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La battaglia del grano
si dovevano fare delle scelte
Con la crisi dei fascisti, che, a partire dal mese di giugno, si manifesta
palesemente nello sfascio della guardia nazionale repubblicana e con la crescita
del consenso e della collaborazione attiva della popolazione alla lotta partigiana;
si creano le condizioni che permettono al CLN alta Italia di arrischiare un
progetto di una vastità e di una complessità impensabili sino a poco tempo
prima. E’ la battaglia del grano, un’operazione in cui sono impegnati tutti i
gruppi gap, che pure agendo isolati e spesso ignorando l’azione dei gruppi
vicini, vengono orientati verso un unico obiettivo comune: impedire ai tedeschi
di appropriarsi del grano della pianura padana. Da questo momento le forze di
pianura della resistenza impegneranno il nemico in una vera e propria
battaglia, che durerà per tutta l’estate.
Tutto il Partito [comunista] deve fare uno sforzo deciso per migliorare il lavoro in direzione delle
campagne, per mobilitare le grandi masse contadine. E’ questo uno dei campi in cui il lavoro del
Partito è rimasto indietro. E’ necessario a questo fine sviluppare ed intensificare la campagna contro
gli ammassi e le requisizioni, per spingere i contadini a non consegnare ed a difendere i prodotti del
suolo. Bisogna per questo non solo riprendere i motivi nazionali e patriottici che impongono ai
contadini di non alimentare con la consegna dei prodotti agrari la guerra di Hitler, ma anche
denunziare il fatto che i prezzi pagati per i prodotti consegnati agli ammassi non danno ai contadini
il giusto compenso per le loro fatiche. E’ necessario illustrare lo scarto esistente tra il prezzo dei
prodotti industriali, di cui il contadino ha bisogno e che egli deve acquistare sul mercato nero, e
quelli pagati dagli ammassi; denunziare la diminuzione della produzione per la mancanza dei
concimi, delle macchine agricole, della benzina, eccetera. Bisogna, infine illustrare quanto il
ministro comunista dell’agricoltura, compagno Gullo, ha già fatto nell’Italia libera per venire
incontro ai bisogni dei contadini, i quali devono consegnare solo il 45% della produzione di grano,
che viene pagato a lire 1.000 il quintale mentre il resto può essere liberamente venduto dal
produttore... (Da: Portare l’insurrezione nelle campagne. Direttive del Comando generale a tutti i
Comandi di brigata e di distaccamento. Milano, 27 giugno 1944 – In: Le Brigate Garibaldi nella
resistenza. Vol. 2. Documenti / Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia
e Istituto Gramsci. - Milano : Feltrinelli, 1979)
Le disposizioni erano di impedire ai tedeschi di portar via il grano. Quindi l’importante era impedire
la trebbiatura. L’ordine era di bruciare le trebbiatrici. (Scevola Franciosi - dattiloscritto 1984)
... i partigiani che ci dirigevano dicevano alla popolazione di non trebbiare, mentre i tedeschi
volevano trebbiare e portare via il grano. Era una lotta per l’economia e poi una lotta anche di
carattere antifascista, che aveva i suoi sbocchi anche nell’economia. (Urbano Danesi - dattiloscritto
1984)
A volte si facevano le riunioni e si discuteva però queste cose sono state decise dall’alto, condivise
anche da noi ma la parola d’ordine era di non trebbiare ed era un discorso abbastanza facile se vuoi,
ma molto impegnativo perché bisognava avvisare tutti i contadini che non dovevano portare a casa
il grano, in campagna comandavamo ormai, avevamo influenza, la gente ci seguiva. (Alvaro
Piraccini - dattiloscritto 1984)
Per impedire ai tedeschi di impadronirsi del grano, è necessario rendergli il
lavoro difficile. La prima fase della battaglia, che durò più o meno per tutto il
mese di giugno, ha quindi come obiettivo quello di ritardare il più possibile la
mietitura. Bisogna convincere i contadini a non mietere o a farlo il più tardi
possibile. Una volta mietuto, si deve convincerli a non portare il grano agli
ammassi organizzati dai fascisti e nello stesso tempo a non accumularlo troppo
vicino a casa o vicino a strade di facile accesso, dove tedeschi e fascisti possono
requisirlo per conto proprio. Meglio se il grano è lasciato disperso, in covoni, nei
campi.
[Forlì] 17 [giugno] = I partigiani ed i comunisti avvertono i coloni di non iniziare la mietitura del
grano prima del giorno 26 corr.
[Forlì] 19 [giugno] = Da tre giorni piove e non si hanno allarmi fa freddo e soffia il vento, anche
per questo non è possibile mietere come in qualche podere si era iniziato. Non solo i comunisti ma
gli stessi agricoltori hanno avvertito i contadini di attendere ordini per farlo; il motivo non è reso
noto ma è intuibile.
[Forlì] 21 [giugno] = Le squadre incaricate di impedire la mietitura intensificano la vigilanza ed
incidenti sono avvenuti nella bassa ravennate. I mannelli falciati non sono comunque raccolti e
lasciati alla pioggia germogliano, mentre il grano rimasto in piedi soffre.
[Forlì] 23 [giugno] = La mietitura non ha inizio. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
23 giugno - Nel ravennate nessuno ha mietuto per ordine di non si sa chi (comunisti o ribelli): il
grano è secco al massimo e deperisce, ma fino al 25 nessuno può falciarlo. (Dal diario di don Pietro
Burchi - Gattolino)
[Forlì] 25 [giugno] = In alcuni luoghi i tedeschi impongono la mietitura con la rivoltella in pugno.
(Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
26 giugno - Ora i ribelli hanno vietato si faccia il barco e il grano resta nei cavaglioni. Le
trebbiatrici non possono uscire. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino)
26 giugno 1944 - Quest’anno il grano è stato mietuto, ma nessuno azzarda fare i barchi e rimane
sparso per campi nei covoni. (Dal diario di don Leo Bagnoli)
[Forlì] 27 [giugno] = Volantini comunisti sparsi nella zona di Vecchiazzano, invitano i contadini a
lasciare il grano nei covoni, a non trebbiarlo perché i tedeschi non abbiano a portarlo via. (Dal diario
di Antonio Mambelli - Forlì)
4 luglio - Abbiamo almeno quattro autorità: la tedesca, la fascista, la comunale e la partigiana;
l’ultima è la più temuta perché è la più decisa; ora non vuole che i coloni facciano il barco e che le
macchine trebbiano. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino)
La prima fase della battaglia è soprattutto politica. Si tratta di persuadere i
contadini ad andare oltre il loro personale interesse e a resistere alle pressioni
dei fascisti.
Noi pensavamo che fosse giusto, però lì c’è stato un po’... c’era quello che non era risoluto... Il
grano è il grano! Quindi si dovevano prendere i soldi. (Ferdinando (Delio) Della Strada dattiloscritto 1984)
C’era il buono e c’era il cattivo [fra i contadini], ma [quelli buoni] hanno svolto la loro funzione di
persuasione anche per gli altri. E’ stato sufficiente quindi avere 7-8 contadini antifascisti, che erano
molti di più, per convincere anche gli altri che certe cose non andavano bene, perché anche loro
avevano dei figli in pericolo o avevano dei familiari. (Otello Sbrighi – dattiloscritto 1984)
... si faceva il volantinaggio nelle campagne, quindi i contadini in gran parte erano con la resistenza,
perché senza il loro aiuto la resistenza non poteva sopravvivere. (Luciano Rasi - dattiloscritto 1984)
[Forlì] 21 [luglio] = I comunisti continua[no] a spargere volantini per la campagna. Un’azione
rischiosa ma efficace. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
[I contadini come avevano preso la cosa?] Int al zoni du ch’l’era fort i antifasestar bene, ma du ch’i
era un po’ più deboli... in la apruveva. No’. (...) I vleva bat parché… Cioù! L’era e’ su magné! Mo
[par] e’ magné i puteva bat d’istes. (Otello Sbrighi - 1983)
Mi ricordo [che] io e Lama [Luciano] andammo in una casa che avevano portato a casa tutto il
grano e gli dicemmo “Guardate... portatelo un po’ nei campi perché i fascisti e i tedeschi girano, se
trovano la bica del grano già a posto... vengono a trebbiarla. E se trebbiano il grano ve lo portano
via e non sappiamo nemmeno se ve lo pagano. (Giulio Garoia - 1998)
A fine giugno ha inizio la seconda fase, impedire la trebbiatura, ma con il grano
tagliato e sparso per i campi le cose si fanno più difficili. Per i contadini è
difficile resistere alle pressioni dei fascisti, quando cominciano a imporsi e forse,
lo è ancora di più, resistere alla paura di rischiare di perdere una buona parte
del raccolto e alla tentazione di rinunciare ad un guadagno immediato.
[Forlì] 4 [luglio] = I contadini ricevono l’ordine occulto di lasciare il grano nei covoni: guai a chi si
attenti a portarlo nelle aie, vi è però una qualità che si spappela in mezzo ai campi. (Dal diario di
Antonio Mambelli - Forlì)
5 luglio 1944 - Appare un manifesto del Comando tedesco che annuncia doversi iniziare la
trebbiatura del grano sotto il controllo delle Autorità onde difendersi anche da eventuali azioni di
ribelli. I contadini, però, a quanto mi risulta, non se la sentono di farlo. Temono minacce aeree ed in
più i partigiani, i quali hanno avvertito di non trebbiare affinché i tedeschi non portino il grano in
Germania. Basta trebbiare per i bisogni familiari, hanno detto! E la gran parte del grano intristisce
nei covoni in mezzo ai campi! (Dal diario di don Leo Bagnoli - Gattolino)
[Forlì] 7 [luglio] = In conformità di un avviso dell’unione Agricoltori, domani dovrebbe aver luogo
la prova di collaudo della macchine trebbiatrici ed il giorno 10 l’inizio delle operazioni da eseguirsi
al riparo delle piante. Si fa appello agli stessi agricoltori perché assicurino il pane alla popolazione,
sono però temuti incidenti e incursioni. Il raccolto è dovizioso, ma rimane nei campi, destinato in
parte, alle rapine e alla malora (...) E’ concessa la facoltà di acquistare grano a tutti i cittadini e resa
più facile la macinazione. Secondo i manifesti affissi oggi si dovevano iniziare i lavori di trebbiatura
del grano, il che non è avvenuto; la macchina di un certo Pinza è stata incendiata per quanto non in
funzione. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
9/7/44 -FORLI- All’ordine dato dalle autorità tedesche di iniziare la trebbiatura del grano ed averlo
così, sotto il loro diretto controllo. I GAP effettuano una serie di azioni contro le trebbiatrici ed i
militi di scorta, onde evitare che il prodotto del nostro suolo fosse asportato dai tedeschi o da essi
consumato. A Pievequinta un GAP incendia una trebbiatrice distruggendola e ne rende inservibili
altre due. A. S. Tomé un’altra trebbiatrice viene distrutta da un GAP. A Villagrappa un’altra
trebbiatrice viene incendiata.
10/7/44 -CESENA- In località Montiano un GAP brucia il barco del grano del famigerato
SPADAZZI, squadrista, fuggito dalla Toscana perché ricercato dai Patriotti. Installatosi nel
Municipio quale dittatore cacciando via il Podestà. Da vario tempo esercitava pressione sui
contadini per obbligarli anch’essi a trebbiare il loro grano. Reazione nemica: La milizia fascista
effettua un rastrellamento arrestando un Patriotta. (Dal Bollettino ufficiale n. 4 della 29a. brigata
Garibaldi “Gastone Sozzi” - ISRFC ANPI Forlì)
[Forlì] 18 [luglio] = La trebbiatura procede lenta, ostacolata da infinite difficoltà; cinque militi della
g.n.r. sorvegliano le operazioni armati ed hanno la custodia delle macchine, perciò gravano sul
costo. Pochi contadini azzardano portare l’eccedenza al Consorzio e perciò si pensa che ne vantaggi
il mercato nero. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
Fu fatta una diffusione di volantini dove si diceva che il grano non doveva essere battuto nell’aia
subito, ma bisognava ritardare il più possibile [la trebbiatura] lontano dalle case e dalle strade per
mettere in difficoltà la ruberia dei fascisti e dei tedeschi che portavano via il grano. (Paolo Foschi dattiloscritto 1984)
Nella nostra zona successe un fatto… che è stata bruciata una trebbiatrice, ma non dal nostro
gruppo, son venuti da fuori perché è stata bruciata verso la centrale elettrica in via Roversano (...)
avevamo dei fogli da dare alla gente (...) Dei ciclostili c‘erano…”Non date il grano ai tedeschi”. I
contadini c’han dato retta, non l’han portato a casa. I contadini pochi... avevano portato il grano
nell’aia. Avevano fatto tutti questi mucchi, uno quì uno là, lontano da casa. Che dopo si era sparsa
un poco anche la voce di questi barchi bruciati. Perché quando bruci la trebbia, la trebbia è vicino al
barco... (Nando Mariani - 1984)
I contadini erano un po’... per via della trebbiatura. Però condividevano anche loro... (Roberto
Venturi - dattiloscritto 1984)
Poi i fascisti andavano a dire “Fai il barco!” Minacciavano. Allora c’erano quelli che lo facevano.
Se erano in pianura erano più protetti dai fascisti. (...) Poi è venuto il momento che si trebbiava,
allora era un problema per noi [contadini e partigiani nello stesso tempo] andare a trebbiare.
Consideravamo di essere al fronte, perché questo si era comunicato anche agli operai [agricoli], a
chi andava a trebbiare. Andare a trebbiare per noi è come andare a far la guerra... in poche parole.
Allora venne fuori questo fatto abbastanza grave: “Gli operai [agricoli] cosa c’entravano?” [Ci
chiedemmo] “Niente.” Però purtroppo la cosa era abbastanza impegnativa in quanto si dovevano
fare delle scelte. Io ricordo che questo era un nostro simpatizzante, di un altro distaccamento, un
certo Zani che aveva la trebbiatrice e tramite un altro ebbi l’occasione di incontrarlo... Disse “Allora
come facciamo a trebbiare?” Ricordo che gli dissi “Qui le cose stanno così...”. Non è che mi potevo
esporre perché non era permesso comunicare chi eri o non eri, dai nostri comandanti. Gli dissi “Se
fossi in te risolverei il problema, tanto i partigiani ti attaccano la [trebbiatrice] quindi non puoi
trebbiare. Siccome tu fai l’imbucatore (quello che mette giù i covoni) in quel periodo io prenderei
su un ferro, poi ad un determinato momento lo infili giù, si spacca il battitore e hai risolto il
problema”. Il giorno dopo si seppe che la macchina si era spaccata e poi i fascisti volevano che
trovasse un altro battitore. (Alvaro Piraccini - dattiloscritto 1984)
7 agosto 1944 - Pochi hanno trebbiato; il grano è ancora sparso in covoni per la campagna.
Certamente non gode di questa continua esposizione alle intemperie. (Dal diario di don Leo Bagnoli
- Cesena)
Ai contadini era concesso di raccogliere e macinare il minimo indispensabile per
sfamare la propria famiglia. Conseguenza della penuria di grano in circolazione
fu il diffondersi del mercato nero.
[Forlì] 10 [giugno] = Il capo della provincia annunzia provvedimenti per il rifornimento carneo
(...) un altro decreto proibisce l’esportazione dei suini (...) Il mercato nero però viene esercitato su
vasta scala ed è buono prezzo pagare la carne bovina o vaccina da 100 a 125 lire il chilo, 700-800 il
grasso di maiale...
[Forlì] 13 [luglio] = Vedo talora accalcarsi davanti ai pochi forni una gente spaurita ed ad essa
mescolarsi i soldati poiché a loro volta chiedono pane, si fanno largo senza tanti complimenti ed
aumentano il disagio. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
[Forlì] 14 [luglio] = Uno per volta anche in villa i forni sono chiusi per mancanza di legna ed ora
anche di farina; la legna non può scendere dalla montagna mancando chi la trasporti; benché siano
offerte ai birocciai ed ai camionisti 70-80 lire il quintale: altrettanto accade per il carbone. Si
riconosce per l’ultimo genere, l’insufficienza del prezzo di calmiere; stabilito in tre lire per chilo,
nelle condizioni attuali, così come quello del grano (350 lire), laddove in questi giorni un fornaio ne
ha trovato cinque quintali pagandoli il doppio. Ormai l’equilibrio è spezzato e ciascuno si regola a
talento.
[Forlì] 21 [settembre] = Il burro è salito a 330 lire sul mercato nero. (Dal diario di Antonio
Mambelli - Forlì)
A me i fascisti mi hanno anche menato anche se avevo nove anni (...) durante la carestia, davano su
in piazza grande... la piazza delle erbe... c’era una macelleria, la bassa macelleria... bassa
macellazione veramente era... eran carni... bestie... non so se ammalate... ma naturalmente non
molto sane e la davano a un prezzo più basso e ci si metteva in fila e sebbene io ero il più piccolo
della famiglia (...) mia mamma mandava sempre a me a fare le code del pane, le code del latte, le
varie code (...) e allora quando si sapeva che c’era questa carne a bassa macellazione, mi si mandava
su... Però ne davano un chilo per famiglia. Io faccio la mia bella fila, quando sono lì davanti... e
naturalmente chi teneva l’ordine pubblico c’eran due fascisti, due o tre (...) quando sta [per essere] il
mio turno per entrare dentro a prendere la carne, mi fa questo qui, sto fascista, dice “Tu no perché
l’hai già presa” “Come l’ho già presa? No. Io no, io non l’ho presa” “Sì, l’hai presa” “No, non l’ho
presa” “Sì, l’hai presa” “No, non l’ho presa”... questo qui mi da uno spintone e io gli do dello
sporco fascista. Naturalmente io non sapevo nemmeno cosa voleva dire fascista o non fascista. Sì,
quel tanto che in casa, i miei eran socialisti, che io potevo sentire... Mi dà questo spintone, gli do
dello sporco fascista e questo mi dà un ceffone e io immediatamente gli rispondo con un calcio,
questo mi dà un altro ceffone e io gli sputo in faccia. Questo mi tira per terra e mi dà dei gran calci.
L’altro, fascista naturalmente, si prende le mie difese e’ dis “Smetla Fiori”. Fiori si chiamava
questo tizio. Poi, credo che sia andato in Argentina e morto là, che stava nelle case popolari in viale
Oberdan. “Smetla Fiori t’an vì ch’l’è un burdèl?”. (...) Quindi io me andai senza la mia carne
piangendo (...) Mia mamma che era una che non si faceva mettere i piedi sulla pancia da nessuno,
mi prese e di corsa... Di corsa! Dalla via Aldini partimmo e andammo in piazza. Indicai chi era. Mia
mamma cominciò a prendere le mie difese e naturalmente a litigare con il fascista. Insomma per
chiuderla lì ci fecero entrare. Ci fecero entrare e ne presi un chilo io e un chilo la mia mamma.
Quando uscimmo [mia mamma] glieli fece vedere “A n’ avam tolt du chel!”. (Roberto Rocchi 2004)
Anche al Comitato di liberazione di Cesena si pose il problema di come sfamare
i propri uomini e consentì di trebbiare ad alcuni contadini vicini
all’organizzazione clandestina.
A proposit da bat e’ gren i faset una riunion e’ Cumitet ad liberazion parché nun dì... t’aviva dla
zenta da dei da magné, e’ gren u t’ tucheva masnel cun e’ masnin... Ma dla farena u i nun vleva, e
po’ t’an aviva... e alora i paset d’acord d’andè bat. Parchè... Ciou di! Quand che te bsogn, no? E
alora chi i va? U j andet e’ mi zé Poldi. E carghet tri quatar cavajun. Quatr o zenqv... Un car ad
covi. Prema (...) l’andet a santì s’ i bateva e s’ e’ puteva andè, e alora i daset via libera e i get “Sé,
sé” dis “e pò ‘vnì” (...) E alora e’ carga sti cavajun e quand ch’l’è lasó e’ taca a bat. Quand l’è un
zert moment... e’ tireva nenca un po’ ‘d vent (...) u s’ impet la machina, l’era ad vulantin...
vulantin... La scintilla... tot, tot vulantin antifasesta, d’l’azion (...) e’ scureva nench dla battitrice
[che eravamo andati ad incendiare] (...) L’era un fasesta, un republichin, e’ padron a lè in du ch’e’
bateva. “E alora a qué sel?” (...) “Sel! Orca Madona ! Sa vut ch’a sepa me quel ch’ u s’ sia? Me ò
carghé dal covi. A n’ e’ sò?” “Sé, mo al covi ta li é carghedi int e’ tu fond?” (...) “Int e’ mi fond.
Me ò carghè al covi mo s’l’è pasè un ch’u i l’epa mes, me degh ....” Comunque la andet ben. In
paset. U s’ ved che... Insoma tot sti vulantin e’ faset una publicità! U j aveva mes la mi cusena
parché j i aveva dè, no? La Clara [Della Strada]. J i aveva dè sti vulantin che la i duveva purtè via e
la i mitet int un cavajon e lo u n’ e’ saveva e e’ carghet sti cavajun. (Ferdinando (Delio) Della
Strada - 1998)
Non tutti i contadini, però, si lasciavano convincere a collaborare con la
resitenza e allora, se non bastava la persuasione, si passava alle minacce.
[A Settecrociari] nella zona destra, dove comandava Casadei Walther, c’era un altro gruppo e due
contadini fecero il barco, non sapevano niente, non erano stati contattati. Allora siccome Casadei in
casa sua aveva un comando tedesco, a volte si fanno cose un po’ azzardate, scrisse lui un biglietto a
macchina, a casa sua, dove c’era il comando, dove diceva: “Per ordine del Comitato di Liberazione
vi diamo 24 ore di tempo, altrimenti interveniamo e appicchiamo il fuoco al barco.” (...) Alla notte
portammo il cartello, che poi Werther fece anche una stella rossa nel biglietto. Alla mattina il
contadino lo vide e portò il grano nel campo, mentre l’altro contadino, da quel che ho saputo, non
trovò il cartello, che fu trovato dal proprietario... e lo deve aver passato (...) ai tedeschi che facevano
la guardia al barco. (...) Noi non sapevamo niente, perché era il gruppo di Casadei. Siccome non si
voleva appiccare il fuoco perché era un contadino simpatizzante dei partigiani (...) quando sono
intervenuti di notte per riportare il secondo cartello, furono attaccati dai tedeschi che tirarono molti
colpi, per fortuna nessuno venne preso. Si vede che anche loro avevano paura. (Alvaro Piraccini dattiloscritto 1984)
Minacciavamo... “Se battete il grano bruciamo la macchina!” In quella zona [San Tommaso], che
sappia io, non è stata bruciata nessuna macchina. (Paolo Foschi - dattiloscritto 1984)
E dopo c’è stato gli incendi delle macchine... del grano. La battaglia del grano. Lì c’era una
macchina... qui di Ronta, che glielo abbiamo detto tante volte “Smettete di battere. Smettete di
battere. Vi facciamo saltare la macchina!” ma loro dicevano “Sì, sì” ma continuavano a battere.
Alora un giorno... La macchina era di Canducci, uno... e erano due o tre soci... erano. Allora un
giorno a i purtem una caveja grosa. A la mitem int una cova a degh “La spaca...” ma comunque...
la s’arvinet un po’ ma loro continuavano a battere. (Aldo Fusconi – 1983)
4 agosto - Alcuni giorni fa, nel cuor della notte, sei o sette fuori legge in bicicletta si recarono alla
casa del mugnaio della Calabrina, Zoffoli: suonarono e bussarono sgarbatamente, e, non aprendo
nessuno (dentro c’era solo il padrone spaventato) se ne andarono tirando due bombe nel cortile. (Dal
diario di don Pietro Burchi - Gattolino)
Quando i contadini non cedevano neppure alle minacce, oppure erano costretti
dai fascisti a trebbiare, allora si passava alle vie di fatto e si incendiavano i
barchi o le trebbiatrici.
Quando i fascisti andarono nelle famiglie dove avevano portato a casa il grano per trebbiarlo noi
c’arrivammo con le bottiglie molotov e demmo un avvertimento serio. E molte, molte trebbie
furono incendiate nel forlivese con le bottiglie molotov. E l’ultima trovata fu questa noi dicemmo ai
contadini “Se dovete trebbiare il grano domani o dopo domani portate il grano solo a casa il giorno
prima. Perché c’è il pericolo che anche gli aerei vi bombardano il grano... bombardano la casa. E
allora ci fu uno che disse “Uei Pirò!”, io mi chiamavo, nome di battaglia, Pirò “Sai cosa facciamo
adesso, andiamo in quel campo lì, che domani o dopodomani devono [trebbiare] e mettiamo quelle
bottigliette in mezzo alle spighe... legate nelle spighe con il collo rivolto in basso.” Quando
prendevano il covone che lo buttavano giù (...) andavano giù nel coso... le bottiglie si spaccavano e
l’ultima trebbia la bruciammo così. (Giulio Garoia - 1998)
Poi ci venne dato l’ordine del comando, attraverso mia sorella [Giuseppina Rasi] e l’altra staffetta
Casali Marisa, sorella di un nostro partigiano, di fare un’azione sempre a Molino Cento in occasione
della trebbiatura del grano. E’ stato ai primi di luglio, in quel periodo la zona pullulava di tedeschi.
La zona della via Ancona a nord del Savio e dalla parte di qua anche... si erano infoltiti... E quindi
dovevamo impedire che questa macchina trebbiasse il grano che andava ai tedeschi, lo portavano in
Germania. In cinque: io e i due fratelli Zandoli, Antonio e Mario, Casali Mario, avevamo una
Molotov che mandammo a prendere tramite la staffetta Rasi Giuseppina, sempre a Martorano e
avevamo delle bombe a mano. Eravamo tutti armati ovviamente, dovemmo guadare il fiume,
partendo dalla casa-base di Porta Fiume, di notte, sulle 20 e trenta circa... Poi ci arrampicammo sul
costone vicino alla centrale elettrica, perché il contadino era proprio davanti alla centrale. C’era la
trebbia ed era badata da due fascisti... Noi piano piano arriviamo sull’aia, guardammo sotto il
porticato dove c’era la famiglia del contadino che parlava con questi fascisti. Non potevamo sparare
ovviamente lì, perché non volevamo uccidere degli innocenti, non potevamo correre il rischio di
colpire anche il contadino, però lanciammo la bomba a mano e poi la bomba Molotov, perché con il
calore sprigionato dalla bomba la Molotov si incendiò e diede fuoco alla trebbiatrice. La mattina,
subito la brigata nera andò sul posto per verificare se poteva venire a capo di qualcosa. Noi
ritornammo indietro lungo il fiume e arrivammo sotto il ponte vecchio. Il fiume lo conoscevamo
bene (...) Arrivammo alla casa base senza nessun danno e nessuna perdita. (Luciano Rasi dattiloscritto 1984)
10 luglio - Ieri notte a Pisignano malviventi hanno appiccato il fuoco a un barco e a una trebbiatrice
preparata per trebbiarlo. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino)
Il mattino del 10 corrente in località contrada Bassona di Cervia, ignoti, con l’evidente scopo
d’impedire la trebbiatura del grano, incendiavano una trebbiatrice. (…) Alle ore 2 della notte sul 13
corrente, in località S. Andrea di Cervia, ignoti, allo scopo di renderla inutilizzabile, tentavano
incendiare una trebbiatrice di proprietà dell’esercente Pirini Antonio, iscritto al P.F.R. – La pronta
reazione con armi da fuoco da parte del proprietario metteva in fuga gli attentatori. (Da una lettera
della Questura di Ravenna al Ministero dell’Interno, del 23 luglio 1944. – Prop. Ferruccio (Rino)
Biguzzi)
18 luglio - Torno ora da Pontepietra, dove i nemici, oggi alle 11, hanno sganciato molte bombe.
Pare che l’obiettivo fosse una trebbiatrice verniciata a nuovo, che andava verso Cesena tirata da due
cavalli. Passata di poco la chiesa, un cavallo è stramazzato colpito; con l’altro la macchina è stata
tirata verso il Pisciatello. Il popolo l’ha incendiata: brutto atto di vandalismo. (Dal diario di don
Pietro Burchi - Gattolino)
I nostri genitori andavano a trebbiare... C’era anche mio cugino Nello [Della Strada] e suo fratello
Delio [Ferdinando Della Strada], però loro non ce lo dicevano [quali erano gli ordini], perché
essendo noi ragazzine certe cose... Però la trebbiatrice l’hanno bruciata giù per il Pisciatello. (Elia
Sacchetti - dattiloscritto 1984)
Nella zona di San Tommaso, a Montenovo e a Sorrivoli vennero attaccate delle trebbiatrici con
bombe Molotov e con scontri a fuoco con i militi che le accompagnavano. (Scevola Franciosi dattiloscritto 1984)
Per la battaglia del grano del 1944, nella zona di Saiano c’erano due trebbiatrici, fermate dai
partigiani e disarmati i militi fascisti di guardia. Come staffetta avevano la fidanzata di Mario
[Baldini], che poi la sposò. (Da: Memorie di Saiano / Lazzaro Rossi – dattiloscritto 1989)
... abbiamo fatto tre azioni: due a Saiano e una a Carpineta. Queste le fece Franciosi [Scevola] con
gli altri di San Tommaso. Io non c’ero... (Mario Baldini - dattiloscritto 1983)
25 luglio - Ieri, tra Bagnarola e Macerone, i ribelli hanno disarmato un milite. Questa notte, a
Martorano, gli stessi hanno dato fuoco a una trebbiatrice. (Dal diario di don Pietro Burchi Gattolino)
Abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare, tant’è vero che qui il grano non si è battuto, le
macchine sono state bruciate a Ronta. I contadini battevano il grano con mezzi primitivi per tirare
avanti. [A Martorano c’erano trebbiatrici?] No. Avevamo la squadra dei braccianti che andava
dietro la macchina... Il rappresentante era Migliori, repubblicano, un capo repubblicano. Ha
funzionato quella della Congregazione di carità, perché avevano quelle macchine vecchie, non
sapevamo quando ci andava... Forse lì poterono battere il grano quell’anno. Comunque quando
davamo l’ordine che tutto doveva rimanere là, a Martorano è rimasto là. [Voi davate gli ordini come
CLN?] Sì. Tutte le battaglie (...) avvenivano su invito del CLN. (...) c’erano gli appelli in ciclostile o
anche riunioni. (Otello Sbrighi - dattiloscritto 1983)
La sera c’erano i fascisti che facevano la guardia alle trebbiatrici per il grano, li disarmavamo poi…
[Avete fatto dei sabotaggi alle macchine?] Sì. (Roberto Venturi – dattiloscritto 1984)
Di azioni contro le trebbiatrici ne abbiamo fatte diverse, forse quattro. Una alla Calabrina, una a
Villa Chiaviche. Due trebbiatrici le abbiamo incendiate; per le altre azioni non siamo arrivati
all’incendio. (Dino Giorgini - dattiloscritto 1983)
31 luglio - Questa notte verso l’una, essendomi fatto alla finestra, ho scorto un principio d’incendio
in località Redichiaro: esso è cresciuto rapidissimamente e dopo circa mezz’ora s’è spento: i perfidi
partigiani hanno incenerita la trebbiatrice di Cattoli. Un’altra, pare, è stata bruciata a S. Giorgio e
una terza alle Chiaviche: tutte stanotte. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino)
Stanno trebbiando qui di dietro… perché in quei giorni… in quei giorni nessuno faceva il barco
vicino a casa, perché appunto avevan paura che glielo bruciassero e si bruciava anche la casa, alora
facevano i barchi nel campo. E ‘lora vennero i fascisti e gli imposero di trebbiare il barco e arrivò la
macchina e trebbiò (…) Il padrone di questo barco era (…) uno di quelli che hanno fondato il partito
qui a San Giorgio (…) Lì vicino c’era un coso… un campo di grano turco… perché si trebbiò
molto… molto tardi e in agosto [il granturco] era alto. E ‘lora di lì in mezzo riuscimmo no? In tre.
Con una bottiglia molotov no? Una bottiglia molotov e una bomba e bruciammo... Bruciò solo la
macchina perché il motorista con la cinghia riuscì a levarci le scarpe alla macchia e a tirarla fuori
che bruciò là fuori… Che poi la macchina era di Montanari di Macerone… che ha avuto un figlio
fascista in Spagna e un figlio comunista in Spagna. Oddino Montanari. (…) gli bruciarono la
macchina. Che lui gli dispiaceva ma del resto… (Rino Belli – 1984)
6 [agosto] - La macchina di certo Montanari, comunista di Macerone, è stata danneggiata dai ribelli,
suoi amici, a S. Giorgio. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino)
Ci trovammo vicino a Ponte Ruffio, dovevamo bruciare la macchina del grano ma non ci siamo
riusciti perché era circondata dai fascisti. Evidentemente ci sentirono arrivare e hanno sparato per
primi... noi eravamo 7-8 un po’ sparpagliati. Visto che sparavano tornammo indietro. E’ andata
bene così e non è successo niente. (...) andammo a san Tommaso. Siamo partiti da case Frini in due,
io e Maldini e lì ci aspettavano altri quattro e ci mancava una pistola per cui qualcuno doveva
andare a prenderla. “Ci vado io” dissi e andai a prendere la pistola. Arrivato a case Frini non c’erano
più, erano già andati su. Me lo disse la moglie di un partigiano e mi spiegò che erano presso la
chiesa di San Tommaso, mi aspettavano là. Ero in bicicletta. Quando arrivai sulla strada per San
Tommaso vidi dei fascisti in motore... In quel momento ebbi paura ma mi feci forza e andai avanti.
Passarono questi 8-10 motori e andarono dritto. Avevo due pistole, magari le usavo... ma erano
troppi! Ci trovammo lassù e c’erano altri due o tre di San Tommaso, così andammo a fare l’azione.
Era giorno, dovevamo bruciare la macchina del grano, ma non abbiamo potuto far niente. La
staffetta non c’era quindi si andava a casaccio. Sapevamo dov’era la macchina ma... vedemmo da
dietro le piante che c’erano i fascisti. Tornammo indietro. (Sereno Gasperoni - dattiloscritto 1983)
Un giorno, ero stato a Pievequinta, avevamo gli appuntamenti là con quelli di Forlì, e venendo a
casa [verso Madonna degli Angeli] passo per una stradina vicino al fiume e vedo che c’è una
macchina che batte il grano... Io e Ricci [Fabio] quel giorno avevamo litigato. Allora vado da Della
Strada [Ferdinando] e vedo Barbieri [Silvano] al quale racconto di aver visto la macchina del grano
che batteva. Barbieri rispose che dovevano andare anche loro, perché avevano avuto l’informazione
di una donna che batteva il grano e dissi che andavo anch’io. Andammo là senza sapere se c’erano i
fascisti... andai da solo senza bottiglia incendiaria. Metto la bomba lì e mi avvio... Dopo un po’ si
sente la botta e venimmo a casa. Andammo per bruciare un’altra macchina [a Villa Inferno], c’era
stata già un’altra squadra ma non erano stati capaci e decidemmo di andare noi. Quando arrivammo
lì ci accorgemmo di essere circondati da una colonna di tedeschi, in quel momento passò un
apparecchio, che noi chiamavamo Pippo e buttò giù un bengala... Dopo un po’ vedemmo che dal
bosco sbucò un tedesco che ci attaccò... Quando ci vide armati tornò indietro e corse dagli altri... Si
davano la voce l’un con l’altro “Partigiani! Partigiani!”. Noi eravamo 5 o 6. Scappammo
nascondendoci fra il frumento. Io invece non ero d’accordo di stare lì... preferivo stare altrove. E
vennero anche gli altri con me... Poi arrivò Ricci e fra il frumento non vide nessuno, ci trovò
altrove. Dissero gli altri che ero stato io a dare l’ordine di nasconderci da un’altra parte ma io avevo
solo detto che non sarei stato lì fra il frumento. Preferivo andare dove si vedeva. Litigammo un po’
con Ricci. Poi tornammo indietro perché la colonna di tedeschi era lungo la strada ed era pericoloso.
(Aldo Fusconi - dattiloscritto 1983)
Un’altra volta si doveva andare a bruciare la macchina a Sant’Andrea. Lì eravamo parecchi perché
si doveva fare un’azione abbastanza complicata. Si doveva distruggere la macchina. (...) In
quell’azione (...) c’era Ricci Fabio, Campana [Alvaro], no. C’era Fusconi Aldo. Mi sembra ci fosse
anche Caselli Luciano, di Forlì. Operava molto a Forlì. C’era il gruppo di San Giorgio, una parte del
gruppo di Ronta, il gruppo della Calabrina. Fallì anche quell’azione perché quando fummo nel
confine incontrammo una colonna di tedeschi e non potevamo attraversare la strada. (...) stemmo
fermi più di due ore dietro a dei pagliai, però la colonna si era fermata proprio in questa borgata e
non andava via, per cui siamo dovuti tornare indietro (Ferdinando (Delio) Della Strada dattiloscritto 1984)
Mo dopo venne (...) la trebbiatrice. Il grano che non si doveva battere. E alora u t’ tucheva andé a
brusé al machini. E in du ch’t’puteva riusì. A m’arcord che una volta aveva d’andé da Paja a... a
coso... Villa Inferno. Alora a partesum. U j era e tu zé [Rivolto a Quarto Fusconi], Aldo [Fusconi], u
j era Ricci [Fabio]... A sami diset-zdot. Parché quela la bateva propi fort e a l’avami da fè... da fè
propi sparì. [Allora eravate molti, non ervate più il gruppo iniziale di tre o quattro?] No, no, u i
n’era nench dal Ciaughi! Che dop à j ò pó imparè ad cnos. Insoma a sema parec. Sol che quand a
fosum (...) da... da e’ Mulinin. Da e’ Mulinin a lè a Bagnil. Int e’ stradon una culona ad tedesch. E
a cnesum (...) farmes. A stasem a lè un po’ ma insoma i s’era quilé nenca lou e insoma a n’ putesum
pasè e a cnesum turnè d’indrì. Però dop u j arivet quii ad Gatulen. Dop a tre quatar seri, no? (...) I
n’ arivet a tachèla fugh da fat, però la ciapet fugh un po’. (Ferdinando (Delio) Della Strada - 1998)
[Ci sono state delle trebbiatrici bruciate qui in giro?] Ne hanno bruciata una a Ronta da Ugolini,
un’altra a San Giorgio poco lontano da Calabrina, da Bertozzi. [Lei sapeva di queste azioni?] Lo
imparavo dopo. (Nello Della Strada - dattiloscritto 1983)
Que al Ciaughi u j era un ch’l’era un republichen, no? E l’aveva i fiul partigen (...) e nenca lor i
faseva e lavor ch’à fasema nun. E u j era orden da non fè bat e’ gren, no? Sté ba’ ad lurit du,
l’aveva la machina e la sera u la purtet int un cantir che a la matena l’aveva da andè a bat a que da
un che j i dis Scagaz e ‘lora una sera andem zó. Me andet da Campena [Alvaro Campana] a degh
“Ciou! Me la sta acsé e ‘csé guerda [che] ad matena i scapa cun la machina...” “Ah! “ dis
“Stasera a veng só me.” E vnet só [con] una fiasca pina ad benzina cun la méza. Pianin, pianin,
pianin, pianin. Da que e da lè ad travers. Pó andesum... a mitesum la fiasca zó int la boca dla
machina, a lè inscheda dria e’ baton. U j andet e’ mi fradèl me a stet a que ca’. E pó u i tachet
fugh. Nun a i guardemi da que . U j era dal fiambi! E culet gnacuel u ngn’ arvanzet piò gnent. (...) u
i n’era ch’in bateva, in riusiva a bat, e u i n’era che... Dop po’... Dop a ste fat che que, l’andeva
dria i fasetar a al machini e i cneva bat par forza. Quand ch’i ‘vnet a ca’ mia que a cnesum bat par
forza parché ‘sa i fasita. (...) J era dal squedri ch’u sa l’Os-cia cma fasita. Però u i fot chi puch
ch’in riuset a bat. (Pio Tamburini- 1983)
Non era facile decidersi a compiere queste azioni, che, se pure ne venivano
comprese le ragioni, erano comunque malviste dai contadini. Prima di arrivare
a distruggere le trebbiatrici, se era possibile, si tentava di arrivare allo scopo
con altri mezzi. Anche fra i partigiani molti erano contadini e dar fuoco al grano
o alle macchine appariva loro come un sacrilegio. C’era poi il pericolo di ferire
o di uccidere qualche bracciante, magari un compagno, costretto a lavorare con
la forza, o di andare a colpire degli amici, dei vicini di casa o comunque degli
innocenti. Quindi, se era possibile, prima si tentava di arrestare le macchine con
altri mezzi.
Siccome non si voleva appiccare il fuoco perché era un contadino simpatizzante dei partigiani...
(Alvaro Piraccini - dattiloscritto 1984)
Si facevano queste azioni piangendo, col cuore pieno di dolore, perché non si bruciava solo le
trebbiatrici, ma molto spesso si bruciava anche il grano e con la miseria di allora, vedere il grano
distrutto, non era piacevole. Sapevamo anche però che se questo grano fosse rimasto avrebbe
alimentato la guerra fascista e tedesca. E’ per questo che dovevamo sacrificare questo bene per la
causa. (Libero Evangelista - dattiloscritto 1983)
… alora chi aveva un pezzo di ferro lo infilava in una cova, buttandolo giù dentro saltava il battirore
e la macchina si fermava. Era un danno. Poi dopo quei giorni i pezzi di ricambio non c’erano. Se
c’erano li nascondevano per non fare trebbiare. (Rino Belli – 1984)
C’era il pericolo di colpire i contadini che ci davano l’assistenza. Bisognava trovare la macchina
isolata senza nessuno dietro per poterla colpire. (Adriano Benini - dattiloscritto 1983)
[Forlì] 22 [luglio] = Nella sera a Vecchiazzano sono state asportate le cinghie a tre trebbiatrici.
[Forlì] 25 [luglio] = Tre individui mascherati, penetrati di sera in un’aia, vi hanno asportato le
cinghie delle trebbiatrici: i comunisti non approvano la trebbiatura e l’hanno fatto inserire a verbale.
(Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
E’ stato fatto saltare una trebbia vicino a casa mia. Lo ritenne... Lo ritenne io una cosa non giusta
anche perché ha trovato la morte (...) il babbo di un partigiano di Collinello. E’ morto dopo tante
sofferenze. E non è successo niente. Te pensa, a casa di questi Morosi, che io ero andato... Erano
sette fratelli (...) Si passò un spavento! Io stetti tutta quella notte sepolto in un buco. Che avevo un
buco vicino a casa che si aveva paura di una certa... [La trebbia] è stata fatta saltare mentre
trebbiava in quest’aia. (...) Se è stata [fatta] saltare questo mi è sempre rimasto un dubbio però. Che
c’ho anche questo di dubbio. Che nel campo di questi Morosi facevano delle esercitazioni i tedeschi
(...) E può anche darsi che... non so... un proiettile di qualcosa o una bomba a mano... che fosse
anche andata... un incidente propio dei tedeschi. (...) Ho avuto dei sospetti sopra a uno e posso farci
anche il nome, un certo Campana, partigiano anche lui, che abitava a Tipano. Che non fosse andato
proprio a fare un sabotaggio nell’aia di compagni organizzati con noi ecco... Non lo credevo, oppure
può anche darsi... (Renato Gasperini - 1984)
Con l’avanzare delle estate le pressioni dei fascisti e dei tedeschi sui contadini
aumentarono.
FAME FAME FAME
Ti portano i sabotatori impedendo il raccolto. FAME: invece di pane ti arrecano i ribelli volendoti
far credere che dalle rovine e dalle distruzioni possano giungere la Pace ed il benessere. Della
FAME ti rendi tu stesso colpevole se non fai di tutto per assicurare il raccolto. Sei un mascalzone e
traditore come lo sono i ribelli, se presti aiuto a loro: sarai punito come loro! (Volantino distribuito
dai tedeschi nella prima settimana di agosto del 1944, riportato da Antonio Mambelli nel suo diario)
Contadino! Cosa ti portano i sabotatori, impedendo il tuo raccolto e la trebbiatura? Fame!
Sei anche tu contadino, un mascalzone e un traditore, come lo sono i ribelli se ascolti loro, se presti
loro aiuto. Devi denunciarli al nostro Comando; caso contrario sarai punito come loro. (Volantino
del comando tedesco riportato dal don Leo Bagnoli nel suo diario, in data 8 agosto.)
[Forlì] 29 [luglio] = Sono segnalati i consueti incidenti derivati dai tentativi di ostacolare la
trebbiatura o di impedirla. Il generale di divisione tedesca Heygenrkoff, a mezzo di un piccolo
manifesto di color rosso emana un bando alla popolazione delle provincie di Forlì e Ravenna, in cui
annuncia misure di rigore per aver constatato come esse non collaborino con le autorità germaniche,
nel senso di denunciare i colpevoli o i sospetti di assassinio o di sabotaggio in relazione ai fatti
recenti. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
[Forlì] 14 [luglio] = In Pideura (Faenza) i tedeschi bruciano in un forno, presso il quale si era
rifugiato un contadino. Il pargiano Walter Suzzi, sceso per incendiare le trebbiatrici, è martoriato ed
ucciso dai fascisti della federazione di Ravenna.
[Forlì] 23 [agosto] = Tale Pietro Bonoli di Silvestro di anni 56 conosciuto con il nomignolo di
“Fiurin d’Sivirol” proprietario conducente di una trebbiatrice ed ex squadrista, trovandosi ieri al
lavoro in un’aia di Villa Bagnolo, l’interrompeva con addurre mancanza di carburante. Compiuta
dai fascisti un’ispezione al suo domicilio a Villafranca, dopo averne rinvenute alcune botti non
denunciate, riferivano il fatto al locale Comando Germanico, che chiamatolo con un pretesto lo
condannava a morte quale “partigiano capitalista comunista”. La fucilazione è avvenuta stamane
alle due e trenta entro un locale della farmacia del luogo dai tedeschi, ma di ciò non contenti i militi
della b.[rigata] n.[era] si sono recati a casa del disgraziato e fattasi consegnare una corda hanno
impiccato il morto all'esterno del campanile ad un'altezza di due metri dal suolo. Così è rimasto
esposto buona parte della giornata a spavento degli abitanti. I tedeschi intendevano lasciavelo
ancora ed impedire l’inumazione del cadavere nel cimitero, ottenuta poi per raccomandazione dei
fratelli. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
Ai primi d’agosto la mancata trebbiatura ha sottratto ai braccianti e agli addetti
alle macchine trebbiatrici la principale fonte di guadagno dell’intera annata. Il
tempo che comincia a mettersi al brutto fa temere ai contadini che il raccolto,
rimasto in covoni sui campi, possa andare definitivamente perduto. I lavoratori
agricoli, fra partigiani e tedeschi, si sentono presi come in una morsa.
10 luglio - La questione dei barchi e delle trebbiature viene suscitando lo sdegno dei contadini e dei
padroni. Forse gli errori ed eccessi dei comunisti sono provvidenziali in quanto impediranno il
diffondersi delle loro dottrine. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino)
[Forlì] 31 [luglio] = La trebbiatrice di Villa Roncadello poco dopo essere entrati in azione stamane,
s’è incendiata d’improvviso ed il fatto viene attribuito ad un ordigno nascosto in un covone; i
contadini sono vivamente impressionati e unanimi deplorano codesti attentati che mettono in
pericolo loro stessi e gli operai addetti. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
Si capisce che [ i contadini] non eran d’acordo. Ma e poi come si faceva? Nun avema ordin da e’
Cmand dla liberazione ad Bulogna ad bruseli stal machini (...) Ah! U s’ capes che quii ch’e’
capiteva che i s’ bruseva i n’aveva un gran gost! (Aldo Fusconi - 1983)
Siamo stati criticati un po’ nell’azione per la battaglia del grano. I tedeschi non avevano da
mangiare. I contadini dicevano che le nostre azioni sulla trebbiatura erano lavori che non andavano
bene, perché erano lavoratori anche loro, i contadini. Poi questa cosa si calmò. Il CNL riconobbe
che la cosa non lo favoriva. (Dino Giorgini - dattiloscritto 1983)
Per le trebbiatrici io ero d’accordo con Dino Fabbri di Martorano… (Agostina Sbrighi –
dattiloscritto 1984)
Per non creare eccessivo malcontento e per venire incontro alle esigenze della
popolazione che data la penuria di grano, era costretta a rivolgersi al mercato
nero, il CLN forlivese, alla fine di luglio, diede ordine di cessare gli attentati alle
trebbiatrici, pur restando fermo il boicottaggio degli ammassi.
Pur continuando la lotta per impedire ai tedeschi di asportare il nostro grano in Germania si tratta di
non più opporsi alla trebbiatura ma di opporsi qualora si effettui con la presenza dei tedeschi e dei
fascisti e che il prodotto venga consegnato agli ammassi. (Dal lettera della Federazione forlivese del
PCI al Centro emiliano del PCI, datata 18 agosto 1944 - IGR Bologna, citata in l’Emilia Romagna
nella guerra di liberazione / Deputazione Emilia-Romagna per la storia della resistenza e della
guerra di liberazione. - Bari : De Donato, 1976)
Ne abbiamo fatta poca di battaglia del grano. Noi avevamo il grano nelle mani, si può dire, non era
però facile farlo sparire. Cercavamo allora di prenderne più che potevamo... In città avevano molta
fame, c’erano famiglie che non avevano nemmeno un chilo di farina... Laggiù [a San Giorgio] c’era
il modo di macinarlo. Lo macinavamo e poi davamo la farina. Avevamo il molino, andavamo a
macinarlo come se fosse nostro. A quello del molino non importava, non era certo comunista ma
nemmeno fascista, gli bastava che macinassimo del grano, il resto non gli importava. la farina la
distribuivamo a quelli della città che non avevano niente. [Avete fatto sabotaggio alle macchine?]
No, quando si trebbiava il grano (...) I fascisti accompagnavano la macchina, poi si mettevano lì a
far la guardia, gli operai trebbiavano... Quindi non si poteva dire “nascondilo del grano.” Come e
dove? Ti lasciavano quella percentuale per mangiare il resto andava all’ammasso. Se mentre facevi
il mucchio nell’aia ne potevi tirar fuori qualche quintale, era già in più del... [I fascisti pagavano il
grano che andava all’ammasso?] Sì. lo pagavano 70 lire al quintale mi sembra. (Pietro Barducci dattiloscritto [1984?])
Dopo si decise di smettere perché penso che il Comitato di liberazione nazionale, che era formato
un po’ da tutti i partiti, diceva di trebbiarlo e poi di nasconderlo. Si andò avanti per un pezzo ma alla
fine [il grano] venne tagliato. (Ferdinando (Delio) della Strada - dattiloscritto 1984)
Nonostante l’ordine diramato di non bruciare più le trebbiatrici, le azioni
continuarono ancora per un po’ di tempo, per poi cessare del tutto.
Alora viene l’ordine da la cosa... dal Comitato di liberazione di Bologna [più probabilmente dal
CLN di Forlì] che era... non si poteva più andare a incendiare le macchine perché… Ciou! In parec
ches u j è stè di inci[dint], di murt. E alora eravamo lì, là di dietro nel campo... E arivo a casa io [e]
vedo che c’è sté Mellini [Aldo] e sté Maraldi [Augusto] che confezionavano una bomba di gelatina.
“Cosa dovete fare? Ah!” dico “E’venuto l’ordine da Bologna che nessuno... insoma un s’ pò azardè
piò andei...” [e loro] “... u s’ i met quest int ona cova e che i operai il sà ch’i ngn’ à d’andè [e i] à
da ste ca’...” E me get “Porca Madona! T’vu propi che... u s’ ‘maza un fom ‘d zenta! Int ona mina
acsé” Alora u j era... A sama tot a lè. [E dico] “Chi [è] chi ven cun me?” Era un brutto tempo... un
temporale... a monenti, momenti, stava per povere. “Chi è che ven cun me?” E alora c’è il mio
nipote [Venanzio (Urbano) Fusconi] (...) e un certo Budini [Aurelio] (...) “Veniamo noi!”. Allora
andiamo (...) E ‘lora me toi só e’ mitro, me toi só la pistola, dó tre bombi e la bottiglia incendiaria e
quand a s’ inviem d’in só e’ taca a piov e’ taca. Sté gran scion d’acua. La bocia, s’ la s’ bagna,
l’an funziona piò, dop. E quand a sem a là só a vegh ch’u j è du a spesa e’ berch... a lè insdei. E
me a i fagh segn d’andé via. L’era e’ patron e e’ cuntaden. chiit i era andé tot in ca’, i operai e i
fasesta i era andè in ca’. E int l’atum a vegh la finestra ad ca’ e a vegh ch’u s’ afaza un ch’e’
staseva a que. A i fagh segn “Ciud... ciud la finestra!” e a i bot la bomba incedieria... l’an
funziona. Alora chi du chi era lè masé... Orca Madona! I scapa ad cursa. Un e’ ven in qua e un e’
cor a ca’. E Alora chi burdel ch’i era cun me i daset una rafica ad mitra i daset e alora int l’atum u
s’ arves la finestra a vegh ch’u s’ afaza un. “Tena Madona!” a degh “Quel u n’ è un di nost”. L’era
pó e’ fasestar. Me a s’era sempra spes e’ berch, spes a la machina. Pó a vegh ch’e’ punta e’ mitro
par tiré, me a i dagh una scarica. A i la butet un po’ sora... u si... e’ calzinaz... a la butet int e’
calzinaz dla muraja u si incipet e’ mitro. E pó e’ ciudet. Alora a i butet dó bombi a men... int la
machina. A la devastet l’istes e pó a s’ inviesum par scapé. A (...) vegh ch’u s’ arvet dlet la finesta.
E’ pranzipia a tirè e me a i arspundeva e a chi burdel a i get “A m’aracmand burdel stasì ‘tent.
Sempra spes al pienti! La finestra a la bed me, vuit tirì sempra spes al pienti par scapè.” E rivesum
pó a scapè. (...) Alora me a scap e a m’ invei a là ad travers... a mand a dì cun lia [la moglie]
“Portm i pèn” parchè a s’era tot bagné “Portm i pen da cambim. E ‘lora a m’ cambi e pu dop a
vagh a là da cos... a là vicino a [Della] Strada che lì c’era Barbieri [Ernesto], che era un dirigente
del Partito [comunista], Fusconi [Duilio] c’era. E alora a vagh a là. I fa “Sel stè a là, cla
sparatoria.” A degh “Sta zet” degh “a sò andè a dè fugh a la machia. Dio Boja! Avem fat al sciuptedi cun i fasesta ‘vem fat.” U j èla stè nisun frì? “No. Gnent.” “Alora va bene.” E la zenta.
Ciou! Que i s’ era spavantè. “Ades i ven zó” E i vins zó dop mo cumunque in faset gnent. Enzi i ven
zó pr e’ cantir e i truvet che lè int e’ fos. U j era un fos pr e’ travers... me aveva pers un caricator.
Aveva tolt só tri caricatur dla pistola... ch’ema di caricatur ch’u i faseva pó Mellini e Maraldi a
cred. (Aldo Fusconi – 1984)
5 [agosto] - Trebbiandosi dal colono del parroco di Pievesestina è stato trovato un tubo di bicicletta
carico di dinamite nascosto in un covone. Ha battuto con la punta contro il volante della macchina;
ma non è scoppiato, perché aveva le capsule ai lati. Avrebbe prodotto un disastro. (Dal diario di don
Pietro Burchi - Gattolino)
Nelle altre province la battaglia andò avanti per tutta l’estate.
[Forlì] 24 [agosto] = I tedeschi traducono in Ravenna un autocarro; fucilano e seppeliscono in un
ca[m]po di Villa Eiletto (a 50 metri dallo scolo Lama, in un podere della Contessa Gamba) i giovani
Nello Sternini, Luigi Mordenti e Giovanni Vanieri, facchini del porto. Si tratterebbe di comunisti
rastrellati in un’aia durante la trebbiatura; carcerati e finiti per rappresaglia dopo la scoperta già
avvenuta di una bomba entro una biga
[Forlì] 4 [settembre] = In Torranello nell’alto Senio, i partigiani uccidono due tedeschi e cinque
militi della b.n. di vigilanza ad una trebbiatrice: seguono reazioni spietate. (Dal diario di Antonio
Mambelli - Forlì)
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