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Dario Fo L`APOCALISSE RIMANDATA ovvero Benvenuta

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Dario Fo L`APOCALISSE RIMANDATA ovvero Benvenuta
Dario Fo
L’APOCALISSE RIMANDATA
ovvero
Benvenuta catastrofe!
Con 65 disegni dell’autore
A cura di Franca Rame e Gessica Di Giacomo
La Terra possiede risorse sufficienti
per provvedere ai bisogni di tutti,
ma non all’avidità di alcuni.
Gandhi
La civiltà moderna
esiste solo grazie
a un temporaneo consenso geologico,
soggetto a essere ritirato
senza preavvviso.---W. Duran
Ogni tanto, su quotidiani e riviste scientifiche, si legge
di convegni che si svolgono in centri diversi dell’Asia e
dell’Europa ai quali, oltre a rappresentanti dei massimi
Stati e governi, partecipano geologi, astrofisici e
ricercatori tra cui diversi premi Nobel.
Si propongono regole e programmi per migliorare la
condizione del pianeta ma, immancabilmente, puntuali
gli Stati Uniti, l’Australia – no, errore: evviva! Da oggi
anche l’Australia aderisce al trattato di Kyoto –, la
Cina, il Giappone e altri importanti Paesi dell’onu
persistono a non offrire il proprio consenso; per di più
ci sembra che il dramma dell’inarrestabile
surriscaldamento terracqueo non sollevi timori e
preoccupazioni eccessivi nella gran parte della
popolazione del pianeta. Esiste però un certo numero di
cittadini per i quali al contrario il problema sta
diventando una disperata ossessione.
Io personalmente, lo devo ammettere, faccio parte da
tempo di quest’ultima tormentata categoria.
Non perdo occasione, appena incontro qualcuno, sia
maschio che femmina, sia giovane che anziano, di
sollevare il problema e di tentare il loro coinvolgimento
col classico approccio: «Ha notato? Non c’è proprio più
stagione… un momento si scoppia dal caldo…
all’istante c’è tempesta, grandine e perfino neve nella
quale affondano immense regioni dallo Stato di New
York fino al Canada, e l’intera Cina».
I più scantonano, ma se l’interlocutore abbocca è
spacciato! Gli tengo una concione sugli effetti
dell’inquinamento da stordirlo…
Ci provo anche in taxi col conducente e perfino in
autobus sia con i passeggeri sia con il responsabile che
controlla i biglietti! Non parliamo poi di quando mi
ritrovo a viaggiare in treno… guai se qualcuno mi
chiede di essere fotografato con me mostrando il
cellulare! Lo faccio subito accomodare nella poltrona
vicino, se non c’è posto lo prendo addirittura sulle
ginocchia, e qui al par d’un ragno, inizio a tesser la tela.
Qualcuno, pur di salvarsi dall’aggancio, scende qualche
fermata prima!
Un giorno sull’aereo Palermo-Milano, ho agganciato
una bellissima signora, anziana ma di un’eleganza
raffinata… sembrava uscita da una sequenza del
Gattopardo di Visconti. Appena ho accennato al
disastro atmosferico, mi ha afferrato una mano e
accarezzandola mi ha supplicato: «Oh sì, me ne parli…!
Mi interessa moltissimo».
Ho iniziato la mia lezione con entusiasmo: «Vede, il
problema è complesso e articolato. Ormai non c’è quasi
più nessuno che non ammetta la responsabilità
dell’uomo riguardo alla condizione del pianeta e al suo
surriscaldamento. Ma esplode una feroce diatriba
appena si comincia a discutere del come salvare la
Terra e ridurre drasticamente le emissioni di anidride
carbonica… tonnellate di gas che letteralmente intasano
l’atmosfera».
La signora mi seguiva come incantata, io incalzavo:
«Esistono diverse varianti di pensiero. C’è chi dice
’Basta diminuire per gradi ma drasticamente l’uso dei
motori a scoppio con propellente fossile… Eliminare le
vecchie caldaie per il riscaldamento delle case e degli
uffici e installare nuovi impianti di eolico, solare… e,
perché no?, anche nucleare’».
La signora ha un sussulto. «Certo» la tranquillizzo
schioccandole un piccolo bacio sulla fronte, «non si
preoccupi… Oggi come oggi, riprendere col nucleare è
una soluzione improponibile! A parte la produzione di
scorie radioattive che tuttora non sappiamo dove e come
sistemare… sto parlando delle centinaia di migliaia di
tonnellate che l’America e l’Europa, Russia compresa,
hanno prodotto dall’inizio del nucleare e che non siamo
ancora riusciti a smaltire, se non collocandole in luoghi
e spazi provvisori come lo Stato dello Utah, che è
diventato un’orrenda discarica di morte, operazione con
un costo all’infinito di miliardi di dollari. Ma lo sa che
per riuscire a produrre energia pulita sufficiente per il
50 % del fabbisogno globale dovremmo costruire una
centrale nucleare alla settimana per i prossimi 63 anni?»
La signora, con un sorriso dolcissimo stampato in viso,
accenna a un abbraccio, poi si ricompone imbarazzata.
«Quindi non ci resta» incalzo io «che scegliere le
cosiddette energie eco-compatibili che produrrebbero
elettricità e altre energie accettabili, ma in grado
purtroppo di soddisfare solo una percentuale minima
del nostro fabbisogno.»
«E quindi?» mi chiede la deliziosa creatura che ormai
pende letteralmente dalle mie labbra. «E allora?»
«Se l’intiera umanità, i governi, i produttori, gli Stati,
non s’impegnano in un’azione stravolgente, creando
nuovi sistemi produttivi potenti e non inquinanti, siamo
alla fine.»
La signora, con un’espressione addolorata implora:
«Oh… salvaci!» E si butta fra le mie braccia.
«Faremo l’impossibile…» balbetto, leggermente
imbarazzato per quell’approccio appassionato, ma poi
mi riprendo. «Vede, signora, dando per certo il cambio
di rotta definitivo dei Paesi occidentali altamente
industrializzati e all’avanguardia, il problema saranno
poi i Paesi orientali emergenti, che vogliono
assolutamente raggiungere il nostro livello di vita e di
ammodernamento tecnologico, quindi si rifiutano di
aborrire i propellenti fossili.»
«Oh, che ambiziosi!» esclama la dama.
«Non dimentichiamo che la Cina sta superando ormai il
miliardo e trecento milioni di abitanti e che l’India ha
superato a sua volta il miliardo, e poi c’è l’Indonesia…
e via dicendo…»
La signora, sconvolta, si stringe sempre più a me
tremante, e mi inonda di lacrime.
Non posso fare a meno di tranquillizzarla. «Ma vedrà
che si troverà il modo di uscire indenni da questa
tragedia.»
Giungiamo a Milano.
«La prego, parli con i miei figli. Sarei felicissima di
poter vivere con lei.»
Dal fondo del corridoio appaiono un medico e un
infermiere; caricano su una sedia a rotelle la signora che
non abbandona mai la mia mano.
«Grazie di avermi regalato questo stupendo viaggio»
dice mentre la legano alla poltrona mobile, poi
aggiunge: «Lei dovrebbe fare l’attore».
Il medico si rivolge a me e chiede: «Non l’ha
importunata, spero. Purtroppo, ogni tanto, esce
letteralmente di senno».
La signora è già in fondo al corridoio e, rivolgendosi al
suo accompagnatore, esclama: «Che bella storia mi ha
raccontato quel signore. Era così romantica! Mi ha fatto
piangere… Peccato non sapere come finisce».
È proprio vero: il mestiere del divulgatore scientifico è
carico di insidie e delusioni!
PRIMI PASSI NEL PALEOLITICO
Un uomo preistorico camminava spedito nella tundra.
Incappò in un mammut e gli andò a sbatter contro.
Indispettito gridò: «Ma con tutta la piana che hai a
disposizione, proprio di qui dovevi passare?»
E se ne andò imprecando.
Quel primitivo non era un temerario, era soltanto cieco!
Anonimo preistorico
In questo periodo ho scoperto il significato profondo
del termine oberato… mi ritrovo a essere un oberato
totale, aggredito ogni giorno da impegni che si
sovrappongono. Sono costretto a declinare diecine di
richieste, sia di spettacoli che di conferenze per non
parlare dei meeting politico-culturali, ma appena mi
giunge l’espressione disastro ambientale, effetto serra,
scatto come un grillo esaltato: «Eccomi! Quand’è il
convegno? Ah, è un simposio? Sì, senz’altro, non
mancherò».
L’altro giorno avevo accettato perfino di partecipare a
un programma televisivo condotto da Giuliano Ferrara.
Il tema, neanche a dirlo, era: Chi crede al disastro
climatico?
Avevo assistito qualche settimana prima a una
trasmissione analoga sullo stesso tema gestita sempre
da Ferrara, che esibiva in merito uno scetticismo
sconcertante. Ironizzava su inchieste molto serie che
affrontavano il tema del pericolo ambientale, condotte
da scienziati di gran valore, come si trattasse di bufale
da venditore ambulante. Il suo leit motiv si limitava a
due o tre argomenti: «Ma esiste davvero questo pericolo
ambientale? Gli uragani e le stragi dello tsunami sono
conseguenza dell’effetto serra o fenomeni occasionali
che qualcuno ha interesse a trasformare in cataclismi
apocalittici sui quali pompare e vendere libri,
documentari e perfino film fantascientifici a gogò?» E
concludeva: «Si sa, il disastro fa sempre cassetta!»
Con lui, su un piano meno strafottente ma ugualmente
carico di negazionismo scettico, c’era anche il fratello
di Prodi, laureato in Fisica e direttore niente meno che
del dipartimento di Scienze dell’atmosfera dell’Istituto
Isac-cnr.
Anche in quest’ultima occasione lo scienziato faceva
parte degli invitati, ma Ferrara non esibiva la sua
normale sicurezza spacca tutto… anzi, come mi sono
affacciato allo studio televisivo si è levato per salutarmi
allargando le braccia festoso, ma non ce l’ha fatta: si
trovava letteralmente incastrato tra la poltrona e la
scrivania. Anche il fratello di Prodi, il professore in
Fisica, faticava a porsi in piedi.
Ho notato che era fortemente ingrassato rispetto
all’ultima trasmissione. Ferrara era del suo grasso
normale, invece. Ma no, mi sbagliavo. Guardando
meglio il conduttore, mi resi conto che il suo ventre
stava invadendo l’intiero piano del tavolo davanti a sé,
strabordava con tutto il corpo.
«Ma che succede…» dissi preoccupato. Giuliano
singhiozzò, e copiose lacrime gli sgorgarono dai grandi
occhi.
«Non so che mi stia capitando» mormorava. «È dal
giorno dell’ultima trasmissione sull’ambiente che
entrambi» indicava il fratello di Prodi «siamo stati
colpiti da questa maledizione: ci gonfiamo a vista
d’occhio…»
«È terribile» commentai a mia volta «ma, scusate se mi
permetto, non sarà a causa del frottolame denigratorio
che vi lasciate sfuggire?»
I due si guardarono l’un l’altro con un’espressione che
non prometteva nulla di buono, poi all’improvviso in
coro esplosero: «Sì, abbiam proprio questo dubbio. Per
essere sinceri noi non crediamo a ciò che andiamo
sostenendo sul negazionismo scettico, ce lo siamo un
po’ manipolato in negativo. Ma i medici psichiatrodietologi che abbiamo interpellato dicono che, a
proposito del grasso psicotico, una simile causa
diagnostica è improbabile, anzi assurda. Però il fatto è
che dal giorno in cui abbiamo incominciato a trattare in
forma grottesca il problema del surriscaldamento
terracqueo, ci stiamo dilatando come mongolfiere».
«Scusate ma… non potete rimanere così inerti. Bisogna
chiedere aiuto.»
«È vero, aiutaci tu!»
«Tanto per cominciare, bisogna portarvi fuori da ’sta
trappola. Qui dentro vi sta mancando lo spazio.»
«Hai ragione, ma come facciamo a uscire? Le porte
sono ormai diventate troppo strette per noi.»
Con uno zompo mi affaccio alla porta e urlo:
«Chiamate degli operai! Bisogna sfondare la parete!
Presto! Subito!»
Nessuno si fa vivo, ma una voce dall’alto della scala
grida: «Tutti i tecnici e gli operai sono fuggiti per via
dello tsunami!»
«Lo tsunami? In televisione? Ma dov’è?»
«Guarda fuori dalla finestra! Si vedono onde grandi
come palazzi, fra poco l’uragano sfonderà anche qui.»
«Dario, aiuto! Portaci fuori!» mi implorano Prodi e
Ferrara sempre più incastrati.
«Scusate ma… m’è venuto in mente di un
appuntamento, devo proprio lasciarvi, mi spiace. Spero
di rivedervi!»
Faccio per avvicinarmi alla porta… ma arriva un’ondata
terribile che squarcia ogni parete. Mi trovo trascinato
dall’uragano. Mi escono bollicine dal naso e dalla bocca
in quantità. Risalgo, spunto con la testa fuori
dall’acqua… è tutto calmo.
Ferrara e il professore emergono a loro volta
galleggiando come due grandi boe. Sbattono braccia e
gambe ridendo: «Siamo salvi! Si galleggia. Non si
potrebbe avere un paio di remi?»
All’improvviso tutti e due emettono un gemito
lacerante: «Ahhh! Stiamo sgonfiandoci!» urlano.
«Aiuto!»
È vero, come palloni aerostatici sforacchiati si
rimpiccioliscono velocemente, poi un piccolo
scoppio… e spariscono mentre Ferrara emette il suo
ultimo grido: «Abolite l’abortoooo! Il feto è vivo e
anche l’embrione, per non parlare degli
spermatozoiiiii!»
All’istante mi risveglio. Mi ritrovo seduto su una
poltrona dove mi ero addormentato. Meno male, era
solo un brutto sogno o, meglio, un incubo terribile.
SERVIZIO PREVISIONI
Secondo l’ultima profezia di Nostradamus
l’Apocalisse avverrà il 12 marzo 2012.
Speriamo non piova!
Guardate voi gli scherzi folli che produce l’ossessione
dell’imminente cataclisma e soprattutto il rendersi conto
che alla gente manca assolutamente la consapevolezza
della tragica situazione che viviamo.
In verità negli ultimi mesi qualcosa sta cambiando,
perfino Bush, figlio, nipote e amico di petrolieri e
petroliere a sua volta, ha dovuto cambiare
atteggiamento: il Pentagono, meglio, uno dei più
autorevoli generali del Pentagono, ha pubblicamente
dichiarato con risolutezza, documentando ogni
affermazione, che la guerra contro l’Iraq è stata
organizzata nell’intento di bloccare il progetto di
Saddam Hussein che, ancora alleato degli Stati Uniti,
aveva deciso di dirottare i maggiori oleodotti del Paese
verso l’Asia, invece che a vantaggio del Kuwait,
deposito assoluto del mercato americano.
Inoltre gli scettici sono rimasti completamente spiazzati
dalla notizia secondo cui la Exxon Mobil ha offerto
10.000 dollari, evidentemente pro capite, a un certo
numero di climatologi ed economisti che si son prestati
a dare notizie positive riguardo la salute del pianeta.
Non solo: la Royal Society, la più antica e autorevole
società scientifica del mondo, fondata da Isaac Newton,
ha accusato la stessa Exxon Mobil di aver distribuito
2,9 milioni di dollari alle lobby antiambientaliste perché
minimizzassero i rischi legati al cambiamento
climatico.
Ma la gente, i governi, le aziende di tutto il mondo non
si limitano più a dibattere dell’emergenza ambientale,
stanno passando all’azione… un po’ in ritardo, ma si
muovono.
Sotto la presidenza di Schwarzenegger la California,
bisogna riconoscerlo, ha proibito la costruzione di
nuovi impianti energetici alimentati a carbone. Al
contrario di quanto succede negli usa in genere, dove,
oggi, il 50% dell’energia elettrica viene prodotta
proprio con il carbone: insomma, la nazione più
moderna del mondo produce ancora elettricità
bruciando le stesse risorse di un secolo fa, servendosi di
autentici nuovi schiavi!
L’Unione Europea ha annunciato che taglierà le proprie
emissioni di gas serra del 20% entro il 2020,
aumentando al contempo del 20% la produzione di
energia solare e di altre forme di energia sostenibile.
David King, Consigliere Capo Scientifico del Regno
Unito, sull’«Espresso» del 27 settembre 2007, ha
ribadito: «Ci troviamo in grave ritardo: continuando a
usare petrolio a questo ritmo, ci occorreranno almeno
25 anni e forse più per disabituare la nostra civiltà a
utilizzare i combustibili fossili; gli oceani
immagazzinano il calore per secoli e l’anidride
carbonica resta nell’atmosfera per decenni».
DIALOGO A STRIP
Scusi signore,
se proprio ci tiene a infilare quel suo parapioggia fra i
miei glutei,
le spiace chiuderlo, almeno!?
Da una vignetta di Altan
Ma con che razza di politici ritardati e criminali
abbiamo a che fare? Possibile che non siano in grado di
capire la terribile situazione? A questo proposito il
nostro governo, in Italia, ha mostrato un programma
serio e fattibile, o naviga sperando in Dio?
Non c’è da scherzare.
Perfino il papa, più di cinque mesi fa, ha denunciato, al
termine di un’omelia, l’egoismo brutale della classe
imprenditoriale: «Il capitalismo è il primo responsabile
di questo rovinoso sfruttamento del pianeta».
Ma noi in Italia abbiamo altro a cui pensare. Viviamo in
un Paese davvero ideale per impiantare e sperimentare
sistemi fotovoltaici e altri sistemi per lo sfruttamento
del vento e delle onde marine, però purtroppo i nostri
politici e gli imprenditori in blocco pare vivano in un
altro pianeta.
LE MOLTIPLICAZIONI
Il parroco lesse del miracolo dell’acqua trasformata in
vino;
alcuni della mafia a braccetto con politici ascoltarono
inebriati
poi uscirono dalla chiesa e si posero dinnanzi a cumuli
di monnezza. Recitarono un salmo e quell’immensa
lordura si trasformò in denaro sonante.
Dai Detti elegiaci di Cutolo
L’unica attenzione che dimostrano di coltivare è quella
per i rifiuti che stanno letteralmente affogando la
Campania, Napoli compresa.
È risaputo che a Napoli e provincia si sta vivendo una
situazione davvero tragica: nelle strade e nelle piazze
della periferia partenopea, vicino ai centri abitati, si
sono ammonticchiati milioni di tonnellate di spazzatura.
Ovviamente il sistema più efficace per risolvere quel
problema consisterebbe nell’indurre i cittadini a
organizzarsi perché effettuino la raccolta differenziata.
Ma i napoletani da tempo si rifiutano di operare in quel
senso poiché si son resi conto che, una volta suddivisi i
rifiuti per generi, questi venivano regolarmente
rovesciati dentro i camion e mischiati in un unico
mucchio di zozzeria. Indignati, gli abitanti campani son
venuti anche a sapere che: «Altri camion, calati nei
vasti crateri della discarica» come racconta Roberto
Saviano sulla «Repubblica» del 4 febbraio 2008, «fatto
uscire il conducente, dopo aver saldato le porte dei tir,
venivano sepolti». Di cosa erano composti quei rifiuti?
Che terribile pericolo contenevano?
La follia è che il governo di centrosinistra nella persona
dell’onorevole Amato, ministro degli Interni, per
risolvere il disastroso problema in questione ha scelto
Giovanni De Gennaro. Chi è costui? Un tecnico? Un
esperto della raccolta differenziata dei rifiuti o dello
smaltimento dei medesimi? Un ingegnere progettista di
termovalorizzatori?
No, è soltanto un capo della polizia. Sì, lo stesso che ha
organizzato il pestaggio da «macelleria messicana»
durante il G8 di Genova, nel 2003; nella caserma di
Bolzaneto e nella scuola Diaz i poliziotti di un reparto
speciale, dopo aver sistemato nello stabile delle
molotov ritrovate altrove, hanno fatto irruzione e
iniziato un pestaggio su cittadini inermi, donne,
giornalisti e fotografi, inzozzando i muri di sangue.
Molti osservatori avevano manifestato seri dubbi che
l’ex capo della polizia avesse pratica e conoscenze
indispensabili per organizzare lo smaltimento dei rifiuti,
ed ecco che puntuale, dopo qualche mese, dopo aver
fallito su tutta la linea e senza riuscire a risolvere
alcunché, De Gennaro ha dato forfait, pardon… ha
minacciato di dare forfait. Ma è sempre lì!
Inoltre va ricordato che il Comune, la Regione e lo
Stato, sborsando la bellezza di un miliardo e ottocento
milioni di euro, cioè quanto sarebbe bastato per dotare
di migliaia di asili nido, di scuole materne e di tutte le
infrastrutture indispensabili anche i Comuni più miseri,
da anni hanno risolto di delegare l’imballo della
monnezza a imprese mafiose o provenienti dall’area
politica, che spesso sono le medesime. Costoro
impostavano la stivazione dei rifiuti attraverso le
cosiddette ecoballe, operazione questa, che ha
contribuito a raggiungere l’enorme cifra a cui abbiamo
appena accennato.
Le ecoballe venivano poi stipate in cataste in attesa di
essere incenerite in termovalorizzatori, definizione
senza senso di torri a forno che oltretutto non sono mai
state realizzate.
LA SACRALITÀ DELLO SCARABEO
Tutto quello che possedete non avrà più nessun valore.
Saranno escrementi rotolanti nel deserto.
Ne avranno vantaggio solo gli stercorari felici.
Dal Vangelo apocrifo degli armeni
Ma come può essersi verificata in questi anni nel nostro
Paese una simile débâcle delle lordure? A parte l’arraffo
congenito atavico e culturale di cui siamo intasati da
secoli, dove sta l’errore di fondo?
Pochi sanno che in Germania il funzionamento degli
inceneritori di Düsseldorf, Oberhausen, Bremerhaven
ecc., è stato messo a salvamento dai rifiuti provenienti
dal Sud Italia. Salvamento perché? Per il semplice
motivo che quegli impianti si trovavano in stand by,
cioè fermi per mancanza della materia prima: le lordure.
Come mai?
Per il fatto che i cittadini tedeschi, in seguito a una
straordinaria messa a punto della raccolta differenziata
erano riusciti a raggiungere la bellezza del 65%
dell’assestamento e del riciclaggio dei rifiuti, cosicché il
rimanente che doveva finire negli inceneritori non era
sufficiente a garantirne il funzionamento utile. Se noi in
Italia, a nostra volta, dal vergognoso 5-7% massimo
della Campania e di quasi tutto il Centro-sud si risalisse
alla quota di raccolta differenziata raggiunta dai
tedeschi (senza ecoballe e altre infamità), tutti i
termovalorizzatori da noi in progetto di messa in atto
sarebbero completamente inutili. In poche parole, è solo
la nostra totale mancanza di senso civico e collettivo
che ci trascina tanto in basso, collocandoci fra gli
indegni.
Il guaio è che questa tragedia ecologica, quella politica
e quella governativa stanno producendo in me uno
sconvolgimento psichico davvero allarmante. Lo stato
ossessivo riguardo ciò che sto vivendo mi procura ansia
a frotte, e veri e propri automatismi di pensiero che non
riesco più a controllare.
Sto per esempio scrivendo o disegnando seduto al mio
tavolo di lavoro, squilla il telefono, sollevo la cornetta e
meccanicamente continuo a disegnare e scrivere.
Rispondo, discuto, ascolto, e alla fine, quando la
conversazione è terminata, mi rendo conto di aver
riempito un largo foglio di scritti e scarabocchi.
Qualche mese fa, al termine di una lunga telefonata, mi
sono accorto di aver nel frattempo abbozzato un dialogo
a tre dove si prevedevano fatti tragici non ancora
avvenuti.
«E se ci azzeccassi come mi è successo un’altra volta?»
ho pensato. Sconvolto, spedisco la bozza di quel brano
a Franca, che sta a Roma. Lei, impensierita, mi risponde
per telefono quasi subito: «Per fortuna sono solo
elucubrazioni metafisiche da esaurimento multiplo… A
ogni modo sono seriamente preoccupata per il tuo stato
mentale… domani devi subito andare dal nostro amico
psichiatra che sta nel palazzo di fronte».
«Ma quello è più matto dei matti che ha in cura…»
faccio io.
«Lo so, ma non c’è altra soluzione.»
Forse Franca esagera nella sua drastica diagnosi. A ogni
modo giudicate voi se io sia da ritenere un veggente o
semplicemente un mentecatto.
Ecco il dialogo che ho immaginato il 10 gennaio di
quest’anno, cioè una mezza dozzina di giorni prima che
la moglie di Mastella fosse posta agli arresti domiciliari.
Sala operatoria. Il paziente, il cui cranio seminudo sta
per essere bucherellato da un gran numero di iniezioni
anestetiche, discorre un po’ agitato con il chirurgo che
s’appresta a effettuare il trapianto.
Entra in scena, proveniente da dietro una lastra
scorrevole, un aiuto medico con tanto di camice e
maschera chirurgica al viso. Si rivolge deciso al
paziente parlandogli quasi sottovoce:
«Silvio, mi senti?»
«Chi parla?» (Silv-io ha una benda sugli occhi.)
«Non mi riconosci?»
«Dipende da chi parla. Chi sei tu? Dammi la parola
d’ordine.»
«C’è una parola d’ordine?»
«Eh certo…» Silvio si abbassa la benda dagli occhi.
«Eh! Scusa, dal momento che io ho la benda e tu porti
una maschera antisettica… come faccio a riconoscerti?
O mi dai la parola d’ordine o esci di qui. Io non parlo
con estranei.»
«Io non sono un estraneo e poi ho una cosa importante
da svelarti, Silvio.»
«Entri qui, in sala operatoria, proprio in un momento
delicato… mentre mi infilano aghi e capelli nel
cranio…»
Interviene il professore: «Non si preoccupi, presidente,
anzi, se si crea una situazione per cui lei è portato a
distrarsi dal clima operatorio, è meglio. E lei, signore,
cominci con lo svelarci la sua identità».
«Professore, è meglio che lei non lo sappia. Sarei più
tranquillo.»
«Ma io ho capito a chi appartiene questa voce!»
esclama Silvio. «Tu hai la stessa parlata di Clemente.»
«Sì, sono lui.»
«Clemente Mastella!? Ma che ci fai qui?! T’ho detto
che non accetto dialoghi e conversazioni in luoghi non
riservati.»
«Ma più riservato di una sala operatoria dove lo
trovi!!!»
«Hai ragione, che furbacchione! Allora, Clemente:
sputa il rospo! Parliamo pure però abbottonati: frasi
generiche e allusive, nessun termine esplicito.»
«D’accordo, sarò allusivo. Attento, comincio: tanto per
introdurre, avrei deciso di fare il botto.»
«Che botto?»
«Eh ma Silvio, prima mi preghi di non essere esplicito e
poi mi chiedi che significa fare il botto...?! Scusa, qual è
il tuo maggiore cruccio? La spallata, no?»
«Ah certo, che stupido! La spallata a Romano
mortadella!»
«Ehi, non sbracare così piatto…»
«Ma Clemente, andiamo, su questo argomento non c’è
niente di segreto, lo sanno tutti che è da due anni che
aspetto ’sto botto che lo sgnucchi a capofitto giù dal
seggio, e non viene mai! Ahi! Ahi! Ahi!»
«Che c’è, Silvio?»
«Le punzecchiature qui sul capo! Me ne hanno già fatte
a migliaia…! Duecento al giorno.»
«Non si preoccupi, onorevole» lo tranquillizza il
professore, «continuate pure a discorrere.»
«Stavi dicendo che aspetti la spallata ormai da due
anni…»
«Eh sì, l’aspetto fremente, caro Clemente!»
«Però si sa anche, caro presidente, che con tutte le tue
offerte di mercato, non sei mai riuscito a comprare un
voto, a cominciare dal topolino e dal rospetto…»
«Topolino e rospetto?»
«Ma sì… il topo sapiens e il rospetto di palude!»
«Ah… ho capito, Amato e Dini.»
«Ebbene, il giorno del giudizio è arrivato. Eccoti la
novella: esulta! Ma non troppo sennò ti schizzano via
tutti i capelli appena piantati.»
«Vai, son pronto, mi strizzo il cranio.»
«Fai molta attenzione perché ti parlerò per allegoria.»
«D’accordo, vai con l’allegoria. Io sono una forza a
capire le allegorie. Io stesso sono un’allegoria!»
«Va bene, va bene, allora ascolta. Ho saputo per vie
traverse che i giudici della Magna Grecia hanno deciso
di tarantolarmi. È chiaro?»
«Certo, certo, Clemente, i giudici della Magna Grecia
tarantolano sempre.»
«Bene. E con me i miei macedoni, al completo,
compresa Penelope. In tutto siamo sotto le caudine in
ventitré. Intendi?»
«La miseria cosa mi dici! Ahi! Ahi! Ahi! Scusa, ma con
questo ago mi è arrivato al cervello… Guarda, sono
sconvolto. Ho capito tutto della metafora, però mi
sfugge qualche particolare…»
«Dimmi…»
«Scusa, ma… chi sono i giudici della Magna Grecia? E
cosa significa tarantola? E Penelope chi è? Per non
parlare dei macedoni e delle caudine! Per il resto ho
capito tutto!»
«Silvio, sei una frana. Allora attento. I giudici della
Magna Grecia sono i gip della Campania; tarantolare
significa mettere sotto processo.»
«Ah beh, allora…»
«I macedoni sono i miei compagni di partito, tutti
ventitré che dovranno passare sotto la forca caudina,
cioè tutti agli arresti domiciliari.»
«Ma quando?»
«È questione di qualche giorno e a ognuno di noi
arriverà l’avviso di garanzia, compresa Penelope.»
«Anche Penelope?!»
«E con una lista di accuse pesanti!»
«Penelope?»
«Sììì!»
«E chi è?»
«È mia moglie!»
«Ma non si chiama Sandra? Ne hai un’altra? Ah! Ah!
Ah! (Ride) Furbacchione! Hai capito il Mastella?
Democristiano che va a protestare per i dico… e poi se
la fa con due mogli.»
«Ma cos’hai capito, Silvio! Penelope è la moglie fedele
per antonomasia, contornata dai proci che la vorrebbero
impalmare… Mia moglie!»
«Impalmare? I froci? Per favore, piantiamola con
’st’allegoria, mi sto scocciando, parla chiaro e chi se ne
frega se ci spiano e capiscono tutto: voglio capire
anch’io. Allora Clemente, dicevi che fra qualche giorno
riceverai una tempesta di incriminazioni. E a questo
punto come te la cavi?»
«Beh, come prima mossa do le dimissioni da ministro
della Giustizia.»
«Accidenti che colpo! Ma ti conviene?»
«Certo che mi conviene. Poi, seconda mossa,
dichiarazione in diretta alla Camera. Anzi, siccome so
già che la prima botta arriverà contro Penelope, voglio
dire, mia moglie, mi lancerò a testa bassa contro i
giudici, accusandoli di essere bolscevichi nemici della
famiglia!»
«Bravo! Questo è un classico, l’ho inventato io!»
«E sull’onda tragica, reciterò una sceneggiata di uomo
sconvolto che per amore della propria sposa sacrifica la
sua carriera e i suoi interessi politici, e si immola per lei
sull’altare dell’amore.»
«Bravo, Clemente! Bella questa: ’scelgo l’amore e non
la politica!’»
«Sì, bella frase, Silvio, complimenti: la adopererò nella
mia dichiarazione da dimissionario in Senato.»
«Ma che figlio d’androcchia! Ahi! Ahia! Ah no!»
«Un altro ago nel cranio?»
«No, mi ha strappato una ciocca di peli dal petto! Eh sì,
sul collo non ne ho più.»
«Peli dal petto? Ma è una tortura!»
«Già e fra poco me li strapperanno pure dal pube! Ahi!
Ahia! Ahi! Ahia! Avrò il pube sul cranio!»
«Non interrompermi, Silvio, ti rendi conto che con
questa tirata del sacrificio familiare riceverò applausi
come Giulio Cesare quando lo scannarono con
trentacinque pugnalate, perché tutti i senatori presenti
nell’emiciclo, tanto di destra che di sinistra, si
sentiranno parte della stessa congrega o, meglio, della
stessa casta!»
«Caspita che casta!»
«Ma non è finita.»
«Perché? Cosa combini ancora?»
«Con un affondo da picador lancio il botto finale:
pubblicamente annuncio che esco con tutti i miei
seguaci del partito dal governo Prodi e dalla coalizione
di centro sinistra.»
«Pare una vignetta di Altan: tu con l’ombrello da
spiaggia che infili tutto il Senato al completo. Ah! Ah!
Ah!» (Ride.)
«Che è?»
«È che di colpo ho immaginato il ribaltone.»
«Che ribaltone?»
«Quello tuo! Te, che dopo aver favorito tutta la destra,
ti ritrovi con le chiappe a terra, seduto in una discarica
napoletana.»
«In una discarica, io?»
«Sì, giacché tutti ti hanno mollato! Ah! Ah! Ah!»
(Sghignazza Silvio.)
«Non mi dirai che anche tu hai in mente di scaricarmi?»
«No, io ti sarò sempre riconoscente! Ah! Ah! Ah!» (E
ride da sganasciarsi.)
L’EFFETTO BUTTERFLY
«Lo sbatter d’ali di una farfalla in Cina
provocherà un cataclisma a New York.»
Basta fermarsi a Boston e aspettare!
Tanto le farfalle durano solo qualche giorno!
Woody Allen
Ma basta con le fantasticherie assurde da veggente,
basta con le notizie nefaste, è tempo di cambiare clima
e copione.
Mettetevi seduti comodi e rilassati, distendete tutti i
vostri muscoli, soprattutto quelli del viso, esibite
un’espressione serena, versatevi un bicchiere di vino,
birra, anche champagne se ce l’avete – fresco, mi
raccomando! – e sorseggiate felici, sollevate il calice
poiché vi sto per annunciare una notizia veramente
straordinaria e finalmente positiva.
Basta con questa sindrome della catastrofe imminente!
Basta con gli annunci calamitosi! Basta con gli
apocalittici film documentari che accusano l’intiera
umanità, guidata da responsabili irresponsabili e da
imprenditori e uomini d’affari interessati solo al
profitto!
E ne abbiamo anche abbastanza delle diatribe furibonde
fra i numerosi scienziati che preannunciano disastri
imminenti e i colpevoli di questo funereo clima che
immancabilmente rispondono: «E che ci possiamo fare
noi? Blocchiamo l’estrazione di petrolio, carbon fossile
e mandiamo allo scatafascio le industrie d’auto, camion,
trattori, bulldozer, motorini, motorette…? Fermiamo il
riscaldamento e raffreddamento termico di milioni di
case, uffici, ospedali?» «E non dimenticate»
aggiungono i confindustriali «che il 90% di impianti per
la produzione di energia elettrica funziona ancora grazie
a propellenti fossili. Volete fermare il mondo e la sua
vita? E allora, come diceva Woody Allen: ’Fermiamolo
’sto mondo e scendiamo’. No, anzi, scendete voi
catastrofisti! Avremo finalmente un peso morto e
petulante in meno».
Insomma, ci stanno approntando una situazione da
giudizio universale o, se preferite, da Fin de partie, il
famoso testo di Beckett, dove i componenti dell’unica
famiglia superstite del disastro stanno con la faccia
incollata a un’enorme lastra di cristallo antiproiettile, e
guardano fuori dalla finestra il cielo senza uccelli e
senza nuvole.
I figli insultano i padri per l’imbecillità dimostrata nel
recente passato nel non prendere alcun provvedimento
serio «quando ce n’era ancora il tempo». I padri hanno
gettato nel bidone della spazzatura i due vecchi genitori
che ogni tanto riemergono dalla monnezza chiedendo
notizie sul tempo che fa. Sul loro capo si richiude ogni
volta il coperchio con un tonfo inesorabile.
No, tranquilli, non ci sarà nessun coperchio calante
sull’umanità, nessuna imminente fine, anzi potremo
assistere a una rinascita favolosa del pianeta e a un
radioso futuro per uomini, donne, animali, alberi e fiori.
Questa è la meravigliosa notizia che vi porto! Il pianeta
non soccomberà né oggi né domani, non ci sarà la
catastrofe, al contrario sta per realizzarsi il grande
ribaltone, un cambio di rotta straordinario che pochi
illuminati avevano previsto e calcolato.
Di che si tratta?
Attenti! A questa notizia alcuni grideranno al disastro
immane, altri, gli eletti, applaudiranno entusiasti al
miracolo, opera di un dio generoso che vuole la nostra
salvezza.
NATI PER ACCIDENTE
L’universo è sorto da un immane cataclisma
stratosferico.
L’umanità s’è creata in seguito a innumerevoli
catastrofi
di poco conto.
Albert Einstein
Ma insomma, di che si tratta? Qual è la sciagura che ci
salverà?! vi chiederete.
È semplice. La fine del petrolio!!!
Cosa? In che senso?
Siete rimasti attoniti, eh? Increduli? Sì, è questione di
qualche anno, forse il prossimo: il mondo rimarrà
all’istante senza propellenti fossili, tutti fermi, con le
nostre macchine bloccate, le caldaie vuote, i generatori
di corrente muti. No, non è uno scherzo. Volete una
prova tangibile? E allora rispondetemi: come mai
soltanto negli ultimi anni il prezzo del petrolio è
aumentato di sei volte e continua a montare? Dai 18
dollari al barile di sette anni fa siamo saliti ai 100
dollari e passa degli ultimi tempi! Nessun prodotto, nel
commercio mondiale, ha mai subito uno sbalzo del
genere, nemmeno il mercato immobiliare, che è il più
esoso. Pagare il petrolio 18 dollari al barile, che sono
più di 157 litri, vuol dire comprare il prezioso petrolio,
invecchiato decine di milioni di anni, al prezzo
dell’acqua minerale all’ingrosso. E come mai questo
fenomeno? Qualcuno dà tutta la colpa alle tensioni
internazionali e soprattutto alla situazione in Medio
Oriente, Iran, Iraq, Pakistan e Afghanistan. Ma non ha
senso. All’indomani della caduta di Saddam il prezzo
del petrolio diminuì addirittura. Perché poi è
aumentato? Alcuni studiosi del settore ce ne danno una
risposta quasi ovvia: il prezzo del petrolio aumenta in
maniera inversamente proporzionale al precipitare
dell’offerta del prodotto sul mercato. In poche parole,
cresce a dismisura perché non ce n’è più.
Non avete capito? Le estrazioni di petrolio sono ormai
agli ultimi palpiti, molte di quelle pompe hanno
cominciato ad aspirare fango puzzolente, invece
dell’inebriante oro nero, e i giacimenti ultimamente
scoperti sono di valore insignificante.
In poche parole, è questione di poco tempo: dovremo
dire addio alle quattro ruote… Si torna all’età della
pietra! Meglio, dei pedoni! Via!
Qualcuno di voi sorride. Sì, detta così, sembra una
boutade gettata lì tanto per creare il brivido. Ma un
quotidiano serio come l’«Observer» qualche mese fa ha
dedicato tutta la prima pagina a questa folle notizia.
Innanzitutto ci viene rivelato che da anni le imprese
petrolifere in massa ci stanno spudoratamente
mentendo: tutti i dati riguardanti la quantità di greggio
estratto sono sempre stati pompati fino all’inverosimile
per farci credere che avessimo tanto petrolio a
disposizione da poter tranquillamente continuare a
buttarne.
«Ne abbiamo da cavare per almeno un paio di secoli e
ogni giorno scopriamo nuovi giacimenti!» giuravano.
Tutto falso! Le Sette Sorelle sapevano da tempo che i
pozzi si stavano esaurendo e lo sapevano anche i
governi interessati all’affare. L’anno scorso è stato
pubblicato un testo che ha prodotto un certo scalpore. Il
titolo ci dice già quasi tutto. La verità nascosta sul
petrolio, sottotitolo: Un’inchiesta esplosiva sul «Sangue
del mondo» di Eric Laurent. Nel libro c’è un capitolo in
cui ci viene presentato il pensiero di Jean-Claude
Balaceanu che nel 1979 era il massimo esperto
dell’Istituto Francese del Petrolio.
Nello stesso periodo, cioè trent’anni fa, lo scienziato
dichiarava: «Lo slogan fisso della società dei consumi è
Petrolio a volontà! Che cosa succederà il giorno in cui
l’umanità resterà senza idrocarburi? Le strade
rimarranno deserte, anzi di lì a poco non esisterebbero
più neanche le strade, a causa della mancanza di
catrame e asfalto. Le pompe di erogazione spariranno. I
commercianti, dal piccolo negozio sotto casa al
supermercato, dai mercati rionali ai macellai, saranno
obbligati a chiudere. Niente più trattori nei campi né
aerei nel cielo. Tutte le navi saranno condannate a
rimanere in porto. Niente più riscaldamento a gasolio e
questo significa che la metà delle case, degli uffici,
delle scuole, degli ospedali rimarrebbero al freddo
d’inverno e nel bollore d’estate. Il sistema industriale
sarà paralizzato. L’agricoltura tornerà indietro di un
secolo. Quasi tutte le materie prime e le fibre artificiali
scompariranno».
Vi ripeto: questa avvisata è stata scritta e divulgata
quasi trent’anni fa, ma pochi ci hanno fatto caso. La
nostra arroganza ci ha spinti all’oblio e all’incoscienza.
Come osserva Mario Tozzi in un suo articolo apparso
su «La Stampa» qualche mese fa, ci siamo domandati
per anni quando sarebbe finito il petrolio e invece la
vera questione è: quando finirà il petrolio a buon
mercato e quindi accessibile?
LE PERCEZIONI
Ci sono insetti che, dal vibrare dell’aria, indovinano
l’approssimarsi di ogni cambiamento atmosferico; quasi
tutti gli animali, attraverso gli odori e i suoni
percepiscono pericoli ed eventi straordinari. Anche noi
uomini, in tempi lontani, godevamo di queste doti.
Oggi, possediamo la stessa percezione di un muro di
pietra.
Detto dei monaci del Gange
Tutto ciò che ci pone dinnanzi a una realtà disastrosa
per il nostro futuro ci infastidisce e ci rende sordi e
ciechi come allocchi alla luce del sole. Non ci rendiamo
conto della tragedia che noi «animali eletti» abbiamo
causato all’universo: ci sono voluti dai 90 ai 150
milioni di anni perché la natura creasse giacimenti di
petrolio e noi abbiamo impiegato meno di un secolo per
mandarli tutti definitivamente in fumo, fumo tossico
naturalmente!
Negli ultimi cento anni gli abitanti del nostro pianeta
hanno condotto una progressione di vita davvero
sciagurata.
Negli anni ’60, il consumo di petrolio era di 6 miliardi
di barili all’anno e le scoperte assicuravano una
produzione dai 30 ai 60 miliardi. In questo inizio di
secolo il consumo è pari a 30 miliardi di barili all’anno
e le nuove scoperte assicurano un’integrazione delle
riserve che consente una produzione di soli 4 miliardi
all’anno. Alle soglie della seconda guerra mondiale
c’erano 2,3 miliardi di abitanti e 47 milioni di veicoli.
Oggi ci troviamo con 6,7 miliardi di abitanti e 975
milioni di veicoli, più 200 milioni di camion. La
popolazione del pianeta cresce all’anno dell’1,3%, il
numero delle auto del 6%. Negli Stati Uniti viaggiano
775 macchine ogni mille abitanti, il 25% in più che in
Europa e Giappone, e l’Italia ha il record d’Europa!
Nelle autostrade della Cina, ogni giorno entrano 14.000
nuove auto. Entro due anni raddoppieranno. Beh, anche
loro hanno diritto al progresso! Evviva!
Le riserve di petrolio, sia quelle americane che russe,
sono state sovradimensionate dai rispettivi governi e
produttori. Le cifre pubblicate sono da ridurre di oltre la
metà. Giornalisti indipendenti hanno tentato più volte di
smentire i petrolieri e le loro stime, ma sono stati
censurati tanto nel cosiddetto mondo libero che nella
Russia governata dagli oligarchi. Costoro hanno
montato le cifre in favore dell’estrazione per anni. Un
imprenditore oligarca russo, il cui nome ci ricorda le
farse sul potere di Gogol, un certo Khodorkovsky, si era
permesso di dare notizie vicine alla realtà sbugiardando
i dati del regime e svelando che «oltre il 60% dei
giacimenti si ritrovano sull’orlo dell’esaurimento».
Putin l’ha subito fatto arrestare. Da quel momento le
notizie sul petrolio in Russia sono diventate segreto di
Stato. Come la villa in Sardegna di Berlusconi!
Lo stesso clima repressivo è prodotto anche da Bush,
che qualche anno fa aveva ordinato di licenziare i
ricercatori che propagavano notizie allarmanti sui
pericoli cui va incontro il pianeta e sulle scorte del
greggio.
ETICA PROFESSIONALE
Nel mondo dell’informazione, della politica e della
produzione, su cento responsabili, il 5% sono gli onesti,
il 20% sono poco affidabili, il rimanente sono tutti
bugiardi.
Konumej del «Madison Post»
Ma perché tanti dirigenti continuano a mentire sulle
riserve di petrolio?
Per evitare che ci si dedichi a progettare e produrre
nuovi motori funzionanti con altri propellenti, non
esauribili e alternativi al petrolio, oltretutto non
inquinanti!
Questo provocherebbe un crollo immediato del greggio
restante. Ecco perché l’impero occidentale, sostenuto e
spinto dai petrolieri, si è gettato in Medio Oriente in
azioni militari di conquiste rapide e insensate: libertà
per gli oppressi e petrolio per noi!
ELOGIO DELLA DISINFORMAZIONE
Eratostene di Cirene nel iii secolo a.c.
servendosi di un semplice bastoncino piantato nel
terreno
e della proiezione d’ombra prodotta dal Sole
riuscì a calcolare la circonferenza della Terra.
La notizia fu tenuta seminascosta per secoli.
La gente è meglio sappia sempre meno di ciò che
accade
dentro e fuori del pianeta.
Niccolò Copernico
È risaputo che i grandi produttori di propellente fossile
da sempre sono legati mani e piedi ai fabbricanti d’auto,
camion e moto. Per non parlare delle armi! È ovvio che
un cambio di rotta tanto drastico farebbe crollare
all’istante produzione e mercato di ogni tipo di veicolo
con motore a scoppio. Un disastro!
A sua volta l’«Indipendent» ha svelato che l’ora zero in
cui le pompe cesseranno definitivamente di succhiare si
sta avvicinando inesorabile. Secondo gli scienziati del
settore più accreditati ci sarà un picco di soli tre, quattro
anni di crescita delle estrazioni, poi si produrrà un
repentino crollo verticale: le pompe diverranno
all’improvviso reperti storici inutilizzabili.
Altri giornali, che sulla scia del quotidiano inglese
hanno a loro volta divulgato servizi e notizie sul
dramma, avvertono che in verità noi ci troviamo già in
prossimità del picco di caduta.
Vedo qualcuno impallidire… ma la gran parte di voi
insiste nel definire questa nefasta avvisata una boutade
goliardica. E allora sappiate che il programma
scientifico più autorevole che la rai trasmette da anni
con grande successo, Gaia, il pianeta che vive, condotto
da Mario Tozzi sulla terza rete – sì, abbiamo già
nominato questo scienziato, ma per i distratti e i
disinformati ricordiamo che si tratta di quel ricercatore
del cnr che sarcasticamente va sempre intorno
brandendo una piccozza –, all’inizio dell’estate ha
dedicato a questo argomento tutta la prima serata,
mettendo in onda uno sceneggiato ben documentato sul
blackout prossimo futuro del petrolio. Titolo: L’ultimo
barile.
Vi ricordate la grande rivoluzione che esplose in seguito
all’apparire dei computer? Le macchine da scrivere
diventavano all’istante apparecchi obsoleti da buttare,
milioni di oggetti batti-parole che ci avevano
accompagnato per una vita all’improvviso gettati nella
più puzzolente delle discariche. Lo stesso capiterà con
le auto a benzina. Una strage di ferraglia premuta e
impacchettata!
SCIENZA OCCULTA
Galileo Galilei, perché le sue teorie non fossero captate
dai sapienti dell’Inquisizione, le scriveva in dialetto
ruzantino cioè in padovano rozzo.
In che linguaggio dovremmo oggi scriver noi delle
previsioni sullo stato del pianeta per comunicare con le
popolazioni e non essere intercettati e immancabilmente
censurati?
Anonimo
Ci succederà, un mattino, magari a Milano o Roma o in
qualsiasi altra città d’Italia o dell’Europa intera, di
alzarci dal letto e schiacciando il pulsante della luce ci
renderemo conto che nessuna lampadina si accende.
Andremo alla finestra per far salire le tapparelle
elettriche ma anche quelle non si muoveranno. Se ci
troveremo d’estate, ci accorgeremo che il
condizionatore d’aria non funziona, che nel frigorifero
sta tutto marcendo e che dai fornelli della cucina a gas,
gas non ne esce.
Ci precipiteremo fuori di casa e troveremo il bar, nel
quale abbiamo sempre consumato il nostro santo
cappuccino con brioche, pieno stracolmo di gente, chi
terrorizzata, chi sconvolta e la maggior parte che si
limita a imprecare:
«Per la miseria! Neanche il caffè! Come si può iniziare
una giornata senza caffè?!»
«Ma che t’importa di ’sta giornata! Tanto non puoi
neanche andare a lavorare, la tua macchina è a secco e
la tua fabbrica è chiusa per mancanza di materie prime.
Fai conto che sia una domenica ecologica. Prova a
respirare, sentirai che aria fresca!»
«Fresca un corno! È intasata più del solito, c’è un puzzo
che schianta!»
«Beh, abbi fede, ancora una settimana, anche due…
tre… magari un mese di questo blackout e vedrai…
pian piano l’atmosfera si purga…»
«Si purga un cavolo! Ci vorranno vent’anni per ripulire
l’atmosfera dalle tonnellate di porcherie che ci abbiamo
sparato…»
«Esagerato… il solito pessimista… Puoi scommetterci:
fra qualche settimana respireremo che ci sembrerà
d’essere in alta montagna!»
«Sì, bravo. In un’alta montagna di rifiuti! Se non
passano i camion a ritirarli ci troveremo tutti immersi in
un’enorme discarica! Peggio che a Napoli!»
«Ma che discarica? Per scaricare qualcosa bisogna
possedere del cibo da consumare, verdure da ripulire,
rifiuti da gettare… e sacchetti di plastica in cui caricare
la spesa!»
«Eh che menagramo!»
«Già! Chi non consuma non sporca! Infatti il più pulito
è il morto di fame!»
Qualche minuto dopo nello spiazzo dove c’è il
distributore, che ci si trovi a Parigi, a Boston o a
Chicago, ma noi preferiamo immaginarci a Milano nei
pressi di Porta Romana, proprio dove c’è il benzinaio,
scorgerete una fila di macchine infinita: non c’è
benzina, neanche gasolio; aspettano l’arrivo da un
momento all’altro delle autobotti, ma qualcuno avverte
che la situazione è identica in tutta la città, per non
parlare degli imbocchi alle autostrade.
Lo spettacolo più impressionante è quello dei tir e dei
camion isotermici bloccati in code interminabili coi
conducenti che urlano disperati: «Qui ci sono tonnellate
di merce surgelata che va in malora! E non parliamo
della frutta e della verdura! Non possiamo neanche
comunicare coi nostri centri di distribuzione. I telefoni
non funzionano! Anche la televisione non s’accende».
Una radiolina a pile dà notizia che le autostrade sono
interamente sgombre, vuote di traffico. Anche i treni
sono fermi in stazione. È un blackout completo.
In compenso c’è un sacco di gente che si sta avviando
verso l’ingresso dell’Autostrada del Sole e altri innesti:
molti sono in bicicletta e trascinano carrette e perfino
carrozzine per i piccoli. Dove stanno andando? Perché
verso l’autostrada?
Dicono che i camionisti, bloccati, non ce la fanno ad
assistere al deperimento irrefrenabile della merce che
trasportano, così la distribuiscono… gratis a tutti quelli
che si presentano. Guardate laggiù, è una folla!
Qualcun altro dà la notizia che l’esercito sta requisendo
i depositi delle raffinerie. Il governo dichiara lo stato di
emergenza, ma non trova un mezzo per poterlo
comunicare ai cittadini.
L’IMPORTANTE È NON CREARSI PROBLEMI
Un uomo del Mesolitico lancia in cielo
un bastone ricurvo
e inaspettatamente il bastone torna da dove era partito
colpendo in fronte il lanciatore.
L’Homo Sapiens nulla sa della rotazione dei gravi
e degli effetti che questa legge produce,
quindi non se ne fa alcun problema…
continua a lanciare il bastone e spera in Dio.
Claude Mortensen, geologo
Il giorno appresso, la gente comincia a rendersi conto
della dimensione che ha assunto il disastro: imperterrite,
televisioni e radio restano spente. I giornali si stampano
con il petrolio, quindi ferme anche le rotative, a parte
che mancherebbero i mezzi per distribuirli. I cellulari si
stanno scaricando.
Trascorrono altri tre giorni e alcune piccole radio
riescono a trasmettere ancora qualche notizia, per lo più
catastrofica. Tanto per cominciare si viene a sapere che
le azioni petrolifere sono crollate a picco, tutte insieme,
e hanno trascinato nel baratro le numerose imprese che
lavoravano materiale sintetico, coibenti, generi in
plastica… il tutto per 80.000 prodotti derivati dal
petrolio.
Poco più avanti, sempre a Milano, nel vicino corso
Lodi, c’è un panettiere che da anni ha impiantato un
forno a legna. Entrate e assisterete a un dialogo a dir
poco surreale.
Un signore chiede una pagnotta appena sfornata di
mezzo chilo. Il panettiere gliela incarta, gliela consegna
e il cliente gli offre dieci euro e l’altro, scuotendo la
testa, dice:
«No, niente soldi, né di carta né in moneta. Non hanno
più nessun valore. Avrà saputo del crollo totale?»
«Sta parlando delle azioni petrolifere?»
«Sì, ma anche delle banche, e delle assicurazioni...»
«Banche e assicurazioni?»
«Eh sì, ormai non c’è più niente da assicurare.»
«E con che cosa la pago, allora?»
«In cambio merce!»
«Come a dire un baratto?!»
«Giusto. Lei mi dia, se crede, i suoi gemelli da polso.»
«Ma scherza?! Sono oggetti preziosi, valgono quasi
mille euro e dovrei darglieli in cambio di una
pagnotta?»
«Se le sembra un baratto non conveniente mi dia
qualcos’altro, la sua cravatta per esempio o le scarpe.
Che numero porta?»
«No, mi dispiace ma non ci sto, è un cambio indegno.»
«Va bene, mi paghi in lavoro. Sa tagliare la legna,
impastare la farina, andare in bicicletta?»
«In bicicletta? Perché?»
«Per consegnare i sacchetti di pane ai clienti.»
«E va bene! Tenga le scarpe! (Così dicendo si siede su
uno sgabello e comincia a slacciare le stringhe.) Le
basta una scarpa sola?»
«Mi dispiace ma ho anch’io due piedi. Tutt’al più le
posso dare un’altra pagnotta ma mi deve lasciare pure la
sua cravatta.»
È ormai trascorsa una settimana dal giorno del blackout.
Molti stanno entrando in un allarmante clima di
tensione. Si stanno verificando preamboli da assalto ai
forni. C’è però qualcuno che non si lascia travolgere dal
panico.
Ci troviamo davanti al Teatro Carcano.
«Se analizzate bene la situazione» dichiara ad alta voce
un professore della Statale intorno al quale s’è formato
un vero e proprio capannello, «le cose non si mettono
assolutamente male, anzi! Passato il primo momento di
sconcerto, vedrete che finalmente come in un tornado
magico ci troveremo in una situazione davvero
straordinaria. Pochi di noi se ne sono resi conto, ma qui
tutti stiamo uscendo da uno stato, quello sì, veramente
disastroso. Guardatevi intorno: le macchine a centinaia
abbandonate sui bordi delle strade, nelle piazze, come
relitti fulminati. Sentite il silenzio… non c’è più un
pernacchio di moto, un clacson, uno strombazzare di
motori in accelerazione con relativo sbroffo di
scappamenti che t’asfissiano. Di notte riusciremo a
vedere perfino le stelle, perché quella coltre giallastra
che ancora ci sta addosso svanirà dopo qualche decina
di uragani liberatori.»
«Uragani?» chiede una signora.
«Sì, l’assestamento termico, un processo attestato dalla
scienza» chiarisce il professore, «porterà un prodursi
continuo di uragani con scariche elettriche strepitose.»
UN’IDEA GENIALE
I bimbi nella strada purtroppo respirano allo stesso
livello dei tubi di scappamento delle macchine.
Per evitare le conseguenti intossicazioni, passeggiando,
appendete i vostri figlioli a un palloncino aerostatico di
almeno un metro di diametro; fate in modo di tenere il
più in alto possibile il pallone con il bimbo. Per
precauzione portate sempre con voi un fucile ad aria
compressa, cosicché, se a causa di un colpo di vento vi
dovesse sfuggire il miniaerostato col bimbo appeso,
potrete sempre abbatterlo immantinente.
Il pallone mi raccomando, non il bimbo!
Dai consigli dell’assessore all’Ecologia di Milano
«Non avremo più di che preoccuparci per i polmoni dei
nostri figlioli intossicati dai gas di scarico» continua il
professore. «Con la nuova situazione non ci sarà
bisogno di fermare il mondo per salvarci fuggendo,
poiché questo incredibile avvenimento renderà
impotente ogni fenomeno negativo per la sopravvivenza
nostra e quella del pianeta.»
Qualcuno lo applaude.
«Inoltre, se mi permettete…» s’introduce un assistente
precario «facciamo il caso di una forza militare come
quella degli Stati Uniti, che in un certo qual modo oggi
rappresenta la potenza unica di controllo e sorveglianza
del pianeta: come sposta le proprie truppe di polizia,
pardon di persuasione, nei vari teatri di pronto
intervento?
«Come può sbarcare in un territorio ’da liberare’
portando a quel popolo la democrazia se non può
usufruire di navi e aerei né di tank e cannoni
semoventi? E che uso se ne fa delle migliaia di ogive
atomiche che ha sparso per tutto il pianeta: con che
razza di razzo le spara? Oltretutto che ci va a fare in
quegli Stati canaglia se non ci sta più il petrolio?»
«Vuol dire che per quanto ci riguarda» lo incalza un
giovane allievo della Statale «causa il blackout i nostri
alleati statunitensi saranno costretti ad andarsene dalle
basi militari del bresciano, del Veneto, del Friuli e altre
ancora?»
«Sì, ma in compenso» conclude ironico il professore «ci
lasceranno, per ricordo, tutte le ogive atomiche
immagazzinate nei bunker delle postazioni suddette,
ordigni nucleari, il più soft dei quali ha una potenza
almeno tre volte maggiore della bomba sganciata su
Hiroshima.»
«Mio Dio!» esclama preoccupata una mamma col
bimbo in braccio. «Bisognerà che le disinneschiamo noi
prima che ci giochino i bambini.»
«Quindi, per concludere: niente petrolio, niente più
guerre!» applaude un giovane studente con lo zaino.
Un intero gruppo di suoi compagni esulta festante e
accenna a una danza.
Il professore entusiasta commenta: «Dovremmo
danzare anche noi come questi ragazzi per festeggiare
un evento sconosciuto nella storia dell’umanità. Non
sentiremo più parlare di guerre preventive né tanto
meno di pace attiva».
«Un attimo di silenzio, per favore!» dice un vecchio
claudicante mostrando una piccola radio in funzione.
«Qui stanno dando altre notizie. Pare che un folto
numero di ragazze, rimaste con le proprie automobili
ferme, esasperate per l’improvvisa mancanza di
carburante, abbiano assalito alcune macchine di
fortunati che si erano preoccupati di riempire il proprio
serbatoio anzitempo e, munite di tubi, abbiano
letteralmente succhiato il pieno.»
«Voglio subito una metamorfosi!» grida esaltato un
ragazzo. «Dio, trasformami in un tubo da succhiare, ti
prego!»
Siamo ormai al decimo giorno di emergenza.
Pochi nelle città rimangono in casa, la gente si riversa
preferibilmente nelle strade e nelle piazze. Nello slargo
di Porta Romana giungono dalle campagne dei carretti
trascinati da cavalli e da trattori alimentati dall’olio di
girasole o di colza coltivati nelle valli del Ticino. Sono
contadini che offrono prodotti dei loro orti e delle
fattorie, conigli a pezzi e galline ancora vive in cambio
di oggetti i più diversi. Intorno a loro si fanno subito
donne e uomini che scelgono e contrattano.
Un giovane, indicando la piazza sul fondo, grida:
«Guardate là: c’è una macchina che avanza silenziosa».
L’auto viene verso il capannello e si ferma; ne esce un
signore soddisfatto e ridente. Pian piano la strada si
riempie di curiosi.
«Ma che razza di macchina è questa?» gli chiedono.
«È un fenomeno, amici miei! Ce l’ho da tre anni.
Finalmente ho la soddisfazione di poterla guidare
tranquillo per tutta la città!»
«Ma a che cosa va?»
«Ha un motore elettrico?»
«Va a gas?»
«No, ad aria compressa.»
«Aria compressa? La stessa con cui si caricano i fucili
per ragazzini?»
«Sì, proprio lei. L’ho messa a punto con l’aiuto di miei
colleghi del Politecnico, davvero geniali, ma non ero
mai riuscito a ottenere la licenza per ‘sto motore,
avevano bloccato addirittura il progetto! E pensare che
è il mezzo più pulito che ci sia al mondo e costa meno
della più scassata fra le macchine! Oltretutto è
silenziosissima! In India stanno costruendo delle
macchine simili, la cui carrozzeria è stampata in una
lega leggerissima e compatta: tutta l’auto pesa meno di
500 chili e viaggia a più di 120 chilometri all’ora, 200
chilometri di autonomia e la ricarico con i pannelli
solari fotovoltaici che ho sul tetto di casa mia.»
«Ne avevo sentito parlare» interviene un tranviere
appena sceso da un mezzo del Comune in panne.
«Ah! Ah! C’è proprio da crepare dalla soddisfazione. I
grandi Paesi del mondo tutti bloccati, a piedi, e loro, gli
indiani, gli unici che se la spassano di qua e di là coi
loro turbanti in testa e gli elefanti e le vacche sacre che
li guardano sconvolti per la meraviglia!»
«Certo che procura davvero una splendida euforia»
commenta con sarcasmo un giovane signore che
esibisce un Borsalino in capo e al collo una cravatta a
papillon. «Ed è incredibile doverci rendere conto che in
tutto questo caos quelli che manco si sono accorti del
cataclisma sono proprio i diseredati della Terra. Mi fa
schiattare dal ridere!»
CALMA: STIAMO REGREDENDO
Pochi anni fa in Kenia ho visto nel cielo transitare un
grosso jet e nella savana un’intiera tribù di pastori che,
terrorizzata, correva senza meta seguita dal gregge.
Oggi, a quei pastori non capiterà più di fuggire,
giacché chissà per quanti anni non saranno più
disturbati da alcun assordante velivolo.
Anonimo viaggiatore
«Voi avete idea» interviene un signore con un naso
prominente da maschera grottesca, «avete idea di quanti
siano gli abitanti del nostro pianeta che non hanno mai
visto né un camion né un aereo e tanto meno un
elicottero?»
«Ah certo» gli fa da spalla un tipo magro e lungo, «ci
aggiunga pure tutti quei popoli che non hanno mai
ascoltato una radio o seguito programmi televisivi, non
per una repulsione naturale verso i palinsesti, ma perché
non conoscono l’esistenza e l’uso dell’elettricità oltre a
quello dei motori a scoppio, dei telefoni, dei
computer…»
«Beh, insomma, stiamo parlando dei selvaggi?»
«Ci andrei piano a chiamarli selvaggi, specialmente
oggi, soprattutto se proviamo a confrontarli con noi e la
situazione in cui viviamo.»
«Scusate, ma non si potrebbe intavolare qualche
discorso un po’ meno angosciante…?» chiede una
donna con voce sommessa.
E di rimando il tipo magro e lungo risponde: «Eh no,
signora, non siamo mica in un programma televisivo
dove scantonare è d’obbligo. Anzi… questo è proprio il
momento giusto per cominciare a dire le cose come
stanno! Per esempio è il caso di ricordare che gli
abitanti del nostro pianeta ammontano a più di sei
miliardi: ebbene, la bellezza di un miliardo e duecento
milioni di individui non si serve né di energia elettrica
né di propellenti fossili, non li conosce o non è in grado
di farne uso».
«È incredibile» commenta una mamma col bimbo in
braccio, «non l’avrei mai detto, quasi un miliardo e
mezzo di uomini, donne e bambini, come noi di razza
umana, che vive ancora all’Età della Pietra!»
«Ebbene signora» dice l’uomo dal naso possente, «c’è
un altro miliardo di disperati, che dei mezzi di trasporto
ne fa uso, ma solo accidentalmente. Ora, cosa volete
che gli importi a questo 40% di umanità del nostro
attuale disagio? Per loro che esista la civiltà tecnologica
o che abbia cessato di esistere, non cambia proprio
niente. Non c’è la luce? Accendi una torcia. Fa freddo?
Brucia della legna. Devi partire? Cavalca un asino o
rema sulla canoa. Hai la febbre? Succhia ’sta radice. Ti
sei beccato il morbillo o un’infezione virale? Crepa! Le
medicine costano e la fabbrica che le produce non fa
carità a nessuno. Regalano medicine sì, ma solo se
abbondantemente scadute! Vai! Vai! Questa sì che è
vita!»
«Ma noi siamo di un’altra stirpe» interviene in tono
sarcastico un signore dall’aspetto imponente «e pur nel
disastro tecnologico abbiamo la fortuna di poter
ammirare qui in questo momento un prototipo di vettura
che si muove a una velocità massima di 120 km all’ora
e che gode di un’autonomia che non raggiunge i 100
minuti.»
«Infatti» gli risponde il professore della Statale «si tratta
di un prototipo. A quale velocità lei crede fosse in grado
di muoversi il primo veicolo con motore a scoppio
quasi un secolo fa? Nemmeno alla metà!»
«Il problema serio piuttosto», interviene un maghrebino
conosciuto come «il dottore scuro», «è che siamo in un
colpevole ritardo nello sviluppo alternativo! E non per
mancanza di progetti, ma di volontà!»
UN NOME, UNA GARANZIA
F.I.A.T. VOLUNTAS TUA- F.I.A.T. VOLUNTAS DEI
Dal Vangelo di Matteo
«È vero» lo affianca il giovanotto dal papillon. «Di
progetti da sballo ce ne sono una caterva. Cinque anni
fa, mi ero appena laureato in ingegneria meccanica,
quando ho avuto l’occasione di visitare il deposito
brevetti di una grande industria automobilistica, tanto
per non far nomi: la fiat. Noi ragazzi si continuava a
provocare il direttore del reparto che ci accompagnava,
chiedendo a tormentone dove fossero finiti i miliardi
che lo Stato aveva elargito per la ricerca, perché
l’impresa producesse nuovi modelli ecologici. Seccato,
il boss spalancò un gran cancello e ci introdusse in un
enorme hangar, stracolmo di modelli: ’Ecco qui
soddisfatta la vostra morbosa richiesta. Volete un
motore a gas poco tossico? Ve li presento, ne abbiamo a
decine. Ancora, vi offriamo un’auto a idrogeno in
varianti innumerevoli e poi macchine a energia solare
con pannelli a specchio che sembrano ali di gabbiano,
motori a olio vegetale e qui ci si può proprio
sbizzarrire! Per non parlare dei modelli ad alcol, altri
ibridi e ad acqua’.»
La folla che riempie la strada esplode in un gran vociare
di indignazione: «Ma come… Avevano altri mezzi
pronti per salvarci dallo smog e dal disastro e se li sono
tenuti nascosti!? Ma perché??? A quale scopo?»
L’ingegner ridente ora s’è fatto a sua volta cupo e
risponde: «Per la semplice ragione che il profitto è il
motore del mondo. Ma avete idea di cosa costi per una
grande industria bloccare e distruggere una catena di
produzione d’auto per sostituirla con altre diverse in
continuo collaudo, rieducare una clientela ormai
assuefatta al motore a scoppio, riaprire un nuovo
mercato, rischiare una débâcle di vendita…?! Anche il
più propenso ed esaltato positivista dei costruttori, avete
l’idea a che azzardo andrebbe incontro se si decidesse a
un passo del genere? Si ritroverebbe addosso, pronte a
mozzargli le gambe, tutte le imprese petrolifere e le
banche che quasi sempre sono le maggiori azioniste dei
costruttori d’auto… per non parlare delle associazioni
dei benzinai e delle imprese concessionarie».
«Ha ragione l’ingegnere! Farebbero di tutto per farlo
fallire!» lo sostiene il dottore del Maghreb. «Non
dimenticatevi cosa successe in America a Ford, il più
grande magnate automobilistico degli Stati Uniti,
quando negli anni Trenta decise di costruire un motore
alimentato a olio vegetale, che poi era il primo motore
diesel.»
«È vero» rincara l’ingegner ridente. «Abbiamo
accettato tutto senza batter ciglio. Eppure lo
sapevamo… perfino la televisione ne ha parlato!»
«Perché, cosa successe?» chiedono, partecipi, alcuni dei
ragazzi della Statale.
«Beh, prima di tutto» continua il maghrebino «bisogna
dire che Ford aveva intenzione di sganciarsi dal
controllo finanziario dei petrolieri e si era accorto che i
suoi nuovi motori invece che col gasolio funzionavano
benissimo anche con l’olio di cannabis, oltretutto un
propellente molto meno inquinante.»
«Ma va?» lo interrompe il giovane con lo zaino. «Ha
detto cannabis… come dire la marijuana?»
«Sì, proprio quella!» spiega il dottore scuro. «Ford
indusse i produttori agricoli di molti Stati a coltivare
’canna’ in tutti i loro campi: la sua idea ebbe un gran
successo soprattutto per la ragione che l’olio di
marijuana aveva un prezzo inferiore rispetto al gasolio.
Ma ecco che i petrolieri entrarono a piedi giunti nella
tenzone, abbassando di botto del 50% il prezzo del loro
prodotto, il gasolio, e anche quello della benzina. I
possessori di motori diesel cambiarono subito di
distributore tornando al petrolio, e agli agricoltori non
restò che fumarsi le loro canne fino a schiattare! E Ford
a testa bassa dovette tornarsene sconfitto dai petrolieri.»
«Questa storia non la sapevamo!» commentano gli
studenti.
«Vuoi vedere» rinforza una ragazzina «che a proibire le
canne e a togliere gli spinelli dal mercato anche qui
sono stati i petrolieri? È proprio vero quello che diceva
poco fa il dottore scuro: il profitto è il motore del
mondo. Mandano in guerra i nostri ragazzi, ci intasano
l’aria, ci riempiono di smog e ci vietano le canne, e
scommetto che sono d’accordo col papa perché ci
proibisca la pillola anticoncezionale e pure quella del
giorno dopo, i dico e anche l’aborto!»
«Ed è proprio questo bastardo motore del profitto che ci
ha portato alla débâcle che stiamo vivendo!» interviene
a gran voce una donna. «Al grido di ’Buoni utili e
buona morale!’ siamo arrivati a produrre un disastro
totale.»
«E i politici lo sapevano?» chiede la ragazza.
«Certo! Ma a loro volta nascondevano.»
«E gli scienziati?»
«Qualcuno è intervenuto» dice il professore «ma è stato
azzittito e gli altri, come di regola, silenzio!»
«Non disturbare il manovratore!» carica l’uomo dal
nasone.
«Già, il manovratore della nave che va a picco! Siamo
proprio governati da pazzi criminali e deficienti!»
esplode il tranviere.
BARCAMENARSI!
Derentro el giuso* sèm pucià**
ne lo smerdàsso condanà.
Immergiùi in la merda sèm, fino a la bóca
i diauli crìa: «Sóto a chi tóca!»
Qualcun se sbate pe’ non ’andà a fónda
«Per Dio, stì quàch***! Stèt bon, no fèt l’onda!»
Bescapè, l’Inferno
E così, fra un dibattito e l’altro all’aria aperta, abbiamo
superato i quindici giorni di emergenza. Un folto
gruppo di ragazzi provenienti da varie università e
scuole tecnologiche hanno organizzato un incontro con
docenti e ricercatori, nel centro della città, sotto le
arcate del Broletto, l’antico Senato al tempo dei
Comuni. L’acustica là sotto è davvero sorprendente:
ognuno può intervenire senza l’ausilio di microfoni. I
ragazzi si sono procurati centinaia di panche prese in
prestito dal Duomo. Un vecchio docente, dopo
l’introduzione che illustra la situazione generale creatasi
per via del collasso energetico, si scaglia contro i
responsabili del disastro cioè la lobby dei petrolieri e
dei grandi produttori di macchine e motori.
«L’unica soddisfazione» sghignazza un ex fonditore «è
sapere che tutti ’sti grand’uomini d’affari sono rimasti
fregati anche loro come noi a cominciare proprio dai
petrolieri, anzi più di noi, perché con tutti i quattrini che
si sono messi da parte stanno andando a picco nello
sterco senza poter neanche gridare Aiuto!, giacché
rischiano, se qualcuno li riconosce, di venir spinti giù a
scarpate con gran soddisfazione! Glu glu glu glu!!!»
Tutti ridono e applaudono!
«Attenti a non esaltarvi troppo!» li blocca un
pensionato. «A parte che dovevamo svegliarci,
muoverci un po’ prima.»
«È vero» rincara un signore ridente. «Abbiamo
accettato tutto senza batter ciglio. Eppure lo
sapevamo… perfino la televisione ne ha parlato!»
«Beh, ma quasi di sguincio» commenta il fonditore.
«No, no» lo contraddice una signora con cappello e
veletta, «neanche una settimana fa io ho visto un film
proprio in prima serata con questa storia della nave che
va a picco con una folla di passeggeri che fuggono, si
buttano a mare e altri, ricchi e satolli, che manco se ne
accorgono e continuano a ballare e a cantare nel grande
salone delle feste con l’orchestra che suona tutta di
traverso e intanto il pianoforte scivola e i lampadari
scoppiano. Che bella allegoria! L’ho capito subito che
alludeva a un prossimo nostro cataclisma!»
«Ma quella è la tragedia del Titanic!» la corregge uno
degli studenti. «Non c’entra niente, è un drammone
d’altri tempi.»
«D’altri tempi l’episodio, sì, ma l’allegoria era rivolta a
noi, e al nostro tempo.»
Un’altra donna incalza: «Io davvero non mi sono resa
conto di nulla, ero troppo occupata ad arrivare alla fine
del mese».
«Io invece continuavo a essere ottimista» confessa un
signore quasi obeso col vocione. «Ero convinto che la
scienza ce l’avrebbe fatta a inventare qualche altra
diavoleria… che so… un propellente straordinario a
basso prezzo e inestinguibile, di enorme potenza. E
sono ancora ottimista! Vedrete che ce la faranno.»
«Già…» interviene uno spregiudicato docente, famoso
per il suo sarcasmo e il linguaggio colorito, «la
differenza tra un ottimista e un pessimista è che gli
ottimisti non s’informano, non sanno, non conoscono e
stanno tranquilli… sperano! I pessimisti sono invece
quelli che sanno, conoscono, prevedono e s’incazzano!
E anche loro sperano! Sperano che all’ottimista prenda
un coccolone!»
«Io mi incazzo! M’incazzo e non spero un cazzo!»
esclama un tranviere. «Oh come m’incazzo!!!»
«Ed è un errore» lo blocca il professore positivo, «l’ho
già ribadito in un’altra occasione, e vorrei che mi steste
ad ascoltare. In questo momento noi non dobbiamo
abbatterci, ma esaltarci. Stiamo godendo di una grande
fortuna: meno male che per il petrolio siamo arrivati
all’anno zero! Se la riserva di greggio fosse stata
inesauribile, la nostra fine di esseri umani sarebbe stata
prossima e completa.
«Attenti, non la fine del pianeta! Anche ridotta a un
catorcio di residui velenosi, la Terra continuerebbe a
roteare nell’universo, finché tra secoli e secoli
ritornerebbe pulita.»
«Pulita a vantaggio di chi?» chiede il tranviere.
«A vantaggio di nessuno, noi saremmo i primi a
schiattare, e con noi tutte le creature che respirano,
compresi i pesci. Nessuno riuscirebbe a sopravvivere su
un pianeta completamente intasato di gas tossici! Oggi
invece abbiamo ancora la speranza di farcela.»
«Farcela come?? Con che cosa? Siamo qui ridotti a
uomini della pietra, senza nemmeno una pietra da
sbatterci sulla testa, e senza neanche le bacche e le
radici da masticare.»
«A proposito di masticare» interviene una donna, «e
scusate signori se vi tiro via dai vostri discorsi
scientifici, ma come la mettiamo col problema del
cibo?! Oggi sono stata al supermercato, c’era una folla
incredibile. Gente che si strappava l’un l’altro dalle
mani la poca merce rimasta: frutta, verdura e pacchetti
di pasta e riso che volavano da un forsennato all’altro.»
CONSIGLI UTILI
Solo se tocchi il fondo del baratro puoi risalire:
basta una buona corda
e qualcuno che ti tiri su.
Ma fai attenzione che la corda non sia torta intorno al
tuo collo.
Coluche, il comico
Altri tre giorni sono trascorsi. La novità è che qualche
giornale è uscito nelle edicole ormai vuote. Li hanno
stampati, dicono, con l’inchiostro più antico: quello dei
calamari.
Molti dei nostri amici si sono trasferiti sotto il
grattacielo appena eretto nello spazio della Fiera.
Dall’alto di quella torre di cento metri cubi di
calcestruzzo s’affaccia un esagitato. Impugna un
megafono portatile, di quelli da comizio volante, e urla:
«Gente! Allegri! Per voi oggi è carnevale! (E così
dicendo rovescia un sacco ricolmo di banconote.) Sono
soldi! Godeteveli! Ci sono anche obbligazioni che
valgono migliaia di euro! Sì, vi faccio questo dono di
’sto ben di Dio perché vi amo! Vi ho fottuti per anni,
per questo vi amo! Perfino questo grattacielo l’ho
costruito così svelto per infilzarvelo in quel posto! Ma
vi amo!»
«Ma chi è? Un pazzo o ci sfotte?» grida il fonditore.
«Io non so cosa farmene dei soldi, anche perché non
valgono più un accidente. (Disperato) Ah! Ah! Sono
rovinato, tutti siamo rovinati, anzi gli unici che possono
ridere sono quelli che non avevano niente! Voi! Voi,
laggiù, nella strada…! Oggi siete i benedetti dalla
fortuna perché non avete niente da rimpiangere, anzi…
oggi state in cima alla torre della beatitudine. Come
diceva Gesù: ’Benedetti i poveri di spirito che avranno
tutto, proprio perché non avevano niente’. Finalmente si
avvera la promessa del Salvatore. È il giorno del
Giudizio… allegri!»
Il ragazzo con lo zaino chiede a gran voce: «Ma chi è?
Ligresti o Tronchetti Provera?»
«Poveraccio, in fondo mi fa pena!» aggiunge la signora.
Dall’alto scendono come coriandoli migliaia di fogli e
biglietti. Qualcuno ne raccoglie una manciata e poi li
butta. Gli unici che se li tengono sono i bambini e
qualche vu’ cumprà che non capisce di cosa si tratti.
Pare di essere dentro la pellicola di Miracolo a Milano.
Ci mancano solo i barboni che volano.
No! Qualcuno che vola c’è!! È lui, il ricco rovinato che
s’è gettato dal terrazzo. Precipita con le braccia
spalancate come ali ma non prende quota. Va a sbattere
su una tenda parasole del balcone di sotto. Rimbalza e
finisce sul telone di un camion bloccato sul
marciapiede. Si trova per terra intontito, si rialza e,
andandosene barcollante, commenta: «Che mondo di
merda! È difficile persino morire. Vuoi vedere che
anche stavolta c’è di mezzo il Vaticano? È il Santo
Concilio che ha proibito l’eutanasia! Se mi fosse
riuscito di crepare, le Chiese avrebbero rifiutato il mio
cadavere e perfino di seppellirmi in luogo consacrato…
Ma io li frego… Vado a morire in Svizzera! A Locarno,
lì mi fanno un prezzo di favore!»
Ma torniamo in Porta Romana. Qualche giorno dopo,
da un palazzo di cinque piani con terrazzo provengono
grida e sghignazzi. Lassù c’è un uomo che sta danzando
pazzo di gioia sostenuto da donne e ragazzi.
Alcune potenti casse acustiche proiettano un rock
assordante. Qualcuno dalla strada commenta: «Ma
come fanno a sparare un sound del genere? Quelli
hanno energia elettrica da buttare! Dove la prendono?»
«Ce l’abbiamo fatta! Ce l’abbiamo fatta!» urlano nei
microfoni. La loro voce è amplificata da altoparlanti
appesi sui balconi.
«Sapevo che sarebbe arrivato il mio giorno! Abbiamo
vinto!» sbraita un uomo col microfono incollato al viso.
«Qui è il droghiere del negozio d’angolo che vi parla!
Mi riconoscete? E vi ricordate lo sfottò che mi facevate:
’Piantala droghiere di fare il drogato! E il menagramo!
Ma figurati, mi dicevate a tormentone, se davvero ci
fosse un pericolo di blackout, i padroni della città li
vedresti tutti darsi da fare per foderare per intiero le
pareti dei loro grattacieli con lastre di pannelli solari per
chilometri quadrati… impiastrerebbero ogni palazzo,
perfino le chiese, a cominciare dal Duomo, compresa la
Madonnina, anzi… fra le braccia della Santa Madre
d’oro piazzerebbero una pala eolica gigantesca e
vedresti tutte le guglie del Duomo trasformate in torri
eoliche… gotiche!’ Ah! Ah! (Ride) E sghignazzavate,
trattandomi da coglioncione! Però oggi ho la
soddisfazione di vedervi tutti col culo per terra e io con
la mia famiglia voliamo in aria come colombi felici!»
«Ehi drogato!» urlano da sotto. «Che ti prende? Da
dove viene ’sta storia dei colombi felici?»
«Proprio dai pannelli solari e fotovoltaici! Sono loro
che ci rendono giocondi, tanto da scoppiare! Ci siamo
messi insieme ad altre quattro famiglie, tutti condomini;
ma, essendo le nostre case in centro, il Comune non ci
ha concesso l’autorizzazione che ci avrebbe permesso
di accedere alla sovvenzione statale per la messa in atto,
quindi ci siamo dovuti svenare per comprarli e poterli
sistemare qui, sui nostri terrazzi… naturalmente
nascosti e truccati! Vi sembreremo incoscienti ma per
noi questo blackout è stata una manna dal cielo! Come
si sono spente le turbine delle centrali elettriche, il
giorno stesso, senza che nessuno venisse più a romperci
le scatole, abbiamo potuto montarli tutti! Se salite da
noi, al quarto piano, ve li potete godere anche voi, già in
azione! Ne abbiamo distesi per più di cento metri
quadrati, anche sul tetto… con questo impianto
riusciamo a produrre fino a più di 20 chilowatt… e
lassù ci abbiamo montato quattro torri con pale eoliche
ridotte…»
«Ma cosa vai farneticando?» lo interrompe un tale. «Io
abito qui di fronte, sul tuo stesso piano, non le ho mai
viste… ’ste pale!»
«Per forza, le tenevamo sdraiate, nascoste sotto una
coltre d’edera» interviene la moglie del droghiere,
«erano abusive! Ma stamane le abbiamo rizzate e messe
in atto: guardate che spettacolo! Funzionano che è una
meraviglia! Sentite, sentite! Girano e cantano.»
Tutta la famiglia intona il rock del giroscopio: «Gira,
gira, l’elica gira… con il vento senza rumore, fai
montare il contatore… pare un sogno, una follia…
energia, energia, guai a chi ce la porta via».
«Vi rendete conto?» riprende il negoziante. «Siamo gli
unici in tutta la via con la luce elettrica, la televisione
accesa e perfino il frigorifero e il condizionatore.
Possiamo telefonare dove ci pare… se troviamo
qualcuno che si sia messo nella nostra stessa
situazione…!, e in più godiamo dell’acqua calda e
addirittura di una cella frigorifera con frutta, verdura,
carne, pesce… da fornire cinque ristoranti.»
Dal basso salgono fischi e urla da stadio: «Fanatici!»
«Bastardi!»
«E ci state pure a sfottere!»
«Calma… sì, forse siamo andati giù pesanti… abbiamo
esagerato. La cella frigorifera non ce l’abbiamo.
Abbiamo solo un congelatore da macelleria… ma ci
basta! E voi, cosa aspettate a muovere il culo a vostra
volta e ingegnarvi come noi? Se volete vi diamo tutte le
dritte per fare altrettanto.»
Ognuno nella strada adesso sta in silenzio, ma c’è chi
digrigna i denti: «Io adesso salgo a casa, prendo il mio
fucile da caccia e gli sparo, a quel figlio di puttana!»
L’uomo obeso con quel suo vocione lo blocca: «Non far
lo stronzo! È da gnucchi deficienti aggredire il nostro
amico lassù soltanto perché ha dimostrato di essere più
sveglio di noi… Piuttosto… diamoci da fare e
imitiamolo. È l’unica soluzione».
«Certo, è l’unica soluzione» aggiunge l’ingegnere
ridente.
E di rimando in coro gli chiedono: «Sì, ma dove
troviamo ’ste pale eoliche e i pannelli?»
«E soprattutto, con che cosa li paghiamo, visto che i
soldi son da buttare?»
«Con l’energia che produrrete» risponde dal terrazzo il
droghiere «come faccio io! Qui accumulo ogni giorno il
triplo dell’energia che mi serve, e la scarico
direttamente nel contatore dell’enel.»
«E l’enel te la considera al prezzo di mercato?»
«Ma che mercato?! Il mercato è morto, così le banche e
la borsa! Oggi uno dei pochi valori commerciabili sono
i chilowatt di energia, con i quali paghiamo anche le
imprese che ci hanno venduto i pannelli.»
«E allora forza… dacci gli indirizzi di ’ste fabbriche.»
«E speriamo che i produttori siano ancora in attività!»
gli gridano in coro.
«Lo sono, lo sono e non hanno mai lavorato tanto! Siete
pronti? Eccoveli.»
«Aspetta, che troviamo carta e penna.»
Lassù s’illumina fortissima la lampada di un proiettore.
«Attenti… vi riproduco il tutto ingigantito sul pannello
pubblicitario di Porta Romana!»
All’istante sull’enorme plancard pubblicitario,
abusivamente gestito dal Comune, che da anni ingabbia
completamente l’antico monumento, appare una grande
scritta con gli indirizzi di una fabbrica di impianti
fotovoltaici con tanto di numeri telefonici, nome delle
ditte installatrici e di seguito i prezzi calcolati in chili di
pane o in dozzine di uova, e le relative modalità
d’acquisto.
Qualcuno commenta rattristato: «Ma chi non ha
terrazzo come me, dove se lo impianta il pannello?»
E il solito spiritoso gli risponde: «Nel cesso!»
«No, per favore!» grida seccato l’ingegnere. «Non è
proprio il caso. Qui stiamo tentando di salvarci la vita.»
«Un momento, c’è una soluzione» propone un
pensionato, «i parchi qui intorno. Potremmo ognuno
occupare uno spazio adeguato.»
«Figurati» gli fa il verso il tranviere, «come riusciamo a
dividerci le quote di prato senza scannarci? E poi è roba
del Comune… chi ci dà l’autorizzazione?!»
«Ma che Comune? Dov’è il Comune? È sparito!»
SI SALVI CHI PUÒ
Appena una nave rischia d’affondare i primi a scendere
sono i topi dalla stiva,
seguiti a ruota dai politici, dalle puttane
e dagli amministratori pubblici.
Alcuni religiosi li hanno preceduti scendendo all’ultimo
scalo.
Dal Mistero Buffo di Majakovskij
«Certo, come hanno sentito il glu! glu!
dell’affondamento, assessori e presidenti se la sono data
a gambe, trasformati in pantegane da fogna!» sottolinea
il pensionato.
«Basta chiacchiere!» li interrompe l’ingegnere. «Allora,
per la distribuzione dello spazio, prima si segna il
reticolo dei campi, poi si numerano e si fa una bella
lotteria.»
«Evviva, adoro le lotterie!» esclama una signora. «Poi
da quando non s’accende più la televisione, mi
mancano proprio!»
«Avanti, chi vuole concorrere mi segua!» riprende
l’ingegnere. «Ma sia chiaro: se c’è qui qualche furbo
che non ha intenzione di piantarci i pannelli fotovoltaici
e concorre solo nella speranza di vincere un lotto per
poi venderselo, l’avvertiamo subito che quel prato
guadagnato gli servirà solo per esserci seppellito!»
«Ehi, ma che cosa stai dicendo, ingegnere? Di colpo ti
sei travestito da sceriffo della Lega Padana?»
C’è una donna di colore che si fa coraggio e chiede:
«Scusate, anch’io vorrei concorrere per poterne avere
un lotto…»
«No, lei non può!» la blocca sicuro un signore dall’aria
aggressiva.
«Perché non posso?» reagisce quella. «Io sono cittadina
italiana come voi. È da vent’anni che sono qui: lavoro e
ho una casa in affitto coi miei figli.»
«E quindi» la appoggia l’uomo obeso col vocione «lei
può, eccome. Anzi, giacché ha i figli, ha più diritto di
quello che è scapolo e non abita neanche in questo
rione!»
Ora, intanto che si prepara la spartizione dei lotti,
spostiamoci con gran parte degli intervenuti in un altro
scenario, nel parco grande della città, esattamente al
parco Sempione, nello spazio detto del teatro di pietra.
Là, seduti sulle scalinate dell’anfiteatro finto antico, si
sono riuniti uomini e donne di diversa estrazione
sociale, c’è perfino un oriundo cinese con sua moglie
immigrata dalla Russia; come nel primitivo brolo dei
lombardi, ognuno interroga i convenuti sul da farsi.
Un signore dall’aria distinta ha preso la parola con tono
deciso per offrire una soluzione che gli sembra
realizzabile: «Siamo tutti responsabili di questo terribile
blocco dell’energia» comincia. «È vero, abbiamo
sprecato risorse immense in pochi anni, ma ci resta
ancora qualche miniera di carbone da sfruttare…
Potremmo usare il carbonfossile!»
«Perfetto! È un’idea geniale!» lo schernisce l’uomo dal
naso possente. «Anche se io col carbone c’avrei un
piccolo problema di famiglia… mio nonno e mio zio,
quarant’anni fa, erano giust’appunto minatori… a
Marcinelle, in Belgio, ci sono rimasti entrambi asfissiati
con altri duecento, seppelliti cento metri sottoterra! A
ogni modo, sono d’accordo. Riapriamo le cave dei
fossili! Ma… chi ci va in miniera? Lei, dottore? O
parenti suoi?»
«No, io veramente…» balbetta l’interpellato. «Non mi
sentirei adatto...»
«Appunto.» Entra a piedi giunti il fonditore. «E chi
sarebbero gli adatti? I poveri cristi, i disperati, a
cominciare dagli immigrati…? Specie quelli appena
salvati dal naufragio, quelli sono i veri adatti! In Russia
e in Cina poi sono ricchissimi di adatti disponibili, e
ultimamente ogni mese ne son morti a centinaia. Le
solite vittime collaterali del progresso.»
«Peccato che abbiano chiuso le miniere in Sardegna!»
lo carica un tale di Sassari. «In ’sto momento potremmo
ritrovare adatti fra di noi a valanga.»
«Ma come…? Siamo qui con i polmoni intasati di gas
di scarico» interviene una donna «e lei, signore, ci
propone di ammorbarci l’aria ancora di più col
carbone?»
C’È MIRACOLO E MIRACOLO
Il guru giunse sulla riva del fiume.
Il disgraziato da miracolare stava già in ginocchio
nel bagnasciuga.
Il santo intinse le mani nell’acqua
e le appoggiò sul capo del rintronato, quindi gli disse:
«Vai. Da ’sto momento non dirai più cazzate».
Dalle Cronache Indù del dharma
«Ma non le è bastato come lezione quello che è
successo?» grida un gruppo di ragazzi.
«Perdio! Non si può più andare avanti con lo stesso
programma di vita criminale e imbecille che abbiamo
condotto finora. La prima regola che dobbiamo
stamparci nel cranio dev’essere: non s’inquina più per
nessuna ragione! E guai a chi ci prova.»
«Beh, vi dirò» interviene un operaio, «il signore non ha
parlato del tutto a vanvera: in Germania, da dove sono
tornato proprio ieri, i mezzi elettrici vanno ancora
tutti… compresi quelli su ferrovia.»
«Loro non hanno subito il blackout!?» chiede stupito
qualcuno.
«No» è la risposta, «salvo naturalmente che per camion
e auto, quelli sono tutti bloccati come da noi.»
«Beh, ma loro hanno un gran numero d’impianti a
energia solare… senza parlare delle centrali nucleari»
dichiara in tono saccente un impiegato del fisco.
«Ma cosa dice? Neanche per idea!» ribadisce in tono
divertito l’operaio. «Quella delle centrali nucleari e
dell’energia solare ed eolica in Germania è una favola
messa in giro dai mass media. Solo il 20% dell’energia
viene prodotto con quegli impianti. Il resto è tutto
dovuto alla combustione del carbone.»
«Del carbone?» sussultano increduli gli intervenuti.
«In che percentuale?» fa uno.
«Del 70%.»
«Del 70%? Un Paese all’avanguardia nell’eolico e nel
nucleare come la Germania?»
«Macché all’avanguardia! Le centrali nucleari non si
costruiscono più da un pezzo! Prima di tutto perché non
si sa dove smaltire le scorie! E anche l’uranio comincia
a scarseggiare.»
«E quindi si torna al carbone!?» esclama deluso il
vecchio claudicante.
«Potete credermi» assicura l’operaio, «io ci ho lavorato
fin da ragazzo in quelle miniere, certo applicano un
metodo di scavo e di estrazione molto più sicuro ed
efficiente… ma per quanto riguarda l’inquinamento non
è che le nanopolveri da combustione che esalavano fino
a qualche anno fa siano sparite.»
«È vero» riprende coraggio il signore distinto, «pochi lo
sanno ma di fatto i tedeschi, specie adesso, respirano
smog quasi quanto noi…»
«Oh tu guarda! Allora tutta la campagna per il
risparmio energetico delle auto ecologiche che ci
venivano ad ammannire» sbotta una donna «era tutta
una bufala?!»
«No, no, non erano tutte frottole. I tedeschi si danno da
fare» assicura l’operaio, «c’è un grande fermento, ma
siamo solo all’inizio, poi che lo applichino sono pochi,
entusiasti, limitati, ma aumentano di numero.»
«Ma allora perché ci hanno raccontato tutte ‘ste
fandonie: che loro fanno progetti di case coibentate,
tutti i mezzi pubblici che non inquinano,
termovalorizzatori che funzionano tanto che ci puoi
respirare sopra…»
«Per sadismo! Forse per farci sentire sempre più un
popolo di inetti» ride il nasuto, «un popolo di zozzoni
disorganizzati, inefficienti, caciaroni, pigri e incapaci
che si fanno fottere e derubare da tutti i loro capoccia…
vivono immersi nelle lordure… con stipendi da fame…
ma basta che gli ammolli un festival di canzoni, un po’
di telenovele… e loro, ’sti italioti, sono felici come
coglioni in brodo.»
Risata e applausi. «Comunque» ribadisce l’operaio «la
Germania ha un indirizzo politico di uscita dal nucleare,
e città come Friburgo sono, ormai da tempo,
effettivamente ’fabbriche solari!’»
In quel momento passa uno stuolo di ragazzi e ragazze
in bicicletta che suonano i campanelli e gridano,
ridendo, degli slogan improvvisati: «Assessori del
Comune e Sindachessa! Vi ringraziamo per il dono che
ci fate! Era da anni che vi chiedevamo le piste ciclabili
e finalmente ce le avete regalate! Ma andiamo… avete
un po’ esagerato con tutte le strade che ci avete messo a
disposizione perché noi si possa pedalare felici come
gatti!»
«Accidenti, guardate quanti sono… quante biciclette!»
«Ma dove le tenevano? Son spuntati anche tricicli
giganti!!»
«Guarda, uno va a vela…!»
«Sbaglio o in mezzo ci stanno anche dei risciò da
mare?!»
«Ma da dove vengono? Hanno saccheggiato il Museo
delle Tradizioni Orientali?»
«Può darsi» risponde un altro, «ci sono anche una
diecina di risciò originali cinesi. Ma quelli che li tirano
sono tutti di razza bianca. Invece quelli che ci stanno
sopra seduti sono tutti orientali, immigrati abusivi da
Shanghai: ma tu guarda come va il mondo!»
«Un vigile presto!» sghignazza il pensionato. «Ci sono
dei clandestini in questa città!»
Si fa avanti un tipo truccato da clown che,
accompagnandosi con una chitarra e un tamburo, si
offre di raccontare favole reali e documentate: «Gente!
Gente! Se mi state ad ascoltare, vi racconterò un fatto
storico che si è verificato proprio in questa città. Vi
ricordate quando il Comune una ventina d’anni fa, nella
prima campagna contro lo smog, aveva pensato di
offrire gratis ai cittadini un migliaio di biciclette? Ma
perdio! Non potete averlo scordato! C’erano un sacco di
ciclo-depositi per la città, tutte biciclette gialle. Uno
bastava che desse il proprio documento, glielo
fotocopiavano e via col velocipede! Lo poteva restituire
anche il giorno dopo. Fu un successo straordinario: una
bicicletta qui, una bicicletta là, un’altra a me e una
anche a te! In pochi giorni, sono andate tutte a ruba!
Ecco, a ruba… è proprio il termine esatto, in quanto
nessuno è più tornato a restituirle».
«Tutte sparite?» gli fa il verso una donna clown.
«Sì, se le son tenute i cittadini! Ne ho vista qualcuna
girare perfino in Svizzera.»
«Ah, ci sono i ladri anche là, allora! Meno male…»
«Soprattutto là, con le banche che si ritrovano…!»
Ed entrambi esplodono in una risata del tutto
buffonesca.
Gli uomini e le donne raccolti nell’anfiteatro del parco
nel frattempo sono raddoppiati di numero.
E fra i nuovi arrivati crescono anche i venditori
ambulanti; quasi tutti si muovono su leggeri carretti
spesso a triciclo sul tipo degli antichi gelatai.
Qualcun altro spinge carretti con pentoloni scaldati a
legna. Offrono cibo d’ogni gusto e genere: minestre,
arrosti, pesci fritti ecc.
Per l’aria si spandono spesso odori appetitosi, che
stimolano l’acquolina.
Qualcuno commenta: «Ci voleva proprio un blackout da
fine del mondo come questo per provocare una
kermesse spontanea tanto insolita!»
«È davvero una cosa incredibile!» esclama un uomo dai
capelli rossi. «Vi giuro che erano anni che non mi
capitava di provare un’emozione tanto intensa. Sembra
di vivere fuori dal tempo con una folla di gente che
partecipa senza pensare solo a se stessa.»
«Certo stiamo godendo di un disastro salutare»
commenta un tale che tutti chiamano maestro «e vi dirò
che è la prima volta che non mi faccio alcun problema
per il futuro.»
Un suo vicino di gradino non è d’accordo: «Si vede che
lei, maestro, non ha difficoltà a procurarsi del cibo…
Personalmente non mangio dall’altro ieri!»
«Io non ho problemi» continua un altro «ma il mio
stomaco sì.»
Una donna offre loro un pezzo di pane con del
formaggio.
Un vu’ cumprà, nero come la pece, che vende una
specie di zuppa con mais e carne cotta in umido, si fa
avanti e, versando in una tazza di legno il suo
minestrone, dice all’affamato sul gradino: «Tenete! È
un mangiare da re! Se non avete niente da darmi, ve lo
regalo lo stesso. E ce n’è anche per voi» dice a dei
ragazzi, «accomodatevi!»
Qui le battute si susseguono una sull’altra.
«No, è impossibile!» sbotta il papillon. «Di colpo mi
sembra di trovarmi a recitare una rappresentazione
mistica dove tutti sono buoni, generosi… e dove lo
schiavo sfama il signore. Fra poco grideranno ciak si
gira!, e ci verranno a distribuire le sacchette del pranzo
per le comparse!»
«Ha ragione» gli fa da spalla un uomo dai capelli a
spazzola, «manca giusto qualcuno che tenga un discorso
sulla comunità dei beni e poi ci benedica… Chi fa
Gesù? Io faccio san Francesco!»
«Questa è un po’ pesante!» commenta la donna che ha
da poco offerto il pane col formaggio. «Appena
qualcuno fa un gesto generoso e dimostra un minimo di
solidarietà, subito, pur di cacciare il groppo della
commozione, ci si butta allo sfottò e siamo salvi dal
magone!»
«Scusate se interrompo la diatriba mistica, ma non
penso che si possa continuare in questo clima da
profughi… o se preferite da poveri naufraghi, sbattuti
soli su un’isola deserta da ormai più di un mese» dice il
professore.
«Deserta non direi!» osserva una signora. «Non ho mai
visto tanta gente in giro per la città!»
«Beh, per forza, si esce! Si rimane in casa a fare che? A
rassettare?!» la contesta una donna grassa. «I mestieri
chi ha voglia di farli? Mica aspettiamo visite!»
«Scusate, a proposito di casa e di fare i mestieri…»
interviene una signora col cappello a larga tesa. «Come
ve la cavate, voi, con l’acqua? Ai rubinetti delle case
non arriva più, a qualsiasi piano, anche a pianterreno.»
La donna grassa è d’accordo: «Già, non solo, ma i
boiler non funzionano, giacché non monta l’acqua...
non ci restano che le fontanelle. Purtroppo il Comune in
questi ultimi anni ne ha smontate a centinaia, perché la
manutenzione costava… per fortuna giorni fa i
pompieri si sono autonomamente dati da fare e hanno
ripristinato un sacco di fontane e aperto le bocchette
d’acqua per l’emergenza incendi a servizio del
pubblico».
«Sì, ma a noi» osserva un taxista disoccupato per
mancanza di carburante «tocca sempre di far la fila ogni
giorno e andare a cavarci l’acqua per nostro conto ai
fontanili con taniche, secchi e via bella! Mi sembra di
esser tornato al tempo della guerra!»
«Non solo» dice l’uomo col naso possente, «ma c’è già
chi fa incetta d’acqua e poi la rivende.»
IL CANTICO DEI MINORI
Tu, Segnore, ce hai donato tresòri, tanti,
eppur noi ce mostriamo òmeni e femmene envàsi
de la melanconia.
Imperché non savémo godere de le semplece cose:
por la prima dell’acqua, ch’ell’è fresca e chiara,
che scorre frezzolànte da la fonte inverso ogne uno che
tegna sete o voglia renfrescarse el corpo tutto;
’sta criatùra lezzéra e transparente, ell’è sine prezzo
e nisciùno dinaro ti vegnerà dimandàto pe’ gostàrne
quanno e quanto te pare!
Francesco d’Assisi
«Sapete cosa vi dico?» interviene un signore
soprannominato «il cinico». «Dobbiamo aspettarcelo: il
mercato dell’acqua si trasformerà in una fonte di
guadagno incredibile… per qualcuno! A partire dalle
multinazionali!»
«Questo si chiama propagare allarmismi gratuiti!»
strilla la signora dalla larga tesa. «Per di più è un atto
criminale! Lei è proprio un cinico!»
«Eh no, un momento, io non faccio dell’allarmismo»
ribatte seccato l’uomo. «L’atto criminale semmai è
quello delle imprese di energia elettrica che stanno
rubandosi addirittura i fiumi.»
«Rubano i fiumi? Questa è grossa!» fa la signora col
cappello a larga tesa. «Quali fiumi?»
Il cinico estrae da una cartella un foglio di carta e legge:
«È un vecchio giornale. Il furto è cominciato alla fine
del 2007 col Trebbia fra Lombardia ed Emilia, l’Aveto,
il Sesia, il Chiussuma, la Nera in Umbria, la Lima in
Toscana, e così via per tutta la penisola».
«E come li ruberebbero ’sti fiumi?»
«Li sequestrano!» declama l’uomo dal naso possente.
«Li canalizzano assorbendoli in gallerie che portano il
flusso direttamente nell’impianto idroelettrico e, hoplà!,
il fiume non c’è più, insieme ai suoi affluenti… sparito!
Si tratta di una rapina da 70 a 700 litri d’acqua al
secondo soltanto nella Val Nure, fate un po’ il conto
quant’è il furto con tutti gli altri corsi d’acqua in
programma di esproprio! Si tratta di milioni di litri!»
«Sono sconvolta!» esclama la donna grassa.
«Ma non sarà la sola rapina» aggiunge il cinico.
«Ecco perché non sono d’accordo col professore e il
suo ottimismo!» sottolinea deciso il nasone. «Questo
blackout non cancellerà mai l’avidità degli affaristi. È
un gaudio vuoto di senso gongolare per il crollo delle
banche e la scomparsa delle banconote. I furbi e gli
avidi troveranno ben presto nuovi mezzi di accumulo
per rimpiazzare la moneta.»
«E quali sarebbero?»
«Beh, è semplice. Al posto della carta, si ritirerà fuori il
metallo, a cominciare dall’oro.»
«Come dire che torneremo indietro di secoli? Ai greci,
ai romani e ai banchieri strozzini delle signorie?!»
«Siamo già tornati all’antico» stabilisce l’ingegner
ridente, «infatti i grandi affari oggi si fanno di nuovo
solo con le monete d’oro, d’argento e di rame. Oplà!
Testa o croce? Di testa il capoccia, di croce Dio in
persona.»
Una madre con carrozzina e bimbo interviene: «A
proposito di Dio e la croce, sono passata dalla
parrocchia qui del rione, un chiesone monumentale…
normalmente è vuota, giusto qualche turista sperduto di
passaggio… oggi era stracolma di gente».
«Saranno stati fedeli in preghiera» insinua il cinico, «il
terrore dell’apocalisse riaccende la fede!»
«Errore!» testimonia un tale dal cranio pelato. «C’ero
anch’io. Nessuno che pregasse o cantasse litanie!
Chiacchieravano fra di loro, senza mai accennare a Dio
né ai santi. L’argomento era lo stesso di cui trattiamo
noi: che fare? Come ce la caviamo? È passato un prete,
sembrava l’unico fuori chiave… un estraneo.»
«Certo» la madre riprende la parola, «io non ho mai
avuto tanto tempo libero e voglia di parlare, discutere
con la gente… Sapete cosa mi fa impressione? Il fatto
che non si vedano in giro né poliziotti né vigili.»
E un altro di rimando: «Beh, con tutte le macchine
ferme, inutilizzabili… a chi fanno la multa?! A se
stessi?»
«A parte gli scherzi, ma questo fatto della polizia è
vero, le guardie sono quasi del tutto sparite e anche le
caserme e le prefetture sono vuote.»
«Saranno intorno a cercare da mangiare. Le loro
dispense sono di certo vuote come le nostre e anche
peggio!» assicura un vecchio che s’appoggia al bastone.
«Circa un mese fa, qualche giorno prima del blackout
ho letto un articolo dove si diceva che la questura già
allora aveva un debito con i fornitori e i supermercati di
migliaia di euro… il debito ora è estinto, ma è estinta
anche la loro possibilità di ottenere credito!»
«A proposito di dispense vuote» interviene sarcastico il
quasi obeso, «un mio amico che lavora a San Vittore
m’ha raccontato che nella settimana dopo il blocco
totale dell’energia hanno avuto una riunione
straordinaria coi carcerati. La direzione aveva scorte di
cibo solo per cinque giorni. Il direttore s’è rivolto ai
rappresentanti dei detenuti e ha proposto di lasciarli tutti
in libertà, ognuno con una certa razione di cibo:
scatolette, insaccati in vuoto spinto, pasta, riso ecc. ’Ma
da chi viene l’ordine di liberarvi di noi?’ hanno chiesto i
rappresentanti. ’Da nessuno! Abbiamo cercato al
ministero ma senza alcun risultato. Non riusciamo a
comunicare con un responsabile. Tutti i canali sono
bloccati, muti.’ È incredibile… I detenuti sono usciti
sgomenti. Non erano preparati a questa liberazione
d’acchito. Quando sono tornati a casa, le mogli, le
madri e i figli quasi li hanno accolti come degli
estranei… Dopo qualche giorno, disperati, i dimessi
sono tornati in carcere. ’Ma che fate qui?’ ha urlato il
direttore. ’Siete liberi!’ E loro: ’Liberi un corno! Ci
avete condannati e rispettate la legge, perdio! Di qui
non ci muoviamo. Abbiamo diritto all’alloggio, al cibo
e a due ore d’aria tutti i giorni, salvo quando piove.
Arrangiatevi!’»
In pochi sono riusciti a trattenersi dal ridere.
Quasi all’unisono, col batter di mani occupano il centro
della cavea dei ragazzi addobbati da pagliacci, con il
viso dipinto, i soliti nasi rossi, suonano strumenti e
percuotono tamburi. Dopo una gioiosa esibizione di
salti e capriole si fa avanti un giovanotto che porta sulle
spalle una grossa valigia.
«Anch’io son qui per far spettacolo, se mi fate posto
vorrei proporvi un dialogo davvero spassoso. Il mio
mestiere è quello del ladro di telefonate. Nella mia casa,
poco lontano da qui, ho un impianto di registrazione da
far invidia alla cia. Speriamo che le batterie di questo
registratore tengano… Vi va di ascoltare? Alla fine
passerò col piattino, si accettano solo panini al
prosciutto!»
In coro tutti lo incitano:
«Vai! Vai! E facci divertire!»
IL GUARDONE FELICE
Non c’è maggior piacere che assistere nascosto alla
copula di Mida con la sua concubina.
Non c’è maggior spasso che ascoltare dalla serratura i
gemiti del re nel momento in cui scopre d’esser fallito.
Non avrai gaudio maggiore di quello che proverai
vedendolo come per caso inciampare e cadere
nello sguazzo di una latrina.
Marchese de Sade
Zitti! Il ladro di telefonate prende la parola: «Quella che
ascolterete, la riconoscerete subito, è la voce di
Berlusconi, il nome della ragazza non si sa».
«Oddio!» esclama un’altra madre che tiene sulle
ginocchia il figlioletto. «Sono tornate le intercettazioni
abusive!?! Ma di quand’è?»
«Roba fresca di giornata! L’ho registrata che sarà
neanche un’ora. Solo l’altro ieri l’avrei venduta ai soliti
rotocalchi specializzati e alla tv per un sacco di
quattrini, adesso la voglio regalare a chi mi pare. Per
favore, silenzio, vi dico due parole di introduzione, e
poi si parte con il dialogo dal vivo. Dunque, Berlusconi
si trova tutto solo nella sua super villa in Sardegna. La
telefonata è diretta a una sua fiamma che lui chiama
teneramente mio ’angelo’. Con egual tenerezza lei si
rivolge a lui chiamandolo ’piccolo’…»
«…Pronto! Pronto, angelo! Sono bloccato.»
«Oh piccolo, che disdetta! Anch’io sono bloccata…
sono arrivata all’aeroporto nella zona privata per venire
da te e il pilota mi ha detto di essere rimasto senza
carburante.»
«Pronto!? Pronto angelo! Non ti sento più, mi si sta
scaricando il cellulare.»
«Pronto? Pronto! Piccolo, ti sento appena... Anche la
mia batteria si sta esaurendo, ho cercato di metterlo in
carica ma non c’è più energia, qui è tutto spento.»
«Anche da me è spento. Anch’io sono spento, angelo,
senza di te… Avevo sognato per tutta la settimana di
poter restare solo con te, fra le tue braccia, in questa
villa da sogno. Apposta ho mandato via tutti quanti, i
bodyguard, la servitù, l’autista, la governante e perfino
il portiere. Che meraviglia sarebbe stato!... tuffarci nudi
nella piscina calda con gli spruzzi dappertutto… E di
colpo, angelo, è come se mi fosse caduto il mondo sulla
testa. Son qui al buio. Non funziona più niente!
Televisione… radio… nemmeno i rubinetti funzionano
e la piscina è vuota d’acqua, completamente asciutta!
Stavo per tuffarmi dal trampolino, quello alto… a dieci
metri, per fortuna m’è venuto un colpo di freddo per via
di uno sguazzo di vento… ed è lì che mi sono accorto
che nella vasca non c’erano onde, sul fondo c’era solo
cemento.»
«Oh piccolo! Mi vengono i brividi… ti saresti
schiacciato, caro, sempre più piccolo! Ma scusami, non
hai un motore d’emergenza che ti pompi l’acqua e che ti
fabbrichi la corrente?!»
«Sì, angelo, che ce l’ho!! Ma non so come funziona!
T’ho detto che ho mandato via tutti… C’ho anche una
gran riserva di gasolio, ho fatto caricare la cisterna
proprio la settimana scorsa…! Ma non ne posso far
niente!»
«Oh… quanto mi dispiace, Silviolino… mi viene da
piangere… Quando ti potrò vedere? Ci fosse almeno
una nave la prenderei subito… ma son tutte bloccate nei
porti per via del blackout… Ho telefonato perfino a un
amico che ha una barca a vela, piccolo mio, ma senza
una scorta di benzina non si fida a uscire dal porto…»
«Chi è questo tuo amico con la vela senza benzina?»
«Perché lo vuoi sapere?»
«Così… per pura curiosità.»
«Non mi farai la solita scenata di gelosia, spero. Sono
qui disperata…»
«Parla: chi è ’sto stronzo della vela? Angelo, non fare la
furba!»
«Ma che furba! Non lo conosci, tanto. È il Battipaglia!»
«Battipaglia? Padre o figlio?!»
«Tutti e due!»
«Tutti e due cosa?!»
«Tutti e due hanno una barca a vela. Tanto Jimmy che
Gilimberto!»
«Ma con chi vai a letto?»
«Ma piccolo, il figlio, Jimmy, è gay e suo padre
Gilimberto ha settant’anni.»
«Ma anch’io ho settant’anni! E con questo?! Pronto?
Pronto…! ’Sta stronza ha riattaccato! Puttana! Ah no, è
il mio telefono che s’è esaurito.»
«E qui parte subito un’altra telefonata.»
«Pronto? Angelo, sono ancora io, Silvio, mi si era
scaricata la batteria ma ne ho trovata un’altra nuova.»
«Sai che ti dico, Silvietto? Ficcatela in quel posto la
batteria nuova! Non voglio più parlare con te! Ho
sentito, sai, che mi hai detto stronza, e anche puttana!»
«Ma come hai fatto, angelo, a sentire, col telefono che
si è spento?!»
«Allora è vero! Lo ammetti!! Era spento, ma io l’ho
sentito lo stesso che mi hai insultata, l’ho immaginato
perché tu sei uno stronzo villano! E anche nano!»
«Scusami, angelo… è vero, mi sono lasciato un po’
andare ma son qui disperato. C’è da non crederci, sono
il settimo uomo più ricco e potente del mondo e mi
trovo su ’st’isola di merda come un naufrago qualsiasi,
costretto a starmene con le candele accese che fanno un
puzzo insopportabile.»
«Ma, scusa se mi permetto, Silvietto, tu non hai mai
previsto ’sto disastro? Con tutti i canali che, mi dicevi,
hai sottomano, ti sei trovato a cascare giù dal pero come
uno qualsiasi?!»
«Sì, qualcuno dei Servizi m’aveva dato qualche dritta…
Addirittura mi hanno fatto ascoltare un dialogo fra un
petroliere e un dirigente dell’eni.»
«Allora è vero che indagavano per tuo conto oltre che
sui petrolieri anche sui magistrati di sinistra e i politici
dell’opposizione!?»
«Ma cosa dici!?»
«Scusa, me l’hai detto tu adesso…»
«Cosa ti ho detto? Io non ti ho detto niente! E poi…
non si parla di certe faccende al telefono.»
«Ma, caro, me ne hai parlato perfino giovedì scorso…»
«Per favore, te l’ho già detto che non si riferiscono
discorsi fatti al telefono.»
«Amore, piccolo mio, eravamo nel letto del tuo pied-àterre… ’Io li tengo tutti in pugno, quei bastardi!’ così
hai detto, mentre mi strofinavi sulle natiche la tua
capigliatura appena trapiantata.»
«Angelo, vuoi piantarla? Ho solo questa batteria… e io
non vorrei parlare delle tue natiche, che pure sono
splendide, ma dei nostri problemi…»
«Oh sì, scusami, piccolo caro, metto via subito le
natiche splendide…. Che cosa stavi dicendo?»
«Che ho chiesto informazione anche ai miei amici
petrolieri!»
«A chi, a Bush?»
«Sì, anche a lui: ’Ascolta, Dàbliu’ gli ho detto…»
«Dàbliu?»
«Sì! ’Dàbliu… – lo chiamo confidenzialmente così… –
Cosa mi dici di questa voce del petrolio che sta
finendo?’ E lui ’Sta finendo a chi? A te, italian boy? Ne
hai bisogno di qualche cisterna? Se vuoi te la mando!’
’No, Dàbliu, sto parlando in generale.’ ’Che
generale?…’ fa lui. ’Ce n’erano qui due o tre ma sono
usciti! Sono incazzati per via di come sta andando in
Iraq. Vogliono altri centomila uomini. Piuttosto
italian… cosa t’è saltato in testa, di portarti via i tuoi
soldati, l’intera guarnigione italiana, dal fronte?’ ’Ma
che c’entro io? Io non sono più al governo! Adesso c’è
Prodi! Anzi c’era! Perché grazie a una spallata
l’abbiamo buttato giù.’ ’Ah, sì…? E quando è successo?
Ho parlato giusto l’altro ieri con quel Napolitano vostro
presidente... mi ha accennato alla spazzatura che gli
cresce intorno dappertutto ma non di quella del
governo...’»
«Sul serio Bush ti ha risposto così?»
«Te lo giuro e ti dirò che certe volte non capisco se quel
Dàbliu faccia il fesso o lo sia davvero. Scusa cara, ma
sta succedendo qualcosa di strano… Sento abbaiare i
cani come fossero impazziti…»
«Ma dove si trovano?»
«Sono qui, in fondo al parco, nel recinto laterale,
evidentemente non c’è nessuno che dia loro da
mangiare. Il guardiano avrebbe dovuto essere già
tornato… Aspetta che do un’occhiata fuori nello
spiazzo centrale se c’è la sua macchina…»
«No, non mi lasciare, piccolo.»
«Non ti lascio, angelo, do solo un’occhiata fuori!
Macché, al cancello non c’è nessuno. D’altronde può
darsi anche che sia arrivato ma non riesce a entrare…
senza la corrente elettrica restano bloccati anche i
cancelli.»
«Oh tesoro, mio caro Silvietto, immaginarti lì, tutto
solo… e io che mi ero vestita proprio come piace a te,
quasi spogliata, con l’abito tutto aperto sulla schiena.
(Rivolgendosi a un altro.) Scusi? Cosa dice? C’è
un’interferenza…»
«Un’interferenza con chi?»
«No, amore, è il comandante dell’aereo che mi sta
avvertendo d’esser riuscito a fare il pieno.»
«Il pieno di chi? Del mio aereo? Quello con cui dovevi
partire? È stupendo!»
«No, caro, il pieno è per l’aereo del Jimmy Battipaglia.»
«Ma non aveva una barca?»
«Sì, ma ha anche un aereo col quale vanno a Cannes.
Sei contento?»
«Contento un corno! Dovevi venire qui da me e vai a
Cannes con quel Battipaglia!»
«Tesoro, avresti preferito sapermi sola sulla pista coi
tacchi alti senza neanche un taxi?! E poi cos’hai contro
Cannes?! Sei il solito xenofobo, meschino ed
egocentrico!»
«Pronto? Pronto? Stavolta ha attaccato davvero, ’sta
bastarda!»
«A ’sto punto» avverte il ladro di telefonate «c’è una
pausa e poi riprende il dialogo sempre per telefono con
il prefetto di Sassari.»
«Presidente, sono il prefetto, mi dispiace ma ho ricevuto
il suo sos… non posso venirle in aiuto… non m’è
rimasto un solo mezzo per raggiungerla.»
«Ho capito, è proprio il giorno della scalogna nera…»
«Cavaliere, però di certo le posso venire in soccorso
spiegandole come riattivare il suo impianto, ero
presente al collaudo.»
«Oh bene, allora… mi dica.»
«Prima di tutto bisogna scendere al piano F della
villa… Lei dove si trova?»
«Al primo piano, che è appunto il piano F.»
«Bene, nel corridoio, prima del montacarichi, c’è una
porta attraversata da una fascia rossa.»
«Sì, eccola, la vedo…»
«Bravo, la spinga, dentro c’è un quadrante a muro,
faccia scorrere il vetro. Fatto?»
«Fatto… E poi?»
«Il pulsante nel centro ha una scritta sopra che dice
Avviamento turbina, lo prema.»
«Fatto.»
«Che succede, presidente?»
«Si è acceso un lampeggiante… Funziona!»
«Sente il rumore di un motore che pulsa?»
«Sì, lo sento, è il generatore!»
«Perfetto! Adesso, presidente, prema il primo pulsante,
quello dove c’è scritto General light.»
«È lui, fatto! Si è acceso, si sono accese tutte le luci.
Attenda un attimo, signor prefetto, esco da questa
camera, vado in salone a dare un’occhiata… È tutto
acceso anche qui! E pure i fari del parco.»
BUUU!! CCCRRR!! PUM! PAM!
(Si senton botti, ringhiare e abbaiare, lo schianto di una
porta sbattuta.)
«Porca di una miseria!»
«Che succede, presidente?»
«I cani!! Per poco non mi sbranano! Sono tutti liberi e
scatenati, qua fuori!»
«Ma non sono i suoi, quei cani, presidente?»
«Sì, sono miei.»
«E non la riconoscono?»
«Mi riconoscono eccome! Forse è proprio per questo
che mi aggrediscono!»
«Ma presidente, è sicuro che siano cani? Speriamo non
siano infetti di rabbia!»
«E pensare che li ho scelti io, uno per uno. Alcuni di
loro li ho cavati fuori dal canile municipale: ho dato
loro asilo e una dignità, una dignità da cani, d’accordo,
ma sempre dignità! Guardi là quel mezzo boxer...
incrociato con un lupo, lo vede?»
«Scusi presidente, ma come li posso vedere,
comunicando per telefono? Sto a quindici chilometri da
lei!»
«Eh va beh, si aiuti con l’immaginazione! Ascolti
quella belva che abbaia e ringhia di più: quello è il
fascistino.»
«Fascistino? Nel senso del fascio?»
«Sì, l’ho chiamato così perché assomiglia proprio al
mio alleato di destra estrema.»
«Ho capito a chi allude, Cavaliere.»
«Beh, soltanto qualche settimana fa era il più docile e
affettuoso. Ora mi si rivolta contro. Mi vuol azzannare.
Come Pier…»
«Chi? Pierferdinando?»
«Sì, il democristo. Quello mi ha pisciato addirittura
sulle scarpe.»
«Evidentemente hanno subodorato che in seguito a
questo blackout lei se ne vuol disfare, per questo la
aggrediscono…»
«Sì, forse ce l’hanno a morte con me per quello. D’altra
parte, caro prefetto, che cosa ci posso fare io? Non
posso più mantenermeli, come si dice: ciccia non ce n’è
più per nessuno! Non mi resta altro che chiuder tutta la
baracca e far fagotto. Appena tornano i miei
guardaspalla metto in moto il mio barcone da crociera,
doppio motore col pieno e riserva, e faccio rotta per i
Caraibi… Spero di riuscire a raccattare un paio di
sguincine… a proposito, lei per caso, prefetto, non ha
qualche giovane poliziotta da prestarmi?»
«Ma cosa dice, Cavaliere…?»
«Come non detto, me la troverò là una bella compagnia,
costano pure meno, tutte infiorate che menano le
chiappe!»
«Se fossi in lei, presidente, questa villa stupenda io non
la lascerei per andare chissà dove. Lei lì, in quel
paradiso, ha tutte le sue comodità in perfetto
funzionamento, pensi invece al resto della Sardegna:
un’intera isola bloccata e al buio.»
«Come al buio? Con tutte quelle torri a vento... come si
chiamano? Eoliche! Chissà quanta energia hanno di cui
servirsi!»
«Purtroppo sono state bloccate quelle torri, gli
ambientalisti non le sopportavano… ’Deturpavano il
paesaggio’ e anche il Governo, lei lo sa presidente, ha
fatto di tutto per evitare che nascessero come funghi!»
«Perché dovrei saperlo, io? Non è stato il mio Governo,
ma quello di Prodi semmai a bloccarle.»
«Mah… eh… non si arrabbi, presidente, ho assistito
personalmente al Convegno Energetico, quattro anni fa,
dove lei diceva: ’Bisogna assolutamente bloccare quei
mostri a elica che distruggono il paesaggio!’»
«Io ho detto così?»
«Sì, dottore.»
«Smentisco! Lei ha frainteso!»
«Senz’altro, presidente, io fraintendo spesso. A ogni
modo non si preoccupi, tutto si aggiusterà.»
«Come si aggiusterà? Quando si aggiusta? Questa è una
catastrofe! Gliel’ho detto, non ha ancora capito? Sa
cosa vuol dire per me un blackout del genere? Vuol dire
tre emittenti televisive morte, senza vita, una perdita
secca di miliardi di euro, una cifra incalcolabile… tutte
le commesse pubblicitarie che vanno in fumo… Ma non
è finita qui: io sono proprietario non so neanche di
quante sale cinematografiche, fino a cinque, dieci per
ogni città. E adesso son tutte chiuse. Non posso neanche
proiettarci giochi d’ombra con le dita! E ho sborsato
cifre incredibili per le pellicole! Chi me le rimborsa
adesso? Posseggo un centinaio di centri di
videonoleggio, vhs e dvd, tipo Blockbuster… crollati!
Vuoti! E ho rischiato la galera truccando gli ordini
d’acquisto dei film dall’America. Mi son fatto beccare
con le mani nel sacco, che se non fossi riuscito a far
passare la legge contro il falso in bilancio, adesso sarei
fottuto come Previti. E sa un’altra cosa da pazzi? Fra i
dvd ce ne sono cinque serie che trattano tutte di
un’immancabile catastrofe ambientale, mi ricordo anche
i titoli: ’L’ultima spiaggia’, ’Il giudizio universale’, ’Si
chiude!’, ’Ce l’hai in quel posto, cretino!’, ’L’ultimo
barile’ e ’La pompa è secca’, in queste ultime due si
prevede l’imminente blackout del petrolio… e io di quei
dvd non ne ho mai visto manco uno! Tutte le mie
imprese di costruzione sono in standby, i cantieri con le
gru ferme come spettri! Ogni minuto che passa le mie
azioni franano in caduta libera, il denaro ha perso ogni
potere d’acquisto… Mi avessero almeno avvertito
prima, avrei fatto incetta d’oro! E oggi, come Mida, me
ne starei spaparanzato fra tonnellate di monete con
fanciulle felici! E invece mi ritrovo come Paperone che
vede volar via le sue banconote trasportate da un
uragano.»
«Ma le rimangono sempre gli stabili, i palazzi, quelli
non crollano…»
«Già, stabili e palazzi vuoti. Sa che valore hanno? Se
non lo fai rendere un palazzo, diventa la tua tomba!
Tanto per tirarmi su un po’ di tono, l’altro giorno ho
dato appuntamento a una ragazza fantastica alta uno e
ottanta senza tacchi, a cui do la caccia da un anno;
riesco a convincerla a venire da me nell’isola, l’aspetto
trepidando per tutta la giornata… l’ho mandata a
prendere con un jet da sultano e, porca d’una miseria!,
non t’arriva il blackout che me la inchioda ferma
all’aeroporto di Linate e mi fa andare in bianco come un
merluzzo secco...?! Chi abbraccio io stanotte…?
(Singhiozzando) Il cuscino? O un cane lupo che mi
sbrana?»
«Sì, certo, a guardar bene, presidente, lei è proprio
messo male, perdio!, c’è da schiattare! Il giorno prima è
il caput mundi, tutti tremano davanti a lei, le offrono
affari, sovvenzioni… le danno in cadeau anche la
moglie! Le ragazze fanno la fila per farsi… come
dire… impaciucchiare nel suo letto. Ma ecco che
all’improvviso, ’Se spengono li lumi’ come dice il
poeta, ’ed è uno squaracchio de chiappe! Ah! Ah! Tutta
la merda de ’sto monno se fa sotto pe’ farcese da
letto!... e bonanotte!’»
«Ehi? Dico… Ci vada piano! Un po’ di rispetto!»
«Scusi, presidente, mi è scoppiato uno sghignazzo da
farmecela sotto!»
«Ho detto rispetto, perdio!»
«Ma che rispetto? Rispetto de che? Chi siete ormai?
Come diceva Petrolini: ’Non c’è cosa che ti faccia
meglio scompiscià de uno signore in doppio petto e
cravatta che se fa’ fotte, ridotto al par d’un figlio de
mignotta… Le chiappe all’aria e la capa rotta!’»
(Risate e applausi.)
(Si ode una sequenza di botti.) PAM! PAM!
«Ma che succede, presidente? Chi spara?»
PAM! PAM!
«Io sparo! Con la mia carabina da caccia al rinoceronte!
E ringrazi il cielo di non essere qui vicino a me perché
sparerei in testa pure a lei!»
«Si calmi, per favore, presidente!»
(Si ode un’altra sequenza di botti.) PAM! PAM!
«Ma a chi sta sparando?»
«Ai cani! Come faccio a uscire se non li faccio fuori?
Non posso mica rimanere qui prigioniero vita natural
durante! Io li ammazzo tutti! A cominciare dal
Gianfranco dell’Alleanza! Eccolo!»
PAM PAM!
«L’ho beccato!»
PAM!
«Ho beccato anche Pierferdinando! Ah! Ah! Guarda
come si sbatte!?»
PAM!
«Oh pardon, bondino, questa m’è scappata. Non guaire
così… ti fa male?»
PAM! PAM!
«Ecco! Così non soffri più!»
Fine della trasmissione.
«Ottimo spettacolo!»
«Proprio spassoso!»
Tutti si complimentano con il ladro di dialoghi
telefonici.
«Se le capita un’altra registrazione del genere, ci
piacerebbe ascoltarla.»
«Noi siamo sempre qui, anzi forse dovremo traslocare
all’Arena, quella laggiù, in fondo al viale… stiamo
crescendo di numero a vista d’occhio.»
«D’accordo. Purtroppo devo lasciarvi» dice il ladro,
«vado al mercato infinito del Giambellino.»
«Mercato infinito?» chiede la donna dalla larga tesa.
«Sì, possibile che non lo conosciate?»
«Lo conosco sì» risponde il capo dei pagliacci, «io ci
sono stato, è una cosa veramente enorme, da favola. Ci
sono più bancarelle che compratori, si scambiano merce
uno con l’altro. Voci, imbonitori, cantate» e via che
improvvisa un vero e proprio monologo sugli scambi
nel mercato. «’Gente! È un affare! Offro questo paio di
occhiali da presbite contro un trapano a mano e una
forbice.’ ’Per questo servizio di tazze da tè voglio un
autentico narguilé più tre caffè!’ ’Quel servizio di
stoviglie lo scambio con tre bottiglie di vino vermiglio e
un coniglio!’ ’Ma scherziamo?! Sono d’argento del
Brabante: forchette, cucchiai e coltelli ormai son come
gioielli, moneta sonante! Puoi comprarci anche un
diamante e l’amante di un tuo parente! Il mio dentista
per tre forchette e un coltello, tanto per sfizio, mi ha
cavato tre denti sani e quello del giudizio! Ahia! Ahia!
Ahia! Son qui che schiatto! A proposito, chi mi vende
dei preservativi? Ma nuovi, li vorrei!’ ’Eccoli’ dice una
ragazza. ’Hai già con chi usarli per far l’amore? Stavo
scherzando, naturalmente.’ ’Peccato!’ le risponde il
compratore.»
Il capo pagliaccio continua la sua tirata a rime baciate e
alternate, e anche un po’ palpate.
Ma andiamoci di persona ad assistere a ’sto mercato
infinito. Eccoci, siamo qua.
Fra la folla, da un carro trainato da cavalli si sporge un
imbonitore: «Zucchine! Carote! Patate! Verdure varie!
Accettiamo qualsiasi scambio!»
Gli si fanno intorno un sacco di clienti.
Uno grida: «Ho un dizionario di latino, cosa mi dai in
cambio?»
«Io! Io! Te lo prendo!» risponde un ragazzo di colore.
«Ti offro un sacchetto di medicine ancora valide per la
tachicardia, il mal di fegato, reni, milza e altre
frattaglie.»
«Hai anche creme per eczemi e strappi muscolari?»
chiede una ragazza dalle stupende natiche.
«Non dirmi che ti sei strappata proprio lì, nei glutei!»
chiede preoccupato il moro.
«Sì, danzando.»
«Aspetta che guardo… No, qui c’ho solo roba per
lombalgia e acne giovanile, però un attimo che chiedo a
un mio socio che di sicuro ti può offrire anche delle
supposte davvero speciali per la glutalgia acuta.»
Lì vicino c’è la clinica rionale, un ospedale che
funziona a singhiozzo. Dei pazienti all’ingresso fanno
largo per lasciar passare un tale che spinge avanti a sé
una splendida vitella.
«Una vitella?!» esclama una signora. «Che ci fa quella
bestia all’ospedale? Così giovane e fresca non può aver
malanni di sorta…!»
Seguiamola.
Il mandriano entra nell’atrio della clinica con la sua
bestia al fianco. Chiede del primario. Il professore lo
raggiunge quasi all’istante e il mandriano gli fa:
«Buongiorno, dottore. Si ricorda di me? Mi ha visitato
ieri e mi ha avvertito che devo cercare di farmi operare
al più presto per via del coso lì… del pancreas… Io
l’oro che mi ha domandato l’amministratore della
clinica non ce l’ho, le posso offrire questa vitella…»
«Bella ’sta vitella. Beh, mi prendo io la responsabilità.
La faremo a pezzi, con garbo, e la distribuiremo fra me
e i vari collaboratori. Si prepari, fra poco interverrò sul
suo pancreas.» Così dicendo il professore fa il gesto a
un infermiere che giunge rapido con una barella mobile.
«Avanti un altro. Ah, lei signora è la moglie del
pescatore… Cosa offriva per il suo intervento? Un
pesce spada? Di quanti chili? Mezzo quintale!? Beh, è
un po’ troppo ingombrante ma cercheremo di sistemare
il pesce e anche lei, signora. Cosa dice? Chi si lamenta?
Non è d’accordo l’anestesista!? Non le piace il pesce?
Va bene, riceverà un pezzo in più di vitella. Neanche la
vitella! È vegetariano! D’accordo, è licenziato!»
«Bella storia! Presentatecene un’altra.»
Beh, vi facciamo visitare la zona degli inventori!
«Degli inventori?» chiedono in coro.
Sì. Il reparto è coperto da tende, e qua e là ci sono vari
personaggi che, montando su un tavolo o un trabiccolo,
presentano le proprie creazioni. Uno grida: «Amici
miei! Questa è l’epoca dei bonus!» Mostra un gran
mazzo di tessere e schede magnetiche. «Con queste
carte che hanno sostituito la moneta si fa tutto! Ma il
fatto è che, essendo differenziati per tipologia di merce,
ognuno dovrebbe andarsene intorno con una borsa
ingombrante come quella dei rappresentanti di
imbottiture per divani o dentiere. Invece, ecco
l’invenzione: io vi propongo una busta con manico,
leggera ed elegante, a soffietto!»
Così dicendo spalanca il contenitore e mostra una
sequenza di reparti diversi nei quali sono infilate tessere
e schede.
«Ma, amici miei, la grande variante è determinata dal
suono e da questa piccola tastiera che appare all’esterno
della borsa. Voi scrivete cibarie e subito esce una nota
’Do! Oh! Ah!’ (canta) è la prima nota, corrisponde alla
prima tasca. Poi, merci voluttuarie, (mima di scrivere)
’Re…! Do! Re! Mi!...’ tutte le note in varianti di diesis
minore e maggiore. Do! Re! Mi! Fa! Sol! La! Si! Do!
Si! La!»
Riceve un applauso dalla gente che sta intorno.
Successo e vendita, naturalmente per ticket.
Il venditore riprende: «Ma voi mi direte: ’E se arriva un
ladro e ti scippa la cartella?’ Non può giacché rimane
immediatamente bloccato dall’allarme, sentite!»
Cambia di mano, solleva la borsa e TRACK!, esce un
suono acuto e una voce registrata che grida: ’Al ladro!
Al ladro! Sono una cartella scippata! Arrestate il
malandrino!’»
«E come scatta?» chiede incantata la donna fascinosa.
«Semplice. Appena ve la tolgono di mano, mancando il
contatto, scattano l’allarme e il grido perché ogni
manico della borsa ha un calco ricavato da quello del
palmo della vostra mano. Come togli la mano scatta
l’avvisata. E chi vi procura questo calco? Io
personalmente: qui con me ho tutto il materiale per
eseguirlo in pochi minuti. Un fotocalco personalizzato.
Se vogliono il bottino devono rapire anche voi e tenervi
sempre appresso, mantenervi e magari, se siete una
bella signora, amarvi e sposarvi anche! Auguri!»
DETTI TORTI
El mundo es lindo porque està avariado.
Dalla Celestina di Fernando de Rojas
Dopo alcuni giorni, incollati sui muri della città,
appaiono manifesti stampati con torchio a mano. Li
hanno affissi piccole fabbriche. Operai, meccanici,
tessitori, fabbricanti di mobili associati offrono lavoro.
Si cerca gente del mestiere, ma anche apprendisti.
La maggior parte degli impianti produttivi sta nella
periferia e in provincia. Si offrono cibo e alloggio in
cambio di lavoro, anche per la famiglia appresso; per il
trasporto sono utilizzabili camion e pullman che vanno
a olio di colza e alcol da barbabietole da zucchero. La
stessa proposta viene espressa anche da cooperative di
produttori agricoli.
Egualmente si cerca manodopera per la coltivazione di
frutta e agrumi, riso, grano, semi e rape da zucchero.
Rimanere in città, a meno che tu non abbia trovato una
degna collocazione, significa l’inedia sicura. Ecco che
ha inizio l’esodo: sono i nuovi emigranti del xxi secolo.
Ogni mattina, a gruppi, se ne escono dalle città.
I maestri di scuola seguono le famiglie dei profughi. Per
la prima volta negli ultimi secoli, il normale processo si
rovescia: le città si svuotano, si riempiono le campagne.
Come recita un antico detto nato al tempo della peste
seicentesca di Renzo e Lucia, «fra i prati e le colline un
boccone lo rimedi sempre».
Gli ultimi a muoversi sono gli impiegati che
bestemmiano: «Porco qui! Porco là…! Ci siamo
ammazzati a fare una casa o un appartamento e adesso
dovremmo mollare tutto?! E a chi ammollare…? Chi ce
lo compra…? E con cosa ce lo pagano?»
«E io e la mia famiglia dovremmo andare a vivere in
una cascina? Con le vacche e le capre, circondati da
sbruffate di merda? Mai! Piuttosto crepiamo qui, di
fame!»
Ma un altro adagio recita: «Si fa presto a dire fame
finché non l’hai provata!»
Per i nuovi emigrati l’arrivo nelle campagne è spesso
traumatico: il doversi adattare a una forma di vita alla
quale ci si sente totalmente impreparati provoca in molti
un vero e proprio rifiuto; ma quel clima negativo viene
compensato da alcune sorprese straordinarie.
Le famiglie che raggiungono la piana del novarese, per
esempio, si imbattono in macchinerie acchiappasole
installate per chilometri: sono centinaia di pannelli
fotovoltaici che riflettono i raggi del sole con tal forza
da costringerti a distogliere lo sguardo e coprirti gli
occhi con le mani e procurarti occhiali da sole; poi
t’ingegni a mascherarti il viso con fazzoletti o pezzi di
stoffa scura, come usano i tuareg nel deserto. Ma la
grande meraviglia è l’incontro con le cupole semoventi
sulle quali sono stati installati pannelli a specchio,
concavi e convessi. I bambini indicano stupiti quelle
strane torri che lentamente roteano su se stesse.
«Guardate! Quante giostre!» esclamano. «Ci si potrebbe
montare e farci qualche giro?»
«Non sono giostre» spiegano i ragazzini del luogo.
«Sono mulini ciucciasole.»
«Ma hanno le ali!»
«Certo! Ali che s’inclinano, si alzano e s’abbassano
guardando verso la luce, come i girasoli.»
«I girasoli seguono la luce?»
«Eh… ma si vede che venite dalla città» osserva un
contadino.
«Quelle che voi chiamate ali sono pale elioscopiche.»
«Elioscopiche? E cosa vuol dire?»
«Vuol dire che si muovono all’unisono col sole.»
«All’unisono?»
«Nel senso che ci vanno appresso con lo stesso ritmo;
come il sole si sposta nel cielo da oriente a ponente, la
cupola, con le sue ali, fa lo stesso: segue l’andamento
solare mettendosi in parallasse con l’arco disegnato dal
sole.»
«In parallasse?» commenta il padre di alcuni bambini.
«Ma siete sicuri che quel signore sia un contadino?»
La moglie lo zittisce e chiede a sua volta: «Scusi, vuol
dire che si mette a vantaggio dei raggi?!»
«Esatto» risponde il coltivatore sapiens «e naturalmente
così produce circa il 30% in più di energia rispetto a
una normale teoria di pannelli fissa.»
«Incredibile!» esclamano in coro i foresti di città.
«Ma il portento più stupefacente» continua l’erudito di
campagna «lo stanno montando a una trentina di
chilometri di qua, nella piana di Oleggio, nei pressi di
Novara.»
«Cosa sarebbe ’sto portento?»
«La torre di Babele.»
«La torre di che?»
«Di Babele… la chiamano così perché è una
costruzione davvero di dimensioni bibliche.»
«E con che materiale la mettono su?»
«Con mattoni di varie dimensioni, a incastro. Il cotto da
noi è il materiale più facile da reperire: la terra che
calpestiamo è l’argilla creta! Se ci fate caso, tutta la
zona è cosparsa di forni a legna per produrre il cotto. La
terra viene raccolta con le ruspe a pala alimentate con
l’olio di girasole prodotto in luogo. Si sono messi
insieme quasi tremila operai, proprio come a Babele,
però da noi non succederà che ci s’ingarbugli con
lingue diverse poiché il lessico comune è il dialetto
della zona. Fabbrichiamo mattoni di un metro per
cinquanta, cotti nel forno fotovoltaico a specchio che
noi chiamiamo ’copp piatt’.»
«E ferro non ne adoperate?» chiedono, interessati, i
cittadini.
«Come no! Ferrant a spinot, un mund!» traduce il
sapiens. «Proprio lì c’è a due passi un’industria di tubi e
ferramenta da costruzione, che stava chiudendo.
L’abbiamo subito riattivata grazie all’energia prodotta
con le termocupole, quelle che spuntano laggiù. La
cooperativa edile ha con sé tre ingegneri associati.»
«E che ci fanno coi tubi di ferro?»
«I tüb se dovra pe’ ligà i madon gross: i tubi servon per
legare i grandi mattoni e rendere più elastica la torre che
misurerà ottocento metri, avrà una base divaricata
d’appoggio con un diametro di quattrocento metri e le
fondamenta a sgrampio saranno profonde più di cento
metri.»
«Mio Dio! Ma come fa lei, signore» chiede il ragazzino,
«a conoscere tutti questi dati?»
«È stato all’università?» chiede la mamma. «Una scuola
superiore per campagnoli?»
«C’è andata vicino; a pochi chilometri di qua, a Novara,
c’è da anni la sede distaccata del Politecnico di Milano.
Io mi sono laureato lì. Ho disegnato personalmente il
progetto in questione insieme a un indiano e due tecnici
del Ghana.»
«Accidenti!» esclama la madre dei ragazzini. «Ha detto
che quella torre misura ottocento metri di altezza?»
«Non ancora, per adesso abbiamo raggiunto il mezzo
chilometro ma se ci venite a far visita fra un paio di
mesi avrete la sorpresa di vederla in tutta la sua
dimensione, cioè ottocento metri, appunto.»
«Mamma mia… ci andiamo, papà?» chiedono due figli
gemelli all’unisono.
«Senz’altro, non potremo mancare. Ma riusciremo a
vederla anche di qua, appena sarà arrivata al culmine…
se è solo a trenta chilometri…»
«Ah, senza dubbio. Sarà una struttura sconvolgente!
Abbiamo già calcolato la proiezione d’ombra che si
distenderà nella piana: appena spunta il sole vedremo
stendersi una striscia scura che si allungherà per dodici
chilometri, e ci servirà anche da orologio.»
«Straordinario!» esclama il padre dei gemelli. «Ma
come produce energia questa torre, tecnicamente
parlando?»
L’ingegnere stacca un bastone dalla vigna e se ne serve
per tracciare righe e archi per terra sulla creta
schiacciata: «Tutt’intorno alla base della torre saranno
sistemati in piano per un diametro di sette chilometri
pannelli termo-solari. Questi pannelli scaldano l’aria
che si espande e tende a salire verso l’alto, venendo così
convogliata attraverso una miriade di tubi posti alla
base della grande torre. L’aria, che sale dentro i tubi
velocissima, provocherà, nel centro della torre, un vero
e proprio turbine, un tornado».
«Per la miseria! Questa sì che è una trovata!»
«Zitto, figliolo» lo blocca il padre. «Lascia continuare
l’ingegnere.»
«Dicevo, questa spinta d’aria crea un turbine all’interno
della torre, proprio come una tromba d’aria. È risaputo
che il calore tende sempre a montare in alto, e questa
spinta rotante nel salire acquista potenza via via
maggiore, finché raggiunge la cima. Al limite
dell’uscita sono installate enormi pale rotanti che,
investite dal possente getto d’aria, cominciano a
turbinare a grandissima velocità, producendo energia.
Un’energia che è in grado di soddisfare i bisogni di
centomila case, calcolata in cinquanta mw.»
«Mamma mia!» esplode la signora. «Quindi avrete
proprio energia da vendere!»
«No, non da vendere giacché è tutto della comunità e
per ora consumiamo ogni kw che produciamo!»
Intanto è trascorso qualche altro mese e in città l’esodo
continua. Anche gli ex benestanti si decidono a
traslocare, c’è chi si reca da parenti in campagna e chi
raggiunge le proprie case al mare o in montagna. Alcuni
se ne vanno caricando i mobili su barconi alla fonda nei
canali; la maggior parte di essi è trainata da cavalli, ma
su altri natanti i barcaioli hanno installato larghe
mongolfiere che fungono da vele.
IL PORTO DI MARE
Raggiungo Milano il 20 maggio da Pavia, navigando
sul sì detto Ticino dell’Alzaia.
V’incontro molte chiuse costrutte per regolare il flusso
delle acque.
Se cale al porto o slargo di Milano recolmo di barchi
e navigli diversi.
Io no’ savea che fusse città tanto acquatica cotesta,
con sì numerosi canali da far invidia a Venegia.
Dalle Note di Leonardo da Vinci
Tutte le vie d’acqua, seppur in così breve tempo, hanno
cambiato di colore, per non parlare dell’odore: non
hanno più l’aspetto né producono il tanfo da cloache a
cielo aperto. Il calo del numero di abitanti ha dimezzato
gli scarichi immondi. Inoltre, la quasi totalità delle
fabbriche insozzanti è stata costretta a chiudere in attesa
di ripristino con nuovi propellenti. Per la prima volta si
riesce a indovinare il fondo dell’acqua, che oltretutto è
cresciuta di livello anche grazie al fatto che, a monte, i
corsi d’acqua non subiscono più l’arraffo abusivo di
ville, imprese e annaffiatoi più o meno regolari;
cominciano a intravedersi pesci che sguazzano felici.
Purtroppo i canali di città come Milano, Modena e
perfino Bologna rimangono nascosti da coperture sulle
quali scorrono strade, ormai inutilizzate, il cui asfalto si
sta via via riempiendo di crepe.
È stupefacente notare l’effetto straordinario che il
blocco della produzione di gas tossici ha già
determinato nell’equilibrio atmosferico.
Innanzitutto, ci avvertono alcuni scienziati partecipando
ai numerosi dibattiti sul clima che si svolgono in ogni
luogo, il calore dell’atmosfera sta leggermente calando.
Inoltre, come già sapevamo, dobbiamo aspettarci fra
breve una sequenza di temporali piuttosto veementi,
spesso catastrofici, a livello di uragani, che
esploderanno da noi, in tutta l’Europa, in Asia, così
come in Africa. Ancora, sono previste scosse telluriche
notevoli. Il tutto causa l’assestamento termico che
produce contraccolpi nell’immediato sottosuolo per non
parlare del profondo degli oceani.
E bisogna ammettere che questa volta le previsioni
degli scienziati si stanno dimostrando azzeccate.
Ancora, seppur fuori stagione, in montagna ha
ricominciato a nevicare e, davvero miracoloso!, perfino
a Milano, Roma e Palermo, dopo anni, una mattina la
neve ha iniziato a scendere inattesa. L’imbiancata
continua, e una coltre spessa sta coprendo le tre città. La
gente impazzisce di gioia, i diseredati privi di
riscaldamento un po’ meno.
Dopo una settimana però la neve si dilegua e gruppi di
operai ritornano sui tetti e sui terrazzi a stendere le
piastre fotovoltaiche in ogni dove. Ormai se ne vedono
dappertutto, anche sulle strutture delle fabbriche
abbandonate. L’energia elettrica che si produce è
sufficiente ai bisogni essenziali di quasi tutte le città.
Aquiloni colorati di grande dimensione, gonfiati dal
vento, oscillano disegnando parabole larghissime nel
cielo. Non sono elementi paradossali creati a scopo
decorativo, ma il risultato di un progetto di un geniale
architetto: quel volteggiare nell’aria produce energia.
Forse valeva proprio la pena sopportare il rovinoso
blackout del petrolio… e quando mai avremmo goduto
di una città talmente magica, altrimenti?!
È proprio nel giorno di Carnevale, dove ogni follia è
lecita, che accade lo strampallacco, il gran botto!
PRIMO: RIEDUCARE I VESCOVI
Quando a Brescia alla fine del 1100 il vescovo si rifiutò
di consegnare, come di regola, i propri paramenti
affinché fossero indossati dal giullare, delegato dalla
comunità perché gli facesse il verso a Carnevale,
la popolazione dell’intiero Comune assaltò la Curia
e il vescovo fu costretto a fuggire.
Il prelato venne riaccettato in città solo quando chiese
perdono al podestà per aver offeso le maschere della
grande bolgia.
Dagli Annali del «Comun de Brèsia»
Già di mattino presto si vedevano scendere dalle case
del centro e della periferia ragazzine e ragazzini con
maschere in viso e costumi un po’ arrangiati ma
fantasiosi. Alcuni battevano padelle e coperchi, altri
rotolavano bidoni vuoti e li percuotevano con bastoni
creando gran fracasso. Non potevano mancare trombe e
trombette che spernacchiavano suoni assordanti. Il sole
stava laggiù in fondo più grande del solito e sparava
bordate di luce accecante, sembrava giocare a
rimpiattino affacciandosi dai palazzi all’improvviso per
poi nascondersi e riapparire. Eppure l’aria era fredda,
quasi gelida tanto che molte di quelle maschere s’erano
munite di coperte per difendersi dai brividi di freddo. E
soprattutto saltavano, danzavano, non tanto per
comunicare allegria piuttosto per procurarsi calore.
Poi all’istante monta il vento e il cielo che fino allora
era terso si riempie di nubi che lo solcano veloci e in
gran numero.
Ora il sole gioca a nasconderella con il nuvolame ma di
lì a poco viene letteralmente cancellato da nembi scuri e
giganteschi che invadono il fondale della città. Il vento
ulula minaccioso e da terra si levano vampate di
polvere; dai tetti vengono risucchiate tegole e anche
qualche pannello solare che vola scaraventato nell’aria.
Fuggono maschere e passanti; cercano riparo dai
frammenti che piovono da ogni dove.
Nel cielo scoppiano fulmini seguiti da boati che fan da
prologo al temporale, frastuoni spaventosi provocano
grida di terrore nei ragazzini e anche negli adulti, specie
le donne. I palloni aerostatici e gli aquiloni lasciati nella
notte a veleggiare per la produzione di energia, ora
sbattono lassù, rischiando di squarciarsi. Uno e poi un
altro divelgono gli ormeggi e iniziano, spinti
dall’uragano, a volteggiare impazziti.
Quel vento ora è diventato una bora che viaggia a più di
100 chilometri all’ora; si sta producendo una vera e
propria tempesta di tegole e comignoli. Guai a chi si fa
sorprendere per strada in quel momento: viene
letteralmente portato in aria come un pupazzo di pezza
e sbattuto contro le case e oltre i tetti.
E scoppia anche qualche incendio qua e là mentre
l’uragano aumenta con boati e fischi stridenti.
Per fortuna comincia a piovere. Più che pioggia questa è
una cascata d’acqua di un fiume in piena. Vien giù a
sbruffate d’una violenza inaudita. Le macchine
posteggiate, anzi abbandonate ai bordi delle strade,
sono investite da ondate che le sollevano e le fanno
rotolare come giocattoli. Schianti e botti, camion
squarciati, ruote staccate dai mezzi rotanti, perfino dai
tram, ruzzolano a centinaia, corrono in tutte le direzioni.
Poi s’arrestano affondando nei fiumi che vanno
formandosi lungo ogni via o viale. A pezzi e bocconi
l’uragano sta dilaniando anche qualche grattacielo.
Boati e fremiti a sussulto provengono dal sottosuolo
dove transitano gli antichi canali ricoperti dall’asfalto.
S’intuisce che quei condotti non ce la fanno a contenere
il feroce scorrimento dei fiumi sotterranei che,
gonfiandosi a dismisura, stanno per esplodere. Infatti di
lì a poco un primo scoppio deflagra dai navigli di Porta
Genova. Tutta la copertura è saltata in aria. I fiumi
hanno allagato anche i parcheggi del sottosuolo. Si
sente un gorgogliare mostruoso provenire dagli
scantinati. I botti, anzi i boati si susseguono come
giganteschi fuochi d’artificio propri del Carnevale. Non
c’è canale ricoperto che resista. I vecchi corsi d’acqua
ora riaffiorano come d’incanto. Qualcuno, affacciandosi
incauto dalle finestre, applaude al cataclisma che libera
i canali, e incita urlando: «Vai! Vai! Strappa tutto.
Ridacci la nostra città!» E immancabilmente una folata
di quel terribile vento lo strappa dalla finestra e lo fa
volare nel vuoto come uno straccio urlante.
Ecco, sono riemersi la Martesana, l’Olona, il Lambro e
il Seveso, perfino il Molino delle Armi… All’istante
sembra d’essere a Venezia! L’acqua scorre con tanta
veemenza da trascinare via i detriti del crollo.
Qualche settimana dopo la tempesta appaiono
dappertutto barche e perfino pedalò.
C’è da non crederci. Questa città è tornata ad
assomigliare in modo incredibile a quella descritta da
Stendhal che nel Settecento così si esprimeva: «Ho
veduto e abitato in molte città del mondo, ma la
commozione che mi ha dato Milano, attraversata dai
suoi fiumi, dai canali, i ponti sotto i quali transitano
barche con donne splendide e ridenti, mai più mi
capiterà di provare».
La popolazione della città s’è ormai più che dimezzata:
sembra memoria di secoli fa l’immagine dei pendolari
rovesciati a migliaia nelle stazioni. Le strade sono
sempre semivuote; in compenso le acque su cui sembra
galleggiare ogni rione vedono scivolare un numero
sempre più grande di natanti. Nelle piazze, come
obelischi, sorgono torri eoliche che fanno roteare eliche
di continuo. Cavalli e biciclette circolano tranquilli.
Sopra loro, ogni tanto, spunta un ragazzo su altissimi
trampoli. È senz’altro il mezzo di trasporto più veloce
che sia ritornato dopo secoli in auge. Ogni giorno
appare per strada un nuovo veicolo: geniali artigiani e
operai hanno smontato auto abbandonate riducendo il
loro peso a un terzo. Tanto per cominciare si è
eliminato il motore e tutti gli optional inutili; alle ruote
si sono applicati decentri ad abbrivio, cioè volani, e
nell’interno è stato messo in funzione il trabacco vale a
dire quell’aggeggio che un tempo in ferrovia
permetteva ai cantonieri e agli addetti agli scambi di
percorrere sulle rotaie, con poca fatica, lunghi tratti di
strada. Ma come funziona il trabacco? Immaginate una
leva altalenante che si aziona agendo in coppia: uno
abbassa, l’altro solleva. Pare incredibile, ma con
quell’aggeggio si percorrono lunghi tratti a gran
velocità! Son state ripristinate anche le antiche
macchine a vapore: servendosi di grosse pentole a
pressione, l’acqua viene portata all’ebollizione grazie al
sole, il cui calore è ingigantito da un sistema a specchi.
Molte abitazioni sono rimaste senza inquilini,
abbandonate e sfitte. I senza tetto sono spariti e dove
sono? Sono diventati «con tetto»! Ognuno s’è trovato
una casa vuota da occupare!
Dicevamo che anche nelle metropoli i cittadini si sono
arrangiati a produrre energia. Ma non sono solo le
grandi città a riemergere: grazie alle installazioni di
pannelli fotovoltaici e di torri eoliche, anche nei piccoli
centri, il fabbisogno di energia elettrica viene
soddisfatto con alacrità. Ciò fa sì che la gente riesca di
nuovo a rimettere in funzione le antenne dei ripetitori
della telefonia, i computer e le connessioni internet
ricominciano a funzionare, nonché le radio.
Andando intorno per le strade ti capita di incontrare
gente serena che si ferma volentieri a chiacchierare e
scherzare con sconosciuti. Nessuno che si preoccupi di
non farsi scippare… e che gli importa? Tanto soldi non
ce n’è e le cartelle con i ticket e i bonus, come abbiamo
visto, sono munite di allarmi terrificanti. Anche in casa,
oggetti di valore ce ne sono pochi: li si è dati in cambio
merce!
Gli unici che hanno di che temere sono i collezionisti
avidi di monete: li riconosci dal loro andare circospetto
per le strade.
A ogni modo tutti hanno constatato che ladruncoli e
furfanti se ne incontrano raramente… D’altra parte che
fai? Vivi rubando biciclette e borse che parlano?! Non
ne vale la pena. A parte che ci sono dei ragazzi intorno
vestiti di giallo che la gente chiama ormai spider-busterbike, tradotto ragno-acchiappa-bici: appena un
ladruncolo salta su una bicicletta posteggiata, loro gli
corrono subito appresso con le loro bici da corsa, e con
quattro pedalate gli sono già addosso, gli portano via la
bici da sotto il culo e questo si ritrova a pedalare nel
vuoto come un fringuello! Oh che scatto che c’hanno!
Forse il clima di rispetto reciproco e di onestà pseudomistica di cui godiamo ora è dovuto in gran parte
all’effetto shock che il blackout immediato ha
determinato nei comportamenti della gente, anche
quella priva di senso sociale… Ma non dobbiamo
coccolarci troppo dentro questo idillio, di certo
transitorio.
Perfino dei rom non si sente più raccontare di furti e di
occupazioni abusive e nemmeno di incendi nei loro
campi, anche perché in quelle catapecchie di lamiera e
nelle
roulotte scassate non ci son rimasti nemmeno i cani
randagi. Grazie alla caterva di appartamenti
abbandonati, i senzatetto hanno trovato casa,
finalmente! E vedessi come tengono tutto pulito e in
ordine. Hanno piantato perfino i pomodori sul
balcone… E come sono diventati pignoli nella raccolta
differenziata!
A parte che di spazzatura non se ne vede quasi più in
giro… Vi ricordate la favola di Pinocchio che prima si
pela la mela, si mangia la polpa, poi ci ripensa e si
mangia tutte le bucce? Ecco, ognuno ormai si mangia
ogni cosa: buccia, polpa, semi, acini e picciolo.
È inutile: la fame è il più forte incentivo a non gettare
gli avanzi e a tener pulito. Qui non si butta più niente.
Pare che a Napoli in una settimana abbiano svuotato
tutte le discariche! Si son mangiati pure i gabbiani che
beccavano fra le lordure, compreso qualche topo che
s’era permesso di unirsi al banchetto!
In quel clima di repulisti per la sopravvivenza, pare che
sia andata in crisi perfino la camorra! A proposito, vi
ricordate di Romiti, l’ex dirigente della fiat? Ebbene,
abbiamo scoperto che costui ha due figli proprio degni
della sua fama. Entrambi hanno lucrato avidamente
sullo smaltimento dei rifiuti, inventando il compost
pressato, le cosiddette ecoballe, soprannominate anche
le più grosse balle sulla raccolta pulita che si siano mai
presentate! Chissà questi bravi giovani dove si sono
rintanati oggi che tutte le loro balle sono state
scoperte?!
Dei politici si sente parlare sempre meno, e appena se
ne nomina qualcuno, quasi tutti all’unisono si portano
meccanicamente le mani a livello del pube.
E lo stesso silenzio si è fatto intorno ai religiosi, salvo
naturalmente quelli che incontri in discarica in mezzo
agli affamati o fra i campi a zappare e raccogliere
patate, zucchine e altre verdure.
Quindi è proprio dei Santi Padri paludati che si hanno
poche notizie, non li senti più predicare sulla morale,
specie sul blackout e le relative conseguenze. Forse è
meglio così, potrebbe capitare che sulla falsa riga del
loro commento su altre sciagure, qualche vescovo salti
fuori con il dichiarare che la fine del petrolio e il
riscaldamento della calotta polare non siano altro che
una punizione mandata da Dio per castigare l’umanità
dei suoi peccati. Come il cardinale di Genova ha fatto a
suo tempo con l’aids…!
UN VANGELO DA IGNORARE
Gesù non amava i sacerdoti del tempio,
anzi chiamava quel luogo sacro «spelonca di ladri».
Ma, magnanimo qual era, guarì la figlia di uno di loro.
Non fondò mai una chiesa
né ordinò vescovi e papi fra i suoi apostoli.
Al contrario, consigliava loro: «Siate umili, lasciate le
vostre case e andate intorno fra la gente con una sola
veste di tessuto greggio, sandali ai piedi e senza borse
né manti.
E se vi scacceranno, scuotete le vostre vesti per far
intendere che nemmeno la polvere di quei luoghi
porterete con voi».
dalla Storia del cristianesimo di Ambrogio Donini
Più impressionante però è il silenzio di Ratzinger. È
vero che oggi senza aver a disposizione una televisione
è difficile comunicare il Verbo di Dio ai fedeli,
soprattutto nella situazione di blackout che stiamo
vivendo. Mica possiamo pretendere che si torni al
tempo di san Francesco per vedere il papa andarsene
scarpinando qua e là, su e giù per monti e valli e, con
voce tonante, esser costretto a comunicare alla gente
parole di speranza con accento mezzo tedesco e in
falsetto! E poi, mangiare quel che gli capita, cioè la
roba con cui si nutrono i contadini e i disperati… e
montare su un mulo o un asino come Gesù. «Mein
Gott!» lo sentireste esclamare. «Mi tocca rifare tutto il
corredo! Con ’sti pizzi, ’ste dentelles e la seta… si
scivola sulla groppa dell’asino! E con ’ste scarpette da
ballerina, mi sto inzocchinando tutti i piedi! Roma,
Roma! Torniamo subito a casa! A Castel Gandolfo? Per
carità! Odio la campagna periferica. Mi sembrerebbe di
essere un profugo a mia volta! Sono un professore, e
Padre della Chiesa, mica un contadino! E neanche un
pastore! Io sono l’operaio della vigna ma, quando l’ho
detto dal balcone di San Pietro, aveva il significato di
una metafora! Santo cielo! E quando mai il Signore ha
avuto una vigna? Né il padre, né il figlio! Quando disse
’Bevete questo è il mio sangue’, a sua volta esprimeva
una metafora!»
Ma Dio mi perdoni, a parte gli scherzi, non poteva il
nostro Santo Padre dire qualcosa di toccante e davvero
cristiano sulla dabbenaggine criminale degli uomini,
specie i governanti e quelli d’affari, a proposito del
letamaio in cui stavano riducendo il pianeta?!
Ma questo prima della situazione che stiamo vivendo! È
allora che avremmo apprezzato una parola di condanna
all’imbecillità di chi ci governa e dirige!
Ecco, lassù è apparso il papa, immaginiamolo che,
affacciato al balcone, si rivolga a una piazza ricolma di
fedeli, che sventolano stendardi con scritto Benedetto,
salva il nostro mondo!
«Ognuno di noi è colpevole» lo sentiremmo gridare a
tutta voce, «colpevole di ciò che sta accadendo sopra le
nostre teste, dove una sottile fascia di cielo, creata per
permetterci di respirare e vivere, si sta intasando di un
gas immondo dal tanfo velenoso. E quando dico noi, mi
guardo bene dal significare loro, esclusivamente loro,
governanti, industriali e petrolieri: io intendo noi tutti, a
cominciare dalla Chiesa e dai suoi fedeli».
Eh! Che discorso sarebbe stato! Degno di un ateo
condannato al rogo!
PENSIERO DELL’IMMODERATO
Libertà è vivere come ti pare,
indossando abiti di foggia e colore da te preferiti,
amare è far l’amore con chi t’aggrada
e poi campare con il meglio dell’altro sesso o del
medesimo.
Una sola regola devi rispettare: di non ledere ad alcuno.
Se ti rendi conto che i tuoi modi non sono da tutti
graditi, gentilmente fatti più in là:
stai sicuro che troverai gente che è d’accordo con te.
Da un canto anarchico
Mentre noi si sta immaginando ispirati d’assistere alla
concione fremente del nostro pontefice, ecco che poco
lontano dal canale della Martesana sorgono grida reali,
inframmezzate da insulti e minacce. Sul fiume sta
transitando un barcone che procede per mezzo di un
rumoroso motore a scoppio, che va a gasolio.
Chissà dove si saranno procurati quel carburante… Da
un tubo a ciminiera escono bordate di fumo puzzolente.
Dagli argini della Martesana ragazzi e uomini maturi
lanciano pietre sul natante. I naviganti, dalla loro barca,
rispondono con insulti, fra questi il più scatenato è il
padrone del vascello:
«Non c’è nessuna legge» grida «che mi impedisca di
muovere il mio barcone col carburante che più mi
piace!»
«No, mio caro» gli rispondono quasi in coro, «è la
comunità che decide! Non puoi permetterti con quello
che abbiamo passato di inzozzare di nuovo come ti pare
l’aria! Altrimenti ti mandiamo a picco!»
Pietre e qualche masso cadono numerosi sul vascello.
«Basta!» urlano dal barcone. «Ci avete convinti!»
Così dicendo spengono il motore e proseguono
spingendo il mezzo con remi e lunghi pali.
Lì ai bordi del fiume subito s’apre una discussione
piuttosto vivace sulle regole civili e la libertà. Ecco
apparire un ragazzo in equilibrio sui trampoli seguito da
una piccola orchestra di chitarre e fiati. Il trampoliere si
dice preoccupato per l’aggressione al natante e alla sua
ciurma.
«Tutto può avvenire quando non ci sono né leggi né
regole» commenta il chitarrista.
«Eh no eh!» ribatte il cinico che sta pescando sulla riva.
«È una vita che sento parlare di regole, ordini e
regolamenti. Mi ricordo che durante il ’68 si gridava
uno slogan stupendo. Prima regola: niente regole se si
vuole godere della libertà!»
«Sì, ma qui si parla della libertà propria contro i diritti
degli altri» replica il chitarrista.
«Guardatevi la storia di ogni società» prosegue una
ragazza, scendendo dal suo pedalò, «gira e rigira si
arriva a inventare e imporre ordinamenti per stabilire il
vantaggio di pochi, ordinato come soggezione dei
molti.»
«Giusto, non occorrono leggi» dice il cinico, «bastano
la coscienza e il valore della collettività.»
Il gruppo dei giovani che tirava pietre alla barca
applaude, una parte di loro con molta ironia. Uno tra
quelli commenta: «Proprio quest’anno ho dato un
esame sugli statuti comunali delle antiche Repubbliche
lombarde e ho scoperto che nel Medioevo chi insozzava
aria, acqua, territori e non rispettava i diritti della
comunità veniva immediatamente cacciato fuori le
mura».
«Ecco!» esclama il trampoliere. «Infatti è una soluzione
classica del Medioevo! Non rieducare, ma punire!»
«Piano… piano… qui siamo nell’emergenza» riprende
un altro giovane. «Che significa per te che stai sul
trampolo rieducare? Forse aprire una casa di
correzione? Una galera più soft, coi doppi servizi e con
diritto di una notte di sesso la settimana?»
«Attenti… con la scusa dell’emergenza qui salviamo il
pianeta ma mandiamo a picco ogni civile convivenza!»
avverte la ragazza del pedalò.
«E allora che facciamo?» interviene un medico di
transito. «Avendo fretta e non avendo né il tempo né i
mezzi per rieducare, risolviamo come con la Nave dei
folli di Sebastian Brant? Carichiamo su un vascello tutti
gli indesiderati, i delinquenti abituali, coloro che
truffano, rubano, compiono violenza e li spingiamo alla
deriva fino al mare Artico? E s’arrangino, si scannino
tra loro… noi ce ne laviamo le mani!»
Intanto lì sullo spiazzo della Ripa s’è formata una folla
attenta e reattiva.
«No, no!» esclama il giovane che ha dato da poco
l’esame. «Io dico che reprimere è sempre un errore.
Bisognerebbe ripristinare la legge del cappello.»
«Cos’è ’sta legge del cappello?» chiede un muratore
con un berretto di carta in capo.
«È un’espressione che proviene dagli Statuti del
Comune di Gubbio, della fine del 1100» illustra il
giovane. «Si tratta di indurre ogni cittadino a
individuare immediatamente quelli che hanno la
tendenza alla truffalderia, per esempio,
all’appropriazione indebita e a delinquere in genere.
Nella tradizione, sapete, si dice ’tanto di cappello’ e si
cava di capo il medesimo per significare che la propria
nuca è intonsa.»
«E a che si allude con nuca intonsa?»
«È semplice. Nel tempo antico era regola, anzi legge,
che a ogni individuo, sorpreso più di una volta a
delinquere, fosse rapato il cranio a cerchio, la classica
tonsura, e che quel cerchio fosse intieramente dipinto
con una lacca verde indelebile.»
«Ah è per quello» commenta un altro ragazzo «che i
francescani ancora oggi si rapano il cranio! Per
mortificarsi e porsi all’ultimo gradino della società,
insieme ai disperati e agli estromessi!»
«Ecco, proprio così. Il rapato col cranio dipinto veniva
chiamato ’verdone’, era costretto ad andarsene in giro a
testa scoperta con quel marchio!»
«Rapato e dipinto?»
«Sì, un marchio infamante che lo distingueva dai
cittadini onesti. Però, in caso di freddo e di pioggia, gli
si permetteva di coprire il capo con un cappello, che era
tuttavia costretto a cavarsi nel momento in cui
incontrava un qualsiasi passante, uomo o donna che
fosse, così da mostrare la propria identità.»
«Ma è incredibile! Anzi orribile! Peggio della gogna!»
esclama indignata una donna con la mantellina. «E se il
condannato si rifiutava o evitava di toglierselo?»
«In questo caso, gli s’imponeva di calzarsi per sempre
un cappello verde!»
«Eh sì» lo sostiene un vecchio docente, «è da qui che
nasce anche l’espressione ’sono al verde’, che significa
’son rimasto senza quattrini, ma soprattutto senza
reputazione’!»
«Mentre il ’tanto di cappello’» riprende il giovane
«significava appunto ’davanti a voi mi tolgo il
copricapo poiché non ho nessuna vergogna da
nascondere.’»
«Ma tu guarda, quindi il gesto di salutarsi cavando il
cappello viene di lì?» chiede il muratore giocando col
suo berretto di carta.
Interviene il trampoliere: «Eh sì, dovrebbero proprio
ripristinarla questa tradizione a cominciare dagli
inquilini della Camera e del Senato!»
Qui esplode divertito il cinico: «Te li immagini quei
deputati e senatori nonché presidenti di Regione
muoversi sugli scranni e prendere la parola senza mai
potersi cavare il verdone?»
«No, non sono d’accordo» dice risaltando nel suo
pedalò la ragazza. «Qui si ripristina la gogna, una
mortificazione incivile e indegna di ogni vera
democrazia.»
«Certo» le fa il verso il chitarrista, accompagnandosi
con degli accordi «è sempre meglio lavarci da noi i
panni sporchi ZAN ZAN coprire lo zozzo TARAN
TAN TAN i dirigenti luridi FLIN FLIN e le facce di
merda puzzolenti PARAPAPPAPPA!»
«E soprattutto nascondere sempre la sozzeria sotto il
tappeto!» gli fa da controcanto, danzando il trampoliere.
«Sennò che ci starebbero a fare tutti quei drappi e le
stuoie nei saloni della politica?»
«Lasciamo correre i tappeti copri-monnezza e anche il
passato» interviene la donna con la mantellina. «Come
dice un antico proverbio: l’acqua che scorre oltre il
mulino più non serve a macinare. Chi macina il passato,
tiene un cranio imbesuito!»
Ormai intorno ai disputanti si è formata una folla di
ascoltatori, alcuni si son portati appresso sgabelli e
seggiole pieghevoli. Ragazze e ragazzi stanno assettati
per terra. Appaiono venditori di zuppa di farro tenuta
calda dentro grandi padelle su carrette, un altro offre
cous cous con spezzatino di capretto in umido, una
donna propone polenta con le rane fritte. Tutto si paga
coi bonus.
REGOLE CIVILI
Nell’isola del Madagascar, ancora poco tempo fa,
viveva una popolazione
presso la quale non esistevano prigioni.
Ogni tribù era ritenuta responsabile del comportamento
d’ogni singolo componente.
Se qualcuno commetteva atti illegali
o ignobili contro chicchessia
era tutta la comunità a cui l’indegno apparteneva
che veniva considerata colpevole e responsabile,
per cui il clan al completo doveva accollarsi
il compito di segregare a turno nelle proprie case il
reprobo. Chiamali selvaggi!
Dalle memorie di un esploratore
I venditori di sfizi al volo hanno grande successo. Si fa
pausa un attimo, poi il ragazzo sui trampoli,
spalleggiato dalla piccola banda di suonatori, chiede
attenzione: «Sentite gente, se siete d’accordo,
vorremmo continuare il dialogo. Eravamo arrivati a un
punto molto interessante e piuttosto cruciale, quello
delle regole e dei comportamenti civili. E qualcuno
suggeriva di lasciare le cose come stanno».
«Eh no! È proprio perché voglio un oggi diverso che
non sopporto l’idea che si rimanga nella norma!»
irrompe il cinico. «Con le stesse regole, leggi,
consuetudini, giudici, avvocati! Torniamo ai processi
infiniti? Alle sentenze in prescrizione?! Ai furbi fuori e
i fessi dentro?!»
«Se permettete, vorrei fare una considerazione»
propone il vecchio docente. «Quante volte qui in Italia
sentiamo vantare ’Noi abbiamo una giurisprudenza che
ci invidiano in tutto il mondo’?»
«Certo, in tutto il mondo…» interviene un correttore di
bozze. «Bisogna però specificare che ce la invidiano
soprattutto i furbi e i pluri-indagati con stuoli
d’avvocati! Del resto dai giudici e dagli avvocati ti senti
sempre ripetere: ’Non è la legge che fa testo’, tant’è che
tutto dipende dal giudice: dipende solo da lui se una
sentenza appare giusta o indegna.»
DIO REGALÒ UN SESSO AGLI UOMINI, UN
SESSO ALLE DONNE E UNO, DIVERSO, PER IL
CLERO
Si racconta che a un giovane prete, umile servitore della
Chiesa, capitò di ascoltare in confessione una donna
molto piacente e con un corpo di splendida fattura.
Ella andava elencando, spietata e dolente, i suoi peccati,
causati da innumerevoli avventure amorose.
Nel proprio pentimento lamentava la debolezza della
carne sua e la passione che in ogni occasione la rendeva
vittima di ogni lussuria.
Il giovane prete ascoltava sconvolto e in cuor suo
andava commentando: «E io sto qui fra ’ste sante mura
a perdermi tante emozioni, piaceri e fremiti amorosi?
Tutti mirabili doni che il Signore ci ha elargito!»
Tremante, sussurrò alla penitente: «Io ti rimetto i tuoi
peccati solo se se tu prendi me come tuo sposo! Ti
adoro perché hai molto amato».
E si sposarono felici il giorno della Candelora.
Dal Pecorone di Ser Giovanni Fiorentino
«E allora, per riavere una legge onesta e rapida, come si
fa?» chiedono delle donne quasi all’unisono. «Tanto per
cominciare come si risolve lo scandalo dei processi
tirati avanti per anni? Guardate che siamo l’unico Paese
al mondo ad accettare una simile vergogna!»
«Hanno ragione le signore!» interviene un cieco
accompagnato da un ragazzo. «Questo accidente che ci
è capitato ha stravolto le nostre abitudini spesso
indegne, ha risvegliato le nostre coscienze.
Approfittiamone! Ci son qui con noi persone colte e
oneste… ci diano consigli appropriati, soluzioni
nuove.»
Interviene un bibliotecario: «Io, per esempio, imporrei
che i giudici, ottenuto l’incarico, prima di calzare la
toga e sedersi dietro il banco del tribunale, fossero
accompagnati in carcere…»
«Il giudice in carcere?! Perché? Per quale reato?»
chiede un conducente di autobus.
«Nessun reato» gli risponde il bibliotecario, «è solo
perché si faccia carico della drammaticità del suo
impegno… Uno deve sapere che significato ha
esprimere una condanna. Se dice: ’Sei condannato a tre
mesi, un anno, trent’anni…’ deve aver coscienza della
violenza che impone.»
Prende la parola il ragazzo completamente calvo: «Io so
cosa significhi… sono stato condannato a dieci anni e
ne ho fatti sei! Galera significa umiliazione, cancelli,
chiavi, insolenza dei secondini, punizioni, violenza di
tutti i generi, anche sessuale! Se non hai provato la
galera non puoi renderti conto di che significhi il peso
di una condanna!»
«Appunto» riprende il bibliotecario. «E quindi se un
giudice la galera non l’ha provata, per lui un anno…
due anni… è un’espressione astratta, non implica
nessuna tragedia, è come dicesse: ti do cinque
noccioline!»
«È giusto, è giusto!» lo acclamano le donne.
«Sì, ma è solo paradossale» dice un prete che ha buttato
la tonaca.
«Paradossale un corno! Io propongo che diventi regola,
anzi legge» ribadisce il calvo.
«Sì: tutti i giudici in galera!» gridano in coro. «Perché
se ne facciano coscienza.»
«Esatto» interviene un pescatore che sta ormeggiando la
sua barca, «è paradossale, ma in una società di scaltri e
ipocriti come la nostra è solo con le soluzioni
impossibili e inaccettabili che ci si può salvare!»
«Vi ricordate di Tortora» si fa avanti il cieco, «quel
presentatore televisivo arrestato con l’imputazione di
aver spacciato droga? L’accusa era falsa, montata da
quei giudici solo per ottenerne un grande ritorno
d’immagine a proprio vantaggio! E avete in mente
come andò il processo?! Valendosi di testimoni
menzogneri, l’hanno condannato a non so quanti anni di
galera. Al processo d’appello, poi, è stato riconosciuto
innocente, ma Enzo Tortora uscì in libertà
completamente a pezzi.»
«È vero» concorda il vecchio docente, «le umiliazioni e
la galera subite lo avevano distrutto nello spirito e
anche nel fisico: di lì a un anno è morto. E i giudici che
l’avevano condannato, che si erano incarogniti sulla sua
colpevolezza assurda? Hanno pagato? Di sicuro
avrebbero meritato a loro volta la galera!»
«Io dico di sì!» urla dal fondo una vecchia signora.
«Calma» interrompe una donna grassa, «se ci lasciamo
trascinare dall’emotività dove andiamo a finire?! Questa
che proponete voi è una giustizia primitiva.»
E altre donne di rimando: «E allora viva la giustizia
primitiva! Perché quella moderna di oggi non ci piace
proprio per niente, anche se qualche volta m’è capitato
di doverla difendere dalle sparate di certi politici
intoccabili arruffoni!»
«Ma dico… di questo passo» sbotta un signore con una
coppola rossa in capo «anche per i medici bisognerebbe
fare lo stesso!»
«In che senso lo stesso?» chiede il medico di transito.
«Scusate» fa il coppola rossa, «quante volte abbiamo
letto sul giornale o ascoltato in televisione… quando
ancora funzionava… di medici incapaci eletti primari di
ospedali con l’appoggio di ministri compiacenti mentre
i validi venivano scartati?! Per carità, non è il suo
caso…» sottolinea rivolto al medico. «E quante volte
abbiamo letto che per errore, distrazione, per colpevole
mancanza di controllo, hanno ucciso pazienti?!»
«A questo proposito» prende la parola uno sconosciuto
«mi è successo d’esser testimone d’un fatto incredibile.
Sono fuori corso di medicina e ogni tanto mi riesce di
farmi assumere come assistente operatorio, precario
naturalmente. Un giorno mi sono trovato a fare da
passa-attrezzi durante un intervento nel quale è
successo di tutto: pareva d’essere in una farsa di
Ridolini o di Charlot. Tant’è vero che dei pubblicitari
ne sono venuti a conoscenza e hanno approfittato di
quell’episodio per farne uno spot televisivo…»
«Ma va’!» esclama incredulo un postino. «E di che si
tratta?»
«Prima hanno rischiato di affogare subito il paziente per
via di uno scambio di tubi, aprendo il condotto
dell’idrogeno invece che quello dell’ossigeno; poi
stavano per intervenire su una cistifellea invece si
trattava di un’ernia inguinale e infine, concluso
l’intervento, ricucito l’addome, sentono squillare un
telefono: ’Di chi è? È tuo? È mio? È suo?’… Si trattava
di un portatile che squillava di dentro il ventre
dell’operato!»
«No! Impossibile!»
«Come no? Tant’è che è la stessa situazione che hanno
messo in scena nello spot televisivo…»
«Sì, è vero, l’ho visto anch’io. Era uno spot di
pubblicità ai cellulari…» dichiara la donna grassa.
«Ebbene» conclude l’assistente di medicina, «nella
realtà il chirurgo ha esclamato: ’Cazzo! È il mio! Mi
dev’esser scivolato dal taschino! Riaprire subito!
Presto!’ Taglio rapido, riaperto l’addome: ’Pronto? Sei
tu, cara?’… Avevano sbagliato numero.»
Risate allo scompiscio.
«E va bene! È un classico errore umano!» commenta
con ironia il muratore. «Proprio sul tipo di quello di un
bandito che durante una rapina ha lasciato partire un
colpo accidentale dalla pistola!»
LA BONTÀ
Un santo uomo accolse nella sua casa un carcerato
appena uscito di prigione.
Gli offrì da mangiare e un letto in cui riposare la notte.
All’alba l’ex detenuto se ne andò
portandosi via tre candelabri d’argento.
Dopo qualche ora il santo uomo sentì bussare al
portone:
erano tre gendarmi che avevano fermato il galeotto.
«L’abbiamo sorpreso con della refurtiva»
disse il sergente.
«Il mariolo qui asserisce di averli ricevuti da voi in
regalo.»
E mostrò i tre oggetti d’argento.
«Sì, è proprio un mio regalo» rispose
senza esitare il padrone dei candelabri.
Le guardie se ne andarono poco convinte.
«Torna pure a letto» disse il brav’uomo al furfante,
«ma ti consiglio di non approfittare troppo
della mia benevolenza.
A lungo andare il perdono è da imbecilli.»
Da I Miserabili di Victor Hugo
«Perdonate, ma stiamo andando un po’ fuori dal
seminato» interviene l’ex prete, «si parlava di giustizia,
e andiamo per ordine.»
«È vero» ribadisce il correttore di bozze, «io premetto
subito che son convinto del fatto che se non riusciamo a
cambiare drasticamente regole, applicazioni e
comportamenti, qui ci ritroviamo fra poco nel clima
delle invasioni barbariche, dove chi è più bravo a
infilzare l’altro ha sempre ragione.»
«Giusto» gli fa coro il gruppo di donne, «l’anno scorso,
anzi ormai due anni fa, abbiamo assistito al varo di una
legge ignobile: la proposta di applicare l’indulto nelle
nostre galere. ’Le carceri stanno scoppiando!’ ci
avvertivano molti politici. Il ministro proponente era
Mastella, quello col labbrone da inciucio naturale. Sì,
proprio lui, l’orrendo trasformista che, poche ore prima
di recarsi a Montecitorio per mettere in atto
l’operazione che avrebbe fatto cadere il Governo del
quale era ministro di Giustizia, si affrettava a firmare
cinque nomine a suoi clientes per altrettanti posti di
potere.»
«Tornando a noi» puntualizza il cinico, «non bisogna
mai dimenticare che quella legge sull’indulto è stata
accettata per la prima volta da senatori e deputati di
entrambi gli schieramenti.»
«Certo!» aggiunge un altro. «Sempre per favorire amici,
colleghi ladri e perfino parenti provenienti da entrambe
le parti.»
In contrappunto molti ragazzi esplodono in una
fragorosa risata che termina con un grido corale: «Viva
l’Italia!»
«Datemi retta!» sentenzia uno sconosciuto. «Qui l’unica
soluzione onesta e patriottica è di lasciarlo affondare,
questo Paese. Non val proprio la pena di salvarlo.»
«Mi scusi» gli chiede il prete spretato, «lei di che Paese
è?»
«Di San Marino.»
«Ah beh, allora!»
Risata corale.
Quindi l’uomo col cappello rosso, quasi esplodendo,
riprende con tono acceso: «Come si fa ad andare avanti
così senza un minimo di responsabilità collettiva?
Siamo ancora una nazione o no?»
«Beh, una nazione senza uno straccio d’apparato di
gestione!» avverte il cinico. «Assomigliamo molto di
più a un convegno con scampagnata del cral dei
Collezionisti di Francobolli!»
«Va bene! Ma proprio per questo» ribadisce il cieco
«non possiamo tirare avanti da sciammannati senza il
minimo di regole. Ora stiamo campando anzi tirando a
campare in una specie di idillio mistico, ma cosa
succederà appena sorgeranno dei problemi? Quando ci
vedremo arrivare delle bande che proprio col pretesto di
mettere un po’ d’ordine ci incastreranno di prepotenza
dentro le loro regole… magari a botte in testa... come
reagiremo?»
«Ha ragione» dice un altro, «dobbiamo organizzarci,
per questo dobbiamo indire un’assemblea in un luogo
adatto dove si possa intervenire nel maggior numero
possibile. Io direi di ritrovarci domani mattina
all’Arena.»
«Quella per l’atletica leggera?» chiede il prete spretato.
«Sì, proprio lì, dietro il parco del Sempione.»
«Bisogna che ognuno passi voce. Vi va bene alle
nove?»
«Per me anche prima!» accondiscende il pescatore.
«No, direi che alle nove è un orario buono per tutti»
assicura il trampoliere.
I convenuti intorno sono d’accordo.
«Possiamo procurarci le chiavi» dicono quelli della
piccola banda. Così dicendo la riunione si scioglie e
anche noi ci prepariamo all’incontro di domani.
LE REGOLE DEGLI INFAMI
Il leone si mise in combutta con altri animali
per catturare insieme le prede.
Nel gruppo c’erano una iena, un lupo, un orso, una
volpe
e pure un babbuino.
La volpe organizzò la battuta assegnando a ognuno un
compito adatto alla cattura.
Così acchiapparono una gazzella e uno gnu.
«Portiamo il bottino nel mio antro» propose il leone.
«Domani all’alba venite da me, uno alla volta:
metteremo giù le regole della nostra società,
per primo come ci si debba dividere il bottino.»
Il giorno appresso il babbuino arrivò che il sole era già
alto all’ingresso della caverna dove dimorava il leone.
S’arrestò davanti all’entrata che dava in una specie di
tunnel: sul terreno c’erano orme fresche di animali che
disegnavano l’ingresso ma nessuna che ne indicasse
l’uscita.
Il babbuino s’affacciò e gridò dentro il tunnel: «Ci siete
tutti?»
«Sì» gli rispose il leone, «aspettavamo giusto te per
metter giù i capitoli della nostra congrega.»
«Ma sono arrivati anche la volpe e il lupo?»
«Come no! Sono qui che se la dormono beati. Muoviti!
Spicciati a entrare che tocca a te… Abbiamo bisogno
del tuo parere per le leggi!»
Il babbuino rispose: «Aspettate… devo pensarci su un
attimo. Ecco, me n’è venuta in mente una, la più
importante:
prima regola, non fidarti mai quando a far le leggi sono
i briganti».
Così dicendo fece rotolare un’enorme pietra verso
l’entrata e la spinse dentro il tunnel fino a incastrarla
tanto da chiuder l’antro.
Dalle Favole di Esopo
L’indomani mattina all’Arena la gente comincia ad
arrivare in anticipo e a gruppi si sistemano sulle
gradinate della cavea.
Ci sono anche i nostri amici che abbiamo già incontrato
al teatro di pietra e altri dinnanzi al Carcano, in Porta
Romana ecc. Passa mezz’ora, non sono ancora le nove,
e già l’Arena strabocca di gente. Il cinico e il professore
si sono accollati il compito di dirigere il dibattito e
ordinare i vari interventi. Per questo girano, aiutati da
un gruppo di ragazzi, per le gradinate a raccogliere i
nominativi di quelli che hanno intenzione di prendere la
parola. Levando lo sguardo verso l’alto, ognuno si
rende conto che dal cerchio superiore che fascia
l’Arena, spuntano una appresso all’altra torri eoliche in
gran numero che roteano senza alcun gemito o fruscio.
Ma la sorpresa maggiore è accorgersi che è stato
approntato un impianto con tanto di microfoni e casse
acustiche.
È ora: il cinico sale sul palco di fronte per introdurre il
dibattito. Si sente che è emozionato, ma si fa forza.
«Il tema in questione riguarda il problema di darci un
assetto legale, perché siamo convinti che una comunità
senza programmi e regole non abbia alcuna possibilità
di decollare. Se non vogliamo ritrovarci imburattinati da
una massa di soliti furbi e prepotenti bisogna che si
facciano proposte e le si discutano tutti insieme, ma con
ordine e metodo.»
«Sì, d’accordo, ma allora mettiamole giù subito ’ste
regole» li sollecita il maestro.
E il professore aggiunge: «Scusate, ma non
dimentichiamo che noi possediamo già un fior di
Costituzione! Non ci resta altro che riproporla e farla
rispettare».
«Un momento» li interrompe il cieco, «sono d’accordo
che si debba ripartire da lì, ma attenti che oggi la
situazione è un po’ cambiata. Tanto per cominciare, c’è
la questione della moneta decaduta e dei ticket che
sostituiscono giustamente il baratto. Ma già assistiamo
al riemergere di banche pigliatutto e di maneggioni che
gridano: ’Date a Cesare quel che è di Cesare!’ E guarda
caso loro si chiamano tutti Cesare!»
«È vero, specie in periferia le azioni di mafia sono
all’ordine del giorno» testimonia con forza uno
studente. «E per questo, bisogna trovare subito una
soluzione.»
«C’è il fatto delle appropriazioni» dice un giudice di
pace, «ci sono dei furbastri che si sono impossessati di
tre, quattro abitazioni e poi le subaffittano. Non
parliamo poi della questione del mangiare. Sono saltati
fuori nuovi mercanti che sono peggio di quelli di prima!
Impongono i prezzi come gli pare.»
La gente tutto intorno interviene.
«Uno alla volta per favore, non si capisce più una
parola!»
«Perdio! Che fate? Ci si sormonta uno sull’altro
adesso? Siamo tornati al clima del classico dibattito
televisivo? Un po’ di creanza e rispetto per favore!»
urla l’uomo obeso dal vocione.
«Giusto! Fate silenzio!» impone perentorio il maestro.
«Ho portato con me il testo della Costituzione. (Così
dicendo lo sbandiera a mano tesa.) Vorrei che ognuno si
procurasse carta e penna, si mettesse comodo e attento a
prender nota… Vedo che c’è qualche ragazzo col
computer: anche voi per favore trascriverete. (Poi,
guardandosi intorno.) Il ladro di intercettazioni
telefoniche è qua?»
«Sì, sempre presente! E con il mio registratore già in
funzione!»
«Bravo! Attenti che si comincia…» avverte lo speaker.
«Vai tranquillo, maestro, non mi lascerò sfuggire una
parola.»
Lo speaker dà l’ultima comunicazione: «Preghiamo i
venditori di bevande, dolcetti, panini ecc. di sospendere
per un attimo il loro deambulare di mercato».
AMMAZZA CON GARBO
Mosè s’arrampicò in cima al monte per ricevere le
tavole della Legge. Il Signore Creatore era già lassù che
lo aspettava: «Cominciamo subito!» ordinò fremente.
«Sono dieci tavole. La prima dice: io sono l’unico,
non avrai altro Dio all’infuori di me.»
«D’accordo» assentì Mosè, «ma resta inteso anche che
io qui rappresento il tuo unico popolo, quello eletto».
«Sì, certo» accondiscende a sua volta Jahvè,
«allora scriviamolo». «Ma stabiliamo anche che tu,
Altissimo, non avrai altro popolo all’infuori del mio».
«D’accordo, proseguiamo. Seconda regola: non
uccidere.»
«Come!?» esclama sorpreso Mosè.
«Niente ammazzati? Per nessuna ragione?»
«Beh» puntualizza l’Eterno,
«a meno che ci sia un altro popolo che attenti ai tuoi
diritti.»
«Solo in quel caso posso uccidere?»
«Sì, e ti è concesso di iniziare per primo per evitare
di essere attaccato alla sprovvista.»
«Ah beh, Jahvè, così va bene.»
«Proseguiamo» sollecita l’Immenso,
«non desiderare la donna d’altri.»
«Ma va?!» si lascia sfuggire sorpreso Mosè.
«Niente donna d’altri?»
«No» insiste perentorio Dio.
«Ma se la femmina io, invece di limitarmi a desiderarla,
decido di comprarmela?»
«La comperi dal marito?»
«No, mio Dio, parlo di una donna libera,
che non sia di nessuno.»
«Per favore, non diciamo sciocchezze»
ribatte l’incommensurabile.
«Una donna non è mai ’di nessuno’! Se non ha marito,
ha di sicuro un padre che ha potestà su di lei, un
protettore, un amante, un parente prossimo che le fa da
tutore.»
«Ma» insiste Mosè «se non ha nessuno che la
possegga?
Se è sola, abbandonata, orfana?»
«Ah, allora sì, si può!»
«E ancora, se è sposata e io la libero da ogni possesso?»
«In che maniera?»
«Ammazzando il marito.»
«Lo uccidi?»
«Sì!»
«E allora dipende: se tu sei un potente diventa
causa di forza maggiore, come dire…
una questione di Stato, e caschi in piedi!»
«Andiamo avanti: altra legge. La quarta: non desiderare
roba d’altri. E qui è uguale, basta sostituire donna
con roba… non cambia una virgola».
Frammento della Bibbia apocrifa
Si fa avanti il giudice di pace sollevando un grosso
bastone e mostrandolo a tutti avverte: «Attenti!
Personalmente ho il compito di battere a terra ’sta
mazza per interrompere chi, parlando, va fuori tema e
lasciar intervenire chi ha osservazioni o varianti da
proporre. Siete d’accordo?»
«Sì, vada pure!» rispondono in coro.
E il tranviere aggiunge: «Stia attento a non picchiarsi
sulle dita dei piedi!»
Il maestro riprende. «Allora, la Costituzione. Primo
articolo: L’Italia è una Repubblica democratica fondata
sul lavoro.»
Botto. BUM!
Il giudice di pace fa un cenno di accettazione per il
primo intervento.
«L’Italia è una Repubblica democratica» ripete un
operaio. «Se permettete correggerei: Deve diventare
una Repubblica democratica, perché a mio avviso
adesso come adesso non lo è che a parole.»
Il professore risponde: «Certo. Mi rivolgo a tutto il
pubblico: siete d’accordo che si modifichi con Deve
diventare?»
In coro, tutti rispondono: «Sì, d’accordo!»
«E allora scrivete: L’Italia deve diventare una
Repubblica veramente democratica e fondata sul
lavoro.»
Altro botto, altro intervento. BOM!
«Aggiungerei sul lavoro di tutti. E in particolare non
sullo sfruttamento del lavoro altrui.»
«Detto, accettato, (applauso) andiamo avanti! La
sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle
forme e nei limiti della Costituzione.»
BUM. Battito di bastone.
«Ma di chi? Di chi è sovrano il popolo?» interviene il
ragazzo calvo.
«Fermi tutti, questa della sovranità che appartiene al
popolo mi pare un po’ retorica» commenta il giovanotto
dal papillon, «non dimentichiamo che ognuno di noi
spera che la situazione attuale cambi, anzi si formalizzi,
giacché senza un’amministrazione efficiente, seppur
burocratica, non ce la faremmo, continueremmo a
trovarci sempre in un caos senza uscita.»
«Quindi» riprende il professore «la Costituzione
dobbiamo pensarla come chiave di volta di una
prossima società ripristinata ed efficiente e immaginarci
di vivere in quella situazione.»
«Perciò ribadisco» prosegue il papillon «che quella
frase sulla sovranità che appartiene al popolo è
paradossale, oltre che retorica. Immaginate che,
finalmente tra qualche tempo, fra un mese, cinque mesi,
un anno... torni a funzionare il normale apparato
amministrativo, Comune, Poste... si riaprono gli uffici e
noi ci rechiamo agli sportelli per ottenere un qualsiasi
documento... Si forma immediatamente una coda
infinita e quando poi arrivi all’impiegata responsabile,
quella immancabilmente, come accadeva prima, ti
impone di tornare un’altra volta giacché i tuoi
documenti non sono completi e se fai obiezioni e ti
lamenti, la capoufficio ti manda uno della vigilanza che
ti porta fuori di peso.»
«È successo a me!»
«E anche a me!» testimonia una maestra di danza. «Mi
hanno trattato come fossi una pezzente!»
«A me mi hanno pure minacciato!»
«È successo a tutti!»
«Giusto! È vero! Altro che popolo sovrano! Appena ti
metti in coda, per qualsiasi ragione, ti trasformi subito
in un cittadino di bassa categoria!»
«Non parliamo poi» aggiunge un altro «se per un
incidente o un malore stai male e ti portano
all’ospedale...»
E la solita vecchietta precisa: «Sempre che siano stati
finalmente riaperti, attivi e funzionanti, ’sti ospedali e le
cliniche! Se capiti in un giorno sbilenco ti può anche
succedere di rimetterci le penne. Nella confusione, e
non in grado di presentare credenziali speciali, ti
ammollano in un angolo... dimenticato. Non possiamo
scordare che, proprio qui nella nostra città, un mese
prima del blackout, a uno l’hanno ritrovato in un
boschetto nei pressi del Pronto Soccorso sulla sua sedia
a rotelle. Era morto da venti giorni! L’ha scoperto un
cane che abbaiava come un forsennato. A pochi passi
c’era un cieco seduto su di una panchina che ha intuito
l’allarme lanciato dal cane e ha chiamato aiuto. E quel
disgraziato avrebbe dovuto essere un rappresentante del
popolo sovrano?!»
E una donna rincara: «Ma il peggio ti può capitare se ti
viene prescritto un esame particolare, che so una tac o
una risonanza magnetica. Hai soldi in contanti o sei
coperto dall’assicurazione? No? Solo dalla mutua?
Attendere prego. A un mutuato gli hanno fissato la tac
dopo sette mesi dal giorno della visita con diagnosi.
Ripeto, sette mesi di attesa! Ed era stato fortunato!
Talmente fortunato che quando è arrivato il suo turno,
lui era già defunto da un mese, morto e seppellito. E la
beffa è che aveva già versato un acconto di garanzia!
Che naturalmente non gli è stato mai restituito, né a lui
né ai parenti!»
«Certo!» dice afferrando il microfono un venditore di
piadine alle erbe. «Ha ragione quel che ha detto prima il
ragazzo col papillon. C’è proprio da chiederci: ’Sto
popolo, di che è sovrano?»
«E allora cosa proponete di scrivere a ’sto punto?» fa il
dottore.
«Io proporrei una variante, che dovrebbe suonare più o
meno così: Medici, impiegati, ufficiali giudiziari, vigili
urbani fate in modo che ogni cittadino sia rispettato, in
quanto parte del cosiddetto popolo sovrano.»
«Io sarei più preciso» propone un altro, «aggiungerei:
Cari tutori della legge e della scienza, ricordate che voi
siete al servizio dei cittadini. Siete assunti da loro, non
dai dirigenti. Ogni cittadino non è solo un paziente, un
utente, un pedone, un solvente o un mutuato... È, anzi,
essi sono i proprietari unici della propria vita, e sono
sempre loro, come dire noi, a permettere che anche voi
abbiate una vostra vita.»
Esplode un applauso fragoroso. I venditori di
panzerotti, piadine, merende e bevande approfittano di
quell’ovazione per riprendere a far mercato.
«Accettato, scritto. Andiamo avanti.»
LA LEGGE VELOCE DEI GOTI
Teodorico re goto, da Ravenna, sta partendo per recarsi
alla guerra. Una donna dall’aspetto nobile, seppur
malandato, ferma il suo cavallo e così impone che la si
ascolti: «Teodorico, tu non puoi uscirtene da questa
città senza prima farmi giustizia. Mio figlio, che sempre
ti fu leale, è stato assassinato da una potente famiglia:
ho denunciato il delitto, è iniziato il dibattimento, ma
d’accordo, giudici e avvocati, con intrallazzi vari, hanno
procrastinato la conclusione a tempo infinito, per
l’esattezza dieci anni, per cui a giorni stiamo per veder
prescritto e annullato il processo».
Teodorico scende da cavallo e ordina che giudici e
avvocati siano invitati nel palazzo di giustizia. Giunti
che sono, il re parla: «Vi impongo di concludere
immediatamente il dibattito processuale. Se domani
entro mezzogiorno non sarete in grado di leggere la
sentenza, tutti voi, avvocati di parte lesa e di difesa,
giudici e cancellieri, sarete decapitati».
Sbianchiti in volto e tremanti, i responsabili di quel
ritardo si pongono subito all’opera e l’indomani allo
spuntar del sole sono già pronti a recitare il verdetto. La
famiglia portata in giudizio è ritenuta colpevole del
crimine e la donna deve essere intieramente rimborsata
della violenza e del danno subiti. Viene chiamato il boia
perché nella piazza si esegua la condanna: quando il
patibolo è innalzato, il re chiama i giudici e gli avvocati
e chiede loro: «Come mai in così breve tempo avete
prodotto una sentenza tanto giusta e ineccepibile? Vi
rendete conto che avendo voi impiegato tanti anni per
giungere alla conclusione significa che avete commesso
un grave reato mortificando la legge e rubando i denari
dei vostri stipendi allo Stato senza produrre giustizia?»
«Sì, ce ne rendiamo conto!»
rispondono in coro gli interpellati.
«Perciò, giudici e avvocati, accomodatevi tutti sul
palco» conclude il re. «Avrete a vostra volta mozzo il
capo.»
E pensare che Teodorico era ritenuto un barbaro.
Dalle Historiae di Procopio
Il giudice di pace batte il bastone a terra e grida: «Si
prosegue! Terzo articolo: qui si stabilisce che Tutti i
cittadini hanno pari dignità sociale. Avete preso nota?»
«No, no! Un momento, siamo di nuovo alle definizioni
retoriche, di grande effetto ma astratte» si sente gridare.
«Cosa vuol dire pari dignità sociale?»
E il giudice risponde: «Che a ognuno si deve dimostrare
rispetto per la sua persona, indipendentemente dal suo
stato sociale, l’abito che indossa, le credenziali che
presenta, gli appoggi di cui dispone».
Uno appresso all’altro lo contestano dei ragazzi: «E
finora è stato forse così? È una legge che viene
applicata?»
«No, proporrei di toglierla di mezzo.»
«Fermi» interviene il professore, «propongo: Il
cittadino deve battersi con tutta la sua determinazione
perché ognuno goda di una giusta parità sociale.»
«Accettato, proseguiamo!»
«E basta così?»
«No, preciserei: parità sociale poiché tutti sono uguali
davanti alla legge.»
Intanto lassù, sotto l’arcone, s’è piazzata una grossa
banda di ottoni e altri strumenti a corda e a percussione
e accennano un leggero sottofondo d’accompagnamento
agli interventi.
Il giudice di pace enuncia: «Articolo 4: La Repubblica
riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e
promuove le condizioni che rendano effettivo questo
diritto».
«Battete la mazza, per favore» chiede il cieco, «vorrei
intervenire.»
Botto del bastone. BUM.
«Sbaglio o l’articolo in questione dice che la
Repubblica promuove le condizioni perché il lavoro sia
garantito a ogni cittadino? E vi pare che questo
impegno sia stato mantenuto? Al tempo del blocco
totale d’ogni attività erano 3 milioni e più i disoccupati
in attesa di lavoro, di cui 1.054.000, scusate la
precisione, erano i giovani; più 3.800.000 precari d’ogni
età, quelli turlupinati con questa trovata del contratto a
progetto che imponeva loro di rimanere vacanti in
eterno con un impiego aleatorio e momentaneo senza
alcuna garanzia di continuità!»
«È vero» esplode l’operaio, «è un articolo fasullo! Una
bufala!»
«Piano, piano, non esageriamo» lo interrompe il
maestro. «In verità l’articolo dice ben altra cosa, e cioè
che la Repubblica promuove le condizioni che rendano
effettivo questo diritto.»
Una voce grida: «E quale sarebbe questa promozione
che dovrebbe rendere effettivo il mio diritto al lavoro?»
«Non è un impegno assoluto... è come dire: ’Guarda, io
ci provo, mi interesserò, farò il possibile, ma senza
impegno. Caro ex co.co.co., ora co.ca.ca, spera in Dio, e
tira a campà’!»
«Datemi retta» riprende l’operaio, «anche questo
articolo, a mio avviso, è da eliminare.»
Il professore lo blocca: «No, per favore! Non possiamo
cancellare un bel niente, la Costituzione è sacra! Al
massimo possiamo arrangiarla!»
Il prete spretato fa un gesto con la mano e interviene:
«A proposito di aggiustamento, qui c’è un commento
esplicativo della Costituzione che ci chiede: chi è il
popolo sovrano? Risposta: il popolo sovrano sono i
cittadini che hanno il diritto di scegliere i propri
rappresentanti attraverso il voto. Ma vi sembra che sia
proprio così? Se non sbaglio, nelle ultime elezioni,
ognuno di noi ha votato per il simbolo del proprio
schieramento, ma senza il diritto di esprimere una o più
preferenze. Una delega totale al partito. Cioè non ci
sono state preferenze determinate dagli elettori: le
preferenze le hanno decise le organizzazioni, i vertici di
ogni singolo partito, quindi loro hanno deciso chi
doveva rappresentare il popolo, non noi. Perciò
ribadiamo, dov’è il popolo sovrano?»
Il giudice di pace si inserisce deciso: «Per favore,
questo argomento esula dal contesto che ci proponiamo
di discutere, la nuova riforma elettorale stava per essere
varata... prima del blackout totale e definitivo!»
«Quale blackout? Quello causato da Mastella o quello
scattato con la fine del petrolio?»
«Tutti e due!» risponde l’uomo sconosciuto.
«Chiedo si prosegua. Accettato? Sì? Articolo 6: La
Repubblica tutela con apposite norme le minoranze
linguistiche.»
«Ohhh!» esclama il bibliotecario. «Qui ci siamo! Le
minoranze: un bene da preservare e difendere. A questo
proposito, una delegazione di rappresentanti della
Sardegna ha chiesto che venga applicata l’attenuante
etnico culturale anche in Italia, come è successo in
Germania, per i sardi maschi sorpresi a violentare
donne perché, come ha dichiarato il giudice tedesco di
Hannover, il sardo è parte di un’etnia ben differenziata
con antiche tradizioni in contrasto con le normali forme
culturali del resto d’Europa.»
«Per favore, non buttiamola nel grottesco» prega il
conducente d’autobus, «siamo seri... torniamo alla
Sardegna... voglio dire... alla Costituzione, in
particolare all’articolo che tratta dei rapporti con la
religione, il clero e il regno di Dio. »
IL CAPITALE COME PECCATO
Io ti ringrazio, Creatore, per il linguaggio fatto di chiare
parole che mi hai insegnato. Io ti rendo lode, Padre,
perché hai tenuto nascosto quello che mi hai insegnato
ai ricchi e ai sapienti cosicché lo possano intendere solo
i semplici e i bimbi. Vivete oggi la vostra vita, vi dico,
cercate di campare alla giornata, non curatevi del
domani; siate puri come i fanciulli, non accumulate
denari, non preoccupatevi di possedere una vostra casa,
non indossate ricche vesti.
Non vi fate tesori sulla terra: la ruggine
e la tignola consumano
e i ladri forzano le serrature.
Siate indifferenti al posseder beni,
ad accumulare cariche e stipare i granai. Siate come
«uccelli e gigli che non si preoccupano di vestirsi e di
seminare».
Non limitatevi a predicare questi comportamenti, ma
siate voi i primi a metterli in pratica.
Dai tre Vangeli sinottici
Il vecchio docente recita l’articolo numero sette:
«Articolo 7: Lo Stato e la Chiesa Cattolica sono,
ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I
loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi».
«Oh, ma questa è musica per le mie orecchie!»
commenta un pensionato.
«Ma a chi dobbiamo questa splendida pensata dei
Patti?» chiede una signora.
«Un momento, a proposito di musica io propongo» dice
la maestra di danza «che la nostra orchestra improvvisi
un sottofondo mistico a ciò che verrà recitato dal
professore».
«Oh, sì! Ci vuole!» li incoraggia un coro di voci.
Immediatamente, i musicanti intonano un Magnificat
largo e delicato al tempo.
«Professore, tocca a lei!»
Il professore si alza in piedi: «Eccomi qua, già pronto a
dare informazioni». Offre ai ragazzi risme di fotocopie
perché vengano distribuite. «I Patti Lateranensi sono
stati stipulati nel 1929 fra Mussolini e il papa di allora,
Pio xi.»
Esplode un «Ohhh» sussurrato come un Alleluia
scandito da commenti appropriati: «Papa re! Papa duce!
Fascio e Chiesa ci conduce!», «Segno di croce e saluto
romano tutti uniti in Vaticano.»
«Zitti…! E seguite! Entrambi, l’uomo mandato dalla
Provvidenza e la Provvidenza fatta Papa, avevano come
programma di ottenere reciprocamente degli importanti
vantaggi politici ed economici.»
All’istante l’accompagnamento liturgico si fa
sottilmente marziale.
«Innanzitutto la Chiesa doveva riconoscere il Partito
Fascista come partito unico alla guida dell’Italia; inoltre
il papa si impegnava a eliminare, imponendogli le
dimissioni, don Sturzo, fondatore del Partito Popolare,
acerrimo oppositore di Mussolini. In compenso lo Stato
Italiano doveva intervenire per salvare il Banco di
Roma, uno storico istituto di credito sull’orlo del
fallimento, e nel dissesto del quale la Chiesa era
coinvolta.»
«Eh no, scusate» interviene timidamente una signora
dall’aria modesta.
L’orchestra s’arresta.
«Se la buttate così in farsa, è logico che otterrete
l’ilarità di ognuno.»
«No, signora» si difende il professore, «non c’è nessuna
farsa qui, purtroppo è solo una tragedia, giacché è sulla
nostra testa che si sono architettate e si continuano a
elaborare certe infamità.»
«Per favore, non perdiamo il filo del discorso. Si stava
parlando del salvamento del Banco di Roma dalla
catastrofe.»
Riprende il sottofondo con andamento da romanza.
«Ma coi soldi di chi l’hanno rimesso in piedi ’sto
banco?»
Risposta a più voci:
«Ma naturalmente coi nostri di quattrini!»
«Siamo tutti noi i benefattori storici della Chiesa tanto i
credenti che gli atei che i bestemmiatori!»
«Ecco, i bestemmiatori, giustamente per punirli dei loro
peccati!»
«No, no, non posso accettarlo!» urla l’operaio. «Io che
salvo il papa...!? No... no... io mi sparo...!»
«Zitti, per favore!»
L’orchestra si è azzittita un attimo, ma poi riprende
intonando una dolce pescarola.
«Un po’ d’attenzione. Già allora la Chiesa, in seguito a
quei Patti, godette di notevoli privilegi e regalie. Fra
queste il dono delle acque.»
«Che significa delle acque?» chiede una giovane con un
bimbo in braccio.
«Significa che tutta l’acqua proveniente dall’acquedotto
del Lazio, erogata nel Vaticano, che ancora oggi bagna
fontane e riempie piscine dello Stato Pontificio, il
sistema di irrigazione dei parchi… per non parlare poi
dell’acqua santa, è stata fin d’allora erogata gratis dal
nostro Stato a quello del Vaticano!»
E un altro interviene: «Scusa, offerta al Vaticano da
noi? Ancora oggi?»
«Sì, certo... anzi oggi l’erogazione è di gran lunga
aumentata rispetto al ’29 causa le piscine e i getti
d’acqua nei parchi.»
«Eh sì, oggi tutti si lavano di più, compresi i religiosi!»
aggiunge un altro.
Lo spretato solleva la mano e testimonia: «È vero! Oggi
ci inzuppiamo molto di più!»
«Di quanto è aumentata l’erogazione da allora?» chiede
il cieco.
«Siamo a 5 milioni di metri cubi d’acqua all’anno» ci
informa l’ingegnere.
«BUMPETE!» esplodono dei ragazzi! E in coro
ritmano:
«La santa lavanderina
che sguazza nell’acqua a getto
che sciacqua e si risciacqua
spalle, pancia e petto;
noi gli diamo l’acqua chiara
e lor ci rigettano
lo scarico benedetto!»
«Naturalmente in quella cascata d’acqua è inclusa
anche l’elargizione per servizi igienici, domestici e per
tutte le altre comodità idriche, compreso il lavaggio
delle automobili: dal 1999 a oggi, cioè in nove anni, per
la cifra di 52 milioni di euro, cioè 100 miliardi di
vecchie lire!»
Tutti in coro: «Salute! Dio ci benedica!»
«Ma tutte queste sono bubbole, rispetto ai vantaggi
elargiti negli ultimi anni dai nostri governi alla Chiesa,
a cominciare dall’esenzione delle tasse sui beni
immobili a uso commerciale come gli alberghi, per
esempio. Qualche mese fa Curzio Maltese, giornalista
de «La Repubblica», ha fatto esplodere un grosso
scandalo elencando le case-albergo e i grandi hotel di
cui la Chiesa è proprietaria e amministratrice. Questi
alberghi, molto eleganti, con servizi da hotel di quattro
o cinque stelle, frequentati da americani, giapponesi e
altri turisti e imprenditori molto abbienti, sono iscritti al
catasto come convitti cosicché non pagano l’ici, la tassa
sugli immobili.»
«Ma è un abuso inaccettabile!» commenta il pensionato.
«Infatti» riprende il professore «nel 1992 la Corte di
Cassazione ha giudicato illegittimo l’accordo che
permette alle organizzazioni cattoliche di evadere l’ici,
ma attraverso gabole e manovre nelle quali sono stati
ingaggiati ministri e sottosegretari del penultimo e
dell’ultimo governo, compreso Prodi, ancora oggi
l’impresa vaticana riesce a evitare il pagamento dell’ici
per la modica cifra stimata da 400 a 700 milioni di euro
l’anno.»
L’orchestra esplode in un «Gloria» possente.
«No, scusate, perdonate, ma non posso accettare questo
gioco al massacro» interviene la signora dall’aria
modesta. «Perché non dite anche delle opere di carità,
dei denari elargiti in Africa per aiutare bambini e per
combattere le epidemie…?»
«Signora, mi spiace ma è stato appurato che la parte
devoluta alle buone opere dalla Chiesa corrisponde a
cifre minime rispetto agli introiti complessivi. Al
contrario si è scoperto che una valanga di soldi pubblici,
pari a 3500 miliardi di lire stanziati per il Giubileo del
2000, più quote consistenti dell’otto per mille, sono
finiti in questi anni nelle ristrutturazioni immobiliari
che hanno trasformato conventi, collegi e ostelli in
moderne catene alberghiere.»
«Eccolo lì… l’otto per mille! Lo aspettavo! Questa è
un’altra bella gabola da chiarire. Tanto per cominciare,
vorrei sapere a quanto ammontano i milioni elargiti alla
Chiesa cattolica apostolica romana…»
«Ma cosa dici milioni…? Di’ pure un miliardo! Un
miliardo di euro in donazione spontanea da parte
dell’intiera popolazione del nostro Paese.»
«Ma stai a sfottere! Spontanea!? È una trappola che
neanche il gatto e la volpe con Pinocchio avrebbero
inventato! Per questo ci mandano a catechismo fin da
bambini!»
«Eh no! Questo è troppo! Me ne vado!» s’indigna una
vecchietta con la croce appesa al collo.
«Beh, ma se non si può neanche più scherzare sulle
furbizie del santo clero… che vita è?!» sbotta il capo
orchestra interrompendo l’esecuzione.
«Scusate» interviene ancora la signora dall’aspetto
modesto, «ma io ci sono stata in uno di quegli alberghi
che voi avete sbeffeggiato, in particolare sono stata in
uno, conosciuto come la Casa di Santa Brigida, in
piazza Farnese… è gestito da suorine deliziose… che
parlano tutte le lingue… e si chiamano Brigidine.»
«Signora» ribatte il papillon, «si vergogni! Fare
dell’umorismo su quelle sante donne!»
«No, no, è proprio così che si chiamano…! E ho saputo
che lavorano anche dieci e più ore al giorno…»
«E sa quanto percepiscono di stipendio?» gli fa eco lo
spretato.
Tutti in coro: «No, quanto?»
«Nulla. Lavorano totalmente gratis… e non
percepiscono nemmeno mance né pensione.»
«Ma bene! Non hanno neanche un sindacato? Ma lo sa
lei, signora, che è illegale, sfruttare lavoratori, anche se
femmine, attraverso la suggestione mistica della fede?»
«Ecco. Questo è un comma assoluto che dovremmo
inserire nella nostra Costituzione» conclude il
professore.
«È vietato, e quindi punito, lo sfruttamento di
manodopera semplice e specializzata ottenuta attraverso
ogni forma di plagio spirituale con promesse di premi
celesti non tassabili.»
«Alzi la mano chi è d’accordo.»
Tutti levano le braccia, entusiasti. «Accettato.
L’articolo entra nella Costituzione Italiana come
numero 7 bis.»
Rullare di tamburi e strombazzate da Giudizio
Universale.
«Accettato? Proseguiamo. Articolo 9: La Repubblica
promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca
scientifica e tecnica... Cosa vuol dire cultura? Un certo
Machiavelli diceva che ’scienza, conoscenza e sapere
determinano la cultura’ e si chiedeva anche: ’Come si
acquisiscono questi valori?’ Quindi si rispondeva ’con
lo studio’, che allora significava soprattutto l’università,
’attraverso la ricerca, lo sperimentare, confrontare e il
verificare’. ’Ma’ aggiungeva, ’per creare una sapienza
vasta e condivisa, abbisognano i mezzi e la molteplicità
degli aventi diritto.’ In poche parole, se in una società
fortemente popolata da giovani, nelle scuole in genere
gli studenti sono in numero scarso, saranno scarsi anche
i risultati: pochi fortunati ammessi allo studio
significano la carenza generalizzata della conoscenza e
delle idee! Ed è ciò che succede da noi in Italia!
L’errore è proprio quello di selezionare da una parte gli
studenti che essendo in grado di pagare rette notevoli
possono accedere a scuole private e di alto livello,
dall’altra i non abbienti che si devono accontentare di
scuole pubbliche meno attrezzate e soprattutto meno
prestigiose. I primi, trovandosi nella categoria dei
garantiti, avranno facilità di accesso all’impiego, i
secondi dovranno accettare quel che dà il convento,
cioè precariato, call center… l’indigenza!»
«Certo che venire a sapere» commenta il ragazzo calvo
«che qualche tempo fa l’allora ministro della Pubblica
Istruzione di centrosinistra Fioroni, con la miseria di
sovvenzioni di cui gode la scuola pubblica, sia stato
scoperto a elargire sovvenzioni ricche e speciali alle
scuole private, prediligendo le cattoliche, fa venire i
brividi!»
«Aggiungi pure» interviene il prete spretato «che
l’articolo sul diritto allo studio e alla conoscenza uguale
per tutti è, di fatto, una specie di corsa per cavalli con
handicap molto differenziato, diciamo pure una corsa
truccata dove i vincitori si conoscono già ancor prima
della partenza, e le scommesse le fanno gli allevatori,
che sono anche padroni della pista e dell’ippodromo.»
I giovani presenti improvvisano una specie di danza,
cantando:
«Corri, corri, la corsa è bella
corri, corri cavallo da sella
la pista è sicura ma c’è chi è dopato
sbava e sbuffa, tutto il gioco è truccato
il mossiere è un uomo fidato,
l’allibratore, di certo, ha pagato;
tu, cavallo mio, sei già fregato
se poi inciampi e cadi di schianto
e lo stinco di netto è spezzato
verrai accoppato
un botto in testa e sei fottuto
il gioco è quello:
finisci al macello!»
Il giudice di pace batte la mazza e grida: «Basta così! Si
riprende».
«Articolo 10: La Repubblica (…) tutela il paesaggio e il
patrimonio storico e artistico della nazione.»
«Tutelare» specifica il maestro «in questo caso significa
impedire lo scempio del patrimonio artistico e storico
della nazione causato dalle costruzioni abusive a
valanga, a cominciare dai cosiddetti ecomostri, e ancora
ville e villette edificate in territori protetti anche dalla
Comunità Europea.»
«Ma questi sono casi particolari» puntualizza un
fotografo, «la costante invece è l’abusivismo di massa,
spesso davvero criminale. Un discorso a parte va fatto
per certe abitazioni fuorilegge, costruite da disperati che
rischiano una dura condanna e l’abolizione immediata
dell’opera abusiva.»
«Mi viene in mente a questo proposito» interviene un
maestro dell’Accademia «un film al quale ho
collaborato da ragazzo. L’autore del soggetto era
nientemeno che Zavattini e il regista l’inarrivabile De
Sica. Un film bellissimo, un capolavoro. Io ci lavoravo
come sceneggiatore. La storia era davvero geniale.»
«Ho capito di che parla» dice con soddisfazione il
fotografo, «si tratta di Il tetto, un film del 1956. È
davvero una pellicola stupenda.»
«Fra tutti e due» interviene la ragazza fascinosa «non
potreste raccontarci la trama?»
«Oh sì!» l’appoggiano con entusiasmo altri giovani.
«Forza maestro! Cominci lei!»
«Cercherò di essere il più succinto possibile…»
«No, niente succinto! Ce lo racconti senza tralasciare
alcun particolare! Sennò che gusto c’è?»
«D’accordo, ci proverò. Dunque, siamo nel dopoguerra,
cinquant’anni fa. Allora le case venivano su come
funghi: bisognava ripristinare e ricostruire ex novo
quelle distrutte dai bombardamenti. Il protagonista è un
ragazzo che chiamano Pietro Fenomeno perchè
dimostra un’abilità a metter su muri che ha del
portentoso. Non c’è nessuno nel cantiere che lo possa
eguagliare. Il suo sogno sarebbe di farsi da sé una
piccola casa per viverci e per questo mette i soldi da
parte per riuscirci. La terra per tirarci su i muri ce l’ha,
proprio presso la ripa destra del Tevere alto: un posto
stupendo, gliel’ha lasciato suo padre. Ma il permesso,
quelli del Comune, non glielo concedono; quindi, Pietro
Fenomeno accantona l’idea e s’arrangia a dormire in un
gabbiotto del cantiere, il deposito degli attrezzi. Un
compagno di lavoro, un giorno, gli mostra un plico di
carte. Si tratta di una raccolta di leggi sull’edilizia, dove
c’è un capitolo che pare una sfida. Dice: ’Se uno, in
possesso di uno spazio proprio, seppur privo di licenza,
riesce in una notte a fabbricare un’abitazione di un
unico piano, restando nelle regole di struttura e, prima
che spunti il giorno, è in grado di montarci il tetto…
ebbene, nessun ente può ordinargli l’abbattimento’.»
«Ma sembra una favola da Mille e una notte, uno dei
quesiti folli della Turandot!» esplodono le donne del
coro.
«Eppure è così. Non dimenticate che siamo in pieno
Neorealismo e, come regola, le storie dovevano
dimostrare una provenienza reale» puntualizza con tono
sagace il fotografo.
«Va bene, va bene» lo sollecitano le donne eccitate,
«andiamo avanti, che cosa succede nel film?»
«Succede che Pietro, il muratore provetto, s’innamora.»
«Ah! Lo sapevo!» esclama una ragazza riccioluta.
«Doveva per forza saltar fuori l’amore, se no, che storia
è? E lei chi è?»
«Una figliola» prosegue il maestro «dai capelli folti
rossi, di nome Libera, in cerca di lavoro, che si presenta
al capomastro dicendo: ’Io so metter su muri, so leggere
un progetto e realizzarlo’. Gli operai edili che, per caso,
si trovano nell’ufficio, trasecolano. ’Beh? Che c’è di
strano?’ ribatte lei. ’Credete che far la sguattera in una
cucina di una trattoria sia meno pesante? E poi, io
vengo da una famiglia di muratori. Da mio padre ai
miei fratelli, tutti hanno vissuto in cantiere, e io con
loro!’ ’Beh, proviamo’ taglia corto il capomastro. Così
la ragazza comincia a darsi da fare nel cantiere: si è
infilata una tuta e una coppola in capo che le raccoglie i
capelli. Pare un maschio! Pietro Fenomeno la incontra
su un’impalcatura; scambiandola per un garzone, le
passa un secchio che oscilla e si rovescia sbuffando
malta in faccia alla ragazza facendole sparare fuori i
capelli. ’Una donna!?’ esclama sorpreso il ragazzo. ’Sì,
perché? Ti fa schifo?’ ’No, tutt’altro… ma ecco… io
non pensavo mai…’
«Il Fenomeno s’incespica con le parole e… anche con i
piedi. Pone male l’appoggio sui gradini della scala…
ruzzolone! Oplà! Si trova tra le braccia della ragazza.
Niente di rotto, ma che botta al cuore! Ridono. Da quel
giorno stanno sempre assieme. Lui le confida del suo
progetto da scommessa: costruire una piccola casa, a un
piano, ma di buona misura, in una notte. La ragazza è
entusiasta, ma lui è pieno di dubbi. ’Tutto dipende’ dice
lei ’se ci organizziamo in modo scientifico.’ ’Beh,
certo. Bisogna prevedere ogni cosa.’ Detto, fatto:
lavorano un mese a preparare i vari pezzi da montare. E
poi via che si parte! Si arriva sul terreno su cui edificare
che è appena calato il sole con il camion e la ruspa: si
raspa con le pale, si scavano le fondamenta. Tre
compagni di Pietro scaricano tutto il materiale: scale,
trabattelli, sopralzi, travate per le porte e le finestre, un
gran bidone per la mota, calce eccetera.»
«Ma dico, in ’sta storia non si fa mai l’amore?» chiede
seriamente preoccupata la ricciola.
«Come no! Sull’impalcatura si copula come dei pazzi!»
risponde il fotografo. «I miei porno li scatto tutti lì!»
«Continuiamo…» riprende il maestro. «Pietro
Fenomeno comincia a tirar su i muri: un mattone
appresso all’altro. La ragazza glieli lancia a ritmo
sostenuto, lui li acchiappa al volo come in un numero
da giocoliere; c’è anche un altro muratore dall’altro lato
con il suo garzone, che fanno altrettanto. I muri salgono
come in una sequenza da cartone animato: vengono
inserite le centine e le battute per le finestre e le porte.
’Siamo un po’ in ritardo.’ ’Non ce la facciamo!’ urla
disperata la ragazza. ’Fra mezz’ora spunta l’alba e non
abbiamo ancora cominciato con il tetto!’ Pietro
Fenomeno la tranquillizza: ’Calma, ci resta ancora il
colpo di riserva da mettere in scena’. ’Di che si tratta?’
’Sorpresa!’ Il Fenomeno porta due dita alle labbra ed
emette un fischio da locomotiva. Subito, come
d’incanto, dal canneto lungo il fiume, spuntano due
ragazzini: ’Siamo pronti!’ gridano. ’Bene! E noi
spingiamo più che si può! Siamo al gran finale. Come
vedete arrivare vigili o guardie partite con la
sceneggiata.’ Dopo un po’, ecco apparire i ragazzini sul
ponte di legno che attraversa il fiume e di lassù fanno
gesti agitando le braccia; poi si tuffano nel Tevere con
un gran grido. Due tonfi, poi risalgono e, sbattendo
braccia e gambe come forsennati, urlano: ’Aiuto! Aiuto!
Salvateci, per carità!’ ’Chiamate quel barcarolo!’
ordinano le guardie accorrendo. Un vigile si toglie
giacca e scarpe e poi si butta. Il barcarolo arriva a dar
soccorso ai ragazzini che, fingendosi travolti dalla
corrente, si allontanano verso la foce. Giunge anche
un’altra barca: c’è un po’ di confusione, anzi panico…
poi finalmente acchiappano i ragazzini e li portano a
riva. I due malandrini recitano gli svenuti da rianimare,
poi ecco che fan mostra di vomitare, gridano e
piangono. Salvi, sono salvi! Quando le guardie
finalmente raggiungono il cantiere, Libera, la ragazza
capelluta, Pietro Fenomeno e i suoi tre compagni hanno
appena terminato di montare il tetto. Stanno danzando e
ridendo felici. ’Ben arrivati!’ è il loro saluto alle
guardie. ’Vi aspettavamo. La casa è pronta, sfornata
calda. Adesso apriamo la porta e oplà!, siate i
benvenuti! Vi presento i miei amici e la mia ragazza.
Dal momento che, ora che abbiamo la casa, possiamo
finalmente sposarci’.»
La banda dei clown intona una specie di marcia nuziale
roccheggiata: tutti esultano soddisfatti.
«Che bella storia!» inneggiano in coro.
«Pausa! I venditori ambulanti possono scatenarsi per
almeno un’ora» e così dicendo il giudice di pace batte la
mazza.
IL LUNATICO È UN PAZZO
Alla fine delle sue conquiste Alessandro Magno si fece
trasportare da due grifoni in cielo raggiungendo la luna.
Come scese sulla polvere bianca gli venne incontro una
processione vociante: erano uomini, donne e bambini
che assomigliavano a statue mutilate, alcuni erano senza
testa, altri senza braccia… altri ancora col corpo
divelto, squarciato.
Eppure, si muovevano senza impaccio.
«Ma chi sono? Chi li ha ridotti a questo modo?» chiese
sorpreso Alessandro.
«Davvero non li riconosci?» lo pungolarono i grifoni.
«In gran parte è opera tua e di altri magnifici
conquistatori al par tuo.»
Gli sconciati passarono dinanzi all’Imperatore e quelli
che possedevano ancora la testa gli sputarono in faccia.
« La visita è terminata.»
I grifoni all’unisono sghignazzando lo sollevarono
e lo scaraventarono giù dalla luna. L’imperatore
rotolava nel vuoto scomparendo tra le nuvole. Pochi
istanti prima che si
sfracellasse al suolo i due grifoni lo acchiapparono al
volo.
Qualche tempo dopo Alessandro vagava come ebete fra
i visitatori dei mercati, era terribilmente invecchiato,
irriconoscibile… Ogni tanto diceva a gran voce:
«Io sono Alessandro il Grande!»
«È un pazzo!» commentava la gente.
«Tutti sanno che Alessandro s’è perduto nel deserto.»
Certo, nel deserto del suo cervello!
Dallo pseudo Callistene
«Basta così! Si riprende!» Il giudice di pace batte la
mazza con forza e declama: «Articolo 11: L’Italia
ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà
degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali…»
I clown intonano una marcia grottesca e improvvisano
una sfilata militare davvero spassosa con tonfi, cadute e
capriole.
Immediatamente, interviene scatenato l’obeso col
vocione: «Scusate, ma lo abbiamo mai rispettato questo
articolo?» E, così dicendo, sbandiera un gran foglio
stampato a lettere cubitali, dove si legge chiaro:
«L’Italia ripudia la guerra».
L’obeso col vocione prosegue: «Siamo rimasti in Iraq
per più di tre anni e abbiamo ancora oggi truppe del
nostro Paese in Afghanistan. Ma dal giorno del blocco
dell’energia, non ne sappiamo più niente».
«E speriamo che, seppur con aerei e navi inagibili, ce la
facciano lo stesso a tornare indietro» commenta con
voce angosciata la signora modesta.
«D’altra parte» dice il tranviere, «sapete cosa significhi
Af - gha - ni - stan? Me l’ha confidato un soldato russo
che da quell’inferno si è salvato per miracolo: ebbene,
’Af’ vuol dire ’topo’, ’ghanis’ significa ’bianco’, ’tan’
vuol dire ’trappola’, ’trappola per topo bianco’! E i ratti
bianchi siamo noi…»
Qualcuno tenta una risata ma viene subito zittito in
malo modo.
«Io mi chiedo» dice il signore dal cappello «a che scopo
hanno mandato laggiù i nostri ragazzi? Ma perdio,
governo di dementi, andate a sostenere Bush, quel
rintronato cronico… oltretutto calato di credibilità al
suo Paese al punto d’aver sorpassato il più basso dei
livelli raggiunti da un presidente di tutta la storia
d’America.»
«Calma, calma» puntualizza la signora modesta. «Noi
non eravamo coinvolti nella guerra, ma inviati in
operazione di pace.»
«Ma che dice, madame? Scherza?» la zittisce la ragazza
fascinosa.
«No, no!» assicura il signore con il papillon. «Il
parlamento quasi al completo era d’accordo con questa
premessa.»
E il rapato ribadisce: «Sì, sì! Le nostre erano truppe
esclusivamente di pace e con un programma di aiuti
umanitari».
«D’accordo, ma seppure in veste non aggressiva, siamo
stati conniventi!»
«Che cosa vuol dire esercito di pace» s’inserisce un
altro, «se poi ti presenti con carri armati pesanti,
elicotteri da combattimento, aerei d’assalto e
distruzione!? Puoi scriverti sul petto ’Siam qui per
portare la pace’?»
Interviene ironico anche un giudice in pensione: «Io
vorrei chiedere ai ministri competenti: perché non ci
raccontate che si tratta di un’armata da passeggio, o
meglio in azione di soccorso umanitario, come
dichiarato da sempre? E già che ci siamo, come poteva
fino a poco fa un governo di centrosinistra, libero e
giocondo, spiegare l’acquisto, nei primi mesi del suo
mandato, di 133 aerei da combattimento chiamati Joint
Strike Fighter, che tradotto significa ’caccia
bombardieri di immediata distruzione’?»
«Ammazza!» sbotta un signore elegante. «Eccovi in
carne e ossa un giudice davvero comunista.»
Ma lo sfottuto non raccoglie e prosegue: «E sapete
quanto costa ogni singolo Joint Strike Fighter? Ecco la
cifra: esattamente 100 milioni di euro cadauno. Ma
attenzione: non si concedono prototipi singoli, il
contratto vale solo se si acquista lo stormo al completo.
Nel nostro caso si tratta appunto di 133 aerei. Prendere
o lasciare. È proprio il caso di gioire del fatto che la
moneta sia crollata e quindi il nostro debito non si possa
estinguere».
I clown in coro recitano: «Signore altissimo e
misericordioso, rimetti i nostri debiti e anche quelli dei
nostri amministratori, passati e fottuti… voglio dire…
futuri! Amen!»
«Ecco» dice il conducente di autobus, «a ’sto punto
come concludiamo questo capitolo sulla guerra? È un
problema!»
«No, non c’è nessun problema» lo rassicura
l’ingegnere, «oggi, e l’abbiamo già ribadito più volte,
grazie alla crisi energetica l’esercito e la guerra sono
solo spettri vuoti, quindi nessun pericolo.»
«Come nessun pericolo?» scatta seccato il professore.
«Nessun pericolo adesso, in questo momento, ma noi
stiamo rivalutando la Costituzione per un prossimo
futuro… sempre se ce l’avremo. Appena si ritroveranno
altri propellenti in grado di muovere quelle e tutte le
altre macchine da guerra, riprenderanno valore i termini
’patria’, ’difesa della nazione’ e via di seguito.»
«Tant’è vero» aggiunge lo studente con lo zaino «che
gli accordi di azione congiunta militare sono rimasti
operativi.»
«Certo!» fa il ragazzo sui trampoli. «A me l’idea che si
possa andare a bombardare gente inerme, donne e
bambini, con caccia che vanno a olio di girasole o
benzina di barbabietole, e che i carri armati vadano a
sparacchiare contro operai che protestano su macchine
tremende che si muovono con olio di marijuana e di
hashish concentrato mi fa un po’ impressione!»
«Scusa, scusa, ragazzo» s’intromette il cinico. «Si stava
parlando di accordi operativi…? Operativi di guerra? E
dove? E con chi?»
«Certo, di guerra. Ultimamente» riprende il professore
«si è scoperto, grazie a uno studio di un analista
americano, Hans Christensen, che l’Italia ospita, sul
proprio territorio, 90 bombe atomiche degli usa.»
«Ancora adesso…? Bombe atomiche? E dove?» chiede
uno sconosciuto.
«Cinquanta sono nella base di Aviano in Friuli, le altre
40 si trovano a Ghedi, nel bresciano. Naturalmente in
bunker sotterranei… E qui vi chiedo: sono in deposito
da noi per gusto collezionistico? No, fanno parte
dell’Ascia di Pietra, Stone Axe, cioè un accordo segreto
fra il nostro ministero della Guerra, pardon della Pace, e
quello degli usa.»
«Ma porca d’una miseria vacca!» bestemmia un ciclista.
«E nessuno ha avuto l’ardire di cassare questo infame
accordo!? Siamo in crisi energetica, ma però con le
bombe sotto il culo!»
«Certo!» gli fanno il verso altri ciclisti. «È per tenerci
su di giri, allegri e vispi.»
«Ma scusate» riprende il primo. «Che potenza hanno
’ste ogive?»
«Sono di tre modelli: B61-3, B61-4 e B61-10» recita il
professore. «Ogni ordigno del primo tipo ha una
potenza di 107 Kiloton, cioè almeno 10 volte superiore
all’atomica buttata su Hiroshima.»
«BUMPETA!» commenta il coro. «Salute!»
Dall’alto un giovane viaggiatore appeso a un paracadute
volante atterra sul prato, quasi addosso alla folla.
«Scusate, disturbo?» chiede. «Sono sceso perché mi è
arrivato il discorso sulle ogive atomiche e volevo dirvi
anche la mia. Un mio zio, osservatore militare in
pensione, mi ha passato un documento redatto dal suo
gruppo di ricerca, secondo il quale 163 ragazzi del
nostro esercito impiegati in Kosovo e su altri campi
militari, in questi ultimi anni sono deceduti perché
colpiti da cancro e leucemie causati dall’uranio
impoverito.»
Si fa un silenzio davvero di morte. Il ragazzo volante
riprende un gran respiro e continua: «Sempre a causa
del morbo in questione, altri 2353 ragazzi sono
gravemente malati e parecchi sono in fin di vita. Ci
sono state denunce ripetute da familiari, ricercatori,
gruppi d’inchiesta universitari e ospedalieri, ma
l’Esercito e il ministero della Difesa hanno, con tutti i
mezzi, cercato di mascherare la tragica verità e negare
attraverso dichiarazioni di scienziati compiacenti che i
decessi siano stati causati dalle radiazioni suddette. Non
si è voluto nemmeno riconoscere loro, ai caduti, il
decesso per causa di servizio. Questi sono crimini
contro l’umanità, non solo di guerra!»
Un vecchio zoppicante trattiene con fatica le lacrime e
dice: «Ho un figlio che sta morendo proprio a causa
delle radiazioni di uranio che l’hanno colpito in
Kosovo. Non percepisce né pensione né rimborsi per le
visite e le medicine. Per fortuna un gruppo di amici ha
messo in piedi una colletta…» Poi, rivolto al ragazzo
volante: «Scusami se t’ho interrotto. Vai pure avanti».
«Un momento, fatemi prendere un po’ di fiato.»
«Sono sconvolto!» grida un altro. «Più che prender
fiato, io vorrei vomitare…»
Sottotono, il vecchio zoppicante dice: «Non so voi…
ma a questo punto, io vi chiedo che valore abbia ancora
l’articolo della nostra Costituzione sul ripudio della
guerra… Non sarebbe più corretto riscriverlo in un altro
modo?»
Fra la gente c’è anche un attore di scarso successo che
si dice d’accordo: «Anzi, personalmente proporrei»
aggiunge deciso «che quell’articolo sul ripudio della
guerra fosse sostituito da un brano di Aristofane, sapete,
è il più grande satirico greco».
«Sentiamo il satirico!» lo incoraggia il calvo.
«Ci provo, e scusate se ogni tanto dovrò andare a
soggetto.»
«Vai! Vai! Vai tranquillo!» lo sostiene l’orchestra in
coro.
«Il fabulatore è un vecchio soldato che viene in
proscenio tutto sderenato e fa l’elenco dei colpi subiti
nelle varie battaglie. ’Il piede ce l’ho mozzato per via di
una lancia dei persiani. Nel ginocchio c’ho ancora una
scheggia di lama spartana, nel cranio c’ho un bozzo
dovuto a una pietra dei siracusani. Un testicolo l’ho
perso grazie ai beoti… E mi fermo qui perché il
racconto di cosa m’è successo fra le natiche, vi
indurrebbe a un’eccessiva risata!’ Zoppicando si
muove, poi s’arresta e prosegue. ’Basta. Non si può più
andar avanti con ’ste guerre. Io ci ho perso tutti i miei
fratelli, gli amici più cari e anche un gran numero di
nemici che non mi avevano fatto proprio niente. Ma
come si fa a fermare ’sto massacro? Tutti i nuovi eletti
al parlamento in ogni rimpasto giurano che non
accetteranno mai più l’idea di gettarsi in armi contro
chicchessia, nemmeno per difendersi! E poi
immancabilmente ricadono nel conflitto. Io dico che se
continueremo a eleggere nostri rappresentanti maschi
non usciremo mai da questa calamità. Solo un governo
composto unicamente da donne, donne femmine, ci può
salvare. Ma bisogna imporre loro, come prima legge,
che agli uomini sia proibito di indossare una qualsiasi
armatura e di partecipare a qualsivoglia conflitto, pena
l’esilio perpetuo. Noi non neghiamo la guerra ma
imponiamo che l’esercito del nostro Stato sia composto
solo da femmine, anzi, esclusivamente da donne madri.
Solo così, c’è da giurarlo, i cittadini maschi si
opporranno a qualsiasi massacro perché in verità solo i
figli sono in grado di impedire che la propria madre
vada a morire. Le madri, è ormai assodato, non amano
sopra ogni cosa i figli. Se così fosse impedirebbero con
le unghie e i denti che glieli portassero alla morte.
Purtroppo, forse, è proprio nella natura delle madri il
senso del sacrificio: quando i figli partono per la guerra,
al massimo riescono solo a piangere. E seppellirli
quando tornano cadaveri.’»
«Ottimo!» esclama la gente col groppo alla gola.
«Sostituiamo senz’altro l’Articolo 11 con il brano di
Aristofane.»
All’istante il congresso viene interrotto da una folata di
vento che solleva un polverone trapuntato di foglie. Il
ragazzo calato col suo paracadute aliante corre verso il
rigonfio di plastica che sbatte rotolando. Clown e altri
ragazzi si buttano sul volatile impazzito e lo bloccano.
«Grazie ragazzi!» urla l’Icaro del gommone ai ciclisti.
«Se mi date una mano evitiamo che il vento me lo
riduca a pezzi.»
Detto fatto, dieci pedalatori si aggrappano ai fili che
pendono dal volatile e si danno a trascinare il mezzo
spingendo con forza sui pedali.
L’Icaro si è appeso a sua volta e incita i ciclisti… Ecco,
il gommone si solleva, scivola nell’aria controvento.
L’enorme aquilone prende quota. I ciclisti arrancano
veloci come pistard in vista del traguardo.
«Vola, sta volando!» Tutti mollano i fili. Uno dei
ciclisti, aggrovigliato, resta appeso con la sua bicicletta
e sballonzola nell’aria. Si libera giusto in tempo e ricade
nel canale… sempre inforcando la sua bicicletta.
Niente paura, è solo un tuffo.
Tutti i presenti applaudono entusiasti con le facce
rivolte al cielo. Il ciclista acquatico chiede aiuto; altri
ragazzi si gettano in acqua per salvare lui e il suo ciclo.
Il maestro è montato sull’ultimo gradone della cavea di
pietra e, spingendo la voce dentro a un microfono
portatile, richiama l’attenzione di tutti: «Sentite, a ’sto
punto abbiamo messo le basi se non altro per una seria
discussione sulla Costituzione. Direi di prenderci una
pausa per ragionarci sopra».
«È una buona idea» gli rispondono in coro, «ma
dobbiamo accordarci tutti quanti perché si riprenda fra
non più di due giorni, sennò si perde lo slancio, e ci
trasformiamo in un convegno di bla bla da capannello
di piazza.»
All’istante tutti i convenuti volgono lo sguardo verso il
portale d’ingresso all’Arena.
Precedute da applausi e grida, vengono avanti due
coppie di innamorati, in procinto di unirsi in
matrimonio. Sembrano sortiti da una scena del Giardino
delle Delizie dipinto da Bosch. Nella prima coppia, lei è
di pelle scura, lui è biondo. Nella seconda, lui è moro e
lei è bianca di latte. Gli amici che le accompagnano
sono di razze assortite. Il rito sarà officiato al centro
della pista, nella serata, dal prete spretato che li
accompagna. Un rito quasi blasfemo!
L’orchestra va incontro al gruppo intonando una marcia
nuziale sgangherata.
Pian piano tutti s’avviano al centro delle piste e a
coppie ballano sul prato.
Ma ecco che all’improvviso si levano grida provenienti
da dietro l’Arena, presso il boschetto dei tigli. Fra i
cespugli hanno trovato una ragazza svenuta, quasi del
tutto nuda. Un bastardo, forse un gruppo di bastardi,
l’ha violentata.
«Chi erano?»
«Come può essere accaduto, proprio a due passi dalla
festa?»
«Oppure è successo stamane e la scoprono solo
adesso...!?»
Ognuno commenta preoccupato e con indignazione
l’accaduto: «Ma è possibile che nella condizione in cui
ci troviamo esistano ancora dei criminali del genere!?!»
«Speriamo solo sia un caso isolato.»
«Non sarà forse un segnale atroce che stiamo tornando
alla normalità?!»
«Il guaio» dice la donna modesta «è che certamente la
tragedia che stiamo vivendo a qualcuno non ha
insegnato un vivere più civile e solidale... per certi
individui non basta un’unica catastrofe, ce ne vuole
almeno una alla settimana!»
Intanto molta gente s’è spostata verso il luogo del
ritrovamento, stanno portando la ragazza al Pronto
Soccorso nel vicino ospedale. Pare si stia riprendendo.
Un signore dall’aria compita e contrita commenta: «È
chiaro che con questo blackout sono spariti molti
personaggi indegni che campavano sulle spalle della
comunità ma si è dissolta anche ogni sicurezza
organizzata!»
«Di che sicurezza sta parlando?» gli chiede un giovane.
«Un’organizzazione d’ordine o, come dire, di polizia.»
«Certo, bisognerà darci da fare per ricostruirla, non si
può vivere senza almeno un gruppo di difesa che faccia
rispettare la legalità. Andando avanti così, alla spera in
dio, senza nessun programma né progetto di controllo
civile, fra poco vedremo tornare scippi e rapine,
violenza, droga e puttane a ogni angolo di strada.»
Una ragazza interviene in tono risentito: «Beh? Cos’è
adesso questo ’puttane a ogni angolo’? Cos’hai contro
chi fa ’sto mestiere?»
«Che fastidio ti danno?» aggiunge un’altra donna.
«Beh» commenta uno sconosciuto, «diciamo che non
fanno un bel vedere...! Specie oggi che la gente vive
sempre più nella strada, oltretutto con i bambini!»
«E allora guardami!» Così dicendo spalanca il cappotto
e appaiono lunghe gambe decorate in cima da una
strettissima minigonna. «Ti sembra che io faccia un
brutto vedere? Ho forse l’aria peccaminosa?»
«No, peccaminosa no» commenta lo sconosciuto. «Ma
provocante sì! Eccome!»
La prima dolente peccatrice
Adamo ed Eva furono cacciati dal Paradiso.
Eva era disperata e, perché Dio la perdonasse, scese
nell’Eufrate e lì vi stette ignuda immersa fino al collo.
Dopo giorni che se ne stava sprofondata in quell’acqua
gelida,
la nostra prima madre si sentì scossa da fremiti e
brividi.
Il tenero colore del suo corpo si era trasformato in un
azzurro verdastro.
Non riusciva più a muovere né le gambe né le braccia.
Un angelo apparve nel cielo: scorse Eva immersa nel
fiume e si gettò come un airone nel fondo dell’acqua;
riemerse tenendo fra le braccia la donna, ormai più
morta che viva.
La avvolse nelle proprie grandi ali.
La distese su un prato nella riva presso il fiume
stringendosela al petto e trasmettendole tutto il suo
calore.
Eva tornò in vita e a sua volta abbracciò teneramente
l’angelo.
Dio lo perdoni! In quella creatura divina montò una
passione incontenibile, fecero l’amore e così l’angelo
possedette la prima donna,
prima per il mondo e anche per sé.
L’amplesso aveva ridato vita a Eva e le regalava anche
una creatura che sarebbe nata a tempo debito.
Così, grazie a questo amore, imprevisto e proibito, il
genere umano non avrebbe più rischiato di veder
nascere creature imperfette perché generate dallo stesso
seme.
E giacché è sempre Dio che decide e controlla ogni
azione,
di tutto ciò diciamo gloria al Signore.
Da una Bibbia apocrifa tradotta nel ’600 da Giovanni
Diodati
«È solo questione di forma, allora?» riprende un’altra
ragazza. «Se noi peccatrici venissimo sistemate in un
bel parco isolato, magari dove sono rimasti i ruderi del
vecchio zoo, sarebbe tutto un altro discorso... la morale
sarebbe salva!»
«Scusi» chiede il signore dall’aria compita, «cosa vuol
dire ’ci sistemano nello stesso zoo’? Anche voi, come
dire, siete del mestiere?»
«Sì, e pure queste altre due amiche. Ma non si
preoccupi, non siamo venute all’arena per una
promozione dimostrativa dei nostri prodotti in offerta
speciale... è il nostro giorno di riposo!»
Un ragazzo con un radioso sorriso stampato in faccia
esclama: «Bene! Benvenute nella società degli uomini e
delle donne libere! Mi chiedevo dove foste finite».
«Noi non siamo mai finite!» esplode orgogliosa un’altra
ragazza che s’è aggiunta al gruppo.
«Anch’io sono contento del vostro riapparire! È un po’
come veder tornare le rondini dopo anni che quasi non
si vedevano più... almeno in centro.»
E la ragazza: «Sta alludendo alle rondini come gentil
volatili?»
«No, a essere sinceri alludevo a una similitudine
passerinica…» e il suo volto si fa rosso fuoco.
L’uomo compito salva dall’impaccio il ragazzo: «Scusi
se la importuno con una domanda, forse troppo
personale…»
«Dica, dica…»
«Dove agite?»
«Perché ce lo chiede? Per pura curiosità o perché vuol
diventare nostro cliente onorario?»
E l’altra ragazza entra nel dialogo con entusiasmo:
«Beh, le dirò, stiamo ricostruendoci in modo davvero
insolito... fra qualche giorno daremo una festa in cui
sarà invitata tutta la gente che ci sostiene».
«Io vi sostengo moltissimo!» assicura un signore
dall’aria vispa.
«Io ancora di più» aggiunge una vecchietta «e per un
fatto personale. Oggi lo posso anche dire: da ragazza
c’è stato un tempo in cui battevo a mia volta!»
I presenti emettono un «Ohhh!» di stupore, anzi due
«Ohhh! Ohhhh!»
«Ma badate bene, battevo non per pagarmi la vita ma
per pagarmi gli studi!»
Coro: «No!!!»
«Sicuro! Io sono andata all’università e mi sono pure
laureata grazie alla mia passerina!»
Tutti ridono, qualcuno applaude. E c’è chi commenta:
«Ognuno si crea una cultura coi mezzi di cui meglio
dispone».
«D’altra parte» garantisce un bel ragazzo dalla folta
chioma «vi assicuro che quello della signora non è un
caso isolato: vi potrei presentare anche qualche giovane
maschio che si è pagato la retta d’iscrizione
all’università e le altre spese facendo felici alcune
signore.»
«Va bene, presentaci qualche giovane maschio, amico
tuo!» lo provoca una dama ornata di collane e bracciali.
«Facci vedere il gigolò.»
«Eccolo! Sono io» dice ridendo il bella chioma.
«L’avrei giurato!» esclama la signora. «E sei ancora in
servizio?»
I due ridendo si abbracciano.
«Scusate» riprende il signore compito, «ma non
andiamo fuori del tema...»
«No, no, ci stiamo in pieno!» grida la signora.
E il compito riprende allegramente: «Io volevo sapere
qualcosa di più preciso, sono professore di
sociologia...»
«... Sociologo del coito interruptus!» lo sfotte un
ragazzo.
Il compito non raccoglie, e continua: «Vorrei proprio
saperne di più di questa vostra organizzazione...»
«Beh, è semplice» interviene la donna che ha tutta l’aria
di una maîtresse da bordello antico. «Prima di tutto, noi
della nostra professione siamo sempre state sfruttate
come nessuno al mondo: su di noi campavano i ruffiani,
le megere, le maîtresse, poi ha cominciato a sfruttarci
perfino lo Stato. Al tempo del fascismo, e anche prima,
su di noi le istituzioni hanno fatto quattrini da
aggiustare il debito pubblico! L’Abissinia l’hanno
colonizzata grazie al nostro lavoro, eravamo le cosce di
produzione più attive della nazione. Avevamo perfino
un inno tutto nostro che faceva così (improvvisando un
coro, le ragazze, accompagnate dall’orchestra, iniziano
a cantare):
’Saltiam dal letto
siam liberate
non siamo indegne
né svergognate
noi donne putte in verità
siamo un faro di civiltà
le vere dame di carità.
Vendiamo amore che non ha prezzo
di sottobanco e a sottoprezzo.
Quando nel tempo ormai passato
in case chiuse si facea peccato
il nostro amore ci venìa tassato
e circa un terzo si prendea lo Stato.
La patria sempre ricordar ci dovrà.
E quando passa un incrociatore,
con sulla prua il tricolore
pensa ch’è fatto col nostro amore’.»
Risate e battimani concludono la canzone.
«Oggi» riprende la giovane con le cosce lunghe e la
gonna corta «diciamo basta! A nessuno può più venire
in mente di sfruttarci, ci siamo messe in proprio.»
«Brave!» applaude la vecchietta. «Organizzatevi.»
«Certo» risponde la donna dall’aria di mâitresse,
«infatti ci siamo organizzate in cooperativa.»
«In cooperativa? Come le coop?»
«Esatto, abbiamo trovato un centro benessere ormai
abbandonato, di quattro piani, salone centrale e scale
mobili che salgono a torciglione, un sacco di uffici che
abbiamo trasformato in camere da letto.»
«Uffici-camere da letto?»
«Sì, con letti di due, tre fino a quattro piazze!»
«Per comitive?!»
«Ma no!» La donna maîtresse tronca subito il gioco.
«Per favore, non buttiamola in bordello! Tutta la nostra
associazione è seria e del tutto semplice.»
«Beh, ma quattro piani, scale mobili, il supermercato
dell’amore, non mi pare roba dall’aspetto molto
semplice!»
«Voglio dire che non c’è sfarzo né aria lussuriosa. Uno
deve sentirsi come a casa propria.»
«E dal punto di vista economico come vi siete
organizzate?»
«Con un sistema impostato sul baratto. Ognuno offre
quel che produce o lavori inerenti alla trasformazione
degli ambienti del nostro centro.»
«E che fa? Se il lavoro è importante poi consuma tutto
in una sola seduta, pardon, sdraiata?»
«No, accumula!»
«Accumula cosa?»
«Diritti.»
Un altro interviene: «Come dire che rilasciate
abbonamenti?»
«Esatto. Una sorta di raccolta punti che poi il
destinatario può distribuire ad altri, se crede.»
«Ah, una specie di catena di sant’Antonio del sesso!»
«Certo!»
«Incredibile, ma com’è che nessuno ci aveva mai
pensato prima?»
«Perché quella che ci ha preceduto era una società di
ipocriti conformisti. Noi siamo davvero il nuovo
mondo!»
«Scusate, scusate signora...» chiede il vecchio
zoppicante, «come vi salvaguardate dalle malattie
veneree?»
«È semplice, non si fa del sesso, se ne parla solo: si
visionano insieme porno davvero osé, ci si eccita e poi
ognuno si masturba per conto proprio.»
«Sta scherzando?»
«Certo che sto scherzando» dice una ragazza con le
treccine fitte. «Per proteggerci dalle malattie prima di
tutto massima igiene. Come uno entra, monta sulla
scala mobile centrale e man mano che sale viene
spogliato da ragazze apprendiste; poi, alla maniera dei
centri benessere, attraverso un tapis roulant, transita in
un corridoio dove viene letteralmente assalito da getti
d’acqua medicale simile a quella termale, solo
fortemente disinfettante, poi viene massaggiato da
soffioni e spazzole morbide di varia grandezza.»
«Ah, come fosse in un autolavaggio!»
«Sì, soltanto che in più c’è musica molto erotica e voci
di lamenti orgasmici.»
Il sociologo chiede: «E basta così?»
«No, naturalmente. Noi offriamo anche un controllo
medico.»
«Cioè a dire?»
«Abbiamo ingaggiato uno staff di specialisti che
conducono una serie di esami clinici approfonditi sul
cliente.»
«Non mi direte che gli succhiano anche qualche spruzzo
di sangue per le analisi?»
«L’ha detto, proprio mentre vengono sventolati dalle
spazzole da autolavaggio. Una punturina che manco se
n’accorgono, anzi, uno sfizio erotico in più.»
«Naturalmente» riprende una delle signore del gruppo
«gli stessi esami li effettuiamo su noi stesse ogni giorno
per nostra tranquillità e per quella della stimata
clientela...»
«E come vi dividete gli utili?»
«Abbiamo un dipartimento amministrativo che calcola
le spese vive della cooperativa, il netto dei compensi
per ognuna di noi e una parte viene tenuta in deposito
per la liquidazione finale.»
«Ecco! A ’sto punto però» esclama la vecchietta «non
capisco che utili riusciate a dividervi, dal momento che
la moneta non esiste più.»
«Beh, noi abbiamo stabilito che ci si dividono gli
introiti in valori percentuali e ci distribuiamo dei ticket:
buoni valore.»
«Buoni bancari?»
«No, ticket per ogni bisogna. Ticket medici,
farmaceutici, di viaggio, abbigliamento eccetera,
eccetera... ormai, è risaputo, funziona tutto così: per
andare a teatro, al cinema o a vedere una partita. Tutti
ticket nominali.»
«Compreso il ticket della passerina!» commenta un
ragazzo spiritoso.
«Certo che oltretutto questo è un bel blocco contro i
furti e gli scippi.»
«E se ti scippano la passerina?» dice ancora il ragazzo
dalla battuta facile.
«Eh, ma è un’ossessione!»
«Scusate ma a me pare che sia un gran casino, pardon,
voglio dire papocchio. Continuiamo a ripetere che
bisogna sveltire e render più facile ogni operazione e
poi ci intruppiamo in tutti ’sti labirinti burocratici...»
«Ma qui, guarda che non è affatto un sistema
complicato come tu credi. Ti sembrerà impossibile ma
da quando ci è capitato addosso ’sto blackout, la
tecnologia non s’è bloccata, anzi si è evoluta in forme
sempre più efficienti e sofisticate. Hanno tirato fuori
queste macchinette (ne mostra una) che ti fotografano il
viso e stampano il ticket in un attimo, quindi è a pieno
controllo. Li adoperano perfino i vu’ cumprà.»
«Ma tornando alla vostra organizzazione... da dove la
ricavate tutta l’energia, oltretutto pulita, necessaria per
far funzionare l’intero sistema a cominciare
dall’illuminazione, agli apparecchi medici, agli spruzzi
disinfettanti...?»
«Aggiungi pure» interviene una morettona appena
sopraggiunta «le proiezioni erotiche in video su tutte le
pareti, la musica e la presenza di acrobati danzanti che
dal vivo eseguono numeri di altissimo valore erotico
surreal-porno.»
«Stupendo!» esclama un ragazzino quasi implume.
«Che bella famiglia! Ma cosa aspetta il papa a venirvi a
benedire!?»
Scoppiano tutti in una gran risata.
Si inserisce la vecchietta: «Ma ’st’energia, la producete
voi o la comprate?»
«Beh, qui devo dire che ci è venuto in soccorso un vero
genio dell’ ipermeccanica, un nostro cliente.»
«Cliente abbonato, immagino?»
«E in che cosa consiste l’invenzione?»
«È l’uovo di Colombo!» esclama soddisfatta la ragazza
capelluta. «L’amore si fa su letti a due piazze che,
grazie all’oscillazione amatoria, vibrano… il fremito
amoroso produce energia meccanica che viene raccolta
da speciali affluttuatori che la immagazzinano nella
nostra centrale. Più ami, più produci. Riesci a calcolare
quale forza motrice si può produrre con vibrazioni e
oscillazioni di quaranta letti in movimento?»
«Stupendo!» si complimentano in gran numero.
«Se mi date l’indirizzo vengo oggi stesso a darvi una
mano con fluttuazioni ritmiche adeguate!» aggiunge il
testimone della sposa.
«Anch’io!» si prenota il calvo.
«Mi associo» dice un altro sconosciuto. «Fate sconti di
gruppo?»
«A proposito di gruppo» s’introduce l’ingegnere.
«Avete saputo che proprio a pochi passi di qua, nel
grande spiazzo di fronte al castello, un gruppo di
studenti del Politecnico ha issato un’enorme antenna la
cui forza di ricezione è alimentata dal grande mulino
installato nel canale?»
«No… A che scopo?» chiede uno.
«Hanno appena messo in funzione lo stain becker sul
grande schermo televisivo» riprende l’ingegnere.
«Hanno captato due e più satelliti attraverso i quali sono
riusciti ad acquisire immagini provenienti da impianti
lontanissimi, perfino dall’Africa.»
«Dall’Africa? Ma cosa aspettiamo ad andarcene al
castello e così assistere alle proiezioni?» domanda il
ragazzo dalla battuta facile.
«Ma purtroppo adesso non si vede niente, sono fermi,
stanno mettendo a punto il sistema trasmittente.
Ricominceranno appena scende il sole.»
«Scusi» dice un vu’ cumprà, «lei ha assistito a quel
contatto con l’Africa?»
«Sì, è durato un paio d’ore.»
«E che cosa ha visto? Da che Paese trasmettevano?»
«Da Johannesburg, credo. A ogni modo davano notizia
come in tutto il continente africano stia avvenendo
qualcosa che nessuno avrebbe mai immaginato.»
«Di che si tratta?» chiedono altri.
«Cosa sta succedendo?».
«Che è esplosa la diaspora in massa dei bianchi.»
«La diaspora? Che intende dire?»
«Le compagnie europee e americane, impiantate laggiù
ormai da cinquant’anni con l’appoggio dei signori della
guerra delle varie zone, scoppiato il blackout, si sono
rese conto all’istante che il mercato e lo sfruttamento
fin troppo facile delle risorse di quel Paese delle quali
avevano goduto da anni impunemente, di botto stavano
crollando.»
«Ah certo» commenta il vu’ cumprà, «mancando i
combustibili provenienti dal petrolio tutti i trattori, i
bulldozer, le pompe e i macchinari sono rimasti roba
morta, inutilizzabili.»
«Proprio così. Da qui coi mezzi di trasporto ridotti a
ferraglia abbandonata» prosegue l’ingegnere, «spente le
pompe che aspiravano acqua dal sottosuolo, all’istante è
crollato anche il mercato delle merci e la coltivazione di
prodotti agricoli da esportazione a cominciare dal caffè,
tabacco, canna da zucchero, cereali, banane e frutta
esotica in genere…»
Interviene il nasuto: «Aggiungi che col crollo della
moneta, i produttori bianchi non sanno più con cosa
pagare la manodopera nera.»
«Giusto, mica puoi pagarli in banane» dice il vu’
cumprà.
«Ma il massimo del grottesco» fa un altro «è che
l’Africa è il continente che vanta il primato nella
produzione di oro, diamanti, uranio e platino e oggi i
padroni mica possono retribuire la manodopera in
metalli preziosi! Se li tengono ben stretti nei caveau
delle loro banche a fortezza.»
«Io vengo proprio dal Senegal» interviene un ex
lavavetri abusivo «e ieri sera ho assistito alla proiezione
al castello e ho riconosciuto gente della mia tribù che si
procurava cibo dalle coltivazioni abbandonate; e poi
immagini degli imprenditori bianchi che montavano su
una nave che si muoveva grazie a enormi vele a
paracadute gonfiate dal vento: avevano tutta l’aria di
fuggire disperati. E oltretutto cacciavano con le armi i
gruppi di indigeni che tentavano di salire sulla nave per
mettersi in salvo con loro.»
«Io temo davvero» aggiunge preoccupato un altro
ragazzo di colore «che questa situazione da noi creerà
altri scontri con vere e proprie stragi giacché, specie
negli immensi territori del Centro Africa, le bande
armate che prima si ponevano a servizio delle imprese
occidentali ora sono rimaste prive d’ingaggio. Quindi si
andrà creando un evento terribile che si è riprodotto
nella storia del mondo fin dai tempi antichi in situazioni
analoghe.»
«Già, questo è il caso di aspettarselo!» fa un altro. «Ho
studiato proprio nelle vostre università che nel tempo
dei grandi imperi i barbari guerrieri stavano tranquilli
finché godevano della paga garantita dai dominatori
egizi, assiri, babilonesi, indiani, persiani ecc… per non
parlare degli imperatori cinesi. Ma appena uno di quei
potentati ha cessato di servirsene, i barbari hanno
aggredito quei loro signori, facendo strage e
saccheggiando tutto quello che i padroni avevano
accumulato rubando loro nei secoli.»
«E tu pensi» chiede il professore «che quella stessa
situazione possa riprodursi, oggi, in tutta quanta
l’Africa?»
«Le dirò… io spero proprio che nelle nostre terre non
succeda, ma mi ritrovo fortemente pessimista.»
Il sole è già sceso oltre l’orizzonte. Intanto tutti i
partecipanti all’incontro dell’Arena stanno
raggiungendo l’enorme spiazzo di fronte al castello. I
tre schermi a plancard e l’apparecchio di ricezione
abbinato al proiettore sono stati issati sull’arco alto del
Filarete.
Una folla straboccante sta prendendo posto davanti ai
grandi schermi sui quali appaiono le immagini
provenienti dal Sudan, dal Kenia e da altre terre
africane.
Quelle che si susseguono sono scene sconvolgenti:
scontri armati dove vengono impiegate armi di tutti i
tempi, mitragliatrici, lance, frecce e pietre; pare di
assistere a pellicole delle guerre coloniali, Abissinia ed
Etiopia comprese.
Ma non si vedono né un aereo né un carro armato in
azione. E oggi, come aveva previsto il giovane laureato
di colore, anche nel continente nero, sono proprio le
bande, un tempo assoldate e armate dai coloni e
imprenditori d’ogni razza, che stanno aggredendo i loro
padroni.
Costoro si sono arroccati nelle proprie fazende e nei
palazzi che dominano le cave e le miniere che li hanno
arricchiti come nababbi e satrapi.
Ma il tragico ribaltone di cui sono vittime i grandi
imprenditori bianchi e i loro tirapiedi armati, compresi
gli innumerevoli burattini posti al comando di governi
fantoccio, non si sarebbe rivelato tanto disastroso e
rapido se non si fosse verificato contemporaneamente
un nuovo fenomeno, imprevedibile anche per gli
scienziati.
Stiamo assistendo alla proiezione di immagini
sconvolgenti sugli schermi del castello.
Le scene di guerra stanno per essere cancellate dal
montare di una sequenza di tempeste inaudite: un
ribaltamento climatico, che rischia di capovolgere sia la
situazione ambientale che quella economico-politica.
All’improvviso il cielo è percorso da immensi cumuli di
nubi che lo attraversano a velocità impossibile: è
l’inizio di un uragano con trombe d’aria che dall’alto
scendono trapanando il suolo, e fulmini che sbiancano il
deserto.
Poi, come un sipario stracciato dal ciclone, le nubi si
spalancano e ha inizio un vero e proprio diluvio:
violenti getti d’acqua percuotono la savana e il deserto,
sradicano arbusti e aspirano terra e sabbia come
mostruose idrovore.
Lo speaker del servizio televisivo ci comunica che
quella tempesta è durata un giorno, una notte, un altro
giorno e così via senza cessare un attimo, per due
settimane. A memoria d’uomo non si è mai assistito a
un cataclisma del genere. Uno tsunami con risvolto
straordinariamente salutare, proprio come quello mitico
che ogni anno per secoli allagava la piana d’Egitto al
tempo dei faraoni.
Il montaggio delle sequenze è rapido ma essenziale.
Sembra di assistere a un documentario mediatico sullo
stravolgimento epocale del pianeta: deserti e savane
vengono solcati da corsi d’acqua, si sono formati nuovi
fiumi, avallamenti da sempre asseccati vengono
riempiti da tonnellate di pioggia e si creano laghi.
Finalmente le nubi si dissolvono esauste e appare un
sole davvero radiante; dopo alcuni giorni in quello che
era un torrido deserto cominciano a spuntare erbe e
arbusti in gran numero.
La folla che assiste alla proiezione esplode in un
applauso entusiasta. Fino a pochi minuti prima la
tensione era incontenibile.
Sullo schermo riappaiono figure umane in controluce.
Sono donne, uomini e bambini neri; alla fine della
panoramica, spuntano i pochi proprietari bianchi
rimasti, tutti sono sconvolti: ora davanti a loro si
stendono terre disponibili a vista d’occhio, ideali per la
coltivazione e l’allevamento; spazi fertili si stanno
allargando a dismisura con gran vantaggio soprattutto
per la popolazione indigena che finalmente possiede
terreni liberi da ogni rapina.
Poi seguono sequenze quasi idilliache. Gli schermi sono
solcati da animali che attraversano correndo un
paesaggio prodigiosamente rigoglioso.
Anche antilopi, zebre, giraffe, gazzelle trovano
facilmente cibo e acqua. Aumentano di numero i
branchi di animali selvatici d’ogni specie; i contadini si
improvvisano anche cacciatori e i cacciatori diventano a
loro volta contadini e allevatori.
Sembra proprio ci sia cibo per tutti! E che si siano
create terre fertili che non attendono altro che d’essere
lavorate.
In un’altra sequenza vediamo un esodo che già
conosciamo: quello dalle città verso le grandi pianure in
cui sta riprendendo la vita.
È soprattutto la manodopera in servizio dai grandi
manifatturieri a disertare in massa: agli indigeni non
conviene più lavorare sotto padrone ed essere sfruttati
fino allo strozzo, meglio mettersi in proprio, anzi in
forme associative che allargano a dismisura il sistema
tribale, facendolo letteralmente esplodere.
Appresso assistiamo a un autentico ribaltamento della
macchina portante del profitto: quella che regge lo
sfruttamento delle miniere d’oro e di pietre preziose.
Vediamo i minatori disertare montacarichi e gallerie
che traforano montagne: quegli schiavizzati hanno
scoperto che oggi in Africa coltivare in proprio frutta,
verdure e canne da zucchero, dà maggior utile ed è più
salutare che raspare a cinquanta metri sotto terra per
incocciare pietre preziose da consegnare ai proprietari
della miniera sotto pena di galera immediata.
Un batter di mani accompagnato da un altrettanto
festoso batter di piedi segna la fine del collegamento via
satellite. Fra la gente, in tanti si sono commossi, specie
gli spettatori di colore intervenuti in gran numero. Gli
africani, maschi e femmine, si abbracciano l’un l’altro.
Si viene a sapere che in molti hanno deciso di tornare
nelle proprie terre.
Il viaggio non è certo agevole: è vero che per
attraversare la penisola italiana e raggiungere il Sud si
può approfittare del ripristino delle linee ferroviarie, ma
l’energia elettrica non è a erogazione costante, quindi
succede di dover sopportare pause di snervante attesa.
Per l’attraversamento, abbiamo già visto che è entrato
in funzione l’uso di enormi vele a mongolfiera ma la
riuscita del viaggio è sempre una grande incognita.
Fra i numerosi africani determinati al ritorno ci sono
giovani maschi e anche femmine che da qualche mese
si stanno esercitando nella conduzione di alianti forniti
di piccoli motori alimentati a olio di colza e benzine
prodotte dallo zucchero di barbabietole.
Domani partirà il primo gruppo. L’uomo dal cappello
rosso invita tutti ad assistere alla spettacolare
trasmigrazione dei larghi uccelli di tela gonfia.
«Non possiamo mancare!» esclamano in molti.
«Da dove avverrà il decollo?»
«Dalle piste della Malpensa e dall’aeroporto di Linate,
rimaste completamente sgombre.»
Il giorno appresso si assiste a una vera e propria sagra
di primavera, quando gli aironi si levano in volo per la
grande traversata.
A trainarli perché prendano quota ci sono macchine con
motori a propellenti vari, tutti forzatamente ecologici:
elettrici, ad aria compressa, ad alcol e perfino alcuni
strani veicoli caricati a molla. È incredibile, ma per
qualche chilometro funzionano che è una meraviglia.
Uno appresso all’altro prendono quota, compiono
qualche largo giro sopra la folla che saluta con urla,
risate e pianti, fanno partire il loro piccolo motore che
muove l’elica e poi via che s’allontanano verso levante.
Tutti volando ridono e cantano. Per una popolazione
che ha raggiunto le nostre terre mettendo a repentaglio
la propria vita in attraversate da disperati, rischiando a
ogni tempesta di finire a centinaia in fondo al mare,
quella traversata in aquilone, sospesi nell’aria, è
addirittura un gioco festoso.
Il cielo si sta riempiendo di alianti come alla festa degli
aquiloni a Shanghai.
Anche qualche lombardo s’è lanciato nell’avventura e,
sorvolando la folla, getta coriandoli da Carnevale.
Qualche tempo dopo, alla prima trasmigrazione di ex
abusivi, lavoratori più o meno clandestini, ne seguono
altre a cui si uniscono molti italiani, svizzeri e perfino
tedeschi che, qualche mese dopo aver raggiunto
l’Africa, riescono via radio a comunicare con amici e
parenti rimasti in patria; declamano loro l’ambiente
davvero incredibile che hanno scoperto laggiù:
«Spicciatevi! Qui è un Eldorado!» assicurano.
NEGRO È BELLO
I primi uomini erano africani.
Erano piccoli di statura, non superavano il metro e
quaranta.
I loro scheletri, ritornati alla luce, denotano una figura
elegante e proporzionata.
Veloci nel correre, nel nuoto e straordinari nella caccia,
non temevano di affrontare perfino enormi elefanti.
Lo testimoniano le loro incisioni rupestri.
Furono anche i primi a disegnare immagini di animali e
autoritratti.
Fabbricavano utensili vari e addirittura strumenti
musicali,
coi quali sicuramente accompagnavano il proprio canto.
Furono i primi mammiferi ad amarsi sdraiati e
abbracciati:
il maschio sopra la femmina.
Raggiunsero l’Europa e l’Asia, più tardi costruirono le
piramidi.
Da La vera storia del mondo di Jacopo
L’esodo a rovescio dei vu’ cumprà e degli immigrati
europei e perfino orientali sta trasformando l’Africa.
Ormai l’Europa e in particolare l’Italia non sono più la
terra del Bengodi per i disperati: non ci sono più vetri di
macchine da pulire né sindaci in grado di proibirlo;
nella vendita per strada sono stati sostituiti dai locali,
non parliamo della vendita sulle spiagge: alcuni si sono
addirittura tinti la faccia di nero e scimmiottano il
lessico dei vu’ cumprà!
È crollato anche il mercato o meglio il racket della
prostituzione. E, per quanto riguarda gli amori, i
giovani, soprattutto le ragazze, si sono svelate
all’istante più aperte ai rapporti affettivi e di sesso, e
oltretutto stanno rieducando i maschi a liberarsi
dall’inibizione congenita acquisita negli ultimi tempi.
È vero che ora maschi e femmine hanno più facilità a
mettersi insieme, favoriti dalla straordinaria
disponibilità di locali liberi, specie in città, nei quali
vivere un’esperienza di coppia.
Tornando all’Africa, come accennavamo, la situazione
della fauna nella savana e nelle foreste sta
completamente trasformandosi: fra i branchi di animali
erbivori si notano nuove nascite in progressione
esponenziale. Leopardi e leoni a loro volta si ritrovano
con abbondanza di prede e non corrono più il pericolo
di venir catturati dai bracconieri e finire come trofei o
addirittura venduti a zoo e a circhi in tutte le latitudini:
per le fiere da collezione o mostra non c’è più mercato.
Il ritorno in patria degli africani, che all’estero avevano
lavorato come operai nell’industria dei più variegati
settori o come muratori nei cantieri edili, rischiando di
schiantarsi al suolo per mancanza di impianti protettivi,
fa sì che costoro trovino immediatamente ingaggio
come manodopera qualificata nei nuovi cantieri e nelle
imprese nascenti. Ma fra i ritorni di maggior valore, ci
sono quegli africani che hanno avuto l’occasione di
frequentare l’università nei vari centri europei e
americani: essi sono in grado di portare tecnologie
avanzate che faranno davvero decollare l’intera società
del continente africano.
Fra gli arrivi insoliti creano meraviglia quelli di giovani
cittadini afroamericani, i cui antenati secoli fa furono
catturati dai mercanti di schiavi e trasportati nel Nuovo
Mondo in catene. Oggi quei figli di schiavi hanno scelto
di vivere nei luoghi dove i loro progenitori erano nati
liberi.
Già anni fa in Sudafrica, in Egitto e in Israele avevano
avuto inizio le installazioni di grandi plancard a
specchio per la cattura dell’energia solare. In questo
campo finalmente l’Africa si rende conto di essere il
continente più avvantaggiato al mondo. Un pannello
solare, grazie alla potenza del calore in quei territori,
accumula energia in quantità incredibile. In breve
tempo spuntano in ogni dove anche pale eoliche.
Ma la novità che crea maggior stupore sono le auto e i
camion, con pannelli solari posti sopra il tetto delle
macchine con aggiunte di ali rotanti a specchio e pale
eoliche ai lati del motore. Sono mezzi di trasporto che
godono di un’autonomia ineguagliabile: si caricano non
solo da fermi ma anche e soprattutto in movimento e
quindi non abbisognano di far sosta ad alcun
distributore di propellente.
C’è anche un’altra novità che modifica notevolmente il
paesaggio e l’ambiente: è l’apparire di un numero
incredibile di piramidi di varie dimensioni di tipo egizio
e in forma di mastabe a gradoni, nonché di colline
naturali adattate alla bisogna.
Ma cos’è questa bisogna? E che significano le piramidi
e le mastabe? Ebbene, da trent’anni circa gruppi di
archeologi e studiosi provenienti da facoltà europee fra i
quali un certo Jacopo, direttore della Libera Università
di Alcatraz, che porta il mio stesso cognome, Fo –
essendo guarda caso mio figlio – hanno scoperto che le
mastabe, piramidi a gradoni senza punta, erano
inizialmente usate come riparo durante le inondazioni:
la gente stava all’asciutto su quei parallelepipedi di
pietra. E anche le piramidi non finivano appuntite:
erano tagliate più basse a formare un grande spiazzo in
cima. Questi grandi cumuli di pietre erano poi
fondamentali per la sopravvivenza durante le
inondazioni, allora abbondanti, e soprattutto nelle pause
di siccità giacché quelle mastabe e piramidi tronche
permettevano di raccogliere acqua potabile, in gran
quantità. Infatti erano giganteschi filtri nel cui centro si
apriva un cunicolo che raggiungeva una cisterna
sotterranea dove l’acqua limpida, filtrata dalle pareti di
pietra, si accumulava.
I recenti scopritori di questo marchingegno
sospettarono, quindi, che anche le piramidi, prima
ancora di essere trasformate in tombe per faraoni e
grandi sacerdoti, in tempi antichi fossero state costruite
dagli autoctoni per servire appunto da congegni
idraulici per raccogliere e filtrare l’acqua. Questo
sistema, riprodotto oggi in migliaia di esemplari, sta
permettendo al nuovo popolo dei neri di preservare il
dono maggiore, anzi, essenziale della natura per la
sopravvivenza dell’uomo e per la sua emancipazione,
cioè appunto l’acqua.
Mi rendo conto solo ora che trascinato da una specie di
catarsi immaginifica mi sono lasciato trasportare dentro
una simulazione di follia.
Ma tutto quello che vi ho proposto non è solo paradosso
proiettato da una surreale visione da incubo: mettetevi a
vostra volta in testa – e perdonate se lo andiamo
ripetendo a tormentone – che da questo appuntamento
tragico con l’imminente blackout dell’energia non
possiamo assolutamente sfuggire. Non si tratta di bufale
metafisiche, ma di previsioni scientifiche inderogabili:
il petrolio sta per scomparire! L’estrazione del
principale propellente fossile è alla fine!
Dice Basil Gelpke, nel suo documentario A Crude
Awakening (Un brusco risveglio), che il susseguirsi di
situazioni positive e negative dopo il blackout del
petrolio sarà costante per molti anni. Il fenomeno
inarrestabile dei ghiacciai, che man mano si vanno
estinguendo fino a lasciare alte montagne
completamente spoglie, determinerà purtroppo in certe
vaste aree del pianeta la totale scomparsa dei grandi
fiumi, fenomeno disastroso che non riuscirà a essere
compensato dal ripetersi di piogge torrenziali. Per cui
avremo fiumi come il Gange, che da secoli ha offerto
vita e fecondità all’India tutta, ridotto a un enorme solco
assecchito.
Folte popolazioni saranno costrette a emigrare; lo stesso
avverrà per il Rio delle Amazzoni, per il Fiume Giallo e
quello Azzurro. Fame ed epidemie faranno strage di
popoli intieri.
Il numero previsto di vittime appare terrificante: si parla
di almeno un miliardo di persone condannate a sparire.
Ancora, cataclismi saranno favoriti dalla disastrosa
condizione nella quale abbiamo lasciato gli oceani,
ridotti a immense pattumiere, discariche che coprono il
fondo dell’Atlantico e del Pacifico: un immondezzaio
che va dalle Americhe al Giappone.
La famosa curva di Hubbert è tutt’altro che una
fandonia senza costrutto: mi spiace per tutti noi, ma si
tratta di una legge geometrica inesorabile, dimostrata e
già sperimentata. Infatti, la bellezza di cinquant’anni fa
lo scienziato Hubbert, appunto, aveva previsto come la
curva della produzione di petrolio in usa sarebbe scesa
precipitando fino a zero a partire dal 1970. Evento che
oggi si è da tempo avverato in America e in caduta
verticale si sta concretizzando nel resto del mondo.
Puntuale e inesorabile. Finalmente tutti i geologi,
compresi gli scettici, si sono arresi e hanno cominciato
a prestare molta attenzione ai calcoli di Hubbert. Dai
primi anni di questo secolo i pozzi degli Stati Uniti
sono quasi completamente spenti, salvo alcuni
giacimenti in Texas.
Gli abitanti statunitensi ne sono consci e ora sanno
finalmente, come abbiamo già ribadito all’inizio, che
cosa ha portato Bush a dichiarare guerra all’Iraq: il
petrolio, arrivando a far credere che se non si fosse
occupato quel territorio, l’America rischiava di essere
distrutta da bombe atomiche lanciate da Saddam
Hussein!
Ma per quanto riguarda tutti gli altri pozzi ancora in
azione in Oriente, Medio Oriente, America del Sud ecc.,
è solo questione di un anno, cinque anni, dieci anni al
massimo, e arriverà anche per loro il totale
asseccamento. Si tratta cioè di un semplice respiro
rispetto al tempo dettato dal susseguirsi dell’inesorabile
dinamica della storia.
Quindi l’appuntamento con l’apocalisse dei propellenti
minerali, che abbiamo immaginato, purtroppo si
avvererà.
IL RUBINETTO DELL’ETERNO
Ogni tanto profeti fasulli predicono l’apocalisse finale.
C’è chi sale in cima ai monti fra i picchi e
pazientemente attende che la catastrofe si consumi sotto
i loro piedi senza colpirli. Dopo qualche tempo, quasi
mortificati, si rendono conto d’esser stati gabbati. Non è
successo niente. E tornano a valle derisi dagli scettici
raziocinanti. Ma la grande catastrofe, quella vera,
segnata nel libro di Dio, arriverà puntuale come il tuono
dopo il lampeggiare dei fulmini e l’esplosione di fuoco
fuori dal cratere dei vulcani in eruzione. Ma attenti, non
fate l’errore di sperare che tutto ciò possa essere
rimandato all’infinito. Preparatevi, si salverà solo chi
avrà disposto, costruendola, l’arca sicura per galleggiare
come Noè sopra la tempesta. O, se non vi riesce,
procuratevi di montare sulla «Nave dei folli» e lasciarvi
andare, ubriachi, fra le braccia di scatenate femmine
alla deriva.
Da L’isola dei canidi di Ben Jonson e Thomas Nashe
Ora, come abbiamo dichiarato all’inizio di questo
scritto, l’intiero blocco dei mezzi di trasporto e di
comunicazione nonché il blocco delle caldaie, delle
navi, degli aerei e dei frigoriferi, il silenzio delle
televisioni, dei cellulari, le autostrade sgombre e
silenziose saranno l’inizio della nostra salvezza e di
quella del pianeta azzurro. Se non si producesse questo
cataclisma salvifico quello che ci attenderebbe sarebbe
di gran lunga più disastroso. Significherebbe una lenta
ma inesorabile agonia della Terra con una progressione
di disastri senza ritorno.
Ormai abbiamo appurato che non c’è speranza che
l’umanità rinsavisca e si renda conto del baratro che
l’attende.
Ho assistito qualche giorno fa a un documentario
terrificante sulla cosiddetta «carica finale degli gnu»,
quei mammiferi dal testone sproporzionato che a un
certo punto della loro esistenza, tutti insieme, spinti da
una strana follia, si gettano come disperati correndo per
la prateria. Corrono a perdifiato in centinaia di migliaia,
senza mai rallentare finché giungono al punto fatidico:
un’immensa voragine che si spalanca sotto le loro
zampe impazzite. Ebbene nessuno del branco frena o
scantona o s’arresta, così assistiamo a una sequenza
infinita di salti nel vuoto e a un precipitare sconsiderato
di massa nell’abisso: scompaiono inghiottiti nell’orrido,
incontro a un massacro davvero bestiale. Alla fine
dell’ecatombe ho esclamato: «Ma questi siamo noi! È la
macabra allegoria di ciò a cui andiamo incontro se
continuiamo a ignorare la logica e la ragione!»
Questa è la nostra stessa prospettiva, anche noi ci
muoviamo come ciechi impazziti, incuranti delle
avvisate di cui gli scienziati onesti e coscienti da tempo
ci vanno inutilmente avvertendo. Anzi, come già
dicevamo nel prologo iniziale, i nostri simili reagiscono
quasi seccati e, alle nostre previsioni, si toccano
velocissimi i corbezzoli, strizzandoseli, pensando che
questo rito scongiuri la tragedia imminente; invece
riusciranno solo, al massimo, a procurarsi una vistosa
orchite traumatica!
Eppure quei sordi mentali s’informano, o fingono
d’informarsi, leggono, ascoltano notizie seppur scarse
alla televisione ma fanno spallucce e cambiano canale
per godersi l’Isola dei Famosi o partite di football con
risse tremende fra i tifosi.
I politici poi hanno altro a cui pensare: si scannano, si
accusano, s’insultano, stappano bottiglie di champagne
in Senato per festeggiare il crollo del governo, proprio
come i folli di Erasmo da Rotterdam; si preoccupano di
sistemare le mogli in posti di comando statali,
ministeriali, regionali, e i figli nelle segreterie e negli
ospedali nel ruolo di incapaci primari; e poi gli amici, i
consuoceri, le amiche, presentatrici e ballerine.
Un presidente politico famoso pluri indagato esulta
giacché dopo sei anni il tribunale della Cassazione lo ha
prosciolto da ogni accusa che lo vedeva inquisito per
corruzione di giudici e soprattutto falso in bilancio,
poiché il reato suddetto è stato, dal governo precedente,
letteralmente cassato. Ma chi era il presidente che aveva
voluto a ogni costo quella cancellazione? Guarda caso,
proprio lui stesso! Il pluri indagato premier sempre
intoccabile e salvato!
Intanto nella Sicilia il governatore della Regione è stato
condannato a cinque anni per collusione, cioè per aver
appoggiato e favorito noti capimafia. Il condannato però
esulta perché pare che fare una soffiata solo a qualche
mafioso non significa essere collusi con l’intiera mafia.
Poi il condannato, interdetto in perpetuo dai pubblici
uffici e pressato dall’opinione pubblica, decide di dare
le dimissioni. L’ex governatore, pseudomafioso ma non
troppo, si presenterà alle prossime elezioni e lo
rivedremo in Senato, nel gruppo dei condannati in
primo grado. Sarà giudicato mafioso, perdio, ma porta
più voti nel suo paniere di tutti i candidati dc messi
insieme!
Nel frattempo, oltreoceano, Bush, che vede scorrere
veloce il poco tempo che gli rimane da presidente degli
Stati Uniti, tenta di lasciare un buon ricordo di sé e
riscatena il clima di terrore… che gli riesce così bene!
Approfitta di una boutade del presidente iraniano che,
sostenuto da Putin, dichiara che sta preparando una
bomba atomica, ma non a scopo militare! Un suo
generale in vena di bravate lo corregge e assicura che
due secondi dopo che gli Stati Uniti avranno iniziato le
ostilità contro il loro Paese, partiranno una dietro l’altra
una caterva di missili contro le basi usa vicine e
lontane. I generali americani rispondono elencando le
portaerei e le basi disposte intorno all’Iran da dove
muoverebbero i propri missili e gli aerei per il
contrattacco definitivo. Putin a sua volta minaccia:
«Guai a voi! I missili russi per la controffensiva sono
già pronti in posizione».
Anche la Cina dice la sua chiedendo che la questione
sia regolata dopo le Olimpiadi per non guastare la
purezza dello sport e il successo della festa.
Insomma, abbiamo da scegliere: o una guerra atomica
mondiale della durata di pochi secondi o un cataclisma
più lento e generalizzato.
ATTENTI! SI CHIUDE!
«Sta arrivando la fine!» disse la First Lady. «E non ho
niente da mettermi per il Diluvio!»
Dalle spigolature di «Vogue» di aprile 2008
Ma purtroppo non saremo noi a scegliere.
Nessuno ci ascolta, l’eco d’ogni voce schiaccia e
confonde le parole dell’altro. È inutile pensare di poter
ricorrere a referendum, azioni dimostrative, riunioni di
piazza: tutte le nostre voci echeggiano nel deserto
inascoltate.
Non passerà molto tempo che vedremo una moltitudine
di gente correre senza meta in tutte le direzioni,
urlando: «Non c’è più luce nelle nostre lampade! Non
c’è più calore nelle stufe! Nei frigoriferi tutto sta
marcendo! Le auto si sono fermate e con loro anche
treni e tram, gli unici a muoversi sono i cumuli di
monnezza, che, trascinati dal vento, rotolano come
gomitoli di foglie e sterpi d’autunno ai bordi delle
piazze e sul sagrato delle chiese!»
Ma ciò che più indigna e produce sgomento è
l’indifferenza con cui i cittadini, testimoni e
protagonisti di questa più che annunciata catastrofe,
accolgono il fatto, senza alcuna reazione.
Prendiamo come esempio da proiettare nelle coscienze
di ognuno ciò che sta succedendo da anni intorno a
Napoli. Non ci riferiamo al disastro delle discariche ma
a ben altra più terribile calamità. Attenti a non cadere
nella trappola del razzismo, scegliamo questo dramma
come esempio: noterete che in tale contesto tutto appare
macroscopico e sragionevole.
Il fenomeno che vogliamo portare alla vostra attenzione
vede il suo palcoscenico sul Vesuvio e dintorni.
È risaputo che i geologi avvertono da anni che il
vulcano in questione equivale a una doppia atomica di
Hiroshima, posta nel profondo di quell’immenso
cratere, e che il giorno e le dimensioni di quella
deflagrazione siano sempre da ritenersi non certi né
prevedibili. Da un giorno all’altro può ripetersi la
terribile catastrofe che si concretò al tempo di Plinio il
Vecchio nel i secolo d.C. La testimonianza di quella
strage è ben palese negli scavi di Ercolano e Pompei
dove sono mostrati i calchi di giovani donne e bambini
pietrificati dalla lava, venti secoli fa.
Ma, indifferenti e senza posa, i partenopei continuano
da quasi un secolo a costruire sulle falde del vulcano
case, palazzi, ville e villette a migliaia, incuranti del più
che possibile avverarsi della nuova orrenda esplosione.
In gran numero quelle abitazioni sono abusive, ma la
legge che le vieta viene puntualmente «escamotata» con
il concorso di assessori, sindaci, forze dell’ordine e
perfino qualche parroco. Costoro, tutti insieme, vanno
facendo spallucce e, sorridenti, tranquillizzano: «S’ha
da accadé, nun ce stà nulla a fà! Nui ce avimm artro a
che cozzà... lu nostro santo c’ha da penzà: san Gennaro
datte da fà! Dacce un occhio te! Nui ce avimm da
campà. Una giravolta, un segno della croce e la paura
chiù nun ce stà! Eppure nui savimm che sott allu
cratere, chilla massa de foco no’ duorme! La lava
rischia, come l’altra volta, de sotterracce».
La lava e la cenere posson calare ad affogare ogni vita
fino al mare.
Un disastro immane: migliaia di paesi a vista d’occhio
mangiati dal fuoco, e vasti pezzi di città.
Ma che importa? La nostra progenie tra cent’anni,
scavando di nuovo, potrà cavarci un museo di
dimensioni mai vedute al mondo.
Ma com’è possibile che noi si sia giunti a tanta
insensata follia, a tanta aberrazione?
Il caso del vulcano è solo emblematico di una generale
condizione mentale di cui siamo tutti, ripeto tutti, ottusi
testimoni e protagonisti. L’abbiamo già detto e ridetto
ma insistiamo: è incredibile che un popolo come il
nostro, pur avendo a disposizione un clima straordinario
per poter produrre energia alternativa (eolica, solare,
per non parlare delle biomasse), invece di cambiar rotta
se ne stia completamente inerte come se la cosa non lo
riguardasse assolutamente.
Ci si preoccupa per altri problemi: la sicurezza e quindi
i ladruncoli, gli scippatori, le parolacce e le
svergognate, stando seduti tutti tranquilli in riva al
baratro con le gambe penzoloni, chiacchierando del
pericolo che rappresentano questi immigrati clandestini,
i cinesi che taroccano le borse di Armani, le ragazzine
che mostrano natiche e si fanno canne, il vescovo che
manda anatemi alle femmine mal maritate che vivono
nel peccato e programmano un aborto, il problema della
politica «m’interessa, non m’interessa più… vadano
tutti a farsi fottere…!»
E si resta lì, senza renderci conto che ogni momento si
sta scivolando, metro su metro, giù nel baratro.
Eppure, in altri Paesi si sbattono molto più di noi per
porre un argine alla situazione… ma da dove ci viene
questa ottusa apatia? Perdio! Abbiamo pure un cervello
e un dna non comuni. In queste nostre terre son nati per
secoli e continuano a nascere veri e propri talenti,
giovani che son ricercati all’estero anche da università
prestigiose, mentre le nostre badano ai baroni e alle
assunzioni di rango…
Nei teatri d’opera e di musica classica i nostri maestri
spopolano, dirigono spettacoli; e gli scienziati trattano
di progetti rivoluzionari in tutte le università, montano
ponti, grattacieli e intiere metropoli, sono prenotati per
il doppio della loro vita.
E allora? Da noi, è risaputo, la ricerca scientifica è un
disastro: se abbiamo la fortuna di possedere un genio
della nuova tecnologia, lo cacciamo via subito…
all’estero, dove, naturalmente, lo accolgono a braccia
spalancate!
Ma com’è che dietro a questa caterva di menti attive ed
effervescenti di cui siamo orgogliosi poi spunta una
massa di inetti beoti, compresi, come ovvio, quelli che
stanno ai posti di potere?
È come se le scorie di tutti i secoli d’oro, scarti e rifiuti
di opere eccelse che hanno esaltato e dato prestigio ai
nostri padri, si siano scaricati addosso a noi.
La furbizia di Arlecchino e di Brighella, l’avidità dei
mercanti strozzini, il traffichismo dei faccendieri, la
scaltrezza truffaldina degli avvocati tuttofare e
disponibili a ogni infamità… il politicame,
l’opportunismo dei dottori sottili, la laida saliva degli
aggiustatutto e, sopra ogni cosa, la lezione d’ambiguità
che per secoli ci ha ammannito la santa Chiesa cattolica,
apostolica, romana con il dogma e la penitenza, con le
persecuzioni, i veti, le congreghe, il mercato delle
indulgenze, il baciapiedismo e le sentenze feroci e poi
le giaculatorie, il chieder venia e pace eterna.
È tutto questo bailamme di rifiuti e arrangiamenti
dentro al quale ci muoviamo che ci rende gente da
poco, inaffidabile e stolta agli occhi di chi dal di fuori ci
osserva. Quando sentiremo l’ultimo avviso del «Si
chiude!», ci muoveremo senza saper che fare, intontiti
al par d’allocchi, al momento dell’ultima valanga di
polvere e lava: solo allora il terrore, come molla, ci
butterà in piedi al grido di «Vogliamo campare!»
Eh no: è troppo tardi, coglioni!
Ringraziamenti
Ringrazio particolarmente il professor Gianni Tamino,
docente di Biologia all’Università di Padova,
il mio amico Piergiorgio Odifreddi
e, insieme a loro, Mario Tozzi e mio figlio Jacopo.
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