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APPROFONDIMENTO Profili di criticita` e dubbi di opportunita` nella
3407
APPROFONDIMENTO
D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128
Profili di criticità e dubbi
di opportunità nella revisione
del raddoppio dei termini
di Andrea Carinci (*) e Dario Deotto (**)
Con l’art. 2 del D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, che in
attuazione degli artt. 5, 6 e 8, comma 2, della L. 11
marzo 2014, n. 23 (cd. Delega fiscale) ha introdotto disposizioni sulla certezza del diritto, sono stati
modificati gli artt. 43, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 57, comma 3, del D.P.R. 26
ottobre 1972, n. 633. La modifica ha interessato,
segnatamente, l’istituto del raddoppio dei termini,
ai sensi del quale i termini entro cui debbono essere notificati gli avvisi di accertamento in materia di imposte sui redditi ed Iva sono raddoppiati
‘‘in caso di violazione che comporta obbligo di
denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di
procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74’’.
Ad una sommaria lettura, la modifica apportata
non sembra rivoluzionare l’istituto.
La novità, in effetti, si esaurisce nell’inserimento
di un nuovo inciso, nel corpo del comma 3 dei citati articoli, ai sensi del quale il predetto raddoppio ‘‘non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui ai
commi precedenti’’.
Sembra, insomma, una mera manutenzione dell’istituto del raddoppio dei termini, volta a rimuoverne le maggiori criticità, senza al contempo metterne in discussione i caratteri qualificanti,
sia strutturali sia funzionali.
In verità, cosı̀ non è. Al di là delle apparenze, in-
(*)
(**)
Con il D.Lgs. n. 128/2015, in attuazione della legge delega n. 23/2014, si è modificata la disciplina
del raddoppio dei termini di accertamento in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia
penale per reati tributari, stabilendosi che il raddoppio non opera se la denuncia è presentata o
trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini.
In questo modo, tuttavia, si perde la ragione stessa della previsione: dal momento che l’Agenzia è
tenuta ad inoltrare la denuncia entro i predetti
termini, non ha ragione alcuna prevedere che
possa attendere ulteriori 4/5 anni per la notifica
dell’accertamento. Se ha già acquisito le informazioni utili per la denuncia, appare ragionevole ipotizzare che proceda subito a notificare l’accertamento. Diversi dubbi, inoltre, si pongono con il
particolare regime transitorio, che di fatto mira
a ‘‘salvare’’, non solo gli avvisi già notificati, ma
anche quelli che lo saranno nel pieno vigore della
nuova disciplina; ciò, tuttavia, in palese violazione
della legge delega.
1. Premessa
Professore ordinario di Diritto tributario presso l’Università
di Bologna - Avvocato in Bologna.
Commercialista in Monfalcone (GO).
36/2015
3408
APPROFONDIMENTO – Accertamento
fatti, è da ritenere che la modifica alteri profondamente la funzionalità dell’istituto, la ragione stessa della sua previsione - almeno nella forma che
risulta a seguito della novella - come e soprattutto
la sua permanenza in termini operativi all’interno
del sistema.
Questo per dire che, oltre la forma, la modifica è
di sostanza. Indubbiamente, ciò può essere visto
come una novità positiva, stante le criticità che la
disciplina sul raddoppio dei termini ha comportato; non di meno resta il dubbio circa la piena consapevolezza della soluzione adottata e, soprattutto, delle implicazioni che la stessa andrà a determinare.
L’istituto del raddoppio dei termini di accertamento è stato introdotto con l’art. 37, comma
24, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, che ha modificato gli artt. 43 del D.P.R. n. 600/1973 e 57 del
D.P.R. n. 633/1972, in materia di termini di accertamento, rispettivamente, per imposte sui redditi
ed Iva.
L’obiettivo perseguito con l’introduzione del raddoppio dei termini è stato quello di presidiare il
contrasto alle pratiche fiscali ritenute più insidiose, ampliando i termini concessi all’Amministrazione finanziaria per l’esercizio della potestà impositiva; in particolare e soprattutto, per consentire a quest’ultima di recepire ed impiegare il materiale acquisito nell’ambito delle indagini penali, tradizionalmente soggette a termini più ampi di quelli previsti per l’azione amministrativa 1.
Fin da subito, tuttavia, il regime è stato oggetto di
serrate critiche e letture contrastanti 2. Tra le
principali ragioni di censura si lamentava, in particolare, il pericolo che detto regime potesse occasionare una proliferazione indiscriminata delle
denunce penali da parte degli Uffici tributari, al
solo fine di beneficiare di un allungamento dei
termini anche in un momento successivo al loro
esaurimento 3.
Sulla questione - come noto - è intervenuta la Corte Costituzionale. Questa, con la sentenza n. 247
del 25 luglio 2011 4, è giunta a riconoscere la legittimità della disciplina sul raddoppio dei termini; tuttavia, lo ha fatto con una lettura ‘‘creativa’’, con cui ha ipotizzato la possibilità di intravvedere, nel testo della norma censurata 5, la coesistenza di due termini autonomi di accertamento, uno breve, in assenza delle condizioni per il
raddoppio, ed uno lungo. Due termini, questi, entrambi ordinari e, soprattutto, tra loro autonomi
ed indipendenti, non rappresentando l’uno il mero prolungamento dell’altro.
La sentenza è stata fortemente criticata 6, soprattutto perché ha determinato, essenzialmente, la
legittimazione/consacrazione della prassi dell’Amministrazione finanziaria di inoltrare la denuncia ai fini del raddoppio, una volta già esauriti
i termini brevi dell’azione accertativa ed al solo
scopo di una loro reviviscenza a posteriori. Tutto
questo, peraltro, senza che la garanzia riconosciuta dalla stessa Consulta di un vaglio da parte
del giudice tributario circa la pretestuosità o meno della denuncia, potesse rappresentare un adeguato presidio per le ragioni del contribuente,
stante l’estrema latitudine dell’obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p.
Tant’è che ad esito di quella sentenza si è venuta a
determinare una situazione di grave incertezza
circa la durata dei termini di accertamento
per i contribuenti, suscettibili di subire contestazioni per un periodo, non semplicemente esteso
(anche 10 anni), ma soprattutto non conoscibile
a priori; con ripercussioni evidenti sugli obblighi
di conservazione della documentazione. Ciò, inoltre, in forza di una scelta sulla fruizione del regime del raddoppio rimessa all’arbitrio dell’Ammi-
1
4
G. Falsitta, Note minime sul ‘‘doppio’’ termine di accertamento e sulla equiparazione tra indagato e condannato per reati
tributari (nota a C. cost. 25 luglio 2011, n. 247; C. cost. 18
aprile 2012 n. 95 (ord.)), in ‘‘Riv. dir. trib.’’, 2012, pt. 2,
pag. 266; E. Marello, Il raddoppio dei termini per l’accertamento al vaglio della Corte Costituzionale, in ‘‘Rassegna tributaria’’, 2011, pag. 1296.
5
Ossia l’art. 57, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972.
6
G.M. Cipolla, Ancora dubbi di incostituzionalità sul raddoppio dei termini per l’accertamento, in ‘‘GT - Riv. giur. trib.’’,
2011, pag. 833.
2. La crisi del raddoppio dei termini
e l’esigenza di una sua revisione
Dalla relazione di accompagnamento al disegno di legge atto n. S 741, presentato nel corso della XV legislatura, recepito dal D.L. n. 223/2006, è possibile evincere infatti che le modifiche introdotte ‘‘nascono dall’esigenza di garantire la possibilità di utilizzare per un periodo di tempo più ampio di
quello ordinario gli elementi istruttori emersi nel corso delle
indagini condotte dall’autorità giudiziaria’’; cfr. G.M. Cipolla, Il rasoio di Occam ed il raddoppio dei termini di accertamento tributario, in ‘‘Riv. dir. trib.’’, 2011, pt. 1, pag. 757.
2
E. Marello, Raddoppio dei termini per l’accertamento e crisi
del ‘‘doppio binario’’, in ‘‘Riv. dir. trib.’’, 2010, pt. 3, pag. 85.
3
G.M. Cipolla, Il rasoio di Occam ed il raddoppio dei termini di
accertamento tributario, cit.
36/2015
3409
Accertamento – APPROFONDIMENTO
nistrazione finanziaria, se non sul se certamente
sul quando della sua attivazione.
È in questo contesto che è infine maturata l’esigenza di una riforma dell’istituto del raddoppio
dei termini: prima, nel quadro della legge delega
per la revisione del sistema fiscale 7 e poi con il
Decreto di attuazione 8, non a caso rubricato ‘‘Disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti
tra fisco e contribuente’’.
Ebbene, date queste premesse, si può certamente
ritenere che la modifica introdotta al regime del
raddoppio dei termini sia intesa a risolvere la
principale criticità di quel regime rappresentata
dall’indeterminatezza dei termini di accertamento conseguente alla circostanza che il raddoppio
poteva essere ‘‘attivato’’, mediante la denuncia,
anche una volta scaduti i termini brevi.
Sennonché, la soluzione adottata lascia insoddisfatti. Invero, se l’obiettivo era quello di contemperare l’esigenza di certezza del contribuente,
che non può restare in un limbo per un periodo
tanto, troppo, esteso (fino a 10 anni), con quella
dell’Agenzia di avere tempo a sufficienza per gestire pratiche complesse, quali si ritiene siano
quelle con risvolti penali, la soluzione del raddoppio del termine, nella versione che risulta con la
modifica, appare insoddisfacente.
3. La nuova disciplina sul raddoppio
dei termini
Come osservato, la nuova formulazione del comma 3 dell’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973, come pure del comma 3 dell’art. 57 del D.P.R. n. 633/1972,
dispone oggi che il raddoppio dei termini previsto
per il caso di violazione che comporta obbligo di
denuncia per uno dei reati tributari, ‘‘non opera
qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di
finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui ai commi precedenti’’: ossia entro quattro ovvero cinque anni
a seconda che si tratti di accertamento in rettifica
o di ufficio.
Per effetto della novella, se l’Amministrazione finanziaria intende avvalersi del raddoppio dei ter7
Art. 8, comma 2, della L. 11 marzo 2014, n. 23.
8
D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128.
9
Cosı̀ M. Nussi, Il ‘‘raddoppio’’ dei termini per l’accertamento,
in ‘‘Rass. trib.’’, 2015, pag. 473.
10
Il criterio direttivo fissato dall’art. 8, comma 2, della L. 11
mini lo deve palesare entro i tradizionali termini
di accertamento. Questo è il senso della previsione che subordina il raddoppio (‘‘non opera’’) alla
presentazione/trasmissione della denuncia entro i termini di accertamento canonici.
Ebbene, la prima cosa da osservare è che la novella sconfessa, apertamente, la lettura proposta dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 247/
2011 vista innanzi, che aveva individuato la compresenza, nell’ambito della disciplina sulla decadenza dell’azione impositiva, di due termini autonomi ed indipendenti: quello breve e quello ab
origine lungo, a seconda dell’esistenza o meno
dell’obbligo di denuncia. Con la nuova formulazione diventa chiaro invece che esiste un solo termine, quello di cui ai commi 1 e 2 degli artt. 43 e
57, che può essere eventualmente prorogato (raddoppiato), ma solo prima della sua consumazione 9.
In secondo luogo va rilevato che nel nuovo testo
la denuncia ex art. 331 c.p.p. non è più meramente potenziale, ma deve essere effettiva. Recependo
sul punto una precisa indicazione contenuta nella
legge delega 10, la novella dispone espressamente
che la denuncia deve essere presentata o trasmessa. Non è più sufficiente, pertanto, la mera ed
astratta configurabilità dell’obbligo di denuncia,
ma occorre che questa sia effettivamente e concretamente inoltrata. La presentazione della denuncia deve intervenire, inoltre, prima del decorso dei termini di accertamento (4 o 5 anni)
fissati ai commi 1 e 2 degli artt. 43 e 57, che a questo punto possono essere considerati gli ‘‘unici’’
ordinari. In difetto di trasmissione effettiva e tempestiva il raddoppio non opera 11.
Ne consegue, con immediata evidenza, che a questo punto sorgerà in capo all’Agenzia l’onere di dimostrare la predetta tempestività ed effettività
nella presentazione della denuncia, laddove intenda invocare legittimamente il raddoppio dei
termini.
Occorre però al contempo chiarire che detto onere potrà sorgere solo se ed in quanto il contribuente provveda a lamentare, nei dovuti termini
e modi, la tardività dell’accertamento. Trattandosi di decadenza dell’Amministrazione, alla stregua della consolidata giurisprudenza di legittimimarzo 2014, n. 23, è nel senso, difatti, di prescrivere l’‘‘effettivo invio della denuncia’’.
11
F. Randazzo, Per il raddoppio dei termini dell’accertamento
tributario necessaria la denuncia di reato, in ‘‘Corr. Trib.’’,
2015, pag. 1533.
36/2015
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APPROFONDIMENTO – Accertamento
tà 12 si è infatti indotti a ritenere che l’assenza o
tardività della denuncia non saranno rilevabili
d’ufficio dal giudice, ma dovranno essere oggetto
di specifica censura da parte del contribuente:
nel primo atto difensivo (ricorso), ovvero con apposita memoria ex art. 24, comma 2, del D.Lgs.
n. 546/1992, nel caso in cui la denuncia venga
prodotta solo in giudizio dall’Amministrazione
ma si intenda censurarne ugualmente la tardività
e/o inconferenza rispetto alla vicenda controversa.
Va poi osservato che la nuova previsione compie
una limitazione soggettiva stringente in ordine alla presentazione della denuncia idonea a determinare il raddoppio dei termini.
Occorre infatti - il testo sul punto è chiaro - che la
denuncia sia presentata o trasmessa dalla (sola) Amministrazione finanziaria, nel cui ambito
va compresa altresı̀ la Guardia di finanza, quand’anche abbia operato in veste di polizia giudiziaria 13. Ne consegue che il raddoppio non può operare nel caso in cui la denuncia per un reato tributario sia inoltrata da un soggetto differente: in un
caso siffatto, quindi, l’Amministrazione finanziaria dovrà procedere alla notifica dell’avviso di accertamento nei termini ordinari, pur in presenza
di una violazione comportante l’obbligo di denuncia per un reato tributario.
Se cosı̀ è, vengono però meno le ragioni stesse del
raddoppio.
Non è chiaro, difatti, che senso possa avere la previsione di un raddoppio del termine, se la denuncia ex art. 331 c.p.p. deve essere inoltrata dall’Amministrazione finanziaria entro l’ordinario termine di 4/5 anni. Questo significa che le indagini
debbono essere comunque svolte e le violazioni
accertate entro detto termine; ma allora, una volta che l’Agenzia ha già gli elementi per presentare
la denuncia, non è chiaro a cosa servano gli ulteriori 4/5 anni per formalizzare l’accertamento.
Probabilmente basterebbero ulteriori 6 mesi.
È evidente che un raddoppio del termine diviene
a questo punto inutile. Se l’Agenzia ha già condotto le indagini, con ogni probabilità procederà non
12
Costituisce orientamento assolutamente pacifico quello per
cui ‘‘la decadenza dell’Amministrazione finanziaria dall’esercizio del potere nei confronti del contribuente, in quanto
stabilita in favore e nell’interesse esclusivo del contribuente,
in materia di diritti da questo disponibili, non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma deve essere dedotta dal contribuente in sede giudiziale, mentre la decadenza del contribuente dall’esercizio di un potere nei confronti dell’amministrazione finanziaria, in quanto stabilita in favore di quest’ultima ed attinente a situazioni indisponibili, perché di-
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solo a presentare la denuncia ma notificherà anche l’avviso. Del resto, non avrebbe ragione alcuna per lasciarlo ‘‘invecchiare’’ per ulteriori quattro
anni, con il rischio di compromettere le garanzie
patrimoniali del contribuente. Di contro, se entro
il termine ordinario le indagini non sono ancora
compiute, o meglio, non si è avuto ancora piena
contezza della sussistenza di un obbligo di denuncia, ancorché nel quadro delle indagini di polizia
giudiziaria, non si potrà più procedere con l’azione impositiva, neppure in presenza di una fattispecie penalmente rilevante.
Il senso del raddoppio resta pertanto oscuro. La
scelta di collegare il raddoppio alla denuncia inoltrata dall’Amministrazione finanziaria entro i termini ordinari finisce per contraddire le ragioni
stesse dell’istituto: viene meno, infatti, l’utilità dell’istituto, tradizionalmente rappresentata dalla
possibilità per l’Amministrazione finanziaria di
acquisire ai fini fiscali i risultati delle indagini penali, tipicamente soggette a termini più lunghi.
Va inoltre ricordato che la conoscenza dell’avvenuta iscrizione nel registro degli indagati è meramente eventuale, giacché rimessa all’iniziativa
dello stesso indagato; per reati di particolare gravità, peraltro, la conoscibilità può essere esclusa
dal Pubblico Ministero.
Non è previsto, infatti, che l’indagato venga reso
edotto in modo automatico della predetta iscrizione, almeno fino alla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415
c.p.p. Sicché, per ‘‘rimuovere’’ compiutamente lo
stato di incertezza - e quindi per conseguire l’obiettivo della novella - bisognerebbe semmai prevedere che delle denunce presentate dall’Amministrazione finanziaria sia data notizia anche al
contribuente indagato, sı̀ da renderlo edotto
che di lı̀ a quattro/cinque anni potrebbe essere destinatario di un avviso di accertamento: a rigore,
in effetti, alla stregua della nuova disciplina l’Amministrazione finanziaria potrebbe inoltrare la
denuncia tempestivamente, salvo poi attendere i
successivi 4/5 anni per notificare l’avviso di accertamento. Si tratta, come pure già evidenziato, di
sciplinata da un regime legale non derogabile, rinunciabile
o modificabile dalle parti, è rilevabile anche d’ufficio’’ (Cass.,
20 dicembre 2013, n. 28530; Id., 27 gennaio 2012, n. 1154;
Id., 25 gennaio 2008, n. 1605; Id., Ord. 23 ottobre 2008, n.
25653).
13
A. Renda, L’attuazione della Legge delega nella disciplina del
raddoppio dei termini di accertamento, in ‘‘Corr. Trib.’’,
2015, pag. 2574.
3411
Accertamento – APPROFONDIMENTO
una conclusione difficilmente credibile, che non
di meno il testo della norma legittima.
Questo solo per dire che il mero decorso del termine di accertamento, anche con la nuova disciplina, non potrà, di per sé solo, ritenersi idoneo
a dare piena certezza al contribuente circa l’esercizio dell’azione impositiva.
4. Il regime transitorio
Quanto meno ‘‘curiosa’’ si presenta infine la disciplina transitoria, dettata dal comma 3 dell’art. 2
del D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128.
Qui si prevede, infatti, che ‘‘sono comunque fatti
salvi gli effetti degli avvisi di accertamento,
dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili
con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore del presente decreto. Sono,
altresı̀, fatti salvi gli effetti degli inviti a comparire
di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 notificati alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché dei processi verbali di constatazione redatti ai sensi dell’articolo
24 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 dei quali il contribuente abbia avuto formale conoscenza entro la
stessa data, sempre che i relativi atti recanti la pretesa impositiva o sanzionatoria siano notificati
entro il 31 dicembre 2015’’.
Il primo inciso, in realtà, può apparire superfluo,
posto che, in ragione del principio tempus regit actum 14, il nuovo regime non avrebbe comunque potuto essere invocato per negare la legittimità di atti
già notificati in conformità al regime precedente.
Maggiori perplessità solleva il secondo inciso.
Qui si prevede, in effetti, una sorta di ultrattività
della previgente disciplina per gli avvisi di accertamento non ancora perfezionati all’entrata
in vigore del nuovo regime.
A tale riguardo sono prescritte due condizioni: a)
che detti avvisi vengano notificati entro il 31 dicembre 2015; e b) che siano relativi ad inviti a
comparire ex art. 5 del D.Lgs. n. 218/1997 notificati alla data di entrata in vigore del decreto (2
settembre 2015) ovvero a PVC di cui alla stessa
data il contribuente abbia avuto formale conoscenza. Ricorrendo entrambe queste condizioni,
14
‘‘La legittimità di un provvedimento amministrativo deve essere apprezzata con riferimento allo stato di fatto e di diritto
esistente al momento della sua emanazione, secondo il principio del tempus regit actum’’ (Cons. St. Sez. VI, 09 agosto
resta applicabile il vecchio regime anche per gli
avvisi di accertamento non ancora notificati: ma
questo significa, semplicemente, che fino al 31 dicembre potranno essere notificati avvisi di accertamento per i quali il raddoppio dei termini sarà
invocato nonostante che la denuncia ex art. 331
c.p.p. non sia stata inoltrata prima della scadenza
dei termini ordinari di accertamento. In ossequio
insomma alla soluzione professata dalla Corte
Costituzionale e sconfessata dalla novella.
A parte le imprecisioni della norma, che intende
‘‘far salvi’’ gli effetti dei predetti inviti e del PVC,
dimenticando che né per gli uni né per gli altri sono previsti termini decadenziali che possano essere incisi dalla riforma (la quale interviene sui termini per la notifica dei soli avvisi di accertamento), si tratta di una previsione in patente conflitto
con le direttive della delega.
Questa, invero, nel prevedere che dalla revisione
dell’istituto andassero ‘‘fatti comunque salvi gli effetti degli atti di controllo già notificati alla data
di entrata in vigore dei decreti legislativi’’, presupponeva appunto che si trattasse di atti i cui effetti
potessero in qualche modo restare incisi dalla novella. Ma questi sono, appunto, solo gli avvisi di
accertamento. Ciò per dire che, nonostante l’estrema vaghezza di una formula quale è quella
di ‘‘atti di controllo’’ impiegata dalla delega, è evidente che non vi si possono far rientrare né gli inviti al contraddittorio né il PVC: innanzitutto, perché, almeno i primi, non possono in ogni caso essere inquadrati come atti di controllo; poi, e soprattutto, perché in entrambi i casi si tratta di atti
che non producono effetti soggetti a termini decadenziali che possano essere ‘‘fatti salvi’’.
La verità è che il regime è stato congegnato con
formule volutamente compromissorie, per cercare di salvare tutti quegli atti di accertamento
che, al momento dell’entrata in vigore della novella, si trovassero ancora ‘‘in mezzo al guado’’. Sennonché, se cosı̀ è, appare palese la violazione delle
direttive della delega e, cosı̀, dell’art. 76 Cost.
5. Conclusioni
A questo punto una domanda: la soluzione accolta per la revisione dell’istituto del raddoppio dei
2011, n. 4738; Id., Sez. IV, 15 settembre 2006, n. 5381; Id.,
18 dicembre 2006, n. 7618). Come noto, del resto, ai sensi
dell’art. 11 delle Preleggi, ‘‘la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo’’.
36/2015
3412
APPROFONDIMENTO – Accertamento
termini ha rappresentato una soluzione necessitata?
A leggere attentamente la delega, si può rispondere di no. La delega contenuta al comma 2 dell’art.
8 della L. n. 23/2014 prevede, infatti, solo una misura di razionalizzazione dell’istituto, stabilendo che ‘‘Il Governo è delegato altresı̀ a definire...
la portata applicativa della disciplina del raddoppio dei termini, prevedendo che tale raddoppio si
verifichi soltanto in presenza di effettivo invio
della denuncia, ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale, effettuato entro un termine correlato allo scadere del termine ordinario di
decadenza’’. Ciò che si richiedeva, insomma, era
solo l’effettivo invio della denuncia (non solo la
sua astratta previsione) entro un termine che doveva essere correlato con quello ordinariamente previsto per l’azione impositiva. Correlato,
quindi, che non significa entro lo stesso termine.
A rigore, bastava la previsione di un termine ad
hoc, proporzionalmente allungato, per i casi di
potenziale rilevanza penale della fattispecie tributaria. La soluzione di mantenere il raddoppio appare assolutamente illogica ed irrazionale e, a ben
15
16
In argomento, anche per ulteriori riferimenti bibliografici,
E. Marello, Evanescenza del principio di specialità e dissoluzione del doppio binario: le ragioni per una riforma del sistema punitivo penale tributario, in ‘‘Riv. dir. trib.’’, 2013, pt.
3, pag. 269.
Cfr. Cass., 15 maggio 2015, n. 9974; ma contra Comm. trib.
reg. Umbria, 25 novembre 2011, n. 237; Comm. trib. prov. di
Torino, 8 giugno 2011, n. 237; in argomento, si veda P. Corso, Raddoppio dei termini di accertamento tra legge delega e
suprema Corte, in ‘‘Corr. Trib.’’, 2015, pag. 2235; A. Borgo-
36/2015
vedere, non risolve i problemi che intendeva comporre.
Vi è poi la considerazione che la novella trascura
completamente di risolvere altri problemi applicativi della disciplina sul raddoppio; segnatamente, quelli che conseguono al regime del doppio
binario che informa i rapporti tra processo penale e procedimento e processo tributario 15. Accade
cosı̀ che, nonostante la riforma, non venga chiarito cosa accade al raddoppio nel caso, ad esempio,
di archiviazione ovvero proscioglimento del reo/
contribuente 16, oppure nel caso di intervenuta
prescrizione del reato 17 o, ancora, nel caso di denuncia riferita ad un soggetto diverso dal contribuente (es. amministratore di società di persone
e soci) 18.
Problemi, tutti questi, su cui è in corso un vivace
dibattito giurisprudenziale e su cui, con ogni evidenza, sarebbe stato opportuno prendere posizione, nel momento in cui si è deciso di intervenire a
rivedere l’istituto, integrando altrettanti profili di
possibile incertezza nei rapporti Fisco-contribuenti.
glio, L’assoluzione in sede penale non pregiudica il raddoppio
dei termini per l’accertamento, in ‘‘il fisco’’, 2015, pag. 2282.
17
Per Comm. trib. reg. Umbria n. 237/01/2011 e n. 41/02/2012;
Comm. trib. prov. di Vicenza n. 824/1/2012, Comm. trib.
prov. di Aosta n. 102/2/2013, in caso di intervenuta prescrizione non può operare il raddoppio dei termini.
18
In un caso simile, è stato negato il raddoppio verso i soci da
Comm. trib. prov. di Brindisi, n. 194 del 2011.
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