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In che lingua giochiamo?
In che lingua giochiamo? di Letizia Quaranta Facciamo innanzitutto delle premesse, sulle quali non è possibile dilungarsi per motivi di tempo ma che rimarranno alla base dei nostri ragionamenti oggi. L'esposizione a più lingue e l'apprendimento precoce delle lingue straniere non hanno effetti collaterali negativi. I bambini nella primissima infanzia hanno una predisposizione particolare per l'apprendimento del linguaggio e delle lingue, predisposizione che poi si perde, quindi l'apprendimento precoce delle lingue è una scelta strategicamente corretta. L'unico vero problema è come insegnargliela questa lingua (che non deve essere per forza l'Inglese). Lo può fare un genitore? E come? Anzi, come può un genitore insegnare una lingua straniera (precocemente) al proprio bambino senza turbare la relazione genitore-bambino e quindi il bambino stesso? Come può una lingua straniera andare ad accrescere il senso di valere del bambino invece di creargli sovraccarico? Pensiamoci un attimo, come insegniamo la lingua madre ad un bambino? Quali meccanismi di interazione fanno sì che un bambino impari a parlare? I genitori parlano al bambino, un linguaggio spesso semplificato. I bambini ascoltano le conversazioni dei grandi, un linguaggio estremamente complesso. I genitori usano i gesti per indicare, usano il tono della voce, gli sguardi. Ogni scambio verbale è accompagnato da uno scambio di sguardi, di emotività e affettività. Se il bambino sbaglia accogliamo con gioia il tentativo. Non chiediamo al bambino di fare la scimmietta ammaestrata per zie e parenti per far vedere che sa parlare, non gli diciamo dì qualcosa in Italiano. Sono tutte cose assolutamente naturali, che ogni genitore fa senza pensarci, spontaneamente, e di conseguenza il bambino impara a parlare per comunicare con le persone più importanti al mondo. Perché se invece lo stesso genitore vuole introdurre una seconda lingua nella vita del bambino all'improvviso ha bisogno di complicare le cose? Di trovare formule, ricette e tecniche? Non è il bambino che è cambiato, è il genitore. Il bambino accoglie tutte le lingue con la stessa curiosità, purché siano utili a comunicare con la persona a cui vuole bene. All'improvviso però il genitore ha paura di sbagliare, si fa prendere dall'ansia, e allora non fa altro che testare e ritestare il bambino per "vedere se ha imparato", si riempie di flashcards, va in giro per la casa nominando gli oggetti. Ma il bambino non vive di sostantivi, vive di emozioni, e le emozioni che raggiungono il bambino in questo caso sono di ansia, ansia da prestazione del genitore che si traduce in ansia da prestazione del bambino. Morale: l'Inglese non mi piace. Quale potrebbe essere invece un approccio più naturale? 1) Ragionare sul lungo termine, non sull'immediato 2) Spostare l'attenzione sul genitore, non sul bambino. 3) Usare creatività nel proporre la seconda lingua 4) Non testare il bambino e non mettergli pressione Ragionare sul lungo termine, non sull'immediato Al bambino non importa nulla di imparare le lingue, e purtroppo spesso non importa nemmeno ai giovani, importa molto agli adulti, che passano la vita a rincorrere un treno. Teniamo bene a mente questo. Quando insegnamo una lingua ad un bambino stiamo pensando all'adulto, e rischiamo di perdere di vista il bambino. Ma se l'obiettivo è insegnare all'adulto di domani oggi, che è bambino, cerchiamo di avere delle aspettative realistiche. Secondo voi, chi ha più probabilità di diventare un adulto bilingue? Un bambino che a 18 mesi sa dire tutti i colori in Inglese o un bambino che a 10 anni chiede ai genitori di guardare i film in lingua originale? Il fatto che un bambino a 18 mesi sappia dire i colori significa che a 10 anni vorrà guardarsi i film in Inglese? Non se strada facendo si sarà stufato di "imparare" o farsi insegnare l'Inglese... Spostare l'attenzione sul genitore, non sul bambino. Spostare l'attenzione sul genitore vuol dire smettere di domandarsi quante parole sa il bambino e cominciare a chiedersi cosa sto facendo io per me? Vuol dire innanzitutto far entrare la seconda lingua nella propria vita, di genitore. Guardare film in lingua, leggere una rivista in Inglese, organizzare una chiamata su skype con amici madrelingua, ascoltarsi un audiobook in lingua in macchina, guardarsi dei video su Youtube, etc. Materiali per me genitore, non per il bambino. Ma il bambino non impara la lingua solo perché la sa il genitore… è vero. Ma un genitore che vive la lingua come strumento, come interesse personale, non si fa prendere dall'ansia di "insegnare", ma piuttosto dalla "gioia di condividere" e la differenza è sostanziale. Quanti genitori dicono Mio figlio a 4 anni non vuole vedere i cartoni in Inglese. Ma il bambino vede mai i genitori guardare dei film in Inglese per i fatti loro? Il desiderio dei bambini di entrare nel mondo dei grandi è enorme, lo sappiamo, fare leva su questo desiderio è più efficace che dirgli adesso ti insegno i colori, ripeti, bravo! Usare creatività nel proporre la seconda lingua Ai bambini non interessa imparare una lingua per sé, una lingua è sempre un mezzo, non un fine. Il fine dei bambini è comunicare, giocare, scoprire, e allora creiamo le premesse perché la lingua sia canale per comunicare, giocare, scoprire. Ma attenzione, giocare non vuol dire schiacciare bottoni, giocare vuol dire interagire, manipolare, inventare, sognare. Il senso della domanda "In che lingua giochiamo?" è proprio questo, ci sono mille giochi e attività che possono essere collegati alla lingua Inglese, o comunque minoritaria, usiamoli tutti (partendo da noi adulti come dicevamo prima)! Potrebbe essere il gioco da tavola in lingua, cucinare dei piatti tipicamente Inglesi con una certa regolarità, far affezionare i bambini ai personaggi di un cartone animato e poi riproporglielo in libro e audiolibro, cantare insieme la canzoni in macchina, per chi è creativo magari seguire qualche blog di mamme creative e poi fare lavoretti insieme. Le cose da fare sono mille, problema: richiedono organizzazione e tempo. Tempo per scovare e acquistare (o scaricare) i materiali giusti. Ma solo investendo questo tempo il genitore si può appropriare della lingua, cercare scorciatoie con materiali già pronti e impacchettati ci riporta a vivere e comunicare la lingua come qualcosa di estraneo, qualcosa da imparare, non da vivere. Non testare il bambino e non mettergli pressione Se adottiamo un'ottica di lungo termine è assolutamente ininfluente quante parole il bambino dice oggi nella seconda lingua. E' interessante invece se canta con piacere le canzoni con il genitore (storpiandole fin che gli va), se chiede, se è curioso, se capisce ciò che gli viene detto, se ascolta e ride. Se la lingua è esperienza positiva ed emotivamente ricca, di scoperta e condivisione, il bambino troverà in sè la motivazione per impararla e continuerà ad accettare gli stimoli e le proposte. Se invece sentirà il genitore sempre pronto a testarlo, a verificare (fosse anche solo per lodarlo), prima o poi cercherà di sottrarsi a questo test, e sinceramente non possiamo dargli torto. Solo se la lingua diventa uno strumento nelle mani del bambino (non del genitore) la conquista linguistica diventa una conquista personale del bambino, che accresce il suo senso di sapere e di valere, creando una fiducia su cui poi costruirà gli apprendimenti futuri.