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La porta stretta della ripresa

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La porta stretta della ripresa
UNIONCAMERE LAZIO • CENSIS
LA PORTA STRETTA DELLA RIPRESA - TRASFORMAZIONI STRUTTURALI E PROSPETTIVE DELL'ECONOMIA DEL LAZIO
ISBN 978-88-89528-23-5
UNIONCAMERE LAZIO
CENSIS
La porta stretta
della ripresa
Trasformazioni
strutturali e prospettive
dell'economia del Lazio
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UNIONCAMERE LAZIO
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CENSIS
LA PORTA STRETTA DELLA RIPRESA
Trasformazioni strutturali e prospettive
dell'economia del Lazio
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Studi e Ricerche di Unioncamere Lazio
Il presente studio è stato realizzato a cura dell’Area Studi e Ricerche di Unioncamere Lazio
in collaborazione con la Fondazione CENSIS – Centro Studi Investimenti Sociali
ISBN 978-88-89528-24-2
© 2014 Unioncamere Lazio
Via de’ Burrò 147 – 00186 Roma
www.unioncamerelazio.it
Il Rapporto è stato chiuso con le informazioni disponibili a marzo 2014
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati esclusivamente ad Unioncamere Lazio.
La deroga a tale esclusiva è ammessa solo nel caso in cui venga citata la fonte.
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Indice
Presentazione ..................................................................................................................................................5
EXECUTIVE SUMMARY..................................................................................................................7
Le trasformazioni del decennio ...................................................................................................................7
L’evoluzione recente ................................................................................................................................11
Un nuovo scenario...................................................................................................................................15
1. LE TRASFORMAZIONI DEL DECENNIO
1.1. Un periodo disomogeneo ..................................................................................................................17
1.2. Lo scenario nazionale .......................................................................................................................18
1.3. Il confronto nel Lazio........................................................................................................................22
1.4. Dimensione e forma giuridica delle imprese ........................................................................................25
1.5. L’evoluzione della articolazione settoriale............................................................................................32
1.6. La distribuzione territoriale ...............................................................................................................37
2. L’EVOLUZIONE RECENTE
2.1. I conti regionali................................................................................................................................41
2.2. La caduta dei consumi......................................................................................................................47
2.3. L’andamento delle esportazioni..........................................................................................................49
2.4. Le tensioni occupazionali..................................................................................................................53
2.5. Il mercato del lavoro .........................................................................................................................61
2.6. L’universo delle imprese....................................................................................................................64
3. UN NUOVO SCENARIO
3.1. Il lungo ciclo dello sviluppo articolato ................................................................................................69
3.2. L’esaurimento dell’inerzia positiva e i nuovi scenari .............................................................................72
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Presentazione
La grave crisi economica che ha investito il Paese in questi ultimi anni sta trasformando
velocemente la composizione del tessuto sociale e produttivo della nostra regione.
Il rapporto “La porta stretta della ripresa – Trasformazioni strutturali e prospettive dell’economia del Lazio”, realizzato da Unioncamere Lazio in collaborazione con il Censis, analizza,
nello specifico, le diverse ripercussioni che la congiuntura economica ha prodotto sul nostro
territorio. Mentre la prima fase della crisi (2008 – 2009) ha avuto sul Lazio un impatto prevalentemente di tipo economico-produttivo, la seconda fase (2012 – 2013) ha determinato
importanti conseguenze sul piano sociale: riduzione del numero degli occupati e aumento del
tasso di disoccupazione; contrazione del reddito disponibile e caduta dei consumi.
L’estensione di questa crisi alla dimensione sociale è testimoniata, in particolar modo, dai
dati sul mercato del lavoro: nel 2013 il numero complessivo di occupati nella regione (rimasto
stabile fino al 2012) è bruscamente diminuito di oltre 40.000 unità. Nello stesso tempo, il
tasso di disoccupazione ha raggiunto il 12,3% (quasi il doppio del 6,4% del 2007), soprattutto a causa della crescita della quota della disoccupazione “di lunga durata”, mentre il tasso di
mancata partecipazione al lavoro ha superato la soglia del 20%.
I dati intercensuari analizzati nel rapporto e, nello specifico, il confronto tra i dati dei
Censimenti 2001 e 2011, consentono di allargare lo sguardo ad una prospettiva di più ampio
periodo. L’analisi ci permette, infatti, di individuare le caratteristiche di una modifica della
struttura produttiva regionale che, se da un verso si distingue per la sua forte vitalità (consentendo al Lazio di essere una delle regioni con i migliori saldi decennali: +9,6% nel numero delle
imprese, + 16,0% nel numero di addetti alle unità locali), dall’altra pone rilevanti questioni di
tipo strategico.
La caratteristica saliente nella mutazione intercensuaria della composizione settoriale della
base produttiva, oltre alla prevedibile perdita di peso della componente manifatturiera, è infat5
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ti quella di una modifica di equilibri nell’ambito dei “servizi funzionali”: è diminuita la quota
di addetti riconducibili ai grandi servizi, come finanza, logistica e ICT, ed è cresciuta quella
delle attività professionali e dei servizi di supporto alle imprese. È stata proprio la massiccia
presenza e la crescita di queste attività ad aver favorito la modernizzazione della Capitale e
della regione dell’ultimo ventennio.
Ma quali sono i settori produttivi sui quali puntare nei prossimi anni? Quali sono le prospettive per l’economia del Lazio? In una situazione in cui il Paese non riesce ad intraprendere una
vera ripresa economica e produttiva, lo scenario futuro appare piuttosto critico. Non è facile trovare la cura giusta per uscire dalla crisi.
Come confermato dall’analisi effettuata nel rapporto, per imboccare la porta stretta della
ripresa è necessario il concorso di più dinamiche settoriali, nessuna delle quali è in grado, da
sola, di riattivare lo sviluppo.
Pertanto, dobbiamo cogliere le tracce di vitalità che si sono manifestate nell’ultimo decennio, valorizzandole e proiettandole verso il futuro, a partire dalla crescita delle piccole e medie
imprese a quella di nuove attività professionali e dei servizi; dall’incremento di alcuni ambiti del
manifatturiero all’articolazione del settore energetico; dallo sviluppo imprenditoriale del welfare
alla diffusione del non profit; dalla crescita dell’export all’incremento dell’attrattività turistica.
Il Sistema camerale, pertanto, è chiamato, in sinergia con i diversi attori istituzionali, a
monitorare e valutare i processi economici e sociali in corso, garantendo il massimo supporto
alle imprese che hanno avuto il coraggio di resistere alla crisi e che oggi cominciano a manifestare la voglia di riprendersi.
Pietro Abate
Segretario generale Unioncamere Lazio
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EXECUTIVE SUMMARY
Le trasformazioni del decennio
Il decennio 2001-2011 è segnato dalla soluzione di continuità rappresentata dalla crisi iniziata nel 2008 e tuttora in corso. Le differenze osservate nel confronto intercensuario non sono
quindi, tendenzialmente, attribuibili a trend omogenei ma al succedersi di due dinamiche differenti nelle fasi di debole crescita (fino al 2007) e di recessione (dal 2008 in poi).
Nel complesso a livello nazionale si riscontra un modesto incremento degli addetti alle attività economiche. Per quanto riguarda in particolare le imprese dell’industria e dei servizi il limitato aumento del numero degli addetti (da 15,7 a 16,4 milioni) ha lasciato, per la prima volta
dal dopoguerra, stabile al 27,6% il rapporto tra questi e l’insieme della popolazione.
L’accentuarsi del declino dell’occupazione manifatturiera e la sostanziale stasi dei “grandi”
servizi funzionali (finanza, comunicazione e logistica), cui si contrappone il saldo positivo dei
servizi pubblici, collettivi e alla famiglia (cresciuti del 26,4%, anche in conseguenza della riduzione degli addetti alle amministrazioni pubbliche) rilanciano un’immagine di ripiegamento dell’economia produttiva italiana. Risultano indebolite le componenti tradizionalmente considerate di maggiore portanza strategica, perché effettivamente (nel caso manifatturiero) o potenzialmente (nel caso dei grandi servizi) maggiormente orientate all’esportazione e più favorevoli allo
sviluppo di imprese strutturate.
In questo contesto, e nonostante la crisi che lo ha duramente colpito, il Lazio presenta il più elevato saldo positivo tra tutte le regioni italiane nel numero delle imprese censite salite, al netto di
quelle senza addetti, da 359.000 a 393.000, con un incremento del 9,7% decisamente superiore
a quello medio nazionale del 3,3%. Trenta anni fa, nel 1981, le imprese censite nel Lazio erano
meno di 200.000 ed il peso sul totale nazionale era di quasi tre punti inferiore a quello attuale (6,8%
contro 9,6%) (Fig. ES.1). Alla fine del 2011 gli addetti riferibili alle quasi 400.000 imprese laziali
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erano 1,85 milioni, oltre 200.000 in più rispetto a quelli censiti nel 2001. L’ubicazione nella
Capitale delle sedi centrali di diverse grandi imprese dei servizi fa si che nel Lazio gli addetti riferibili alle imprese superino quelli attivi nelle unità locali effettivamente operanti nella regione; anche
questi ultimi risultano comunque in crescita (da 1,3 a 1,5 milioni) in proporzione decisamente superiore a quanto rilevato a livello nazionale (+16,0% nel Lazio contro + 3,5% nel resto d’Italia).
Fig. ES.1 - Numero e incidenza sul totale nazionale delle imprese censite nel Lazio (1971-2011)
600.000
12,0%
9,6%
500.000
10,0%
8,8%
425.730
400.000
7,2%
6,8%
7,2%
8,0%
358.785
300.000
6,0%
237.925
200.000
194.231
4,0%
160.186
100.000
2,0%
0
0,0%
1971*
1981
1991
NUMERO (scal SX)
2001
2011**
% su Italia (scala DX)
* campo di osservazione ridotto
** comprese imprese senza addetti
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - Confronti intercensuari
• La parte più consistente del saldo imprenditoriale positivo laziale è dovuta alla fascia dimensionalmente intermedia delle imprese (da 3 a 249 addetti) delle quali sono aumentate considerevolmente sia la numerosità (da 69.000 a 86.000 aziende) sia l’ammontare degli addetti (da meno di 600.000 a più di 750.000, Fig. ES.2) grazie soprattutto alle S.R.L., arrivate a
rappresentare il 46% del totale.
• Le grandi imprese con 250 addetti e più censite nel Lazio sono aumentate da 344 a 402
(prevalentemente organizzate in forma di società per azioni) ma il numero di addetti ad esse
riferibili è cresciuto in misura più contenuta (da 683.000 a 711.000) e tale da essere superato da quello delle imprese di fascia intermedia.
• Le imprese con uno o due addetti, che possono essere definite “attività economiche personali” sono oltre 300.000 (i tre quarti delle quali organizzate in forma di imprese individuali,
liberi professionisti e lavoratori autonomi) ed occupano complessivamente 364.000 addetti
(ne impiegavano 347.000 nel 2001).
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Executive summary
Fig. ES.2 - Addetti alle imprese con sede centrale nel Lazio per dimensione delle imprese (2001 e 2011)
2001
800.000
2011
750.328
682.744
711.030
593.425
600.000
400.000
346.972
364.946
200.000
0
1-2 addetti
3-249 addetti
250 e più addetti
Attività economiche personali
Micro, piccole e medie imp.
Grandi e mega imp.
+5,2%
+26,4%
+4,1%
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - CensStat
La caratteristica saliente nella mutazione della composizione settoriale messa in luce dal
confronto intercensuario degli addetti alle unità locali, al di là della prevedibile perdita di peso
della componente manifatturiera (peraltro più contenuta della media nazionale), è quella di una
modifica di equilibri all’interno dell’ambito dei servizi funzionali tra due coppie di settori di attività (Tab. ES.3): la prima composta dalle “attività professionali” e dai “servizi di supporto alle
imprese” e la seconda dalle “attività finanziarie e assicurative” e dai “servizi di informazione e
comunicazione”. Entrambe le coppie pesavano, in termini di addetti alle unità locali, il 14,5%
del totale regionale nel 2001, oggi la prima coppia pesa il 19,0% (ha, cioè, aumentato la sua
quota del 4,5%) la seconda pesa l’11,6% (ha, dunque, ridotto la sua quota del 2,9%).
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Tab. ES.3 - Numerosità ed incidenza sul totale regionale degli addetti alle unità locali del Lazio di alcune sezioni
di attività dei servizi (2001 e 2011)
Servizio di
Attività
Attività
Servizi di
Totale addetti
supporto alle
professionali,
finanziarie e
informazione e
alle unità locali
imprese, noleggio,
scientifiche e
assicurative
comunicazione
delle imprese
agenzie di viaggio
tecniche
nel Lazio
2001
Addetti U.L.
97.048
95.326
73.522
119.564
1.331.076
2001
% sul totale
7,3%
7,2%
5,5%
9,0%
100,0%
2011
Addetti U.L.
159.949
132.384
68.837
110.387
1.544.224
2011
% sul totale
10,4%
8,6%
4,5%
7,1%
100,0%
2001-2011
Var. numero addetti
62.901
37.058
-4.685
-9.177
213.148
2001-2011
Var. % addetti
64,8%
38,9%
-6,4%
-7,7%
16,0%
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - CensStat
• I primi due settori (molto diversi per tipologie produttive e imprenditoriali) possono tendenzialmente essere accomunati in quanto alimentati prevalentemente (anche se non esclusivamente) da una domanda interna proveniente in particolare dai processi di esternalizzazione delle
imprese e delle istituzioni. I settori appartenenti alla seconda coppia sono, invece, caratterizzati dalla presenza di grandi imprese organizzate in forme di società di capitali e comprendono le attività che hanno storicamente contribuito ad assicurare al Lazio un attivo nella bilancia interregionale delle transazioni “esportando” servizi al di là dei confini regionali.
• Alla differenza nei mercati di riferimento, nelle dimensioni e nelle tipologie di imprese si aggiunge il fatto che il livello di produttività (misurato dal valore aggiunto per addetto) dei settori in
espansione è significativamente inferiore a quello dei settori statici o in contrazione. Lo spostamento ha quindi determinato una riallocazione dell’impiego del lavoro verso attività tendenzialmente a più basso valore aggiunto (e presumibilmente a minore proiezione esterna) e ciò, di per
sé, sembra indicare un peggioramento della complessiva condizione competitiva della regione.
Non si può però escludere che, come avvenuto altre volte, vi siano dinamiche interne ai singoli
settori produttivi di segno diverso che prefigurino potenzialità espansive oggi sottovalutate.
Dal punto di vista territoriale il più accentuato saldo positivo nel numero degli addetti alle
unità locali delle imprese si riscontra nei territori limitrofi a Roma Capitale, ed in particolare
nei comuni posti lungo l’asse autostradale e nella zona settentrionale. Nel complesso la provincia romana (escluso il capoluogo) fa registrare una crescita del 25%, mentre la città di Roma
e l’insieme della provincia di Latina aumentano del 16% e quella di Viterbo dell’8%.
Decisamente più critici gli andamenti di Frosinone (dove la crescita non arriva al 3%) e Rieti
che fa segnare una diminuzione del -2%.
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Executive summary
L’evoluzione recente
I dati aggiornati al 2012 per le principali grandezze macroeconomiche, confermano, purtroppo, l’analisi – sviluppata dal Censis nel precedente rapporto – secondo la quale le caratteristiche specifiche dei sistemi produttivo e sociale della regione prefiguravano, di fronte al proseguimento della crisi nazionale, uno scenario particolarmente critico per il Lazio. La riduzione del Pil
regionale nel 2012 è stata, infatti, del -2,8% a prezzi concatenati (contro il -2,5% a livello nazionale) e tale da portare la caduta al -6,1% rispetto al 2007 (sempre a prezzi concatenati).
La riduzione del valore aggiunto prodotto è stata particolarmente sensibile nelle costruzioni
che hanno perso il 10% rispetto al 2011 portando la caduta quinquennale oltre il 20%.
Agricoltura, industria e l’aggregazione dei servizi che comprende commercio, turismo, logistica e comunicazioni hanno fatto registrare nel 2012 cali tra il -4,0% e il -7,0% mentre gli
altri servizi hanno contenuto la riduzione a pochi decimi di punto (Tab. ES.4).
Tab. ES.4 - Variazioni annuali del valore aggiunto a prezzi concatenati per settori di attività economiche nel Lazio
(2008-2012)
Var. % prezzi
Var. % a prezzi concatenati rispetto all’anno precedente
concatenati
2008
2009
2010
2011
2012
2008/2012
-0,3%
1,7%
1,0%
1,3%
-0,3%
3,5%
immobiliari e altri servizi alle imprese
1,7%
-0,8%
-0,1%
0,6%
-0,2%
1,1%
Agricoltura
2,2%
-4,3%
2,1%
-0,8%
-6,9%
-7,7%
Industria
-3,4%
-10,0%
7,1%
-0,4%
-5,6%
-12,4%
comunicazioni
-8,1%
-6,0%
-0,8%
2,7%
-4,0%
-15,5%
Costruzioni
-3,6%
-0,7%
-0,7%
-8,4%
-10,1%
-21,8%
Totale attività economiche
-2,6%
-2,6%
0,6%
0,7%
-2,4%
-6,2%
Pubblica amministrazione, welfare,
intrattenimento e altri servizi
alle famiglie
Finanza, attività professionali e
Commercio, turismo, trasporti,
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - banca dati I.stat - Conti economici regionali
La caduta del Pil nel 2012, contrariamente a quanto era avvenuto nella “prima crisi” del
2008-2009, si è accompagnata a quella dei consumi. Come era prevedibile la capacità delle
famiglie di contenere la riduzione del tenore di vita sacrificando la quota dei risparmi ha raggiunto il limite e la contrazione del reddito disponibile ha cominciato a tradursi pienamente nel
calo della spesa che, presumibilmente, è proseguito nel 2013.
• L’export laziale di merci ha continuato fino al 2012 a crescere più della media nazionale
(anche se meno degli anni precedenti). Questo risultato positivo dipende però in modo quasi
esclusivo dal contributo del settore farmaceutico le cui esportazioni hanno superato nel 2012
i 6 miliardi di euro e stanno continuando a crescere nel 2013 (+20% nei primi nove mesi).
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Il resto dell’export laziale nell’ultimo biennio ha segnato il passo e alcuni settori presentano
consistenti riduzioni.
• Anche per il turismo estero, l’altra componente fondamentale dell’interscambio internazionale
della regione, il 2012 è stato un anno di assestamento dopo i recuperi realizzati nel biennio
precedente. Nei primi otto mesi del 2013 l’andamento è però tornato ad essere particolarmente positivo registrando una crescita di quasi il 6% della spesa dei visitatori stranieri rispetto
allo stesso periodo del 2012. È però proseguita la tendenza alla diminuzione della spesa media
per visitatore che rappresenta il vero fattore critico del turismo laziale riducendo (o annullando come nel caso del 2012) l’effetto positivo della crescita del numero dei turisti.
Come già era avvenuto nel 2008-2009 anche nel 2012 alla caduta del valore aggiunto
(-2,3%) ha corrisposto una riduzione meno che proporzionale delle unità di lavoro impiegate
dal sistema (-0,9%). Di conseguenza la misurazione della “produttività unitaria”, ottenibile
suddividendo il valore aggiunto per il numero di unità di lavoro impiegate, ha fatto registrare
un calo annullando il recupero realizzato nel biennio 2010-2011 (si è prodotto, cioè, meno
valore aggiunto per unità di lavoro occupata). D’altra parte anche l’“intensità di impiego del
lavoro” (misurata dal rapporto tra unità di lavoro e occupati) si è ridotta. Questi due fattori concorrendo entrambi a ridurre il valore aggiunto per occupato contribuiscono a spiegare perché,
fino al 2012, alla riduzione del valore aggiunto non abbia fatto seguito una riduzione del numero degli occupati:
• La riduzione della produttività per unità di lavoro può essere spiegata sia da uno spostamento della distribuzione dell’impiego dell’input lavoro verso attività a minor valore aggiunto
(come sembra essere avvenuto nei servizi) sia dalla riduzione dei margini all’interno di un’attività (che sembra essere il caso delle costruzioni).
• L’abbassamento dell’intensità di impiego trae origine dal crescente ricorso agli ammortizzatori sociali (le ore di CIG autorizzate sono passate dai 15 milioni del 2008 agli 86 milioni del
2012) e dalla diffusione del “part time” (dal 2008 al 2012 gli occupati a tempo parziale
sono cresciuti di 90.000 unità mentre quelli a tempo pieno si sono ridotti di 86.000); si può
stimare che la somma delle due componenti possa aver assorbito un potenziale calo occupazionale di circa 60.000 unità che corrisponde, d’altra parte, alla riduzione delle unità di lavoro stimata dai Conti economici regionali dell’Istat (Tab. ES.5).
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Executive summary
Tab. ES.5 - Stima dell’assorbimento degli effetti occupazionali della crisi tramite diffusione del lavoro a tempo
parziale e impiego delle CIG nel Lazio (2008-2012)
Dati di riferimento
Valori stimati
Variabili
Differenza 2008-2012
Parametro di stima
Effetto in unità di lavoro
Occupati a tempo pieno
-85.884
Valore pieno
-85.884
Occupati a tempo parziale
89.753
50% del valore
44.877
Ore CIG autorizzate
70.791.053
50% delle unità virtuali
-18.445
corrispondenti all’ammontare
di ore autorizzate
Somma degli effetti stimati
-59.452
Stima dei Conti economici regionali
-60.900
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat e Inps
L’impatto del ciclo quinquennale di crisi sul valore aggiunto e il contenimento della sua trasmissione all’occupazione non sono stati comunque omogenei nei diversi settori (Tab. ES.6):
• in alcuni ambiti come l’industria, l’agricoltura e gli stessi servizi pubblici collettivi e alle famiglie si osservano incrementi del valore aggiunto per unità di lavoro ed una riduzione della sua
intensità di impiego;
• in altri settori come le costruzioni, il commercio e i servizi funzionali ciò non sembra essere
avvenuto.
Tab. ES.6 - Trasmissione della crisi produttiva alla occupazione nel Lazio (periodo 2007-2012)
Variazione
Tendenza
Variazione unità
Tendenza
Variazione
valore aggiunto
produttività
di lavoro
intensità di utilizzo
occupati
(valori % a prezzi
(valore aggiunto
(valori %)
(unità di lavoro
(valori %)
concatenati)
per unità di lavoro)
-7,7%
crescita
-14,7%
riduzione
-11,7%
Industria
-12,4%
crescita
-17,4%
riduzione
-13,0%
Costruzioni
-21,8%
riduzione
-2,0%
stabilità
-1,2%
-15,5%
riduzione
-3,0%
riduzione
0,6%
stabilità
0,4%
stabilità
0,5%
Agricoltura
per occupato)
Commercio, turismo, trasporti,
comunicazioni
Finanza, attività professionali e
immobiliari e altri servizi alle imprese 1,1%
Pubblica amministrazione, welfare,
intrattenimento e altri servizi
alle famiglie
3,5%
crescita
-1,7%
riduzione
3,2%
Totale attività economiche
-6,2%
riduzione
-3,6%
riduzione
-0,1%
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat
La stabilità del numero degli occupati nel periodo 2008-2012 non aveva comunque impedito che crescesse la numerosità sia dei disoccupati (da 182.000 a 271.000) sia – in proporzione minore – degli “inattivi disponibili a lavorare” (da 200.000 a 234.000) portando il tasso
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
di disoccupazione a salire dal 7,5% al 10,8% e quello di “mancata partecipazione al lavoro”
dal 14,6% al 18,4%. Questo fenomeno, che ha contribuito a rendere socialmente rilevanti le
conseguenze della crisi anche in assenza di riduzione del numero degli occupati, è determinato dalla crescita demografica, che ha aumentato la popolazione in età attiva anche per effetto
dei flussi migratori; dalla riduzione del reddito disponibile, che ha indotto una maggior quota
di persone a cercare lavoro o ad essere comunque disponibili a lavorare e dal turn over negli
occupati (che ha portato la quota degli ex occupati a crescere notevolmente tra le persone che
cercano lavoro).
La situazione è ulteriormente peggiorata nell’ultimo periodo quando al perdurare della spinta dal lato dell’offerta si è sovrapposta l’esplicita contrazione della domanda. Nel confronto tra
le medie dei primi tre trimestri 2012 e 2013 si riscontra infatti un calo dell’occupazione di
51.000 unità (-20.000 nelle costruzioni e -30.000 nei servizi diversi dal commercio e turismo)
cui si contrappone un incremento dei disoccupati di 55.000 unità e si aggiunge una variazione incrementale di 15.000 unità di “inattivi disponibili”: il tasso di disoccupazione nel terzo
trimestre 2013 è salito al 12,2% (contro il 10,0% dello stesso periodo del 2012) e quello di
mancata partecipazione al lavoro è passato dal 18,3% al 21,2% (Fig. ES.7).
L’aggravarsi della crisi ha indebolito anche la vitalità imprenditoriale, che ha comunque
caratterizzato il Lazio per tutto il decennio, senza però riuscire a spegnerla. Nel 2013 il flusso
di imprese iscritte è stato pari a circa 42.000 unità, lievemente superiore al valore registrato
nel 2012. La criticità del momento è però evidenziata dall’incremento delle cessazioni (non
d’ufficio) salite a quota 35.536 contro le 34.705 dell’anno precedente.
Anche sul versante delle aspettative il quadro è problematico: solo l’11,3% delle imprese
intervistate nel quarto trimestre 2013 nell’indagine congiunturale Censis-Unioncamere Lazio si
attende un miglioramento del fatturato nel trimestre successivo mentre il 36,9% ne prevede la
diminuzione. Rimane infine elevatissima, anche se in diminuzione, la percentuale di attese
negative sulle prospettive economiche del Paese condivise dai tre quarti degli intervistati.
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Executive summary
Fig ES. 7 - Andamento dei tassi percentuali di disoccupazione e mancata partecipazione al lavoro nel Lazio (2007-2013)
30,0
21,2
20,0
18,3
12,2
10,0
10,0
0,0
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - banca dati I.stat - Lavoro
Un nuovo scenario
Valutare gli effetti della seconda crisi, ancora in pieno dispiegamento, è difficile; l’insieme
degli elementi raccolti fornisce tuttavia alcune indicazioni rilevanti:
• sembra prefigurarsi, innanzitutto, un effetto quantitativo su Pil e valore aggiunto, che alla fine
del biennio 2012-2013 potrebbe risultare peggiore di quello subito nel biennio 2008-2009;
• se l’impatto prevalente della “prima” crisi era stato di tipo economico-produttivo (contrazione dei margini, crollo degli investimenti, abbassamento della produttività), gli effetti della
seconda sono largamente tracimati nel sociale (caduta dei consumi e dell’occupazione,
aumento della disoccupazione).
Prima dell’esplodere della crisi il Lazio ha vissuto una lunga stagione di progresso economico con ritmi di sviluppo superiori a quelli della media del paese. Tra il 1980 ed il 2004 – periodo per il quale si dispone di una serie storica omogenea – la variazione del Pil era sempre stata
positiva (con l’unica eccezione del 1993) e l’incidenza della regione sul Pil nazionale era cresciuta dal 9,0% ad oltre il 10,5%.
Questo trend è stato determinato da un concorso di fattori che hanno influenzato la articolata composizione della base produttiva regionale in modo tale da consentirle di mantenere
un’inerzia positiva nelle diverse fasi congiunturali:
• il continuo, ancorché disordinato, sviluppo urbanistico-demografico che ha alimentato i settori delle costruzioni, del commercio e dei servizi alle famiglie;
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• la presenza stabilizzante dell’amministrazione e dei servizi pubblici e collettivi nonché dei
saldi positivi dei flussi turistici;
• l’articolazione dei settori industriale (non solo manifatturiero) e agricolo che ha favorito l’assorbimento del declino dei grandi insediamenti e delle crisi settoriali;
• la consistente e qualificata presenza dei servizi funzionali, sia “grandi” (ICT, logistica, finanza) che più frammentati (supporto alle imprese, attività professionali e immobiliari).
Benché sia stata proprio la pluralità delle componenti a favorire la continuità del percorso
di crescita è ragionevole ritenere che nell’ultimo ventennio del secolo scorso i grandi servizi funzionali abbiano svolto un ruolo particolare, non solo quantitativo ma anche qualitativo, assicurando proiezione esterna all’economia regionale, impiego e sviluppo di professionalità qualificate, spinta all’innovazione tecnologica e organizzativa. L’analisi effettuata sembra indicare
che, anche a causa della crisi, tale ruolo sia venuto a mancare nel nuovo decennio, così come
è venuta meno l’inerzia positiva del sistema regionale nel suo complesso.
Non è facile immaginare quali possano essere i settori produttivi in grado di svolgere un
ruolo analogo nei prossimi anni e, forse, non è nemmeno opportuno pensare che si possa riprodurre uno schema del genere. Come già indicato nel precedente rapporto per imboccare la porta
stretta della ripresa è necessario il concorso di più dinamiche settoriali nessuna delle quali è
probabilmente in grado, da sola, di riattivare lo sviluppo.
La questione fondamentale è uscire da una logica (e da una mentalità) difensiva, cogliere
le tracce di vitalità che pure nel decennio si sono manifestate ed aiutarle a proiettarsi nel futuro: dalla crescita delle medie imprese, al proliferare delle attività professionali (e anche al risanamento di alcuni grandi gruppi dei servizi funzionali); dai recuperi di produttività in alcuni
ambiti del manifatturiero all’articolazione dell’industria energetica; dallo sviluppo imprenditoriale del welfare alla crescita del no profit; dalla crescita dell’export alla ritrovata attrattività
turistica.
Nel terzo e quarto trimestre del 2013 si è interrotta la serie di otto consecutivi cali congiunturali del Pil nazionale; decisamente troppo poco per essere ottimisti ma forse abbastanza per
ricominciare a pensare anche alle opportunità, oltre che alle minacce.
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1. LE TRASFORMAZIONI DEL DECENNIO
1.1. Un periodo disomogeneo
Utilizzare i dati resi disponibili dall’Istat per il confronto intercensuario delle popolazioni di
imprese e addetti è un esercizio rischioso ma utile.
Rischioso perché il decennio che separa il 2001 dal 2011 non è certo un decennio omogeneo essendo drammaticamente segnato dalla soluzione di continuità rappresentata dalla crisi
iniziata nel 2008. Il valore aggiunto regionale a “prezzi concatenati” risulta infatti essere cresciuto di dodici punti percentuali tra il 2001 ed il 2007 (contro una più modesta crescita di
sette punti a livello nazionale) per poi ridursi di cinque punti nel successivo quadriennio 20072011. La comparazione dei valori relativi ai due estremi del periodo non può dar conto di questa dinamica ma ne esprime solo l’esito finale, assorbendo sia gli effetti della crescita della
prima parte sia quelli del calo degli ultimi anni.
Tuttavia, il confronto è comunque utile perché consente di verificare quali siano state le
modificazioni di medio periodo degli equilibri territoriali e settoriali, sempre tenendo conto che
le variazioni riscontrabili non possono essere univocamente interpretate in termini di un trend
omogeneo ma sono il frutto della sovrapposizione di fasi economiche diverse. Questo non esclude che vi siano processi strutturali sviluppatisi in modo continuo, magari con accentuazioni
diverse nelle due fasi, ma richiede un supplemento di attenzione nel verificarli.
Il punto fondamentale è che pur essendo l’economia del Lazio del 2011 “quantitativamente” non molto più ampia di quella del 2001 (la variazione del valore aggiunto è comunque del
6,7%) la sua capacita di creare reddito si basa su una struttura imprenditoriale e produttiva
che si è “qualitativamente” modificata e, presumibilmente, continuerà a cambiare nei prossimi anni.
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1.2. Lo scenario nazionale
Il particolare impatto della crisi appare evidente se si confrontano le variazioni intercensuarie nazionali 2001-2011 con quelle relative ai censimenti precedenti: il numero delle imprese
dell’industria e dei servizi in Italia è cresciuto nell’ultimo decennio dell’8,4% mentre nel periodo 1991-2001 (pur segnato dalla crisi del ’92-’93) l’incremento era stato del 23,7%. Lo stesso vale per il numero di addetti alle imprese aumentati del 4,3% contro una crescita del 7,8%
del decennio precedente. La riduzione del ritmo di espansione della base produttiva appare
ancora più rilevante se lo si misura in rapporto alla popolazione. L’ultimo decennio, contrariamente a quanto era avvenuto nei due precedenti, è stato caratterizzato da un rilevante aumento della popolazione residente cresciuta di oltre il 4%, conseguentemente:
• il numero di imprese per ogni 100 residenti, che era costantemente cresciuto passando da
4,1 nel 1971 a 7,2 del 2001, è aumentato solo marginalmente raggiungendo nel 2011 il
valore di 7,4;
• l’incidenza degli addetti alle imprese sulla popolazione, che erano saliti da 20,5 a 27,6 ogni
100 residenti nel trentennio precedente, sono rimasti – per la prima volta dal dopoguerra –
stazionari (Fig. 1.1).
La modesta crescita del numero di addetti alle imprese dell’industria e dei servizi (da 15,7
a 16,4 milioni) appare ancor più limitata se si considera che nello stesso periodo il numero di
addetti alle istituzioni pubbliche si è ridotto da 3,2 a 2,8 milioni (-11,5%), in parte anche per
la trasformazione di alcune di esse in aziende. La crescita, importante in termini relativi ma
modesta in termini assoluti (da 489.000 a 681.000) degli addetti alle istituzioni no-profit riequilibra solo parzialmente la contrazione del settore pubblico. Nel complesso l’incremento del
numero di addetti alle diverse forme di attività (imprese, istituzioni pubbliche e istituzioni non
profit) risulta in un decennio estremamente contenuto (da 19,4 a 19,9 milioni di unità) con
una variazione del 2,8% che è inferiore alla contestuale variazione della popolazione.
Considerando dunque l’insieme delle attività economiche, ad eccezione dell’agricoltura e delle
forze militari e di polizia, è la quota complessiva di popolazione coinvolta che risulta in calo.
I confronti intercensuari mettono anche in luce le variazioni di medio periodo della composizione settoriale e dimensionale dell’universo delle imprese che sintetizzano l’evoluzione produttiva del paese.
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CAPITOLO I - Le trasformazioni del decennio
Fig. 1.1 - Imprese e addetti industria e servizi su popolazione residente in Italia (1971-2011)
7,2
7,4
40,0
5,8
30,0
Imprese per 100 residenti
6,0
5,0
27,6
4,1
27,6
25,7
23,0
4,0
20,0
20,5
10,0
2,0
Addetti alle imprese per 100 residenti
8,0
0,0
0,0
1971*
1981
1991
IMPRESE x 100 residenti (scala SX)
2001
2011
ADDETTI x100 residenti (scala DX)
* campo di osservazione significativamente ridotto
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - Confronti intercensuari
Il nuovo confronto intercensuario evidenzia l’accentuarsi della strutturale dinamica di deindustrializzazione che ha caratterizzato l’Italia a partire dagli anni ’80. Gli addetti alle imprese
manifatturiere, che avevano raggiunto il massimo livello nel 1981 (5,9 milioni di unità) per
calare a 5,3 nel 1991 e poi a 4,9 milioni nel 2001, sono scesi sotto i 3,9 milioni di unità nel
2011; la contrazione dell’ultimo decennio è dunque dello stesso ordine di grandezza (un milione di unità) di quella verificatasi nel ventennio precedente. In termini percentuali la riduzione
è del 19,1%, e quindi molto più ampia di quella verificatasi negli anni ’80 (-10%) e ’90 (-7%).
A fronte della contrazione dell’occupazione nelle imprese manifatturiere il resto delle imprese industriali (comprese le costruzioni) ha mantenuto una sostanziale stabilità complessiva
(intorno a 1,9 milioni di unità) mentre le imprese dei servizi presentano una crescita del numero degli addetti da circa 9,0 milioni a quasi 10,6. In termini percentuali l’incremento è del
17,6%, una proporzione molto simile a quella che emerge dai confronti intercensuari omogenei dei periodi 1991-2001 (+17,8%), 1971-1981 (+16,8%) e 1961-1971 (+18,4%), ma non
più ampia della metà della crescita che emerge dal confronto intercensuario relativo agli anni
’80 (+33,9%), periodo di massimo dinamismo dei servizi.
Il saldo positivo dell’ultimo decennio ha, tuttavia, una composizione abbastanza diversa da
quella osservabile con riferimento al periodo precedente (Tab. 1.2):
• le attività commerciali e quelle dei servizi di alloggio e ristorazione sono tornate a crescere
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
(+18,4%) dopo la staticità del decennio precedente (+0,6%);
• l’ampio insieme dei servizi “funzionali” (nel quale possono essere compresi le attività finanziarie
e assicurative, i servizi di trasporto e comunicazione, le attività professionali, i servizi di supporto alle imprese e le attività immobiliari) presentano un saldo attivo del 14,9% decisamente inferiore al 40,7% del decennio precedente (per non dire dello straordinario +90% degli anni ’80);
• i servizi collettivi e gli altri servizi crescono di un consistente 26,4% superiore al 22,0% attribuibile ad un aggregato simile nel decennio 1991-2001.
Il risultato del primo aggregato di attività è frutto soprattutto del settore “alloggio e ristorazione” che presenta un saldo positivo di quasi 58.000 imprese e 370.000 addetti mentre in
quelle commerciali si manifesta una debole crescita degli addetti e una riduzione del numero
delle imprese. A determinarlo hanno concorso, dunque, soprattutto alcuni trend “sovra ciclici”,
come quello della crescita del movimento turistico e della modifica degli stili e comportamenti di vita, che sono stati solo temporaneamente intaccati dalla crisi che ha invece colpito, in
modo più consistente, le attività commerciali, sovrapponendosi ai fenomeni di ristrutturazione
delle reti che già in precedenza avevano inciso sulle piccole imprese (la dimensione media delle
imprese è comunque cresciuta in tutti i settori compresi in questo ambito passando, nel complesso, da 2,7 a 3,2 addetti per impresa).
Nel secondo ambito sono compresi i servizi funzionali in senso lato: “professionali” (legali,
tecnici, consulenziali, etc.), “logistici” (trasporti, magazzinaggio, postali), “operativi” (pulizie,
guardiania, gestione di edifici e ambiente, etc.), “economici” (finanziari e assicurativi), e “tecnologici” (informazione e comunicazione) nonché, per accrescere la comparabilità con le classificazioni precedenti, le attività immobiliari. Si tratta di attività che, seppure in misura diversa, sono rivolte in modo consistente alla domanda che proviene da imprese e istituzioni e
comunque tese ad assicurare fluidità alle relazioni produttive e sociali. L’ambito nel suo complesso è caratterizzato da un notevole saldo positivo in termini di numero delle imprese (quasi
286.000 in più corrispondenti ad una variazione di oltre il 26%) e da uno relativamente meno
ampio ma comunque rilevante in termini di addetti (+615.000, con una variazione di quasi il
15% che porta il totale poco sopra i 4,7 milioni di unità).
La crescita del numero delle imprese è fortemente concentrata nel settore dei servizi professionali dove le aziende, già numerosissime, crescono in un decennio da 525.000 a quasi
700.000, trascinando un incremento del numero degli addetti da poco più di 940.000 a poco
meno di 1.180.000. Altrettanto significativa la moltiplicazione delle imprese nelle attività
immobiliari (da 137.000 a 228.000) accompagnata da una crescita del numero degli addetti
da 211.000 a 281.000. Si tratta, come è evidente, di settori fortemente molecolarizzati, con
un’ampia prevalenza di attività economiche personali (la dimensione media delle imprese scende da 1,8 a 1,7 addetti nei servizi professionali e da 1,5 a 1,2 nelle attività immobiliari). Meno
ampio dal punto di vista del numero delle imprese ma addirittura più consistente da quello del
numero di addetti sono i saldi dei servizi “operativi” che portano il settore a superare il milione di occupati (con una crescita della dimensione media di impresa da 6,8 a 7,3 addetti).
20
819.880
Totale altri servizi
17,8%
9.025.581
22,0%
1.000.064
569.574
381.148
49.342
40,7%
4.027.067
* Le classificazioni in settori dei due confronti non sono identiche
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - Confronti intercensuari e Istat - CensStat
Var. %
Totale servizi
7.658.564
476.776
Altri servizi pubblici, sociali e personali
Var. %
279.755
Sanità e altri servizi sociali
Istruzione
63.349
2.862.639
Totale servizi funzionali
1.198.824
2.237.976
590.267
Var. %
Totale servizi
Var. %
Totale altri servizi
Altre attività di servizi
di intrattenimento e divertimento
Attività artistiche, sportive,
Sanità e assistenza sociale
Istruzione
Var. %
Totale servizi funzionali
Servizi di informazione e comunicazione
Trasporto e magazzinaggio
8.990.882
927.980
376.802
119.225
370.565
61.388
4.123.305
559.327
1.053.655
764.748
servizi di supporto alle imprese
211.204
Noleggio, agenzie di viaggio,
942.884
591.487
Attività immobiliari
Attività professionali, scientifiche e tecniche
Attività finanziarie e assicurative
Var. %
17,6%
10.574.642
26,4%
1.173.291
422.387
157.139
518.940
74.825
4,9%
4.738.305
538.970
1.093.953
1.048.833
281.245
1.177.970
597.334
18,4%
4.663.046
3.442.517
1.220.529
Addetti 2011
11:24
Var. %
1.131.915
1.157.454
573.270
0,6%
3.939.597
3.088.923
850.674
Addetti 2001
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Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni
professionali ed imprenditoriali
Attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca,
Intermediazione monetaria e finanziaria
Var. %
3.998.450
Totale attività commerciali e turistiche
3.976.045
Commercio all’ingrosso e al dettaglio
Attività dei servizi di alloggio e di ristorazione
Settori di attività*
Totale attività commerciali e turistiche
3.147.776
850.674
Addetti 2001
riparazione di autoveicoli e motocicli
3.250.564
725.481
Addetti 1991
Confronto 2001-2011
riparazione di auto, moto e beni personali
Commercio ingrosso e dettaglio;
Alberghi e ristoranti
Settori di attività*
Confronto 1991-2001
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CAPITOLO I - Le trasformazioni del decennio
Tab. 1.2 - Evoluzione intercensuaria degli addetti alle imprese dei servizi per settori in Italia (1991-2001, 2001-2011)
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
Decisamente meno consistenti i saldi rilevati negli altri grandi settori funzionali dove si evidenziano il calo del numero delle imprese nei servizi logistici, la riduzione del numero degli
addetti in quelli “tecnologici” ed una modesta crescita del numero delle imprese (a fronte della
stazionarietà del numero di addetti) nelle attività finanziarie e assicurative.
Tra i settori compresi nell’ambito residuale colpisce il saldo positivo, molto elevato in termini percentuali, delle imprese operanti nei servizi collettivi e dei relativi addetti (soprattutto se
paragonato alla riduzione nelle medesime attività rilevato nelle istituzioni pubbliche). Si è cioè
in presenza di un processo di “depubblicizzazione” dei servizi collettivi, o meglio di una pluralità di processi diversi che convergono comunque nell’accrescere lo spazio imprenditoriale, in
particolare nel welfare, sia in termini di numero di aziende (da circa 190.000 a circa 270.000)
che di addetti (da 430.000 ad oltre 590.000).
L’accentuarsi del declino dell’occupazione manifatturiera e la sostanziale stasi dei “grandi” servizi funzionali (finanza, comunicazione e logistica) rilanciano un’immagine di ripiegamento dell’economia produttiva italiana nelle sue componenti tradizionalmente considerate di maggiore portanza
strategica, perché effettivamente (nel caso manifatturiero) o potenzialmente (nel caso dei grandi servizi) maggiormente orientate all’esportazione e più favorevoli allo sviluppo di imprese strutturate.
D’altra parte la reattività dimostrata da una serie di settori diffusi (dalle attività turistiche ai
servizi professionali, ai servizi di supporto alle imprese) indica la persistenza di una capacità di
generare, ancorché in forma molecolare, un’offerta in grado di reagire rapidamente alle nuove
dimensioni della domanda.
1.3. Il confronto nel Lazio
Il primo dato che, ai fini di questo studio, appare importante è che in un contesto di crescita limitata il Lazio è la regione italiana che presenta il più elevato incremento del numero delle
imprese nel decennio trascorso: erano 359.000 nel 2001 sono diventate 426.000 nel 2011.
La differenza di quasi 67.000 unità non solo si traduce nella più elevata crescita percentuale (+18,7% contro il +8,4% della media nazionale) ma costituisce la più elevata variazione
assoluta (in Lombardia il saldo positivo supera di poco le 60.000 unità). La quota di imprese
italiane che hanno sede nel Lazio è di conseguenza passata dall’8,8% al 9,6% (Tab. 1.3).
Questo dato è fortemente influenzato dalla presenza di 32.000 imprese senza addetti (il
7,6% contro una media nazionale del 4,6%), un dato non rilevato con riferimento al 2001 e
da cui origina circa la metà dell’incremento del numero delle aziende (si tratta di società di
capitale senza addetti computate, contrariamente a quanto previsto nel censimento 2001, in
coerenza con le nuove classificazioni internazionali). Va osservato, tuttavia che se si esclude
questa categoria dal confronto la percentuale di crescita intercensuaria delle imprese nel Lazio
si riduce notevolmente (dal 18,7% al 9,7%) ma rimane comunque significativo lo scarto rispetto al valore nazionale che scende dall’8,4% al 3,3%; a platee omogenee, dunque, il saldo laziale è proporzionalmente tre volte quello nazionale.
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CAPITOLO I - Le trasformazioni del decennio
Tab. 1.3 - La numerosità delle imprese nelle regioni italiane (2001-2011)
Numero Imprese
2001
2011
Differenza
Variazione
2001-2011
2001-2011
v.a.
Quota % su Italia
v.a.
Quota % su Italia
v.a.
%
751.631
18,4
811.666
18,3
60.035
8,0%
358.785
8,8
425.730
9,6
66.945
18,7%
Veneto
376.281
9,2
403.169
9,1
26.888
7,1%
Emilia-Romagna
361.578
8,9
370.259
8,4
8.681
2,4%
Campania
298.355
7,3
337.775
7,6
39.420
13,2%
Piemonte
329.958
8,1
336.338
7,6
6.380
1,9%
Toscana
313.020
7,7
330.917
7,5
17.897
5,7%
Sicilia
246.704
6,0
271.714
6,1
25.010
10,1%
Puglia
224.895
5,5
252.203
5,7
27.308
12,1%
Marche
122.355
3,0
131.386
3,0
9.031
7,4%
Liguria
124.787
3,1
128.664
2,9
3.877
3,1%
Calabria
98.797
2,4
109.987
2,5
11.190
11,3%
Sardegna
95.822
2,3
107.581
2,4
11.759
12,3%
Abruzzo
89.220
2,2
100.784
2,3
11.564
13,0%
Friuli-Venezia Giulia
86.650
2,1
86.773
2,0
123
0,1%
Trentino Alto Adige
77.110
1,9
83.319
1,9
6.209
8,1%
Umbria
64.368
1,6
69.332
1,6
4.964
7,7%
Basilicata
33.086
0,8
35.101
0,8
2.015
6,1%
Molise
19.462
0,5
21.420
0,5
1.958
10,1%
Lombardia
Lazio
Valle d’Aosta
Italia
11.102
0,3
11.832
0,3
730
6,6%
4.083.966
100,0
4.425.950
100,0
341.984
8,4%
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - CensStat
Allungando nel tempo la serie storica dei confronti intercensuari, si coglie la dimensione di
un trend di lungo periodo: trenta anni fa, nel 1981, le imprese laziali non arrivavano a
200.000, meno della metà di quante sono oggi, ed il peso sul totale nazionale (6,8%) era di
quasi tre punti inferiore a quello attuale.
Per quanto possano essere stati duri gli ultimi anni, dunque, la crescita registrata fino
all’esplosione della crisi ha aumentato significativamente il peso imprenditoriale della regione,
facendola risalire dal quarto al secondo posto (ai danni di Veneto ed Emilia Romagna) nella graduatoria per numero di imprese attive. Certo, come testimoniano i datti tratti dall’archivio ASIA,
la crescita più significativa (ed il relativo “sorpasso”) sono avvenuti nella prima metà del decennio, quando il Lazio aveva un ritmo di crescita economica più elevato di quello di gran parte
delle altre regioni, ma la maggiore (o meno peggiore) vitalità imprenditoriale è, in qualche
modo, proseguita negli anni successivi (Fig. 1.4).
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
Fig. 1.4 - Crescita del numero delle imprese in Lazio, Veneto ed Emilia Romagna (2001-2006-2011)
450.000
425.730
409.346
398.816
400.000
403.169
382.215
376.281
370.259
361.578
358.785
350.000
300.000
2001
2006*
Lazio
Veneto
2011
Emilia-Romagna
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat (censimenti e *archivio Asia per il 2006)
Anche se si considera la variabile degli addetti afferenti le imprese aventi sede centrale nella
regione (che non necessariamente operano in unità locali ubicate nel territorio) il saldo positivo laziale è significativo: si passa infatti da 1,623 a 1,846 milioni con una crescita di 200.000
unità che è in termini assoluti di gran lunga la più consistente tra le regioni italiane e tale da
coprire da sola poco meno dei tre decimi del saldo complessivo nazionale (circa 711.000
unità). In termini di variazione percentuale la crescita del Lazio è pari al 12,5%, preceduta
dalle variazioni registrate in Calabria, Trentino, Sicilia e Liguria, tutte regioni di minori dimensioni o che, come nel caso della Sicilia, partivano da livelli decisamente più bassi.
Il numero delle imprese e degli addetti ad esse relativi esprime il peso “imprenditoriale” di
un territorio: l’ampiezza e la consistenza delle imprese che in esso localizzano il proprio centro
di attività (o quantomeno quella che formalmente viene indicata come sede centrale). Il peso
“produttivo” è, invece, più correttamente espresso dalle unità locali delle imprese dell’industria
e dei servizi effettivamente ubicate in quel territorio e soprattutto dai relativi addetti. Le grandezze censuarie relative agli addetti delle imprese e delle unità locali coincidono, evidentemente, solo a livello nazionale mentre sono diverse a scala inferiore.
Nel caso del Lazio (soprattutto in virtù della presenza di grandi aziende e gruppi di carattere nazionale operanti nei servizi postali e di trasporto, nell’industria energetica, nelle comunicazioni, e nei servizi finanziari) il numero di addetti riconducibili alle imprese è strutturalmente più elevato (quasi il 20% in più) di quello degli addetti effettivamente operanti nelle unità
locali della regione. Certamente vi sono anche ambiti come quello dell’industria manifatturie24
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CAPITOLO I - Le trasformazioni del decennio
ra e quello (meno scontato) del commercio in cui accade il contrario, essendo il Lazio territorio di localizzazione di unità locali di imprese aventi sede centrale altrove, ma, in “linea generale”, la presenza della polarità direzionale dell’area metropolitana della Capitale (che rende la
regione un’“esportatrice” di servizi direzionali centrali) determina un surplus di addetti alle
imprese.
Anche dal punto di vista più strettamente produttivo, comunque, il risultato netto del turbolento decennio trascorso è per il Lazio un saldo positivo proporzionalmente assai più consistente di quello medio nazionale: gli addetti alle unità locali ubicate nella regione sono infatti
cresciuti di 213.148 unità passando da 1,331 a 1,544 milioni con un incremento del 16,0%
decisamente superiore al 4,5% registrato a livello nazionale. Peraltro tale saldo risulta, sia in
termini assoluti che in valore percentuale, superiore a quello registrato per gli addetti alle
imprese (Tab. 1.5).
Tab. 1.5 - Confronto intercensuario di imprese, unità locali e relativi addetti nel Lazio e nel resto d’Italia (2001-2011)
Numero Imprese
2001
2011
Differenza
Variazione
2001-2011
2001-2011
v.a.
Quota % su Italia
v.a.
Quota % su Italia
v.a.
%
358.785
8,8%
425.730
9,6%
66.945
18,7%
1.623.141
10,3%
1.826.304
11,1%
203.163
12,5%
381.040
8,7%
454.180
9,5%
73.140
19,2%
1.331.076
8,5%
1.544.224
9,4%
213.148
16,0%
3.725.181
91,2%
4.000.220
90,4%
275.039
7,4%
14.089.767
89,7%
14.597.782
88,9%
508.015
3,6%
4.022.391
91,3%
4.321.676
90,5%
299.285
7,4%
14.381.832
91,5%
14.879.862
90,6%
498.030
3,5%
4.083.966
100,0%
4.425.950
100,0%
341.984
8,4%
15.712.908
100,0%
16.424.086
100,0%
711.178
4,5%
4.403.431
100,0%
4.775.856
100,0%
372.425
8,5%
15.712.908
100,0%
16.424.086
100,0%
711.178
4,5%
Lazio
Imprese
Addetti alle imprese
Unità locali
Addetti alle unità locali
Resto d’Italia
Imprese
Addetti alle imprese
Unità locali
Addetti alle unità locali
Totale Italia
Imprese
Addetti alle imprese
Unità locali
Addetti alle unità locali
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - CensStat
1.4. Dimensione e forma giuridica delle imprese
Alle 425.730 imprese localizzate nel Lazio al censimento 2011 afferiscono, come si è visto,
1.826.304 addetti; la dimensione media è dunque di 4,29 addetti per impresa, in calo rispetto ai 4,52 del 2001 ma comunque superiore alla media nazionale di 3,71 (anche essa in calo
rispetto al 2001). Escludendo le imprese senza addetti la dimensione media delle imprese
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
risulta sostanzialmente stabile a livello nazionale (passa da 3,85 a 3,89) ed in lieve crescita
nel Lazio (da 4,52 a 4,64).
Ai fini dell’analisi dell’universo imprenditoriale presente nella regione e delle sue evoluzioni è utile una suddivisione semplificata in tre macro gruppi dimensionali (oltre alle imprese
senza addetti) (Tab. 1.6):
• il primo è composto dalle imprese con uno o due addetti, che possono essere considerate
essenzialmente “attività economiche personali” cioè forme di autorganizzazione del lavoro;
• il secondo comprende le imprese micro, piccole e medie con numero di addetti compresi tra
le 3 e le 249 unità, che rappresentano il cuore del tessuto imprenditoriale locale;
• del terzo gruppo fanno parte le grandi e mega imprese con oltre 250 addetti, spesso operanti in modo consistente anche al di fuori del territorio regionale.
Le oltre 300.000 attività economiche personali coprono circa un quinto del totale regionale
degli addetti all’industria ed ai servizi; la loro numerosità risulta cresciuta del 6,3% cioè un po’
meno della media complessiva regionale ma più che a livello nazionale, dove la crescita è stata
limitata all’1,9%. L’universo imprenditoriale e produttivo laziale continua cioè ad essere caratterizzato da una presenza consistente delle attività economiche individuali che se per un verso
rappresentano una forma “primaria” di organizzazione della produzione (cui la stessa definizione classica di impresa si applica con fatica) per l’altro costituiscono una testimonianza di un’intraprendenza individuale (voluta o obbligata) che permea il tessuto sociale del territorio.
Ovviamente imprenditori individuali, liberi professionisti e lavoratori autonomi costituiscono
la larghissima maggioranza delle attività economiche personali raggiungendo, nel 2011, le
207.410 unità tra le imprese mono addetto (con un incremento di oltre 26.000 rispetto al
2001). A queste si aggiungono quasi 29.000 attività con due addetti con analoga forma giuridica il che porta il totale oltre le 236.000. Tra le restanti 70.000 attività economiche con uno
o due addetti presenti nel Lazio c’è una consistente presenza di SRL (quasi 39.000, sostanzialmente stabili rispetto al 2001) e di varie forme di società di persone (poco meno di 30.000
in calo rispetto alle oltre 35.000 del 2011). Come prevedibile molto limitata (400 unità) risulta la presenza di società per azioni.
I due terzi delle imprese con uno o due addetti sono concentrate in quattro sezioni statistiche di attività che presentano però dinamiche diverse:
• nelle “attività professionali” (dove se ne contano 67.941, l’88% del totale) e nella “sanità e
assistenza sociale” (dove sono 28.706, il 90% del totale) costituiscono una modalità in forte
crescita che contribuisce fortemente all’incremento complessivo dei settori;
• nel “commercio” (dove sono 78.296 imprese, il 74% del totale) e nelle costruzioni (dove se
ne contano 29.609 il 62% del totale) rappresentano invece una modalità in tendenziale
declino, anche se ancora fortemente diffusa.
Le 402 grandi e mega imprese con oltre 250 addetti, che si collocano all’altro estremo della
scala dimensionale, hanno ovviamente un notevole peso in termini di addetti (711.000 corrispondenti ai due quinti del totale riconducibile alle imprese del Lazio).
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0
4.083.966
4.083.966
3.272
548
2.724
971.092
20.589
182.271
768.232
3.109.602
714.669
2.394.933
358.785
358.785
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - CensStat
Totale imprese censite
Senza addetti
Totale con addetti
250 e più
1000 e più
Totale grandi e mega
Mega Imprese
3-249
250-999
Grandi imprese
Totale micro, piccole e medie
10-49
50-249
Medie imprese
Micro imprese
Piccole imprese
1-2
3-9
Tot. attività economiche personali
1
2
Attività con due addetti
0
Attività monoaddetto
Italia
Totale imprese censite
Senza addetti
78
344
136.755
196
72
124
78.887
249
4.743
73.895
57.672
-24.895
82.567
66.945
32.306
34.639
58
7
51
16.395
406
3.508
12.481
18.186
-212
18.398
4.425.950 341.984
205.229 205.229
4.220.721
3.468
620
2.848
1.049.979
20.838
187.014
842.127
3.167.274
689.774
2.477.500
425.730
32.306
393.424
402
85
317
85.638
1.830
14.719
69.089
307.384
57.562
249.822
8,4
3,3
6,0
13,1
4,6
8,1
1,2
2,6
9,6
1,9
-3,5
3,4
18,7
9,7
16,9
9,0
19,2
23,7
28,5
31,3
22,0
6,3
-0,4
7,9
Var. %
2001-2011
15.712.908
3.172.422
1.971.674
1.200.748
8.716.215
1.972.367
3.271.929
3.471.919
3.824.271
1.429.338
2.394.933
1.623.141
682.744
559.220
123.524
593.425
142.611
199.501
251.313
346.972
115.548
231.424
valore
assoluto
2001
16.424.086
3.385.059
2.114.244
1.270.815
9.181.979
2.013.721
3.326.109
3.842.149
3.857.048
1.379.548
2.477.500
1.826.304
711.030
569.404
141.626
750.328
178.767
257.631
313.930
364.946
115.124
249.822
711.178
212.637
142.570
70.067
465.764
41.354
54.180
370.230
32.777
-49.790
82.567
203.163
28.286
10.184
18.102
156.903
36.156
58.130
62.617
17.974
-424
18.398
Addetti
differenza
2001-2011
valore
valore
assoluto
assoluto
2011
4,5
6,7
7,2
5,8
5,3
2,1
1,7
10,7
0,9
-3,5
3,4
12,5
4,1
1,8
14,7
26,4
25,4
29,1
24,9
5,2
-0,4
7,9
Var. %
2001-2011
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Totale con addetti
250 e più
1000 e più
266
69.243
1.424
11.211
56.608
289.198
57.774
231.424
valore
assoluto
Imprese
differenza
2001-2011
valore
valore
assoluto
assoluto
2011
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Totale grandi e mega
Mega Imprese
3-249
250-999
Grandi imprese
Totale micro, piccole e medie
10-49
50-249
Medie imprese
Micro imprese
Piccole imprese
1-2
3-9
Tot. attività economiche personali
1
2
Attività con due addetti
Fascia di
addetti
Attività monoaddetto
Lazio
“Classi” di imprese
2001
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CAPITOLO I - Le trasformazioni del decennio
Tab. 1.6 - Confronto intercensuario del numero delle imprese e degli addetti per dimensione delle imprese nel
Lazio e in Italia (2001-2011)
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
Il confronto con i dati del 2001 fa emergere che:
• il numero complessivo di quelle aventi sede centrale nel Lazio è cresciuto in misura non marginale salendo da 344 a 402;
• gli addetti riferibili ad imprese di tale dimensioni sono però cresciuti in proporzione assai più
contenuta (+4,1%) passando da poco meno di 683.000 a poco più di 711.000;
• il ruolo direzionale del Lazio nell’economia nazionale è rimasto sostanzialmente invariato: la
quota di grandi imprese ospitate è leggermente cresciuta (dal 10,5% all’11,6% del totale
nazionale) mentre il loro peso in termini di addetti si è lievemente ridotto (dal 21,5% al
21,0%) rimanendo comunque molto elevato grazie alla presenza delle più grandi tra le mega
imprese.
La maggioranza è costituita in forma di società per azioni (248, pari al 62% del totale in
linea con la media nazionale), 103 sono le SRL e 40 le imprese cooperative. Anche in questo
caso la presenza (e la dimensione specifica) delle mega imprese (68 su 85 delle quali hanno
forma giuridica di SpA) fa si che in termini di addetti la quota delle società per azioni tra le
grandi imprese raggiunga nel Lazio l’86,8% contro il 71,7% della media nazionale.
L’articolazione settoriale della platea delle grandi imprese laziali risulta però fortemente
modificata. Vi sono tre settori che presentano una tendenziale contrazione:
• nel settore manifatturiero diminuisce sia la numerosità delle grandi aziende (da 60 a 52) sia,
in modo molto più marcato, la quantità di addetti ad esse riferibili che quasi si dimezzano
(da 73.321 a 39.616);
• nel settore energetico, nonostante l’incremento di una unità nel numero delle imprese, l’ammontare degli addetti ad esse afferenti si riduce in misura simile all’industria manifatturiera
(scendono da 61.867 a 37.791);
• il comparto logistico e postale ha vissuto evidentemente un decennio di riconfigurazione
societaria e produttiva se è vero che a fronte di un incremento del numero delle grandi imprese (da 31 a 47) i relativi addetti sono scesi da 327.870 a 276.724 (rimanendo comunque
la presenza regionale più significativa).
All’opposto vi sono tre settori dove la consistenza delle grandi imprese è cresciuta:
• nei “servizi di informazione e comunicazione” pur in presenza di una riduzione della numerosità delle aziende (da 59 a 48) l’ammontare di addetti è quasi raddoppiato passando da
56.087 a 111.253 (essenzialmente in virtù della diversa attribuzione “geografica” di qualche mega impresa);
• nelle “attività finanziarie e assicurative” le imprese si sono ridotte da 28 a 25 ma la loro consistenza è salita da 55.805 a 82.519 addetti;
• infine i “servizi di supporto alle imprese” fanno segnare una crescita sia in termini di numero
delle grandi imprese (da 61 a 98) sia in termini di consistenza (da 43.046 a 73.392 addetti).
In particolare le mega imprese con più di 1.000 addetti aventi sede nel Lazio sono passate
dalle 78 rilevate nel censimento 2001 alle 85 del censimento 2011. Queste coprono il 26,9%
del totale ascrivibile alle 620 mega imprese censite in Italia confermando, seppure con un lieve
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CAPITOLO I - Le trasformazioni del decennio
ribasso, il ruolo di luogo di concentrazione delle imprese di maggiori dimensione svolto da
Roma (che ne ospita 81 per 563.777 addetti contro le 157 per 509.645 addetti di Milano).
I dati territoriali riferiti a entità di queste dimensioni e complessità vanno sempre valutati
con attenzione; è sufficiente, infatti, il cambio della sede principale di una grande azienda per
modificarli sensibilmente, così come possono incidere operazione di scorporo o di fusione infragruppo. Resta tuttavia il fatto che il panorama delle mega imprese laziali, al di là della apparente staticità dei numeri complessivi, appare alla fine del decennio in qualche modo più articolato di quanto non lo fosse all’inizio.
In mezzo tra le centinaia di migliaia imprese con uno o due addetti e le poche centinaia di
grandi o mega imprese stanno le decine di migliaia di micro, piccole e medie imprese laziali con
addetti compresi tra le 3 e le 249 unità. Indipendentemente dalla forma giuridica e dal settore
di attività si tratta di imprese nel senso pieno del termine, cioè di luoghi in cui la capacità
imprenditoriale cerca di combinare la disponibilità dei fattori per ottenere la produzione di beni
o servizi in una gamma dimensionale dove la complessità gestionale è comunque presente ma
non tale da impedire alla proprietà o al management una complessiva visione delle attività.
Le imprese del Lazio comprese in questo ampio livello intermedio erano 69.243 (di cui
12.635 con più di nove addetti) al censimento 2001 e risultano essere 85.638 (di cui 16.549
con più di nove addetti) al censimento 2011. Il loro numero è dunque cresciuto di quasi un
quarto (23,7%) e gli addetti ad esse riferibili sono passati da 593.425 a 750.328 con una crescita di quasi 157.000 unità corrispondente al 26,4% che fa si che nel 2011 l’ammontare
degli addetti riferibili alle imprese della fascia dimensionale intermedia abbia superato quello
delle grandi imprese. Confrontando queste variazioni con quelle nazionali si coglie immediatamente che in questa fascia si è manifestato il saldo positivo che consente alla regione di uscire meglio delle altre dal confronto intercensuario. Su scala italiana, infatti, la variazione risulta molto più contenuta sia in termini di numero delle imprese (+8,1%) che in termini di addetti (+5,3%). È dunque la dimensione intermedia che nel Lazio ha viaggiato ad un ritmo superiore nella prima metà del decennio e che, in qualche modo, ha cercato di contenere l’impatto
della crisi nella seconda metà.
Questo segmento centrale dell’universo imprenditoriale è caratterizzato dalla crescente presenza delle società a responsabilità limitata: erano 25.224 su 69.243 (il 36,4%) nel 2001 e
risultano essere 39.224 su 85.638 (il 45,8%) nel 2011. Praticamente il saldo positivo di questa fascia si concentra in questa tipologia giuridica che ha nel Lazio un peso relativo decisamente superiore alla media nazionale (la percentuale di SRL tra le imprese di fascia intermedia non supera nel totale italiano il 32%) cui corrisponde una incidenza significativamente più
limitata delle società di persone (meno di 20.000 corrispondenti al 23% nel Lazio contro le
oltre 350.000 corrispondenti al 33% a livello nazionale). Inferiore alla media nazionale anche
la quota di forme giuridiche personali (24% contro 29%). In particolare nel Lazio sono estremamente limitati i casi di imprese professionali che superano i 10 addetti (759 di cui uno solo
sopra i 50 contro i quasi 16.000 – di cui 100 sopra i 50 – del totale nazionale). La frequenza
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
delle società per azioni di fascia intermedia (quasi 2.000 unità) è, invece, sostanzialmente in
linea con la media nazionale.
Se nel complesso il peso in termini di addetti della fascia intermedia è del 41% vi sono settori come le industrie manifatturiere o le costruzioni, le attività commerciali e quelle di alloggio e ristorazione, dove sale notevolmente avvicinandosi, o superando, i due terzi del totale. Nei
comparti dei servizi (finanziari, logistici e tecnologici) dove è particolarmente elevato il ruolo
delle grandi imprese la presenza delle medie è più contenuta.
Nel complesso, dal punto di vista della forma giuridica assunta dalle imprese, il decennio 20012011 vede manifestarsi un’ulteriore concentrazione verso le tipologie già prevalenti (Tab. 1.7):
• imprenditori individuali, liberi professionisti e lavoratori autonomi aumentano nel Lazio da
228.171 a 257.186 unità, con una crescita del 12,7% peraltro significativamente superiore a quella nazionale del 4,7%;
• le società a responsabilità limitata censite aumentano in proporzione ancora maggiore (da
64.735 a 106.268), cioè del 64,2% contro un incremento nazionale del 55,3%; questo dato
è tuttavia influenzato dall’inserimento delle società senza addetti (nel Lazio 28.000 su
32.000 sono SRL) al netto delle quali il tasso di crescita si riduce al 20% (13.451 imprese
in più) in linea con quello nazionale ma comunque superiore a quello delle altre forme;
• al netto dell’impatto delle imprese senza addetti, tutte le altre tipologie di forma giuridica si
riducono: le società per azioni scendono da 3.317 a 2.644 (cui si aggiungono 679 senza
addetti), le società di persone (in nome collettivo, in accomandita semplice e altre) da
55.488 a 49.225 e le cooperative da 5.417 a 5.031 (a cui vanno però aggiunte ben 2.129
senza addetti).
Le tensioni che si sono scaricate sull’universo imprenditoriale nel decennio trascorso sembrano dunque essersi tradotte essenzialmente in due dinamiche evolutive:
• la crescita della modalità professionale (imprenditore individuale, libero professionista e lavoratore autonomo) tra le attività economiche personali;
• la diffusione delle SRL tra le imprese di piccola e media dimensione.
Si tratta di due dinamiche diverse, anche se non contradditorie: da una parte la ricerca del
massimo di semplicità e flessibilità nelle attività di autoimpiego finalizzata a gestire al meglio
(o al meno peggio) la ricerca di microspazi di domanda, dall’altra la crescente strutturazione
nelle esperienze propriamente imprenditoriali anche per limitare gli effetti delle incertezze e
delle difficoltà di mercato.
30
1.414
32.306
Altra forma d’impresa
Totale
2,1%
4,4%
6,6%
nd 100,0%
nd
nd
nd 86,9%
nd
0,0%
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - CensStat
2.129
28.081
679
Cooperativa sociale
esclusa società
Società cooperativa
limitata
Società a responsabilità
nd
0,0%
differ.
307.384
557
1.663
38.860
400
1.706
15.074
12.802
peso
0,2%
0,5%
12,6%
0,1%
0,6%
4,9%
4,2%
76,9%
totale
% sul
18.186 100,0%
-649
-723
-573
-673
-616
-1.210
-4.216
236.322 26.846
2011
2001-
v.a.
-22
215
300
-738
2.169
2011
2001
differ.
147
324
85.638 16.395
586
3.328
39.224 14.000
1.996
2.015
6.883
10.742
20.864
2011
peso %
100,0%
0,7%
3,9%
45,8%
2,3%
2,4%
8,0%
12,5%
24,4%
sul totale
402
8
40
103
248
3
2011
v.a.
peso
0,0%
0,7%
0,0%
0,0%
totale
% sul
2,0%
58 100,0%
-3
13 10,0%
24 25,6%
22 61,7%
2
2011
2001
differ.
(250 addetti e oltre)
Grandi e mega imprese
2011
2001
differ.
peso
totale
% sul
8
-398
-900
-4.939
0,8%
0,9%
5,2%
5,5%
425730
2.566
7.164
0,6%
1,7%
67.045100,0%
910
1.747
106314 41.578 25,0%
3.325
3.724
21.968
23.559
257210 29.039 60,4%
2011
v.a.
Totale imprese censite
11:25
in accomandita per azioni
Società per azioni, società
1
nd
0,0%
0,0%
2011
v.a.
e medie imprese
(1-2 addetti)
(3-249 addetti)
Micro, piccole
Attività economiche personali
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diversa da snc e sas
Altra società di persone
semplice
Società in accomandita
nd
Società in nome collettivo
2
nd
totale
2011
e lavoratore autonomo
libero professionista
Imprenditore individuale,
% sul
2001
peso
v.a. differ.
Forma giuridica
2011
Società senza addetti
Classe di addetti
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CAPITOLO I - Le trasformazioni del decennio
Tab. 1.7 - Distribuzione delle imprese laziali per forma giuridica e dimensione (dati 2011 e variazione rispetto al 2001)
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
1.5. L’evoluzione della articolazione settoriale
Più di un terzo del saldo positivo nel numero delle imprese del Lazio (oltre 23.000 su
67.000) è ascrivibile ad attività classificate nella sezione “attività professionali, scientifiche e
tecniche” la cui consistenza è cresciuta da 53.500 a quasi 77.000 (Tab. 1.8). La classificazione comprende una parte consistente dei cosiddetti servizi professionali avanzati, tipici delle
economie urbane terziarie come le attività legali e di contabilità (cresciute di oltre 9.300 unità)
e le imprese e gli studi tecnici (+8.600). Si tratta di una tipologia di attività in crescita su tutto
il territorio nazionale, ma la variazione registrata nel Lazio (+43,6%) è decisamente superiore
a quella, pur consistente, del resto d’Italia (+30,9%). Questo ha portato l’incidenza delle
imprese laziali sul totale nazionale a crescere dal 10,2% all’11,1% e soprattutto la quota di
queste imprese sul totale delle imprese laziali a salire dal 14,9% al 18,1%.
Tab. 1.8 - Confronto intercensuario del numero delle imprese per settore nel Lazio (2001-2011)
2001
2011
variazione
2001-2011
v.a.
% sul tot.
regionale
v.a.
% sul tot.
regionale
v.a.
%
variazione
nazionale
2001-2011
%
attività professionali, scientifiche e tecniche
53.572
14,9
76.954
18,1
23.382
43,6%
30,9%
servizi di supporto alle imprese
13.665
3,8
19.673
4,6
6.008
44,0%
25,3%
Settori con peso crescente
attività immobiliari
10.747
3,0
21.127
5,0
10.380
96,6%
63,6%
sanità e assistenza sociale
21.556
6,0
31.955
7,5
10.399
48,2%
42,7%
attività dei servizi di alloggio e di ristorazione
21.628
6,0
27.950
6,6
6.322
29,2%
23,0%
40.103
11,2
47.770
11,2
7.667
19,1%
10,3%
8.623
2,4
10.353
2,4
1.730
20,1%
9,3%
di intrattenimento e divertimento
7.937
2,2
9.632
2,3
1.695
21,4%
16,1%
istruzione
1.876
0,5
2.810
0,7
934
49,8%
26,2%
57
0,0
630
0,1
573
Settori con peso stabile
costruzioni
attività finanziarie e assicurative
attività artistiche, sportive,
energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata
1005,3% 400,0%
fornitura di acqua reti fognarie,
rifiuti e risanamento
530
0,1
789
0,2
259
48,9%
26,2%
estrazione di minerali da cave e miniere
271
0,1
197
0,0
-74
-27,3%
-35,5%
1.428
0,4
1.300
0,3
-128
-9,0%
-24,2%
servizi di informazione e comunicazione
12.455
3,5
13.947
3,3
1.492
12,0%
4,7%
trasporto e magazzinaggio
12.597
3,5
13.890
3,3
1.293
10,3%
-14,2%
17.918
5,0
18.733
4,4
815
4,5%
-3,2%
29,6
105.195
24,7
-1.008
-0,9%
-3,3%
agricoltura, silvicoltura e pesca
Settori con peso calante
altre attività di servizi
commercio all’ingrosso e al dettaglio rip. veicoli 106.203
attività manifatturiere
27.619
7,7
22.825
5,4
-4.794
-17,4%
-20,1%
Totale
358.785
100,0
425.730
100,0
66.945
18,7%
7,4%
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - CensStat
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CAPITOLO I - Le trasformazioni del decennio
Altri settori nei quali il saldo positivo nel numero delle imprese è consistente (e proporzionalmente superiore a quello registrato nel resto d’Italia) sono quelli della “sanità e assistenza
sociale” (+10.399), delle “attività immobiliari” (+10.380), dei servizi di “alloggio e ristorazione” (+6.322) e dei servizi di “supporto alle imprese” (+6.008). Complessivamente il peso della
numerosità delle imprese dei cinque settori citati passa dal 34% al 42% del totale regionale
mentre quello delle imprese del commercio (-1.008) e della manifattura (-4.794) scende dal
37,0% al 30%. Si tratta di dinamiche simili ma più accentuate rispetto a quelle riscontrate nel
resto d’Italia dove il peso dei cinque settori “dinamici” dei servizi in termini di numero di
imprese passa dal 29% al 36% (e commercio e manifattura scendono dal 43% al 36%).
Il risultato netto del decennio (che va confrontato con quello risultante dall’analisi degli
addetti alle unità locali effettivamente presenti sul territorio) sembra dunque essere quello di
una accentuazione della propensione dell’imprenditoria diffusa laziale verso settori dei servizi
diversi sia dal tradizionale commercio sia dai grandi comparti funzionali (comunicazioni, finanza e logistica) che pure avevano svolto un ruolo rilevante nello sviluppo degli scorsi decenni.
Il confronto dei dati intercensuari sul numero degli addetti operanti nelle unità locali delle
imprese dell’industria e dei servizi localizzate nel Lazio consente di delineare la trasformazione degli equilibri produttivi della regione, ovvero di individuare quali settori presentino un saldo
positivo proporzionalmente più consistente (accrescendo il proprio peso nell’economia regionale) e quali un saldo meno rilevante o addirittura negativo (mantenendo o riducendo la propria
incidenza). Confrontando questi andamenti con quelli rilevati a scala italiana si possono, inoltre, individuare gli ambiti di attività produttiva dove l’andamento regionale è stato migliore,
simile o peggiore rispetto a quello nazionale e dunque cogliere la possibile esistenza di fattori
territoriali specifici in qualche modo favorevoli o sfavorevoli allo sviluppo.
Limitando l’analisi alle sezioni di attività economica definite dalla nomenclatura si possono
individuare cinque gruppi di attività caratterizzati da diversi andamenti tendenziali (Tab. 1.9).
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
Tab. 1.9 - Consistenza e dinamica degli addetti alle unità locali del Lazio per settore (2001-2011)
Numero addetti
Var. % addetti
Var. % addetti
alle unità locali
nel Lazio rispetto
in Italia rispetto
del Lazio nel 2011
al 2001
al 2001
Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese
159.949
64,8%
37,9%
Attività professionali, scientifiche e tecniche
132.384
38,9%
24,5%
Altre attività di servizi
40.435
26,7%
11,9%
Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento
22.006
60,1%
30,1%
Istruzione
9.060
49,2%
20,6%
Estrazione di minerali da cave e miniere
3.576
41,7%
-9,6%
124.329
42,7%
43,1%
Sanità e assistenza sociale
65.146
37,1%
40,0%
Attività immobiliari
22.939
38,9%
33,1%
19.199
42,2%
47,0%
Settori dinamici con crescita superiore a quella nazionale
Settori dinamici in linea con l’andamento nazionale
Attività dei servizi di alloggio e di ristorazione
Fornitura di acqua reti fognarie,
attività di gestione dei rifiuti e risanamento
Settori a crescita moderata
Commercio all’ingrosso e al dettaglio riparazione
i autoveicoli e motocicli
305.454
14,1%
11,3%
Trasporto e magazzinaggio
145.119
12,3%
4,8%
Costruzioni
139.302
12,4%
3,1%
161.993
-15,0%
-19,1%
10.918
-4,0%
-21,4%
3.191
-14,0%
-34,5%
110.387
-7,7%
-3,2%
68.837
-6,4%
1,4%
1.544.224
16,0%
4,5%
Settori in calo più contenuto dell’andamento nazionale
Attività manifatturiere
Fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata
Agricoltura, silvicoltura e pesca
Settori con calo più accentuato di quello nazionale
Servizi di informazione e comunicazione
Attività finanziarie e assicurative
Totale
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - CensStat
Il primo è costituito da quelle attività nelle quali il saldo positivo nel numero degli addetti
è proporzionalmente significativamente superiore sia alla media regionale del complesso delle
attività sia al valore nazionale riferito a tale settore. Rientrano in questo gruppo di settori emergenti:
• i “servizi di supporto alle imprese”, i cui addetti sono cresciuti in un decennio da poco più
di 97.000 a quasi 160.000 ovvero del 64% contro una crescita nazionale (peraltro comunque elevata) del 38%;
• le “attività professionali” che passano da 95.326 a 132.384 addetti con un saldo positivo
del 39% contro una media nazionale del 24%;
• altri settori di attività di minori dimensioni come le attività di intrattenimento (+60%), i servizi di istruzione (+49%), le “altre attività di servizi” (+27%) e l’industria estrattiva (+42%).
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CAPITOLO I - Le trasformazioni del decennio
Il secondo gruppo è composto dai settori la cui notevole crescita di attività e in linea con
quella registrata a livello nazionale. Ne fanno parte:
• i “servizi di alloggio e ristorazione”, dove gli addetti alle unità locali sono saliti da 87.155 a
124.329 (+43% come a livello nazionale);
• i servizi di “sanità e assistenza sociale” passati da 47.511 a 65.146 addetti con un incremento del 37% in linea con il 40% registrato per l’Italia nel suo insieme;
• altri ambiti di attività di minore dimensione come le “attività immobiliari” (+39% contro una
media nazionale del +33%) e le attività di gestione del ciclo dell’acqua e dei rifiuti (+42%
contro un valore italiano del +47%).
Il terzo gruppo è composto dai settori che hanno fatto registrare un tasso di crescita più contenuto ma comunque positivo ed in linea con la media regionale complessiva. Tra questi:
• le attività di trasporto e magazzinaggio (da 129.254 a 145.119 addetti) e il settore delle
costruzioni (da 123.912 a 139.302 addetti) presentano un saldo attivo percentualmente
decisamente più consistente di quello nazionale (12,3% contro 4,8% nel primo caso, 12,4%
contro 3,1% nel secondo);
• le attività del “commercio all’ingrosso e al minuto e della riparazione di veicoli” dove gli
addetti alle unità locali salgono da 267.729 a 305.454, e la crescita percentuale (14,1%)
non si discosta particolarmente da quella media nazionale (11,3%).
Il quarto gruppo comprende i settori che presentano un saldo negativo nel numero degli
addetti ma proporzionalmente inferiore a quello nazionale. Ne fanno parte:
• due settori quantitativamente modesti come l’industria energetica (contrazione del 4% del
numero degli addetti a fronte di una riduzione nazionale di oltre il 21%) e il segmento delle
attività agricole rientrante nel censimento (14% di riduzione degli addetti contro una caduta
nazionale del 35%);
• il macro settore delle attività manifatturiere i cui addetti nel Lazio si sono ridotti da 190.655
a 161.993 cioè del 15%, un po’ meno peggio del calo nazionale del 19%.
Infine il quinto gruppo comprende i settori di attività per i quali la riduzione verificatasi nel
Lazio è proporzionalmente più ampia di quella determinatasi a livello nazionale, si tratta:
• delle “attività finanziarie e assicurative” scese da 73.522 a 68.837 con un calo del -6,4%
in controtendenza rispetto ad un andamento nazionale del +1,4%;
• dei servizi di “informazione e comunicazione” i cui addetti localizzati nel Lazio si riducono
da 119.564 a 110.387 (-8% contro una media nazionale del -3%).
Da un certo punto di vista il carattere distintivo della mutazione della struttura produttiva
laziale del decennio 2001-2011 sta nella contrapposizione degli andamenti delle coppie di settori appartenenti al primo gruppo (supporto alle imprese e attività professionali) e all’ultimo
(finanziari e di informazioni); entrambe le coppie pesavano, in termini di addetti alle unità locali, il 14,5% del totale regionale nel 2001, oggi la prima coppia pesa il 19,0% (ha, cioè, aumentato la sua quota del 4,5%) la seconda pesa l’11,6% (ha, dunque, ridotto la sua quota del
2,9%).
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
I servizi di supporto alle imprese e quelli professionali (ed anche le attività immobiliari)
erano già emersi in precedenza come settori il cui peso imprenditoriale è aumentato nel decennio. Al rilevante saldo positivo in termini di imprese corrisponde dunque un altrettanto significativa crescita occupazionale.
Da un certo punto di vista i due settori possono tendenzialmente essere accomunati in quanto alimentati prevalentemente (anche se non esclusivamente) da una domanda interna proveniente in particolare dai processi di esternalizzazione delle imprese e delle istituzioni. Nel
primo caso, però, prevalgono le produzioni standardizzate (vigilanza, le pulizie e la gestione
degli edifici, i call center, la ricerca e selezione del personale e simili) mentre tra le attività professionali sono comprese le forniture di servizi specifici come consulenze legali, contabili e
manageriali nonché i servizi tecnici di progettazione.
Questa differenza si traduce nella diversità strutturale dei due settori. Le attività tecniche e
professionali sono frazionate in un grande numero di soggetti tra i quali prevalgono le attività
economiche personali (imprese con uno o due addetti tendenzialmente organizzate come
imprenditori individuali, liberi professionisti e lavoratori autonomi) che assorbono più della
metà degli occupati; le grandi imprese (oltre 250 addetti) sono meno di una ventina ed occupano circa un decimo degli addetti del settore. I servizi di supporto alle imprese hanno una configurazione più strutturata; nel Lazio sono presenti un centinaio di grandi imprese che assorbono il 47% degli addetti, circa 4.600 imprese (di cui oltre la metà SRL) da 3 a 249 addetti che
ne impiegano un altro 44% mentre la quota delle attività economiche personali non supera il
10% degli occupati.
Anche se con modelli imprenditoriali e dinamiche diverse, i due settori sono comunque
quelli che hanno maggiormente beneficiato del decennio turbolento, crescendo più di altri nella
fase espansiva e resistendo meglio in quella depressiva. La specifica struttura economica del
Lazio, con la consistente presenza di istituzioni pubbliche e grandi imprese di servizi, ha presumibilmente contribuito (generando una forte domanda locale di servizi esternalizzati sia nella
prima che nella seconda fase) a determinare l’andamento regionale particolarmente positivo.
La riduzione della presenza produttiva dei grandi settori dei servizi funzionali come le attività finanziarie e assicurative e i servizi di informazione e comunicazione è probabilmente l’elemento più preoccupante che emerge dall’analisi intercensuaria.
Si tratta, come si è visto in precedenza, di ambiti strutturati, caratterizzati dalla presenza di
grandi imprese organizzate in forme di società di capitali e di settori che hanno storicamente
contribuito ad assicurare al Lazio un attivo nella bilancia interregionale delle transazioni “esportando” servizi al di là dei confini regionali. È vero che il calo evidenziato riguarda le unità locali e non le imprese e i relativi addetti e quindi la concentrazione di funzioni direzionali sembra
permanere, ma resta il fatto che dal punto di vista dell’attività produttiva effettiva la regione si
è indebolita.
Le altre dinamiche evidenziate non si discostano molto da quelle nazionali: crescita dei servizi turistici e di quelli di welfare, tenuta del commercio e della logistica e calo delle attività
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CAPITOLO I - Le trasformazioni del decennio
manifatturiere sono dinamiche generali che nel Lazio producono, nel loro insieme, un effetto
meno negativo grazie al diverso peso assunto dai settori (in particolare alla limitata presenza
del manifatturiero).
Se si confronta questa articolazione degli andamenti degli addetti alle unità locali per settori con l’ammontare del valore aggiunto per occupato, ricavabile dai conti economici regionali (relativi al 2010) per i settori confrontabili, gli elementi di criticità nella valutazione della
evoluzione produttiva della regione crescono:
• i settori nei quali la riduzione intercensuaria è stata più marcata che a livello nazionale sono,
infatti, caratterizzati da livelli elevati del valore aggiunto per occupato (quasi 100.000 euro
per le attività finanziarie e assicurative e oltre 126.000 per i servizi di informazione e comunicazione, contro una media totale regionale di circa 60.000 euro);
• i più consistenti settori premiati da una dinamica positiva presentano, invece, valori intermedi (58.000 euro per le attività professionali, scientifiche e tecniche) o decisamente ridotti
(35.400 euro per i servizi di supporto alle imprese).
Lo spostamento, interno all’ampio comparto dei servizi funzionali, ha quindi determinato
una riallocazione dell’impiego del lavoro verso attività tendenzialmente a più basso valore
aggiunto (e presumibilmente a minore proiezione esterna) e ciò, di per sé, sembra indicare un
peggioramento della condizione competitiva della regione.
Non si può però escludere che, come avvenuto altre volte, vi siano dinamiche interne ai singoli settori produttivi di segno diverso. Varrà forse la pena, in un prossimo futuro, approfondire
l’analisi delle evoluzioni organizzative e di mercato, spesso difficili da cogliere nei dati statistici aggregati, che stanno caratterizzando i settori emergenti dei sevizi tecnici e professionali e
di quelli di supporto alle imprese.
1.6. La distribuzione territoriale
Il decennio trascorso ha inciso anche sulla distribuzione territoriale delle attività imprenditoriali nel territorio. Emerge con particolare evidenza la crescita dei territori metropolitani della
provincia di Roma dove l’aumento del numero degli addetti alle unità locali delle imprese
(+24,6%) ha superato quella verificatasi nella Capitale (+16,6%) e nella provincia di Latina
(+16,5%); intermedio è il risultato della provincia di Viterbo (+8,9%) mentre risulta sostanzialmente esclusa dalle dinamiche di incremento la provincia di Frosinone (+2,6%) ed addirittura
in calo quella di Rieti (-2,0%) (Tab. 1.10).
Il particolare saldo positivo della provincia romana è dovuto, in primo luogo, all’area lineare posta a nordest del comune capoluogo e dispiegata lungo l’asse autostradale. Fanno segnare, infatti, incrementi particolarmente rilevanti sia in termini assoluti che relativi (in media del
+67%) comuni come Valmontone, Fonte Nuova, San Cesareo, Guidonia Montecelio, Fiano
Romano e Palestrina tutti caratterizzati dalla prossimità con Roma e dalla facile accessibilità
stradale.
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
Tab. 1.10 - Distribuzione geografica degli addetti alle unità locali delle imprese nel Lazio (2001, 2011)
2001
v.a.
2011
% sul totale
v.a.
variazione 2001-2011
% sul totale
v.a.
%
Altri comuni Provincia di Roma
215.808
16,2%
268.835
17,4%
53.027
24,6%
Roma Capitale
814.729
61,2%
949.956
61,5%
135.227
16,6%
Provincia di Latina
105.787
7,9%
123.244
8,0%
17.457
16,5%
57.057
4,3%
62.130
4,0%
5.073
8,9%
111.812
8,4%
114.686
7,4%
2.874
2,6%
25.883
1,9%
25.373
1,6%
-510
-2,0%
1.331.076
100,0%
1.544.224
100,0%
213.148
16,0%
Provincia di Viterbo
Provincia di Frosinone
Provincia di Rieti
Totale Lazio
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - CensStat
Si tratta di un’area che comprende totalmente o in parte tre dei dodici “poli produttivi”
regionali che il Censis aveva individuato nello studio del 2009 intitolato “Impresa, territorio e
direttrici di sviluppo nel sistema Lazio”. Importanti sono anche i saldi postivi di diversi comuni posti a nord della Capitale come Bracciano, Formello e Cerveteri (tutti con incrementi superiori al 40%). Decisamente meno brillanti le performance di alcune tradizionali polarità produttive come Pomezia (+9,6%) o Colleferro (+4,8%) e addirittura negative quelle di alcuni comuni dei Castelli come Frascati (-11,2%) e Ariccia (-7,5%).
L’importante incremento della provincia di Latina è dovuto sia ai grandi comuni di storico
insediamento industriale (come Aprilia e lo stesso capoluogo ma non Cisterna) sia all’area meridionale dove Sabaudia e Terracina registrano incrementi superiori al 30% e Fondi e Minturno
di poco inferiori.
Nel viterbese si evidenziano i risultati dei comuni posti lungo l’asse della Cassia da
Monterosi a Vetralla e nei territori limitrofi, che presentano incrementi superiori al 30%, e del
capoluogo (+14%), mentre il resto del territorio fa complessivamente registrare una sostanziale stazionarietà.
Sul modesto saldo della provincia di Frosinone pesa il crollo degli addetti nella zona industriale di Piedimonte San Germano (un saldo negativo di quasi 2.000 unità) e in quella turistica di Fiuggi solo in parte compensati dai progressi dell’area di Veroli e Alatri.
Nel reatino la crisi della conurbazione Rieti-Cittaducale (1.400 addetti in meno) trascina
verso il segno negativo il dato provinciale, nonostante il buon andamento dei comuni posti in
prossimità dell’asse autostradale come Forano, Montopoli, Fara Sabina e Poggio Mirteto.
Nel complesso la concentrazione delle attività imprenditoriali nella Capitale è sostanzialmente rimasta costante: la quota di addetti alle unità locali della regione ubicate a Roma è
infatti marginalmente salita dal 61,2% al 61,5% mentre è cresciuta quella attribuibile al suo
sistema urbano (identificabile provvisoriamente con i comuni del “vecchio” sistema locale del
lavoro romano del 2001) arrivato a coprire il 75% del totale regionale. Ovviamente questa quota
raggiunge livelli particolarmente elevati nei servizi con caratteristiche più tipicamente metropolitane (informazione e comunicazione, supporto alle imprese, finanza, attività professionali e
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CAPITOLO I - Le trasformazioni del decennio
logistiche) dove supera l’85%, mentre si abbassa significativamente nelle attività che seguono
diverse logiche localizzative (costruzioni, commercio, attività manifatturiere) per le quali scende sotto il 65% (Tab. 1.11).
Tab. 1.11 - Concentrazione degli addetti alle unità locali delle imprese nel sistema locale del lavoro di Roma e nel
resto della regione (2011)
SLL di Roma
v.a.
Altri SLL della regione
% su regione
v.a.
94,7%
5.892
% su regione
servizi di informazione e comunicazione
104.479
servizi di supporto alle imprese etc.
143.243
89,6%
16.698
10,4%
58.187
84,6%
10.632
15,4%
attività professionali, scientifiche e tecniche
108.626
82,1%
23.728
17,9%
trasporto e magazzinaggio
118.285
81,7%
26.507
18,3%
attività finanziarie e assicurative
5,3%
Totale servizi “metropolitani”
532.820
86,5%
83.457
13,5%
attività di intrattenimento etc.
18.737
85,1%
3.288
14,9%
7.392
81,7%
1.661
18,3%
18.267
79,7%
4.651
20,3%
fornitura di energia elettrica, gas etc.
8.456
77,4%
2.472
22,6%
estrazione di minerali da cave e miniere
2.722
76,1%
855
23,9%
sanità e assistenza sociale
49.391
75,8%
15.796
24,2%
attività dei servizi di alloggio e di ristorazione
92.865
74,8%
31.229
25,2%
idrico e rifiuti
13.606
70,9%
5.586
29,1%
altri servizi
28.543
70,6%
11.869
29,4%
680
21,3%
2.515
78,7%
240.659
75,1%
79.922
24,9%
istruzione
attività immobiliari
agricoltura, silvicoltura e pesca
Totale attività “diffuse”
commercio, riparazione di veicoli
212.787
69,7%
92.413
30,3%
costruzioni
89.962
64,6%
49.352
35,4%
attività manifatturiere
81.830
50,4%
80.546
49,6%
Totale attività “decentrate”
384.579
63,4%
222.311
36,6%
1.158.058
75,0%
385.690
25,0%
Totale SLL del Lazio
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - CensStat
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2. L’EVOLUZIONE RECENTE
2.1. I conti regionali
Nel rapporto redatto all’inizio del 2012 e dedicato all’impatto della crisi nel Lazio erano stati esaminati i dati macroeconomici relativi al “biennio orribile” 2007-2009 e le successive evoluzioni.
In quella analisi si sottolineava come la crisi avesse colpito l’economia regionale in modo
consistente, sostanzialmente simile all’impatto nazionale, e come alcune caratteristiche specifiche dei sistemi produttivo e sociale della regione configurassero uno scenario potenzialmente particolarmente critico per gli anni successivi.
I dati recentemente pubblicati dall’Istat, aggiornati al 2012 per le principali grandezze
macroeconomiche, confermano, purtroppo, la sostanza di quell’analisi. La riduzione del Pil regionale nel 2012 è stata, infatti, del 2,8% a prezzi concatenati (contro il -2,5% a livello nazionale) e tale da portare la caduta al -6,1% rispetto al 2007 (sempre a prezzi concatenati) (Tab. 2.1).
Tab 2.1 - Andamento del Prodotto interno lordo in Italia e nel Lazio (2007-2012)
2007
2008
2009
2010
2011
2012
1.554.199
1.575.144
1.519.695
1.551.886
1.580.410
1.567.010
167.666
169.032
166.108
168.319
170.985
169.483
1.492.671
1.475.412
1.394.347
1.418.376
1.425.142
1.389.043
161.910
158.673
153.957
155.523
156.397
152.090
Italia var. % valori concatenati
1,7%
-1,2%
-5,5%
1,7%
0,5%
-2,5%
Lazio var. % valori concatenati
0,5%
-2,0%
-3,0%
1,0%
0,6%
-2,8%
Italia indice val. conc. (2007=100)
100,0
98,8
93,4
95,0
95,5
93,1
Lazio indice val. conc. (2007=100)
100,0
98,0
95,1
96,1
96,6
93,9
Italia mln. euro correnti
Lazio mln. euro correnti
Italia mln. euro valori conc.
(base 2005)
Lazio mln. euro valori conc.
(base 2005)
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - banca dati I.stat - Conti economici regionali
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
Il decremento del 2012 è stato cioè di ampiezza paragonabile a quello del 2009 e, poiché
allo stato le indicazioni disponibili per il 2013 sono negative, è ipotizzabile che anche il risultato biennale possa essere dello stesso ordine di grandezza del biennio 2008-2009. L’economia
regionale, come d’altra parte quella nazionale, ha dunque subito effettivamente la “sequenza
micidiale” che era stata paventata. Il marginale recupero del 2010-2011 appare sostanzialmente irrilevante e comunque non in grado di modificare la fondamentale inerzia negativa. Il
confronto di lungo periodo (Fig. 2.2) indica che l’arretramento è tale da aver riportato il valore
(a prezzi concatenati) del Pil regionale al di sotto del livello del 2004.
Attualizzando la grandezza con l’indice generale del valore della moneta (anziché con i prezzi concatenati) la caduta del valore reale del Pil regionale nel quinquennio in termini di corrispondente “capacità di acquisto” arriva a sfiorare il 10% (e vengono meno, peraltro, anche i
modesti recuperi “in quantità” stimati per il 2010 ed il 2011).
L’altra grandezza macroeconomica per la quale si dispone di una stima ufficiale del valore
regionale per il 2012 è relativa alla spesa per i “consumi delle famiglie sul territorio economico” che risulta aver subito una riduzione del -3,6% a prezzi concatenati rispetto all’anno precedente. Si tratta del decremento annuo più consistente dall’inizio della crisi. Anche in questo
caso trovano, dunque, conferma le preoccupazioni espresse nell’analisi del precedente rapporto laddove venivano individuati una serie di fattori strutturali che rendevano insostenibile la
relativa tenuta dei consumi nei primi anni della crisi (si veda il successivo paragrafo 2.2).
Non si dispone invece, allo stato, dell’aggiornamento al 2012 del dato sugli investimenti e
dunque non è possibile verificare se la “seconda crisi” iniziata a metà del 2011 abbia nuovamente colpito questa componente della domanda che, dopo il crollo del 2008-2009, si era
(almeno in termini quantitativi) relativamente stabilizzata nel 2010 e aveva mostrato un debole recupero nel 2011. Non è altresì possibile, se non in via indiretta, accertare se la spesa finale delle amministrazioni pubbliche e delle istituzioni sociali private abbia confermato nel 2012
il rilevante andamento negativo fatto segnare (per la prima volta) nel 2011 (-2,8% a prezzi concatenati). L’assenza dei dati 2012 su investimenti e consumi collettivi, inoltre, non rende possibile la misurazione degli impieghi e quindi delle importazioni nette ma si può segnalare (rinviando al successivo paragrafo 2.3) che la brillante ripresa delle esportazioni manifestatasi nel
2010 e nel 2011 ha accentuato nell’ultimo periodo la sua concentrazione settoriale.
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CAPITOLO II - L’evoluzione recente
Fig 2.2 - Andamento del Prodotto interno lordo a prezzi concatenati in Italia e nel Lazio (numero indice
2007=100, anni 1995-2012)
100,0
98,0
96,0
94,0
92,0
90,0
88,0
86,0
84,0
LAZIO
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1997
1998
1995
80,0
1996
82,0
ITALIA
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - banca dati I.stat - Conti economici regionali
Dal punto di vista dell’offerta i dati grezzi sull’andamento del valore aggiunto a prezzi base
mostrano una contrazione nel 2012 del -2,4% che porta il calo quinquennale (sempre a valori concatenati) al -6,2% (Tab. 2.3):
• il calo annuale più sensibile è del settore delle costruzioni (-10,1%) che, sommandosi ai precedenti, determina una caduta quinquennale di oltre il 20%;
• l’agricoltura subisce, per la prima volta, una riduzione sensibile con un calo del valore aggiunto del -6,9%;
• il comparto industriale (al netto delle costruzioni) che in qualche modo aveva limitato i danni
negli anni precedenti subisce una pesante contrazione del -5,6% che porta la variazione
quinquennale oltre il -12%;
• la riduzione del -4,0% subita dall’aggregato statistico costituito da commercio e turismo, trasporti e comunicazioni viene ad aggravare l’andamento già pesante degli anni precedenti portando il saldo quinquennale al -15,5%;
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
• relativamente meglio è andata ai comparti dell’amministrazione pubblica e servizi collettivi
ed a quello dei servizi funzionali diversi da trasporti e comunicazioni che fanno segnare cali
marginali del valore aggiunto a prezzi concatenati nel 2012 e mantengono un saldo attivo
rispetto al 2007.
Tab. 2.3 - Variazione del valore aggiunto a prezzi concatenati per settori nel Lazio (2011-2012 e 2007-2012),
variazioni percentuali
2011-2012
2007-2012
-6,9%
-7,7%
Agricoltura, silvicoltura e pesca
Attività estrattiva; attività manifatturiere;
fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata;
fornitura di acqua; reti fognarie, attività di trattamento dei rifiuti e risanamento
-5,6%
-12,4%
-10,1%
-21,8%
-4,0%
-15,5%
-0,2%
1,1%
e divertimento; riparazione di beni per la casa e altri servizi
-0,3%
3,5%
Totale attività economiche
-2,4%
-6,2%
Costruzioni
Commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli e motocicli;
trasporti e magazzinaggio; servizi di alloggio e di ristorazione;
servizi di informazione e comunicazione
Attività finanziarie e assicurative; attività immobiliari;
attività professionali, scientifiche e tecniche; amministrazione e servizi di supporto
Amministrazione pubblica e difesa, assicurazione sociale obbligatoria,
istruzione, sanità e assistenza sociale; attività artistiche, di intrattenimento
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - banca dati I.stat - Conti economici regionali
Il crollo del valore aggiunto delle costruzioni nel Lazio risulta, peraltro, significativamente
più ampio della pur consistente caduta a scala nazionale (-5,8%) e ciò indica l’esistenza di una
specifica criticità regionale del settore (Tab. 2.4). Il sostanziale ristagno degli interventi infrastrutturali pubblici, la compressione della capacità di investimento delle famiglie e la comprensibile prudenza delle imprese ad allargare lo stock di capitale in una fase di incertezza hanno
concorso a determinare la forte riduzione della componente edilizia dell’investimento locale da
cui in larga misura dipende l’andamento territoriale del settore delle costruzioni.
Anche l’industria e il comparto “commercio-turismo-trasporti-comunicazioni” sono caratterizzati da una variazione 2012 peggiore della media nazionale, mentre le altre branche dei servizi (altri servizi funzionali e servizi pubblici, collettivi e alle famiglie) riescono a contenere il
proprio decremento rispetto a quello rilevato nel resto del paese.
Il confronto della composizione del valore aggiunto regionale per branche di attività economica (Tab. 2.5) nelle annualità 2002, 2007 e 2012 – al di là del “fisiologico” calo della componente industriale – evidenzia soprattutto la modifica degli equilibri tra le diverse branche dei servizi.
In particolare la quota di valore aggiunto prodotta dai servizi funzionali (esclusi trasporti e
comunicazioni) è passata dal 28,3% del 2002 al 29,8% del 2007 per arrivare al 32,9%, dun44
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CAPITOLO II - L’evoluzione recente
que è cresciuta nel quinquennio “critico” più di quanto non avesse fatto nel precedente lustro
“di crescita”. Questo incremento di incidenza avviene, essenzialmente, a scapito del comparto che comprende le attività commerciali e turistiche e i servizi di trasporto e comunicazione la
cui perdita di peso relativo su base decennale nel 2012 va oltre il -5%.
Tab. 2.4 - Variazione del valore aggiunto a prezzi concatenati per settori in Italia e nel Lazio (2011-2012), variazioni
percentuali
Agricoltura, silvicoltura e pesca
Lazio
Italia
-6,9%
-4,4%
Attività estrattiva; attività manifatturiere; fornitura di energia elettrica,
gas, vapore e aria condizionata; fornitura di acqua; reti fognarie,
attività di trattamento dei rifiuti e risanamento
-5,6%
-3,8%
-10,1%
-5,8%
-4,0%
-2,9%
-0,2%
-0,9%
di intrattenimento e divertimento; riparazione di beni per la casa e altri servizi
-0,3%
-1,3%
Totale attività economiche
-2,4%
-2,3%
Costruzioni
Commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli e motocicli;
trasporti e magazzinaggio; servizi di alloggio e di ristorazione;
servizi di informazione e comunicazione
Attività finanziarie e assicurative; attività immobiliari; attività professionali,
scientifiche e tecniche; amministrazione e servizi di supporto
Amministrazione pubblica e difesa, assicurazione sociale obbligatoria,
istruzione, sanità e assistenza sociale; attività artistiche,
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - banca dati I.stat - Conti economici regionali
Tab. 2.5 - Composizione percentuale del valore aggiunto per settori nel Lazio (2002, 2007, 2012)
2002
2007
2012
1,3%
1,1%
1,0%
attività di trattamento dei rifiuti e risanamento
9,9%
9,2%
8,4%
Costruzioni
4,9%
5,9%
5,5%
32,4%
31,1%
27,3%
28,3%
29,8%
32,9%
23,2%
22,9%
24,9%
100,0%
100,0%
100,0%
Agricoltura, silvicoltura e pesca
Attività estrattiva; attività manifatturiere; fornitura di energia elettrica,
gas, vapore e aria condizionata; fornitura di acqua; reti fognarie,
Commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli
e motocicli; trasporti e magazzinaggio; servizi di alloggio e di ristorazione;
servizi di informazione e comunicazione
Attività finanziarie e assicurative; attività immobiliari; attività professionali,
scientifiche e tecniche; amministrazione e servizi di supporto
Amministrazione pubblica e difesa, assicurazione sociale obbligatoria, istruzione,
sanità e assistenza sociale; attività artistiche, di intrattenimento e divertimento;
riparazione di beni per la casa e altri servizi
Totale attività economiche
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - banca dati I.stat - Conti economici regionali
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
Come si vedrà meglio nei paragrafi successivi la modifica di equilibri nella composizione del
valore aggiunto non si riproduce nella stessa misura nei dati occupazionali essendo collegabile all’evolversi delle distribuzioni anche “infrasettoriali” nell’impiego del lavoro e ai loro effetti
sulla produttività unitaria. I dati non sono dunque incoerenti con i risultati emersi dall’analisi
intercensuaria (diversa per variabili utilizzate e aggregazioni settoriali) ma aiutano a specificarne meglio l’effettiva valenza.
L’intensità della crisi che ha colpito il Lazio appare particolarmente evidente se si considera l’andamento del Pil per abitante, ovvero della misura convenzionalmente più utilizzata per
sintetizzare il livello di sviluppo, che nel 2012 non è andato oltre i 29.195 euro. Secondo i dati
dei conti economici regionali già negli anni immediatamente precedenti la crisi (a partire dal
2005) la crescita del flusso di ricchezza prodotta non aveva tenuto il passo con l’incremento
dello stock di popolazione determinando una contrazione di questo indicatore (che nel decennio 1995-2005 era comunque cresciuta dell’1,6% annuo). A partire dal 2007 la riduzione si
è fatta più sensibile: nel quinquennio il calo è del -11,2% corrispondente ad un tasso di circa
il -2,3% annuo. In termini reali, dunque, la ricchezza prodotta per abitante si è ridotta di oltre
un decimo. La crisi del Lazio si è tradotta anche nel declino del suo posizionamento rispetto
allo scenario nazionale esemplificata dalla riduzione del rapporto con il Pil per abitante medio
nazionale sceso da oltre il 120% a meno del 114% (Fig. 2.6).
Fig. 2.6 - Rapporto tra Pil per abitante Lazio e Italia (numero indice Italia=1,00, anni 1995-2012)
1,22
Base Italia=1,00
1,20
1,18
1,16
1,14
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - banca dati I.stat - Conti economici regionali
46
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1998
1997
1996
1995
1,12
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CAPITOLO II - L’evoluzione recente
2.2. La caduta dei consumi
Già nel rapporto dedicato all’analisi dell’impatto della crisi nel biennio 2008-2009 si era
evidenziato come la relativa tenuta dei consumi delle famiglie (che ne aveva, in qualche modo,
limitato gli effetti) difficilmente avrebbe potuto proseguire: “è abbastanza evidente – scrivevamo all’inizio del 2012 – che la necessaria risposta alla crisi del debito sovrano si sia tradotta
in misure (diminuzione dei trasferimenti ed aumento del prelievo) che inevitabilmente colpiranno il reddito disponibile delle famiglie, già ridotto a partire dalla crisi del 2008. È inoltre probabile che la riduzione della propensione aggregata al risparmio delle famiglie (in particolare
finanziario), che ha consentito di ammortizzare parzialmente l’effetto sui consumi negli scorsi
anni, non possa continuare a svolgere tale funzione. Sembra dunque inevitabile che ulteriori
riduzioni del reddito disponibile si traducano in riduzioni dei consumi, non essendovi più “serbatoi” di risparmio cui attingere per compensare.”
In effetti, su scala nazionale, il “potere di acquisto delle famiglie consumatrici” (reddito
disponibile deflazionato con l’indice della spesa per i consumi finali) che aveva già ripreso un
andamento decrescente a partire dal quarto trimestre 2010 ha sensibilmente peggiorato la sua
dinamica dalla fine del 2011. Nello stesso tempo la crescita della propensione al consumo
(arrivata a superare il 90% sul reddito disponibile) si è interrotta, perché la riduzione della
quota dei risparmi è giunta a livelli che difficilmente possono essere ulteriormente compressi.
Di conseguenza la caduta del reddito disponibile ha cominciato a scaricarsi pienamente sui
consumi (nel primo semestre 2013 addirittura in misura più che proporzionale) (Fig. 2.7).
La stima oggi disponibile dei consumi finali delle famiglie nel territorio economico del Lazio
per il 2012 è di 95,7 miliardi di euro, inferiore perfino in termini di valore assoluto – cioè non
corretto per tener conto della crescita dei prezzi – ai 96,7 miliardi del 2011. In termini reali
la caduta è del -3,6%, leggermente meno ampia del -4,0% stimato a livello nazionale ma che
va a cumularsi con il -0,5% del 2011 portando la caduta biennale ad una percentuale più
ampia di quella registrata nel 2008-2009 (Tab. 2.8).
Dal punto di vista dei consumi, dunque, la “seconda crisi” è peggiore della prima anche perché – come indicano i dati nazionali citati in precedenza – risulta essersi addirittura aggravata
nella prima parte del 2013.
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
Fig. 2.7 - Reddito disponibile e consumi delle famiglie in Italia (dati trimestrali 2003-2013)
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - Reddito e risparmio delle famiglie
Tab. 2.8 - Andamento dei consumi finali delle famiglie in Italia nel Lazio (2007-2012)
2007
2008
2009
2010
2011
2012
920.948
940.666
923.270
950.502
975.834
962.721
91.776
93.008
91.993
94.369
96.740
95.713
878.250
869.510
854.009
867.237
865.966
831.222
86.686
84.865
83.991
85.153
84.759
81.675
Italia
mln. euro correnti
Lazio
mln. euro correnti
Italia
mln. euro valori conc. (base 2005)
Lazio
mln. euro valori conc. (base 2005)
Italia
var. % valori concatenati
-1,0%
-1,8%
1,5%
-0,1%
-4,0%
Lazio
var. % valori concatenati
-2,1%
-1,0%
1,4%
-0,5%
-3,6%
Italia
indice val. conc. (2007=100)
100,0
99,0
97,2
98,7
98,6
94,6
Lazio
indice val. conc. (2007=100)
100,0
97,9
96,9
98,2
97,8
94,2
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - banca dati I.stat - Conti economici regionali
Allo stato non si dispone della distribuzione regionale per voci relativa al 2012 se non che
per le macro-aggregazioni dei servizi (-0,9% rispetto al 2011), dei beni non durevoli (-5,2%) e
dei beni durevoli (-15,9%). La differenza di andamenti non stupisce:
• la riduzione degli acquisti di beni di consumo durevoli è un comportamento frequente nelle situazioni di crisi economica; la riduzione del reddito disponibile, e l’incertezza sul suo andamento
futuro, spingono a rinviare questa tipologia di acquisti. In termini reali le spese si sono ridotte di
un terzo rispetto al 2007 – anno precrisi – e sono ritornate al livello di quindici anni fa;
• all’opposto le spese per i servizi comprendono una serie di voci (trasporti, sanità, utenze) dove
è molto più difficile operare significative riduzioni (e dove la dinamica dei prezzi è stata meno
favorevole).
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CAPITOLO II - L’evoluzione recente
Come già evidenziato nella precedente analisi, inoltre, i consumi nel Lazio sono significativamente caratterizzati:
• dall’elevato peso della quota dei consumi “strutturali” (circa il 40%);
• da un peggioramento particolarmente consistente del valore per abitante (ridottisi in termini
reali del 14% rispetto al massimo raggiunto nel 2005).
Questi due elementi concorrono a peggiorare l’effetto già di per sé notevole della contrazione dei consumi sulla rete distributiva ed in particolare sulla rete tradizionale del commercio di
vicinato e dell’artigianato. D’altra parte è sufficiente leggere la sequenza dei dati nazionali sulle
variazioni a prezzi correnti del valore delle vendite delle piccole superfici del commercio fisso
al dettaglio per riconoscere che il grido di dolore lanciato dalle organizzazioni di categoria non
possa essere liquidato come un semplice dovere di esercizio delle funzioni di rappresentanza.
2.3. L’andamento delle esportazioni
I Conti Economici Regionali non forniscono un’informazione esplicita sugli interscambi
esterni delle economie regionali, tuttavia da essi è possibile ricavare un’informazione implicita
relativa al valore del “saldo” attraverso la differenza tra il valore totale degli impieghi (consumi finali delle famiglie nel territorio, consumi delle amministrazioni pubbliche e delle istituzioni sociali private, investimenti fissi lordi e variazione delle scorte) ed il valore del Prodotto interno lordo. Un saldo positivo delle cosiddette “importazioni nette” indica che il valore dei beni e
servizi “impiegati” per consumi o investimenti nel corso dell’anno è superiore al valore dei beni
e servizi prodotti; un saldo negativo indica che nel territorio regionale viene prodotto più di
quanto viene utilizzato e di conseguenza la regione è un’esportatrice netta (verso altre regioni
o verso l’estero).
Il Lazio è, in questo senso, una regione “esportatrice” (le sue importazioni nette sono negative) in misura tutt’altro che irrilevante. In altra sede si è dato conto degli studi che hanno approfondito il tema evidenziando come a fronte di un limitato, ma comunque non irrilevante, valore
dei flussi verso l’estero nel caso laziale sia particolarmente significativo l’ammontare dei flussi
verso altre regioni, legati soprattutto alle attività dei servizi funzionali di carattere nazionale fortemente concentrate nella Capitale. In questa occasione ci si può limitare a rilevare come il
“saldo attivo” dell’interscambio con l’esterno dell’economia regionale pur avendo seguito una
dinamica discendente a partire dal 2009 risulti al 2011 ancora molto significativo sia in termini assoluti (11,4 miliardi di euro) sia in termini relativi (6,7% del Pil regionale) (Fig. 2.9).
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
miliardi di euro
Fig. 2.9 - Pil, impieghi e peso % della differenza sul Pil nel Lazio (2007-2012)
200
10,0%
180
9,0%
160
8,0%
140
7,0%
120
6,0%
100
5,0%
80
4,0%
60
3,0%
40
2,0%
20
1,0%
0
2007
Pil (scala SX)
2008
2009
2010
Impieghi (scala SX)
0,0%
2011
2012
% differenza su Pil (scala DX)
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat- banca dati I.stat - Conti economici regionali
Solo la Lombardia presenta un saldo attivo di maggiori dimensioni assolute (34,6 miliardi)
e di più elevata incidenza sul Pil (10,4%); le altre due regioni “attive” – e cioè l’Emilia
Romagna ed il Veneto – presentano valori inferiori sia per dimensioni assolute che per incidenza sul Pil. Tutte le altre regioni italiane risultano nel 2011 importatrici nette come d’altronde
(nel 2011) l’Italia nel suo complesso. Va ricordato, tuttavia, che in questo conto si considerano le spese per consumi delle famiglie effettuate sul “territorio economico”, indipendentemente dalla residenza della famiglia stessa: ad esempio nel 2011 il saldo negativo nazionale così
calcolato risulta di 36,5 milioni di euro mentre nei Conti Economici Nazionali, dove si considerano le spese delle famiglie residenti, il saldo negativo si riduce a 22,1 miliardi grazie sostanzialmente al contributo positivo della bilancia turistica (le spese in Italia dei non residenti superano le spese all’estero dei residenti in Italia).
D’altra parte la progressiva riduzione dell’incidenza positiva del saldo non può non essere
segnalata con preoccupazione. In qualche modo essa costituisce un indizio ulteriore del fatto
che la sequenza di crisi abbia indebolito la “proiezione esterna” dell’economia regionale.
Questa, nel caso del Lazio, è costituita in misura significativa dalla “esportazione” nel resto
del territorio nazionale della produzione dei grandi servizi funzionali (logistici, di comunicazione, finanziari, professionali, etc.). L’andamento nazionale dell’economia può spiegare, di per sé
l’indebolimento, tuttavia permane (e quantomeno non viene confutata da questi dati) la percezione che vi sia anche un affievolimento del posizionamento relativo del sistema produttivo
laziale su questi ambiti che ne hanno costituito i tradizionali punti di forza.
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CAPITOLO II - L’evoluzione recente
Per quanto riguarda la componente estera dell’interscambio va innanzitutto ricordato che:
• a livello nazionale, il saldo complessivo ha cominciato a migliorare dal secondo trimestre del
2011 (nel primo la differenza tra importazioni ed esportazioni aveva raggiunto i 9,9 miliardi
di euro) per divenire attivo nel primo trimestre del 2012 e continuare a migliorare fino a raggiungere nel secondo trimestre di questo anno un valore positivo di 10,4 miliardi;
• questo miglioramento è essenzialmente dovuto alla riduzione di valore delle importazioni,
mentre le esportazioni hanno prima ridotto il loro ritmo di incremento per poi (nel primo
semestre 2013) smettere di crescere.
Le merci rappresentano la parte più consistente delle esportazioni italiane ed il loro andamento recente segnala l’affievolirsi della capacità di recupero competitivo mostrata dal tessuto produttivo italiano dopo la crisi del 2009. Il Lazio ha, come noto, un peso limitato, sulle
esportazioni di beni conseguenza della contenuta presenza del settore industriale più che di
una minore vocazione specifica dello stesso. Negli ultimi anni è stato però caratterizzato da performance sistematicamente migliori di quelle nazionali (subendo meno della media la crisi del
2009 e crescendo a tassi eccezionalmente elevati nel 2010-2011 e conservando anche nel
2012 un maggiore dinamismo). I dati dei primi tre trimestri 2013 segnalano, invece, un andamento regionale stazionario in linea con quello nazionale (Tab. 2.10).
Tab. 2.10 - Andamento dell’export di beni nel Lazio e in Italia (2007-2013)
Italia
Lazio
Quota %
v.a. in miliardi
Var. %
v.a. in miliardi
Var. %
Lazio su
di euro correnti
annuale
di euro correnti
annuale
Italia
13,5
3,7%
2007
364,7
2008
369,0
1,2%
14,5
7,4%
3,9%
2009
291,7
-20,9%
11,9
-17,5%
4,1%
2010
337,3
15,6%
15,0
25,7%
4,4%
2011
375,9
11,4%
17,1
13,9%
4,5%
2012
389,7
3,7%
18,0
5,1%
4,6%
Primi tre trim. 2012
290,5
Primi tre trim. 2013
289,5
13,2
-0,3%
13,2
4,6%
-0,4%
4,6%
Fonte: elaborazione su dati Istat-Coeweb e Istat-Esportazioni regioni italiane
Il fulcro della componente dinamica continua ad essere il settore degli “articoli farmaceutici, chimico medicinali e botanici” le cui esportazioni sono cresciute a ritmi eccezionali (+33%
nel 2010, +10% nel 2011, +31% nel 2012, +20% nei primi tre trimestri 2013 a valori nominali) portando il peso del Lazio sul totale nazionale a salire dal 27,0% del 2009 al 36,2% del
2012 (ed al 36,6% nel 2013).
Questo significa, d’altra parte, che l’andamento del resto dell’export laziale di merci è, invece, tutt’altro che soddisfacente (Fig. 2.11): escludendo il farmaceutico il valore del 2012 (11,8
miliardi di euro) è inferiore di oltre 600 milioni a quello del 2011 (-5,1%) e nel primo seme51
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
stre 2013 si registra una contrazione ulteriore del -4,6%. Settori come “computer, apparecchi
elettronici ed ottici” che avevano dieci anni fa un peso importante si sono progressivamente
indeboliti; altri come i “mezzi di trasporto” dopo aver dato segni di ripresa nel 2011 hanno
fatto segnare consistenti variazioni negative sia nel 2012 che nel primo semestre di questo
anno; i prodotti chimici e petroliferi che avevano accompagnato il farmaceutico nella crescita
precrisi non hanno mostrato la stessa capacità di positiva reattività.
Fig. 2.11 - Andamento dell’esportazione di merci del Lazio (2003-2012)
20.000
18.000
valori in milioni di euro a prezzi correnti
16.000
14.000
12.000
10.000
8.000
6.000
4.000
2.000
0
2003 2004
Altri prodotti
2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012
Articoli farmaceutici, chimico-medicinali e botanici
Fonte: elaborazione Censis su dati Annuario Istat-ICE
Nel 2012, d’altra parte, sono notevolmente calate le importazioni regionali di beni dall’estero il cui valore dopo essere salito a 33,7 miliardi nel 2011 è sceso a 29,5 miliardi nel 2012
consentendo, insieme al progresso dell’export, di ridurre il saldo negativo di questa componente da 16,6 a 11,6 miliardi di euro. Anche sul fronte dei servizi il valore delle importazioni si è
ridotto scendendo da 13,3 a 11,8 miliardi di euro; la riduzione dell’export è stata molto più
contenuta (da 13,6 a 13,4 miliardi) e di conseguenza anche questo saldo è migliorato facendo registrare un attivo di 1,6 miliardi. Il buon andamento dell’interscambio estero può far supporre che la riduzione dell’incidenza attiva delle importazioni nette del 2011 possa non essere confermata nel 2012.
Nell’export laziale dei servizi ha, come noto, un peso rilevante la componente “viaggi”, ovvero le spese effettuate dai visitatori stranieri sul territorio regionale. Il 2012, da questo punto di
vista, è stato un anno di assestamento dopo la brillante ripresa del biennio 2010-2011; nel
2013 l’andamento è però tornato ad essere particolarmente positivo registrando una crescita di
quasi il 6% rispetto al 2012 che ha portato il valore finale a superare i 5,7 miliardi di euro
52
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CAPITOLO II - L’evoluzione recente
(Fig. 2.12). Va tuttavia rilevato che anche nel 2013 è proseguita la tendenza alla diminuzione
della spesa media per visitatore che rappresenta il vero fattore critico del turismo laziale riducendo (o annullando come nel caso del 2012) l’effetto positivo della crescita del numero dei
visitatori. Se si riuscisse a riportare la spesa per visitatore, scesa nel 2013 sotto i 500 euro, ai
valori monetari pre crisi l’effetto diretto (senza considerare il moltiplicatore) sarebbe di oltre
mezzo miliardo di euro.
34.800
5.800
33.600
5.600
32.400
5.400
31.200
5.200
30.000
5.000
28.800
4.800
27.600
4.600
2007
2008
2009
ITALIA (scala SX)
2010
2011
2012
LAZIO
ITALIA
Fig. 2.12 - Spese dei viaggiatori stranieri nel Lazio e in Italia (2007-2013, in milioni di euro correnti)
2013
LAZIO (scala DX)
Fonte: elaborazione Censis su dati Banca d’Italia-turismo internazionale
2.4. Le tensioni occupazionali
Come già era avvenuto in occasione della crisi del 2008-2009 anche nel 2012 la caduta
del Pil e del valore aggiunto si è tradotta in modo meno che proporzionale nella riduzione dell’input di lavoro utilizzato dal sistema produttivo regionale. A fronte della variazione del -2,3%
del valore aggiunto a prezzi concatenati, infatti, le unità di lavoro impiegate sono diminuite dai
2,386 milioni del 2011 ai 2,366 milioni del 2012, una contrazione di 20.000 unità corrispondente ad una variazione del -0,9%.
Il differente andamento delle due grandezze ha comportato una nuova riduzione della “produttività” misurata in termini di valore aggiunto per unità di lavoro, che ha sostanzialmente
annullato il recupero realizzato nel biennio 2010-2011 riportando l’indicatore espresso a prezzi costanti poco sopra il livello del 2009 che costituisce il minimo dell’ultimo quindicennio.
Come esemplificato dalla Fig. 2.13 già nella prima metà degli anni 2000 il valore aggiunto
per unità di lavoro aveva sostanzialmente smesso di crescere in termini reali nel Lazio e lo scar53
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
to rispetto alla media nazionale si era ridotto, ed anche il calo dell’ultimo quinquennio è stato
più sensibile a livello regionale che a livello nazionale.
Fig. 2.13 - Andamento del valore aggiunto per unità di lavoro nel Lazio e in Italia (1995-2012)
Migliaia di euro per unità di lavoro a prezzi
concatenati 2005
62,0
59,8
60,0
59,1
58,0
57,9
58,2
56,0
54,0
53,7
52,0
53,5
51,8
52,9
50,0
48,0
ITALIA
LAZIO
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - banca dati I.stat - Conti economici regionali
L’analisi per branche di attività economiche (Tab. 2.14) dei valori a prezzi concatenati evidenzia come il fenomeno della riduzione di produttività sia settorialmente differenziato:
• è stato particolarmente intenso nelle costruzioni (-3,8% nell’ultimo anno e -20,2% nel quinquennio) sovrapponendosi alla caduta del valore aggiunto e perciò limitandone (ma non
annullandone) gli effetti sul lavoro; si registra infatti, comunque, una rilevante caduta delle
unità di lavoro impiegate dalle 222.000 del 2010 alle 191.000 del 2012;
• si à aggravato nell’aggregato che comprende le attività commerciali e turistiche e quelle dei
servizi di trasporto e comunicazione (-4,2% nel 2012 e -12,8% nel confronto con il 2007),
consentendo però al comparto di contenere la contrazione del lavoro impiegato a fronte della
rilevante caduta del valore aggiunto;
• si è manifestato in forma più lieve negli altri servizi funzionali (-1,6% nel 2012 è +0,7 nel
confronto quinquennale) e solo nell’ultimo anno in quelli pubblici e collettivi (-0,4% nel
2012 e + 5,4% nel rapporto con il 2007) cioè nei comparti meno colpiti dalla riduzione del
valore aggiunto;
• non si è verificato affatto nell’industria, dove anzi la riduzione dell’impiego dell’input di lavoro è stata più sensibile di quella del valore aggiunto determinando una tendenza all’incremento della produttività (+1,0 nell’ultimo anno e + 6,0% nel quinquennio).
54
Amministrazione pubblica, servizi collettivi e altri servizi
45,7
60,3
Costruzioni
Commercio, alloggio e ristorazione, trasporti e comunicazione
61,7
Totale attività economiche
41,9
59,6
Costruzioni
Commercio, alloggio e ristorazione, trasporti e comunicazione
59,8
Totale attività economiche
58,9
43,6
110,9
54,9
39,8
60,1
26,8
63,0
46,5
122,0
56,4
45,6
64,5
25,9
57,9
44,1
113,7
52,3
36,3
59,8
25,9
62,8
47,7
124,7
55,1
43,9
66,2
23,9
58,3
44,5
113,3
53,1
34,9
61,9
26,9
63,2
48,7
126,0
54,7
42,0
66,9
24,8
2.401
778
384
752
222
202
64
2010
59,1
45,0
112,2
54,2
34,8
63,6
27,8
64,6
48,7
127,4
56,6
43,9
67,7
26,6
2.386
780
390
756
205
195
61
2011
58,2
44,9
110,4
51,9
33,4
64,3
26,7
64,7
48,9
127,5
55,1
43,7
70,5
26,5
2.366
781
395
757
191
183
59
2012
-2,7%
5,4%
0,7%
-12,8%
-20,2%
6,0%
8,2%
4,8%
11,7%
11,1%
-8,6%
-4,4%
11,6%
11,3%
-3,6%
-1,7%
0,4%
-3,0%
-2,0%
-17,4%
-1,6%
-0,4%
-1,6%
-4,2%
-3,8%
1,0%
-4,1%
0,1%
0,3%
0,1%
-2,7%
-0,6%
4,2%
-0,1%
-0,9%
0,1%
1,4%
0,2%
-6,6%
-6,6%
-3,0%
2011-2012
2007-2012
-14,7%
Var. %
Var. %
* attività finanziarie e assicurative; attività immobiliari; attività professionali, scientifiche e tecniche; amministrazione e servizi di supporto
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - banca dati I.stat - Conti economici regionali
42,6
Amministrazione pubblica, servizi collettivi e altri servizi
109,6
60,7
Industria escluse costruzioni
Servizi funzionali (esclusi trasporti e comunicazioni)*
24,7
Agricoltura, silvicoltura e pesca
Valore aggiunto per unità di lavoro a prezzi concatenati 2005 (in migliaia di euro)
43,7
Amministrazione pubblica, servizi collettivi e altri servizi
114,7
63,2
2.405
778
383
769
215
195
65
2009
11:25
Servizi funzionali (esclusi trasporti e comunicazioni)*
23,8
Industria escluse costruzioni
2.426
774
395
779
198
216
65
2008
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Agricoltura, silvicoltura e pesca
Valore aggiunto per unità di lavoro a prezzi correnti (in migliaia di euro)
2.454
794
Servizi funzionali (esclusi trasporti e comunicazioni)*
Totale attività economiche
781
393
trasporti e comunicazione
Commercio, alloggio e ristorazione,
195
Costruzioni
69
221
Industria escluse costruzioni
Agricoltura, silvicoltura e pesca
Unità di lavoro in migliaia di unità
2007
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CAPITOLO II - L’evoluzione recente
Tab. 2.14 - Unità di lavoro e valore aggiunto unitario per branche di attività economiche nel Lazio (2007-2012)
55
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
Non è possibile, allo stato, sapere se – all’interno delle branche particolarmente colpite – la ricaduta del 2012 sia ascrivibile ad uno spostamento dell’impiego del lavoro verso attività unitariamente meno produttive o se sia dovuta ad un abbassamento nell’ambito di ogni singola attività.
In particolare nel caso del comparto commercio-turismo-trasporti-comunicazioni va ricordato che si tratta di un aggregato estremamente ampio e totalmente disomogeneo dal punto di
vista dei modelli produttivi prevalenti; basti considerare che, a valori correnti del 2011, il valore aggiunto per unità di lavoro raggiunge i 110.000 euro per i servizi di comunicazione, si attesta sui 57.000 euro per il trasporto e magazzinaggio e scende a 45.000 euro nel caso del commercio ed a 40.000 euro nelle attività di alloggio e ristorazione. Si può comunque osservare
che nella precedente fase critica (2008-2009) la caduta della produttività si era concentrata
in modo particolare sui due settori che avevano subito il calo più consistente del valore aggiunto, era stata cioè molto più sensibile nel commercio e nei trasporti che nelle attività di alloggio
e ristorazione e nelle comunicazioni.
Il caso delle costruzioni è ovviamente più omogeneo e sembra avere un carattere più strutturale. Il settore è in calo di valore aggiunto reale dal 2006 ma fino al 2010 ha visto aumentare la stima statistica delle unità di lavoro impiegate che si sono ridotte in modo significativo
solo nell’ultimo biennio, la riduzione della produttività è stata continua sia nella prima che nella
seconda fase.
Se la caduta del valore aggiunto del 2012 ha provocato una riduzione più contenuta delle
unità di lavoro complessivamente impiegate, l’impatto immediato sul numero totale degli occupati nel sistema produttivo del Lazio è stato, apparentemente, inesistente.
Secondo i conti economici regionali, infatti, la media annuale degli occupati nell’insieme
delle attività economiche è rimasta sostanzialmente inalterata nel 2012 (2.529.000 unità)
rispetto al 2011 (2.531.000 unità); più in generale il calo di oltre il 6% del valore aggiunto in
cinque anni di crisi non avrebbe prodotto una riduzione significativa della occupazione (appena 4.000 unità in meno rispetto al 2007) (Tab. 2.15).
Come si vedrà meglio più avanti, esaminando i dati trimestrali dell’indagine forze lavoro,
questa dinamica sembra essersi modificata a partire dalla fine dello scorso anno, ma fino al
2012 ci si deve confrontare con l’apparente paradosso di una crisi che non produce diminuzione dell’occupazione. Il fenomeno è spiegato solo in parte dalla riduzione della produttività
aggregata precedentemente esaminata, restando da capire perché il numero degli occupati non
si sia ridotto a fronte di una contrazione, che comunque c’è stata, della quantità di lavoro
impiegata.
A spiegare la pregressa mancata riduzione del numero degli occupati concorrono diversi fattori:
• l’ampiezza del ricorso agli ammortizzatori sociali (in primo luogo cassa integrazione guadagni);
• la crescita del lavoro a tempo parziale;
• la scelta iniziale delle imprese (soprattutto piccole e medie) di accettare una contrazione dei
margini per salvaguardare il proprio capitale umano.
56
Unità di lavoro per occupato
1,375
Unità di lavoro per occupato
Unità di lavoro per occupato
1,008
Unità di lavoro per occupato
Unità di lavoro per occupato
0,936
Unità di lavoro per occupato
Unità di lavoro per occupato
742
0,870
889
0,933
424
1,050
0,864
901
0,940
407
1,047
735
0,999
215
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - banca dati I.stat - Conti economici regionali
899
0,884
Numero occupati in migliaia
Amministrazione pubblica, servizi collettivi e altri servizi
420
Numero occupati in migliaia
Servizi funzionali (esclusi trasporti e comunicazioni)
739
1,057
Numero occupati in migliaia
0,998
198
0,926
211
1,334
49
0,955
2.517
2009
0,858
907
0,942
407
1,035
727
1,001
222
0,915
220
1,356
47
0,949
2.530
2010
0,851
917
0,937
416
1,026
737
1,003
204
0,917
213
1,356
45
0,943
2.531
2011
0,842
927
0,935
422
1,019
743
1,001
191
0,908
201
1,328
45
0,935
2.529
2012
3,2%
0,5%
0,6%
-1,2%
-13,0%
-11,7%
1,1%
1,5%
0,9%
-6,3%
-5,7%
-0,9%
-0,1%
2011-2012
2007-2012
-0,1%
Var. %
Var. %
11:25
Commercio, alloggio e ristorazione, trasporti e comunicazione
193
0,955
226
1,352
48
0,960
2.527
2008
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Numero occupati in migliaia
Costruzioni
231
0,956
Numero occupati in migliaia
Industria escluse costruzioni
50
Numero occupati in migliaia
Agricoltura, silvicoltura e pesca
2.533
0,969
Numero occupati in migliaia
Totale attività economiche
2007
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CAPITOLO II - L’evoluzione recente
Tab 2.15 - Numero di occupati e rapporto con le unità di lavoro nel Lazio per settori (2007-2012)
57
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
Il primo fattore è di rilievo nazionale. Nel Lazio, come d’altronde nel resto d’Italia, il numero di ore autorizzate di CIG ha fatto un balzo verso l’alto negli anni della crisi passando dai circa
15 milioni del 2008 agli 86 milioni del 2012 (Fig. 2.16). In termini di occupati equivalenti
(calcolando approssimativamente 2.000 ore annue per un occupato a tempo pieno) ciò ha
significato passare da meno di 8.000 a quasi 43.000 unità potenziali (al lordo della correzione per l’effettivo utilizzo della cassa). La crescita della CIG può dunque aver assorbito (e nascosto statisticamente) una riduzione di unità lavorative effettivamente impiegate che può prudenzialmente arrivare, tenendo conto dell’effettivo “tiraggio”, a circa 20.000 unità.
1.200,0
120,0
1.000,0
100,0
800,0
80,0
600,0
60,0
400,0
40,0
200,0
20,0
Lazio, milioni di unità
Resto d'Italia, milioni di unità
Fig. 2.16 - Andamento delle ore autorizzate di cassa integrazione nel Lazio e nel resto d’Italia (2005-2012)
0,0
0,0
2005
2006
2007
2008
Resto d'Italia (scala SX)
2009
2010
2011
2012
LAZIO (scala DX)
Fonte: elaborazione Censis su dati INPS
Il secondo fattore ha una specifica valenza regionale. La quota di occupati a tempo parziale è stata tradizionalmente più elevata nel Lazio che nella media del resto d’Italia. Questo differenziale, che stava riducendosi nei primi anni 2000, è tornato ad allargarsi significativamente con la crisi: tra il 2008 ed il 2012 è stato l’incremento degli occupati a tempo parziale
(+90.000 unità) a “compensare” la riduzione di quelli a tempo pieno (-86.000 unità) e ciò ha
portato la quota degli occupati part time sul totale a salire dal 15,3% al 19,3% del totale
(Tab. 2.17). Anche in questo caso, attraverso un primo calcolo approssimativo effettuato attribuendo alla occupazione parziale un peso convenzionale pari alla metà di quello a tempo pieno,
è possibile stimare in circa 40.000 unità lavorative la riduzione occupazionale effettiva sottostante all’incremento del tempo parziale.
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CAPITOLO II - L’evoluzione recente
Tab. 2.17 - Occupati del Lazio per posizione nella professione e tipologia di orario (2007-2012)
2007
2008
2009
2010
2011
2012
Differenza
2008-2012
Valori in migliaia di unità
Dipendenti a tempo pieno
1.411
1.464
1.483
1.453
1.434
1.395
-70
Indipendenti a tempo pieno
473
437
420
433
430
421
-16
Dipendenti a tempo parziale
252
256
258
291
311
344
88
79
88
80
80
78
91
2
2.215
2.246
2.241
2.257
2.253
2.250
4
Indipendenti a tempo parziale
Totale occupati
Valori %
Quota tempo parziale sul totale nel Lazio
14,9%
15,3%
15,1%
16,4%
17,3%
19,3%
4,0%
Quota tempo parziale sul totale nel resto d’Italia
13,6%
14,3%
14,3%
15,0%
15,5%
17,1%
2,8%
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - banca dati I.stat - Indagine Forze Lavoro
I due fattori considerati hanno, dunque, un impatto rilevante che può essere prudenzialmente valutato in una quota poco inferiore al 3% dell’input di lavoro regionale complessivo; un
risultato compatibile con quello ricavabile dai conti economici regionali secondo i quali il
numero di unità di lavoro impiegate nel Lazio si è ridotto del -3,6% tra il 2007 ed il 2012 (poco
meno di 90.000 unità in valore assoluto).
La maggiore “spalmatura” del lavoro disponibile tra gli occupati è esemplificata dall’andamento dell’indicatore “unità di lavoro per occupato” il cui valore aggregato è sceso nel Lazio
da 0,969 nel 2007 a 0,935 nel 2012; una riduzione che è stata particolarmente significativa
nell’industria (da 0,956 a 0,908), nei servizi collettivi pubblici e privati (da 0,884 a 0,842) e
nel comparto commercio-turismo-trasporti-comunicazioni (da 1,057 a 1,019) mentre risulterebbe aver coinvolto di meno le costruzioni e gli altri servizi funzionali.
Ponendo a confronto la distribuzione degli occupati per branche stimata nei conti economici regionali del 2002, 2007 e 2012 si ha un quadro di sintesi dell’evoluzione occupazionale
dell’ultimo decennio così come stimate in sede di conti economici regionali (Tab. 2.18). Il primo
quinquennio, oltre ad essere stato di crescita, è stato anche caratterizzato da un rilevante spostamento degli equilibri con la particolare crescita del comparto costituito da commercio-turismo e trasporti-comunicazioni dove gli occupati sono aumentati di oltre 100.000 unità. Nel
secondo quinquennio la stasi complessiva si è tradotta essenzialmente nel bilanciamento tra il
saldo negativo dell’industria (30.000 occupati in meno) e quello positivo dei servizi pubblici e
collettivi e alle famiglie (28.000 occupati in più).
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
Tab. 2.18 - Occupati nel sistema produttivo laziale per branche di attività economica (2002, 2007, 2012), valori
in migliaia di unità
2002
Agricoltura, silvicoltura e pesca
66,1
2007
2012
50,4
44,5
Differenza
Differenza
2002-2007
2007-2012
-15,7
-5,9
Industria escluse costruzioni
230,9
231,1
201,0
0,2
-30,1
Costruzioni
148,6
193,4
191,0
44,8
-2,4
Commercio, alloggio e ristorazione, trasporti e comunicazione
637,7
739,1
743,4
101,4
4,3
Servizi funzionali (esclusi trasporti e comunicazioni)*
343,3
420,2
422,2
76,9
2,0
Amministrazione pubblica, servizi collettivi e altri servizi
Totale attività economiche
842,8
898,5
926,9
55,7
28,4
2269,4
2532,7
2529,0
263,3
-3,7
* attività finanziarie e assicurative; attività immobiliari; attività professionali, scientifiche e tecniche; amministrazione
e servizi di supporto
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - banca dati I.stat - Conti economici regionali
L’aggiornamento delle indagini sulla forza lavoro segnala che l’apparente tenuta complessiva
della occupazione è però venuta meno negli ultimi mesi. Gli occupati residenti in regione nel terzo
trimestre del 2013 sono 2,175 milioni, 51.000 in meno di quelli stimati nello stresso periodo del
2012. La curva dell’andamento tendenziale ha cominciato dall’inizio di questo anno a piegare decisamente verso il basso, seguendo con un ritardo di un trimestre l’andamento nazionale (Fig. 2.19).
Fig. 2.19 - Andamento tendenziale del numero degli occupati nel Lazio e in Italia (numero indice terzo trim.
102
101
100
99
98
97
96
95
94
T4-2007
T1-2008
T2-2008
T3-2008
T4-2008
T1-2009
T2-2009
T3-2009
T4-2009
T1-2010
T2-2010
T3-2010
T4-2010
T1-2011
T2-2011
T3-2011
T4-2011
T1-2012
T2-2012
T3-2012
T4-2012
T1-2013
T2-2013
T3-2013
Numero indice delle medie mobili a quattro termini,
terzo trim.2008=100
2008=100 delle medie mobili a quattro termini, 2007-2013)
LAZIO
ITALIA
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - banca dati I.stat - Indagine Forze Lavoro
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CAPITOLO II - L’evoluzione recente
È la prima volta che ciò accade. Fino a tutto il 2012 il numero degli occupati regionali rilevato dalla indagine forza lavoro si era mantenuto sostanzialmente stabile (come quello riportato nei conti regionali), in contrasto con quanto avvenuto nel resto d’Italia dove, tra il 2009 e il
2010, si era registrata una contrazione di oltre due punti percentuali.
La distribuzione settoriale del recente calo occupazionale rilevato dalle indagini forza lavoro per il 2013 differisce profondamento da quella che è emersa dai dati dei conti economici
per il quinquennio 2007-2012 (Tab. 2.20):
• l’emorragia occupazionale dell’industria sembra essersi arrestata o fortemente ridotta (gli
occupati nel settore nella media dei primi tre trimestri 2013 sono 227.000, come nello stesso periodo del 2012) mentre si è aggravata quella delle costruzioni (altri 20.000 occupati in
meno);
• continua nel complesso a tenere il comparto commercial-turistico (che è risalito nel trimestre
primaverile “di picco” sopra i 450.000 occupati) mentre l’aggregato degli altri servizi (che
comprende servizi funzionali, pubblica amministrazione e servizi collettivi e alle famiglie) presenta un saldo negativo di oltre 30.000 unità nel confronto tendenziale, limitato dal punto
di vista percentuale ma significativo perché relativo ad attività fino a questo momento quasi
immuni dalle riduzioni occupazionali.
Tab. 2.20 - Occupati del Lazio per settori (2012-2013), valori in migliaia di unità
Agricoltura
Media primi
Media primi
tre trim. 2012
tre trim. 2013
Differenza
39
42
3
Industria escluse costruzioni
227
227
0
Costruzioni
175
155
-21
Commercio, alberghi e ristoranti
437
436
-1
Altri servizi
1.375
1.342
-32
Totale
2.253
2.202
-51
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - banca dati I.stat - Indagine Forze Lavoro
2.5. Il mercato del lavoro
Durante il quadriennio 2008-2012 nel Lazio, mentre il numero degli occupati rimaneva
sostanzialmente costante, l’ammontare dei disoccupati è considerevolmente cresciuto passando da 182.000 a 271.000 unità determinando la crescita del tasso di disoccupazione dal
7,5% al 10,8% (Tab. 2.21).
Che l’andamento dei due aggregati non sia necessariamente simmetrico è noto: variabili
demografiche, sociali e comportamentali ed economiche incidono nel determinare il numero
delle persone che agiscono in modo tale da poter essere considerate come “in cerca di lavoro”.
L’aumento del numero dei disoccupati in presenza di un’occupazione costante può essere
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
ricondotto innanzitutto alla componente “demografica”, ovvero alla crescita della numerosità
della popolazione residente di riferimento in età lavorativa che, a parità di altre condizioni,
determina “fisiologicamente” un incremento della forza lavoro il quale a sua volta, se non trova
sbocco nella crescita della occupazione, si trasforma in disoccupazione aggiuntiva. Questo è
certamente avvenuto nel Lazio, dove la popolazione residente in età lavorativa è costantemente aumentata nel corso del quinquennio, ma non in misura tale da spiegare l’intera crescita
della disoccupazione; la quota dei disoccupati in rapporto al totale della popolazione in età attiva (al lordo degli occupati over 65) è infatti costantemente cresciuta nel periodo considerato
(con la sola eccezione del 2011) passando dal 4,9% al 7,1%.
Tab. 2.21 - Evoluzione del mercato del lavoro nel Lazio (2008, 2012)
Occupati
Disoccupati
2008
2012
v.a. in migliaia
2.246
2.250
% sul totale*
60,5%
59,0%
182
271
4,9%
7,1%
200
234
v.a. in migliaia
% sul totale*
Inattivi disponibili
v.a. in migliaia
% sul totale*
5,4%
6,1%
v.a. in migliaia
1.082
1.061
% sul totale*
29,2%
27,8%
Totale*
v.a. in migliaia
3.710
3.816
*compresi occupati over 65
% sul totale*
100,0%
100,0%
Tasso occupazione
%
60,2
58,6
Tasso disoccupazione
%
7,5
10,8
Tasso attività
%
65,1
65,7
Tasso mancata part. al lavoro**
%
14,6
18,4
Altri inattivi
Differenza
4
89
34
-21
106
**disoccupati + inattivi disp.
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - banca dati I.stat - Indagine Forze Lavoro
Un’altra parte della crescita può essere spiegata con la componente “sociale-comportamentale” che può modificare gli equilibri tra le due categorie “contigue” dei disoccupati e degli
“inattivi disponibili a lavorare che non cercano attivamente lavoro” (di cui studi recenti hanno
evidenziato la similarità delle frequenze dei percorsi di transizione al lavoro); la quota di questi ultimi sul totale della popolazione in età attiva risulta infatti essere anche essa, sia pure più
lievemente, cresciuta dal 5,4% del 2008 al 6,1% del 2012. In effetti i dati (ed in particolare
la riduzione della quota degli “altri inattivi”) sembrano indicare come la crisi abbia prodotto
più un “effetto bisogno” (che può spingere gli inattivi a dichiararsi disponibili o a passare alla
ricerca attiva di lavoro) che un effetto “scoraggiamento” (che induce i disoccupati a rinunciare alle azioni attive di ricerca), ma anche questo elemento non sembra sufficiente.
Insieme alle due precedenti ha però svolto un ruolo anche la componente più strettamente
economica. I dati delle indagini forza lavoro evidenziano che prima della crisi i disoccupati
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CAPITOLO II - L’evoluzione recente
laziali erano composti in parti quantitativamente simili da “ex occupati”, “disoccupati senza
esperienza” e “ex inattivi”. Tra i 270.000 disoccupati del 2012 prevalgono, invece, gli “ex
occupati” (saliti a 130.000) mentre le altre due componenti hanno avuto una crescita molto
più contenuta (Fig. 2.22). È dunque ragionevole ipotizzare che, al di sotto della stabilità del
numero complessivo degli occupati, vi sia stato un rilevante avvicendamento nella loro composizione e che la quota di coloro che si collocano tra i disoccupati dopo aver perso il lavoro sia
superiore alla quota di coloro che si collocavano tra i disoccupati prima di trovarlo.
Non è questa la sede per un’analisi specifica delle dinamiche sopra accennate, ciò che appare rilevante è sottolineare che – anche nella fase in cui l’ammontare degli occupati complessivamente ha
tenuto – la criticità sociale della disoccupazione è aumentata in misura considerevole ponendo il sistema produttivo di fronte ad una crescente offerta di lavoro cui non è stato in grado di rispondere.
La situazione è ulteriormente peggiorata nell’ultimo periodo, quando al perdurare della spinta dal lato dell’offerta si è sovrapposta l’esplicita contrazione della domanda. Nel confronto tra
le medie dei primi tre trimestri 2012 e 2013 si riscontra infatti un calo dell’occupazione di
51.000 unità cui si contrappone un incremento dei disoccupati di 55.000 cui si aggiunge una
variazione incrementale di 15.000 unità di “inattivi disponibili” (Tab. 2.23): il tasso di disoccupazione (media dei tre trimestri) è salito al 12,3% (contro il 10,1% dei primi tre trimestri
del 2012) e quello di mancata partecipazione al lavoro è passato dal 18,0% al 20,4%.
La criticità della situazione sociale regionale si è dunque aggravata in modo consistente
negli ultimi mesi.
Fig. 2.22 - Disoccupati per condizione professionale nel Lazio (2007-2012)
300,0
disoccupati senza
esperienza di
lavoro
disoccupati exoccupati
200,0
Migliaia di unità
disoccupati exinattivi
250,0
150,0
100,0
50,0
0,0
2007
2008
2009
2010
2011
2012
disoccupati senza
esperienza di lavoro
51,4
53,2
61,3
67,3
65,0
73,0
disoccupati ex-inattivi
43,5
50,9
48,7
60,0
62,7
68,3
disoccupati ex-occupati
56,0
78,2
98,1
104,3
91,2
129,9
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - banca dati I.stat - Indagine Forze Lavoro
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
Tab. 2.23 - Evoluzione del mercato del lavoro nel Lazio (2012-2013)
Media primi
Media primi
tre trim. 2012
tre trim. 2013
v.a. in migliaia
2.253
2.202
% sul totale*
59,1%
57,3%
254
309
6,7%
8,0%
241
256
6,3%
6,7%
v.a. in migliaia
1.066
1.074
% sul totale*
27,9%
28,0%
3.814
3.840
100,0%
100,0%
Differenza
Occupati
-51
Disoccupati
v.a. in migliaia
% sul totale*
55
Inattivi disponibili
v.a. in migliaia
% sul totale*
15
8
Totale*
*compresi occupati over 65
v.a. in migliaia
% sul totale*
27
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - banca dati I.stat - Indagine Forze Lavoro
2.6. L’universo delle imprese
Come evidenziato nel capitolo dedicato al confronto intercensuario, il Lazio ha confermato,
anche in un decennio difficile come quello che va dal 2001 al 2011, di essere una regione particolarmente caratterizzata dalla vitalità imprenditoriale che ha portato il numero totale delle
imprese dell’industria e dei servizi censite nel Lazio a salire a circa 426.000, con un ammontare di addetti ad esse facenti capo che supera gli 1,8 milioni (oltre l’11% del totale nazionale).
Una parte consistente di questo universo (circa 236.000) è costituita da “attività economiche personali” (imprese con uno o due addetti) organizzate in forma individuale (imprenditori
individuali, liberi professionisti e lavoratori autonomi) cui si aggiungono altre 70.000 imprese
di analoghe dimensioni organizzate in forma societaria. Tra di esse è certamente presente una
forma di autorganizzazione del lavoro flessibile, in qualche modo “forzata” dalla configurazione del mercato del lavoro, ma la parte prevalente è costituita da esperienze imprenditoriali o
professionali sviluppate (indipendentemente dalla motivazione originaria) con spirito di intrapresa e capacità di adattamento da persone che intorno ad esse hanno costruito (o ricostruito)
le proprie prospettive economiche ed identità sociali.
Il Lazio risulta essere anche sede di circa 400 grandi e mega imprese (più di 250 addetti)
cui fanno capo oltre 700.000 addetti; si tratta in prevalenza di aziende di servizi che hanno a
Roma la propria sede centrale e sono spesso organizzativamente ramificate al di là del territorio
regionale. La loro presenza contribuisce a dare qualità al sistema produttivo regionale, ne accre64
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CAPITOLO II - L’evoluzione recente
sce la produttività ed è fondamentale per la sua proiezione esterna nazionale e internazionale.
Al centro della scala dimensionale si collocano le 85.000 micro, piccole e medie imprese
(da 3 a 249 addetti) ed i loro 750.000 addetti, gran parte dei quali presumibilmente attivi sul
territorio regionale. Come già rilevato nel capitolo precedente a questa fascia che è dovuta la
parte più consistente del saldo positivo intercensuario, essendo il numero degli addetti alle
imprese di questa dimensione cresciuto in dieci anni di 157.000 unità, ovvero di oltre il 25%.
Sono queste 85.000 entità economiche dell’industria, del commercio e dei servizi – spesso organizzate in forma artigiana – che innervano il territorio di una vitalità produttiva che la
crisi non è ancora riuscita a spegnere. Ad animarle sono sempre più spesso protagonisti nuovi:
giovani, donne e persone non nate in Italia che inseriscono la loro vitalità su un tessuto di capacità di lavoro e di organizzazione dell’attività che è stato progressivamente costruito nel secondo cinquantennio dello scorso secolo.
I dati dell’archivio Infocamere sembrano indicare che nemmeno la seconda crisi, abbattutasi con violenza sull’economia laziale a partire dalla fine del 2011 e drammatizzatasi negli
ultimi mesi, sia riuscita a spegnere questa vitalità, pur avendola certamente indebolita.
Nel 2013 il flusso di imprese iscritte è stato poco superiore alle 42.000 unità, lievemente
superiore (+1,0%) a quello registrato nel 2012. A testimoniare la criticità del momento sta,
però, l’incremento delle cessazioni (non d’ufficio) salite a quota 33.478 contro le 32.269 dell’anno precedente (un aumento del 3,75%) (Fig. 2.24).
Fig. 2.24 - Iscrizioni e cancellazioni* di imprese nel Lazio (2007-2013)
50.000
Iscrizioni
45.000
Cancellazioni
Valore assoluto
40.000
35.000
30.000
25.000
20.000
15.000
10.000
5.000
0
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
Fonte: elaborazione Censis su dati Unioncamere-Movimprese
La distribuzione per settori economici indica (Tab. 2.25):
• una concentrazione dell’incremento delle cessazioni accompagnato da una riduzione delle
nuove iscrizioni nell’agricoltura, nei servizi professionali nelle attività di trasporto magazzi65
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
naggio e nell’industria non manifatturiera che appaiono dunque, dal punto di vista della consistenza imprenditoriale i settori in maggiore difficoltà;
• nel commercio, nelle attività di alloggio e ristorazione, nei servizi alle persone e nelle attività immobiliari (oltre che tra le imprese non classificate) l’incremento delle cessazioni si
accompagna a quello delle nuove iscrizioni, il che prefigura comunque una situazione di tensione imprenditoriale;
• nelle costruzioni, nei servizi di informazione e comunicazione e nei servizi collettivi il flusso
di cessazioni si contrae ma quello delle nuove iscrizioni si riduce in modo ancora più consistente segnalando una riduzione degli spazi di opportunità;
• le cose sembrano andare meglio, da questo punto di vista, nelle attività manifatturiere, nei
servizi finanziari e assicurativi, nelle attività di intrattenimento e nei servizi di supporto alle
imprese dove diminuiscono i flussi passivi e aumentano quelli attivi.
L’indagine congiunturale effettuata trimestralmente dal Censis per conto di Unioncamere
Lazio su di un campione di 1.200 imprese del Lazio indica il perdurare per tutto il 2013 di un
clima negativo sia rispetto alla valutazione degli andamenti che rispetto alle aspettative.
In particolare le stime sull’andamento del fatturato nel quarto trimestre 2013 (-5,7%) risultano peggiori di quelle calcolate nello stesso periodo dell’anno precedente (-2,8%), più contenuto lo scarto relativo alla valutazione degli ordini e sostanzialmente stabili le valutazioni (negative) sull’andamento della occupazione.
Dal punto di vista strettamente congiunturale (confronto con il trimestre precedente, Tab.
2.26) si coglie tuttavia un lieve allentamento delle tensioni negative: la quota delle imprese che
reputano di trovarsi in una fase di mercato di ridimensionamento pur rimanendo elevata
(39,5%) è inferiore a quella registrata nel trimestre precedente (47,7%), rimane molto limitata, anche se in aumento, la quota delle imprese che si considerano in fase di crescita (8,1%
contro 5,1% del terzo trimestre 2013). Il bilancio complessivo del 2013 è negativo per la maggioranza delle imprese. Particolarmente negative sono le percezioni delle imprese del commercio il 50,1% delle quali si colloca in una fase di mercato di ridimensionamento, la percentuale sale al 63,3% nelle valutazioni sull’andamento del fatturato.
Anche le aspettative congiunturali per i primi tre mesi del 2014 rimangono prevalentemente negative pur in misura lievemente inferiore al trimestre precedente: la quota di imprese che
prevedono una diminuzione del fatturato nel trimestre successivo passa infatti dal 40,9% al
36,9%, le previsioni negative sulla occupazione coinvolgono il 26,5% del campione (contro il
29,5% del trimestre precedente), e quelle sull’andamento in calo degli utili sono condivise dal
41,6% delle aziende contro il 51,7%; da questo punto di vista il maggiore pessimismo è rilevabile nel settore dell’edilizia.
Rimane, infine, elevatissima (tre quarti delle imprese intervistate) la diffusione di un’aspettativa negativa sul contesto economico generale.
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CAPITOLO II - L’evoluzione recente
Tab. 2.25 - Iscrizioni e cancellazioni* di imprese per settori nel Lazio (2012 e 2013)
2012
2013
Differenza 2012-2013
iscritte
cancellate
iscritte
cancellate
iscritte
cancellate
Agricoltura
1.647
2.685
1.222
2.923
-425
238
Att. professionali, scientif. e tecn.
1.265
1.377
1.026
1.496
-239
19
602
1.059
551
1.145
-51
86
58
80
45
96
-13
16
Commercio, rip. veicoli
6.613
9.621
6.955
9.959
342
338
Altri servizi alle persone
1.047
1.578
1.061
1.667
14
89
Alloggio e ristorazione
1.491
2.383
1.584
2.413
93
30
478
909
516
921
38
12
19.073
2.946
19.997
3.426
924
480
Trasporto e magazzinaggio
Altre att. industriali
Att. immobiliari
Altre e non classificate
Costruzioni
4.258
5.497
3.647
5.227
-611
-270
Informazione e comunicazione
721
1.140
690
1.105
-31
35
Sanità, ass. sociale, istruzione
169
315
151
275
-18
-40
Att. manifatturiere
940
2.007
953
1.962
13
-45
Arte, sport, intrattenimento
327
500
343
472
16
-28
Serv. supporto alle imprese
2.356
1.573
2.492
1.553
136
-20
613
1.035
830
896
217
-139
41.658
34.705
42.063
35.536
405
831
Finanza e assicurazioni
Totale
*escluse cancellazioni d’ufficio
Fonte: elaborazione Censis su dati Infocamere
Tab. 2.26 - Valutazioni e aspettative delle imprese del Lazio (III e IV trimestre 2013)
Terzo trimestre
Quarto trimestre
2013
2013
47,7%
39,5%
40,9%
36,9%
74,0%
73,1%
Quota di imprese che giudicano di
“ridimensionamento” la propria fase di mercato
Quota di imprese che prevedono una diminuzione
del fatturato nel trimestre successivo
Quota di imprese che formulano una previsione negativa
sul “contesto economico generale” nei prossimi mesi
Fonte: indagine Censis-Unioncamere Lazio
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3. UN NUOVO SCENARIO
3.1. Il lungo ciclo dello sviluppo articolato
I censimenti forniscono, con cadenza decennale, una fotografia della struttura produttiva di un
paese o di un territorio. La sequenza dei Conti Economici, disponibili a livello regionale in due
serie omogenee in parte sovrapponibili riferite rispettivamente ai periodi 1980-2005 e 19952011, offrono anno per anno una stima delle principali grandezze economiche. Sovrapponendo le
due fonti si può ricostruire il percorso evolutivo dell’economia regionale nell’ultimo trentennio.
La figura 3.1 dà la misura della crescita economica regionale nel quarto di secolo che va dal
1980 al 2007 (evidenziando la fase di stasi dei primi anni ’90) che aveva portato al raddoppio del valore reale del Pil prima dell’inizio della crisi in corso. I tassi annuali di crescita, a partire dagli anni ’90, sono certamente modesti soprattutto se paragonati a quelli delle economie
più dinamiche; ma questo è un fenomeno che riguarda l’intera nazione ed anzi la successiva
figura 3.2 consente di individuare le fasi (dal 1980 al 1987 e dal 2000 al 2004) in cui la regione è cresciuta più della media nazionale, accrescendo la quota sul Pil italiano.
Prima dell’esplodere della crisi il Lazio ha vissuto una lunga stagione di progresso economico con ritmi di sviluppo superiori a quelli della media del Paese. Tra il 1980 ed il 2004 – periodo per il quale si dispone di una serie storica omogenea – la variazione del Pil è sempre stata
positiva (con l’unica eccezione del 1993) e l’incidenza della regione sul Pil nazionale è cresciuta dal 9,0% ad oltre il 10,5%.
Questo trend è stato determinato da un concorso di fattori che hanno influenzato la composizione articolata della base produttiva regionale in forma tale da consentirle di mantenere
un’inerzia positiva nelle diverse fasi congiunturali:
• il continuo, ancorché disordinato, sviluppo urbanistico-demografico che ha alimentato i settori delle costruzioni, del commercio e dei servizi alle famiglie;
• la presenza stabilizzante dell’amministrazione e dei servizi pubblici e collettivi nonché dei
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
saldi positivi dei flussi turistici;
• l’articolazione dei settori industriale (non solo manifatturiero) e agricolo che ha favorito l’assorbimento del declino dei grandi insediamenti e delle crisi settoriali;
• la consistente e qualificata presenza dei servizi funzionali, sia “grandi” (ICT, logistica, finanza) che più frammentati (supporto alle imprese, attività professionali e immobiliari);
• l’autonoma vitalità di alcune aree regionali, infine, ha aiutato ad evitare che le dinamiche di
crescita si concentrassero esclusivamente nell’area metropolitana romana.
Fig. 3.1 - Andamento del Prodotto Interno Lordo del Lazio dal 1980 al 2011 (valori in milioni di euro a prezzi 2012*)
180.000
160.000
140.000
120.000
100.000
80.000
60.000
40.000
2010
serie 1980-2004
* calcolati con l’indice di adeguamento del valore della moneta
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - Conti Economici Regionali, varie edizioni
Fig. 3.2 - Andamento della quota % del Pil del Lazio sul totale nazionale (1980-2011)
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - Conti Economici Regionali, varie edizioni
70
2011
2009
2007
2008
2005
2006
2003
2004
2002
2000
2001
1999
1998
1996
1997
1995
1993
serie 1995-2011
1994
1992
1990
1991
1988
1989
1986
1987
1985
1983
1984
1982
0
1980
20.000
1981
Valori in milioni di euro a prezzi 2012
200.000
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CAPITOLO III - Un nuovo scenario
Come rappresentato dalla Fig. 3.3 la composizione del valore aggiunto regionale nel ventennio 1981-2001 evidenzia il progressivo slittamento (almeno fino a metà degli anni ’90) a favore del settore che – nella classificazione allora utilizzata – comprendeva finanza, attività professionali e di servizi alle imprese la cui incidenza è salita nel periodo considerato dal 21% al 30%.
Il confronto intercensuario del numero fornisce indicazioni più mirate sulla crescita o declino delle diverse attività economiche nel corso dei decenni.
Tra il 1981 ed 1991, a fronte di una crescita reale di oltre il 50% del Pil, il numero complessivo degli addetti alle unità locali di imprese e istituzioni dell’industria e dei servizi è salito da 1,388 a 1,528 milioni (comprese le amministrazioni pubbliche). Protagoniste emergenti del saldo positivo di oltre 140.000 unità sono attività come:
• i servizi all’epoca totalmente innovativi come la “fornitura di software e consulenze informatiche” e l’“elaborazione elettronica dei dati”, nemmeno computate nel 1981, che superano
nel 1991 i 23.000 addetti;
• i servizi professionali come quelli di ricerca e sviluppo o consulenziali che passano da meno
di 30.000 a quasi 45.000 addetti;
• i servizi operativi come le pulizie o le mense (da meno di 12.000 a quasi 25.000);
• altre attività terziarie come le “telecomunicazioni”, gli “altri servizi finanziari” e le “attività
immobiliari conto terzi” che crescono ciascuna di oltre 4.000 unità.
Fig. 3.3 - Evoluzione della composizione % del valore aggiunto* del Lazio tra il 1981 ed il 2001
100%
Agricoltura, silvicoltura e
pesca
90%
80%
Industria in senso stretto
70%
Costruzioni
60%
Commercio, riparazioni,
alberghi e ristoranti,
trasporti e comunicazioni
50%
40%
Altre attività di servizi
30%
Intermediazione monetaria e
finanziaria; attività
immobiliari ed
imprenditoriali
20%
10%
1981
1982
1983
1984
1985
1986
1987
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
0%
* al lordo Sifim
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat - Conti Economici Regionali, serie 1980-2004
Ma la crescita degli anni ’80 coinvolge anche settori più consolidati come il “commercio al
dettaglio in esercizi non specializzati” (oltre 16.000 addetti in più, cui corrisponde però una
forte caduta negli esercizi alimentari), l’impiantistica edilizia (quasi 14.000 addetti in più), i
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servizi sanitari e di assistenza sociale (cresciuti di quasi 20.000 addetti).
Nel decennio successivo nonostante la crescita del Pil sia molto più contenuta (inferiore al
20%) il numero di addetti alle unità locali è cresciuto di ulteriori 187.000 unità raggiungendo
quota 1,715 milioni. Al declino del manifatturiero (che perde più di 40.000 addetti) si aggiunge quello del commercio (compensato dalla crescita di alberghi e ristoranti) e l’esaurirsi della
crescita delle attività creditizie e finanziarie e della pubblica amministrazione (ma non dei servizi pubblici e della sanità).
Sul fronte dei saldi attivi si trovano molte conferme delle dinamiche degli anni ’80 ma
anche qualche novità:
• le attività connesse all’informatica sono cresciute di altri 30.000 addetti raddoppiando la
dimensione del 1991;
• è proseguita la crescita delle attività consulenziali (da 33.000 a 57.000 addetti), di quelle
tecnico-professionali (da 15.000 a 25.000) e dei servizi operativi (i servizi di pulizia quasi
triplicano il numero di occupati superando quota 47.000);
• le unità locali delle imprese di telecomunicazione sono passate da 21.000 a 29.000 addetti.
Semplificando si può dire che lo sviluppo dell’ultimo decennio del secolo scorso è stato un
tipico sviluppo “postindustriale” favorito, oltre che dal ruolo direzionale e relazionale della
Capitale, anche da una presenza diversificata di attività produttive (anche manifatturiere) che
ne ha alimentato sia la componente locale della domanda sia l’articolazione dell’offerta fornendo esperienze e culture imprenditoriali.
3.2. L’esaurimento dell’inerzia positiva e i nuovi scenari
Dimensioni e caratteristiche della “seconda crisi”, che ha investito il Lazio dalla fine del
2011 e che ha subito un considerevole peggioramento dalla fine del 2012, sono difficili da
decifrare; non fosse altro perché si tratta di un processo ancora pienamente in corso al momento della stesura di questo studio.
L’insieme degli elementi raccolti fornisce tuttavia alcune indicazioni rilevanti:
• sembra prefigurarsi innanzitutto un risultato quantitativo su Pil e valore aggiunto che alla fine
del biennio 2012-2013 potrebbe risultare peggiore di quello subito nel biennio 2008-2009;
• se l’impatto prevalente della “prima” crisi era stato di tipo economico-produttivo (contrazione dei margini, crollo degli investimenti, abbassamento della produttività), gli effetti della
seconda sono largamente tracimati nel sociale (caduta dei consumi e dell’occupazione
aumento della disoccupazione).
La sensazione è che le modalità di risposta “endogene” al corpo sociale ed al sistema produttivo abbiano esaurito le loro capacità di contenere la crisi (le famiglie non riescono più a
sostenere i consumi riducendo i risparmi e ricercando il low cost, le imprese non riescono più
a sostenere l’occupazione riducendo i margini e “spalmando” l’impiego del lavoro).
I segnali di una reazione “schumpeteriana” (per cui la crisi seleziona le imprese più effi72
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CAPITOLO III - Un nuovo scenario
cienti e perciò maggiormente capaci di attivare la ripresa) sono ancora limitati ad alcuni settori (alcune produzioni manifatturiere maggiormente orientate all’export ed alcune attività di servizi che operano in ambiti più compiutamente concorrenziali).
Gli stessi nuovi settori di espansione (come i servizi collettivi e alle famiglie o i servizi professionali e le attività di supporto operativo alle imprese) faticano, e non sono comunque in
grado di trasmettere una spinta propulsiva al sistema.
Le risposte istituzionali sono giocoforza limitate da i vincoli di finanza pubblica ed appaiono comunque marginali rispetto alle dinamiche in atto. Il fatto che la nuova crisi produttiva ed
occupazionale abbia avuto, e probabilmente abbia ancora, l’epicentro nel settore dell’edilizia e
delle costruzioni è, da un certo punto di vista, l’emblema delle difficoltà di attivare la più tradizionale delle reazioni “esogene”.
Il dato più eclatante dell’ultimo periodo è la crisi economica – ed ora anche occupazionale
e produttiva – delle costruzioni cui si aggiungono il ristagno del commercio e la contrazione
delle pubbliche amministrazioni. Ma dal punto di vista strategico l’elemento che desta forse le
maggiori preoccupazioni sono le difficoltà mostrate dai grandi servizi funzionali (ICT, logistica
e finanza) che a partire dal 2008 sembrano aver perso la capacità di incrementare valore
aggiunto, lavoro e occupazione.
Benché sia stata proprio la pluralità delle componenti a favorire la continuità del percorso
di crescita è ragionevole ritenere che nell’ultimo ventennio del secolo scorso i grandi servizi funzionali abbiano svolto un ruolo particolare, non solo quantitativo ma anche qualitativo, assicurando proiezione esterna all’economia regionale, impiego e sviluppo di professionalità qualificate, spinta all’innovazione tecnologica e organizzativa. L’analisi effettuata sembra indicare
che, anche a causa della crisi, tale ruolo sia venuto a mancare nel primo decennio di questo
secolo così come è venuta meno l’inerzia positiva del sistema regionale nel suo complesso. La
situazione è comunque complessa; se alcuni dei grandi gruppi attraversano drammatiche crisi
produttive o difficili vicende societarie altri hanno compiuto importanti percorsi di risanamento e innovazione e si presentano oggi come soggetti in grado di svolgere un significativo ruolo
positivo. Nel corpo dei maggiori gruppi dei grandi servizi funzionali esistono, peraltro, giacimenti di esperienza e professionalità che potrebbero essere utili alla crescita dimensionale ed alla
differenziazione dei mercati non solo delle imprese professionali e di supporto ma anche
all’evoluzione delle aziende che operano in ambiti diversi come il welfare, l’intrattenimento e
le stesse attività turistiche.
D’altra parte le attività professionali scientifiche e tecniche ed i servizi di supporto e di
amministrazione – che pure, come si è visto, hanno dato un contributo fondamentale nell’allargamento della base produttiva e occupazionale registrato a saldo del decennio (e soprattutto
nella prima parte dello stesso) – non sono finora riuscite a decollare dal punto di vista della
produzione di ricchezza ed il loro peso sul valore aggiunto regionale continua ad oscillare intorno al 10%. Probabilmente dentro il composito universo delle frammentate esperienze imprenditoriali di questi settori vi sono gli enzimi di un nuovo dinamismo che andrebbero, tuttavia, in
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La porta stretta della ripresa - Trasformazioni strutturali e prospettive dell'economia del Lazio
qualche modo accompagnati e aiutati a superare la prevalente dimensione locale che li caratterizza. Qualche traccia di proiezione esterna, per esempio nell’ambito dei servizi ingegneristici e di progettazione, la si può anche ritrovare (grazie alla presenza di importanti imprese di
media dimensione o di sedi significative di aziende multinazionali ma anche nello sviluppo di
esperienze professionali locali) ma forse una maggiore attenzione, anche da parte dei soggetti
istituzionali, non è inopportuna.
Il declino del manifatturiero è certamente una “questione nazionale”, se non continentale.
Lo specifico regionale sembra sempre più essere caratterizzato dalle difficoltà dei grandi
insediamenti cui si contrappongono singoli segnali di vitalità (come la crescita delle esportazioni del farmaceutico e la tenuta produttiva di altri segmenti) provenienti da imprese e unità
produttive di media dimensione. Su questo versante diviene quindi ancora più importante la
questione della infrastrutturazione, logistica e funzionale, delle zone produttive che non può
ricadere, con tutto il peso delle difficoltà procedurali e di finanziamento, esclusivamente sulle
spalle di aziende di media o piccola dimensione. Il decennio ha poi visto consolidarsi il peso
economico delle utilities e dell’industria energetica che è anche stata protagonista di importanti interventi di diversificazione.
Non è facile immaginare oggi quali possano essere i settori produttivi in grado di svolgere
nei prossimi anni un ruolo analogo a quello che i grandi servizi funzionali hanno avuto alla fine
del secolo scorso. Forse, non è nemmeno opportuno pensare che si possa riprodurre uno schema del genere. Come già indicato nel precedente rapporto, per imboccare la porta stretta della
ripresa è necessario il concorso di più dinamiche settoriali nessuna delle quali è probabilmente in grado, da sola, di riattivare lo sviluppo.
La questione fondamentale è uscire da una logica (e da una mentalità) difensiva, cogliere
le tracce di vitalità che pure nel decennio si sono manifestate ed aiutarle a proiettarsi nel futuro: dalla crescita delle medie imprese, al proliferare delle attività professionali (e anche al risanamento di alcuni grandi gruppi dei servizi funzionali); dai recuperi di produttività in alcuni
ambiti del manifatturiero all’articolazione dell’industria energetica; dallo sviluppo imprenditoriale del welfare alla crescita del no profit; dalla crescita dell’export alla ritrovata attrattività
turistica (Tab. 3.4).
Nel terzo trimestre del 2013 si è interrotta la serie di otto consecutivi cali congiunturali del
Pil nazionale; decisamente troppo poco per essere ottimisti ma forse abbastanza per ricominciare a pensare anche alle opportunità oltre che alle minacce.
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CAPITOLO III - Un nuovo scenario
Tab. 3.4 - Le tracce di vitalità
Crescita intercensuaria delle medie imprese
16.935 imprese da 3 a 249 addetti in più nel 2011 rispetto al 2001
(di cui 14.000 SRL)
Proliferare delle attività professionali
Crescita del 38,9% degli addetti alle unità locali delle attività professionali,
scientifiche e tecniche dal 2001 al 2011 (contro una media nazionale
del 24,5%)
Recupero di produttività del manifatturiero
Incremento del 10,6% del valore aggiunto per unità di lavoro nell’industria
Rafforzamento dell’industria energetica
Aumento medio del 36% del valore aggiunto nella seconda metà del decennio
manifatturiera tra il 2009 ed il 2011
rispetto alla prima
Sviluppo imprenditoriale del welfare
10.000 imprese di sanità e assistenza sociale in più nel 2011 rispetto al 2001
(e 15.000 addetti)
Crescita del no profit
Aumento degli addetti alle istituzioni no profit da 56.000 a 72.000
tra il 2001 e il 2011
Risalita dell’export di merci
Incremento del valore delle esportazioni da 12 a 18 miliardi di euro
tra il 2009 ed il 2012
Ritrovata attrattività turistica
Crescita dell’8,9% dei visitatori stranieri nei primi 9 mesi del 2013
(contro una media nazionale del 2,7%)
Fonte: elaborazione Censis su fonti varie
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Finito di stampare nel mese di maggio 2014
presso DigitaliaLab srl
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