue convinzioni sul mondo e sulla vita. Il primo passo da fare, dunque è trovare il modo per sintonizzarsi con lui, utilizzando il più possibile il suo stesso linguaggio che rappresenta il modo attraverso cui l’atleta si raffigura il mondo e lo connota di significati. Solo in un momento successivo ci si adopererà a fornire una guida ragionata in direzione di nuovi orizzonti, incentivi e risorse utili all’atleta per raggiungere i propri risultati. La prima fase dell’incontro è tutta orientata a definire un terreno d’accordo e di intesa con il mondo interiore dell’atleta. Questo tipo di approccio non è solo retaggio dello psicologo dello sport, ma offre un’utile base per uno sviluppo costruttivo del colloquio, sia in ambito clinico che formativo. Se si pensa all’impegno che si chiede ad un’atleta, il miglioramento continuo e costante che deve riuscire a dare durante gli allenamenti, in un ambiente spesso poco gratificante, in cui solo alcuni sport sono altamente riconosciuti e premiati, ci si spiega quanto sia fondamentale il “perchè” che l’atleta si costruisce, che costituisce la motivazione principale a continuare la sua carriera agonistica. La motivazione è strettamente collegata alla direzione e alla intensità di un comportamento, è dunque fondamentale in un momento in cui l’atleta lavora sulla propria costruzione fisica e psicologica. La motivazione costituisce la chiave d’accesso ai risultati: essa lavora attraverso i bisogni dell’atleta, gli stimoli positivi, l’interesse e il divertimento, la ricerca di affiliazione verso i compagni e l’allenatore, il bisogno di affermazione e di riuscita. 7 La base, però, di tutto l’intervento psicologico è il linguaggio. Nel suo utilizzo quotidiano non ci rendiamo conto dell’uso che facciamo delle parole, del loro peso, del significato che con queste creiamo. Ad esempio il linguaggio usato dall’atleta nel suo dialogo interno è di fondamentale importanza, infatti i messaggi che questi manda a sé stesso sono basilari per la riuscita della sua prestazione. La mente ha una grande abilità che può risultare un forte limite, quella di orientarsi, spesso in modo inconsapevole, in funzione dei propri pensieri. È il “sistema attivante reticolare“, in particolare, che si interessa di mettere in collegamento la mente (i pensieri) con il corpo (le abilità percettive), orientando in tal modo l’attenzione del soggetto sulle cose per lui più significative. Ora, dinnanzi ad uno stesso stimolo è possibile reagire in modo positivo (ottimistico) o negativo (pessimistico), a seconda di come vengono interpretati i fatti, dal momento che il sistema percettivo è in grado di analizzare solo la quantità di uno stimolo e non la qualità, che viene decisa dal sistema cognitivo. È dunque essenziale che l’atleta utilizzi una sorta di “dieta mentale”, attraverso la quale nutrirsi di parole che gli diano la giusta carica, e gli permettano di essere ottimista, convinto e determinato in rapporto alle sue risorse. Il nostro vocabolario presenta una netta preponderanza di parole a connotazione negativa nella descrizione delle emozioni. La lingua inglese ad esempio contiene circa un migliaio di parole per esprimere emozioni positive, mentre sono ben duemila le parole che esprimono emozioni negative. Si pensi a quanti vocaboli vengono usati da psichiatri e psicologi per descrivere le varie forme di patologia mentale, e quanti pochi vocaboli vengono usati per 8 descrivere gli stati di benessere. Una persona sana, che sta bene, è una persona che “sta bene e basta”, non esistono particolari modi per descrivere lo stato di benessere. Culturalmente siamo plasmati dal nostro linguaggio: le parole modellano le nostre convinzioni, influenzano i nostri stati d’ animo e dirigono le nostre azioni. L’atleta, come tutte le altre persone, va aiutato a comprendere il proprio linguaggio, a porsi le domande corrette, ad entrare nel significato che dà alle cose, per far luce sulle opinioni, le credenze e le convinzioni che lo orientano nelle scelte. Un modo utile di considerare l’atleta è quello di vederlo proiettato all’interno del suo sistema di riferimento, prendendo in considerazione il contesto, l’ambiente sociale in cui vive (società sportiva, team tecnico, amicizie, famiglia), per valutare nel sistema di appartenenza quale ruolo gioca, come si trova inserito, quali risposte sta dando, come reagisce alle richieste, implicite o esplicite, delle persone di riferimento. È sorprendente come molte risposte ad eventuali difficoltà, verso la realizzazione di certi progetti, vadano ricercate nella famiglia, o nel sistema di riferimento, piuttosto che nel singolo individuo. Spesso si riscontra incongruenza e ambiguità nei i messaggi dei due genitori, o addirittura atteggiamenti di svalutazione diretti allo sport intrapreso dal loro figlio. Al contrario, spesso è possibile rilevare una grande intesa con il proprio partner affettivo, associata ad una grande volontà di riuscita, nel realizzare il proprio obiettivo. La famiglia costituisce uno dei pilastri di sostegno per un’atleta, se viene a mancare il suo apporto il rischio è quello che la situazione entri in stallo, che si creino dubbi sulla motivazione e si abbia un crollo di 9 rendimento. Spesso la società sportiva, i compagni, l’allenatore sostituiscono la partecipazione e l’affetto della famiglia; è sorprendente vedere come i nuovi legami affettivi siano in grado di restituire l’identità a ragazzi altrimenti confusi e sbandati. L’organizzazione del lavoro va dosata in tutte le attività che compongono la vita di un soggetto. Non è possibile immaginare una giornata totalmente orientata agli impegni: la scuola, gli allenamenti, il lavoro, la famiglia, ecc., senza lasciare altro spazio alla persona. Agendo in tal modo si rischia di impoverire gli altri aspetti della vita, e di inimicarsi una parte dell’atleta maggiormente orientata al divertimento, allo svago e alla creatività. Spesso ci si trova dinanzi dei ragazzi completamente assorbiti dalla loro quotidianità, dalle loro abitudini, senza più la forza di affermare in prima persona cosa desiderano veramente. Esiste uno sviluppo fisiologico nella vita mentale di ogni individuo che richiede un’attenzione particolare. Se si perde di vista il senso delle proporzioni e del tempo si rischia di creare degli automi che, ben presto, abbandoneranno lo sport considerandolo un impegno troppo oneroso, che chiede tanto e dà poco. Un atleta ha bisogno di pensare, sognare e costruire la propria storia. Costa molto essere protagonisti in un mondo che, troppo spesso, ci abitua alla passività; costa molto ed è difficile motivare un individuo a conquistare il proprio valore, attraverso la costruzione della propria persona. È più semplice offrire dei surrogati legati maggiormente all’immagine in contrapposizione alla sostanza, che non offrire degli spazi entro cui una persona, rappresentando se stessa, è in grado di realizzarsi. All’interno della carriera di molti atleti sono 10 molti i momenti dedicati ad anticipare ciò che avverrà nell’ immediato futuro, risulta quindi utile costruirsi delle “profezie” vincenti, e dare così spazio a idee e pensieri orientati al futuro nel modo in cui egli desidera vederlo realizzato. L’atleta ha essenzialmente bisogno di costruirsi uno stato mentale, un preciso equilibrio psico-fisico di pensieri e sensazioni che gli consenta, durante tutto l’arco di una prestazione, ed in particolare nei momenti maggiormente significativi, di avere la massima concentrazione, determinazione, e prontezza di esecuzione. Tutto ciò è racchiuso in uno stato d’allerta in cui ogni cosa attorno sbiadisce, dove il tempo ha un’altra dimensione, dove il controllo è totale, non si tratta più di un individuo capace di eseguire e sviluppare l’azione, ma di un essere in grado di fondersi nell’azione stessa. Questo è un “momento magico”, il momento in cui muta la percezione del soggetto che sviluppa l’azione. Solo nell’istante in cui l’arciere si sente un tutt’uno con il proprio arco, ed è in completa armonia con se stesso, può percepire quando scoccare la freccia, sicuro che questa raggiungerà il bersaglio. Lo sport è un rito costruito attraverso il proprio corpo, portato avanti per un tempo sufficientemente lungo da permettere di identificarsi completamente in ciò che si fa. Potrebbe risultare interessante l’accostamento di questo aspetto dello sport a molte tecniche meditative caratterizzate da azioni ripetute per un lungo tempo, fino ad essere in grado di calarsi completamente in ciò che si fa; per questa ragione si sposa in pieno l’idea che lo sport, sia professionistico che quello dilettantistico, rappresenti un intenso momento meditativo per la mente. Ed è a questo livello di sport 11 come meditazione che il lavoro dello psicologo risulta più attinente, dal momento che, l’atleta sviluppando doti strettamente correlate al lavoro mentale, entra in uno stato di trance, uno stato, cioè, di coscienza alterato, differente da quello legato alla routine quotidiana, in cui l’Io esercita delle capacità e delle doti che oltrepassano i limiti della propria coscienza. Questo stato mentale è quello che si desidera raggiungere e mantenere quando ci si trova a lavorare con un atleta; la parte difficile del lavoro, infatti, non è tanto raggiungere di tanto in tanto un tale livello, quanto mantenere ed attivare questo stato mentale, ottimale per la prestazione, tutte le volte che se ne ha bisogno. Entrano in gioco un insieme di energie che l’atleta deve essere in grado di gestire per tutta la durata della prestazione, solo attraverso una precisa modulazione dell’allenamento mentale è possibile garantire un quadro stabile e duraturo. “Siamo quello che pensiamo. Tutto ciò che siamo nasce dai nostri pensieri. (…) Noi creiamo il nostro mondo.” (Buddha) In realtà il grosso limite, e insieme la prima opportunità che dimora in ognuno di noi è proprio costituita dai pensieri, i quali rappresentano ciò che possiamo conoscere, e con cui possiamo misurarci. Consentire all’atleta di esprimere il proprio stile e le proprie abilità nel modo migliore, aprire la strada a nuovi traguardi, dove l’uomo mette costantemente alla prova sé stesso, in una danza continua che rappresenta la vita, è la pura espressione della psicologia nell’ambito dello sport! 12 Capitolo II Studi e applicazioni del mental training al tennis 2.1 Le caratteristiche del tennis Per le sue caratteristiche il tennis è senz’altro uno tra gli sport più logoranti dal punto di vista psicologico. Infatti il tennis è: • un’attività “open skill”, in cui le situazioni sono altamente imprevedibili e variabili. Variano gli avversari, le superfici di gioco, il tipo di palle, la durata della partita (3 o 5 set) • uno sport individuale, non ci sono sostituzioni e il giocatore è solo ad affrontare lo stress della gara • uno sport dove nella maggior parte dei tornei non esiste la possibilità di avere l’allenatore in panchina, in campo il giocatore è solo a decidere la tattica e la strategia da adottare • uno sport dove non esiste mai una seconda oppotunità, dal campo si esce vincitori o vinti • uno sport dove non esistono limiti di tempo e non c’è la possibilità di chiedere un time-out • uno sport dove ci sono molte interruzioni dovute alle regole del gioco (attualmente sono il 20% circa della durata totale del match) • uno sport in cui soprattutto a livello professionistico si gioca tutto l’anno, e in tutti i continenti con pochi e brevi periodi da dedicare al recupero e agli allenamenti • uno sport in cui gli spettatori duarante gli scambi assistono in 13 silenzio, ampliando le sensazioni di “solitudine” dei giocatori 2.2 Le abilità mentali nello sport del tennis La ricerca ha dimostrato come gli allenatori siano sempre più consapevoli dell'importanza delle abilità mentali per raggiungere la prestazione ottimale. La figura1 indica quali sono, secondo gli allenatori le abilità mentali più importanti nel tennis e quali di queste sono più difficili da sviluppare (Gould e al., 2001 ; Moran 1995) 14 Le abilità mentali più importanti Quelle più difficili da sviluppare piacere fiducia in se stessi controllo delle emozioni motivazione /passione gestione positiva degli errori essere positivi/dialogo interno gestione dei momenti di crisi gestione positiva degli errori immaginazione/visualizzazione attenzione/concentrazione autostima controllo delle emozioni gestione del tempo onestà/integrità motivazione intensità negli allenamenti Figura 1 - Le abilità mentali più importanti nel tennis e quelle più difficili da sviluppare secondo gli allenatori. La figura2 indica quali sono secondo i giocatori professionisti le abilità mentali più importanti per il raggiungimento della migliore prestazione e quali siano mancate durante i match persi (Jones e Terry ,1994; Young, 1998 ). 15 Abilità mentali ritenute Abilità mentali che sono mancate importanti dai giocatori per la durante i match persi loro performance Determinazione/impegno Perdita di concentrazione concentrazione/fiducia in se stessi nervosismo credere nelle proprie capacità ansia abilità nel controllo dell'ansia mancanza di motivazione amore e interesse verso il tennis mancanza di fiducia Figura 2 - Le abilità mentali più importanti nel tennis e quelle che determinano le sconfitte secondo giocatori professionisti. Vealey (1988) suddivide le abilità mentali in abilità di base, di prestazione e facilitatorie. Nella schema seguente sono riportate le abilità mentali secondo Vealey (1988). Abilità mentali Abilità di base Volizione Consapevolezza di sè Autostima Fiducia in sè Abilità di prestazione Arousal fisico ottimale Arousal mentale ottimale Attenzione Ottimale 16 Abilità facilitatorie Abilità interpersonali Gestione dello stile di vita Martens (1987) propone invece 5 abilità mentali di base: • controllo dell'attenzione • gestione dello stress • controllo delle immagini • modulazione dell'arousal • formulazione degli obiettivi Bisogna inoltre aggiungere anche il “controllo dei pensieri” per integrare il modello di Martens. Ora cercheremo di approfondire alcuni concetti e ci soffermeremo su alcune delle abilità sopra menzionate che riteniamo più importanti nel tennis. La motivazione. Cos’è quella volontà che spinge un’atleta ad allenarsi duramente ogni giorno per mesi, o quei processi che ci hanno fatto scegliere il tennis anzichè un altro sport? Weinberg e Gould (1995) considerano la motivazione come quel complesso di processi mentali che determina la direzione e l’intensità dello sforzo. 17 Le teorie attualmente più accreditate che cercano di dare una spiegazione di cosa sia la motivazione sono quattro: • la teoria della riduzione della tensione • la teoria dell’auto affermazione • la teoria cognitiva • la teoria della meta La teoria della riduzione della tensione si riferisce a stati interni di tensione che spingono gli individui ad agire per ridurre quelle spiacevoli sensazioni che turbano il loro benessere. La motivazione sarebbe dunque la molla che spinge a soddisfare certi bisogni interiori. La teoria dell’autoaffermazione, invece, pone l'accento sulla tendenza dell’ individuo a realizzare il proprio potenziale anche a costo di un aumento della tensione . La teoria cognitiva sostiene che l’individuo sia animato da bisogni di coerenza, prevedibilità e conoscenza; questo spiega il perchè molti sportivi, pur non ottenendo grossi risultati, nè fama nè denaro, continuino a giocare, sentano cioè la necessità di mantenere un quadro coerente di sè. La teoria della meta infine, vede l’individuo fortemente interessato a raggiungere gli obiettivi e i traguardi prefissati. 2.3 Il controllo delle emozioni Il controllo delle emozioni, durante una partita di tennis è di fondamentale importanza per raggiungere la massima prestazione. 18 Parlando di emozioni e stati d’animo è utile introdurre i concetti di arousal, ansia e stress. Arousal L'arousal viene considerato come una funzione che permette l’accesso alle risorse energetiche dell'organismo per prepararlo all'azione. Ogni atleta per rendere al massimo deve avere la capacità di autoregolarsi e di tenere sotto controllo il livello di attivazione necessario che come vedremo non dovrà essere nè troppo basso nè troppo alto, ma dovrà avere un valore medio. Esistono alcune teorie che mettono in relazione l'arousal con la prestazione. Drive theory. Questa teoria sostiene che ci sia una relazione direttamente proporzionale tra arousal e prestazione, cioè all’aumentare della prima aumenta anche la seconda o al diminuire della prima diminuisce anche la seconda. Questa teoria però non convince perchè molto spesso atleti iperattivati non riescono a raggiungere la prestazione ottimale. La suddetta teoria, leggermente modificata, asserisce che nelle abilità già ben acquisite o in compiti motori molto semplici l’aumento dell'arousal un'aumento della prestazione, al tempo stesso, corrisponde a nell'esecuzione di abilità complesse o durante le prime fasi di apprendiment , l’aumento dell’arousal si rivela dannoso per la prestazione. Inverted-U theory. Questa teoria afferma che l’aumento dell’arousal sia legato ad un progressivo miglioramento della prestazione fino a un punto ottimale oltre il quale l’incremento si accompagna invece allo scadimento della prestazione. Il grado di attivazione ottimale varia da uno sport all’altro, negli sport più complessi in genere l'attivazione 19 deve essere minore. Figura 3 - Relazione ad U-inversa fra arousal e prestazione. Per determinare la complessità del compito vanno considerati i fattori decisionali, percettivi e motori. Landers e Boutcher (1986). La figura 4 mostra la ad U-inversa tra arousal e prestazione in compiti diversi. 20 Figura 4 - Relazione ad U-inversa fra arousal e prestazione in compiti diversi. Bisogna sottolineare che con l’aumento dell’arousal si determina un restingimento del focus attentivo. Ad un livello basso corrisponde una percezione ampia e poco selettiva rispetto agli stimoli; con l’aumentare dell’arousal entro la gamma di attivazione ottimale, la selettività percettiva sugli indizi importanti aumenta, a vantaggio della prestazione; andando oltre una certa soglia di attivazione si ha un ulteriore restringimento percettivo con l’esclusione sia di stimoli importanti che irrilevanti a scapito della prestazione. Lo stato di ottimale di arousal dipende inoltre dalle caratteristiche individuali e dalle abilità del soggetto. Ansia. Weinberg e Gould (1995) definiscono l’ansia come uno stato 21 emozionale negativo accompagnato da nervosismo, preoccupazione, oppressione associati ad un aumento dell’attivazione corporea. Spielberger (1966) distingue l’ansia di stato e l’ansia di tratto. L’ansia di stato è concettualizzata come una condizione dell’organismo transitoria e specifica in un particolare momento. L’ansia di tratto invece è una caratteristica stabile e duratura della personalità, una predisposizione a reagire a molte situazioni con un alto livello di ansia di stato. Una seconda distinzione prende in considerazione le manifestazioni soggettive degli stati ansiosi. L’ansia cognitiva è la componente mentale che origina da attese negative, paura delle conseguenze, scarsa fiducia.L’ansia somatica è la componente collegata all’attivazione dell’organismo e si manifesta con risposte fisiologiche quali l’incremento del battito cardiaco, dispnea, sudorazione, tensione muscolare. Si può parlare anche di ansia competitiva di stato che è l’insieme di risposte fisiologiche e psichiche dell’organismo in situazioni competitive come reazione a percezioni di pericolo o danno potenziali o reali. L’ansia competitiva di tratto invece è la tendenza a percepire situazioni competitive come paurose o pericolose e a rispondervi con ansia di stato. Stress. È un processo derivante dalla percezione di un sostanziale squilibrio fra richieste ambientali e capacità di risposta dell'individuo, che sente questa sua inadeguatezza potenzialmente pericolosa, incrementando così i livelli di ansia di stato. Per misurare questi stati emozionali sono stati studiati diversi tipi test tra questi: lo STAI (State Trait Anxiety Inventory ; Spielberger 1970) 22 che è l'autovalutazione più usata, lo SCAT (Sport Competition Anxiety Test ; Martens 1977) che misura l’ansia competitiva di tratto, e lo CSAI (Competitive State Anxiety Inventory Martens 1990) e lo SCAT 2 (Martens 1982) che misura l’ansia competitiva di tratto. Pressione. Pressione è un termine molto usato tra giocatori e allenatori (soprattutto nel tennis) per definire lo stress. Questa pressione non causa automaticamente un decremento della prestazione, dipende molto dall’interpretazione del giocatore sulla situazione di stress. 2.4 Il controllo dei pensieri. Controllare gli aspetti cognitivi del comprtamento è fondamentale anche per ottenere un’alta prestazione nel tennis. Ora concentreremo maggiormente l’attenzione su alcune abilità mentali: credere in sè (self-efficacy) e attribuzione di causalità. Credere in sè (self efficacy). Bandura (1977) ha introdotto il concetto di self-efficacy per definire la fiducia nelle capacità personali di eseguire un compito con esito positivo attraverso l’espressione di abilità. Diversi studiosi hanno analizzato la relazione tra self-efficacy e prestazione e la possibilità di incrementare tali aspettative tramite quattro fonti principali: la realizzazione di prestazioni (le esperienze vissute come successo aumentano la self-efficacy, quelle negative la fanno abbassare), esperienze sostitutive (osservando dei modelli o delle dimostrazioni), persuasione verbale (spesso gli allenatori ricorrono a questi tipi di rinforzi per influenzare positivamente il comportamento dell'atleta, 23 possono essere utili come stimolo iniziale ma perdono di efficacia se vengono usati a sproposito), arousal emozionale (percezioni dell’arousal possono influenzare dei comportamenti alterando le aspettative di efficacia). Molte ricerche hanno valutato la self-efficacy nei tennisti; il metodo più usato per misurarla è il PSE (Physical Self Efficacy Scale) di Ryckman (1982). 2.5 L’attribuzione di causalità Weiner (1985) postula la teoria dell'attribuzione, affermando che gli individui valutano i propri risultati in termini di causalità e considera l’influenza che tali valutazioni hanno sulle reazioni emotive e sui comportamenti futuri. Gli atleti ad esempio per spiegare una loro prestazione positiva o negativa, possono adottare diverse ragioni: la bravura dell'avversario, la fortuna o la sfortuna, l’arbitro ecc. Esse sono incluse in tre dimensioni fondamentali: • direzione. Le ragioni di successo o insuccesso sono individuati nelle proprie capacità (attribuzione interna) oppure sono attribiute ad altri fattori non collegati alla persona (attribuzione esterna); • stabilità. La causa della prestazione è considerata più o meno stabile nel tempo; • controllabilità. La persona sente di poter controllare o meno i fattori che determinano la sua prestazione. Le reazioni emotive agli eventi sono in genere precedute da una valutazione cognitiva di quanto è accaduto o del risultato; cioè l’indivuduo cerca di darsi una spiegazione dei fatti attribuendoli a cause specifiche e di conseguenza si generano paricolari risposte 24 emotive. La direzione di causalità in genere comporta emozioni autodirette collegate all'autostima, il controllo invece genera sentimenti diretti verso gli altri negativi o positivi, la stabilità sembra generi stati emotivi legati al tempo (speranza , paura). Figura 5 - Attribuzione di causalità ( Biddle e Fox , 1988 modificato). 25 2.6 Controllo dell'attenzione. La concentrazione è un’abilità che si compone di diversi elementi, può sinteticamente essere definita come la capacità di focalizzare l’attenzione su un compito per un certo periodo di tempo senza essere influenzati da stimoli non pertinenti. Le operazioni cognitive in sintesi sono costituite da: - raccolta di informazioni esterne e interne attraverso gli organi di senso (analizzatori) importanti per il movimento (visivo, uditivo, cinestesico, vestibolare e tattile); - elaborazione delle informazioni (confronto delle informazioni in entrata con quelle già depositate in memoria; attivazione di processi decisionali, scelta e programmazione della risposta); - esecuzione e controllo della risposta. Le connessioni tra prestazione e attenzione sono state approfondite da due teorie, quella cognitivista si è occupata degli aspetti cognitivi dell'attenzione (selettività, capacità, automatismo) e quella psicosociale che ha studiato le caratteristiche individuali e dell’ambiente che influiscono sull’attenzione. Teoria cognitivista. In situazioni sportive quindi anche nel tennis l’atleta è continuamente bombardato da una grande quantità di stimoli che però non possono essere recepiti ed elaborati tutti contemporaneamente dato che le capacità umane sono ridotte, quindi attraverso la selettività solo alcuni stimoli interni o esterni verranno considerato a scapito di altri che saranno ignorati. La selettività dell’attenzione qundi è una caratteristica cognitiva molto importante ed è quella che contraddistingue il giocatore esperto da quello 26 dilettante. Parlando di elaborazione delle informazioni possiamo anche considerarle in termini di capienza o spazio di elaborazione, date le scarse capacità dei processi attentivi, la possibilità di svolgere più compiti contemporaneamente dipende da quanto spazio viene occupato da ogni singolo compito. Ad esempio un tennista esperto che esegue un attacco e una discesa a rete, eseguirà il colpo d’approccio in maniera quasi automatica mentre la sua attenzione sarà rivolta alla tattica da eseguire, alla posizione dell’avversario ecc. Nel tennista dilettante, invece, i processi elaborativi saranno quasi completamente impegnati nell’esecuzione del colpo e poco spazio sarà dato per la componente tattica e strategica del colpo. Teoria psicosociale. L’interesse di queste teoria è rivolto allo studio sull'influenza di fattori cognitivi sulla prestazione come la preoccupazione, l’eccessiva analisi, le caratteristiche individuali e quelle relative all’ambiente. Le azioni o programmi motori consolidati sono guidati da processi elaborativi automatizzati e un uso inappropriato di processi cognitivi coscenti produce effetti deleteri sulla prestazione; quest’ultimi, infatti, non contengono informazioni inerenti le contrazioni muscolari e la coordinazione motoria. Allo stesso modo, pressione, paura, timore dell’insuccesso, sono fattori che inducono l’atleta a “controllare” la prestazione e inducono a pensieri negativi con il risultato di peggiorare la performance. Secondo Nideffer (1976) ogni persona possiede una particolare stile attentivo abbastanza stabile nel tempo, poco modificabile; tuttavia vi sono poi aspetti dell'attenzione che sono specifici alle situazioni sportive su cui si può lavorare. 27 Nideffer (1986, 1989, 1993) ha individuato due dimensioni dell’attenzione: – l’ampiezza, che definisce l’attenzione lungo un continuum ampioristretto con possibili variazioni tra i due estremi – la direzione che può essere interna o esterna rispetto all’individuo 28 Figura 6 - Dimensioni dell'attenzione (Nideffer 1976, 1978 modificato) Ogni sport richiede una particolare combinazione di ampiezza e direzione. In generale, in discipline open, con situazioni sempre diverse e rapidi cambiamenti, l’atleta ha bisogno di uno stile attentivo esterno ampio o ristretto; in discipline closed, invece, assume più importanza la dimensione interna dell’attenzione. Molti sport come il tennis invece richiedono che l’atleta sappia modificare spesso e molto rapidamente il focus attentivo sia in ampiezza che in direzione. Nella figura 7 Prapavessis (1993) propone tre categorie di fattori distraenti l’attenzione nei tennisti. 29 Figura 7 - Fattori distraenti nel tennis (Prapavessis ,1993) L'attenzione è anche in stretto collegamento con il livello di arousal dell’atleta: a un basso livello di attivazione corrisponde un’attenzione molto ampia che lascia passare sia stimoli pertinenti che irrilevanti, a un livello di attivazione medio invece l'attenzione si restringe per captare solo le informazioni pertinenti, aumentando ulteriormente l’arousal si restringe di molto il campo percettivo con il risultato di perdere anche stimoli rilevanti. 30 Figura 8 - Ricezione degli stimoli e relazione arousal-prestazione (Landers, 1980, modificato) Per misurare lo stile attentivo dell'atleta Nideffer propone il TAIS(Test of Attentional and Interpretation Style) ma non essendo specifico per nessuno sport non ha un grande valore predittivo. Van Schoyk e Grasha (1981) hanno elaborato una versione del TAIS specifica per i tennisti per misurare la loro capacità di concentrazione. Modalità alternative di indagine prevedono la verbalizzazione dei pensieri durante la prestazione, l’analisi dei tempi di reazione in compiti complessi, la registrazione dei movimenti oculari ed il monitoraggio di parametri fisiologici. 2.7 Le abilità immaginative. Gli atleti utilizzano spesso e senza che nessuno abbia insegnato loro particolari tecniche, attività immaginative per anticipare, rivedere o 31 correggere la loro prestazione. In uno studio condotto da Hall, Rodgers e Barr (1990) su molti atleti di diverse discipline si notava come la maggior parte di essi impiegava immagini specifiche per prepararsi mentalmente, e più alto era il livello tecnico dell’atleta, più spesso venivano impiegate. L’immaginazione è considerata come la riproduzione parziale o globale, con un certo grado di realismo, di una precedente esperienza percettiva in assenza della stimolazione sensoriale originale. Le immagini possono essere di tre tipi (Hove 1991): – riproduttive, quando evocano un’azione già eseguita – creative, quando rappresentano un comportamento non ancora attuato – emotive, quando generano sensazioni collegabili con il movimento Frester (1984) definisce le funzioni della pratica immaginativa: – programmatoria, per la scelta di un programma motorio da svolgere attraverso l’immagine ideale dell’azione; – allenante, per il perfezionamento e la stabilizzazione del gesto; – regolatoria, nel controllo e nella correzione del movimento Ipotesi teoriche. Molte ricerche e studi sono stati fatti da diversi autori, ma i risultati non sempre hanno dato risposte conclusive o soddisfacenti. Teoria psiconeuromuscolare. Secondo questa teoria le attività motorie immaginate vividamente producono impercettibili stimolazioni nervose, registrabili con elettromiografo, ai muscoli coinvolti nell’attività ed altri tipi di risposte a livello cardiocircolatorio e respiratorio, simili a quelli dell'esecuzione reale. Questi minuscoli 32 impulsi consoliderebbero la traccia di memoria del movimento determinando un transfer positivo alle situazioni pratiche. In altre parole le visualizzazioni attiverebbero allora, preparandole, le vie nervose successivamente coinvolte nella trasmissione dell'impuso motorio. Teoria dell'apprendimento simbolico. Secondo questa teoria la funzione principale della pratica mentale è di rafforzare gli aspetti cognitivi del movimento. L’immaginazione agisce come un sistema di codifica per comprendere e acquisire schemi di movimento; aiuta l’atleta ad esaminare e capire meglio la prestazione e a modificarla quando necessario. 33 Capitolo III Tecniche di mental training 3.1 Rilassamento All’interno di un protocollo di mental training è difficile non includere un fase detta di “rilassamento”, in cui, attraverso specifiche esercitazioni l’atleta raggiunge uno stato di equilibrio psico-fisico che gli consente di addentrarsi in altre tecniche, o semplicemente di beneficiare degli effetti di questo status psichico. L'obiettivo del rilassamento è controllare il livello di attivazione al fine di gestire stati d'ansia e di tensione psicofisica. Il rilassamento è, probabilmente, tra le tecniche di preparazione mentale, quella più conosciuta ed accettata. Nonostante ciò, tale pratica ancora troppo spesso viene lasciata alla libera iniziativa del singolo atleta (che ne sente il bisogno) e stenta a far parte sistematica dell'allenamento psicofisico dell'individuo. I benefici che ne possono derivare sono notevoli: dal miglioramento della qualità di tutto il periodo di allenamento alla gestione ed ottimizzazione delle ore pre-gara fino alla creazione di una base solida su cui instaurare un serio progetto di preparazione mentale. Ecco riassunta una tabella che ne enuncia alcune caratteristiche peculiari: 1. rallentamento della frequenza respiratoria e regolarizzazione dei cicli respiratori 34 2. riduzione del consumo di ossigeno 3. rallentamento della frequenza cardiaca 4. aumento della resistenza cutanea 5. diminuzione del tono della muscolatura scheletrica 6. vasodilatazione periferica 7. aumento della sincronizzazione dell'EEG cioè, aumento della percentuale di onde alfa La caratteristica fisiologica della reazione di rilassamento consiste fondamentalmente in un abbassamento generale dell'intensità di eccitazione della componente simpatica del sistema nervoso autonomo ed in un aumento dell'attività della componente parasimpatica che si manifesta attraverso: variazione delle funzioni autonome (diminuzione pressione arteriosa e della frequenza cardiaca, riduzione del diametro pupillare, diminuzione della sudorazione e aumento dell'attività motoria e secretoria del sistema gastrointestinale) variazioni nervose centrali (aumentate sincronizzazioni dell'EEG e ipotonia della muscolatura scheletrica) variazione del comportamento, del vissuto e della coscienza (inattività, obnubilamento e stato ipnagogico). Le complesse reazioni fisiologiche che si manifestano durante il rilassamento non devono essere confuse con quelle caratteristiche del 35 sonno. L'insieme delle risposte che costituiscono lo stato rilassamento sono opposte rispetto alle reazioni di emergenza tipiche dei riflessi di lotta e di fuga. Il rilassamento si identifica quindi attraverso una riduzione della prontezza di eccitazione del tono simpatico. A livello psicologico il rilassamento si manifesta mediante: 1. sensazione soggettiva di tranquillità e distensione 2. diminuzione della vigilanza 3. marcata indifferenza di fronte a stimoli interni ed esterni A livello neurofisiologico, durante lo stato di rilassamento è possibile registrare una riduzione dell'attività della formazione reticolare e un equilibrio tra il sistema reticolare (intensità) e quello limbico (qualitativo-emozionale). E’ importante sottolineare che lo stato di rilassamento non consiste nel ridurre al massimo le funzioni fisiologiche, bensì nel mantenere una condizione di equilibrio della loro interazione. Vi sono molti metodi per ottenere una buon rilassamento: dal training autogeno, al rilassamento di Jacobson, yoga, zen, ecc. Per effettuare un buon rilassamento dobbiamo tener presente tre fasi da sviluppare e successivamente abbinare tra loro. I modi con si può ottenere un buon rilassamento sono diversi, basti pensare al Training Autogeno di Schultz (in cui il termine Autogeno vuole mettere in risalto come le modificazioni psichiche e somatiche vengono provocate autonomamente dal praticante, adattando il metodo alle proprie esigenze), al Rilassamento Progressivo di Jacobson (che prevede un 36 rilassamento generale dell'intero corpo ed un rilassamento differenziale col quale si insegna, nei gesti della vita quotidiana, ad utilizzare solo i muscoli impegnati in posture o movimenti, lasciando rilasciati gli altri) o alle tecniche di origine orientale (quali lo joga e lo zen). La cosa importante è che, a prescindere dalla tecnica utilizzata, il soggetto deve raggiungere bene l'obiettivo: il controllo del livello di attivazione psicofisica. Le tecniche di rilassamento fisico e mentale consentono all'atleta non solo di gestire l'ansia in vista della gara o durante questa, ma anche di essere maggiormente presente e concentrato sulla competizione, potendo accedere a tutte le sue risorse spesso bloccate da un eccesso di tensione. Una procedura di rilassamento può prevedere tre fasi differenti da svilupparsi progressivamente: 1. Esercizi di contrazione-decontrazione di alcuni gruppi muscolari, mantenendoli in tensione isometrica per alcuni secondi e successivamente rilasciarli; 2. Concentrarsi sulla frequenza respiratoria, cercando di diminuirla, con inspirazioni brevi ed espirazioni lente, con movimento diaframmatico e respirazione addominale. Difatti. una respirazione lenta segnala al cervello un momento di tranquillità, con conseguente diminuzione delle funzioni vitali; al contrario, se avessimo una respirazione veloce e frequente, il cervello interpreterebbe lo stimolo come una situazione di pericolo, non ideale quindi per rilassarsi; 37 3. Abbinare gli esercizi di contrazione-decontrazione muscolare alla respirazione: partendo dalla parte bassa del corpo, inspirando si contrae la muscolatura ed espirando la si rilassa. Infine, è doveroso porre l'attenzione a quei soggetti affetti da disturbo d'ansia generalizzata, disturbo da attacchi di panico, “depressione mascherata”, claustrofobia, fobia specifica poiché il “settino” del rilassamento potrebbe causare un certo disagio; in tale occasione (non così rara anche in ambito sportivo) uno psicologo sportivo, con competenze anche cliniche, troverà insieme all'atleta un modo “personalizzato” per raggiungere, comunque, il controllo dello suo stato di attivazione che rimane possibile e che, anzi, in queste persone, assume una doppia valenza: terapeutica e di preparazione mentale. 3.2 Self talk Self-Talk tradotto alla lettera vuol dire: ascoltare se stessi. Durante un match, l'atleta parla a se stesso e, molto spesso, la natura di questi dialoghi influenza l’esito della sua prestazione. Risulta dunque necessario, innanzitutto imparare a riconoscere questi flussi di pensieri negativi che impediscono la totale concentrazione sulla competizione, per poi gestirli con opportune tecniche che permettono di bloccarli e trasformarli. Un’ulteriore definizione di Self Talk inteso come sub-vocalizzazione, consiste nell’individuazione e nell’utilizzo mirato di parole stimolo volte a favorire nel giocatore l’ottimizzazione dell’ esecuzione del gesto tecnico della “self efficacy”(autoefficacia), e del livello ottimale 38 di performance di allenamento e gara. La struttura ed il contenuto di alcuni specifici pensieri influenzano la prestazione in modo più marcato rispetto ad altri. Il self talk, secondo questa definizione, spinge l’atleta durante la gara ad evocare consapevolmente stati psicologici positivi e produttivi che comportano una percezione di autocontrollo e una sensazione di autoefficacia. Generalmente viene considerato che parole, frasi o immagini di natura positiva possono svolgere una funzione positiva sulla percezione di efficacia che l'atleta ha di se stesso in una determinata situazione sportiva. In effetti, è ragionevole credere che la struttura e i contenuti di specifici pensieri influenzino la prestazioni più di altri: 1. affermazioni rilevanti per il compito (aspetti tecnico-tattici); 2. parole chiave riguardanti l'umore (singole parole a forte contenuto emotivo-affettivo); 3. affermazioni positive (parole significativamente positive). Nell’applicare questa tecnica, i "promemoria psicologici" consistono quindi in simboli o parole chiave il cui scopo funzionale è quello di richiamare sensazioni associate a ciò che si intende pensare, sentire o fare. Il self talk viene quindi suggerito attraverso apposite parolestimolo che aiutano l'atleta a focalizzare l'attenzione su aspetti chiave della prestazione, nel caso specifico, durante l’andamento di un match, e ad evocare volontariamente stati chiave psicologici positivi e produttivi, comportando una percezione di autocontrollo e di autoinduzione emotiva. La procedura consiste nel definire ed evidenziare un simbolo (una parola specifica o una frase), annotarla, cercare di visualizzarla, e tenerla impressa nella mente. Ogni qual volta che si indirizza la propria attenzione al simbolo o si pensa alla 39 parola presa in considerazione, verranno sperimentati i pensieri e le azioni associate allo stato che si vuole raggiungere. La reiterazione e l’intensità delle sensazioni che si associano allo specifico simbolo o parola, renderanno quest'ultimo un efficiente promemoria. In tal modo, si intuisce come il self talk, da una parte, possa costituire una forma di controllo attentivo, e indirizzi l'attenzione verso segnali più inerenti e rilevanti rispetto al compito, dall'altra, sia inscildibile dalla corretta applicazione del “pensiero positivo” assieme al quale trova la massima espressione. 3.3 Goal setting Goal setting vuol dire formulazione degli obiettivi. Durante il susseguirsi delle stagioni di competizione e di preparazione, la mole degli impegni diviene consistente, ed in alcuni casi l’atleta finisce per smarrire le giuste coordinate stabilite a priori per il raggiungimento degli obbiettivi finali. Frequentemente gli atleti non sono in grado di definire accuratamente un'adeguata scala degli obiettivi da perseguire durante il corso della stagione agonistica. Questa difficoltà nel pianificare gli specifici standard di abilità da raggiungere in un compito, ed in sostanza nel valutare il giusto livello di performance da ottenere, può compromettere l'esito di una stagione, con la possibilità di ripercuotersi sul resto della carriera. La suddetta programmazione degli obiettivi deve essere suddivisa in sub-obiettivi a breve, medio e lungo termine, motivando l’atleta ad un miglioramento graduale della prestazione. 40 I livelli di motivazione, determinazione, impegno, perseveranza e coinvolgimento di un atleta sono strettamente correlati alla natura e al tipo di obiettivi che si è posto, in particolare dal loro essere più o meno generici e più o meno significativi per l'atleta stesso. Gli obiettivi, infatti, focalizzano l'attenzione, facilitano la concentrazione, motivano alla performance, creano la sfida e forniscono un'occasione per analizzare e valutare le proprie abilità. Attraverso la tecnica del goal setting diverrà possibile la pianificazione non solo degli obiettivi generici, bensì dei "buoni obiettivi", caratterizzati da fattori determinati. Gli obiettivi specifici e significativi per l'atleta, capaci di catalizzare la motivazione che si trasforma in determinazione, e di dare forma e direzione all'azione concreta. Nell’applicazione di questa tecnica, è possibile definire differenti tipologie di obbiettivi: OGGETTIVI: cioè misurabili, come ad esempio vincere un determinato numero di matches, o raggiungere una determinata posizione in classifica ecc. SOGGETTIVI: non misurabili (divertirsi, compiere il gesto tecnico il più preciso possibile, ecc …) Ed inoltre, il passo successivo alla definizione degli obbiettivi riguarda il loro indirizzo: al risultato: vincere una gara; al miglioramento della performance; Inoltre possono essere indirizzati: a. sul piano individuale (per esempio all’incremento di parametri come: resistenza, velocità, esecuzione del gesto tecnico…) 41 b. del team (facendo riferimento ad un contesto di squadra che però poco si addice al tennis, che rappresenta in modo emblematico un esempio di sport individuale) Nell’organizzare questa “tabella” di obbiettivi è necessario riscontrare un’ulteriore sfaccettatura: Specificità (pianificando cosa deve essere fatto); Realismo (alla portata delle nostre capacità); Valutabilità (potendo quantificare gli obiettivi); Timely (mettendo una scadenza per raggiungere determinati obiettivi a breve-medio – lungo termine); Strategia (riguardante aspetti puramente tecnico-tattici). Vi possono essere dei momenti meno consoni al raggiungimento dei goal prestabiliti; questi devono essere individuati e possono essere di tipo: Psicologico (mancanza di sicurezza o di impegno); Motivazionale (perdita di interesse); Fisico (infortuni, malattie); Esterno (variabilità atmosferica, problemi familiari). 3.4 Pensiero positivo Ogni individuo osserva e vive la realtà di tutti i giorni interpretando le situazioni quotidiane secondo il proprio punto di vista. I meccanismi che rendono possibile la continua categorizzazione di fatti e eventi sono influenzati dalla propria matrice visiva, che imprime la sua personale impronta, positiva o negativa, ad ogni nuova circostanza. Il modo di osservare un dato evento assume quindi un carattere di 42 assoluta individualità, e succede che ciò che, inizialmente, sembra essere solo una predisposizione poi diventa inevitabilmente un'abitudine. E' proprio così, nella grande differenza interindividuale, c'è chi spontaneamente, aprendo la porta di una stanza sconosciuta (come la vita), guarda (o cerca) prevalentemente gli oggetti, gli arredi, le cose piacevoli e chi, invece, altrettanto naturalmente, guarda (o cerca) prevalentemente gli oggetti, gli arredi, le cose spiacevoli. Il perché di questa visione della realtà è, certamente, radicato su dinamiche psicologiche complesse che, a seconda dei casi, poi trova conferme e/o disconferme nell'esperienza della quotidianità. Una verità maggiormente eclatante è che in ogni individuo, inequivocabilmente, il positivo c'è. In alcune persone risulta essere palese, evidente ed in bella mostra, in altri individui emerge solo dopo un accurato lavoro d’indagine, ma risulta comunque presente. Il pensiero positivo, quindi, prima ancora di essere una tecnica di preparazione mentale, si può considerare una “filosofia di vita”. Ignorando quest’approccio interiore, senza cioè ricercare il positivo esistente negli altri, diviene complesso e probabilmente improduttivo l’utilizzo di questa tecnica di mental training. Si cadrebbe, empaticamente, in contraddizione. La tecnica. Per riuscire a mettere in atto questa tecnica, è fondamentale il ruolo dello psicologo sportivo, che deve conoscere profondamente l'atleta al fine di comprendere meglio quale sia la sua predisposizione iniziale "a pensare positivo". Bisogna intuire come l'individuo, che si accinge a prepararsi, vive gli eventi positivi e quelli negativi, è necessario quindi riuscire a scorgere il suo stesso punto di vista, interpretando empaticamente la realtà. In seguito a cosa, a suo 43 avviso, si è vinto o perso. Bravura, fortuna, fatalità? Anche attraverso l’osservazione e l’analisi di questi piccoli elementi lo psicologo può valutare il livello di autostima dell'atleta e l'autoefficacia (autostima gesto-specifica)partendo dall’assunto che chi pensa spesso in negativo, probabilmente, ha un basso livello di autostima. Attraverso un dialogo psicologo/atleta diviene possibile aiutarlo a cercare ciò che di lui è positivo per poi cominciare a "tirarlo fuori". E' un allenamento continuo: spostare e allontanare il negativo, vedere e pensare positivo, annientare i pensieri neri, ponendo risalto solo a quelli chiari. Al termine di questa pratica, applicata tenendo conto di tutti i fattori l'atleta scopre di aver appreso a pensare positivo. E siccome il pensiero positivo è "contagioso", senza rendersene pienamente conto, l'atleta comincia ad insegnare a pensare in positivo a chi sta accanto a lui. L’avverarsi di questa circostanza funge da prova finale per lo psicologo nella valutazione dell’efficacia del suo intervento. 3.5 Training autogeno Il training autogeno è una tecnica di rilassamento. Fu sviluppato nel corso degli anni Trenta da Johannes Heinrich Schultz, psichiatra tedesco, che nei suoi precedenti studi aveva profondamente analizzato l’ipnosi. Il training autogeno ha lo scopo di rendere i propri pazienti indipendenti dal terapeuta per sviluppare il proprio benessere. Il termine training, dall’inglese, significa esercizio; infatti è solo esercitandosi che si riescono a raggiungere il vero rilassamento corporeo. Il termine autogeno indica, invece, come i cambiamenti psichici scaturiscano dal praticante stesso e non sono generati da 44 un'operatore (psicologo/psicoterapeuta/medico), se non in fase iniziale di apprendimento della tecnica. Lo scopo principale di questa tecnica di mental training è l'eliminazione dello stress, dell'ansia, scaricare la tensione e favorire il recupero delle energie. Questa tecnica è indicata per atleti e sportivi in genere in quanto favorisce il recupero di energie permettendo una migliore gestione delle proprie risorse, migliora la concentrazione e contribuisce al conseguimento di alte prestazioni. Proprio enunciando queste caratteristiche risulta assolutamente appropriato abbinare questo strumento di preparazione mentale ad uno sport così intenso, dal punto di vista psichico, come il tennis. Il training autogeno agisce come strumento di cambiamento a tre livelli: 1. A livello fisiologico, favorendo un riequilibrio del Sistema Nervoso Vegetativo e del Sistema Endocrino, entrambi in stretta correlazione con gli aspetti emotivi; 2. A livello fisico, incrementando lo stato di benessere e di salute generale; 3. A livello psicologico, aiutando a ristrutturare le proprie reazioni negative e migliorando alcuni vissuti psicologici. Attraverso il training autogeno si crea un crescente equilibrio psicofisico, soprattutto su quelle funzioni psicosomatiche che sono mediate dal cosiddetto Sistema Nervoso Autonomo. Gli esercizi infatti tendono a mettere a riposo quella parte di tale struttura che garantisce l’attivazione psicofisiologica e diminuiscono quegli eccessi di alcuni ormoni, come l’adrenalina, che si riversano nel sangue in condizioni di stress. 45 Allo stesso modo l’allenamento autogeno permette di passare gradualmente ad una maggiore consapevolezza (e una conseguente possibilità di controllo) delle attività muscolari involontarie (es. respirazione), liberandole sempre di più del controllo volontario negativo che costringe a stati di stress alcuni muscoli volontari. Il carico di tensioni fisiche e psicologiche accumulate viene scaricato attraverso le cosiddette “scariche autogene”, ossia quei fenomeni transitori di origine psicologica o somatica che tendono a manifestarsi in modo decrescente fino a sparire completamente nel corso dell’allenamento autogeno e che sono connesse alla possibilità del T.A. di liberare e decongestionare le aree cerebrali sovraccaricate dallo stress. Per questo spesso, nelle fasi iniziali dello svolgimento degli esercizio di training autogeno, si possono verificare scariche motorie (movimenti involontari, tosse, riso, spasmi), scariche uditive (ronzii, fischi, rumori), scariche vestibolari (vertigini, senso di galleggiamento) o ancora scariche affettive (emozioni di vario tipo positive o negative). Di qualunque tipo siano le scariche autogene esse in genere interessano aree somatiche (muscoli, vista, ecc.) o aree psicologiche (affetti, pensieri, ecc.) sovraccariche di tensione che in tal modo viene diminuita gradualemente. Altri processi neuropsicologici importanti sembrano inoltre intervenire nella fase di allenamento al cambiamento psicofisico prodotta attraverso il “training autogeno”. Esercizi e utilita’ del training autogeno Gli esercizi del training autogeno vanno distinti in due categorie: 1. Training Autogeno Inferiore 46 2. Training Autogeno Superiore Nella prima area rientrano sei esercizi di base, due fondamentali e quattro complementari, tutti eseguiti dopo l’esercizio propedeutico. 1. “l’esercizio della calma” - fase propedeutica, di introduzione agli altri esercizi. Attraverso il raggiungimento di uno stato iniziale di “calma” in cui si riesce a mettere da parte ogni preoccupazione ed ogni pensiero diviene possibile sperimentare in modo adeguato ed efficace gli altri esercizi. Tale esercizio risulta molto utile per imparare a controllare stati di ansia generalizzata o di confusione e panico poiché consente di accrescere la capacità di convogliare all’interno quelle energie mentali che tendono a disperdersi verso l’esterno, guidate da forze centripete che catturano l’attenzione su elementi che alimentano vissuti e pensieri negativi. 2. “esercizio della pesantezza” - rappresenta un utile strumento per ottenere uno stato generale di rilassamento muscolare e consente di prendere consapevolezza di tensioni muscolari inconsapevoli e di vissuti psicologici che tendono a crearle e quindi a generare delle problematiche psicosomatiche quali dolori, crampi. Esso, pertanto, risulta estremamente utile per affrontare problematiche del dolore, cefalee muscolo-tensive, disturbi da stress, vertigini derivanti da tensioni accumulate sul collo o per combattere l’insonnia. 3. “esercizio del calore” - consente di ottenere dei cambiamenti a livello della circolazione nei vari distretti muscolari, approfondendo lo stato di rilassamento che è possibile ottenere attraverso il precedente esercizio, poiché accresce il 47 rilassamento e anche la mobilità muscolare. Questo esercizio è utile per coloro che soffrono di disturbi legati alla cattiva circolazione e può essere un valido strumento di riscaldamento mentale dei muscoli che devono essere impegnati in uno sforzo fisico. 4. “esercizio del cuore” - ci si mette in contatto con il proprio ritmo interiore di vita e con la parte che simbolicamente viene designata come “il centro delle emozioni”. E’ un esercizio non sempre facile da eseguire e strettamente importante per favorire il contatto e la graduale accettazione sia della propria vita affettiva-emotiva, sia della natura umana. I risultati che possono essere ottenuti praticandolo correttamente hanno importanti ricadute positive nell’alleviare le somatizzazioni che riguardano problematiche circolatorie centrali, come la tachicardia, che nascono da situazioni ansiogene e che sono una delle componenti fondamentali del cosiddetto Disturbo da Attacchi di Panico. 5. “esercizio del respiro” - si impara a lasciare che la funzione respiratoria non venga influenzata da aspetti psicologici che tendono a modificarla alterandola. Anche questo esercizio è molto utile in caso di problemi somatici legati all’ansia, poiché questi ultimi tendono sempre a manifestarsi con una ricaduta sul ritmo respiratorio che in genere viene accelerato, producendo scarsa ossigenazione e sintomi conseguenti come capogiri o sensazione di svenire. 6. “esercizio del plesso solare” - è un esercizio coinvolge molti organi interni quali intestino, fegato, pancreas, milza, rene e 48 surrene, che convogliano tutti verso lo stesso ganglio nervoso che media il loro funzionamento. Eseguito con una mano sul ventre fino alla parte finale dello sterno per aumentare il contatto e la consapevolezza della zona su cui si lavora, questo esercizio consente sia di lavorare per favorire un migliore funzionamento degli organi vitali coinvolti, che per ridurre le tensioni di natura psicologica che spesso sono alla base di gastriti e problemi digestivi. 7. “esercizio della fronte fresca” - che completa efficacemente un rilassamento generalizzato, consente di lavorare sia sulle problematiche somatiche connesse alla cattiva circolazione cerebrale, poiché agevola una vasocostrizione e quindi un controllato afflusso del sangue al cervello, sia su quelle problematiche psicologiche che sono avvertite e vissute come “calore e sovraccarico della mente”. Il passo successivo alla fase riguardante tutti gli esercizi del Training Autogeno Inferiore, è possibile eseguire un’ulteriore parte di specifici esercizi che appartengono al Training Autogeno Superiore. Per apprendere correttamente questa tecnica si può ricorrere ad un operatore specializzato, nel caso specifico, di uno psicologo sportivo. Infine, esiste anche la possibilità di seguire un vero e proprio percorso psicoterapeutico con specialisti che utilizzano la cosiddetta “psicoterapia autogena”. 49 Ambiti di applicazione della tecnica L’approfondimento della conoscenza degli esercizi di base del Training Autogeno permette di comprendere meglio le innumerevoli possibilità applicative che sono state sviluppate rispetto all’uso originario di tale metodo. Il training autogeno, infatti, nasce originariamente in campo clinico psicologico e psicosomatico per affrontare problematiche quali: disturbi funzionali e somatizzazioni di tipo neurovegetativo(cefalee, tachicardie, problemi circolatori e respiratori, disturbi digestivi); fobie e disturbi d’ansia; tic o balbuzie; disturbi del sonno (insonnia, apnee). Attualmente uno dei campi più importanti di applicazione di questa tecnica è quello della psicologia dello sport e della preparazione mentale degli atleti (Bassi G.B., Bonfanti M., Arcelli E.) che riguarda sia intere squadre sportive (di calcio basket, pallacanestro, pallanuoto) che atleti che praticano sport individuali in cui alcuni esercizi risultano utilissimi sia alla performance che alla riduzione che al recupero di alcuni infortuni. È il caso del tennis, in cui si rivela efficacissima anche per il controllo della concentrazione. 3.6 Concentrazione - Gestione dell’arousal Esistono due tipi di concentrazione: 50 • l’attenzione spontanea (involontaria), che è catturata da ciò che si muove nell’ambiente esterno attorno all’atleta; • l’attenzione conativa (volontaria), focalizzata su un determinato stimolo, ed è proprio questa seconda tipologia che bisogna sviluppare e ottimizzare per la performance nella gara. Riguardo all’argomento sono stati condotti diversi studi, in particolar modo lo stile attentivo ha interessato Neideffer che, nell’anno 1993 ha elaborato un importante modello riportato nella figura 1 51 Il Focus attentivo può essere: - ESTERNO AMPIO (Aware) specifico dei giochi di squadra e/o delle categorie "open skill"; - ESTERNO RISTRETTO (Focused) tipico delle discipline o delle azioni motorie "closed skill"; - INTERNO AMPIO ( Strategic) caratteristico delle pianificazioni di gara o di determinate tipologie di pausa all'interno della stessa; - INTERNO RISTRETTO (Systematic) tipico dell'allenamento ideomotorio. Mantenere un buon livello di concentrazione vuol dire controllare i processi motori di pensiero, dirigere e conservare l'attenzione su un determinato compito per una esatta esecuzione potenziando le capacità 52 di selezionare gli stimoli su cui focalizzare l'attenzione, escludendo quelli ininfluenti; dirigere l'attenzione al momento appropriato verso le informazioni pertinenti; mantenere l'attenzione sugli stimoli rilevanti. Il perfezionamento e la gestione volontaria della capacità di concentrazione si ottengono attraverso il training propriocettivo e le procedure di rilassamento, andando così a costituire un insieme di abilità sinergiche ed interconnesse e rappresentando le condizioni necessarie per la buona riuscita delle successive fasi di visualizzazione e ripetizione ideomotoria. Gestione dell'Arousal (Gestione dell'attivazione fisiologica) Con il termine arousal è indicata in psicofisiologia l'intensità dell'attivazione fisiologica e comportamentale dell'organismo: quando l'organismo deve effettuare una prestazione deve attivarsi, cioè mettere in moto una serie di processi caratteristici dello stato di arousal quali l'aumento della vigilanza e dell'attenzione, l'attività dei muscoli che si preparano allo sforzo ed il cuore e i polmoni che si preparano al dispendio di energia. E' di fondamentale importanza per un atleta raggiungere e mantenere il suo livello ottimale di attivazione psicofisiologica in ogni circostanza, allenandosi con delle semplici tecniche di attivazione o disattivazione secondo le esigenze. Focalizzazione dell'attenzione e concentrazione (Focusing) La concentrazione è la capacità di focalizzare l'attenzione su un compito per un determinato periodo di tempo, senza essere distolti da 53 fattori distraenti interni (ad es. pensieri negativi) ed esterni (ad es. il rumore della folla). Incremento della motivazione e dell'autostima. L'acquisizione di fiducia in sè è la vera chiave della motivazione: se l'atleta ha fiducia in sè e in quello che è in grado di fare non solo è motivato, ma accresce le sue probabilità di avere successo. Fino a quando l'atleta cercherà solo nell'ambiente esterno di soddisfare i suoi bisogni di sicurezza, stima ed approvazione, la vittoria gli sfuggirà, poichè il suo senso di identità personale sarà dipendente da fattori esterni di cui avrà bisogno. Il passaggio avviene quando l'atleta inizia a scoprire queste qualità dentro di sè. Invece di cercare approvazione trova il suo senso di intimo valore. Diventa abbastanza sicuro di sè da essere in grado di comprendere di essere un giocatore valido anche se commette degli errori. 3.7 Visualizzazione e imagery “Se vuoi essere un campione, devi aver vinto nella tua mente ogni tua gara, cento volte prima vincerla nella realtà!” (Marti Liquori) Tra le tecniche più adottate in psicologia dello sport, per incrementare la performance degli atleti, una delle più interessanti è l'imagery, che, analizzando semplicemente il significato del termine inglese, si basa sulle immagini usate per allenare l'atleta mentalmente. Prima di tutto l'imagery è definita come una visualizzazione o ripetizione o immaginazione che può coinvolgere uno o più sensi (Liggett & Hamada). Secondo Cei (1987) immaginare è un'attività che coinvolge non solo la vista ma anche il tatto, l'udito, i muscoli, insomma “è un pensiero di 54 tutto il corpo”. Nel loro articolo del 1993, Liggett e Hamada, fanno una distinzione tra imagery mentale ed imagery cenestesica. L'imagery mentale consiste nel vedersi da soli eseguire la prestazione, nel caso degli atleti, come se si stesse guardando un film o un video della loro stessa prestazione. Nell'imagery cenestesica, l'immaginazione diventa più intensa o più profonda, l'atleta sente realmente il movimento nei muscoli e sperimenta le emozioni della performance; rispetto a quella mentale, l'imagery cenestesica è più efficace a causa degli impulsi, più intimamente confrontabili a quelli dell’evento reale che vanno ai muscoli. Frester (1984) chiama allenamento ideomotorio "…tutte quelle forme di esercitazione nelle quali si ha un'autorappresentazione mentale, sistematicamente ripetuta, e cosciente dell'azione motoria che deve essere appresa, perfezionata, stabilizzata o precisata, senza che si abbia un'esecuzione reale, visibile esternamente, di movimenti parziali o globali." Il funzionamento dell'allenamento ideomotorio si basa sul fenomeno, noto anche come “effetto Carpenter” che a sua volta, si fonda sul fatto che immaginare un movimento determina una stimolazione, seppure molto lieve, dei muscoli interessati dall'attività immaginativa. Le stimolazioni non arrivano ad una contrazione esternamente visibile ma possono essere registrate attraverso il potenziale elettrico muscolare (EMG). Il risultato sarebbe un rinforzo, un consolidamento della traccia mnestica nella memoria del movimento, il che faciliterebbe la successiva esecuzione concreta Le tecniche di visualizzazione e di allenamento ideomotorio consentono all'atleta di rilassarsi e di apprendere nuovi gesti o 55 perfezionare quelli già appresi. Poiché questi esercizi richiedono all'atleta di riuscire a mantenere delle immagini mentali stabili o a seguire il loro corso nell'esecuzione mentale di un gesto, intervengono anche nel miglioramento della concentrazione durante l'esecuzione del gesto stesso. Gli atleti vengono progressivamente allenati alla rappresentazione mentale di immagini visive, inserendovi stimoli immaginativi polisensoriali e favorendo in questo modo un maggiore coinvolgimento emozionale e cognitivo da parte del soggetto. La capacità di visualizzare comprende alcune attività applicabili allo sport, fra cui l'osservazione di altri atleti in azione (dal vivo o videoregistrati) seguita dalla ripetizione immaginata delle sequenze motorie (allenamento ideomotorio); il passo successivo consisterà nell'esecuzione pratica dell'atleta del movimento prima osservato e poi visualizzato. La tecnica dell'Imagery, preceduta sempre da una breve seduta di rilassamento, viene anche utilizzata prima della gara come momento di concentrazione e di visualizzazione del percorso tecnico/tattico. Definizione. Rappresentazione mentale sistematicamente ripetuta e cosciente dell'azione motoria (Frester, 1985)…che deve essere appresa, perfezionata o stabilizzata, senza che vi sia una esecuzione reale, visibile esternamente, di movimenti parziali o globali (Corbin, 1972).Un'altra definizione è quella di Richardson (1969): l'imagery si riferisce a tutte quelle esperienze quasi-sensoriali e quasi-percettive di cui siamo coscienti e che per noi esistono in assenza di quelle condizioni di stimolo che realmente determinano quelle specifiche reazioni sensoriali e percettive. 56 Le caratteristiche principali, quindi dell'allenamento ideomotorio sono: capacità individuale di provare sensazioni in assenza di stimolo consapevolezza nell'esecuzione di questa attività mentale assenza di movimenti visibili, durante tale attività L'allenamento ideomotorio: 1. facilita-supporta l'apprendimento del movimento 2. ottimizza l'esecuzione motoria La teoria. Fondamentalmente sono cinque le teorie che tentano di spiegare il perché dell'efficacia dell'allenamento ideomotorio: 1. la teoria psiconeurosensoriale (Carpenter, 1894; Jacobson, 1934; Suinn, 1972, 1976; Jowdy e Harris, 1990) secondo la quale la ripetizione ideomotoria provoca una ridotta, ma misurabile attivazione neuromuscolare specifica (distretti muscolari interessati all'azione);2. la teoria dell'attivazione("arousal") (Schimidt, 1982; Feltz & Riessinger, 1990) secondo la quale l'imagery favorisce l'insorgere di livelli di attivazione adeguati alle richieste (attivazione neuromuscolare generalizzata);3. la teoria dell'apprendimento simbolico (Fitts, 1964; Feltz & Landers, 1983; Hall & Erffmeyer, 1983) secondo cui tale pratica fornisce al soggetto l'opportunità di allenare gli elementi simbolici di un compito motorio e di preparare/pianificare mentalmente la prestazione (Bandura, 1969);4. la teoria bioinformazionale (Lang, 1977; Bird, 1984) secondo cui al variare dell'immagine mentale varia anche il comportamento reale, entrambi in stretta correlazione. 5. teoria del modello triplo codice (Ahseen, 1984; Murphy e Jowdy, 57 1992) secondo la quale l'efficacia dell'imagery subisce l'influenza di tre fattori interagenti: il realismo sensoriale delle immagini, le modificazioni fisiologiche prodotte dalle immagini e il significato delle immagini che deve essere soggettivamente significativo. La tecnica. Dopo aver definito la sequenza motoria specifica, si procede alla sua sistematica ripetizione a livello immaginativo, in parallelo all'allenamento effettuato sul campo (esecuzione pratica). Ogni gesto tecnico è composto da una sequenza di movimenti consecutivi: per la realizzazione della pratica ideomotoria occorre focalizzare l'attenzione, per ogni step motorio della sequenza, solo sul movimento del proprio corpo e, una volta memorizzata la sequenza corretta, anche sulle sensazioni e sui pensieri che lo accompagnano e sul ritmo respiratorio. Per aiutare l'atleta nell'acquisizione della sequenza motoria corretta e nell'elaborazione di immagini mentali appropriate, la rappresentazione mentale viene fatta precedere dalla visione di un filmato del gesto tecnico. Successivamente, dopo aver raggiunto lo stato di rilassamento in tempi brevi, si introducono visualizzazioni polisensoriali riguardanti il setting abituale, al cui interno si rappresenta mentalmente la sequenza ideomotoria del gesto atletico, rispettandone i parametri spazio-temporali. La sequenza ideomotoria deve essere ripetuta da tre a cinque volte, ma nel caso subentri un calo della concentrazione va sospesa immediatamente per passare all'esecuzione pratica. È stato dimostrato che l’allenamento fisico è maggiormente efficace se accompagnato dall’allenamento ideomotorio e che gli atleti infortunati che si allenano mentalmente, una volta superati i problemi fisici, recuperano più in fretta una buona condizione tecnica. 58 3.8 Biofeedback Il biofeedback (tradotto dall'inglese: retroazione biologica) è conosciuto nell’ambito del mental training come biofeedback training. Questa tecnica possiede palesi caratteristiche derivanti dalla psicoterapia, ed in particolare si fonda sulla teoria comportamentista. Lo scopo principale di questo strumento terapeutico e quello di aiutare il paziente/atleta a prendere coscienza e controllo del suo comportamento. Il biofeedback nacque con la diffusione negli anni '60 della meditazione trascendentale negli USA. Si osservò, utilizzando un EEG, che nello stato di meditazione il cervello aumenta la produzione di particolari segnali detti onde alfa, che stanno ad indicare uno stato di rilassamento psico-fisico del soggetto. Addestrando il soggetto sulla sua produzione di onde alfa si può aumentarne la produzione ed aumentare così il rilassamento. Da quei primi studi, il passo evolutivo della psicologia sportiva ha condotto questa tecnica a nuovi sbocchi applicativi, nell’ambito di numerose discipline sportive, tra cui il tennis. L'organismo umano interagisce costantemente con la realtà circostante attraverso l'elaborazione di un comportamento adattativi, che spesso viene attuato automaticamente ed in modo inconscio, come meccanismo di autoregolazione. Questo tipo di strategia comportamentale è la risultante del lavoro sinergico di più sistemi di controllo interagenti e legati tra di loro. Alcuni di questi meccanismi sono regolati dai sistemi neurovegetativo, endocrino ed immunitario. Quando l’atleta percepisce dei segnali che provengono dall’interno del 59 suo corpo, ad esempio la frequenza cardiaca in aumento dopo una corsa affannosa, può agire per modificarli, formando un sistema elementare di biofeedback. Il biofeedback è l'applicazione di queste osservazioni con le tecnologie opportune. Questo tecnica nella suo utilizzo terapeutico coinvolge tre differenti discipline : psicologia, fisiologia ed elettronica. Con il biofeedback, una certa funzione corporea come la tensione muscolare o la temperatura cutanea viene monitorata con l'uso di elettrodi o di trasduttori applicati sulla pelle del paziente. I segnali captati vengono amplificati ed usati per gestire segnali acustici o visivi. Attraverso questo accurato sistema di monitoraggio, l’atleta può tentare consciamente di utilizzare delle strategie per imparare a controllare volontariamente la funzione presa in esame. Il biofeedback consente al coach di ottenere un ulteriore approfondimento nella valutazione globale dell'atleta, e la possibilità, quindi, di individuare il suo specifico profilo di attivazione, identificando la quantità di energia reclutata nel corso della sua performance di allenamento e di gara. Attraverso il monitoraggio fornito dalle specifiche apparecchiature psicofisiologiche diviene possibile per l'atleta di imparare ad auto-regolare: • gli eventuali stati di ipoattivazione o iperattivazione (disfunzionali alla performance) • gestire gli eventi stressanti e recupero dall'over training • gestione degli stati ansiosi • migliorare la capacità concentrazione 60 Un’altra tecnica del tutto simile al Biofeedback nei canoni principali, da cui differisce solo per lievi sfumature procedurali è detta “Training propriocettivo”. Anche nell’utilizzo di questo tipo di strumento risulta importante il messaggio che il nostro corpo invia all’individuo stesso, attraverso i canali fisiologici, da cui egli può trarne vantaggi e benefici fuori e dentro la performance sportiva in termini di autocontrollo. L'obiettivo del training propriocettivo è quello di portare l'individuo ad apprendere ed affinare gradualmente le capacità di autopercezione, autoispezione e raggiungere una migliore consapevolezza corporea. Esso può considerarsi come un prerequisito al training di rilassamento psicofisico vero e proprio. Il sistema principale nell’attuazione di questo training consiste nell’”ascoltare” il proprio corpo. La condizione necessaria ascoltare per accedere all’ascolto, risiede innanzitutto in uno stato silenzioso. Successivamente bisogna impararne la “lingua”, s’intende tutti gli strumenti di decodifica dei vari tipi di messaggio: il ritmo cardiaco, la frequenza respiratoria, le contrazioni e decontrazioni, posture, massa, elasticità, forza, potenza, e tutta una serie di sensazioni che, ad un attento ascoltatore, comunicano qualcosa. Il corpo non smette mai di comunicare e, pertanto, appare riduttivo prestargli attenzione solamente in caso di dolore, fatica e/o limitazione funzionale. La tecnica per mettere in pratica questa tipologia di preparazione mentale si articola attraverso esercizi che favoriscono una progressiva acquisizione della capacità di concentrazione e presa di coscienza corporea in relazione (rappresentazione a mentale, specifiche parti dell'organismo autopercezione, esplorazione, 61 autoinduzione di sensazioni di pesantezza e calore). Naturalmente risulta più semplice per l’atleta cominciare dalla percezione dei segnali corporei più evidenti (come frequenza cardiaca e respiratoria), per poi giungere alla percezione di sensazioni corporee conseguenti ad un determinato movimento fino ad arrivare a riconoscere i segnali connessi ai gesti più fini. Allenare il “giocatore di tennis” ad ascoltare il proprio corpo dà all'atleta stesso una maggiore sensazione di controllo del movimento e, di conseguenza, ne aumenta la sicurezza durante l'esecuzione dei gesti tecnici o delle sequenze tatticostrategiche. Gli esercizi di training propriocettivo hanno inoltre l'obiettivo di aumentare la capacità di reazione dinamica rispetto a sollecitazioni potenzialmente lesive. Da questa prospettiva, la suddetta tecnica rappresenta un valido complemento all’interno della programmazione d’allenamento e nella prevenzione degli infortuni. Nell’affermare ciò, risulta scientificamente evidente che a livello del complesso articolare, legamenti, muscoli e tendini si trovano dei recettori di diverso tipo che svolgono la funzione di informare costantemente il Sistema Nervoso Centrale sulla posizione e sullo stato di tensione delle diverse strutture (informazioni propriocettive). 3.9 Automatizzazione delle strategie Tra gli obiettivi principali della preparazione mentale vi è senza alcun dubbio quello di rendere l'atleta autonomo. Per far sì che ciò avvenga, 62 però, è necessario disporre di validi maestri e di diversi anni di allenamento, sia fisico che mentale. In questo processo di formazione del giocatore, l’apporto che può dare l'allenamento mentale, è quello di una maggiore conoscenza e cognizione delle risorse di cui l'uomo per natura è dotato, ma che non sempre riesce ad utilizzare pienamente. Difatti, essere in grado di orientare la propria mente al pensiero positivo, sapersi concentrare, avere degli obiettivi, ascoltare il proprio corpo, imparare a rilassarsi, avere fiducia e stima di se stessi, ripetere a mente il gesto atletico perfetto, sono tutti strumenti utili a indurre ogni individuo a usufruire di tutte le energie più profonde e nascoste che ogni essere umano possiede. Quella marcia in più che fa la differenza. Seguire un programma che metta in atto le succitate tecniche, porta l’atleta ad acquisire quelle capacità necessarie ad affrontare e gestire nel miglior modo possibile l’intero periodo della preparazione di un grande evento, le fasi di attivazione immediatamente precedenti la gara, la gara stessa ed il dopo gara, in maniera completa e matura. Il miglior auspicio, che si possa fare ad un atleta è di quello di saggiare, quanto il più a lungo è possibile, la gioia ed il piacere di "guidare" il proprio corpo attraverso il pieno utilizzo e controllo delle sue attività mentali. I successi che, immancabilmente, vivrà faranno da lieto contorno a quello che sarà l'equilibrio di un atleta perfetto. 63 Capitolo IV Una ricerca sul mental training 4.1 Obiettivi della ricerca Il seguente capitolo mira alla comprensione di alcuni aspetti che riguardano il mental training, il quale si realizza attraverso svariate e differenti tecniche, in relazione al tennis di alto livello. Nel corso di questi ultimi anni, in cui il tennis ha proseguito a ritmo incalzante nel suo processo di evoluzione, si è ulteriormente evidenziata l’importanza di una programmazione di preparazione e di attività di competizioni, sempre più consistente e, soprattutto, completa, che possa venire incontro alle svariate e differenti esigenze del giocatore. Al di là delle variegate ipotesi e supposizioni, che in modo semplicistico, si possono inferire, resta da circoscrivere un quadro obiettivo e veritiero su quali possano essere le esigenze prioritarie che hanno una diretta correlazione con la prestazione di alto livello, e quindi, probabilmente, maggiore incidenza per coaches e giocatori. Tutte le osservazioni che riguardano il tennis in generale, vengono fatte esclusivamente osservando i giocatori, e i loro matches. Attraverso questa prima e superficiale analisi risulta particolarmente facile affermare che tutti i giocatori “giocano bene”, nel senso che sono dotati di capacità tecniche e fisiche che consentono loro di competere a quel livello. Partendo da questo facile assunto: “perché alcuni giocatori sono più vincenti di altri”? La risposta a questo banale 64 quesito risiede nella moltitudine di variabili interconnesse che incidono sulla prestazione, e che possono influenzare il corso di un intera carriera. Gli aspetti di natura psicologica racchiudono molte di queste variabili. Essendo uno sport individuale, il tennis pone il singolo individuo ad affrontare una serie di problemi, legati al gioco, verso i quali è solo nel ricercare le soluzioni che possano indirizzarlo al successo. Questa tipologia specifica di “problem solving”, che avviene sia in modo conscio che in modo inconsapevole, è a sua volta strettamente correlata alle emozioni. L’obiettivo della ricerca è comprendere la reale importanza delle componenti di natura psicologica nel tennis di alto livello, e successivamente, attraverso un’indagine, capire: se, e come si “allena” la mente. Gli obiettivi principali della ricerca sono: • Accertare l’importanza degli aspetti di natura psicologica all’interno della prestazione di alto livello. • Identificare gli eventuali aspetti che hanno una particolare incidenza sulla prestazione. • Verificare l’utilizzo o meno di tecniche per la preparazione mentale. Se sì, menzionare le tecniche utilizzate. • Verificare se la proposta di mental training passa attraverso la consulenza di uno psicologo, o soltanto attraverso il coach. Le ipotesi da cui scaturisce questa ricerca sono: 65 • Gli aspetti psicologici hanno una grande importanza, anche in rapporto alle altre caratteristiche specifiche (doti fisiche, qualità tecniche e tattiche, ecc.). • Ad alto livello, appare indispensabile curare ogni dettaglio della preparazione, incluso il supporto psicologico del mental training. • Nel tennis di vertice, molti coach si occupano direttamente della gestione degli aspetti psicologici del giocatore. 4.2 Presentazione dello strumento Per l’attuazione della ricerca è stato utilizzato come strumento un’intervista, strutturata allo scopo di conoscere particolari dettagli specifici riguardanti gli aspetti psicologici, e il mental training. Essa è rivolta in egual modo a giocatori, e a coaches di alto livello. L’intervista è composta da 11 quesiti a risposta aperta, in cui l’intervistato è libero di esprimere la propria opinione e il proprio punto di vista riguardo all’argomento in questione. INTERVISTA 1) Quanta importanza ricoprono per Lei gli aspetti mentali all’interno di un match? 2) Quali sono le componenti di natura mentale che dal Suo punto di vista maggiormente influiscono all’interno della prestazione? 3) Utilizza strumenti o tecniche per la gestione o per la preparazione delle suddette capacità mentali? 66 4) Quali tecniche e quali interventi? 5) In che modo si articola questo tipo di intervento? 6) Si avvale anche della consulenza di uno psicologo sportivo? 7) Secondo la Sua esperienza, come si pone il mental training all’interno del binomio coach/giocatore? 8) Esiste un momento o una condizione particolare nella stagione competitiva, in cui si avverte maggiormente l’esigenza di un supporto psicologico? 9) Riesce a riscontrare benefici “oggettivi” dall’utilizzo di queste tecniche? 10) Quali strumenti di valutazione ha a disposizione? 11) Volgendo lo sguardo a 360°, in che percentuale (o quantità) i Suoi colleghi utilizzano tecniche di mental training? 4.3 Caratteristiche dei soggetti intervistati L’intervista è stata somministrata a 30 soggetti, suddivisi in due gruppi di giocatori ed allenatori che rappresentano in modo emblematico l’attuale tennis di alto livello. Il primo gruppo è composto da 10 giocatori che militano tra i top 200 della classifica ATP, tra cui, per menzionarne qualcuno, Filippo Volandri, Potito Starace, Uros Vico, ed altri; da 5 coaches che allenano giocatori dello stesso livello, come Alberto Castellani, Fabrizio Fanucci, ecc.. Il secondo gruppo è composto da 10 giocatori che militano nel gradino immediatamente al di sotto di quello dei precedenti, e che quindi svolgono sia attività a livello nazionale, che a livello internazionale 67 ITF e ATP. La restante parte di intervistati del secondo gruppo è costituita da 5 coaches che allenano giocatori di questo rango. Le risposte dei soggetti intervistati verranno catalogate e classificate, al fine di estrarne i dati numerici riguardanti: percentuale e media. I dati numerici raccolti di ogni singolo gruppo saranno successivamente messi a confronto all’interno di una tabella di comparazione. Il passo finale della ricerca avverrà con il confronto dei dati dei due gruppi messi in comparazione, al fine di comprenderne le eventuali differenze da cui trarne gli aspetti salienti. 68 4.4 Elaborazione dei dati: tabelle e grafici Domanda 1. Quanta importanza ricoprono per Lei gli aspetti mentali all’interno di un match? Quadro Complessivo Risposta Importanza maggiore delle altre componenti Molta importanza Importanza pari alle altre componenti Importanza inferiore ad altre componenti Totale % 7 23,34 7 23,34 14 46,66 2 6,66 30 100,00 Importanza maggiore Molta importanza Importanza pari ad altri fattori Importanza minore Attribuendo inoltre alle risposte valori convenzionali da 1 a 4, utilizzando la seguente scala Risposta Importanza maggiore delle altre componenti Molta importanza Importanza pari alle altre componenti Importanza inferiore ad altre componenti Valore 4 3 2 1 69 notiamo come la media delle risposte si attesti sul valore 2,6, rilevando così che gli aspetti mentali ricoprono un’importanza elevata, tendenzialmente superiore alle altre componenti dell’attività agonistica. Gruppo 1 Risposta Importanza maggiore delle altre componenti Molta importanza Importanza pari alle altre componenti Importanza inferiore ad altre componenti Totale 5 4 4 2 15 % 33,33 26,66 26,66 13,35 100,00 Importanza maggiore Molta importanza Importanza pari ad altri fattori Importanza minore In questo caso, la media è 2,8, leggermente superiore al risultato complessivo ottenuto prendendo in considerazione entrambi i gruppi. Scomposizione del gruppo 1 Coach 4 0 0 1 5 % 80 0 0 50 Giocatori 1 4 4 1 10 % 20 100 100 50 Totale 100 100 100 100 70 100% 80% 60% 40% Giocatori 20% Coach 0% Importanza Molta Importanza Importanza maggiore importanza pari ad altri minore fattori Gruppo 2 Risposta Importanza maggiore delle altre componenti Molta importanza Importanza pari alle altre componenti Importanza inferiore ad altre componenti Totale % 2 13,35 3 20,00 10 66,65 0 0,00 15 100,00 Importanza maggiore Molta importanza Importanza pari ad altri fattori Importanza minore In questo ultimo caso, la media è 2,46, leggermente inferiore al risultato complessivo ottenuto prendendo in considerazione entrambi i gruppi. 71 Domanda 2. Quali sono le componenti di natura mentale che dal Suo punto di vista maggiormente influiscono all’interno della prestazione? Quadro Complessivo Risposta Gestione delle emozioni e dell’ansia La concentrazione durante il match Spirito di sacrificio Una combinazione delle componenti su elencate Conoscenza e memorizzazione tecnico-tattica / automatizzazione Motivazione e sicurezza Nessuna in particolare / tutte nella stessa misura Equilibrio psico-fisico Totale % 5 16,66 3 10,00 0 0,00 9 30,00 4 13,34 3 2 4 30 10,00 6,66 13,34 100,00 Gestione ansia Concentrazione Sacrificio Una combinazione Automatizzazione Motivazione Nessuna in particolare Equilibrio Notiamo che all’interno del quadro complessivo, il 30% degli intervistati afferma che il tennista di alto livello necessita della combinazione di più aspetti o caratteristiche di natura psicologica. La gestione dell’ansia rappresenta, per il 16%, l’elemento di natura mentale che ha maggiore rilevanza all’interno della prestazione. 72 Gruppo 1 1 2 3 4 5 6 7 8 Risposta Gestione delle emozioni e dell’ansia La concentrazione durante il match Spirito di sacrificio Una combinazione delle componenti su elencate Conoscenza e memorizzazione tecnico-tattica / automatizzazione Motivazione e sicurezza Nessuna in particolare / tutte nella stessa misura Equilibrio psico-fisico Totale % 3 20,00 0 0,00 0 0,00 4 26,67 3 20,00 2 2 13,33 13,33 1 15 6,67 100,00 Gestione ansia Concentrazione Sacrificio Una combinazione Automatizzazione Motivazione Nessuna in particolare Equilibrio All’interno del gruppo 1, il valore relativo a “combinazione di più componenti” si mantiene al di sopra degli altri (26,67%). Grossa importanza ricoprono per il gruppo 1 anche altri due aspetti: “gestione dell’ansia” (20%), e “automatizzazione di schemi e strategie” (20%). 73 Scomposizione del gruppo 1 1 2 3 4 5 6 7 8 Coach 0 0 0 2 1 1 0 1 5 % 0 0 0 50 33 50 0 100 Giocatori 3 0 0 2 2 1 2 0 10 % 100 0 0 50 67 50 100 0 Totale 100 100 100 100 100 100 100 100 100% 80% 60% Giocatori 40% Coach 20% 0% Gestione ansia Una combinazione Automatizzazione Motivazione Nessuna in particolare Equilibrio Il grafico mostra che, all’interno del gruppo 1, per i giocatori, la gestione dell’ansia è l’elemento che spicca maggiormente (100%) nel quadro generale, mentre per i coaches è lo stato di “equilibrio” ad assumere lo stesso valore percentuale (100%). 74 Gruppo 2 Risposta Gestione delle emozioni e dell’ansia La concentrazione durante il match Spirito di sacrificio Una combinazione delle componenti su elencate Conoscenza e memorizzazione tecnico-tattica / automatizzazione Motivazione e sicurezza Nessuna in particolare / tutte nella stessa misura Equilibrio psico-fisico Totale % 2 13,33 3 20,00 0 0,00 5 33,33 1 6,67 1 0 3 15 6,67 0,00 20,00 100,00 Gestione ansia Concentrazione Sacrificio Una combinazione Automatizzazione Motivazione Nessuna in particolare Equilibrio La combinazione tra più componenti psicologiche (33,33%) risulta essere la caratteristica preponderante anche per il gruppo 2. Concentrazione (20%) ed equilibrio psico-fisico (20%) sono le altre due componenti che spiccano maggiormente. 75 Domanda 3. Utilizza strumenti o tecniche per la gestione o per la preparazione delle suddette capacità mentali? Quadro Complessivo Risposta Sì, sempre Sì, talvolta Sì, in passato No Totale % 5 16,66 1 3,34 9 30,00 15 50,00 30 100,00 Sì, sempre Sì, talvolta Sì, in passato No La tabella ed il grafico mostrano con evidenza che il 50% degli intervistati non ha mai utilizzato tecniche per la preparazione mentale, il 30% ha provato questa esperienza soltanto per un periodo limitato nel passato. Il 16,66% utilizza attualmente il mental training come strumento di preparazione mentale. Gruppo 1 Risposta Sì, sempre Sì, talvolta Sì, in passato No Totale 2 1 6 6 15 % 13,33 6,67 40,00 40,00 100,00 76 Sì, sempre Sì, talvolta Sì, in passato No All’interno del gruppo 1 i valori percentuali in merito all’utilizzo o meno del mental training rimangono del tutto simili. Da segnalare soltanto il valore di coloro che hanno provato solo in passato il mental training che aumenta al 40%. Scomposizione del gruppo 1 Coach 1 1 0 3 5 % 50 100 0 50 Giocatori 1 0 6 3 10 % 50 0 100 50 Totale 100 100 100 100 77 100% 80% 60% Giocatori Coach 40% 20% 0% Sì, sempre Sì, talvolta Sì, in passato No Nel gruppo 1, il 100% di coloro che utilizzano tecniche per la gestione o per la preparazione degli aspetti psicologici è collocato all’interno della categoria degli allenatori. Il 100% di coloro che hanno provato in passato il mental training appartiene alla categoria dei giocatori. 78 Gruppo 2 Risposta Sì, sempre Sì, talvolta Sì, in passato No Totale % 3 20,00 0 0,00 3 20,00 9 60,00 15 100,00 Sì, sempre Sì, talvolta Sì, in passato No All’interno del gruppo 2, cresce del 20% il valore percentuale relativo a coloro che non utilizzano tecniche di mental training (60%), rispetto allo stesso valore del gruppo 1 (40%). 79 Domanda 4. Quali tecniche e quali interventi? Quadro Complessivo Risposta Training autogeno Tecniche di rilassamento e respirazione Le tecniche suddette combinate al visual training Una molteplicità di tecniche combinate Dialogo / comunicazione Meditazione / riflessione Totale % 3 15,79 2 10,53 8 42,10 2 10,53 3 15,79 1 5,26 19 100,00 Training autogeno Rilassamento e respirazione Altre tecniche + visual training Combinazione di tecniche Comunicazione Meditazione Il protocollo di tecniche di mental training maggiormente diffuso tra gli intervistati (42,10%) prevede l’utilizzo di tecniche di rilassamento, training autogeno e visual training in aggiunta. Gruppo 1 Risposta Training autogeno Tecniche di rilassamento e respirazione Le tecniche suddette combinate al visual training Una molteplicità di tecniche combinate Dialogo / comunicazione Meditazione / riflessione Totale 3 0 3 % 27,27 0,00 27,27 2 3 0 11 18,19 27,27 0,00 100,00 80 Training autogeno Rilassamento e respirazione Altre tecniche + visual training Combinazione di tecniche Comunicazione Meditazione All’interno del gruppo 1 risulta che il 27,27% degli intervistati utilizza il training autogeno, il 27,27% basa tutta la propria gestione mentale sulla comunicazione, e il 27,27% sceglie di utilizzare un protocollo di tecniche (tecniche di rilassamento, training autogeno, visual training). Scomposizione del gruppo 1 Coach 0 0 0 1 2 0 3 % 0 0 50 66,7 - Giocatori 3 0 3 1 1 0 8 % 100 100 50 33,3 - Totale 100 100 100 100 - 81 100% 80% 60% Giocatori Coach 40% 20% 0% Training autogeno Altre tecniche + visual training Combinazione tecniche Comunicazione Il grafico mostra come l’aspetto comunicativo abbia grossa rilevanza per gli allenatori in modo particolare (66,7%). Gruppo 2 Risposta Training autogeno Tecniche di rilassamento e respirazione Le tecniche suddette combinate al visual training Una molteplicità di tecniche combinate Dialogo / comunicazione Meditazione / riflessione Totale % 0 0,00 2 25,00 5 62,50 0 0 1 8 0,00 0,00 12,50 100,00 Training autogeno Rilassamento e respirazione Altre tecniche + visual training Combinazione di tecniche Comunicazione Meditazione Il 62,50% degli intervistati del gruppo 2 utilizza il protocollo di tecniche di mental training sopra citato. 82 Domanda 6. Si avvale anche della consulenza di uno psicologo sportivo? Quadro Complessivo Risposta Sì, sempre Sì, in modo saltuario Sì, in passato No Totale % 6 21,43 2 7,14 8 28,57 12 42,86 28 100,00 Sì, sempre Sì, talvolta Sì, in passato No La fetta percentuale più cospicua è rappresentata da coloro che non si avvalgono della consulenza dello psicologo (42,86%). Un numero comunque consistente di intervistati, per la precisione il 28,57%, si è avvalso di tale consulenza in periodi passati. Il 21,43% si avvale attualmente della consulenza e del supporto dello psicologo. 83 Gruppo 1 Risposta Sì, sempre Sì, talvolta Sì, in passato No Totale 3 1 5 5 14 % 21,43 7,15 35,71 35,71 100,00 Sì, sempre Sì, talvolta Sì, in passato No Il gruppo 1 è caratterizzato, a differenza del quadro generale, da coloro che hanno avuto in passato l’aiuto dello psicologo (35,71%), e da chi assolutamente non ha all’interno del proprio staff tecnico la figura dello psicologo. Scomposizione del gruppo 1 Coach 1 1 1 2 5 % 33,3 100 20 40 Giocatori 2 0 4 3 9 % 66,7 0 80 60 Totale 100 100 100 100 84 100% 80% 60% Giocatori Coach 40% 20% 0% Sì, sempre Sì, talvolta Sì, in passato No Il grafico mostra che sono particolarmente gli allenatori a richiedere saltuariamente l’aiuto dello psicologo (100% degli allenatori alla risposta “sì, talvolta). Gruppo 2 Risposta Sì, sempre Sì, talvolta Sì, in passato No Totale % 3 21,43 1 7,15 3 21,43 7 49,99 14 100,00 Sì, sempre Sì, talvolta Sì, in passato No 85 Nel gruppo 2 il dato numerico maggiore, 49,99% dei soggetti intervistati, fa comunque riferimento a coloro che non hanno a disposizione l’aiuto dello psicologo. Il 21,43% dispone di tale supporto costantemente nella stagione agonistica, ed il 21,43% ne ha usufruito soltanto in passato. 86 Domanda 8. Esiste un momento o una condizione particolare nella stagione competitiva, in cui si avverte maggiormente l’esigenza di un supporto psicologico? Quadro Complessivo Risposta All’inizio della stagione dei tornei Nell’ultima parte della stagione dei tornei Dopo un infortunio o una sconfitta Quando si è particolarmente in condizione di stress psico-fisico Non esiste un momento particolare Totale % 1 3,33 6 20,00 7 23,33 11 36,68 5 16,66 30 100,00 Inizio stagione Fine stagione Infortunio / Sconfitta Stress Nessun momento particolare Il 36,68% degli intervistati ritiene che i momenti di maggiore stress rappresentino la condizione in cui si avverte l’esigenza di un supporto psicologico. Gruppo 1 Risposta All’inizio della stagione dei tornei Nell’ultima parte della stagione dei tornei Dopo un infortunio o una sconfitta Quando si è particolarmente in condizione di stress psico-fisico Non esiste un momento particolare Totale % 0 0,00 3 20,00 3 20,00 7 46,67 2 13,33 15 100,00 87 Inizio stagione Fine stagione Infortunio / Sconfitta Stress Nessun momento particolare Lo stress psico-fisico rappresenta per il 46,67% degli intervistati del gruppo 1, il momento indicato per un supporto psicologico. Scomposizione del gruppo 1 Coach 0 0 1 3 1 5 % 0 0 33,3 42,9 50 Giocatori 0 3 2 4 1 10 % 0 100 66,7 57,1 50 Totale 100 100 100 100 100% 80% 60% Giocatori 40% Coach 20% 0% Inizio stagione Fine stagione Infortunio / sconfitta Stress Nessun momento particolare A fine stagione il 100% dei giocatori sente la necessità di un aiuto esterno dal punto di vista psicologico. 88 Gruppo 2 Risposta All’inizio della stagione dei tornei Nell’ultima parte della stagione dei tornei Dopo un infortunio o una sconfitta Quando si è particolarmente in condizione di stress psico-fisico Non esiste un momento particolare Totale % 1 6,68 3 20,00 4 26,66 4 26,66 3 20,00 15 100,00 Inizio stagione Fine stagione Infortunio / Sconfitta Stress Nessun momento particolare Dal gruppo 2 emerge un ulteriore punto di vista: il 26,66% considera opportuno un supporto mentale negli attimi che seguono particolari sconfitte, o nel recupero dagli infortuni fisici. 89 Domanda 9. Riesce a riscontrare benefici “oggettivi” dall’utilizzo di queste tecniche? Quadro Complessivo Risposta Sì, maggiore sicurezza e positività Sì, sollievo emozionale Sì, sollievo dallo stress, migliore concentrazione Sì, miglioramento in diversi aspetti No Totale % 6 25,00 1 4,16 2 8,33 6 25,00 9 37,51 24 100,00 Sicurezza Sollievo emozionale Maggiore concentrazione Miglioramento in diversi aspetti No Il 37,51% nel quadro complessivo non riscontra nessun tipo di beneficio dal mental training, mentre il 25% riscontra maggiore sicurezza e positività. 90 Gruppo 1 Risposta Sì, maggiore sicurezza e positività Sì, sollievo emozionale Sì, sollievo dallo stress, migliore concentrazione Sì, miglioramento in diversi aspetti No Totale % 2 14,28 0 0,00 0 0,00 4 28,57 8 57,15 14 100,00 Sicurezza Sollievo emozionale Maggiore concentrazione Miglioramento in diversi aspetti No Nel gruppo 1, il dato percentuale, in relazione a coloro che non riscontrano nessun beneficio dall’utilizzo del mental training, assume un connotato ulteriormente consistente, aumentando al 57,15% rispetto al quadro generale. Scomposizione del gruppo 1 Coach 1 0 0 2 1 4 % 50 0 0 50 12,5 Giocatori 1 0 0 2 7 10 % 50 0 0 50 87,5 Totale 100 100 100 91 100% 80% 60% 40% Giocatori 20% Coach 0% Maggiore sicurezza Miglioramento in diversi aspetti No Il grafico relativo al gruppo 1, mostra con ulteriore chiarezza che l’87,5% di chi non trova alcun beneficio dall’utilizzo di tali tecniche, è relativo ai giocatori. 92 Gruppo 2 Risposta Sì, maggiore sicurezza e positività Sì, sollievo emozionale Sì, sollievo dallo stress, migliore concentrazione Sì, miglioramento in diversi aspetti No Totale % 4 40,00 1 10,00 2 20,00 2 20,00 1 10,00 10 100,00 Sicurezza Sollievo emozionale Maggiore concentrazione Miglioramento in diversi aspetti No Il gruppo 2 differisce in modo marcato dal gruppo 1, in quanto ben il 40% degli intervistati di questo gruppo avverte un senso di maggiore sicurezza e positività. 93 Domanda 11. Volgendo lo sguardo a 360°, in che percentuale (o quantità) i Suoi colleghi utilizzano tecniche di mental training? Quadro Complessivo Risposta Una larga maggioranza Circa la metà Una percentuale bassa Minima parte (< 10 %) Non saprei quantificare Totale 12 2 12 2 2 % 40,00 6,66 40,00 6,67 6,67 100,00 Larga maggioranza Metà Percentuale bassa Minima parte Non saprei Il dato numerico che fa riferimento alla diffusione o meno del mental training nel tennis professionistico risulta essere contrastante: il 40% degli intervistati afferma che una larga maggioranza dei giocatori del circuito ne fa utilizzo, un altro 40% smentisce la prima ipotesi, affermando che soltanto una piccola percentuale utilizza tecniche di mental training. 94 Gruppo 1 Risposta Una larga maggioranza Circa la metà Una percentuale bassa Minima parte (< 10 %) Non saprei quantificare Totale % 6 40,00 1 6,66 6 40,00 1 6,67 1 6,67 15 100,00 Larga maggioranza Metà Percentuale bassa Minima parte Non saprei Il gruppo 1 conferma in modo assolutamente preciso i dati percentuali del quadro generale. Scomposizione del gruppo 1 Coach 2 1 1 1 0 5 % 33,3 100 14,3 100 0 Giocatori 4 0 6 0 1 9 % 66,7 0 85,7 0 100 Totale 100 100 100 100 100 95 100% 80% 60% Giocatori 40% Coach 20% 0% Larga maggioranza Percentuale bassa Non saprei Gruppo 2 Risposta Una larga maggioranza Circa la metà Una percentuale bassa Minima parte (< 10 %) Non saprei quantificare Totale % 1 6,67 2 13,33 9 60,00 3 20,00 0 0,00 15 100,00 Larga maggioranza Metà Percentuale bassa Minima parte Non saprei Nel gruppo 2 un numero maggiore di intervistati afferma che soltanto una piccola percentuale di giocatori nel circuito internazionale utilizza tecniche di preparazione mentale. 96 La decodifica delle svariate risposte ottenute dalle interviste conferma soltanto una piccola parte delle ipotesi formulate inizialmente. In modo specifico, si fa riferimento alla convinzione che gli aspetti di natura mentale giocassero un ruolo di primaria importanza all’interno della prestazione tennistica. Tutte le restanti supposizioni sono risultate parzialmente confutate dalle risposte degli elementi intervistati, riguardo all’utilizzo o meno di tecniche di mental training, e riguardo all’eventuale intervento dello psicologo sportivo. Questa parte finale pone il termine alla pura estrapolazione obiettiva dei dati che effettivamente sono emersi dalle 30 interviste. Il seguente capitolo è interamente dedicato all’interpretazione dei dati, attraverso impressioni e commenti che rappresentano soltanto un punto di vista da mettere in relazione a quello del lettore. 97 Conclusioni Interpretazione dei dati. L’intervista risulta uno degli strumenti più adeguati per compiere un’indagine approfondita su tematiche particolarmente complesse da affrontare. Consente, infatti, di rilevare l’opinione personale che il singolo individuo ha in merito all’argomentazione trattata. In questo caso, attraverso i quesiti posti, gli intervistati hanno avuto la possibilità di sviscerare le proprie esperienze e impressioni riguardo a tutto ciò che è relativo alla preparazione mentale applicata al tennis di alto livello. L’intervista utilizzata per questa ricerca, è stata strutturata essenzialmente a tale scopo. Ogni singolo quesito è stato formulato con l’intento di giungere a tutti i soggetti interpellati, in modo chiaro, non invasivo, ed assolutamente privo di ambiguità a livello interpretativo. Con questi presupposti di base, è risultato maggiormente semplice per ogni giocatore o allenatore intervistato compiere questo percorso di autoanalisi e di introspezione, donando, come risultanza significativa ed assolutamente emblematica, parte del loro bagaglio socio-culturale. La condivisione delle idee, delle problematiche, dei sistemi di programmazione dell’attività, consente potenzialmente di comprendere i sottili processi che regolano gli equilibri psico-fisici dei giocatori di alto livello, e di conseguenza, dona la chance all’allenatore che si trova in fase di formazione, di vivere, anche se in modo riflesso, l’avvincente realtà del tennis di vertice. L’insieme delle risposte ottenute, contenute totalmente all’interno di un’appendice posta a fine project work, necessita inizialmente di una 98 prima analisi, attraverso una lettura approfondita, dei testi delle interviste. Uno dei punti salienti dell’intero project work è il confronto fra i due gruppi di giocatori e allenatori intervistati. Essi rappresentano in modo certamente emblematico i due gradini finali della lunga scala, che ha come punto di partenza la propria nascita tennistica, il momento in cui si gioca per la prima volta, ed appunto, come passo finale (ma non conclusivo) il professionismo, sia che si tratti di un giocatore che di un allenatore. Tra i due gruppi esistono delle sostanziali differenze che risulta inevitabile prendere disuguaglianza tra in considerazione. queste due La categorie prima risulta oggettiva di facile individuazione, ma non di semplice lettura. I componenti del gruppo 1 fanno del professionismo il loro mezzo di sostentamento, rispetto ai membri del gruppo 2, per i quali il sostentamento non deriva dall’attività di competizioni. Questa circostanza appena descritta pone in una condizione di favore la categoria dei professionisti, i quali hanno probabilmente un’ulteriore motivazione di natura esterna che possa spingerli alla ricerca della “massima prestazione”, e di conseguenza, della cura di tutti gli aspetti, più o meno rilevanti, che la compongono, tra cui quelli mentali. Il gruppo 2 contiene invece al suo interno giocatori e allenatori che ambiscono ed aspirano al professionismo, ma che al momento vedono la proporzione del proprio investimento inferiore rispetto ai benefici ricavati. Questo status potrebbe produrre maggiori difficoltà e svantaggi nell’ottica di un quadro generale di attività agonistica, sia in termini economici che in termini organizzativi. 99 Già inizialmente, dopo una prima lettura delle varie interviste, dalle impressioni ricevute, era riscontrabile una discordanza tra le ipotesi iniziali in rapporto ad alcune sorprendenti dichiarazioni. I dati percentuali hanno confermato l’iniziale senso di dissonanza, chiarendo il ruolo che talvolta ricopre la psicologia dello sport nel tennis di alto livello, in alcuni casi, al di là delle rispettive motivazioni, del tutto marginale rispetto alle altre componenti di cui ci si prende cura sia nel periodo di preparazione che durante l’attività di competizioni. Dopo la successiva elaborazione in dati numerici del nucleo delle dichiarazioni, al di là di chiari risultati, emerge lo spunto per nuove ed ulteriori riflessioni che verranno affrontate nel seguente paragrafo. In alcuni punti in particolare sono emersi dati interessanti su cui poter esprimere ulteriori impressioni, e sono i seguenti: • Il 100% degli intervistati ritiene che gli aspetti di natura psicologica hanno molta importanza, ed in particolare, il 93,44% sostiene che tali aspetti hanno maggiore importanza rispetto a tutte le altre qualità o caratteristiche. Il dato sopra riportato appare assolutamente ben definito. Risulta, quindi, interessante correlare le cifre sopra citate con il seguente dato: • Il 50% dei soggetti non utilizza nessun tipo di tecnica di mental training, ed inoltre un ulteriore 30% ha utilizzato tecniche di preparazione mentale soltanto per un periodo del passato. Alla luce di entrambe le cifre percentuali, è ragionevole domandarsi come mai, se si ritiene che gli aspetti mentali siano così importanti, 100 abbiano assoluta priorità all’interno della preparazione e dell’attività tutt’ altri aspetti. La motivazione relativa a questo rapporto di correlazione negativa potrebbe dipendere sia dalla mancanza di conoscenze sul mental training, maggiormente da parte dei coaches, sia dalla difficoltà di attuazione di tali tecniche, particolarmente da parte dei giocatori, a causa dei costi, e del poco tempo a disposizione. Un ulteriore spunto di riflessione scaturisce dall’osservazione della tabella relativa alle tecniche di mental training utilizzate: • Il 42% dei soggetti utilizza un protocollo di preparazione mentale composto da tecniche di rilassamento, training autogeno, e visual training. • Il 15,79% utilizza soltanto il training autogeno. • Il 10,53% adopera tecniche di rilassamento e respirazione • Il 15,79% si affida al dialogo e alla comunicazione. Le cifre percentuali sopra elencate forniscono la testimonianza su quali possano essere le tecniche di mental training maggiormente utilizzate. Una ulteriore impressione che scaturisce dall’osservazione di questi dati, è che probabilmente la proposta di preparazione mentale possa risultare troppo standardizzata, soprattutto in relazione all’unicità dell’individuo, il quale necessita sicuramente di uno screening diagnostico accurato, al solo scopo di fornirgli il giusto supporto dal punto di vista mentale, attraverso il più giusto protocollo di tecniche. L’impressione ricevuta è che talvolta, le tecniche precedentemente citate, possano essere somministrate con troppo semplicismo, e spesso, col solo intento di proporre un’innovazione, 101 senza badare minimamente all’eventuale efficacia. Risulta emblematica la testimonianza di coloro che hanno vissuto soltanto una breve esperienza di mental training in passato (30% dei soggetti intervistati), che nella maggioranza dei casi ha abbandonato tale pratica a causa della scarsità di risultati e benefici ottenuti. Il successivo punto saliente che necessita un ulteriore approfondimento riguarda la seguente questione: • Il 21,43% dei soggetti intervistati si avvale del supporto o della consulenza dello psicologo Questo dato percentuale si pone in contrasto con il 42,86% relativo a coloro che non utilizzano tale aiuto. Le cifre percentuali sopra citate consentono di ipotizzare che in molti casi la gestione delle componenti psicologiche resta nel binomio coach/giocatore, spesso affidata al coach stesso, senza passare attraverso la specifica competenza dello psicologo sportivo. Al di là dei dati che riguardano il quadro generale degli intervistati, è interessante evidenziare le differenze di opinione e di comportamento che esistono tra i due diversi gruppi di giocatori e coaches messi a confronto. Le differenze maggiormente rilevanti tra i due gruppi risiedono nell’utilizzo o meno di tecniche per la preparazione mentale: • Nel gruppo 1, il 60% (13,33% sempre, 6,67% talvolta, 40% in passato) utilizza, o ha utilizzato tali tecniche. • Nel gruppo 2, soltanto il 40% (20% sempre, 20% in passato) adopera, o ha adoperato mental training. 102 Molto probabilmente la diversità risiede anche nelle difficoltà economiche ed organizzative, in relazione al gruppo 2, nell’attuare un programma di preparazione mentale. Una successiva importante differenza tra i due gruppi riguarda la consulenza o meno dello psicologo nell’attuare il mental training: • Nel gruppo 1, solo il 35,71% non si avvale di questo supporto. • Nel gruppo 2, il 49,99% non è supportato dalla consulenza dello psicologo. I motivi che originano questa ulteriore diversità tra i due gruppi di intervistati si basano (presumibilmente) sulle stesse argomentazioni del precedente punto, cioè su problematiche economiche e di programmazione. Chiaramente il project work da noi redatto evidenzia principalmente la situazione relativa al mental training nell’ambito del territorio nazionale, ma risulterebbe di sicuro altrettanto interessante il confronto, o la semplice comparazione, dei dati raccolti in queste pagine, con la realtà tennistica di altre nazioni, ed in particolare di quelle che attualmente hanno un numero consistente di giocatori nei top 100 ATP o WTA. L’attenta osservazione dei modelli di prestazione che riscontrano successo oggettivo, analizzandone i singoli dettagli che ne garantiscono tale qualità, risulterebbe di assoluta importanza, non nel tentativo di emulare le stesse gesta dei 103 giocatori in questione, che provengono da contesti socio-culturali, probabilmente, troppo differenti dal nostro. La reale utilità risiederebbe nella comprensione delle dinamiche, e dei meccanismi che consentono di ottenere tali risultati. Alla luce di tutti i risultati emersi dalla ricerca, e grazie anche alla successiva interpretazione dei dati effettuata, è stato possibile dedurre interessanti conclusioni. Premettendo che i 30 soggetti intervistati rappresentano un campione molto rappresentativo dal punto di vista qualitativo, e meno dal punto di vista quantitativo, trattandosi di elite tennistica, è possibile affermare che, nonostante gli aspetti di natura mentale sembrino ricoprire un’importanza rilevante, non tutti i giocatori ed allenatori ne hanno particolare cura attraverso l’utilizzo del mental training. Dalla ricerca è emerso che buona parte di essi si basa sulla propria esperienza, di giocatore o di allenatore, per gestire al meglio tutti quegli aspetti che riguardano la psiche. In alcuni casi è emersa scarsa fiducia nella psicologia dello sport, perché si è portati a soffermarsi su “credenze popolari” in riferimento all’argomento, ignorando completamente la scientificità della materia e le molteplici possibilità applicative nel tennis. Talvolta le motivazioni, che spingono allenatori e giocatori ad ignorare la preparazione mentale, vanno ricercate a livello di organizzazione. Nell’affermare ciò, si fa riferimento a tutte quelle problematiche e difficoltà che si possono incontrare se si decide di includere un protocollo di mental training all’interno del programma di preparazione e di attività. 104 In Italia, è nostra impressione, che non vi siano una grossa quantità di strutture sportive sufficientemente capienti ed economicamente ricche per supportare la consulenza di uno psicologo sportivo. In alcuni casi, inoltre, subentrano politiche gestionali, all’interno delle suddette strutture, che non favoriscono gli investimenti sul tennis agonistico, in particolar modo se si tratta di alto livello. In questa rappresentazione generale non del tutto positiva, il ruolo di “agnello sacrificale”, fra tutti gli aspetti che sono implicati all’interno del quadro gestionale di una struttura, spetta alla psicologia sportiva e alle relative tecniche, che appaiono maggiormente sacrificabili rispetto a questioni valutate come più pratiche e redditizie. Se questa impressione rispecchiasse anche parzialmente la realtà, si tradurrebbe il tutto a svantaggio in primo luogo dei giocatori, posti di fronte al bivio decisionale che li pone: o di fronte ad ulteriori e consistenti spese, o alla rinuncia di un qualcosa che loro stessi (vedi i dati scaturiti dalle interviste) ritengono sia importante. Tutti gli allenatori, inoltre, sensibili alla tematica del mental training, dovrebbero addossarsi l’onere relativo alla gestione degli aspetti psicologici dei propri atleti, in molti casi, pur non essendone sufficientemente preparati, sia a livello culturale che a livello organizzativo. È ragionevole pensare, inoltre, in rapporto a queste impressioni, che si potrebbe intervenire anche nella formazione dei futuri coaches. In particolare, basando questa ipotesi anche sulle preziose dichiarazioni degli allenatori intervistati, potrebbe risultare utile potenziare, nel periodo di formazione dell’allenatore, la proposta riguardo la psicologia dello sport e il mental training, ed inoltre approfondire tutti gli aspetti che riguardano la comunicazione. 105 Con l’aggiunta di queste utili e pratiche nozioni, unite alle capacità tecniche e all’esperienza di gioco, gli allenatori avrebbero la possibilità di seguire e supportare a tutto tondo il giocatore. Ciò non significa che l’allenatore debba occuparsi praticamente di tutti gli aspetti della preparazione dell’atleta, ma che debba avere l’esperienza e la cultura necessaria a valutare sempre al meglio le molteplici situazioni che si presentano, al fine di gestire e guidare in modo efficiente l’attività del tennista di alto livello. La conclusione finale di questo project work, pone a confronto le nostre supposizioni ed ipotesi iniziali, con le preziose dichiarazioni dei soggetti nelle rispettive interviste, e i dati da esse estrapolati. 1. Gli aspetti di natura psicologica, all’interno della prestazione ad alto livello, sono di grande importanza. Questo primo punto evidenzia che, all’interno di uno sport di situazione come il tennis, in cui gli aspetti tecnico-tattici sono intrisi dalla componente emotiva, la mente gioca un ruolo di primaria importanza. 2. Una parte più o meno consistente di coaches e giocatori di alto livello non utilizza nessun tipo di tecnica di preparazione mentale. A causa di svariate motivazioni, in molte situazioni, si ricorre alla semplice esperienza “del campo”, anche per quanto riguarda la gestione delle situazioni di natura psicologica, sia da parte dei coaches, che da parte dei giocatori. 106 3. Le tecniche di mental training che appaiono più utilizzate nel tennis di alto livello sono: tecniche di rilassamento, training autogeno, visual training. Il quadro generale dei dati ottenuti dalle interviste mostra un utilizzo abbastanza standardizzato delle tecniche rivolte alla preparazione mentale, probabilmente a causa della scarsità di conoscenze in materia, da parte dei coaches, o altrimenti, a causa delle difficoltà organizzative nell’applicare un protocollo di mental training all’interno della struttura sportiva. 4. Molti giocatori ed allenatori, nel tennis di vertice, non si avvalgono della consulenza dello psicologo sportivo. Chiaramente, tutte le problematiche e le difficoltà citate nei precedenti punti si ripercuotono anche in relazione alla scelta dell’utilizzo o meno, nella propria preparazione, della consulenza dello psicologo sportivo. La risoluzione conclusiva del nostro lavoro, pone, in modo analitico, il lettore di fronte alla profonda riflessione riguardo ad una tematica di così complessa esplicazione. Il nostro intento, attraverso questo percorso culturale, non risiede nella prescrizione di soluzioni o rimedi “certi” per curare i mali del tennis moderno, ma nell’idea che la formazione, sia che si tratti di un giocatore o di un allenatore, sia un processo di continua e crescente evoluzione. 107 Appendice Interviste gruppo 1 Intervista – Accardo Alessandro Class. Ita. 2/1 - Best ranking ATP 418 sing. – 490 doppio 1. Gli aspetti di natura mentale rivestono un’importanza fondamentale, ma, secondo me, il livello del giocatore è strettamente correlato con le sue qualità tecniche e fisiche. 2. Gestire lo stress e le emozioni durante il match, anche nelle situazioni di punteggio più delicate. 3. Soltanto per un breve periodo 4. Training autogeno. 5. Ho utilizzato questa tecnica nel periodo di preparazione con l’obiettivo (mai raggiunto per mancanza di pratica) di riutilizzarla prima del match. 6. No, attualmente è l’allenatore a gestire anche gli aspetti psicologici attraverso la sua esperienza. 7. Credo che coach e giocatore raggiungano una capacità di comunicazione che sfiora la “telepatia”, nel senso che dopo un certo periodo trascorso assieme si è in grado di comunicare sensazioni, emozioni, pensieri in genere senza nemmeno utilizzare parole. Partendo da questa considerazione risulta chiaro che è il coach a comprendere e gestire gli aspetti mentali. 8. L’ultima parte della stagione rappresenta per me il momento più critico, in cui sono spesso sotto stress. 9. In relazione a quella breve esperienza di mental training, nessun beneficio in particolare. 10. No. 11. Esiste una percentuale di giocatori che si cimenta col mental training. Intervista – Castellani Alberto - coach 1. Ti rispondo con il sondaggio da me fatto su 30 giocatori classificati top 100 e altrettanti coach di giocatori top 100: per quasi tutti l'aspetto mentale è il più importante dei tre: fisico, tecnico e mentale. 42% mentale, 32% fisico, 26% tecnico. Ho relazionato questi dati in Francese, all’Insep a Parigi, alcuni anni fa, al “Congresso Mondiale di Psicologia dello Sport”. Il paradosso è che pur riscontrando maggiore importanza al mentale, alla domanda successiva rivolta ai giocatori su che cosa facessero per allenare gli aspetti psicologici, tutti o quasi, salvo pochissime eccezioni, hanno risposto “nulla, o, quasi nulla”!!! Si possono trarne direttamente le conseguenze. 2. Dipende dai giocatori, statisticamente sono: il controllo dell’ansia prima di un match, e la concentrazione durante il match; ma qui il problema diviene filosofico: il 99% degli allenatori non conosce il significato di concentrazione, e non ha un’ idea, insieme ai giocatori, di come si alleni la concentrazione. Se si considera un campione di 10 giocatori e 10 allenatori, e si chiede loro cosa vuol dire concentrazione, si otterranno 20 risposte diverse. Da qui, nasce l’esigenza di dare una definizione precisa e scientifica al termine “concentrazione”. Allo stato attuale, se un allenatore dice al suo giocatore durante un match ”concentrati!", rischia di metterlo seriamente in confusione in quanto nessuno dei due sa cosa significhi. 3. Sì, ovviamente. 4. Tecniche di rilassamento, visualizzazioni polisensoriali, tecniche di intervento brevi, tecniche di gruppo, bioenergetica, counseling, analisi transazionale, colloquio, psicodramma, etc.. 5. Tutti i giorni le tecniche di base seguendo programmi personalizzati, alternando le altre tecniche quando ritengo necessario, e quando richiesto dal piano di intervento. 6 . Sì. 7. É fondamentale per la crescita personale del giocatore, per quella dell’allenatore e per la relazione fra i due. 8. Sì, dopo le sconfitte. 9. Sì, ovviamente. 10. Esistono dei questionari valutativi che utilizzo di tanto in tanto, ma il miglior riscontro positivo, e valutativo in generale sul lavoro fatto, è fornito dai vissuti, e dal feedback del giocatore stesso. 11. Il 5 % , e moltissimi, non per altro, questa è la follia e il paradosso del tennis mondiale. Intervista – Cerovic Ivan (CRO) Best ranking ATP 303 sing. – 228 doppio 1. Molta importanza, ad alto livello la stessa che ricoprono gli altri aspetti più specifici. 2. La capacità di gestire le situazioni difficili, le emozioni e lo stress. 3. No. 4. … 5. … 6. … 7. Risulterebbe utile che l’allenatore abbia competenza anche nell’ambito psicologico. 8. Nei periodi in cui ho più tornei, e quindi più matches. 9. Il massimo beneficio lo riscontro quando riesco a superare delle situazioni difficili, ed esco dall’esperienza maggiormente rafforzato. 10. Valuto continuamente ed attentamente le mie prestazioni, in allenamento ed in gara, così da trarne gli elementi per migliorare ulteriormente. 11. Non molti giocatori utilizzano queste tecniche. Intervista - Fanucci Fabrizio - coach 1. Ad alto livello contano maggiormente altri fattori, che determinano la qualità e il conseguente livello del giocatore. La componente mentale risulta più importante nel periodo in cui il giocatore si sta formando sia dal punto di vista tecnico, che dal punto di vista temperamentale. 2. Non una in particolare, ma il giusto equilibrio fra tutte. 3. Si, ma non in modo continuo. Ricerco questo tipo di aiuto in presenza di qualche ostacolo da superare. 4. Soprattutto attraverso la comunicazione, il dialogo, risolvo le difficili problematiche di natura psicologica. 5. … 6. Si, in modo saltuario. Come dicevo prima, ricorro alla consulenza dello psicologo in presenza di una barriera da superare. 7. Il mental training può essere d’aiuto, ma quando il rapporto è profondo e duraturo, è bene provare a capirsi attraverso il dialogo. 8. Non un momento in particolare, e soprattutto non lo stesso per tutti. Ogni giocatore vive in periodi disparati della stagione, dei momenti di difficoltà in cui potrebbe sentire questo tipo di esigenza. 9. Lo sblocco delle situazioni in stallo. 10. No, nessuno a parte l’esperienza. 11. C’è una parte che ne fa utilizzo. Non tutti i progetti sul mental training hanno buoni sviluppi finali. Intervista – Giorgini Daniele Class. Ita. 2/1 - best ranking ATP 293 sing. - 143 doppio 1. Molta importanza a tutti i livelli di gioco. Probabilmente in modo più differente e raffinato in relazione al tennis di alto livello. 2. Mantenere un alto livello di concentrazione, ed essere in grado di dominare e gestire le emozioni. 3. Non attualmente. Fino a pochi anni fa utilizzavo un protocollo di tecniche di mental training. 4. Tecniche di rilassamento e respirazione, training autogeno, e sporadicamente visual training. 5. Una prima fase del periodo di mental training era dedicata all’apprendimento delle tecniche. La successiva fase ne vedeva l’utilizzo anche dopo l’allenamento in campo ed in vista dei tornei. 6. Soltanto in quel periodo. 7. Mi piace pensare che il mio allenatore possa capirmi, al fine di gestire anche tutti quei dettagli di natura psicologica. 8. La sconfitta è l’elemento che può mettere a nudo una qualsiasi difficoltà, e che può far sorgere questo tipo di esigenza. 9. In passato, nulla in particolare. 10. No. 11. Una piccola parte. Intervista - Mosè Navarra - coach 1. Gli aspetti mentali sicuramente fanno la differenza, la convinzione dei propri mezzi è fondamentale nel tennis e in tutti gli altri sport. 2. La sicurezza, la capacità di cavarsela con i propri mezzi. In un anno saranno 10 le partite dove va tutto bene, giochi bene e non ci sono problemi. È nelle altre 60, 70 partite, dove non giochi al 100% che devi essere convinto dei tuoi mezzi e devi essere pronto a reagire. 3. Strumenti purtroppo no, mi piacerebbe usare tecniche di mental training o ricevere l’aiuto di uno psicologo.Quando sono stato convocato in coppa Davis, ho potuto trarre benefici dall’aiuto di uno psicologo, con una figura di questo tipo si ha la possibilità di sfogarsi, anche per molti ragazzi sarebbe utile riuscire a sfogarsi. Io cerco di trasmettere ai ragazzi le mie esperienze di giocatore professionista, conosco le pressioni a cui si è sottoposti; cerco di far capire ai ragazzi che bisogna conoscersi, bisogna conoscere i propri limiti e le proprie potenzialità. 4. Ne abbiamo già parlato 5. Io lavoro sia in campo che fuori dal campo. Per esempio, quando ci sono partite in televisione faccio notare ai ragazzi come si comportano i professionisti, quali sono i loro atteggiamenti. Io ho lavorato molto con ragazzi indiani e ho notato grosse differenze con gli italiani: vengono da mondi completamente diversi. Ho notato che i ragazzi italiani non sanno soffrire mentalmente, quando vanno in fatica non riescono a essere lucidi, ad analizzare le situazioni. Io cerco di fargli capire l’errore , di renderli autonomi in tutte le situazioni. 6. Purtroppo no , qui in accademia ne abbiamo uno ma non è uno psicologo sportivo, sarebbe utile, sarebbe molto utile. 7. Io ho avuto la fortuna di allenare professionisti: Bhupati che era numero uno nel doppio, Mirny che era 18° nel singolo, con questi giocatori si parla solo di psicologia, per loro la condizione per rendere è avere una grossa autostima, una grande sicurezza nei propri mezzi. A volte dopo alcune sconfitte questa fiducia viene meno e il coach non deve certo intervenire sul gioco, ma aiutarli a ritrovare quella fiducia e quella sicurezza. 8. Può essere durante il periodo di allenamento quando il giocatore sente molta stanchezza, oppure durante le gare dove si è di più sotto stress; dipende molto dall’individuo e soprattutto dai risultati. Se tutto va bene non serve alcun sostegno, se il giocatore perde 5 o 6 volte al primo turno allora tutto diventa più difficile. 9. Sì le ho provate su me stesso, soprattutto quando giocavo in coppa Davis, si lavorava molto in gruppo. Credo però che uno psicologo serva soprattutto per i ragazzi, perchè sono in una fase di crescita e se aiutati al momento giusto sicuramente tale apporto influirà sulla loro carriera. Se aiutati nel modo giusto a costruire l'autostima e la fiducia in se stessi saranno pronti ad affrontare in futuro qualsiasi tipo di difficoltà. 10. Le mie capacità e la mia esperienza. 11. A livello professionistico tutti. Intervista - Antonio Padovani - coach 1. Ricoprono, secondo me, molta importanza, non soltanto osservando i singoli momenti o le singole prestazioni, ma in relazione all’intera carriera. Le componenti di natura psicologica rappresentano la differenza qualitativa, nel tennis di alto livello, riscontrabile specialmente in giocatori che hanno una spiccata “attitudine alla vittoria”. 2. Nella fase di formazione o preparazione è importante la “conoscenza”, ossia l’apprendere e la successiva “memorizzazione”. Questi due passaggi sono fondamentali per realizzare il processo di automatizzazione che consente al giocatore di risolvere problematiche di gioco nel modo più rapido ed efficace possibile. Un’altra componente che risulta molto correlata al match è la capacità di gestire la tensione. In conclusione, ritengo che le qualità o i difetti dal punto di vista mentale facciano parte delle caratteristiche individuali del giocatore stesso, e come le altre caratteristiche siano allenabili, anche se in piccola percentuale. 3. Per la preparazione dei giocatori che alleno mi affido molto alla mia esperienza e alla mia sensibilità, quindi, non un vero protocollo di tecniche. 4. Particolare attenzione è rivolta alla comunicazione. Utilizzo tecniche per incrementare il livello di attenzione, e spesso faccio ascoltare musica ai giocatori durante gli allenamenti. 5. Considero di importanza fondamentale la chiave comunicativa che si sceglie di utilizzare, che deve necessariamente variare a seconda dell’individuo con cui ci si rapporta. Nell’osservare le attitudini psicologiche di un giocatore, credo che si debba partire dal concetto di lateralità con cui esse sono strettamente correlate, verificando la dominanza dei principali distretti corporei. Mi piace inoltre introdurre la musica (a scelta del giocatore stesso) all’interno di alcune sedute d’allenamento, proprio per esaltare il processo di automatizzazione sopra citato. Le tecniche per l’incremento del livello di attenzione sono più importanti nella fase di apprendimento. 6. No, non mi avvalgo di alcuna consulenza. L’intervento di uno psicologo può essere importante se ci si trova di fronte a casi di natura patologica. 7. Nel mio caso, la gestione (mentale, tecnico-tattica e organizzativa) è favorita dal tipo di rapporto che tento di instaurare col giocatore. In genere, alla base del rapporto coach/giocatore c’è la credibilità dell’ uomo-allenatore, fatta di cultura ed esperienza. Lo scambio all’interno del binomio deve necessariamente essere reciproco. 8. Ad alto livello noto una stretta correlazione tra il numero di partite perse ed i livelli di stress, tensione o perdita di autostima. Non c’è, quindi, per un giocatore di vertice un momento in particolare nella stagione. La scelta e la programmazione dei tornei può risultare lo strumento attraverso cui è possibile dare il giusto slancio all’atleta. 9. Osservando in passato progetti di preparazione mentale non ho mai riscontrato particolari risultati o benefici. L’approccio che utilizzo, non di stampo puramente psicologico, mi ha dato fino ad oggi dei buoni risultati. 10. No 11. Non molti utilizzano in modo particolare dei protocolli di mental training. Ho osservato che gli investimenti in questo campo non sono sempre effettuati nel modo giusto, sfavorendo in primo luogo il giocatore, poi il professionista che fornisce la consulenza, ed i risultati spesso sono scarsi, o del tutto impercettibili. Intervista – Pastorino Antonio (ARG) Class. Ita. 2/1 - best ranking ATP 239 sing. – 485 doppio 1. Molta importanza. Le qualità mentali possono evidenziare ed esaltare le altre caratteristiche. 2. Tutte le componenti concentrazione, che gestione esaltano delle gli emozioni, aspetti tattici: ecc.. Queste caratteristiche sono più evidenti ad alto livello. 3. Attualmente vivo autonomamente la mia attività, senza avvalermi di alcuna consulenza o collaborazione, ma negli anni passati ho partecipato ad alcuni progetti con la federazione argentina che includevano la preparazione mentale. 4. L’attività era totalmente improntata sul training autogeno. 5. Apprendevamo questo tipo di tecnica con l’aiuto dello psicologo. 6. Attualmente no. 7. Il giocatore che ha raggiunto la maturità e l’equilibrio psicofisico può assolutamente essere in grado di auto-gestirsi. Non credo quindi che sia una cosa indispensabile. 8. Quando avverto la sensazione di essere sovraccarico di attività, e di conseguenza di stress. 9. No. 10. No. 11. Pochi giocatori utilizzano mental training. Intervista – Giancarlo Petrazzuolo Best ranking ATP 308 sing. – 212 doppio 1. In uno sport come il tennis, direi che sono fondamentali sia nei momenti cruciali di un match sia nella gestione dell’intera partita. 2. Sicuramente: la tensione, l’emotività, l’insicurezza, la voglia di far bene. 3. No, cerco solo di gestirle nei migliori dei modi. 4..... 5..... 6. No, solo parlare con il coach preparando bene la partita, in modo da avere maggiore sicurezza in campo. 7. Direi che è un altro punto fondamentale l’avere fiducia nel proprio allenatore, condividere le stesse idee sia tecniche che tattiche aiuta ad essere tranquilli, e favorisce la concentrazione esclusivamente sul match senza creare ulteriori tensioni. E poi il primo a dare fiducia e motivazione al giocatore deve necessariamente essere il coach stesso. 8. Certamente. Con il passare dei mesi, ed al calare della condizione fisica bisogna reclutare più energie psichiche, perciò una buona condizione mentale aiuta certamente, e poi, anche nel caso che i risultati non siano positivi, un aiuto mentale diventa indispensabile. 9.No, purtroppo non riesco a riscontrarne. 10..... 11. In Italia non c’è largo utilizzo di mental training, sono pochi i giocatori che si avvalgono di questo tipo di preparazione, ed anche in caso positivo, solo per brevi periodi di tempo. Intervista – Rianna Umberto - coach 1. Un’importanza cruciale. Ad alto livello, tutti giocano bene, tutti hanno un enorme bagaglio sia dal punto di vista fisico che tecnico. Le doti mentali consentono al buon giocatore di fare il salto di qualità, e farlo diventare un giocatore di alto livello. 2. La capacità di “gestire”: risorse energetiche, emozioni e stress, situazioni specifiche di gioco. I giocatori più forti, che hanno continuità nelle prestazioni sono assolutamente in grado di gestire tutti questi aspetti. 3. Ho assistito, nel corso degli anni, all’evoluzione delle tecniche di mental training, ed oggi anche basandomi su questo bagaglio di esperienza, sono molto attento a leggere ed interpretare le situazioni che si presentano. Non utilizzo nessun tipo di tecnica, ma attraverso il dialogo, l’esperienza, ed il buon senso cerco di indirizzare i giocatori che seguo verso la direzione più giusta. 4. … 5. L’approccio che utilizzo per gestire il giocatore anche dal punto di vista psicologico si basa in larga parte sulla capacità di comunicare. Dopo un po’ di tempo, essa diviene una componente reciproca, attraverso la quale ci si riesce a trasmettere in modo rapido e preciso le informazioni utili alla ricerca della migliore prestazione. 6. In passato mi sono avvalso della consulenza di uno psicologo. 7. La gestione degli aspetti psicologici è un qualcosa che il giocatore e il suo allenatore condividono in modo equo anche se differente. 8. Avverto questa maggiore esigenza nei passaggi critici della stagione: quando ci sono molti tornei, o quando si è reduci da un ciclo non positivo. 9. Non posso rispondere in maniere diretta, ma secondo ciò che ho visto i benefici nascono soltanto se il lavoro di preparazione mentale è continuo nella stagione, e se il giocatore ha piena fiducia su ciò che fa. 10. No. 11. Frequentemente, ma soltanto alcuni progetti di mental training sono validi dal mio punto di vista. Intervista – St Starace Potito Best ranking ATP 28 sing. – 68 doppio 1. Molta importanza, per me la componente “mente” rappresenta lo slancio che ti consente di superare l’ostacolo, l’elemento che può metterti, nel corso di un match combattuto, nella condizione di avere la meglio sull’avversario. 2. Non vedo una o più componenti più importanti sulle altre, secondo me la giusta combinazione tra esse può rappresentare la ricetta vincente. Al di là delle singole componenti il giusto equilibrio “mente-corpo” è la chiave attraverso cui sento piena fiducia in me e nei miei mezzi. 3. No, non utilizzo nessun tipo di tecnica, soltanto sporadicamente ho partecipato a sedute di mental training 4. Nelle rare volte che ho fatto mental training ho lavorato sulla respirazione attraverso tecniche di rilassamento, e successivamente anche training autogeno. 5. Non definirei questa mia esperienza un vero e proprio intervento, ma soltanto un tentativo! 6. Attualmente è il mio allenatore (Rianna) a prendersi totalmente cura di me. Per quanto riguarda il passato, mi è capitato solo di rado, come dicevo prima, di instaurare un colloquio con uno psicologo. 7. Il rapporto che si ha col proprio allenatore è alla base della gestione del giocatore stesso, sia per quanto riguarda gli aspetti tecnici, ma ad alto livello, anche gli aspetti psicologici. 8. Sento di avere bisogno del sostegno delle persone che mi seguono, e che mi sono vicine nella mia attività, specialmente quando sono in difficoltà: reduce magari da infortuni o sconfitte. 9. L’esperienza che ho vissuto riguardo il mental training non mi ha lasciato nulla, nessun tipo di beneficio. In realtà non credo in quel tipo di intervento, e preferisco scoprire autonomamente i miei lati positivi ed i miei difetti. 10. Nessuno strumento. 11. Molti giocatori che conosco hanno vissuto la mia stessa esperienza. Quasi tutti tentano, quantomeno, ad affacciarsi al mental training. Intervista – Tarantino Augustin (ARG) Class. Ita. 2008 2/2 - best ranking ATP 307 sing. – 407 doppio 1. Sono importanti, ma riferendoci al tennis di alto livello, solo se abbinate ad altre qualità. 2. Mantenere alto il livello di concentrazione, e saper gestire la tensione e lo stress. 3. No. 4. … 5. … 6. … 7. Potrebbe rappresentare un’ulteriore strumento a disposizione del coach, ed un ulteriore aiuto per il giocatore. Personalmente sento maggiore sicurezza in campo quando all’esterno c’è un allenatore che sa comprendere le mie esigenze, e che quindi sa consigliarmi sempre la soluzione più giusta per me. 8. Quando avverto stanchezza. Quando sono reduce da troppi tornei, o quando sono in recupero da infortunio. 9. … 10. No. 11. Solo una piccola percentuale utilizza in modo concreto il mental training. Altri giocatori si limitano ad utilizzarlo in modo molto superficiale. Intervista – Vico Uros Best ranking ATP 166 sing. – 80 doppio 1. Una notevole importanza, assieme agli aspetti fisici e tecnico-tattici, che comunque, rispetto alla componente mentale, Quanta importanza ricoprono per Lei gli aspetti mentali all’interno di un match? rivestono per me maggiore rilevanza. 2. Il “non pensare” inteso come automatizzazione, sia dal punto di vista motorio, che dal punto di vista tecnico-tattico. Questo tipo di “abilità”, durante un match, soprattutto se importante, risulta un aspetto chiave per il successo finale. 3. Attualmente mi affido solo all’esperienza del mio coach, ma fino a pochi anni fa, all’interno della mia programmazione quotidiana, era prevista anche una sezione dedicata al mental training. 4. Il mio programma di mental training prevedeva sedute di rilassamento, training autogeno, e più raramente visual training. 5. Ho utilizzato le tecniche di rilassamento prevalentemente nel periodo di allenamento e prima di matches ritenuti importanti; il training autogeno anche autonomamente durante alcuni matches, al “cambio campo”; il visual training nei periodi particolarmente stressanti, la sera, a letto, prima di dormire. 6. Come dicevo prima, attualmente mi affido totalmente al mio coach, ma negli scorsi anni, due psicologi si sono avvicendati nel seguirmi dal punto di vista mentale. 7. Parlando della mia attuale esperienza, ritengo che il coach ha l’importante ruolo di gestire il giocatore “a tutto tondo”, di conseguenza deve necessariamente essere dotato di grossa sensibilità per comprendere le sue esigenze, e poi agire al meglio per il bene dell’atleta che segue. 8. Il momento in cui potrei sentirne il bisogno è di sicuro prima di alcuni matches, e non deve trattarsi necessariamente di partite importanti. Alcune volte mi capita di essere agitato senza riuscire a trovarne la ragione, ed è lì che provo a rilassarmi, ma nel tentativo finisco per sentirmi ancora più stressato! 9. Non sempre, e non in modo così rilevante. Oggi sento di avere maggiormente bisogno di focalizzare la mia attenzione sulle motivazioni e sugli obiettivi,e non riuscirei sicuramente a trovare benefici dalle tecniche che prima utilizzavo. 10. Nessuno. 11. Secondo me, tutti hanno quanto meno provato a far qualcosa per la propria preparazione mentale, alcuni con il supporto di psicologi, altri attraverso i propri allenatori. Intervista – Volandri Filippo Best ranking ATP 25 sing. – 120 doppio 1. Le qualità mentali sono molto importanti, secondo me, soprattutto ad alto livello, anche in relazione alle altre componenti. La gestione degli aspetti mentali risulta essere fondamentale. 2. Molte sono le componenti di natura mentale. Per me, durante le fasi di gioco è di primaria rilevanza condurre il match in modo quasi automatico, lasciando al “pensiero consapevole” solo poche decisioni. Automatizzare, a partire dall’allenamento può consentire una maggiore fluidità nel mio gioco. 3. Ho utilizzato alcune procedure fino allo scorso anno. Ora mi affido totalmente alla mia maturità, e all’esperienza del mio coach (Fanucci). 4. Tecniche di rilassamento, training autogeno, visual training. 5. Provavamo ad utilizzare queste tecniche durante le giornate di allenamento, e spesso in previsione di matches importanti, o dopo alcune particolari sconfitte. 6. Fino allo scorso anno, ho lavorato con una psicologa a tempo pieno, in quanto parte dello staff della struttura in cui mi alleno. 7. E’ importante il ruolo del coach, soprattutto quando gioco dei match per me molto importanti. La presenza del proprio allenatore fuori al campo, mentre giochi, può sicuramente infonderti sicurezza e fiducia. 8. Il momento in cui ho bisogno di maggiore sostegno è sicuramente a fine stagione, quando incomincio ad esaurire le energie! 9. Quando mi preparavo anche con la psicologa, non riuscivo a riscontrare dei benefici particolari. 10. No, non ho mai utilizzato particolari strumenti per valutare la mia condizione psicologica. Riesco, con l’aiuto del coach a capirmi anche interiormente, ed avere il controllo della situazione. 11. Quasi tutti i giocatori che conosco credono nell’importanza degli aspetti mentali, e per quanto ho visto, preparano col proprio allenatore, il match da affrontare in ogni aspetto. Intervista - giocatrice top 100 Classifica WTA femm. 1. Molto importante anche perchè al giorno d’oggi tante partite si giocano solo su qualche punto. 2. Motivazione, calma, conoscenza, chiarezza. 3. Sì 4. Lavoro specifico in campo per affrontare al meglio i momenti delicati di una partita; conoscenza dei vari meccanismi che possono succedere nei momenti delicati; pianificazione d una strategia da eseguire sempre in quei momenti; consulenza con una psicologa sportiva. 5. Vedi punto 4 6. Sì 7. Il coach può aiutare con degli esercizi concreti in campo. Il mental training va eseguito da una persona competente che lo fa di mestiere, ovvero lo psicologo sportivo. 8. No, l’esigenza è soggetta a una moltitudine di fattori variabili. Personalmente non seguo una regola fissa. 9. Sicuramente sì. 10. Le proprie sensazioni. Il superare situazioni problematiche con i nuovi mezzi a disposizione. 11. Ognuno è molto attento nel nostro ambiente a non fare capire all’ altro che si ricorre all’ utilizzo di questi mezzi. (Per tanto le sarei, anch’io, molto grata di mantenere la privacy di questa intervista e soprattutto il mio nome). Interviste gruppo 2 Intervista – Archip Oana (ROM) Class. Ita. 2/5 1. Le componenti di natura psicologica ricoprono, secondo me, un ruolo cruciale all’interno della prestazione, di maggiore importanza rispetto alle altre caratteristiche. 2. Non esistono componenti che possano influire maggiormente rispetto ad altre. Dal mio punto di vista, il giocatore di vertice deve possedere il giusto equilibrio tra mente e corpo, per raggiungere la massima prestazione. 3. Sì. 4. Tecniche di rilassamento, training autogeno, visual training. 5. Nella fase iniziale si apprendono le tecniche con l’ausilio dello psicologo, ed in una fase successiva è possibile riprodurle anche in maniera autonoma, così da averle sempre a disposizione, pronte per essere utilizzate in un momento di necessità. 6. Si. 7. Si pone come ulteriore aiuto e sostegno, per il giocatore ed il suo allenatore. 8. Personalmente, sento maggiormente l’esigenza di un sostegno dal punto di vista psicologico nella stagione estiva, che si trova in concomitanza con i tornei per me più importanti. 9. Si. Assoluta sicurezza e fiducia nelle mie potenzialità. 10. Mettere a confronto le prestazioni dei matches, e talvolta anche quelle degli allenamenti. Questo sistema rappresenta il mio sistema di valutazione. 11. Qualche altra giocatrice utilizza mental training, anche con l’aiuto del proprio coach. Intervista – Capone Massimo Best ranking ATP 928 sing. – 743 doppio 1. Sentirsi in piena fiducia di sé, sentirsi sicuri nell’affrontare un match, sono sicuramente dettagli di natura mentale di molta importanza. 2. Gestire le emozioni, mantenere alto il livello di concentrazione. Queste due componenti rappresentano per me la chiave per raggiungere un buon livello di fiducia in sé. 3. No, non ne ho mai sentito una reale esigenza, anche se credo che possano aiutare a migliorare in parte il proprio tennis. 4. … 5. … 6. No. 7. Attualmente sono abbastanza autonomo nella mia attività di tornei, ma ho sempre considerato positiva la presenza dell’allenatore durante il proprio match. Credo che il coach possa mettere nella migliore condizione psicologica il proprio giocatore, anche attraverso semplici parole. 8. Nei momenti in cui non si riesce a giocare al meglio, e si rischia di smarrire sicurezza e fiducia in sé. 9. … 10. … 11. Non molti. La maggior parte di giocatori che vedo nel corso dei tornei vivono la mia stessa realtà tennistica. Intervista – Deighton Thomas (GBR) Class.ita. 2/6 - Best ranking 302 ITF Junior World Ranking 1. Abbinate alle doti fisiche e tecniche, le qualità mentali hanno una grandissima importanza. 2. La componente mentale che secondo me incide maggiormente, per un giocatore di alto livello è la capacità di gestione dello stress. 3. Sì, ma solo fino alla scorsa stagione, all’interno della struttura in cui mi allenavo. 4. Tecniche di rilassamento, visual training e imagery, training autogeno. 5. Durante la giornata di allenamento, attraverso apposite sedute dedicate soltanto al mental training. 6. Ricordo che sia il coach che lo psicologo si occupavano del mental training. 7. Anche in virtù del fatto che ho vissuto questo tipo di esperienza, sono assolutamente convinto che l’allenatore ha anche il compito di comprendere e mediare i processi di natura psicologica. 8. Non un momento in particolare. Secondo me è necessario un supporto costante, in tutto l’arco della stagione. 9. La percezione di sentirsi forti interiormente, l’attitudine a “pensare in positivo”. 10. Ho utilizzato in passato anche dei test per la valutazione della mia condizione mentale. 11. Una piccola percentuale. Intervista – Marco Di Vuolo Best ranking ATP 550 sing. – 859 doppio 1. Molta importanza, assieme alla tecnica ed alla preparazione fisica. 2. La capacità di restare concentrati per lungo tempo,l’automatizzazione degli schemi di gioco, e lo spirito di sacrificio. 3. No. 4. … 5. … 6. No. 7. L’allenatore può infondere fiducia nel giocatore, consentendogli così di esprimersi al meglio. Al contrario, quando il coach mostra insicurezza o sfiducia rispetto al proprio giocatore, lo pone in una condizione di forte negatività. 8. Quando si avverte maggiormente la fatica. Sia quando si giocano molti match, ma secondo me, soprattutto quando si è reduci da qualche brutta sconfitta. 9. Non saprei rispondere, ma tutte le volte che ho sentito l’esigenza di essere sostenuto in momenti difficili, mi sono sentito sicuramente meglio quando ho analizzato la situazione assieme al mio allenatore. 10. No. 11. No, quasi nessuno. Nelle grosse strutture, in molti casi, è presente lo psicologo all’interno dello staff tecnico, ma non conosco nessun giocatore che ne abbia tratto particolari benefici. Intervista – Fanucci Pietro Class. Ita. 2/4 - Best ranking ATP 1369 sing. – 667 doppio 1. La componente mentale è, secondo me, di grande importanza, al pari delle doti dal punto di vista fisico, e delle qualità di natura tecnico-tattica. 2. La capacità di mantenere un alto livello di concentrazione è secondo me la componente psicologica che può avere maggior peso nel tennis di alto livello. 3. Ho utilizzato, fino allo scorso anno un protocollo composto da diverse tecniche di mental training. Attualmente è il mio allenatore, che mi segue anche nella mia attività di tornei, ad occuparsi della gestione degli aspetti psicologici. 4. Tecniche di rilassamento, visual training, visual training. 5. Utilizzavo queste diverse tecniche nel periodo di preparazione, in momenti ben definiti della giornata d’allenamento. Generalmente prima della seduta pomeridiana di allenamento in campo. 6. Fino all’anno scorso sì. Come dicevo, ora è il mio allenatore che si occupa anche di questi aspetti. 7. Per me, è molto importante che l’allenatore che mi segue nella mia attività, abbia la competenza necessaria per guidare le mie scelte anche dal punto di vista mentale. 8. Nel ritorno da infortuni, e dopo le sconfitte. Questi,per me sono i due momenti più critici, in cui sento questo tipo d’esigenza. 9. Percepivo, dopo un ciclo di sedute di mental training, un sensazione di maggiore sicurezza. 10. No. 11. Qualcuno utilizza il mental training. Credo che questo tipo di pratica sia in costante aumento. Intervista – Massimo Ghedin - coach 1. Ritengo che la componente mentale sia di fondamentale importanza. Oggigiorno tutti i giocatori hanno una buona preparazione tecnica, tattica, fisica; quindi, ciò che fa la differenza è l’abilità mentale del giocatore. 2. Credo che la concentrazione sia la componente che maggiormente influisca sulla prestazione; nell’allenamento, invece è la motivazione dell’atleta che lo spinge a continuare ad allenarsi. 3. Non proprio, personalmente ho ottenuto buoni risultati con tecniche di respirazione e rilassamento prima del match. Non ritengo queste tecniche molto sofisticate o elaborate perché derivano dall’esperienza e dalla lettura di qualche testo sull’argomento. Sarebbe comunque il caso di essere affiancati da uno psicologo. 4. L’ho già detto, io durante l’allenamento curo molto la respirazione, cerco di far coincidere l’espirazione con la fase dell’impatto, perché credo che una buona respirazione consenta di mantenere una certa rilassatezza muscolare. Cerco poi di non perdere mai la concentrazione anche durante gli allenamenti, soprattutto con quei giocatori che hanno alti e bassi durante gli incontri. 5. L’ho appena detto. 6. No, in accademia viene in maniera occasionale uno psicologo non sportivo, l’impedimento maggiore è di natura economica. 7. Il compito principale di un coach è quello di preparare l’atleta nel miglior modo possibile dal punto di vista mentale. Nel tennis ad alto livello, infatti, la funzione del coach sarà in minima parte quella di migliorare l’atleta dal punto di vita tecnico e tattico. In questo caso, l’aspetto mentale diviene un fattore fondamentale. 8. Sì, in particolar modo quando si affrontano periodi difficili, di sconfitte; è in quei momenti che potrebbe risultare utile un sostegno psicologico. Sono convinto, però anche che un rapporto, solido con il proprio allenatore, certe volte, possa essere di aiuto più di un supporto psicologico. 9. Sì, con le tecniche di respirazione ho ottenuto buoni risultati. Un po’ meno con le tecniche di rilassamento (prima del match), ma molto probabilmente perché non sono state eseguite in maniera corretta, per la mancanza della guida di un professionista. E si ritorna al discorso del budget. 10. Maggiormente l’osservazione sistematica, le reazioni emotive dell’atleta durante la partita, l’esperienza dell’allenatore poi è fondamentale. 11. Pochi. Soprattutto nei piccoli club. Nel tennis ad alto livello, invece, alcuni allenatori le usano ottenendo buoni risultati. Intervista – Vincenzo Izzo - coach 1. Credo che la componente psicologica sia importante quanto quella tecnico-tattica, e, nel tennis moderno, anche quanto quella fisica. 2. Il salto di qualità molti giocatori lo fanno quando riescono a trovare equilibrio psico-fisico, e continuità nella qualità delle prestazioni, che in buona parte dei casi si traduce con continuità di risultati. 3. No, cerco solo di interpretare nel modo migliore le situazioni di gioco. 4. … 5. … 6. No. 7. Credo che se si instaura un buon rapporto tra il giocatore ed il coach, diviene comunque più semplice lavorare per raggiungere determinati obiettivi, e quindi più probabile raggiungere dei buoni risultati. 8. Indubbiamente quando il giocatore è sotto stress, per la quantità o per la tipologia di matches che ha o deve affrontare. 9. … 10. … 11. Solo alcuni, in situazioni ambientali differenti, e con diversi risultati. Intervista – Piero Melaranci - coach 1. Possono variare da soggetto a soggetto ma hanno importanza pari alle capacità tecniche fisiche e tattiche. 2. Motivazioni, autostima, aspettative al successo, ansia da prestazione. 3. Sì, utilizzo tecniche di attivazione e tecniche di rilassamento, durante l’anno sotto forma di allenamento mentale sulla capacità di concentrazione, di attivazione e di rilassamento. 4. Dopo una prima fase di apprendimento delle varie tecniche, si passa all’applicazione e all’utilizzo delle stesse, sia durante il periodo di preparazione (rafforzamento della capacità di concentrazione, attivazione e di controllo) che durante le gare (preparazione pre-gara, attivazione, gestione dell’ansia, ecc.). 5. Vedi punto 4. 6. Sì, nel mio staff è presente anche uno psicologo. 7. É un fattore catalizzante in quanto permette al coach di conoscere profondamente il proprio giocatore e gli consente quindi di intervenire nel modo più appropriato; accresce inoltre la fiducia del giocatore verso il proprio coach, fattore determinante per la riuscita del lavoro. 8. Molto dipende dall’andamento della stagione agonistica, una delle fasi delicate è comunque l’inizio della stagione. 9. Sì, in diversi atleti il supporto di queste tecniche ha portato a miglioramenti del rendimento. 10. Utilizzo tabelle di valutazione per verifiche periodiche, unite all’intervento dello psicologo. 11. Credo che a livello internazionale si faccia un utilizzo di mental training almeno per il 50% dei coach. Intervista – Rubino Vittorio Class. Ita. 2007 2/5 - best ranking ATP 1272 sing. 1. Gli aspetti mentali ricoprono, secondo me, una grande importanza. 2. La capacità di mantenere un alto livello di concentrazione, e di gestire le pressioni che derivano dall’esterno. 3. No. 4. … 5. … 6. … 7. Il mental training può essere d’aiuto per interpretare le situazioni di gioco e di vita quotidiana, e nella scelta della migliore soluzione adatta al singolo individuo. Il sostegno mentale può contribuire alla normale maturazione e crescita dell’”uomo giocatore”. 8. Sicuramente se avessi la possibilità di ricorrere al mental training, il momento più indicato sarebbe senz’altro al termine della stagione, in vista degli ultimi tornei, che spesso si affrontano in condizioni di stanchezza psico-fisica. 9. … 10. No. 11. Quasi nessuno. Quasi tutti i giocatori che mi capita di vedere nel coro dei tornei, sono totalmente autonomi, Soltanto una piccola percentuale di giocatori ha la possibilità del sostegno dell’allenatore durante i tornei, e soltanto una piccolissima parte di essi utilizza il mental training. Intervista – Santangelo Leonardo Class. Ita 2/4 1. Secondo me gli aspetti di natura psicologica hanno molta importanza, al pari di tutte le altre caratteristiche che compongono questo sport. 2. La capacità di mantenere un alto livello di concentrazione è secondo me una delle caratteristiche che incidono maggiormente sull’esito della prestazione. 3. Sì, ma soltanto in passato, ed in modo molto sporadico. 4. All’interno delle sedute di mental training a cui ho partecipato abbiamo utilizzato: tecniche di rilassamento, training autogeno, visual training. 5. La seduta di preparazione mentale si articolava in modo sostanzialmente schematico: gli esercizi di rilassamento, attraverso cui si esercitava anche la respirazione, seguiti da training autogeno o da visual training. 6. In quelle determinate occasioni era lo psicologo ad introdurci queste tecniche. 7. Il mental training si pone come uno dei cardini del binomio coach/giocatore, in quanto l’allenatore che segue un giocatore di alto livello, deve essere in grado di gestirlo in ogni aspetto, compreso quello psicologico. 8. Maggiormente nei momenti in cui lo stress crea confusione, e si perde la lucidità necessaria a compiere scelte completamente razionali. 9. Maggiore sicurezza nei propri mezzi e fiducia in sé. 10. No. 11. Solo qualcuno, in genere i giocatori che provengono dalle grosse strutture d’allenamento che si avvalgono anche della consulenza dello psicologo all’interno dello staff tecnico. Intervista – Simoni Marco Class. Ita. 2/2 - Best ranking ATP 1086 sing. – 1272 doppio 1. La componente “mente” è molto importante, soprattutto nel tennis di alto livello. Io considero di uguale importanza la parte mentale, la preparazione fisica, e le doti di natura tecnico-tattica. 2. Tutti gli aspetti specifici di natura mentale giocano il proprio ruolo specifico all’interno del match. La condizione di equilibrio rappresenta lo stato mentale ideale. 3. No. 4. … 5. … 6. No, non mi sono mai avvalso di tale consulenza. 7. Credo che l’allenatore, nell’ambito del tennis ad alto livello, debba necessariamente conoscere approfonditamente le dinamiche psicologiche che regolano il corso del match, con l’obiettivo di comprendere e gestire in modo efficace il proprio giocatore. Ricopre un ruolo di primaria importanza. 8. Molto dipende dalla mia condizione psicologica: alcune volte, anche in momenti difficili o critici riesco autonomamente a trovare la giusta soluzione! 9. … 10. No. 11. Mi è capitato di notare qualcuno che utilizza il mental training. In genere sono coloro che provengono da grosse strutture. Intervista – Stebe Cedric (GER) Best ranking 226 ITF Junior World Ranking 1. Molto importante soltanto se affiancati a specifiche qualità. 2. La capacità di mantenere il giusto focus attentivo per tutto l’arco del match. 3. Sì, in Germania è una pratica discretamente diffusa all’interno dei centri d’allenamento. 4. Training autogeno, visual training, pilates. 5. Nel periodo d’allenamento, sono ritagliati, all’interno della giornata d’allenamento, specifici spazi interamente dedicati al mental training. 6. Ho utilizzato le tecniche di mental training sia con l’aiuto del coach che con lo psicologo. 7. All’interno del binomio è sicuramente d’aiuto: nella comprensione di specifiche situazioni e nella successiva elaborazione della strategia d’azione. 8. Nei momenti in cui si avverte maggiore stress psico-fisico. 9. Maggiore sensazione di controllo e calma, la capacità di mantenere un buon livello di concentrazione. 10. No. 11. Nonostante l’importanza, solo una piccola percentuale pratica mental training. Intervista – Taycar Ian (SLO) Best ranking 104 ITF Junior World Ranking 1. Molto importanti, in stretta correlazione con il livello in cui si compete. 2. La capacità di mantenere a lungo la concentrazione, lo spirito di sacrificio. Questi due dettagli rappresentano per me il giusto riferimento da seguire per essere competitivi. 3. No. 4. … 5. … 6. No. 7. Immagino che possa essere d’aiuto nella gestione dell’attività di preparazione e di tornei. 8. Il momento in cui sento questo tipo di esigenza corrisponde in genere con l’ultima parte della stagione dei tornei, in cui si può accumulare stress e stanchezza in maniera considerevole. 9. … 10. No. 11. Soltanto una quest’ulteriore aiuto. minoranza di giocatori dispone di Intervista – Teneriello Fabio Class.ita. 2/2 - coach 1. Ricoprono secondo me, grande importanza, anche se ritengo che debbano sempre essere abbinate alle altre specifiche qualità. 2. La capacità di mantenere un alto livello di concentrazione, e di gestione di emozioni e stress. 3. No. 4. … 5. … 6. No. 7. All’interno del binomio coach/giocatore è importante anche la gestione degli aspetti psicologici. Non credo che il mental training sia indispensabile in questo tipo di gestione. Un buon allenatore riesce anche attraverso la sua esperienza ad occuparsi degli aspetti di natura mentale. 8. Il momento maggiormente delicato, all’interno della stagione di competizioni, coincide, nella maggioranza dei casi, con gli ultimi tornei dell’anno. 9. No. 10. No. 11. La maggioranza no, ma sicuramente esiste una piccola percentuale di giocatori e allenatori che utilizzano mental training. Intervista – Urbinati Omar - coach 1. Personalmente ritengo che il campione si riconosca dalla sensibilità di braccio (il “tocco”) e dalla “testa”, vale a dire dalla capacità di stare concentrato e di sentire il match. Ovviamente, per questi motivi, nell’atleta sono da valorizzare al massimo qualità come la creatività e la concentrazione. E ritengo che tali qualità siano innate. 2. Tre sono le componenti che influenzano qualsiasi tipo di prestazione: l’improvvisazione, l’adattamento e la volontà di raggiungere uno scopo. 3. Non utilizzo strumenti diretti (come l’ausilio di uno psicologo sportivo) perché sono tecniche che non condivido a livello giovanile, cerco solo di tirare fuori da ciascuno dei miei allievi il massimo affinché possano dirsi e sentirsi “uomini” in qualsiasi campo dell’attività umana, nel gioco del tennis come nella vita quotidiana. Diverso è il discorso per i coach che seguono tennisti professionisti, per i quali ritengo necessario un certo tipo di aiuto psicologico, ma solo se in sintonia con i propri giocatori. 4. Spingo i miei allievi sempre e comunque a ragionare, perché nei momenti di difficoltà emerge sempre colui che ha dalla sua parte la ragione e l’esperienza. 5. Ogni giorno sul campo, cercando in allenamento di far raggiungere un alto livello di “stress” fisico e mentale per poi immediatamente far giocare alcune partite di allenamento, analizzandole insieme al giocatore. 6. Solo a livello professionistico. 7. Come già detto, a livello professionistico mi avvalgo della consulenza di psicologi esperti nell’ambito sportivo. 8. No, ritengo che qualsiasi periodo della stagione sia molto importante. 9. Certo, sono convinto che la mia sia una strada che dovrebbe percorrere ogni allenatore. 10. Gli unici strumenti di valutazione sono i riscontri che danno i test in allenamento e le prestazioni durante i tornei. 11. Ritengo che i miei colleghi utilizzino in modo smodato le tecniche di mental-training, quando secondo me ci si dovrebbe impegnare maggiormente su questioni di tecnica, tattica e di educazione allo sport. Bibliografia Castellani A.- D'Aprile A.- Tamorri S., (2004), Tennis Training, Società Stampa Sportiva. Cratty B.- Pigott R.E., (1988), Psicologia dello sport, Società Stampa Sportiva. Crespo M. - Reid M. - Quinn A., (2006), ITF Tennis Psychology, International Tennis Federation Coaching Pubblications. Lombardo G.P.- Cavalieri P. (1994), Psicologia della personalità nello sport, Carocci. Mialet J.P., (2001), L'attenzione, San Paolo Edizioni. Robazza, (1994), L’attenzione mentale nello sport, Luigi Pozzi. www.alleniamo.com www.centrostudikeiron.it www.mentaltraining.it www.psicologiasportiva.it www.psiconline.it www.wikipedia.it