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Il segreto del bosco - Comasine (Val di Peio)

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Il segreto del bosco - Comasine (Val di Peio)
Rassegna stampa del: 04/03/2010 Area protetta: PN Stelvio
Fonte: National geographic
Il segreto del bosco
Gli anelli dei tronchi di un antico bosco di larici e frammenti di carbone gettano luce sul passato remoto
dello Stelvio
Qui di naturale non c'è neanche un filo d'erba. Sorride Christa Backmeroff. Sorride al vento e guarda la
Val di Peio. Boschi e prati e montagne, e ancora boschi. Pare impossibile che Madonna di Campiglio, tutta
lustrini, caroselli sciistici e contraddizioni sia appena dietro l'angolo. Qui invece no. Qui tutto appare
incontaminato. Una cartolina di verde e di roccia. «La gente pensa che le Alpi un tempo fossero così, nessuno
riesce a credere che questi siano paesaggi con una storia. Sembrano luoghi senza tempo, ma non è così».
Parla Christa Backmeroff, dendrocronologa, e siamo in Val di Peio, sul versante trentino del Parco
Nazionate dello Stelvio. Christa è la Signora dei Larici, proprio lei che viene da Gelsenkirchen, nel distretto
minerario della Ruhr, in Germania, dove i larici non sanno neppure cosa siano. Un posto piatto come una
tavola da surf e segnato dalle miniere di carbone, lontano anni luce da questo mondo verticale fatto di rughe
rocciose e coperto da boschi. Eppure. Eppure, il carbone ce l'ha nel sangue. Perché in questa storia, il
carbone c'entra, eccome.
Questa non è solo la storia di una ricerca scientifica, è un giallo dentro una macchina del tempo vegetale.
Christa Backmeroff è approdata allo Stelvio nel 1991 per un dottorato di ricerca sull'ecologia dei boschi d'alta
quota. Girando dentro e fuori dal parco un giorno, per caso, vide col binocolo un gruppo di vecchi larici e
decise di andare a dare un'occhiata da vicino. Christa ancora non lo sapeva, ma dalla sua curiosità sarebbe
nata una delle più straordinarie ricerche di dendrocronologia dell'arco alpino.
Le piante si trovano a 2200 metri di quota sopra l'abitato di Comasine, tra Malga Comasine e Malga
Mason.
Sono 124 grandi larici, alberi alti anche 25 metri, con un metro e mezzo di diametro e quattro metri e
mezzo di circonferenza. Per abbracciarne il fusto sono necessarie le braccia di tre adulti. Considerata la quota
sono dimensioni eccezionali, perché qui nulla è come sembra. Se in vivaio un larice per arrivare a un metro e
30 centimetri di altezza impiega tre o quattro anni, quassù ce ne mette mediamente 54, ma può essere
necessario anche un secolo. «Mi sono quindi chiesta», racconta la dendrocronologa «quanti anni avessero, e
ho iniziato ad analizzarli uno per uno». La dendrocronologia si occupa della datazione dell'età di un albero
attraverso l'analisi dei suoi anelli di accrescimento. Risultato: i vecchi larici della Val Comasine hanno tutti
un'età di circa 600-650 anni.
Un intero bosco di patriarchi verdi, una vera rarità. Tutti coetanei, nessuno più vecchio e nessuno più
giovane. La vegetazione che oggi li circonda è infatti nata negli ultimi 150 anni, quando la temperatura ha
iniziato a salire. Ma perché nessuno si spinge più indietro nel tempo? E perché hanno tutti la stessa età?
Insomma, che diavolo è successo nella prima metà del Quattrocento? Questo è il giallo che Christa
Backmeroff ha dovuto risolvere mettendo insieme dendrocronologia, antropologia sociale e quella che un
grande storico come Le Goff avrebbe chiamato storia minima. La ricercatrice tedesca ha dapprima ottenuto la
"curva dendrocronologica" dei grandi larici. In pratica, grazie ad una sofisticata strumentazione e con una
precisione che arriva al centesimo di millimetro, analizzando la successione degli anelli di accrescimento ha
creato una curva dei singoli accrescimenti annuali, ottenendo alla fine un grafico vero e proprio.
Quel grafico è appunto "la curva dendrocronologica". Le curve dendrocronologiche ottenute da carote
prelevate da alberi differenti ma vissuti nello stesso periodo e nella stessa zona climatica - come in questo
caso - mostrano un andamento molto simile. A ogni grafico corrisponde un andamento della curva
caratteristico del periodo temporale e storico in cui la pianta è vissuta.
Quel grafico è come un codice a barre e può essere cercato ovunque: piante vive, ceppaie morte, travi
antiche, tronchi sepolti da frane o sommersi nei laghi. Se si sovrappone del tutto o parzialmente il gioco è fatto
e la datazione certa. Ma la curva dendrocronologica dei grandi larici della Val Comasine stavolta non bastava
a risolvere il giallo. Perché nessun albero era più vecchio?
Christa Backmeroff si è accorta ad un certo punto che la conformazione del terreno tradiva l'esistenza di
una vecchia carbonaia. «È bastato scavare pochi centimetri sotto la cotica erbosa», racconta, «per trovare
centinaia di frammenti di carbone molto piccoli, tra il mezzo centimetro e i due centimetri. A quel punto mi è
venuta l'idea: perché non tentare di datarli per capire se potevano essere utili a risolvere il nostro giallo? Tutto
sommato sempre di legno si trattava, per quanto bruciato».
Nessuno al mondo aveva mai pensato prima di datare il carbone, e per un motivo molto semplice: su
frammenti così piccoli, in condizioni climatiche normali, ci possono essere due o tre anelli di accrescimento al
massimo, totalmente insufficienti per ricavare informazioni utili sull'età del legno. «Ma qui siamo in condizioni
estreme», continua la dendrocronologa, «l'accrescimento delle piante è lentissimo e in meno di due centimetri
ci possono essere anche cento anelli di accrescimento, quanto basta per arrivare ad ottenere un grafico
significativo». Una nuova tessera del mosaico. Bene, ma dove infilarla? «Ottenuta una nuova curva
dendrocronologica ricavata dai frammenti di carbone siamo andati all'Università di Zurigo, dove ne esiste una
che si spinge indietro di 1300 anni. E abbiamo capito tutto». Tutti i pezzi di carbone esaminati erano infatti
anteriori alla prima metà del Quattrocento e i più vecchi si spingevano fino a prima dell'anno Mille. «969 d.c.
per essere esatti, molto più vetusti dei larici presenti oggi e di cui ci stavamo interessando», precisa la
dendrocronologa tedesca.
La nuova datazione non era però ancora la soluzione del giallo. Restava da capire infatti perché tutti i
larici della Val Comasine fossero coetanei e perché non ci fossero alberi vivi più antichi. Alla fine di una lunga
serie di ricerche interdisciplinari tra scienza e storia, lo scenario è questo: «Qualcuno intorno al 1450 è venuto
quassù e ha tagliato tutto per fare carbone. Ha tagliato tutto meno pochi alberelli insignificanti, troppo giovani
per essere sfruttati. Quei pochi alberelli di allora sono i nostri patriarchi di oggi,e questo spiega perché abbiano
tutti grosso modo la stessa età». Ma perché i carbonai si sono spinti a 2200 metri di quota, a tredici chilometri
dal fondovalle, sobbarcandosi la fatica di fare ogni volta 1100 metri di dislivello su e giù con i sacchi di
carbone, senza neppure una mulattiera?
«Per disperazione», spiega Christa Backmeroff. «Per finire quassù a fare legna in quelle condizioni, è
evidente che la montagna dove era più accessibile e vicina ai centri abitati era già stata completamente
disboscata. Ipotesi confermata anche dalle ricerche che stiamo compiendo in tutta la Val di Peio, dentro e fuori
dal parco, e che ci dicono che qui nessun bosco ha più di cinquecento anni».
Il periodo del grande disboscamento coincide con il periodo di massimo fulgore delle miniere di ferro,
presenti in valle fin dall'Alto Medioevo. «Il carbone serviva per alimentare i forni», racconta la studiosa, «e da
quanto possiamo capire oggi fu la causa di un disastro ambientale. A un certo punto ne fu proibita la
produzione, spingendo l'attività estrattiva verso il declino». Troppo tardi per rimediare. «Nei secoli successivi»,
prosegue Backmeroff, «probabilmente l'area dei grandi larici è stata sfruttata intensamente come area di
pascolo. Questo spiegherebbe perché la nuova vegetazione sia tutta cresciuta negli ultimi 150 anni. Ci sono
voluti l'abbandono della montagna e il riscaldamento globale per far ripartire la macchina della rinnovazione
vegetale. Niente più carbone, niente più brucamento, temperature più miti. La formula magica è questa». Un
ambiente in continua trasformazione.
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