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I modelli probatori della fase delle indagini preliminari e la nascita

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I modelli probatori della fase delle indagini preliminari e la nascita
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I modelli probatori della fase
delle indagini preliminari
e la nascita del procedimento
I modelli probatori delle indagini preliminari s’indirizzano innanzitutto
al Pubblico Ministero, dominus della fase in questione. Peraltro, poiché
anche la funzione giudicante trova espressione specifica nel corso delle indagini, i relativi modelli probatori devono costituire il fondamento anche
delle valutazioni del Giudice delle indagini preliminari.
Ma cosa deve intendersi con l’espressione “modello probatorio”?
Per dare una risposta esauriente a tale interrogativo occorre osservare
come qualsiasi atto che l’Autorità Giudiziaria sia chiamata a svolgere nel
corso delle indagini sia legato ad alcuni, precisi presupposti di fatto che la
legge o la giurisprudenza hanno elevato a condizioni di legittimità dell’atto
stesso. In altri termini, qualora la legge ancori a determinati presupposti il
compimento di un atto o l’emanazione di un provvedimento, e qualora, in
un caso specifico, tali presupposti non ricorrano, l’Autorità Giudiziaria
non potrà emettere – né, prima ancora, richiedere – quell’atto o quel provvedimento.
Tale fenomeno è verificabile con riferimento all’intera fase delle indagini preliminari, dal suo inizio (rappresentato dall’iscrizione della notizia di
reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p.), fino alle determinazioni che il
Pubblico Ministero deve adottare alla chiusura delle indagini (richiesta di
rinvio a giudizio o richiesta di archiviazione).
Ogni atto, ogni richiesta ed ogni provvedimento situati all’interno di
quella fase sono caratterizzati da un corredo di imprescindibili condizioni
di validità.
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Capitolo Secondo
Ora, il procedimento penale è quella particolare procedura che origina
da una notizia qualificata circa la commissione di un reato, passa per l’accertamento che il reato sia stato effettivamente commesso, prosegue con
l’esigenza di evitare rischi di reiterazione o protrazione degli effetti di pericolo e di danno e mira all’individuazione e, in caso positivo, alla condanna
dei suoi autori. Ed il procedimento penale, volto a quei fini, è caratterizzato dalla ricerca, dallo sviluppo e dalla utilizzazione di una piattaforma probatoria, nel senso che è attraverso la acquisizione e la valutazione delle
prove che si svolge la verifica del fondamento di un’accusa. La fase delle
indagini preliminari è destinata istituzionalmente alla ricerca della prova,
ossia al compimento di quelle attività prodromiche a quelle processuali (ispezioni, perquisizioni, sequestri probatori, intercettazioni) volte all’acquisizione di elementi di prova, ossia di beni, tracce, dati, dichiarazioni che, se
introdotti ritualmente nel processo, potranno contribuire a formare il patrimonio conoscitivo del Giudice. La fase del dibattimento è destinata, invece, all’esperimento dei mezzi di prova, ossia allo svolgimento di quell’attività – processuale, appunto – che consente al materiale raccolto nella fase
delle indagini di trasformarsi in prova e, di conseguenza, al Giudice di acquisire la conoscenza processuale di un fatto. Tecnicamente può dirsi che
la prova è per lo più il risultato della trasformazione dei mezzi di ricerca
della prova in mezzi di prova: il verbale di sommarie informazioni testimoniali si risolve in testimonianza, l’individuazione in ricognizione, l’interrogatorio dell’indagato in esame, e così via. In tal senso, non è del tutto corretto parlare di “modelli probatori” della fase delle indagini preliminari:
nel corso delle indagini, infatti, non può parlarsi di modello probatorio in
senso stretto perché la prova ancora non esiste, esistendo solo un’attività di
raccolta di dati, di elementi, di dichiarazioni attraverso l’esperimento dei
mezzi di ricerca della prova stessa la cui formazione è rimessa ad altra fase.
Fatta questa premessa, i modelli probatori delle indagini preliminari potranno essere intesi come l’insieme di presupposti di fatto che condizionano la validità e la legittimità di ogni singolo atto compiuto nella fase delle
indagini preliminari. Il riferimento al concetto di “prova” resta tuttavia di
notevole utilità: anche la fase delle indagini è destinata, con i limiti interni
imposti dall’ordinamento, a verificare la fondatezza di un’accusa, e dunque
anche in questa fase la verifica si effettua attraverso la prova (nel senso atecnico di dimostrazione) di alcune circostanze di fatto. E allora, ogni atto
che si compie nel corso delle indagini è fondato su un certo grado di verifica della fondatezza dell’accusa, e la legge richiede un grado di verifica via
via sempre maggiore man mano che il procedimento progredisce, e soprat-
I modelli probatori della fase delle indagini preliminari
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tutto man mano che l’atto che si intende compiere produca effetti sempre
più pregiudizievoli sull’indagato. Più il procedimento è agli albori, meno
elevato sarà il grado di quella verifica richiesta dalla legge per il compimento del relativo atto: si pensi all’iscrizione della notizia di reato nell’apposito
registro, atto per il quale la legge richiede solo la ricezione, da parte del
Pubblico Ministero, della notizia qualificata circa l’avvenuta commissione
di un reato. Ma soprattutto – come si diceva – più l’atto da compiere incide in maniera negativa sui diritti del singolo, più elevato sarà il grado di verifica della fondatezza dell’accusa richiesto dalla legge: si vedrà, così, che il
modello probatorio che la legge richiede per l’effettuazione di perquisizioni e sequestri (probatori o preventivi) è un modello che si situa ad un livello certamente inferiore rispetto a quello richiesto per l’esecuzione di una
intercettazione. In altri termini, per effettuare operazioni di intercettazione
– che evidentemente il legislatore ha ritenuto particolarmente lesive dei diritti individuali – il Pubblico Ministero deve provare che la verifica della
fondatezza dell’accusa è giunta ad un punto ben più avanzato di quanto
deve provare con riferimento a perquisizioni e sequestri.
Tale parabola probatoria giunge al suo culmine, nel corso delle indagini
preliminari, con il sub-procedimento cautelare; è ai fini dell’applicazione
di una misura cautelare personale, infatti, che la legge esige il grado massimo di verifica della fondatezza dell’accusa, in ragione della massima rilevanza del bene compromesso dai relativi provvedimenti (la libertà personale). Invero, l’applicazione della custodia cautelare in una fase processualmente preventiva rispetto al processo, presuppone, infatti, la verifica
preliminare, da parte del Giudice, della sussistenza di una condizione essenziale ed ineludibile e cioè che la persona sottoposta ad indagine sia raggiunta da elementi probatori che, al contempo, dimostrino sia la commissione del fatto-reato ritenuto, che l’attribuibilità nei di lui confronti della
illecita condotta. È, infatti, pacifica in giurisprudenza, l’osservazione per
cui la sussistenza di siffatta duplice condizione costituisca l’elemento indefettibile ai fini dell’emissione della misura preventiva di maggiore invasività
che il nostro ordinamento possa concepire e cioè la privazione del diritto
alla libertà di movimento. Il che vale a testimoniare la fondatezza del principio trasfuso nel comma 1 dell’art. 273 c.p.p. secondo cui:
Normativa
«Nessuno può essere sottoposto a misure cautelari se a suo carico non sussistono gravi indizi di colpevolezza.»
Capitolo Secondo
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Principio di portata assolutamente generale che ha trovato puntuale
conferma in ulteriori significative scelte legislative. In particolare, si rammenta la previsione di cui all’art. 275 comma 3, secondo periodo, c.p.p.,
secondo la quale:
Normativa
«quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all’art. 51, commi 3bis e 3-quater, nonché in ordine ai delitti di cui agli artt. 575, 600-bis, comma 1, 600-ter, escluso il comma 4, e 600-quinquies c.p. è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che
siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.»
Disposizione – un tempo “limitata” alla sola previsione di cui all’art.
416-bis c.p. – che “segna” i limiti di un diverso rapporto fra indizi di colpevolezza ed esigenze cautelari che, nella fattispecie, finisce per caratterizzarsi per una assoluta, totalizzante e condizionante preminenza dei primi
rispetto alle seconde: invero, la sola presenza di gravi indizi di colpevolezza annichilisce le esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p. al punto di
ridurle a mere presunzioni iuris tantum. Pertanto, mentre non appare affatto necessaria alcuna allegazione da parte dell’accusa sullo specifico
punto – tematica che altrimenti non sfugge all’esercizio dell’onus probandi – essendo provato in re ipsa, incombe, invece, all’indagato o alla sua difesa l’esplicita dimostrazione dell’insussistenza delle citate esigenze, affin1
chè la presunzione sia effettivamente superata .
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Cfr. Trib. Napoli, 17 giugno 2003, Guida al dir., 2004, n. 18, p. 92.
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