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11 fabio roia vittime di violenza

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11 fabio roia vittime di violenza
La Rivista del Consiglio
Notizie e commenti
Anno 2015
11
FABIO ROIA
VITTIME DI VIOLENZA
Loredana, donna vittima di violenza domestica, è stata uccisa ad Albenga
dal marito, dalla persona che avrebbe dovuto darle fiducia e protezione affettiva. È morta perché non lo voleva più. Una storia finita che diventa tragedia
perché l’uomo non accetta scelte diverse dal possesso e dal dominio della compagna. Un altro femminicidio, questa volta forse non annunciato, perché Loredana aveva avuto il coraggio di denunciare le violenze. Erano state adottate
delle misure cautelari a sua tutela e contro il persecutore, prima il carcere poi
il divieto di avvicinarsi ai luoghi da lei frequentati. Polizia giudiziaria, avvocati,
magistrati, quindi tutti i soggetti del processo penale, avevano avuto modo di
conoscere e di valutare il caso, ponderare il livello di rischio che la donna comunque subiva sul piano di un possibile aggravamento della condotta realizzabile da parte del marito egiziano, figlio quindi di una cultura di relazioni diversa e come tale da considerare. Leggendo le cronache, ovviamente non gli atti giudiziari, si comprende che lui era cambiato nell’atteggiamento, aveva capito gli errori, si era trasformato e quindi non era più pericoloso per Loredana.
Soltanto lei non credeva al suo cambiamento perché, attraverso quel vestirsi
bene con la faccia ripulita, l’uomo recitava la sua commedia, che è tipica per
chi ha esperienza di questi processi, e che consiste nel farsi credere diverso da
quello che in realtà si è stati e si è rimasti: un attore violento in grado di nascondere la propria voglia di possesso, a qualsiasi costo, non superata ma soltanto freddamente occultata.
È successa una tragedia, succederà ancora, fino a quando tutti gli operatori
delle vicende giudiziarie che riguardano donne vittime di violenza domestica,
dal poliziotto all’avvocato al giudice, non affronteranno il caso con una specializzazione affinata ed applicando parametri di valutazione del rischio completamente diversi da quelli che normalmente vengono utilizzati nei processi per
reati comuni. Il piccolo spacciatore di droga che viene arrestato è probabile
che smetta se è la prima volta che accade e se lo ha fatto, per esempio, per disperazione economica. Per chi maltratta non è generalmente cosı̀ perché la
condotta nasce e si consolida in fattori comportamentali di non semplice lettura che riguardano le relazioni fra uomo e donna, il ciclo della violenza, la
(sub) cultura ricevuta, la presenza dei figli soprattutto se minori. Oltre che a
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professionisti giudiziari specializzati, come adesso impone anche la convenzione di Istanbul scritta dall’Europa per tutelare le donne vittime di violenza domestica, occorrerebbe la possibilità di ricorrere alle scienze complementari (psicologiche, criminologiche, sociali) per tracciare in modo scientifico, e non empirico, il profilo dell’autore del reato, la sua storia, la sua evoluzione, le sue
finzioni. Oggi l’art. 220 del codice di procedura penale lo vieta. Sarebbe davvero il caso di riscrivere questa norma che sa di garantismo ammuffito.
Ancora. Quando si verifica un femminicidio come quello di Loredana occorrerebbe che un’Autorità terza acquisisse tutti gli elementi di conoscenza per
comprendere le cause, non le colpe, l’accertamento delle quali compete eventualmente alla Magistratura, che hanno provocato la tragedia e ciò al solo fine
di verificare che cosa non ha funzionato (i tempi, le comunicazioni, la valutazione del rischio omicidario?) nella rete di protezione e di aiuto alla donna vittima di violenza. E ciò perché una rete di intervento, una collaborazione strutturata fra agenzie aventi diverse competenze, è tale se offre supporto e prospettive di tutela certe altrimenti diventa anch’essa un luogo di potenziale pericolo
per chi vi si appoggia.
Se non si ha il coraggio di ammettere che quando muore una donna qualcosa non ha funzionato, qualcuno può avere sbagliato, anche senza averne poi
una diretta responsabilità, leggeremo ancora troppe volte storie come quelle di
Loredana e dovremmo allora sentirci tutti un po’ colpevoli. Perlomeno di non
avere fatto quello che potevamo fare.
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