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Dario Fo L`APOCALISSE RIMANDATA ovvero Benvenuta
Dario Fo L’APOCALISSE RIMANDATA ovvero Benvenuta catastrofe! Con 65 disegni dell’autore A cura di Franca Rame e Gessica Di Giacomo La Terra possiede risorse sufficienti per provvedere ai bisogni di tutti, ma non all’avidità di alcuni. Gandhi La civiltà moderna esiste solo grazie a un temporaneo consenso geologico, soggetto a essere ritirato senza preavvviso.---W. Duran Ogni tanto, su quotidiani e riviste scientifiche, si legge di convegni che si svolgono in centri diversi dell’Asia e dell’Europa ai quali, oltre a rappresentanti dei massimi Stati e governi, partecipano geologi, astrofisici e ricercatori tra cui diversi premi Nobel. Si propongono regole e programmi per migliorare la condizione del pianeta ma, immancabilmente, puntuali gli Stati Uniti, l’Australia – no, errore: evviva! Da oggi anche l’Australia aderisce al trattato di Kyoto –, la Cina, il Giappone e altri importanti Paesi dell’onu persistono a non offrire il proprio consenso; per di più ci sembra che il dramma dell’inarrestabile surriscaldamento terracqueo non sollevi timori e preoccupazioni eccessivi nella gran parte della popolazione del pianeta. Esiste però un certo numero di cittadini per i quali al contrario il problema sta diventando una disperata ossessione. Io personalmente, lo devo ammettere, faccio parte da tempo di quest’ultima tormentata categoria. Non perdo occasione, appena incontro qualcuno, sia maschio che femmina, sia giovane che anziano, di sollevare il problema e di tentare il loro coinvolgimento col classico approccio: «Ha notato? Non c’è proprio più stagione… un momento si scoppia dal caldo… all’istante c’è tempesta, grandine e perfino neve nella quale affondano immense regioni dallo Stato di New York fino al Canada, e l’intera Cina». I più scantonano, ma se l’interlocutore abbocca è spacciato! Gli tengo una concione sugli effetti dell’inquinamento da stordirlo… Ci provo anche in taxi col conducente e perfino in autobus sia con i passeggeri sia con il responsabile che controlla i biglietti! Non parliamo poi di quando mi ritrovo a viaggiare in treno… guai se qualcuno mi chiede di essere fotografato con me mostrando il cellulare! Lo faccio subito accomodare nella poltrona vicino, se non c’è posto lo prendo addirittura sulle ginocchia, e qui al par d’un ragno, inizio a tesser la tela. Qualcuno, pur di salvarsi dall’aggancio, scende qualche fermata prima! Un giorno sull’aereo Palermo-Milano, ho agganciato una bellissima signora, anziana ma di un’eleganza raffinata… sembrava uscita da una sequenza del Gattopardo di Visconti. Appena ho accennato al disastro atmosferico, mi ha afferrato una mano e accarezzandola mi ha supplicato: «Oh sì, me ne parli…! Mi interessa moltissimo». Ho iniziato la mia lezione con entusiasmo: «Vede, il problema è complesso e articolato. Ormai non c’è quasi più nessuno che non ammetta la responsabilità dell’uomo riguardo alla condizione del pianeta e al suo surriscaldamento. Ma esplode una feroce diatriba appena si comincia a discutere del come salvare la Terra e ridurre drasticamente le emissioni di anidride carbonica… tonnellate di gas che letteralmente intasano l’atmosfera». La signora mi seguiva come incantata, io incalzavo: «Esistono diverse varianti di pensiero. C’è chi dice ’Basta diminuire per gradi ma drasticamente l’uso dei motori a scoppio con propellente fossile… Eliminare le vecchie caldaie per il riscaldamento delle case e degli uffici e installare nuovi impianti di eolico, solare… e, perché no?, anche nucleare’». La signora ha un sussulto. «Certo» la tranquillizzo schioccandole un piccolo bacio sulla fronte, «non si preoccupi… Oggi come oggi, riprendere col nucleare è una soluzione improponibile! A parte la produzione di scorie radioattive che tuttora non sappiamo dove e come sistemare… sto parlando delle centinaia di migliaia di tonnellate che l’America e l’Europa, Russia compresa, hanno prodotto dall’inizio del nucleare e che non siamo ancora riusciti a smaltire, se non collocandole in luoghi e spazi provvisori come lo Stato dello Utah, che è diventato un’orrenda discarica di morte, operazione con un costo all’infinito di miliardi di dollari. Ma lo sa che per riuscire a produrre energia pulita sufficiente per il 50 % del fabbisogno globale dovremmo costruire una centrale nucleare alla settimana per i prossimi 63 anni?» La signora, con un sorriso dolcissimo stampato in viso, accenna a un abbraccio, poi si ricompone imbarazzata. «Quindi non ci resta» incalzo io «che scegliere le cosiddette energie eco-compatibili che produrrebbero elettricità e altre energie accettabili, ma in grado purtroppo di soddisfare solo una percentuale minima del nostro fabbisogno.» «E quindi?» mi chiede la deliziosa creatura che ormai pende letteralmente dalle mie labbra. «E allora?» «Se l’intiera umanità, i governi, i produttori, gli Stati, non s’impegnano in un’azione stravolgente, creando nuovi sistemi produttivi potenti e non inquinanti, siamo alla fine.» La signora, con un’espressione addolorata implora: «Oh… salvaci!» E si butta fra le mie braccia. «Faremo l’impossibile…» balbetto, leggermente imbarazzato per quell’approccio appassionato, ma poi mi riprendo. «Vede, signora, dando per certo il cambio di rotta definitivo dei Paesi occidentali altamente industrializzati e all’avanguardia, il problema saranno poi i Paesi orientali emergenti, che vogliono assolutamente raggiungere il nostro livello di vita e di ammodernamento tecnologico, quindi si rifiutano di aborrire i propellenti fossili.» «Oh, che ambiziosi!» esclama la dama. «Non dimentichiamo che la Cina sta superando ormai il miliardo e trecento milioni di abitanti e che l’India ha superato a sua volta il miliardo, e poi c’è l’Indonesia… e via dicendo…» La signora, sconvolta, si stringe sempre più a me tremante, e mi inonda di lacrime. Non posso fare a meno di tranquillizzarla. «Ma vedrà che si troverà il modo di uscire indenni da questa tragedia.» Giungiamo a Milano. «La prego, parli con i miei figli. Sarei felicissima di poter vivere con lei.» Dal fondo del corridoio appaiono un medico e un infermiere; caricano su una sedia a rotelle la signora che non abbandona mai la mia mano. «Grazie di avermi regalato questo stupendo viaggio» dice mentre la legano alla poltrona mobile, poi aggiunge: «Lei dovrebbe fare l’attore». Il medico si rivolge a me e chiede: «Non l’ha importunata, spero. Purtroppo, ogni tanto, esce letteralmente di senno». La signora è già in fondo al corridoio e, rivolgendosi al suo accompagnatore, esclama: «Che bella storia mi ha raccontato quel signore. Era così romantica! Mi ha fatto piangere… Peccato non sapere come finisce». È proprio vero: il mestiere del divulgatore scientifico è carico di insidie e delusioni! PRIMI PASSI NEL PALEOLITICO Un uomo preistorico camminava spedito nella tundra. Incappò in un mammut e gli andò a sbatter contro. Indispettito gridò: «Ma con tutta la piana che hai a disposizione, proprio di qui dovevi passare?» E se ne andò imprecando. Quel primitivo non era un temerario, era soltanto cieco! Anonimo preistorico In questo periodo ho scoperto il significato profondo del termine oberato… mi ritrovo a essere un oberato totale, aggredito ogni giorno da impegni che si sovrappongono. Sono costretto a declinare diecine di richieste, sia di spettacoli che di conferenze per non parlare dei meeting politico-culturali, ma appena mi giunge l’espressione disastro ambientale, effetto serra, scatto come un grillo esaltato: «Eccomi! Quand’è il convegno? Ah, è un simposio? Sì, senz’altro, non mancherò». L’altro giorno avevo accettato perfino di partecipare a un programma televisivo condotto da Giuliano Ferrara. Il tema, neanche a dirlo, era: Chi crede al disastro climatico? Avevo assistito qualche settimana prima a una trasmissione analoga sullo stesso tema gestita sempre da Ferrara, che esibiva in merito uno scetticismo sconcertante. Ironizzava su inchieste molto serie che affrontavano il tema del pericolo ambientale, condotte da scienziati di gran valore, come si trattasse di bufale da venditore ambulante. Il suo leit motiv si limitava a due o tre argomenti: «Ma esiste davvero questo pericolo ambientale? Gli uragani e le stragi dello tsunami sono conseguenza dell’effetto serra o fenomeni occasionali che qualcuno ha interesse a trasformare in cataclismi apocalittici sui quali pompare e vendere libri, documentari e perfino film fantascientifici a gogò?» E concludeva: «Si sa, il disastro fa sempre cassetta!» Con lui, su un piano meno strafottente ma ugualmente carico di negazionismo scettico, c’era anche il fratello di Prodi, laureato in Fisica e direttore niente meno che del dipartimento di Scienze dell’atmosfera dell’Istituto Isac-cnr. Anche in quest’ultima occasione lo scienziato faceva parte degli invitati, ma Ferrara non esibiva la sua normale sicurezza spacca tutto… anzi, come mi sono affacciato allo studio televisivo si è levato per salutarmi allargando le braccia festoso, ma non ce l’ha fatta: si trovava letteralmente incastrato tra la poltrona e la scrivania. Anche il fratello di Prodi, il professore in Fisica, faticava a porsi in piedi. Ho notato che era fortemente ingrassato rispetto all’ultima trasmissione. Ferrara era del suo grasso normale, invece. Ma no, mi sbagliavo. Guardando meglio il conduttore, mi resi conto che il suo ventre stava invadendo l’intiero piano del tavolo davanti a sé, strabordava con tutto il corpo. «Ma che succede…» dissi preoccupato. Giuliano singhiozzò, e copiose lacrime gli sgorgarono dai grandi occhi. «Non so che mi stia capitando» mormorava. «È dal giorno dell’ultima trasmissione sull’ambiente che entrambi» indicava il fratello di Prodi «siamo stati colpiti da questa maledizione: ci gonfiamo a vista d’occhio…» «È terribile» commentai a mia volta «ma, scusate se mi permetto, non sarà a causa del frottolame denigratorio che vi lasciate sfuggire?» I due si guardarono l’un l’altro con un’espressione che non prometteva nulla di buono, poi all’improvviso in coro esplosero: «Sì, abbiam proprio questo dubbio. Per essere sinceri noi non crediamo a ciò che andiamo sostenendo sul negazionismo scettico, ce lo siamo un po’ manipolato in negativo. Ma i medici psichiatrodietologi che abbiamo interpellato dicono che, a proposito del grasso psicotico, una simile causa diagnostica è improbabile, anzi assurda. Però il fatto è che dal giorno in cui abbiamo incominciato a trattare in forma grottesca il problema del surriscaldamento terracqueo, ci stiamo dilatando come mongolfiere». «Scusate ma… non potete rimanere così inerti. Bisogna chiedere aiuto.» «È vero, aiutaci tu!» «Tanto per cominciare, bisogna portarvi fuori da ’sta trappola. Qui dentro vi sta mancando lo spazio.» «Hai ragione, ma come facciamo a uscire? Le porte sono ormai diventate troppo strette per noi.» Con uno zompo mi affaccio alla porta e urlo: «Chiamate degli operai! Bisogna sfondare la parete! Presto! Subito!» Nessuno si fa vivo, ma una voce dall’alto della scala grida: «Tutti i tecnici e gli operai sono fuggiti per via dello tsunami!» «Lo tsunami? In televisione? Ma dov’è?» «Guarda fuori dalla finestra! Si vedono onde grandi come palazzi, fra poco l’uragano sfonderà anche qui.» «Dario, aiuto! Portaci fuori!» mi implorano Prodi e Ferrara sempre più incastrati. «Scusate ma… m’è venuto in mente di un appuntamento, devo proprio lasciarvi, mi spiace. Spero di rivedervi!» Faccio per avvicinarmi alla porta… ma arriva un’ondata terribile che squarcia ogni parete. Mi trovo trascinato dall’uragano. Mi escono bollicine dal naso e dalla bocca in quantità. Risalgo, spunto con la testa fuori dall’acqua… è tutto calmo. Ferrara e il professore emergono a loro volta galleggiando come due grandi boe. Sbattono braccia e gambe ridendo: «Siamo salvi! Si galleggia. Non si potrebbe avere un paio di remi?» All’improvviso tutti e due emettono un gemito lacerante: «Ahhh! Stiamo sgonfiandoci!» urlano. «Aiuto!» È vero, come palloni aerostatici sforacchiati si rimpiccioliscono velocemente, poi un piccolo scoppio… e spariscono mentre Ferrara emette il suo ultimo grido: «Abolite l’abortoooo! Il feto è vivo e anche l’embrione, per non parlare degli spermatozoiiiii!» All’istante mi risveglio. Mi ritrovo seduto su una poltrona dove mi ero addormentato. Meno male, era solo un brutto sogno o, meglio, un incubo terribile. SERVIZIO PREVISIONI Secondo l’ultima profezia di Nostradamus l’Apocalisse avverrà il 12 marzo 2012. Speriamo non piova! Guardate voi gli scherzi folli che produce l’ossessione dell’imminente cataclisma e soprattutto il rendersi conto che alla gente manca assolutamente la consapevolezza della tragica situazione che viviamo. In verità negli ultimi mesi qualcosa sta cambiando, perfino Bush, figlio, nipote e amico di petrolieri e petroliere a sua volta, ha dovuto cambiare atteggiamento: il Pentagono, meglio, uno dei più autorevoli generali del Pentagono, ha pubblicamente dichiarato con risolutezza, documentando ogni affermazione, che la guerra contro l’Iraq è stata organizzata nell’intento di bloccare il progetto di Saddam Hussein che, ancora alleato degli Stati Uniti, aveva deciso di dirottare i maggiori oleodotti del Paese verso l’Asia, invece che a vantaggio del Kuwait, deposito assoluto del mercato americano. Inoltre gli scettici sono rimasti completamente spiazzati dalla notizia secondo cui la Exxon Mobil ha offerto 10.000 dollari, evidentemente pro capite, a un certo numero di climatologi ed economisti che si son prestati a dare notizie positive riguardo la salute del pianeta. Non solo: la Royal Society, la più antica e autorevole società scientifica del mondo, fondata da Isaac Newton, ha accusato la stessa Exxon Mobil di aver distribuito 2,9 milioni di dollari alle lobby antiambientaliste perché minimizzassero i rischi legati al cambiamento climatico. Ma la gente, i governi, le aziende di tutto il mondo non si limitano più a dibattere dell’emergenza ambientale, stanno passando all’azione… un po’ in ritardo, ma si muovono. Sotto la presidenza di Schwarzenegger la California, bisogna riconoscerlo, ha proibito la costruzione di nuovi impianti energetici alimentati a carbone. Al contrario di quanto succede negli usa in genere, dove, oggi, il 50% dell’energia elettrica viene prodotta proprio con il carbone: insomma, la nazione più moderna del mondo produce ancora elettricità bruciando le stesse risorse di un secolo fa, servendosi di autentici nuovi schiavi! L’Unione Europea ha annunciato che taglierà le proprie emissioni di gas serra del 20% entro il 2020, aumentando al contempo del 20% la produzione di energia solare e di altre forme di energia sostenibile. David King, Consigliere Capo Scientifico del Regno Unito, sull’«Espresso» del 27 settembre 2007, ha ribadito: «Ci troviamo in grave ritardo: continuando a usare petrolio a questo ritmo, ci occorreranno almeno 25 anni e forse più per disabituare la nostra civiltà a utilizzare i combustibili fossili; gli oceani immagazzinano il calore per secoli e l’anidride carbonica resta nell’atmosfera per decenni». DIALOGO A STRIP Scusi signore, se proprio ci tiene a infilare quel suo parapioggia fra i miei glutei, le spiace chiuderlo, almeno!? Da una vignetta di Altan Ma con che razza di politici ritardati e criminali abbiamo a che fare? Possibile che non siano in grado di capire la terribile situazione? A questo proposito il nostro governo, in Italia, ha mostrato un programma serio e fattibile, o naviga sperando in Dio? Non c’è da scherzare. Perfino il papa, più di cinque mesi fa, ha denunciato, al termine di un’omelia, l’egoismo brutale della classe imprenditoriale: «Il capitalismo è il primo responsabile di questo rovinoso sfruttamento del pianeta». Ma noi in Italia abbiamo altro a cui pensare. Viviamo in un Paese davvero ideale per impiantare e sperimentare sistemi fotovoltaici e altri sistemi per lo sfruttamento del vento e delle onde marine, però purtroppo i nostri politici e gli imprenditori in blocco pare vivano in un altro pianeta. LE MOLTIPLICAZIONI Il parroco lesse del miracolo dell’acqua trasformata in vino; alcuni della mafia a braccetto con politici ascoltarono inebriati poi uscirono dalla chiesa e si posero dinnanzi a cumuli di monnezza. Recitarono un salmo e quell’immensa lordura si trasformò in denaro sonante. Dai Detti elegiaci di Cutolo L’unica attenzione che dimostrano di coltivare è quella per i rifiuti che stanno letteralmente affogando la Campania, Napoli compresa. È risaputo che a Napoli e provincia si sta vivendo una situazione davvero tragica: nelle strade e nelle piazze della periferia partenopea, vicino ai centri abitati, si sono ammonticchiati milioni di tonnellate di spazzatura. Ovviamente il sistema più efficace per risolvere quel problema consisterebbe nell’indurre i cittadini a organizzarsi perché effettuino la raccolta differenziata. Ma i napoletani da tempo si rifiutano di operare in quel senso poiché si son resi conto che, una volta suddivisi i rifiuti per generi, questi venivano regolarmente rovesciati dentro i camion e mischiati in un unico mucchio di zozzeria. Indignati, gli abitanti campani son venuti anche a sapere che: «Altri camion, calati nei vasti crateri della discarica» come racconta Roberto Saviano sulla «Repubblica» del 4 febbraio 2008, «fatto uscire il conducente, dopo aver saldato le porte dei tir, venivano sepolti». Di cosa erano composti quei rifiuti? Che terribile pericolo contenevano? La follia è che il governo di centrosinistra nella persona dell’onorevole Amato, ministro degli Interni, per risolvere il disastroso problema in questione ha scelto Giovanni De Gennaro. Chi è costui? Un tecnico? Un esperto della raccolta differenziata dei rifiuti o dello smaltimento dei medesimi? Un ingegnere progettista di termovalorizzatori? No, è soltanto un capo della polizia. Sì, lo stesso che ha organizzato il pestaggio da «macelleria messicana» durante il G8 di Genova, nel 2003; nella caserma di Bolzaneto e nella scuola Diaz i poliziotti di un reparto speciale, dopo aver sistemato nello stabile delle molotov ritrovate altrove, hanno fatto irruzione e iniziato un pestaggio su cittadini inermi, donne, giornalisti e fotografi, inzozzando i muri di sangue. Molti osservatori avevano manifestato seri dubbi che l’ex capo della polizia avesse pratica e conoscenze indispensabili per organizzare lo smaltimento dei rifiuti, ed ecco che puntuale, dopo qualche mese, dopo aver fallito su tutta la linea e senza riuscire a risolvere alcunché, De Gennaro ha dato forfait, pardon… ha minacciato di dare forfait. Ma è sempre lì! Inoltre va ricordato che il Comune, la Regione e lo Stato, sborsando la bellezza di un miliardo e ottocento milioni di euro, cioè quanto sarebbe bastato per dotare di migliaia di asili nido, di scuole materne e di tutte le infrastrutture indispensabili anche i Comuni più miseri, da anni hanno risolto di delegare l’imballo della monnezza a imprese mafiose o provenienti dall’area politica, che spesso sono le medesime. Costoro impostavano la stivazione dei rifiuti attraverso le cosiddette ecoballe, operazione questa, che ha contribuito a raggiungere l’enorme cifra a cui abbiamo appena accennato. Le ecoballe venivano poi stipate in cataste in attesa di essere incenerite in termovalorizzatori, definizione senza senso di torri a forno che oltretutto non sono mai state realizzate. LA SACRALITÀ DELLO SCARABEO Tutto quello che possedete non avrà più nessun valore. Saranno escrementi rotolanti nel deserto. Ne avranno vantaggio solo gli stercorari felici. Dal Vangelo apocrifo degli armeni Ma come può essersi verificata in questi anni nel nostro Paese una simile débâcle delle lordure? A parte l’arraffo congenito atavico e culturale di cui siamo intasati da secoli, dove sta l’errore di fondo? Pochi sanno che in Germania il funzionamento degli inceneritori di Düsseldorf, Oberhausen, Bremerhaven ecc., è stato messo a salvamento dai rifiuti provenienti dal Sud Italia. Salvamento perché? Per il semplice motivo che quegli impianti si trovavano in stand by, cioè fermi per mancanza della materia prima: le lordure. Come mai? Per il fatto che i cittadini tedeschi, in seguito a una straordinaria messa a punto della raccolta differenziata erano riusciti a raggiungere la bellezza del 65% dell’assestamento e del riciclaggio dei rifiuti, cosicché il rimanente che doveva finire negli inceneritori non era sufficiente a garantirne il funzionamento utile. Se noi in Italia, a nostra volta, dal vergognoso 5-7% massimo della Campania e di quasi tutto il Centro-sud si risalisse alla quota di raccolta differenziata raggiunta dai tedeschi (senza ecoballe e altre infamità), tutti i termovalorizzatori da noi in progetto di messa in atto sarebbero completamente inutili. In poche parole, è solo la nostra totale mancanza di senso civico e collettivo che ci trascina tanto in basso, collocandoci fra gli indegni. Il guaio è che questa tragedia ecologica, quella politica e quella governativa stanno producendo in me uno sconvolgimento psichico davvero allarmante. Lo stato ossessivo riguardo ciò che sto vivendo mi procura ansia a frotte, e veri e propri automatismi di pensiero che non riesco più a controllare. Sto per esempio scrivendo o disegnando seduto al mio tavolo di lavoro, squilla il telefono, sollevo la cornetta e meccanicamente continuo a disegnare e scrivere. Rispondo, discuto, ascolto, e alla fine, quando la conversazione è terminata, mi rendo conto di aver riempito un largo foglio di scritti e scarabocchi. Qualche mese fa, al termine di una lunga telefonata, mi sono accorto di aver nel frattempo abbozzato un dialogo a tre dove si prevedevano fatti tragici non ancora avvenuti. «E se ci azzeccassi come mi è successo un’altra volta?» ho pensato. Sconvolto, spedisco la bozza di quel brano a Franca, che sta a Roma. Lei, impensierita, mi risponde per telefono quasi subito: «Per fortuna sono solo elucubrazioni metafisiche da esaurimento multiplo… A ogni modo sono seriamente preoccupata per il tuo stato mentale… domani devi subito andare dal nostro amico psichiatra che sta nel palazzo di fronte». «Ma quello è più matto dei matti che ha in cura…» faccio io. «Lo so, ma non c’è altra soluzione.» Forse Franca esagera nella sua drastica diagnosi. A ogni modo giudicate voi se io sia da ritenere un veggente o semplicemente un mentecatto. Ecco il dialogo che ho immaginato il 10 gennaio di quest’anno, cioè una mezza dozzina di giorni prima che la moglie di Mastella fosse posta agli arresti domiciliari. Sala operatoria. Il paziente, il cui cranio seminudo sta per essere bucherellato da un gran numero di iniezioni anestetiche, discorre un po’ agitato con il chirurgo che s’appresta a effettuare il trapianto. Entra in scena, proveniente da dietro una lastra scorrevole, un aiuto medico con tanto di camice e maschera chirurgica al viso. Si rivolge deciso al paziente parlandogli quasi sottovoce: «Silvio, mi senti?» «Chi parla?» (Silv-io ha una benda sugli occhi.) «Non mi riconosci?» «Dipende da chi parla. Chi sei tu? Dammi la parola d’ordine.» «C’è una parola d’ordine?» «Eh certo…» Silvio si abbassa la benda dagli occhi. «Eh! Scusa, dal momento che io ho la benda e tu porti una maschera antisettica… come faccio a riconoscerti? O mi dai la parola d’ordine o esci di qui. Io non parlo con estranei.» «Io non sono un estraneo e poi ho una cosa importante da svelarti, Silvio.» «Entri qui, in sala operatoria, proprio in un momento delicato… mentre mi infilano aghi e capelli nel cranio…» Interviene il professore: «Non si preoccupi, presidente, anzi, se si crea una situazione per cui lei è portato a distrarsi dal clima operatorio, è meglio. E lei, signore, cominci con lo svelarci la sua identità». «Professore, è meglio che lei non lo sappia. Sarei più tranquillo.» «Ma io ho capito a chi appartiene questa voce!» esclama Silvio. «Tu hai la stessa parlata di Clemente.» «Sì, sono lui.» «Clemente Mastella!? Ma che ci fai qui?! T’ho detto che non accetto dialoghi e conversazioni in luoghi non riservati.» «Ma più riservato di una sala operatoria dove lo trovi!!!» «Hai ragione, che furbacchione! Allora, Clemente: sputa il rospo! Parliamo pure però abbottonati: frasi generiche e allusive, nessun termine esplicito.» «D’accordo, sarò allusivo. Attento, comincio: tanto per introdurre, avrei deciso di fare il botto.» «Che botto?» «Eh ma Silvio, prima mi preghi di non essere esplicito e poi mi chiedi che significa fare il botto...?! Scusa, qual è il tuo maggiore cruccio? La spallata, no?» «Ah certo, che stupido! La spallata a Romano mortadella!» «Ehi, non sbracare così piatto…» «Ma Clemente, andiamo, su questo argomento non c’è niente di segreto, lo sanno tutti che è da due anni che aspetto ’sto botto che lo sgnucchi a capofitto giù dal seggio, e non viene mai! Ahi! Ahi! Ahi!» «Che c’è, Silvio?» «Le punzecchiature qui sul capo! Me ne hanno già fatte a migliaia…! Duecento al giorno.» «Non si preoccupi, onorevole» lo tranquillizza il professore, «continuate pure a discorrere.» «Stavi dicendo che aspetti la spallata ormai da due anni…» «Eh sì, l’aspetto fremente, caro Clemente!» «Però si sa anche, caro presidente, che con tutte le tue offerte di mercato, non sei mai riuscito a comprare un voto, a cominciare dal topolino e dal rospetto…» «Topolino e rospetto?» «Ma sì… il topo sapiens e il rospetto di palude!» «Ah… ho capito, Amato e Dini.» «Ebbene, il giorno del giudizio è arrivato. Eccoti la novella: esulta! Ma non troppo sennò ti schizzano via tutti i capelli appena piantati.» «Vai, son pronto, mi strizzo il cranio.» «Fai molta attenzione perché ti parlerò per allegoria.» «D’accordo, vai con l’allegoria. Io sono una forza a capire le allegorie. Io stesso sono un’allegoria!» «Va bene, va bene, allora ascolta. Ho saputo per vie traverse che i giudici della Magna Grecia hanno deciso di tarantolarmi. È chiaro?» «Certo, certo, Clemente, i giudici della Magna Grecia tarantolano sempre.» «Bene. E con me i miei macedoni, al completo, compresa Penelope. In tutto siamo sotto le caudine in ventitré. Intendi?» «La miseria cosa mi dici! Ahi! Ahi! Ahi! Scusa, ma con questo ago mi è arrivato al cervello… Guarda, sono sconvolto. Ho capito tutto della metafora, però mi sfugge qualche particolare…» «Dimmi…» «Scusa, ma… chi sono i giudici della Magna Grecia? E cosa significa tarantola? E Penelope chi è? Per non parlare dei macedoni e delle caudine! Per il resto ho capito tutto!» «Silvio, sei una frana. Allora attento. I giudici della Magna Grecia sono i gip della Campania; tarantolare significa mettere sotto processo.» «Ah beh, allora…» «I macedoni sono i miei compagni di partito, tutti ventitré che dovranno passare sotto la forca caudina, cioè tutti agli arresti domiciliari.» «Ma quando?» «È questione di qualche giorno e a ognuno di noi arriverà l’avviso di garanzia, compresa Penelope.» «Anche Penelope?!» «E con una lista di accuse pesanti!» «Penelope?» «Sììì!» «E chi è?» «È mia moglie!» «Ma non si chiama Sandra? Ne hai un’altra? Ah! Ah! Ah! (Ride) Furbacchione! Hai capito il Mastella? Democristiano che va a protestare per i dico… e poi se la fa con due mogli.» «Ma cos’hai capito, Silvio! Penelope è la moglie fedele per antonomasia, contornata dai proci che la vorrebbero impalmare… Mia moglie!» «Impalmare? I froci? Per favore, piantiamola con ’st’allegoria, mi sto scocciando, parla chiaro e chi se ne frega se ci spiano e capiscono tutto: voglio capire anch’io. Allora Clemente, dicevi che fra qualche giorno riceverai una tempesta di incriminazioni. E a questo punto come te la cavi?» «Beh, come prima mossa do le dimissioni da ministro della Giustizia.» «Accidenti che colpo! Ma ti conviene?» «Certo che mi conviene. Poi, seconda mossa, dichiarazione in diretta alla Camera. Anzi, siccome so già che la prima botta arriverà contro Penelope, voglio dire, mia moglie, mi lancerò a testa bassa contro i giudici, accusandoli di essere bolscevichi nemici della famiglia!» «Bravo! Questo è un classico, l’ho inventato io!» «E sull’onda tragica, reciterò una sceneggiata di uomo sconvolto che per amore della propria sposa sacrifica la sua carriera e i suoi interessi politici, e si immola per lei sull’altare dell’amore.» «Bravo, Clemente! Bella questa: ’scelgo l’amore e non la politica!’» «Sì, bella frase, Silvio, complimenti: la adopererò nella mia dichiarazione da dimissionario in Senato.» «Ma che figlio d’androcchia! Ahi! Ahia! Ah no!» «Un altro ago nel cranio?» «No, mi ha strappato una ciocca di peli dal petto! Eh sì, sul collo non ne ho più.» «Peli dal petto? Ma è una tortura!» «Già e fra poco me li strapperanno pure dal pube! Ahi! Ahia! Ahi! Ahia! Avrò il pube sul cranio!» «Non interrompermi, Silvio, ti rendi conto che con questa tirata del sacrificio familiare riceverò applausi come Giulio Cesare quando lo scannarono con trentacinque pugnalate, perché tutti i senatori presenti nell’emiciclo, tanto di destra che di sinistra, si sentiranno parte della stessa congrega o, meglio, della stessa casta!» «Caspita che casta!» «Ma non è finita.» «Perché? Cosa combini ancora?» «Con un affondo da picador lancio il botto finale: pubblicamente annuncio che esco con tutti i miei seguaci del partito dal governo Prodi e dalla coalizione di centro sinistra.» «Pare una vignetta di Altan: tu con l’ombrello da spiaggia che infili tutto il Senato al completo. Ah! Ah! Ah!» (Ride.) «Che è?» «È che di colpo ho immaginato il ribaltone.» «Che ribaltone?» «Quello tuo! Te, che dopo aver favorito tutta la destra, ti ritrovi con le chiappe a terra, seduto in una discarica napoletana.» «In una discarica, io?» «Sì, giacché tutti ti hanno mollato! Ah! Ah! Ah!» (Sghignazza Silvio.) «Non mi dirai che anche tu hai in mente di scaricarmi?» «No, io ti sarò sempre riconoscente! Ah! Ah! Ah!» (E ride da sganasciarsi.) L’EFFETTO BUTTERFLY «Lo sbatter d’ali di una farfalla in Cina provocherà un cataclisma a New York.» Basta fermarsi a Boston e aspettare! Tanto le farfalle durano solo qualche giorno! Woody Allen Ma basta con le fantasticherie assurde da veggente, basta con le notizie nefaste, è tempo di cambiare clima e copione. Mettetevi seduti comodi e rilassati, distendete tutti i vostri muscoli, soprattutto quelli del viso, esibite un’espressione serena, versatevi un bicchiere di vino, birra, anche champagne se ce l’avete – fresco, mi raccomando! – e sorseggiate felici, sollevate il calice poiché vi sto per annunciare una notizia veramente straordinaria e finalmente positiva. Basta con questa sindrome della catastrofe imminente! Basta con gli annunci calamitosi! Basta con gli apocalittici film documentari che accusano l’intiera umanità, guidata da responsabili irresponsabili e da imprenditori e uomini d’affari interessati solo al profitto! E ne abbiamo anche abbastanza delle diatribe furibonde fra i numerosi scienziati che preannunciano disastri imminenti e i colpevoli di questo funereo clima che immancabilmente rispondono: «E che ci possiamo fare noi? Blocchiamo l’estrazione di petrolio, carbon fossile e mandiamo allo scatafascio le industrie d’auto, camion, trattori, bulldozer, motorini, motorette…? Fermiamo il riscaldamento e raffreddamento termico di milioni di case, uffici, ospedali?» «E non dimenticate» aggiungono i confindustriali «che il 90% di impianti per la produzione di energia elettrica funziona ancora grazie a propellenti fossili. Volete fermare il mondo e la sua vita? E allora, come diceva Woody Allen: ’Fermiamolo ’sto mondo e scendiamo’. No, anzi, scendete voi catastrofisti! Avremo finalmente un peso morto e petulante in meno». Insomma, ci stanno approntando una situazione da giudizio universale o, se preferite, da Fin de partie, il famoso testo di Beckett, dove i componenti dell’unica famiglia superstite del disastro stanno con la faccia incollata a un’enorme lastra di cristallo antiproiettile, e guardano fuori dalla finestra il cielo senza uccelli e senza nuvole. I figli insultano i padri per l’imbecillità dimostrata nel recente passato nel non prendere alcun provvedimento serio «quando ce n’era ancora il tempo». I padri hanno gettato nel bidone della spazzatura i due vecchi genitori che ogni tanto riemergono dalla monnezza chiedendo notizie sul tempo che fa. Sul loro capo si richiude ogni volta il coperchio con un tonfo inesorabile. No, tranquilli, non ci sarà nessun coperchio calante sull’umanità, nessuna imminente fine, anzi potremo assistere a una rinascita favolosa del pianeta e a un radioso futuro per uomini, donne, animali, alberi e fiori. Questa è la meravigliosa notizia che vi porto! Il pianeta non soccomberà né oggi né domani, non ci sarà la catastrofe, al contrario sta per realizzarsi il grande ribaltone, un cambio di rotta straordinario che pochi illuminati avevano previsto e calcolato. Di che si tratta? Attenti! A questa notizia alcuni grideranno al disastro immane, altri, gli eletti, applaudiranno entusiasti al miracolo, opera di un dio generoso che vuole la nostra salvezza. NATI PER ACCIDENTE L’universo è sorto da un immane cataclisma stratosferico. L’umanità s’è creata in seguito a innumerevoli catastrofi di poco conto. Albert Einstein Ma insomma, di che si tratta? Qual è la sciagura che ci salverà?! vi chiederete. È semplice. La fine del petrolio!!! Cosa? In che senso? Siete rimasti attoniti, eh? Increduli? Sì, è questione di qualche anno, forse il prossimo: il mondo rimarrà all’istante senza propellenti fossili, tutti fermi, con le nostre macchine bloccate, le caldaie vuote, i generatori di corrente muti. No, non è uno scherzo. Volete una prova tangibile? E allora rispondetemi: come mai soltanto negli ultimi anni il prezzo del petrolio è aumentato di sei volte e continua a montare? Dai 18 dollari al barile di sette anni fa siamo saliti ai 100 dollari e passa degli ultimi tempi! Nessun prodotto, nel commercio mondiale, ha mai subito uno sbalzo del genere, nemmeno il mercato immobiliare, che è il più esoso. Pagare il petrolio 18 dollari al barile, che sono più di 157 litri, vuol dire comprare il prezioso petrolio, invecchiato decine di milioni di anni, al prezzo dell’acqua minerale all’ingrosso. E come mai questo fenomeno? Qualcuno dà tutta la colpa alle tensioni internazionali e soprattutto alla situazione in Medio Oriente, Iran, Iraq, Pakistan e Afghanistan. Ma non ha senso. All’indomani della caduta di Saddam il prezzo del petrolio diminuì addirittura. Perché poi è aumentato? Alcuni studiosi del settore ce ne danno una risposta quasi ovvia: il prezzo del petrolio aumenta in maniera inversamente proporzionale al precipitare dell’offerta del prodotto sul mercato. In poche parole, cresce a dismisura perché non ce n’è più. Non avete capito? Le estrazioni di petrolio sono ormai agli ultimi palpiti, molte di quelle pompe hanno cominciato ad aspirare fango puzzolente, invece dell’inebriante oro nero, e i giacimenti ultimamente scoperti sono di valore insignificante. In poche parole, è questione di poco tempo: dovremo dire addio alle quattro ruote… Si torna all’età della pietra! Meglio, dei pedoni! Via! Qualcuno di voi sorride. Sì, detta così, sembra una boutade gettata lì tanto per creare il brivido. Ma un quotidiano serio come l’«Observer» qualche mese fa ha dedicato tutta la prima pagina a questa folle notizia. Innanzitutto ci viene rivelato che da anni le imprese petrolifere in massa ci stanno spudoratamente mentendo: tutti i dati riguardanti la quantità di greggio estratto sono sempre stati pompati fino all’inverosimile per farci credere che avessimo tanto petrolio a disposizione da poter tranquillamente continuare a buttarne. «Ne abbiamo da cavare per almeno un paio di secoli e ogni giorno scopriamo nuovi giacimenti!» giuravano. Tutto falso! Le Sette Sorelle sapevano da tempo che i pozzi si stavano esaurendo e lo sapevano anche i governi interessati all’affare. L’anno scorso è stato pubblicato un testo che ha prodotto un certo scalpore. Il titolo ci dice già quasi tutto. La verità nascosta sul petrolio, sottotitolo: Un’inchiesta esplosiva sul «Sangue del mondo» di Eric Laurent. Nel libro c’è un capitolo in cui ci viene presentato il pensiero di Jean-Claude Balaceanu che nel 1979 era il massimo esperto dell’Istituto Francese del Petrolio. Nello stesso periodo, cioè trent’anni fa, lo scienziato dichiarava: «Lo slogan fisso della società dei consumi è Petrolio a volontà! Che cosa succederà il giorno in cui l’umanità resterà senza idrocarburi? Le strade rimarranno deserte, anzi di lì a poco non esisterebbero più neanche le strade, a causa della mancanza di catrame e asfalto. Le pompe di erogazione spariranno. I commercianti, dal piccolo negozio sotto casa al supermercato, dai mercati rionali ai macellai, saranno obbligati a chiudere. Niente più trattori nei campi né aerei nel cielo. Tutte le navi saranno condannate a rimanere in porto. Niente più riscaldamento a gasolio e questo significa che la metà delle case, degli uffici, delle scuole, degli ospedali rimarrebbero al freddo d’inverno e nel bollore d’estate. Il sistema industriale sarà paralizzato. L’agricoltura tornerà indietro di un secolo. Quasi tutte le materie prime e le fibre artificiali scompariranno». Vi ripeto: questa avvisata è stata scritta e divulgata quasi trent’anni fa, ma pochi ci hanno fatto caso. La nostra arroganza ci ha spinti all’oblio e all’incoscienza. Come osserva Mario Tozzi in un suo articolo apparso su «La Stampa» qualche mese fa, ci siamo domandati per anni quando sarebbe finito il petrolio e invece la vera questione è: quando finirà il petrolio a buon mercato e quindi accessibile? LE PERCEZIONI Ci sono insetti che, dal vibrare dell’aria, indovinano l’approssimarsi di ogni cambiamento atmosferico; quasi tutti gli animali, attraverso gli odori e i suoni percepiscono pericoli ed eventi straordinari. Anche noi uomini, in tempi lontani, godevamo di queste doti. Oggi, possediamo la stessa percezione di un muro di pietra. Detto dei monaci del Gange Tutto ciò che ci pone dinnanzi a una realtà disastrosa per il nostro futuro ci infastidisce e ci rende sordi e ciechi come allocchi alla luce del sole. Non ci rendiamo conto della tragedia che noi «animali eletti» abbiamo causato all’universo: ci sono voluti dai 90 ai 150 milioni di anni perché la natura creasse giacimenti di petrolio e noi abbiamo impiegato meno di un secolo per mandarli tutti definitivamente in fumo, fumo tossico naturalmente! Negli ultimi cento anni gli abitanti del nostro pianeta hanno condotto una progressione di vita davvero sciagurata. Negli anni ’60, il consumo di petrolio era di 6 miliardi di barili all’anno e le scoperte assicuravano una produzione dai 30 ai 60 miliardi. In questo inizio di secolo il consumo è pari a 30 miliardi di barili all’anno e le nuove scoperte assicurano un’integrazione delle riserve che consente una produzione di soli 4 miliardi all’anno. Alle soglie della seconda guerra mondiale c’erano 2,3 miliardi di abitanti e 47 milioni di veicoli. Oggi ci troviamo con 6,7 miliardi di abitanti e 975 milioni di veicoli, più 200 milioni di camion. La popolazione del pianeta cresce all’anno dell’1,3%, il numero delle auto del 6%. Negli Stati Uniti viaggiano 775 macchine ogni mille abitanti, il 25% in più che in Europa e Giappone, e l’Italia ha il record d’Europa! Nelle autostrade della Cina, ogni giorno entrano 14.000 nuove auto. Entro due anni raddoppieranno. Beh, anche loro hanno diritto al progresso! Evviva! Le riserve di petrolio, sia quelle americane che russe, sono state sovradimensionate dai rispettivi governi e produttori. Le cifre pubblicate sono da ridurre di oltre la metà. Giornalisti indipendenti hanno tentato più volte di smentire i petrolieri e le loro stime, ma sono stati censurati tanto nel cosiddetto mondo libero che nella Russia governata dagli oligarchi. Costoro hanno montato le cifre in favore dell’estrazione per anni. Un imprenditore oligarca russo, il cui nome ci ricorda le farse sul potere di Gogol, un certo Khodorkovsky, si era permesso di dare notizie vicine alla realtà sbugiardando i dati del regime e svelando che «oltre il 60% dei giacimenti si ritrovano sull’orlo dell’esaurimento». Putin l’ha subito fatto arrestare. Da quel momento le notizie sul petrolio in Russia sono diventate segreto di Stato. Come la villa in Sardegna di Berlusconi! Lo stesso clima repressivo è prodotto anche da Bush, che qualche anno fa aveva ordinato di licenziare i ricercatori che propagavano notizie allarmanti sui pericoli cui va incontro il pianeta e sulle scorte del greggio. ETICA PROFESSIONALE Nel mondo dell’informazione, della politica e della produzione, su cento responsabili, il 5% sono gli onesti, il 20% sono poco affidabili, il rimanente sono tutti bugiardi. Konumej del «Madison Post» Ma perché tanti dirigenti continuano a mentire sulle riserve di petrolio? Per evitare che ci si dedichi a progettare e produrre nuovi motori funzionanti con altri propellenti, non esauribili e alternativi al petrolio, oltretutto non inquinanti! Questo provocherebbe un crollo immediato del greggio restante. Ecco perché l’impero occidentale, sostenuto e spinto dai petrolieri, si è gettato in Medio Oriente in azioni militari di conquiste rapide e insensate: libertà per gli oppressi e petrolio per noi! ELOGIO DELLA DISINFORMAZIONE Eratostene di Cirene nel iii secolo a.c. servendosi di un semplice bastoncino piantato nel terreno e della proiezione d’ombra prodotta dal Sole riuscì a calcolare la circonferenza della Terra. La notizia fu tenuta seminascosta per secoli. La gente è meglio sappia sempre meno di ciò che accade dentro e fuori del pianeta. Niccolò Copernico È risaputo che i grandi produttori di propellente fossile da sempre sono legati mani e piedi ai fabbricanti d’auto, camion e moto. Per non parlare delle armi! È ovvio che un cambio di rotta tanto drastico farebbe crollare all’istante produzione e mercato di ogni tipo di veicolo con motore a scoppio. Un disastro! A sua volta l’«Indipendent» ha svelato che l’ora zero in cui le pompe cesseranno definitivamente di succhiare si sta avvicinando inesorabile. Secondo gli scienziati del settore più accreditati ci sarà un picco di soli tre, quattro anni di crescita delle estrazioni, poi si produrrà un repentino crollo verticale: le pompe diverranno all’improvviso reperti storici inutilizzabili. Altri giornali, che sulla scia del quotidiano inglese hanno a loro volta divulgato servizi e notizie sul dramma, avvertono che in verità noi ci troviamo già in prossimità del picco di caduta. Vedo qualcuno impallidire… ma la gran parte di voi insiste nel definire questa nefasta avvisata una boutade goliardica. E allora sappiate che il programma scientifico più autorevole che la rai trasmette da anni con grande successo, Gaia, il pianeta che vive, condotto da Mario Tozzi sulla terza rete – sì, abbiamo già nominato questo scienziato, ma per i distratti e i disinformati ricordiamo che si tratta di quel ricercatore del cnr che sarcasticamente va sempre intorno brandendo una piccozza –, all’inizio dell’estate ha dedicato a questo argomento tutta la prima serata, mettendo in onda uno sceneggiato ben documentato sul blackout prossimo futuro del petrolio. Titolo: L’ultimo barile. Vi ricordate la grande rivoluzione che esplose in seguito all’apparire dei computer? Le macchine da scrivere diventavano all’istante apparecchi obsoleti da buttare, milioni di oggetti batti-parole che ci avevano accompagnato per una vita all’improvviso gettati nella più puzzolente delle discariche. Lo stesso capiterà con le auto a benzina. Una strage di ferraglia premuta e impacchettata! SCIENZA OCCULTA Galileo Galilei, perché le sue teorie non fossero captate dai sapienti dell’Inquisizione, le scriveva in dialetto ruzantino cioè in padovano rozzo. In che linguaggio dovremmo oggi scriver noi delle previsioni sullo stato del pianeta per comunicare con le popolazioni e non essere intercettati e immancabilmente censurati? Anonimo Ci succederà, un mattino, magari a Milano o Roma o in qualsiasi altra città d’Italia o dell’Europa intera, di alzarci dal letto e schiacciando il pulsante della luce ci renderemo conto che nessuna lampadina si accende. Andremo alla finestra per far salire le tapparelle elettriche ma anche quelle non si muoveranno. Se ci troveremo d’estate, ci accorgeremo che il condizionatore d’aria non funziona, che nel frigorifero sta tutto marcendo e che dai fornelli della cucina a gas, gas non ne esce. Ci precipiteremo fuori di casa e troveremo il bar, nel quale abbiamo sempre consumato il nostro santo cappuccino con brioche, pieno stracolmo di gente, chi terrorizzata, chi sconvolta e la maggior parte che si limita a imprecare: «Per la miseria! Neanche il caffè! Come si può iniziare una giornata senza caffè?!» «Ma che t’importa di ’sta giornata! Tanto non puoi neanche andare a lavorare, la tua macchina è a secco e la tua fabbrica è chiusa per mancanza di materie prime. Fai conto che sia una domenica ecologica. Prova a respirare, sentirai che aria fresca!» «Fresca un corno! È intasata più del solito, c’è un puzzo che schianta!» «Beh, abbi fede, ancora una settimana, anche due… tre… magari un mese di questo blackout e vedrai… pian piano l’atmosfera si purga…» «Si purga un cavolo! Ci vorranno vent’anni per ripulire l’atmosfera dalle tonnellate di porcherie che ci abbiamo sparato…» «Esagerato… il solito pessimista… Puoi scommetterci: fra qualche settimana respireremo che ci sembrerà d’essere in alta montagna!» «Sì, bravo. In un’alta montagna di rifiuti! Se non passano i camion a ritirarli ci troveremo tutti immersi in un’enorme discarica! Peggio che a Napoli!» «Ma che discarica? Per scaricare qualcosa bisogna possedere del cibo da consumare, verdure da ripulire, rifiuti da gettare… e sacchetti di plastica in cui caricare la spesa!» «Eh che menagramo!» «Già! Chi non consuma non sporca! Infatti il più pulito è il morto di fame!» Qualche minuto dopo nello spiazzo dove c’è il distributore, che ci si trovi a Parigi, a Boston o a Chicago, ma noi preferiamo immaginarci a Milano nei pressi di Porta Romana, proprio dove c’è il benzinaio, scorgerete una fila di macchine infinita: non c’è benzina, neanche gasolio; aspettano l’arrivo da un momento all’altro delle autobotti, ma qualcuno avverte che la situazione è identica in tutta la città, per non parlare degli imbocchi alle autostrade. Lo spettacolo più impressionante è quello dei tir e dei camion isotermici bloccati in code interminabili coi conducenti che urlano disperati: «Qui ci sono tonnellate di merce surgelata che va in malora! E non parliamo della frutta e della verdura! Non possiamo neanche comunicare coi nostri centri di distribuzione. I telefoni non funzionano! Anche la televisione non s’accende». Una radiolina a pile dà notizia che le autostrade sono interamente sgombre, vuote di traffico. Anche i treni sono fermi in stazione. È un blackout completo. In compenso c’è un sacco di gente che si sta avviando verso l’ingresso dell’Autostrada del Sole e altri innesti: molti sono in bicicletta e trascinano carrette e perfino carrozzine per i piccoli. Dove stanno andando? Perché verso l’autostrada? Dicono che i camionisti, bloccati, non ce la fanno ad assistere al deperimento irrefrenabile della merce che trasportano, così la distribuiscono… gratis a tutti quelli che si presentano. Guardate laggiù, è una folla! Qualcun altro dà la notizia che l’esercito sta requisendo i depositi delle raffinerie. Il governo dichiara lo stato di emergenza, ma non trova un mezzo per poterlo comunicare ai cittadini. L’IMPORTANTE È NON CREARSI PROBLEMI Un uomo del Mesolitico lancia in cielo un bastone ricurvo e inaspettatamente il bastone torna da dove era partito colpendo in fronte il lanciatore. L’Homo Sapiens nulla sa della rotazione dei gravi e degli effetti che questa legge produce, quindi non se ne fa alcun problema… continua a lanciare il bastone e spera in Dio. Claude Mortensen, geologo Il giorno appresso, la gente comincia a rendersi conto della dimensione che ha assunto il disastro: imperterrite, televisioni e radio restano spente. I giornali si stampano con il petrolio, quindi ferme anche le rotative, a parte che mancherebbero i mezzi per distribuirli. I cellulari si stanno scaricando. Trascorrono altri tre giorni e alcune piccole radio riescono a trasmettere ancora qualche notizia, per lo più catastrofica. Tanto per cominciare si viene a sapere che le azioni petrolifere sono crollate a picco, tutte insieme, e hanno trascinato nel baratro le numerose imprese che lavoravano materiale sintetico, coibenti, generi in plastica… il tutto per 80.000 prodotti derivati dal petrolio. Poco più avanti, sempre a Milano, nel vicino corso Lodi, c’è un panettiere che da anni ha impiantato un forno a legna. Entrate e assisterete a un dialogo a dir poco surreale. Un signore chiede una pagnotta appena sfornata di mezzo chilo. Il panettiere gliela incarta, gliela consegna e il cliente gli offre dieci euro e l’altro, scuotendo la testa, dice: «No, niente soldi, né di carta né in moneta. Non hanno più nessun valore. Avrà saputo del crollo totale?» «Sta parlando delle azioni petrolifere?» «Sì, ma anche delle banche, e delle assicurazioni...» «Banche e assicurazioni?» «Eh sì, ormai non c’è più niente da assicurare.» «E con che cosa la pago, allora?» «In cambio merce!» «Come a dire un baratto?!» «Giusto. Lei mi dia, se crede, i suoi gemelli da polso.» «Ma scherza?! Sono oggetti preziosi, valgono quasi mille euro e dovrei darglieli in cambio di una pagnotta?» «Se le sembra un baratto non conveniente mi dia qualcos’altro, la sua cravatta per esempio o le scarpe. Che numero porta?» «No, mi dispiace ma non ci sto, è un cambio indegno.» «Va bene, mi paghi in lavoro. Sa tagliare la legna, impastare la farina, andare in bicicletta?» «In bicicletta? Perché?» «Per consegnare i sacchetti di pane ai clienti.» «E va bene! Tenga le scarpe! (Così dicendo si siede su uno sgabello e comincia a slacciare le stringhe.) Le basta una scarpa sola?» «Mi dispiace ma ho anch’io due piedi. Tutt’al più le posso dare un’altra pagnotta ma mi deve lasciare pure la sua cravatta.» È ormai trascorsa una settimana dal giorno del blackout. Molti stanno entrando in un allarmante clima di tensione. Si stanno verificando preamboli da assalto ai forni. C’è però qualcuno che non si lascia travolgere dal panico. Ci troviamo davanti al Teatro Carcano. «Se analizzate bene la situazione» dichiara ad alta voce un professore della Statale intorno al quale s’è formato un vero e proprio capannello, «le cose non si mettono assolutamente male, anzi! Passato il primo momento di sconcerto, vedrete che finalmente come in un tornado magico ci troveremo in una situazione davvero straordinaria. Pochi di noi se ne sono resi conto, ma qui tutti stiamo uscendo da uno stato, quello sì, veramente disastroso. Guardatevi intorno: le macchine a centinaia abbandonate sui bordi delle strade, nelle piazze, come relitti fulminati. Sentite il silenzio… non c’è più un pernacchio di moto, un clacson, uno strombazzare di motori in accelerazione con relativo sbroffo di scappamenti che t’asfissiano. Di notte riusciremo a vedere perfino le stelle, perché quella coltre giallastra che ancora ci sta addosso svanirà dopo qualche decina di uragani liberatori.» «Uragani?» chiede una signora. «Sì, l’assestamento termico, un processo attestato dalla scienza» chiarisce il professore, «porterà un prodursi continuo di uragani con scariche elettriche strepitose.» UN’IDEA GENIALE I bimbi nella strada purtroppo respirano allo stesso livello dei tubi di scappamento delle macchine. Per evitare le conseguenti intossicazioni, passeggiando, appendete i vostri figlioli a un palloncino aerostatico di almeno un metro di diametro; fate in modo di tenere il più in alto possibile il pallone con il bimbo. Per precauzione portate sempre con voi un fucile ad aria compressa, cosicché, se a causa di un colpo di vento vi dovesse sfuggire il miniaerostato col bimbo appeso, potrete sempre abbatterlo immantinente. Il pallone mi raccomando, non il bimbo! Dai consigli dell’assessore all’Ecologia di Milano «Non avremo più di che preoccuparci per i polmoni dei nostri figlioli intossicati dai gas di scarico» continua il professore. «Con la nuova situazione non ci sarà bisogno di fermare il mondo per salvarci fuggendo, poiché questo incredibile avvenimento renderà impotente ogni fenomeno negativo per la sopravvivenza nostra e quella del pianeta.» Qualcuno lo applaude. «Inoltre, se mi permettete…» s’introduce un assistente precario «facciamo il caso di una forza militare come quella degli Stati Uniti, che in un certo qual modo oggi rappresenta la potenza unica di controllo e sorveglianza del pianeta: come sposta le proprie truppe di polizia, pardon di persuasione, nei vari teatri di pronto intervento? «Come può sbarcare in un territorio ’da liberare’ portando a quel popolo la democrazia se non può usufruire di navi e aerei né di tank e cannoni semoventi? E che uso se ne fa delle migliaia di ogive atomiche che ha sparso per tutto il pianeta: con che razza di razzo le spara? Oltretutto che ci va a fare in quegli Stati canaglia se non ci sta più il petrolio?» «Vuol dire che per quanto ci riguarda» lo incalza un giovane allievo della Statale «causa il blackout i nostri alleati statunitensi saranno costretti ad andarsene dalle basi militari del bresciano, del Veneto, del Friuli e altre ancora?» «Sì, ma in compenso» conclude ironico il professore «ci lasceranno, per ricordo, tutte le ogive atomiche immagazzinate nei bunker delle postazioni suddette, ordigni nucleari, il più soft dei quali ha una potenza almeno tre volte maggiore della bomba sganciata su Hiroshima.» «Mio Dio!» esclama preoccupata una mamma col bimbo in braccio. «Bisognerà che le disinneschiamo noi prima che ci giochino i bambini.» «Quindi, per concludere: niente petrolio, niente più guerre!» applaude un giovane studente con lo zaino. Un intero gruppo di suoi compagni esulta festante e accenna a una danza. Il professore entusiasta commenta: «Dovremmo danzare anche noi come questi ragazzi per festeggiare un evento sconosciuto nella storia dell’umanità. Non sentiremo più parlare di guerre preventive né tanto meno di pace attiva». «Un attimo di silenzio, per favore!» dice un vecchio claudicante mostrando una piccola radio in funzione. «Qui stanno dando altre notizie. Pare che un folto numero di ragazze, rimaste con le proprie automobili ferme, esasperate per l’improvvisa mancanza di carburante, abbiano assalito alcune macchine di fortunati che si erano preoccupati di riempire il proprio serbatoio anzitempo e, munite di tubi, abbiano letteralmente succhiato il pieno.» «Voglio subito una metamorfosi!» grida esaltato un ragazzo. «Dio, trasformami in un tubo da succhiare, ti prego!» Siamo ormai al decimo giorno di emergenza. Pochi nelle città rimangono in casa, la gente si riversa preferibilmente nelle strade e nelle piazze. Nello slargo di Porta Romana giungono dalle campagne dei carretti trascinati da cavalli e da trattori alimentati dall’olio di girasole o di colza coltivati nelle valli del Ticino. Sono contadini che offrono prodotti dei loro orti e delle fattorie, conigli a pezzi e galline ancora vive in cambio di oggetti i più diversi. Intorno a loro si fanno subito donne e uomini che scelgono e contrattano. Un giovane, indicando la piazza sul fondo, grida: «Guardate là: c’è una macchina che avanza silenziosa». L’auto viene verso il capannello e si ferma; ne esce un signore soddisfatto e ridente. Pian piano la strada si riempie di curiosi. «Ma che razza di macchina è questa?» gli chiedono. «È un fenomeno, amici miei! Ce l’ho da tre anni. Finalmente ho la soddisfazione di poterla guidare tranquillo per tutta la città!» «Ma a che cosa va?» «Ha un motore elettrico?» «Va a gas?» «No, ad aria compressa.» «Aria compressa? La stessa con cui si caricano i fucili per ragazzini?» «Sì, proprio lei. L’ho messa a punto con l’aiuto di miei colleghi del Politecnico, davvero geniali, ma non ero mai riuscito a ottenere la licenza per ‘sto motore, avevano bloccato addirittura il progetto! E pensare che è il mezzo più pulito che ci sia al mondo e costa meno della più scassata fra le macchine! Oltretutto è silenziosissima! In India stanno costruendo delle macchine simili, la cui carrozzeria è stampata in una lega leggerissima e compatta: tutta l’auto pesa meno di 500 chili e viaggia a più di 120 chilometri all’ora, 200 chilometri di autonomia e la ricarico con i pannelli solari fotovoltaici che ho sul tetto di casa mia.» «Ne avevo sentito parlare» interviene un tranviere appena sceso da un mezzo del Comune in panne. «Ah! Ah! C’è proprio da crepare dalla soddisfazione. I grandi Paesi del mondo tutti bloccati, a piedi, e loro, gli indiani, gli unici che se la spassano di qua e di là coi loro turbanti in testa e gli elefanti e le vacche sacre che li guardano sconvolti per la meraviglia!» «Certo che procura davvero una splendida euforia» commenta con sarcasmo un giovane signore che esibisce un Borsalino in capo e al collo una cravatta a papillon. «Ed è incredibile doverci rendere conto che in tutto questo caos quelli che manco si sono accorti del cataclisma sono proprio i diseredati della Terra. Mi fa schiattare dal ridere!» CALMA: STIAMO REGREDENDO Pochi anni fa in Kenia ho visto nel cielo transitare un grosso jet e nella savana un’intiera tribù di pastori che, terrorizzata, correva senza meta seguita dal gregge. Oggi, a quei pastori non capiterà più di fuggire, giacché chissà per quanti anni non saranno più disturbati da alcun assordante velivolo. Anonimo viaggiatore «Voi avete idea» interviene un signore con un naso prominente da maschera grottesca, «avete idea di quanti siano gli abitanti del nostro pianeta che non hanno mai visto né un camion né un aereo e tanto meno un elicottero?» «Ah certo» gli fa da spalla un tipo magro e lungo, «ci aggiunga pure tutti quei popoli che non hanno mai ascoltato una radio o seguito programmi televisivi, non per una repulsione naturale verso i palinsesti, ma perché non conoscono l’esistenza e l’uso dell’elettricità oltre a quello dei motori a scoppio, dei telefoni, dei computer…» «Beh, insomma, stiamo parlando dei selvaggi?» «Ci andrei piano a chiamarli selvaggi, specialmente oggi, soprattutto se proviamo a confrontarli con noi e la situazione in cui viviamo.» «Scusate, ma non si potrebbe intavolare qualche discorso un po’ meno angosciante…?» chiede una donna con voce sommessa. E di rimando il tipo magro e lungo risponde: «Eh no, signora, non siamo mica in un programma televisivo dove scantonare è d’obbligo. Anzi… questo è proprio il momento giusto per cominciare a dire le cose come stanno! Per esempio è il caso di ricordare che gli abitanti del nostro pianeta ammontano a più di sei miliardi: ebbene, la bellezza di un miliardo e duecento milioni di individui non si serve né di energia elettrica né di propellenti fossili, non li conosce o non è in grado di farne uso». «È incredibile» commenta una mamma col bimbo in braccio, «non l’avrei mai detto, quasi un miliardo e mezzo di uomini, donne e bambini, come noi di razza umana, che vive ancora all’Età della Pietra!» «Ebbene signora» dice l’uomo dal naso possente, «c’è un altro miliardo di disperati, che dei mezzi di trasporto ne fa uso, ma solo accidentalmente. Ora, cosa volete che gli importi a questo 40% di umanità del nostro attuale disagio? Per loro che esista la civiltà tecnologica o che abbia cessato di esistere, non cambia proprio niente. Non c’è la luce? Accendi una torcia. Fa freddo? Brucia della legna. Devi partire? Cavalca un asino o rema sulla canoa. Hai la febbre? Succhia ’sta radice. Ti sei beccato il morbillo o un’infezione virale? Crepa! Le medicine costano e la fabbrica che le produce non fa carità a nessuno. Regalano medicine sì, ma solo se abbondantemente scadute! Vai! Vai! Questa sì che è vita!» «Ma noi siamo di un’altra stirpe» interviene in tono sarcastico un signore dall’aspetto imponente «e pur nel disastro tecnologico abbiamo la fortuna di poter ammirare qui in questo momento un prototipo di vettura che si muove a una velocità massima di 120 km all’ora e che gode di un’autonomia che non raggiunge i 100 minuti.» «Infatti» gli risponde il professore della Statale «si tratta di un prototipo. A quale velocità lei crede fosse in grado di muoversi il primo veicolo con motore a scoppio quasi un secolo fa? Nemmeno alla metà!» «Il problema serio piuttosto», interviene un maghrebino conosciuto come «il dottore scuro», «è che siamo in un colpevole ritardo nello sviluppo alternativo! E non per mancanza di progetti, ma di volontà!» UN NOME, UNA GARANZIA F.I.A.T. VOLUNTAS TUA- F.I.A.T. VOLUNTAS DEI Dal Vangelo di Matteo «È vero» lo affianca il giovanotto dal papillon. «Di progetti da sballo ce ne sono una caterva. Cinque anni fa, mi ero appena laureato in ingegneria meccanica, quando ho avuto l’occasione di visitare il deposito brevetti di una grande industria automobilistica, tanto per non far nomi: la fiat. Noi ragazzi si continuava a provocare il direttore del reparto che ci accompagnava, chiedendo a tormentone dove fossero finiti i miliardi che lo Stato aveva elargito per la ricerca, perché l’impresa producesse nuovi modelli ecologici. Seccato, il boss spalancò un gran cancello e ci introdusse in un enorme hangar, stracolmo di modelli: ’Ecco qui soddisfatta la vostra morbosa richiesta. Volete un motore a gas poco tossico? Ve li presento, ne abbiamo a decine. Ancora, vi offriamo un’auto a idrogeno in varianti innumerevoli e poi macchine a energia solare con pannelli a specchio che sembrano ali di gabbiano, motori a olio vegetale e qui ci si può proprio sbizzarrire! Per non parlare dei modelli ad alcol, altri ibridi e ad acqua’.» La folla che riempie la strada esplode in un gran vociare di indignazione: «Ma come… Avevano altri mezzi pronti per salvarci dallo smog e dal disastro e se li sono tenuti nascosti!? Ma perché??? A quale scopo?» L’ingegner ridente ora s’è fatto a sua volta cupo e risponde: «Per la semplice ragione che il profitto è il motore del mondo. Ma avete idea di cosa costi per una grande industria bloccare e distruggere una catena di produzione d’auto per sostituirla con altre diverse in continuo collaudo, rieducare una clientela ormai assuefatta al motore a scoppio, riaprire un nuovo mercato, rischiare una débâcle di vendita…?! Anche il più propenso ed esaltato positivista dei costruttori, avete l’idea a che azzardo andrebbe incontro se si decidesse a un passo del genere? Si ritroverebbe addosso, pronte a mozzargli le gambe, tutte le imprese petrolifere e le banche che quasi sempre sono le maggiori azioniste dei costruttori d’auto… per non parlare delle associazioni dei benzinai e delle imprese concessionarie». «Ha ragione l’ingegnere! Farebbero di tutto per farlo fallire!» lo sostiene il dottore del Maghreb. «Non dimenticatevi cosa successe in America a Ford, il più grande magnate automobilistico degli Stati Uniti, quando negli anni Trenta decise di costruire un motore alimentato a olio vegetale, che poi era il primo motore diesel.» «È vero» rincara l’ingegner ridente. «Abbiamo accettato tutto senza batter ciglio. Eppure lo sapevamo… perfino la televisione ne ha parlato!» «Perché, cosa successe?» chiedono, partecipi, alcuni dei ragazzi della Statale. «Beh, prima di tutto» continua il maghrebino «bisogna dire che Ford aveva intenzione di sganciarsi dal controllo finanziario dei petrolieri e si era accorto che i suoi nuovi motori invece che col gasolio funzionavano benissimo anche con l’olio di cannabis, oltretutto un propellente molto meno inquinante.» «Ma va?» lo interrompe il giovane con lo zaino. «Ha detto cannabis… come dire la marijuana?» «Sì, proprio quella!» spiega il dottore scuro. «Ford indusse i produttori agricoli di molti Stati a coltivare ’canna’ in tutti i loro campi: la sua idea ebbe un gran successo soprattutto per la ragione che l’olio di marijuana aveva un prezzo inferiore rispetto al gasolio. Ma ecco che i petrolieri entrarono a piedi giunti nella tenzone, abbassando di botto del 50% il prezzo del loro prodotto, il gasolio, e anche quello della benzina. I possessori di motori diesel cambiarono subito di distributore tornando al petrolio, e agli agricoltori non restò che fumarsi le loro canne fino a schiattare! E Ford a testa bassa dovette tornarsene sconfitto dai petrolieri.» «Questa storia non la sapevamo!» commentano gli studenti. «Vuoi vedere» rinforza una ragazzina «che a proibire le canne e a togliere gli spinelli dal mercato anche qui sono stati i petrolieri? È proprio vero quello che diceva poco fa il dottore scuro: il profitto è il motore del mondo. Mandano in guerra i nostri ragazzi, ci intasano l’aria, ci riempiono di smog e ci vietano le canne, e scommetto che sono d’accordo col papa perché ci proibisca la pillola anticoncezionale e pure quella del giorno dopo, i dico e anche l’aborto!» «Ed è proprio questo bastardo motore del profitto che ci ha portato alla débâcle che stiamo vivendo!» interviene a gran voce una donna. «Al grido di ’Buoni utili e buona morale!’ siamo arrivati a produrre un disastro totale.» «E i politici lo sapevano?» chiede la ragazza. «Certo! Ma a loro volta nascondevano.» «E gli scienziati?» «Qualcuno è intervenuto» dice il professore «ma è stato azzittito e gli altri, come di regola, silenzio!» «Non disturbare il manovratore!» carica l’uomo dal nasone. «Già, il manovratore della nave che va a picco! Siamo proprio governati da pazzi criminali e deficienti!» esplode il tranviere. BARCAMENARSI! Derentro el giuso* sèm pucià** ne lo smerdàsso condanà. Immergiùi in la merda sèm, fino a la bóca i diauli crìa: «Sóto a chi tóca!» Qualcun se sbate pe’ non ’andà a fónda «Per Dio, stì quàch***! Stèt bon, no fèt l’onda!» Bescapè, l’Inferno E così, fra un dibattito e l’altro all’aria aperta, abbiamo superato i quindici giorni di emergenza. Un folto gruppo di ragazzi provenienti da varie università e scuole tecnologiche hanno organizzato un incontro con docenti e ricercatori, nel centro della città, sotto le arcate del Broletto, l’antico Senato al tempo dei Comuni. L’acustica là sotto è davvero sorprendente: ognuno può intervenire senza l’ausilio di microfoni. I ragazzi si sono procurati centinaia di panche prese in prestito dal Duomo. Un vecchio docente, dopo l’introduzione che illustra la situazione generale creatasi per via del collasso energetico, si scaglia contro i responsabili del disastro cioè la lobby dei petrolieri e dei grandi produttori di macchine e motori. «L’unica soddisfazione» sghignazza un ex fonditore «è sapere che tutti ’sti grand’uomini d’affari sono rimasti fregati anche loro come noi a cominciare proprio dai petrolieri, anzi più di noi, perché con tutti i quattrini che si sono messi da parte stanno andando a picco nello sterco senza poter neanche gridare Aiuto!, giacché rischiano, se qualcuno li riconosce, di venir spinti giù a scarpate con gran soddisfazione! Glu glu glu glu!!!» Tutti ridono e applaudono! «Attenti a non esaltarvi troppo!» li blocca un pensionato. «A parte che dovevamo svegliarci, muoverci un po’ prima.» «È vero» rincara un signore ridente. «Abbiamo accettato tutto senza batter ciglio. Eppure lo sapevamo… perfino la televisione ne ha parlato!» «Beh, ma quasi di sguincio» commenta il fonditore. «No, no» lo contraddice una signora con cappello e veletta, «neanche una settimana fa io ho visto un film proprio in prima serata con questa storia della nave che va a picco con una folla di passeggeri che fuggono, si buttano a mare e altri, ricchi e satolli, che manco se ne accorgono e continuano a ballare e a cantare nel grande salone delle feste con l’orchestra che suona tutta di traverso e intanto il pianoforte scivola e i lampadari scoppiano. Che bella allegoria! L’ho capito subito che alludeva a un prossimo nostro cataclisma!» «Ma quella è la tragedia del Titanic!» la corregge uno degli studenti. «Non c’entra niente, è un drammone d’altri tempi.» «D’altri tempi l’episodio, sì, ma l’allegoria era rivolta a noi, e al nostro tempo.» Un’altra donna incalza: «Io davvero non mi sono resa conto di nulla, ero troppo occupata ad arrivare alla fine del mese». «Io invece continuavo a essere ottimista» confessa un signore quasi obeso col vocione. «Ero convinto che la scienza ce l’avrebbe fatta a inventare qualche altra diavoleria… che so… un propellente straordinario a basso prezzo e inestinguibile, di enorme potenza. E sono ancora ottimista! Vedrete che ce la faranno.» «Già…» interviene uno spregiudicato docente, famoso per il suo sarcasmo e il linguaggio colorito, «la differenza tra un ottimista e un pessimista è che gli ottimisti non s’informano, non sanno, non conoscono e stanno tranquilli… sperano! I pessimisti sono invece quelli che sanno, conoscono, prevedono e s’incazzano! E anche loro sperano! Sperano che all’ottimista prenda un coccolone!» «Io mi incazzo! M’incazzo e non spero un cazzo!» esclama un tranviere. «Oh come m’incazzo!!!» «Ed è un errore» lo blocca il professore positivo, «l’ho già ribadito in un’altra occasione, e vorrei che mi steste ad ascoltare. In questo momento noi non dobbiamo abbatterci, ma esaltarci. Stiamo godendo di una grande fortuna: meno male che per il petrolio siamo arrivati all’anno zero! Se la riserva di greggio fosse stata inesauribile, la nostra fine di esseri umani sarebbe stata prossima e completa. «Attenti, non la fine del pianeta! Anche ridotta a un catorcio di residui velenosi, la Terra continuerebbe a roteare nell’universo, finché tra secoli e secoli ritornerebbe pulita.» «Pulita a vantaggio di chi?» chiede il tranviere. «A vantaggio di nessuno, noi saremmo i primi a schiattare, e con noi tutte le creature che respirano, compresi i pesci. Nessuno riuscirebbe a sopravvivere su un pianeta completamente intasato di gas tossici! Oggi invece abbiamo ancora la speranza di farcela.» «Farcela come?? Con che cosa? Siamo qui ridotti a uomini della pietra, senza nemmeno una pietra da sbatterci sulla testa, e senza neanche le bacche e le radici da masticare.» «A proposito di masticare» interviene una donna, «e scusate signori se vi tiro via dai vostri discorsi scientifici, ma come la mettiamo col problema del cibo?! Oggi sono stata al supermercato, c’era una folla incredibile. Gente che si strappava l’un l’altro dalle mani la poca merce rimasta: frutta, verdura e pacchetti di pasta e riso che volavano da un forsennato all’altro.» CONSIGLI UTILI Solo se tocchi il fondo del baratro puoi risalire: basta una buona corda e qualcuno che ti tiri su. Ma fai attenzione che la corda non sia torta intorno al tuo collo. Coluche, il comico Altri tre giorni sono trascorsi. La novità è che qualche giornale è uscito nelle edicole ormai vuote. Li hanno stampati, dicono, con l’inchiostro più antico: quello dei calamari. Molti dei nostri amici si sono trasferiti sotto il grattacielo appena eretto nello spazio della Fiera. Dall’alto di quella torre di cento metri cubi di calcestruzzo s’affaccia un esagitato. Impugna un megafono portatile, di quelli da comizio volante, e urla: «Gente! Allegri! Per voi oggi è carnevale! (E così dicendo rovescia un sacco ricolmo di banconote.) Sono soldi! Godeteveli! Ci sono anche obbligazioni che valgono migliaia di euro! Sì, vi faccio questo dono di ’sto ben di Dio perché vi amo! Vi ho fottuti per anni, per questo vi amo! Perfino questo grattacielo l’ho costruito così svelto per infilzarvelo in quel posto! Ma vi amo!» «Ma chi è? Un pazzo o ci sfotte?» grida il fonditore. «Io non so cosa farmene dei soldi, anche perché non valgono più un accidente. (Disperato) Ah! Ah! Sono rovinato, tutti siamo rovinati, anzi gli unici che possono ridere sono quelli che non avevano niente! Voi! Voi, laggiù, nella strada…! Oggi siete i benedetti dalla fortuna perché non avete niente da rimpiangere, anzi… oggi state in cima alla torre della beatitudine. Come diceva Gesù: ’Benedetti i poveri di spirito che avranno tutto, proprio perché non avevano niente’. Finalmente si avvera la promessa del Salvatore. È il giorno del Giudizio… allegri!» Il ragazzo con lo zaino chiede a gran voce: «Ma chi è? Ligresti o Tronchetti Provera?» «Poveraccio, in fondo mi fa pena!» aggiunge la signora. Dall’alto scendono come coriandoli migliaia di fogli e biglietti. Qualcuno ne raccoglie una manciata e poi li butta. Gli unici che se li tengono sono i bambini e qualche vu’ cumprà che non capisce di cosa si tratti. Pare di essere dentro la pellicola di Miracolo a Milano. Ci mancano solo i barboni che volano. No! Qualcuno che vola c’è!! È lui, il ricco rovinato che s’è gettato dal terrazzo. Precipita con le braccia spalancate come ali ma non prende quota. Va a sbattere su una tenda parasole del balcone di sotto. Rimbalza e finisce sul telone di un camion bloccato sul marciapiede. Si trova per terra intontito, si rialza e, andandosene barcollante, commenta: «Che mondo di merda! È difficile persino morire. Vuoi vedere che anche stavolta c’è di mezzo il Vaticano? È il Santo Concilio che ha proibito l’eutanasia! Se mi fosse riuscito di crepare, le Chiese avrebbero rifiutato il mio cadavere e perfino di seppellirmi in luogo consacrato… Ma io li frego… Vado a morire in Svizzera! A Locarno, lì mi fanno un prezzo di favore!» Ma torniamo in Porta Romana. Qualche giorno dopo, da un palazzo di cinque piani con terrazzo provengono grida e sghignazzi. Lassù c’è un uomo che sta danzando pazzo di gioia sostenuto da donne e ragazzi. Alcune potenti casse acustiche proiettano un rock assordante. Qualcuno dalla strada commenta: «Ma come fanno a sparare un sound del genere? Quelli hanno energia elettrica da buttare! Dove la prendono?» «Ce l’abbiamo fatta! Ce l’abbiamo fatta!» urlano nei microfoni. La loro voce è amplificata da altoparlanti appesi sui balconi. «Sapevo che sarebbe arrivato il mio giorno! Abbiamo vinto!» sbraita un uomo col microfono incollato al viso. «Qui è il droghiere del negozio d’angolo che vi parla! Mi riconoscete? E vi ricordate lo sfottò che mi facevate: ’Piantala droghiere di fare il drogato! E il menagramo! Ma figurati, mi dicevate a tormentone, se davvero ci fosse un pericolo di blackout, i padroni della città li vedresti tutti darsi da fare per foderare per intiero le pareti dei loro grattacieli con lastre di pannelli solari per chilometri quadrati… impiastrerebbero ogni palazzo, perfino le chiese, a cominciare dal Duomo, compresa la Madonnina, anzi… fra le braccia della Santa Madre d’oro piazzerebbero una pala eolica gigantesca e vedresti tutte le guglie del Duomo trasformate in torri eoliche… gotiche!’ Ah! Ah! (Ride) E sghignazzavate, trattandomi da coglioncione! Però oggi ho la soddisfazione di vedervi tutti col culo per terra e io con la mia famiglia voliamo in aria come colombi felici!» «Ehi drogato!» urlano da sotto. «Che ti prende? Da dove viene ’sta storia dei colombi felici?» «Proprio dai pannelli solari e fotovoltaici! Sono loro che ci rendono giocondi, tanto da scoppiare! Ci siamo messi insieme ad altre quattro famiglie, tutti condomini; ma, essendo le nostre case in centro, il Comune non ci ha concesso l’autorizzazione che ci avrebbe permesso di accedere alla sovvenzione statale per la messa in atto, quindi ci siamo dovuti svenare per comprarli e poterli sistemare qui, sui nostri terrazzi… naturalmente nascosti e truccati! Vi sembreremo incoscienti ma per noi questo blackout è stata una manna dal cielo! Come si sono spente le turbine delle centrali elettriche, il giorno stesso, senza che nessuno venisse più a romperci le scatole, abbiamo potuto montarli tutti! Se salite da noi, al quarto piano, ve li potete godere anche voi, già in azione! Ne abbiamo distesi per più di cento metri quadrati, anche sul tetto… con questo impianto riusciamo a produrre fino a più di 20 chilowatt… e lassù ci abbiamo montato quattro torri con pale eoliche ridotte…» «Ma cosa vai farneticando?» lo interrompe un tale. «Io abito qui di fronte, sul tuo stesso piano, non le ho mai viste… ’ste pale!» «Per forza, le tenevamo sdraiate, nascoste sotto una coltre d’edera» interviene la moglie del droghiere, «erano abusive! Ma stamane le abbiamo rizzate e messe in atto: guardate che spettacolo! Funzionano che è una meraviglia! Sentite, sentite! Girano e cantano.» Tutta la famiglia intona il rock del giroscopio: «Gira, gira, l’elica gira… con il vento senza rumore, fai montare il contatore… pare un sogno, una follia… energia, energia, guai a chi ce la porta via». «Vi rendete conto?» riprende il negoziante. «Siamo gli unici in tutta la via con la luce elettrica, la televisione accesa e perfino il frigorifero e il condizionatore. Possiamo telefonare dove ci pare… se troviamo qualcuno che si sia messo nella nostra stessa situazione…!, e in più godiamo dell’acqua calda e addirittura di una cella frigorifera con frutta, verdura, carne, pesce… da fornire cinque ristoranti.» Dal basso salgono fischi e urla da stadio: «Fanatici!» «Bastardi!» «E ci state pure a sfottere!» «Calma… sì, forse siamo andati giù pesanti… abbiamo esagerato. La cella frigorifera non ce l’abbiamo. Abbiamo solo un congelatore da macelleria… ma ci basta! E voi, cosa aspettate a muovere il culo a vostra volta e ingegnarvi come noi? Se volete vi diamo tutte le dritte per fare altrettanto.» Ognuno nella strada adesso sta in silenzio, ma c’è chi digrigna i denti: «Io adesso salgo a casa, prendo il mio fucile da caccia e gli sparo, a quel figlio di puttana!» L’uomo obeso con quel suo vocione lo blocca: «Non far lo stronzo! È da gnucchi deficienti aggredire il nostro amico lassù soltanto perché ha dimostrato di essere più sveglio di noi… Piuttosto… diamoci da fare e imitiamolo. È l’unica soluzione». «Certo, è l’unica soluzione» aggiunge l’ingegnere ridente. E di rimando in coro gli chiedono: «Sì, ma dove troviamo ’ste pale eoliche e i pannelli?» «E soprattutto, con che cosa li paghiamo, visto che i soldi son da buttare?» «Con l’energia che produrrete» risponde dal terrazzo il droghiere «come faccio io! Qui accumulo ogni giorno il triplo dell’energia che mi serve, e la scarico direttamente nel contatore dell’enel.» «E l’enel te la considera al prezzo di mercato?» «Ma che mercato?! Il mercato è morto, così le banche e la borsa! Oggi uno dei pochi valori commerciabili sono i chilowatt di energia, con i quali paghiamo anche le imprese che ci hanno venduto i pannelli.» «E allora forza… dacci gli indirizzi di ’ste fabbriche.» «E speriamo che i produttori siano ancora in attività!» gli gridano in coro. «Lo sono, lo sono e non hanno mai lavorato tanto! Siete pronti? Eccoveli.» «Aspetta, che troviamo carta e penna.» Lassù s’illumina fortissima la lampada di un proiettore. «Attenti… vi riproduco il tutto ingigantito sul pannello pubblicitario di Porta Romana!» All’istante sull’enorme plancard pubblicitario, abusivamente gestito dal Comune, che da anni ingabbia completamente l’antico monumento, appare una grande scritta con gli indirizzi di una fabbrica di impianti fotovoltaici con tanto di numeri telefonici, nome delle ditte installatrici e di seguito i prezzi calcolati in chili di pane o in dozzine di uova, e le relative modalità d’acquisto. Qualcuno commenta rattristato: «Ma chi non ha terrazzo come me, dove se lo impianta il pannello?» E il solito spiritoso gli risponde: «Nel cesso!» «No, per favore!» grida seccato l’ingegnere. «Non è proprio il caso. Qui stiamo tentando di salvarci la vita.» «Un momento, c’è una soluzione» propone un pensionato, «i parchi qui intorno. Potremmo ognuno occupare uno spazio adeguato.» «Figurati» gli fa il verso il tranviere, «come riusciamo a dividerci le quote di prato senza scannarci? E poi è roba del Comune… chi ci dà l’autorizzazione?!» «Ma che Comune? Dov’è il Comune? È sparito!» SI SALVI CHI PUÒ Appena una nave rischia d’affondare i primi a scendere sono i topi dalla stiva, seguiti a ruota dai politici, dalle puttane e dagli amministratori pubblici. Alcuni religiosi li hanno preceduti scendendo all’ultimo scalo. Dal Mistero Buffo di Majakovskij «Certo, come hanno sentito il glu! glu! dell’affondamento, assessori e presidenti se la sono data a gambe, trasformati in pantegane da fogna!» sottolinea il pensionato. «Basta chiacchiere!» li interrompe l’ingegnere. «Allora, per la distribuzione dello spazio, prima si segna il reticolo dei campi, poi si numerano e si fa una bella lotteria.» «Evviva, adoro le lotterie!» esclama una signora. «Poi da quando non s’accende più la televisione, mi mancano proprio!» «Avanti, chi vuole concorrere mi segua!» riprende l’ingegnere. «Ma sia chiaro: se c’è qui qualche furbo che non ha intenzione di piantarci i pannelli fotovoltaici e concorre solo nella speranza di vincere un lotto per poi venderselo, l’avvertiamo subito che quel prato guadagnato gli servirà solo per esserci seppellito!» «Ehi, ma che cosa stai dicendo, ingegnere? Di colpo ti sei travestito da sceriffo della Lega Padana?» C’è una donna di colore che si fa coraggio e chiede: «Scusate, anch’io vorrei concorrere per poterne avere un lotto…» «No, lei non può!» la blocca sicuro un signore dall’aria aggressiva. «Perché non posso?» reagisce quella. «Io sono cittadina italiana come voi. È da vent’anni che sono qui: lavoro e ho una casa in affitto coi miei figli.» «E quindi» la appoggia l’uomo obeso col vocione «lei può, eccome. Anzi, giacché ha i figli, ha più diritto di quello che è scapolo e non abita neanche in questo rione!» Ora, intanto che si prepara la spartizione dei lotti, spostiamoci con gran parte degli intervenuti in un altro scenario, nel parco grande della città, esattamente al parco Sempione, nello spazio detto del teatro di pietra. Là, seduti sulle scalinate dell’anfiteatro finto antico, si sono riuniti uomini e donne di diversa estrazione sociale, c’è perfino un oriundo cinese con sua moglie immigrata dalla Russia; come nel primitivo brolo dei lombardi, ognuno interroga i convenuti sul da farsi. Un signore dall’aria distinta ha preso la parola con tono deciso per offrire una soluzione che gli sembra realizzabile: «Siamo tutti responsabili di questo terribile blocco dell’energia» comincia. «È vero, abbiamo sprecato risorse immense in pochi anni, ma ci resta ancora qualche miniera di carbone da sfruttare… Potremmo usare il carbonfossile!» «Perfetto! È un’idea geniale!» lo schernisce l’uomo dal naso possente. «Anche se io col carbone c’avrei un piccolo problema di famiglia… mio nonno e mio zio, quarant’anni fa, erano giust’appunto minatori… a Marcinelle, in Belgio, ci sono rimasti entrambi asfissiati con altri duecento, seppelliti cento metri sottoterra! A ogni modo, sono d’accordo. Riapriamo le cave dei fossili! Ma… chi ci va in miniera? Lei, dottore? O parenti suoi?» «No, io veramente…» balbetta l’interpellato. «Non mi sentirei adatto...» «Appunto.» Entra a piedi giunti il fonditore. «E chi sarebbero gli adatti? I poveri cristi, i disperati, a cominciare dagli immigrati…? Specie quelli appena salvati dal naufragio, quelli sono i veri adatti! In Russia e in Cina poi sono ricchissimi di adatti disponibili, e ultimamente ogni mese ne son morti a centinaia. Le solite vittime collaterali del progresso.» «Peccato che abbiano chiuso le miniere in Sardegna!» lo carica un tale di Sassari. «In ’sto momento potremmo ritrovare adatti fra di noi a valanga.» «Ma come…? Siamo qui con i polmoni intasati di gas di scarico» interviene una donna «e lei, signore, ci propone di ammorbarci l’aria ancora di più col carbone?» C’È MIRACOLO E MIRACOLO Il guru giunse sulla riva del fiume. Il disgraziato da miracolare stava già in ginocchio nel bagnasciuga. Il santo intinse le mani nell’acqua e le appoggiò sul capo del rintronato, quindi gli disse: «Vai. Da ’sto momento non dirai più cazzate». Dalle Cronache Indù del dharma «Ma non le è bastato come lezione quello che è successo?» grida un gruppo di ragazzi. «Perdio! Non si può più andare avanti con lo stesso programma di vita criminale e imbecille che abbiamo condotto finora. La prima regola che dobbiamo stamparci nel cranio dev’essere: non s’inquina più per nessuna ragione! E guai a chi ci prova.» «Beh, vi dirò» interviene un operaio, «il signore non ha parlato del tutto a vanvera: in Germania, da dove sono tornato proprio ieri, i mezzi elettrici vanno ancora tutti… compresi quelli su ferrovia.» «Loro non hanno subito il blackout!?» chiede stupito qualcuno. «No» è la risposta, «salvo naturalmente che per camion e auto, quelli sono tutti bloccati come da noi.» «Beh, ma loro hanno un gran numero d’impianti a energia solare… senza parlare delle centrali nucleari» dichiara in tono saccente un impiegato del fisco. «Ma cosa dice? Neanche per idea!» ribadisce in tono divertito l’operaio. «Quella delle centrali nucleari e dell’energia solare ed eolica in Germania è una favola messa in giro dai mass media. Solo il 20% dell’energia viene prodotto con quegli impianti. Il resto è tutto dovuto alla combustione del carbone.» «Del carbone?» sussultano increduli gli intervenuti. «In che percentuale?» fa uno. «Del 70%.» «Del 70%? Un Paese all’avanguardia nell’eolico e nel nucleare come la Germania?» «Macché all’avanguardia! Le centrali nucleari non si costruiscono più da un pezzo! Prima di tutto perché non si sa dove smaltire le scorie! E anche l’uranio comincia a scarseggiare.» «E quindi si torna al carbone!?» esclama deluso il vecchio claudicante. «Potete credermi» assicura l’operaio, «io ci ho lavorato fin da ragazzo in quelle miniere, certo applicano un metodo di scavo e di estrazione molto più sicuro ed efficiente… ma per quanto riguarda l’inquinamento non è che le nanopolveri da combustione che esalavano fino a qualche anno fa siano sparite.» «È vero» riprende coraggio il signore distinto, «pochi lo sanno ma di fatto i tedeschi, specie adesso, respirano smog quasi quanto noi…» «Oh tu guarda! Allora tutta la campagna per il risparmio energetico delle auto ecologiche che ci venivano ad ammannire» sbotta una donna «era tutta una bufala?!» «No, no, non erano tutte frottole. I tedeschi si danno da fare» assicura l’operaio, «c’è un grande fermento, ma siamo solo all’inizio, poi che lo applichino sono pochi, entusiasti, limitati, ma aumentano di numero.» «Ma allora perché ci hanno raccontato tutte ‘ste fandonie: che loro fanno progetti di case coibentate, tutti i mezzi pubblici che non inquinano, termovalorizzatori che funzionano tanto che ci puoi respirare sopra…» «Per sadismo! Forse per farci sentire sempre più un popolo di inetti» ride il nasuto, «un popolo di zozzoni disorganizzati, inefficienti, caciaroni, pigri e incapaci che si fanno fottere e derubare da tutti i loro capoccia… vivono immersi nelle lordure… con stipendi da fame… ma basta che gli ammolli un festival di canzoni, un po’ di telenovele… e loro, ’sti italioti, sono felici come coglioni in brodo.» Risata e applausi. «Comunque» ribadisce l’operaio «la Germania ha un indirizzo politico di uscita dal nucleare, e città come Friburgo sono, ormai da tempo, effettivamente ’fabbriche solari!’» In quel momento passa uno stuolo di ragazzi e ragazze in bicicletta che suonano i campanelli e gridano, ridendo, degli slogan improvvisati: «Assessori del Comune e Sindachessa! Vi ringraziamo per il dono che ci fate! Era da anni che vi chiedevamo le piste ciclabili e finalmente ce le avete regalate! Ma andiamo… avete un po’ esagerato con tutte le strade che ci avete messo a disposizione perché noi si possa pedalare felici come gatti!» «Accidenti, guardate quanti sono… quante biciclette!» «Ma dove le tenevano? Son spuntati anche tricicli giganti!!» «Guarda, uno va a vela…!» «Sbaglio o in mezzo ci stanno anche dei risciò da mare?!» «Ma da dove vengono? Hanno saccheggiato il Museo delle Tradizioni Orientali?» «Può darsi» risponde un altro, «ci sono anche una diecina di risciò originali cinesi. Ma quelli che li tirano sono tutti di razza bianca. Invece quelli che ci stanno sopra seduti sono tutti orientali, immigrati abusivi da Shanghai: ma tu guarda come va il mondo!» «Un vigile presto!» sghignazza il pensionato. «Ci sono dei clandestini in questa città!» Si fa avanti un tipo truccato da clown che, accompagnandosi con una chitarra e un tamburo, si offre di raccontare favole reali e documentate: «Gente! Gente! Se mi state ad ascoltare, vi racconterò un fatto storico che si è verificato proprio in questa città. Vi ricordate quando il Comune una ventina d’anni fa, nella prima campagna contro lo smog, aveva pensato di offrire gratis ai cittadini un migliaio di biciclette? Ma perdio! Non potete averlo scordato! C’erano un sacco di ciclo-depositi per la città, tutte biciclette gialle. Uno bastava che desse il proprio documento, glielo fotocopiavano e via col velocipede! Lo poteva restituire anche il giorno dopo. Fu un successo straordinario: una bicicletta qui, una bicicletta là, un’altra a me e una anche a te! In pochi giorni, sono andate tutte a ruba! Ecco, a ruba… è proprio il termine esatto, in quanto nessuno è più tornato a restituirle». «Tutte sparite?» gli fa il verso una donna clown. «Sì, se le son tenute i cittadini! Ne ho vista qualcuna girare perfino in Svizzera.» «Ah, ci sono i ladri anche là, allora! Meno male…» «Soprattutto là, con le banche che si ritrovano…!» Ed entrambi esplodono in una risata del tutto buffonesca. Gli uomini e le donne raccolti nell’anfiteatro del parco nel frattempo sono raddoppiati di numero. E fra i nuovi arrivati crescono anche i venditori ambulanti; quasi tutti si muovono su leggeri carretti spesso a triciclo sul tipo degli antichi gelatai. Qualcun altro spinge carretti con pentoloni scaldati a legna. Offrono cibo d’ogni gusto e genere: minestre, arrosti, pesci fritti ecc. Per l’aria si spandono spesso odori appetitosi, che stimolano l’acquolina. Qualcuno commenta: «Ci voleva proprio un blackout da fine del mondo come questo per provocare una kermesse spontanea tanto insolita!» «È davvero una cosa incredibile!» esclama un uomo dai capelli rossi. «Vi giuro che erano anni che non mi capitava di provare un’emozione tanto intensa. Sembra di vivere fuori dal tempo con una folla di gente che partecipa senza pensare solo a se stessa.» «Certo stiamo godendo di un disastro salutare» commenta un tale che tutti chiamano maestro «e vi dirò che è la prima volta che non mi faccio alcun problema per il futuro.» Un suo vicino di gradino non è d’accordo: «Si vede che lei, maestro, non ha difficoltà a procurarsi del cibo… Personalmente non mangio dall’altro ieri!» «Io non ho problemi» continua un altro «ma il mio stomaco sì.» Una donna offre loro un pezzo di pane con del formaggio. Un vu’ cumprà, nero come la pece, che vende una specie di zuppa con mais e carne cotta in umido, si fa avanti e, versando in una tazza di legno il suo minestrone, dice all’affamato sul gradino: «Tenete! È un mangiare da re! Se non avete niente da darmi, ve lo regalo lo stesso. E ce n’è anche per voi» dice a dei ragazzi, «accomodatevi!» Qui le battute si susseguono una sull’altra. «No, è impossibile!» sbotta il papillon. «Di colpo mi sembra di trovarmi a recitare una rappresentazione mistica dove tutti sono buoni, generosi… e dove lo schiavo sfama il signore. Fra poco grideranno ciak si gira!, e ci verranno a distribuire le sacchette del pranzo per le comparse!» «Ha ragione» gli fa da spalla un uomo dai capelli a spazzola, «manca giusto qualcuno che tenga un discorso sulla comunità dei beni e poi ci benedica… Chi fa Gesù? Io faccio san Francesco!» «Questa è un po’ pesante!» commenta la donna che ha da poco offerto il pane col formaggio. «Appena qualcuno fa un gesto generoso e dimostra un minimo di solidarietà, subito, pur di cacciare il groppo della commozione, ci si butta allo sfottò e siamo salvi dal magone!» «Scusate se interrompo la diatriba mistica, ma non penso che si possa continuare in questo clima da profughi… o se preferite da poveri naufraghi, sbattuti soli su un’isola deserta da ormai più di un mese» dice il professore. «Deserta non direi!» osserva una signora. «Non ho mai visto tanta gente in giro per la città!» «Beh, per forza, si esce! Si rimane in casa a fare che? A rassettare?!» la contesta una donna grassa. «I mestieri chi ha voglia di farli? Mica aspettiamo visite!» «Scusate, a proposito di casa e di fare i mestieri…» interviene una signora col cappello a larga tesa. «Come ve la cavate, voi, con l’acqua? Ai rubinetti delle case non arriva più, a qualsiasi piano, anche a pianterreno.» La donna grassa è d’accordo: «Già, non solo, ma i boiler non funzionano, giacché non monta l’acqua... non ci restano che le fontanelle. Purtroppo il Comune in questi ultimi anni ne ha smontate a centinaia, perché la manutenzione costava… per fortuna giorni fa i pompieri si sono autonomamente dati da fare e hanno ripristinato un sacco di fontane e aperto le bocchette d’acqua per l’emergenza incendi a servizio del pubblico». «Sì, ma a noi» osserva un taxista disoccupato per mancanza di carburante «tocca sempre di far la fila ogni giorno e andare a cavarci l’acqua per nostro conto ai fontanili con taniche, secchi e via bella! Mi sembra di esser tornato al tempo della guerra!» «Non solo» dice l’uomo col naso possente, «ma c’è già chi fa incetta d’acqua e poi la rivende.» IL CANTICO DEI MINORI Tu, Segnore, ce hai donato tresòri, tanti, eppur noi ce mostriamo òmeni e femmene envàsi de la melanconia. Imperché non savémo godere de le semplece cose: por la prima dell’acqua, ch’ell’è fresca e chiara, che scorre frezzolànte da la fonte inverso ogne uno che tegna sete o voglia renfrescarse el corpo tutto; ’sta criatùra lezzéra e transparente, ell’è sine prezzo e nisciùno dinaro ti vegnerà dimandàto pe’ gostàrne quanno e quanto te pare! Francesco d’Assisi «Sapete cosa vi dico?» interviene un signore soprannominato «il cinico». «Dobbiamo aspettarcelo: il mercato dell’acqua si trasformerà in una fonte di guadagno incredibile… per qualcuno! A partire dalle multinazionali!» «Questo si chiama propagare allarmismi gratuiti!» strilla la signora dalla larga tesa. «Per di più è un atto criminale! Lei è proprio un cinico!» «Eh no, un momento, io non faccio dell’allarmismo» ribatte seccato l’uomo. «L’atto criminale semmai è quello delle imprese di energia elettrica che stanno rubandosi addirittura i fiumi.» «Rubano i fiumi? Questa è grossa!» fa la signora col cappello a larga tesa. «Quali fiumi?» Il cinico estrae da una cartella un foglio di carta e legge: «È un vecchio giornale. Il furto è cominciato alla fine del 2007 col Trebbia fra Lombardia ed Emilia, l’Aveto, il Sesia, il Chiussuma, la Nera in Umbria, la Lima in Toscana, e così via per tutta la penisola». «E come li ruberebbero ’sti fiumi?» «Li sequestrano!» declama l’uomo dal naso possente. «Li canalizzano assorbendoli in gallerie che portano il flusso direttamente nell’impianto idroelettrico e, hoplà!, il fiume non c’è più, insieme ai suoi affluenti… sparito! Si tratta di una rapina da 70 a 700 litri d’acqua al secondo soltanto nella Val Nure, fate un po’ il conto quant’è il furto con tutti gli altri corsi d’acqua in programma di esproprio! Si tratta di milioni di litri!» «Sono sconvolta!» esclama la donna grassa. «Ma non sarà la sola rapina» aggiunge il cinico. «Ecco perché non sono d’accordo col professore e il suo ottimismo!» sottolinea deciso il nasone. «Questo blackout non cancellerà mai l’avidità degli affaristi. È un gaudio vuoto di senso gongolare per il crollo delle banche e la scomparsa delle banconote. I furbi e gli avidi troveranno ben presto nuovi mezzi di accumulo per rimpiazzare la moneta.» «E quali sarebbero?» «Beh, è semplice. Al posto della carta, si ritirerà fuori il metallo, a cominciare dall’oro.» «Come dire che torneremo indietro di secoli? Ai greci, ai romani e ai banchieri strozzini delle signorie?!» «Siamo già tornati all’antico» stabilisce l’ingegner ridente, «infatti i grandi affari oggi si fanno di nuovo solo con le monete d’oro, d’argento e di rame. Oplà! Testa o croce? Di testa il capoccia, di croce Dio in persona.» Una madre con carrozzina e bimbo interviene: «A proposito di Dio e la croce, sono passata dalla parrocchia qui del rione, un chiesone monumentale… normalmente è vuota, giusto qualche turista sperduto di passaggio… oggi era stracolma di gente». «Saranno stati fedeli in preghiera» insinua il cinico, «il terrore dell’apocalisse riaccende la fede!» «Errore!» testimonia un tale dal cranio pelato. «C’ero anch’io. Nessuno che pregasse o cantasse litanie! Chiacchieravano fra di loro, senza mai accennare a Dio né ai santi. L’argomento era lo stesso di cui trattiamo noi: che fare? Come ce la caviamo? È passato un prete, sembrava l’unico fuori chiave… un estraneo.» «Certo» la madre riprende la parola, «io non ho mai avuto tanto tempo libero e voglia di parlare, discutere con la gente… Sapete cosa mi fa impressione? Il fatto che non si vedano in giro né poliziotti né vigili.» E un altro di rimando: «Beh, con tutte le macchine ferme, inutilizzabili… a chi fanno la multa?! A se stessi?» «A parte gli scherzi, ma questo fatto della polizia è vero, le guardie sono quasi del tutto sparite e anche le caserme e le prefetture sono vuote.» «Saranno intorno a cercare da mangiare. Le loro dispense sono di certo vuote come le nostre e anche peggio!» assicura un vecchio che s’appoggia al bastone. «Circa un mese fa, qualche giorno prima del blackout ho letto un articolo dove si diceva che la questura già allora aveva un debito con i fornitori e i supermercati di migliaia di euro… il debito ora è estinto, ma è estinta anche la loro possibilità di ottenere credito!» «A proposito di dispense vuote» interviene sarcastico il quasi obeso, «un mio amico che lavora a San Vittore m’ha raccontato che nella settimana dopo il blocco totale dell’energia hanno avuto una riunione straordinaria coi carcerati. La direzione aveva scorte di cibo solo per cinque giorni. Il direttore s’è rivolto ai rappresentanti dei detenuti e ha proposto di lasciarli tutti in libertà, ognuno con una certa razione di cibo: scatolette, insaccati in vuoto spinto, pasta, riso ecc. ’Ma da chi viene l’ordine di liberarvi di noi?’ hanno chiesto i rappresentanti. ’Da nessuno! Abbiamo cercato al ministero ma senza alcun risultato. Non riusciamo a comunicare con un responsabile. Tutti i canali sono bloccati, muti.’ È incredibile… I detenuti sono usciti sgomenti. Non erano preparati a questa liberazione d’acchito. Quando sono tornati a casa, le mogli, le madri e i figli quasi li hanno accolti come degli estranei… Dopo qualche giorno, disperati, i dimessi sono tornati in carcere. ’Ma che fate qui?’ ha urlato il direttore. ’Siete liberi!’ E loro: ’Liberi un corno! Ci avete condannati e rispettate la legge, perdio! Di qui non ci muoviamo. Abbiamo diritto all’alloggio, al cibo e a due ore d’aria tutti i giorni, salvo quando piove. Arrangiatevi!’» In pochi sono riusciti a trattenersi dal ridere. Quasi all’unisono, col batter di mani occupano il centro della cavea dei ragazzi addobbati da pagliacci, con il viso dipinto, i soliti nasi rossi, suonano strumenti e percuotono tamburi. Dopo una gioiosa esibizione di salti e capriole si fa avanti un giovanotto che porta sulle spalle una grossa valigia. «Anch’io son qui per far spettacolo, se mi fate posto vorrei proporvi un dialogo davvero spassoso. Il mio mestiere è quello del ladro di telefonate. Nella mia casa, poco lontano da qui, ho un impianto di registrazione da far invidia alla cia. Speriamo che le batterie di questo registratore tengano… Vi va di ascoltare? Alla fine passerò col piattino, si accettano solo panini al prosciutto!» In coro tutti lo incitano: «Vai! Vai! E facci divertire!» IL GUARDONE FELICE Non c’è maggior piacere che assistere nascosto alla copula di Mida con la sua concubina. Non c’è maggior spasso che ascoltare dalla serratura i gemiti del re nel momento in cui scopre d’esser fallito. Non avrai gaudio maggiore di quello che proverai vedendolo come per caso inciampare e cadere nello sguazzo di una latrina. Marchese de Sade Zitti! Il ladro di telefonate prende la parola: «Quella che ascolterete, la riconoscerete subito, è la voce di Berlusconi, il nome della ragazza non si sa». «Oddio!» esclama un’altra madre che tiene sulle ginocchia il figlioletto. «Sono tornate le intercettazioni abusive!?! Ma di quand’è?» «Roba fresca di giornata! L’ho registrata che sarà neanche un’ora. Solo l’altro ieri l’avrei venduta ai soliti rotocalchi specializzati e alla tv per un sacco di quattrini, adesso la voglio regalare a chi mi pare. Per favore, silenzio, vi dico due parole di introduzione, e poi si parte con il dialogo dal vivo. Dunque, Berlusconi si trova tutto solo nella sua super villa in Sardegna. La telefonata è diretta a una sua fiamma che lui chiama teneramente mio ’angelo’. Con egual tenerezza lei si rivolge a lui chiamandolo ’piccolo’…» «…Pronto! Pronto, angelo! Sono bloccato.» «Oh piccolo, che disdetta! Anch’io sono bloccata… sono arrivata all’aeroporto nella zona privata per venire da te e il pilota mi ha detto di essere rimasto senza carburante.» «Pronto!? Pronto angelo! Non ti sento più, mi si sta scaricando il cellulare.» «Pronto? Pronto! Piccolo, ti sento appena... Anche la mia batteria si sta esaurendo, ho cercato di metterlo in carica ma non c’è più energia, qui è tutto spento.» «Anche da me è spento. Anch’io sono spento, angelo, senza di te… Avevo sognato per tutta la settimana di poter restare solo con te, fra le tue braccia, in questa villa da sogno. Apposta ho mandato via tutti quanti, i bodyguard, la servitù, l’autista, la governante e perfino il portiere. Che meraviglia sarebbe stato!... tuffarci nudi nella piscina calda con gli spruzzi dappertutto… E di colpo, angelo, è come se mi fosse caduto il mondo sulla testa. Son qui al buio. Non funziona più niente! Televisione… radio… nemmeno i rubinetti funzionano e la piscina è vuota d’acqua, completamente asciutta! Stavo per tuffarmi dal trampolino, quello alto… a dieci metri, per fortuna m’è venuto un colpo di freddo per via di uno sguazzo di vento… ed è lì che mi sono accorto che nella vasca non c’erano onde, sul fondo c’era solo cemento.» «Oh piccolo! Mi vengono i brividi… ti saresti schiacciato, caro, sempre più piccolo! Ma scusami, non hai un motore d’emergenza che ti pompi l’acqua e che ti fabbrichi la corrente?!» «Sì, angelo, che ce l’ho!! Ma non so come funziona! T’ho detto che ho mandato via tutti… C’ho anche una gran riserva di gasolio, ho fatto caricare la cisterna proprio la settimana scorsa…! Ma non ne posso far niente!» «Oh… quanto mi dispiace, Silviolino… mi viene da piangere… Quando ti potrò vedere? Ci fosse almeno una nave la prenderei subito… ma son tutte bloccate nei porti per via del blackout… Ho telefonato perfino a un amico che ha una barca a vela, piccolo mio, ma senza una scorta di benzina non si fida a uscire dal porto…» «Chi è questo tuo amico con la vela senza benzina?» «Perché lo vuoi sapere?» «Così… per pura curiosità.» «Non mi farai la solita scenata di gelosia, spero. Sono qui disperata…» «Parla: chi è ’sto stronzo della vela? Angelo, non fare la furba!» «Ma che furba! Non lo conosci, tanto. È il Battipaglia!» «Battipaglia? Padre o figlio?!» «Tutti e due!» «Tutti e due cosa?!» «Tutti e due hanno una barca a vela. Tanto Jimmy che Gilimberto!» «Ma con chi vai a letto?» «Ma piccolo, il figlio, Jimmy, è gay e suo padre Gilimberto ha settant’anni.» «Ma anch’io ho settant’anni! E con questo?! Pronto? Pronto…! ’Sta stronza ha riattaccato! Puttana! Ah no, è il mio telefono che s’è esaurito.» «E qui parte subito un’altra telefonata.» «Pronto? Angelo, sono ancora io, Silvio, mi si era scaricata la batteria ma ne ho trovata un’altra nuova.» «Sai che ti dico, Silvietto? Ficcatela in quel posto la batteria nuova! Non voglio più parlare con te! Ho sentito, sai, che mi hai detto stronza, e anche puttana!» «Ma come hai fatto, angelo, a sentire, col telefono che si è spento?!» «Allora è vero! Lo ammetti!! Era spento, ma io l’ho sentito lo stesso che mi hai insultata, l’ho immaginato perché tu sei uno stronzo villano! E anche nano!» «Scusami, angelo… è vero, mi sono lasciato un po’ andare ma son qui disperato. C’è da non crederci, sono il settimo uomo più ricco e potente del mondo e mi trovo su ’st’isola di merda come un naufrago qualsiasi, costretto a starmene con le candele accese che fanno un puzzo insopportabile.» «Ma, scusa se mi permetto, Silvietto, tu non hai mai previsto ’sto disastro? Con tutti i canali che, mi dicevi, hai sottomano, ti sei trovato a cascare giù dal pero come uno qualsiasi?!» «Sì, qualcuno dei Servizi m’aveva dato qualche dritta… Addirittura mi hanno fatto ascoltare un dialogo fra un petroliere e un dirigente dell’eni.» «Allora è vero che indagavano per tuo conto oltre che sui petrolieri anche sui magistrati di sinistra e i politici dell’opposizione!?» «Ma cosa dici!?» «Scusa, me l’hai detto tu adesso…» «Cosa ti ho detto? Io non ti ho detto niente! E poi… non si parla di certe faccende al telefono.» «Ma, caro, me ne hai parlato perfino giovedì scorso…» «Per favore, te l’ho già detto che non si riferiscono discorsi fatti al telefono.» «Amore, piccolo mio, eravamo nel letto del tuo pied-àterre… ’Io li tengo tutti in pugno, quei bastardi!’ così hai detto, mentre mi strofinavi sulle natiche la tua capigliatura appena trapiantata.» «Angelo, vuoi piantarla? Ho solo questa batteria… e io non vorrei parlare delle tue natiche, che pure sono splendide, ma dei nostri problemi…» «Oh sì, scusami, piccolo caro, metto via subito le natiche splendide…. Che cosa stavi dicendo?» «Che ho chiesto informazione anche ai miei amici petrolieri!» «A chi, a Bush?» «Sì, anche a lui: ’Ascolta, Dàbliu’ gli ho detto…» «Dàbliu?» «Sì! ’Dàbliu… – lo chiamo confidenzialmente così… – Cosa mi dici di questa voce del petrolio che sta finendo?’ E lui ’Sta finendo a chi? A te, italian boy? Ne hai bisogno di qualche cisterna? Se vuoi te la mando!’ ’No, Dàbliu, sto parlando in generale.’ ’Che generale?…’ fa lui. ’Ce n’erano qui due o tre ma sono usciti! Sono incazzati per via di come sta andando in Iraq. Vogliono altri centomila uomini. Piuttosto italian… cosa t’è saltato in testa, di portarti via i tuoi soldati, l’intera guarnigione italiana, dal fronte?’ ’Ma che c’entro io? Io non sono più al governo! Adesso c’è Prodi! Anzi c’era! Perché grazie a una spallata l’abbiamo buttato giù.’ ’Ah, sì…? E quando è successo? Ho parlato giusto l’altro ieri con quel Napolitano vostro presidente... mi ha accennato alla spazzatura che gli cresce intorno dappertutto ma non di quella del governo...’» «Sul serio Bush ti ha risposto così?» «Te lo giuro e ti dirò che certe volte non capisco se quel Dàbliu faccia il fesso o lo sia davvero. Scusa cara, ma sta succedendo qualcosa di strano… Sento abbaiare i cani come fossero impazziti…» «Ma dove si trovano?» «Sono qui, in fondo al parco, nel recinto laterale, evidentemente non c’è nessuno che dia loro da mangiare. Il guardiano avrebbe dovuto essere già tornato… Aspetta che do un’occhiata fuori nello spiazzo centrale se c’è la sua macchina…» «No, non mi lasciare, piccolo.» «Non ti lascio, angelo, do solo un’occhiata fuori! Macché, al cancello non c’è nessuno. D’altronde può darsi anche che sia arrivato ma non riesce a entrare… senza la corrente elettrica restano bloccati anche i cancelli.» «Oh tesoro, mio caro Silvietto, immaginarti lì, tutto solo… e io che mi ero vestita proprio come piace a te, quasi spogliata, con l’abito tutto aperto sulla schiena. (Rivolgendosi a un altro.) Scusi? Cosa dice? C’è un’interferenza…» «Un’interferenza con chi?» «No, amore, è il comandante dell’aereo che mi sta avvertendo d’esser riuscito a fare il pieno.» «Il pieno di chi? Del mio aereo? Quello con cui dovevi partire? È stupendo!» «No, caro, il pieno è per l’aereo del Jimmy Battipaglia.» «Ma non aveva una barca?» «Sì, ma ha anche un aereo col quale vanno a Cannes. Sei contento?» «Contento un corno! Dovevi venire qui da me e vai a Cannes con quel Battipaglia!» «Tesoro, avresti preferito sapermi sola sulla pista coi tacchi alti senza neanche un taxi?! E poi cos’hai contro Cannes?! Sei il solito xenofobo, meschino ed egocentrico!» «Pronto? Pronto? Stavolta ha attaccato davvero, ’sta bastarda!» «A ’sto punto» avverte il ladro di telefonate «c’è una pausa e poi riprende il dialogo sempre per telefono con il prefetto di Sassari.» «Presidente, sono il prefetto, mi dispiace ma ho ricevuto il suo sos… non posso venirle in aiuto… non m’è rimasto un solo mezzo per raggiungerla.» «Ho capito, è proprio il giorno della scalogna nera…» «Cavaliere, però di certo le posso venire in soccorso spiegandole come riattivare il suo impianto, ero presente al collaudo.» «Oh bene, allora… mi dica.» «Prima di tutto bisogna scendere al piano F della villa… Lei dove si trova?» «Al primo piano, che è appunto il piano F.» «Bene, nel corridoio, prima del montacarichi, c’è una porta attraversata da una fascia rossa.» «Sì, eccola, la vedo…» «Bravo, la spinga, dentro c’è un quadrante a muro, faccia scorrere il vetro. Fatto?» «Fatto… E poi?» «Il pulsante nel centro ha una scritta sopra che dice Avviamento turbina, lo prema.» «Fatto.» «Che succede, presidente?» «Si è acceso un lampeggiante… Funziona!» «Sente il rumore di un motore che pulsa?» «Sì, lo sento, è il generatore!» «Perfetto! Adesso, presidente, prema il primo pulsante, quello dove c’è scritto General light.» «È lui, fatto! Si è acceso, si sono accese tutte le luci. Attenda un attimo, signor prefetto, esco da questa camera, vado in salone a dare un’occhiata… È tutto acceso anche qui! E pure i fari del parco.» BUUU!! CCCRRR!! PUM! PAM! (Si senton botti, ringhiare e abbaiare, lo schianto di una porta sbattuta.) «Porca di una miseria!» «Che succede, presidente?» «I cani!! Per poco non mi sbranano! Sono tutti liberi e scatenati, qua fuori!» «Ma non sono i suoi, quei cani, presidente?» «Sì, sono miei.» «E non la riconoscono?» «Mi riconoscono eccome! Forse è proprio per questo che mi aggrediscono!» «Ma presidente, è sicuro che siano cani? Speriamo non siano infetti di rabbia!» «E pensare che li ho scelti io, uno per uno. Alcuni di loro li ho cavati fuori dal canile municipale: ho dato loro asilo e una dignità, una dignità da cani, d’accordo, ma sempre dignità! Guardi là quel mezzo boxer... incrociato con un lupo, lo vede?» «Scusi presidente, ma come li posso vedere, comunicando per telefono? Sto a quindici chilometri da lei!» «Eh va beh, si aiuti con l’immaginazione! Ascolti quella belva che abbaia e ringhia di più: quello è il fascistino.» «Fascistino? Nel senso del fascio?» «Sì, l’ho chiamato così perché assomiglia proprio al mio alleato di destra estrema.» «Ho capito a chi allude, Cavaliere.» «Beh, soltanto qualche settimana fa era il più docile e affettuoso. Ora mi si rivolta contro. Mi vuol azzannare. Come Pier…» «Chi? Pierferdinando?» «Sì, il democristo. Quello mi ha pisciato addirittura sulle scarpe.» «Evidentemente hanno subodorato che in seguito a questo blackout lei se ne vuol disfare, per questo la aggrediscono…» «Sì, forse ce l’hanno a morte con me per quello. D’altra parte, caro prefetto, che cosa ci posso fare io? Non posso più mantenermeli, come si dice: ciccia non ce n’è più per nessuno! Non mi resta altro che chiuder tutta la baracca e far fagotto. Appena tornano i miei guardaspalla metto in moto il mio barcone da crociera, doppio motore col pieno e riserva, e faccio rotta per i Caraibi… Spero di riuscire a raccattare un paio di sguincine… a proposito, lei per caso, prefetto, non ha qualche giovane poliziotta da prestarmi?» «Ma cosa dice, Cavaliere…?» «Come non detto, me la troverò là una bella compagnia, costano pure meno, tutte infiorate che menano le chiappe!» «Se fossi in lei, presidente, questa villa stupenda io non la lascerei per andare chissà dove. Lei lì, in quel paradiso, ha tutte le sue comodità in perfetto funzionamento, pensi invece al resto della Sardegna: un’intera isola bloccata e al buio.» «Come al buio? Con tutte quelle torri a vento... come si chiamano? Eoliche! Chissà quanta energia hanno di cui servirsi!» «Purtroppo sono state bloccate quelle torri, gli ambientalisti non le sopportavano… ’Deturpavano il paesaggio’ e anche il Governo, lei lo sa presidente, ha fatto di tutto per evitare che nascessero come funghi!» «Perché dovrei saperlo, io? Non è stato il mio Governo, ma quello di Prodi semmai a bloccarle.» «Mah… eh… non si arrabbi, presidente, ho assistito personalmente al Convegno Energetico, quattro anni fa, dove lei diceva: ’Bisogna assolutamente bloccare quei mostri a elica che distruggono il paesaggio!’» «Io ho detto così?» «Sì, dottore.» «Smentisco! Lei ha frainteso!» «Senz’altro, presidente, io fraintendo spesso. A ogni modo non si preoccupi, tutto si aggiusterà.» «Come si aggiusterà? Quando si aggiusta? Questa è una catastrofe! Gliel’ho detto, non ha ancora capito? Sa cosa vuol dire per me un blackout del genere? Vuol dire tre emittenti televisive morte, senza vita, una perdita secca di miliardi di euro, una cifra incalcolabile… tutte le commesse pubblicitarie che vanno in fumo… Ma non è finita qui: io sono proprietario non so neanche di quante sale cinematografiche, fino a cinque, dieci per ogni città. E adesso son tutte chiuse. Non posso neanche proiettarci giochi d’ombra con le dita! E ho sborsato cifre incredibili per le pellicole! Chi me le rimborsa adesso? Posseggo un centinaio di centri di videonoleggio, vhs e dvd, tipo Blockbuster… crollati! Vuoti! E ho rischiato la galera truccando gli ordini d’acquisto dei film dall’America. Mi son fatto beccare con le mani nel sacco, che se non fossi riuscito a far passare la legge contro il falso in bilancio, adesso sarei fottuto come Previti. E sa un’altra cosa da pazzi? Fra i dvd ce ne sono cinque serie che trattano tutte di un’immancabile catastrofe ambientale, mi ricordo anche i titoli: ’L’ultima spiaggia’, ’Il giudizio universale’, ’Si chiude!’, ’Ce l’hai in quel posto, cretino!’, ’L’ultimo barile’ e ’La pompa è secca’, in queste ultime due si prevede l’imminente blackout del petrolio… e io di quei dvd non ne ho mai visto manco uno! Tutte le mie imprese di costruzione sono in standby, i cantieri con le gru ferme come spettri! Ogni minuto che passa le mie azioni franano in caduta libera, il denaro ha perso ogni potere d’acquisto… Mi avessero almeno avvertito prima, avrei fatto incetta d’oro! E oggi, come Mida, me ne starei spaparanzato fra tonnellate di monete con fanciulle felici! E invece mi ritrovo come Paperone che vede volar via le sue banconote trasportate da un uragano.» «Ma le rimangono sempre gli stabili, i palazzi, quelli non crollano…» «Già, stabili e palazzi vuoti. Sa che valore hanno? Se non lo fai rendere un palazzo, diventa la tua tomba! Tanto per tirarmi su un po’ di tono, l’altro giorno ho dato appuntamento a una ragazza fantastica alta uno e ottanta senza tacchi, a cui do la caccia da un anno; riesco a convincerla a venire da me nell’isola, l’aspetto trepidando per tutta la giornata… l’ho mandata a prendere con un jet da sultano e, porca d’una miseria!, non t’arriva il blackout che me la inchioda ferma all’aeroporto di Linate e mi fa andare in bianco come un merluzzo secco...?! Chi abbraccio io stanotte…? (Singhiozzando) Il cuscino? O un cane lupo che mi sbrana?» «Sì, certo, a guardar bene, presidente, lei è proprio messo male, perdio!, c’è da schiattare! Il giorno prima è il caput mundi, tutti tremano davanti a lei, le offrono affari, sovvenzioni… le danno in cadeau anche la moglie! Le ragazze fanno la fila per farsi… come dire… impaciucchiare nel suo letto. Ma ecco che all’improvviso, ’Se spengono li lumi’ come dice il poeta, ’ed è uno squaracchio de chiappe! Ah! Ah! Tutta la merda de ’sto monno se fa sotto pe’ farcese da letto!... e bonanotte!’» «Ehi? Dico… Ci vada piano! Un po’ di rispetto!» «Scusi, presidente, mi è scoppiato uno sghignazzo da farmecela sotto!» «Ho detto rispetto, perdio!» «Ma che rispetto? Rispetto de che? Chi siete ormai? Come diceva Petrolini: ’Non c’è cosa che ti faccia meglio scompiscià de uno signore in doppio petto e cravatta che se fa’ fotte, ridotto al par d’un figlio de mignotta… Le chiappe all’aria e la capa rotta!’» (Risate e applausi.) (Si ode una sequenza di botti.) PAM! PAM! «Ma che succede, presidente? Chi spara?» PAM! PAM! «Io sparo! Con la mia carabina da caccia al rinoceronte! E ringrazi il cielo di non essere qui vicino a me perché sparerei in testa pure a lei!» «Si calmi, per favore, presidente!» (Si ode un’altra sequenza di botti.) PAM! PAM! «Ma a chi sta sparando?» «Ai cani! Come faccio a uscire se non li faccio fuori? Non posso mica rimanere qui prigioniero vita natural durante! Io li ammazzo tutti! A cominciare dal Gianfranco dell’Alleanza! Eccolo!» PAM PAM! «L’ho beccato!» PAM! «Ho beccato anche Pierferdinando! Ah! Ah! Guarda come si sbatte!?» PAM! «Oh pardon, bondino, questa m’è scappata. Non guaire così… ti fa male?» PAM! PAM! «Ecco! Così non soffri più!» Fine della trasmissione. «Ottimo spettacolo!» «Proprio spassoso!» Tutti si complimentano con il ladro di dialoghi telefonici. «Se le capita un’altra registrazione del genere, ci piacerebbe ascoltarla.» «Noi siamo sempre qui, anzi forse dovremo traslocare all’Arena, quella laggiù, in fondo al viale… stiamo crescendo di numero a vista d’occhio.» «D’accordo. Purtroppo devo lasciarvi» dice il ladro, «vado al mercato infinito del Giambellino.» «Mercato infinito?» chiede la donna dalla larga tesa. «Sì, possibile che non lo conosciate?» «Lo conosco sì» risponde il capo dei pagliacci, «io ci sono stato, è una cosa veramente enorme, da favola. Ci sono più bancarelle che compratori, si scambiano merce uno con l’altro. Voci, imbonitori, cantate» e via che improvvisa un vero e proprio monologo sugli scambi nel mercato. «’Gente! È un affare! Offro questo paio di occhiali da presbite contro un trapano a mano e una forbice.’ ’Per questo servizio di tazze da tè voglio un autentico narguilé più tre caffè!’ ’Quel servizio di stoviglie lo scambio con tre bottiglie di vino vermiglio e un coniglio!’ ’Ma scherziamo?! Sono d’argento del Brabante: forchette, cucchiai e coltelli ormai son come gioielli, moneta sonante! Puoi comprarci anche un diamante e l’amante di un tuo parente! Il mio dentista per tre forchette e un coltello, tanto per sfizio, mi ha cavato tre denti sani e quello del giudizio! Ahia! Ahia! Ahia! Son qui che schiatto! A proposito, chi mi vende dei preservativi? Ma nuovi, li vorrei!’ ’Eccoli’ dice una ragazza. ’Hai già con chi usarli per far l’amore? Stavo scherzando, naturalmente.’ ’Peccato!’ le risponde il compratore.» Il capo pagliaccio continua la sua tirata a rime baciate e alternate, e anche un po’ palpate. Ma andiamoci di persona ad assistere a ’sto mercato infinito. Eccoci, siamo qua. Fra la folla, da un carro trainato da cavalli si sporge un imbonitore: «Zucchine! Carote! Patate! Verdure varie! Accettiamo qualsiasi scambio!» Gli si fanno intorno un sacco di clienti. Uno grida: «Ho un dizionario di latino, cosa mi dai in cambio?» «Io! Io! Te lo prendo!» risponde un ragazzo di colore. «Ti offro un sacchetto di medicine ancora valide per la tachicardia, il mal di fegato, reni, milza e altre frattaglie.» «Hai anche creme per eczemi e strappi muscolari?» chiede una ragazza dalle stupende natiche. «Non dirmi che ti sei strappata proprio lì, nei glutei!» chiede preoccupato il moro. «Sì, danzando.» «Aspetta che guardo… No, qui c’ho solo roba per lombalgia e acne giovanile, però un attimo che chiedo a un mio socio che di sicuro ti può offrire anche delle supposte davvero speciali per la glutalgia acuta.» Lì vicino c’è la clinica rionale, un ospedale che funziona a singhiozzo. Dei pazienti all’ingresso fanno largo per lasciar passare un tale che spinge avanti a sé una splendida vitella. «Una vitella?!» esclama una signora. «Che ci fa quella bestia all’ospedale? Così giovane e fresca non può aver malanni di sorta…!» Seguiamola. Il mandriano entra nell’atrio della clinica con la sua bestia al fianco. Chiede del primario. Il professore lo raggiunge quasi all’istante e il mandriano gli fa: «Buongiorno, dottore. Si ricorda di me? Mi ha visitato ieri e mi ha avvertito che devo cercare di farmi operare al più presto per via del coso lì… del pancreas… Io l’oro che mi ha domandato l’amministratore della clinica non ce l’ho, le posso offrire questa vitella…» «Bella ’sta vitella. Beh, mi prendo io la responsabilità. La faremo a pezzi, con garbo, e la distribuiremo fra me e i vari collaboratori. Si prepari, fra poco interverrò sul suo pancreas.» Così dicendo il professore fa il gesto a un infermiere che giunge rapido con una barella mobile. «Avanti un altro. Ah, lei signora è la moglie del pescatore… Cosa offriva per il suo intervento? Un pesce spada? Di quanti chili? Mezzo quintale!? Beh, è un po’ troppo ingombrante ma cercheremo di sistemare il pesce e anche lei, signora. Cosa dice? Chi si lamenta? Non è d’accordo l’anestesista!? Non le piace il pesce? Va bene, riceverà un pezzo in più di vitella. Neanche la vitella! È vegetariano! D’accordo, è licenziato!» «Bella storia! Presentatecene un’altra.» Beh, vi facciamo visitare la zona degli inventori! «Degli inventori?» chiedono in coro. Sì. Il reparto è coperto da tende, e qua e là ci sono vari personaggi che, montando su un tavolo o un trabiccolo, presentano le proprie creazioni. Uno grida: «Amici miei! Questa è l’epoca dei bonus!» Mostra un gran mazzo di tessere e schede magnetiche. «Con queste carte che hanno sostituito la moneta si fa tutto! Ma il fatto è che, essendo differenziati per tipologia di merce, ognuno dovrebbe andarsene intorno con una borsa ingombrante come quella dei rappresentanti di imbottiture per divani o dentiere. Invece, ecco l’invenzione: io vi propongo una busta con manico, leggera ed elegante, a soffietto!» Così dicendo spalanca il contenitore e mostra una sequenza di reparti diversi nei quali sono infilate tessere e schede. «Ma, amici miei, la grande variante è determinata dal suono e da questa piccola tastiera che appare all’esterno della borsa. Voi scrivete cibarie e subito esce una nota ’Do! Oh! Ah!’ (canta) è la prima nota, corrisponde alla prima tasca. Poi, merci voluttuarie, (mima di scrivere) ’Re…! Do! Re! Mi!...’ tutte le note in varianti di diesis minore e maggiore. Do! Re! Mi! Fa! Sol! La! Si! Do! Si! La!» Riceve un applauso dalla gente che sta intorno. Successo e vendita, naturalmente per ticket. Il venditore riprende: «Ma voi mi direte: ’E se arriva un ladro e ti scippa la cartella?’ Non può giacché rimane immediatamente bloccato dall’allarme, sentite!» Cambia di mano, solleva la borsa e TRACK!, esce un suono acuto e una voce registrata che grida: ’Al ladro! Al ladro! Sono una cartella scippata! Arrestate il malandrino!’» «E come scatta?» chiede incantata la donna fascinosa. «Semplice. Appena ve la tolgono di mano, mancando il contatto, scattano l’allarme e il grido perché ogni manico della borsa ha un calco ricavato da quello del palmo della vostra mano. Come togli la mano scatta l’avvisata. E chi vi procura questo calco? Io personalmente: qui con me ho tutto il materiale per eseguirlo in pochi minuti. Un fotocalco personalizzato. Se vogliono il bottino devono rapire anche voi e tenervi sempre appresso, mantenervi e magari, se siete una bella signora, amarvi e sposarvi anche! Auguri!» DETTI TORTI El mundo es lindo porque està avariado. Dalla Celestina di Fernando de Rojas Dopo alcuni giorni, incollati sui muri della città, appaiono manifesti stampati con torchio a mano. Li hanno affissi piccole fabbriche. Operai, meccanici, tessitori, fabbricanti di mobili associati offrono lavoro. Si cerca gente del mestiere, ma anche apprendisti. La maggior parte degli impianti produttivi sta nella periferia e in provincia. Si offrono cibo e alloggio in cambio di lavoro, anche per la famiglia appresso; per il trasporto sono utilizzabili camion e pullman che vanno a olio di colza e alcol da barbabietole da zucchero. La stessa proposta viene espressa anche da cooperative di produttori agricoli. Egualmente si cerca manodopera per la coltivazione di frutta e agrumi, riso, grano, semi e rape da zucchero. Rimanere in città, a meno che tu non abbia trovato una degna collocazione, significa l’inedia sicura. Ecco che ha inizio l’esodo: sono i nuovi emigranti del xxi secolo. Ogni mattina, a gruppi, se ne escono dalle città. I maestri di scuola seguono le famiglie dei profughi. Per la prima volta negli ultimi secoli, il normale processo si rovescia: le città si svuotano, si riempiono le campagne. Come recita un antico detto nato al tempo della peste seicentesca di Renzo e Lucia, «fra i prati e le colline un boccone lo rimedi sempre». Gli ultimi a muoversi sono gli impiegati che bestemmiano: «Porco qui! Porco là…! Ci siamo ammazzati a fare una casa o un appartamento e adesso dovremmo mollare tutto?! E a chi ammollare…? Chi ce lo compra…? E con cosa ce lo pagano?» «E io e la mia famiglia dovremmo andare a vivere in una cascina? Con le vacche e le capre, circondati da sbruffate di merda? Mai! Piuttosto crepiamo qui, di fame!» Ma un altro adagio recita: «Si fa presto a dire fame finché non l’hai provata!» Per i nuovi emigrati l’arrivo nelle campagne è spesso traumatico: il doversi adattare a una forma di vita alla quale ci si sente totalmente impreparati provoca in molti un vero e proprio rifiuto; ma quel clima negativo viene compensato da alcune sorprese straordinarie. Le famiglie che raggiungono la piana del novarese, per esempio, si imbattono in macchinerie acchiappasole installate per chilometri: sono centinaia di pannelli fotovoltaici che riflettono i raggi del sole con tal forza da costringerti a distogliere lo sguardo e coprirti gli occhi con le mani e procurarti occhiali da sole; poi t’ingegni a mascherarti il viso con fazzoletti o pezzi di stoffa scura, come usano i tuareg nel deserto. Ma la grande meraviglia è l’incontro con le cupole semoventi sulle quali sono stati installati pannelli a specchio, concavi e convessi. I bambini indicano stupiti quelle strane torri che lentamente roteano su se stesse. «Guardate! Quante giostre!» esclamano. «Ci si potrebbe montare e farci qualche giro?» «Non sono giostre» spiegano i ragazzini del luogo. «Sono mulini ciucciasole.» «Ma hanno le ali!» «Certo! Ali che s’inclinano, si alzano e s’abbassano guardando verso la luce, come i girasoli.» «I girasoli seguono la luce?» «Eh… ma si vede che venite dalla città» osserva un contadino. «Quelle che voi chiamate ali sono pale elioscopiche.» «Elioscopiche? E cosa vuol dire?» «Vuol dire che si muovono all’unisono col sole.» «All’unisono?» «Nel senso che ci vanno appresso con lo stesso ritmo; come il sole si sposta nel cielo da oriente a ponente, la cupola, con le sue ali, fa lo stesso: segue l’andamento solare mettendosi in parallasse con l’arco disegnato dal sole.» «In parallasse?» commenta il padre di alcuni bambini. «Ma siete sicuri che quel signore sia un contadino?» La moglie lo zittisce e chiede a sua volta: «Scusi, vuol dire che si mette a vantaggio dei raggi?!» «Esatto» risponde il coltivatore sapiens «e naturalmente così produce circa il 30% in più di energia rispetto a una normale teoria di pannelli fissa.» «Incredibile!» esclamano in coro i foresti di città. «Ma il portento più stupefacente» continua l’erudito di campagna «lo stanno montando a una trentina di chilometri di qua, nella piana di Oleggio, nei pressi di Novara.» «Cosa sarebbe ’sto portento?» «La torre di Babele.» «La torre di che?» «Di Babele… la chiamano così perché è una costruzione davvero di dimensioni bibliche.» «E con che materiale la mettono su?» «Con mattoni di varie dimensioni, a incastro. Il cotto da noi è il materiale più facile da reperire: la terra che calpestiamo è l’argilla creta! Se ci fate caso, tutta la zona è cosparsa di forni a legna per produrre il cotto. La terra viene raccolta con le ruspe a pala alimentate con l’olio di girasole prodotto in luogo. Si sono messi insieme quasi tremila operai, proprio come a Babele, però da noi non succederà che ci s’ingarbugli con lingue diverse poiché il lessico comune è il dialetto della zona. Fabbrichiamo mattoni di un metro per cinquanta, cotti nel forno fotovoltaico a specchio che noi chiamiamo ’copp piatt’.» «E ferro non ne adoperate?» chiedono, interessati, i cittadini. «Come no! Ferrant a spinot, un mund!» traduce il sapiens. «Proprio lì c’è a due passi un’industria di tubi e ferramenta da costruzione, che stava chiudendo. L’abbiamo subito riattivata grazie all’energia prodotta con le termocupole, quelle che spuntano laggiù. La cooperativa edile ha con sé tre ingegneri associati.» «E che ci fanno coi tubi di ferro?» «I tüb se dovra pe’ ligà i madon gross: i tubi servon per legare i grandi mattoni e rendere più elastica la torre che misurerà ottocento metri, avrà una base divaricata d’appoggio con un diametro di quattrocento metri e le fondamenta a sgrampio saranno profonde più di cento metri.» «Mio Dio! Ma come fa lei, signore» chiede il ragazzino, «a conoscere tutti questi dati?» «È stato all’università?» chiede la mamma. «Una scuola superiore per campagnoli?» «C’è andata vicino; a pochi chilometri di qua, a Novara, c’è da anni la sede distaccata del Politecnico di Milano. Io mi sono laureato lì. Ho disegnato personalmente il progetto in questione insieme a un indiano e due tecnici del Ghana.» «Accidenti!» esclama la madre dei ragazzini. «Ha detto che quella torre misura ottocento metri di altezza?» «Non ancora, per adesso abbiamo raggiunto il mezzo chilometro ma se ci venite a far visita fra un paio di mesi avrete la sorpresa di vederla in tutta la sua dimensione, cioè ottocento metri, appunto.» «Mamma mia… ci andiamo, papà?» chiedono due figli gemelli all’unisono. «Senz’altro, non potremo mancare. Ma riusciremo a vederla anche di qua, appena sarà arrivata al culmine… se è solo a trenta chilometri…» «Ah, senza dubbio. Sarà una struttura sconvolgente! Abbiamo già calcolato la proiezione d’ombra che si distenderà nella piana: appena spunta il sole vedremo stendersi una striscia scura che si allungherà per dodici chilometri, e ci servirà anche da orologio.» «Straordinario!» esclama il padre dei gemelli. «Ma come produce energia questa torre, tecnicamente parlando?» L’ingegnere stacca un bastone dalla vigna e se ne serve per tracciare righe e archi per terra sulla creta schiacciata: «Tutt’intorno alla base della torre saranno sistemati in piano per un diametro di sette chilometri pannelli termo-solari. Questi pannelli scaldano l’aria che si espande e tende a salire verso l’alto, venendo così convogliata attraverso una miriade di tubi posti alla base della grande torre. L’aria, che sale dentro i tubi velocissima, provocherà, nel centro della torre, un vero e proprio turbine, un tornado». «Per la miseria! Questa sì che è una trovata!» «Zitto, figliolo» lo blocca il padre. «Lascia continuare l’ingegnere.» «Dicevo, questa spinta d’aria crea un turbine all’interno della torre, proprio come una tromba d’aria. È risaputo che il calore tende sempre a montare in alto, e questa spinta rotante nel salire acquista potenza via via maggiore, finché raggiunge la cima. Al limite dell’uscita sono installate enormi pale rotanti che, investite dal possente getto d’aria, cominciano a turbinare a grandissima velocità, producendo energia. Un’energia che è in grado di soddisfare i bisogni di centomila case, calcolata in cinquanta mw.» «Mamma mia!» esplode la signora. «Quindi avrete proprio energia da vendere!» «No, non da vendere giacché è tutto della comunità e per ora consumiamo ogni kw che produciamo!» Intanto è trascorso qualche altro mese e in città l’esodo continua. Anche gli ex benestanti si decidono a traslocare, c’è chi si reca da parenti in campagna e chi raggiunge le proprie case al mare o in montagna. Alcuni se ne vanno caricando i mobili su barconi alla fonda nei canali; la maggior parte di essi è trainata da cavalli, ma su altri natanti i barcaioli hanno installato larghe mongolfiere che fungono da vele. IL PORTO DI MARE Raggiungo Milano il 20 maggio da Pavia, navigando sul sì detto Ticino dell’Alzaia. V’incontro molte chiuse costrutte per regolare il flusso delle acque. Se cale al porto o slargo di Milano recolmo di barchi e navigli diversi. Io no’ savea che fusse città tanto acquatica cotesta, con sì numerosi canali da far invidia a Venegia. Dalle Note di Leonardo da Vinci Tutte le vie d’acqua, seppur in così breve tempo, hanno cambiato di colore, per non parlare dell’odore: non hanno più l’aspetto né producono il tanfo da cloache a cielo aperto. Il calo del numero di abitanti ha dimezzato gli scarichi immondi. Inoltre, la quasi totalità delle fabbriche insozzanti è stata costretta a chiudere in attesa di ripristino con nuovi propellenti. Per la prima volta si riesce a indovinare il fondo dell’acqua, che oltretutto è cresciuta di livello anche grazie al fatto che, a monte, i corsi d’acqua non subiscono più l’arraffo abusivo di ville, imprese e annaffiatoi più o meno regolari; cominciano a intravedersi pesci che sguazzano felici. Purtroppo i canali di città come Milano, Modena e perfino Bologna rimangono nascosti da coperture sulle quali scorrono strade, ormai inutilizzate, il cui asfalto si sta via via riempiendo di crepe. È stupefacente notare l’effetto straordinario che il blocco della produzione di gas tossici ha già determinato nell’equilibrio atmosferico. Innanzitutto, ci avvertono alcuni scienziati partecipando ai numerosi dibattiti sul clima che si svolgono in ogni luogo, il calore dell’atmosfera sta leggermente calando. Inoltre, come già sapevamo, dobbiamo aspettarci fra breve una sequenza di temporali piuttosto veementi, spesso catastrofici, a livello di uragani, che esploderanno da noi, in tutta l’Europa, in Asia, così come in Africa. Ancora, sono previste scosse telluriche notevoli. Il tutto causa l’assestamento termico che produce contraccolpi nell’immediato sottosuolo per non parlare del profondo degli oceani. E bisogna ammettere che questa volta le previsioni degli scienziati si stanno dimostrando azzeccate. Ancora, seppur fuori stagione, in montagna ha ricominciato a nevicare e, davvero miracoloso!, perfino a Milano, Roma e Palermo, dopo anni, una mattina la neve ha iniziato a scendere inattesa. L’imbiancata continua, e una coltre spessa sta coprendo le tre città. La gente impazzisce di gioia, i diseredati privi di riscaldamento un po’ meno. Dopo una settimana però la neve si dilegua e gruppi di operai ritornano sui tetti e sui terrazzi a stendere le piastre fotovoltaiche in ogni dove. Ormai se ne vedono dappertutto, anche sulle strutture delle fabbriche abbandonate. L’energia elettrica che si produce è sufficiente ai bisogni essenziali di quasi tutte le città. Aquiloni colorati di grande dimensione, gonfiati dal vento, oscillano disegnando parabole larghissime nel cielo. Non sono elementi paradossali creati a scopo decorativo, ma il risultato di un progetto di un geniale architetto: quel volteggiare nell’aria produce energia. Forse valeva proprio la pena sopportare il rovinoso blackout del petrolio… e quando mai avremmo goduto di una città talmente magica, altrimenti?! È proprio nel giorno di Carnevale, dove ogni follia è lecita, che accade lo strampallacco, il gran botto! PRIMO: RIEDUCARE I VESCOVI Quando a Brescia alla fine del 1100 il vescovo si rifiutò di consegnare, come di regola, i propri paramenti affinché fossero indossati dal giullare, delegato dalla comunità perché gli facesse il verso a Carnevale, la popolazione dell’intiero Comune assaltò la Curia e il vescovo fu costretto a fuggire. Il prelato venne riaccettato in città solo quando chiese perdono al podestà per aver offeso le maschere della grande bolgia. Dagli Annali del «Comun de Brèsia» Già di mattino presto si vedevano scendere dalle case del centro e della periferia ragazzine e ragazzini con maschere in viso e costumi un po’ arrangiati ma fantasiosi. Alcuni battevano padelle e coperchi, altri rotolavano bidoni vuoti e li percuotevano con bastoni creando gran fracasso. Non potevano mancare trombe e trombette che spernacchiavano suoni assordanti. Il sole stava laggiù in fondo più grande del solito e sparava bordate di luce accecante, sembrava giocare a rimpiattino affacciandosi dai palazzi all’improvviso per poi nascondersi e riapparire. Eppure l’aria era fredda, quasi gelida tanto che molte di quelle maschere s’erano munite di coperte per difendersi dai brividi di freddo. E soprattutto saltavano, danzavano, non tanto per comunicare allegria piuttosto per procurarsi calore. Poi all’istante monta il vento e il cielo che fino allora era terso si riempie di nubi che lo solcano veloci e in gran numero. Ora il sole gioca a nasconderella con il nuvolame ma di lì a poco viene letteralmente cancellato da nembi scuri e giganteschi che invadono il fondale della città. Il vento ulula minaccioso e da terra si levano vampate di polvere; dai tetti vengono risucchiate tegole e anche qualche pannello solare che vola scaraventato nell’aria. Fuggono maschere e passanti; cercano riparo dai frammenti che piovono da ogni dove. Nel cielo scoppiano fulmini seguiti da boati che fan da prologo al temporale, frastuoni spaventosi provocano grida di terrore nei ragazzini e anche negli adulti, specie le donne. I palloni aerostatici e gli aquiloni lasciati nella notte a veleggiare per la produzione di energia, ora sbattono lassù, rischiando di squarciarsi. Uno e poi un altro divelgono gli ormeggi e iniziano, spinti dall’uragano, a volteggiare impazziti. Quel vento ora è diventato una bora che viaggia a più di 100 chilometri all’ora; si sta producendo una vera e propria tempesta di tegole e comignoli. Guai a chi si fa sorprendere per strada in quel momento: viene letteralmente portato in aria come un pupazzo di pezza e sbattuto contro le case e oltre i tetti. E scoppia anche qualche incendio qua e là mentre l’uragano aumenta con boati e fischi stridenti. Per fortuna comincia a piovere. Più che pioggia questa è una cascata d’acqua di un fiume in piena. Vien giù a sbruffate d’una violenza inaudita. Le macchine posteggiate, anzi abbandonate ai bordi delle strade, sono investite da ondate che le sollevano e le fanno rotolare come giocattoli. Schianti e botti, camion squarciati, ruote staccate dai mezzi rotanti, perfino dai tram, ruzzolano a centinaia, corrono in tutte le direzioni. Poi s’arrestano affondando nei fiumi che vanno formandosi lungo ogni via o viale. A pezzi e bocconi l’uragano sta dilaniando anche qualche grattacielo. Boati e fremiti a sussulto provengono dal sottosuolo dove transitano gli antichi canali ricoperti dall’asfalto. S’intuisce che quei condotti non ce la fanno a contenere il feroce scorrimento dei fiumi sotterranei che, gonfiandosi a dismisura, stanno per esplodere. Infatti di lì a poco un primo scoppio deflagra dai navigli di Porta Genova. Tutta la copertura è saltata in aria. I fiumi hanno allagato anche i parcheggi del sottosuolo. Si sente un gorgogliare mostruoso provenire dagli scantinati. I botti, anzi i boati si susseguono come giganteschi fuochi d’artificio propri del Carnevale. Non c’è canale ricoperto che resista. I vecchi corsi d’acqua ora riaffiorano come d’incanto. Qualcuno, affacciandosi incauto dalle finestre, applaude al cataclisma che libera i canali, e incita urlando: «Vai! Vai! Strappa tutto. Ridacci la nostra città!» E immancabilmente una folata di quel terribile vento lo strappa dalla finestra e lo fa volare nel vuoto come uno straccio urlante. Ecco, sono riemersi la Martesana, l’Olona, il Lambro e il Seveso, perfino il Molino delle Armi… All’istante sembra d’essere a Venezia! L’acqua scorre con tanta veemenza da trascinare via i detriti del crollo. Qualche settimana dopo la tempesta appaiono dappertutto barche e perfino pedalò. C’è da non crederci. Questa città è tornata ad assomigliare in modo incredibile a quella descritta da Stendhal che nel Settecento così si esprimeva: «Ho veduto e abitato in molte città del mondo, ma la commozione che mi ha dato Milano, attraversata dai suoi fiumi, dai canali, i ponti sotto i quali transitano barche con donne splendide e ridenti, mai più mi capiterà di provare». La popolazione della città s’è ormai più che dimezzata: sembra memoria di secoli fa l’immagine dei pendolari rovesciati a migliaia nelle stazioni. Le strade sono sempre semivuote; in compenso le acque su cui sembra galleggiare ogni rione vedono scivolare un numero sempre più grande di natanti. Nelle piazze, come obelischi, sorgono torri eoliche che fanno roteare eliche di continuo. Cavalli e biciclette circolano tranquilli. Sopra loro, ogni tanto, spunta un ragazzo su altissimi trampoli. È senz’altro il mezzo di trasporto più veloce che sia ritornato dopo secoli in auge. Ogni giorno appare per strada un nuovo veicolo: geniali artigiani e operai hanno smontato auto abbandonate riducendo il loro peso a un terzo. Tanto per cominciare si è eliminato il motore e tutti gli optional inutili; alle ruote si sono applicati decentri ad abbrivio, cioè volani, e nell’interno è stato messo in funzione il trabacco vale a dire quell’aggeggio che un tempo in ferrovia permetteva ai cantonieri e agli addetti agli scambi di percorrere sulle rotaie, con poca fatica, lunghi tratti di strada. Ma come funziona il trabacco? Immaginate una leva altalenante che si aziona agendo in coppia: uno abbassa, l’altro solleva. Pare incredibile, ma con quell’aggeggio si percorrono lunghi tratti a gran velocità! Son state ripristinate anche le antiche macchine a vapore: servendosi di grosse pentole a pressione, l’acqua viene portata all’ebollizione grazie al sole, il cui calore è ingigantito da un sistema a specchi. Molte abitazioni sono rimaste senza inquilini, abbandonate e sfitte. I senza tetto sono spariti e dove sono? Sono diventati «con tetto»! Ognuno s’è trovato una casa vuota da occupare! Dicevamo che anche nelle metropoli i cittadini si sono arrangiati a produrre energia. Ma non sono solo le grandi città a riemergere: grazie alle installazioni di pannelli fotovoltaici e di torri eoliche, anche nei piccoli centri, il fabbisogno di energia elettrica viene soddisfatto con alacrità. Ciò fa sì che la gente riesca di nuovo a rimettere in funzione le antenne dei ripetitori della telefonia, i computer e le connessioni internet ricominciano a funzionare, nonché le radio. Andando intorno per le strade ti capita di incontrare gente serena che si ferma volentieri a chiacchierare e scherzare con sconosciuti. Nessuno che si preoccupi di non farsi scippare… e che gli importa? Tanto soldi non ce n’è e le cartelle con i ticket e i bonus, come abbiamo visto, sono munite di allarmi terrificanti. Anche in casa, oggetti di valore ce ne sono pochi: li si è dati in cambio merce! Gli unici che hanno di che temere sono i collezionisti avidi di monete: li riconosci dal loro andare circospetto per le strade. A ogni modo tutti hanno constatato che ladruncoli e furfanti se ne incontrano raramente… D’altra parte che fai? Vivi rubando biciclette e borse che parlano?! Non ne vale la pena. A parte che ci sono dei ragazzi intorno vestiti di giallo che la gente chiama ormai spider-busterbike, tradotto ragno-acchiappa-bici: appena un ladruncolo salta su una bicicletta posteggiata, loro gli corrono subito appresso con le loro bici da corsa, e con quattro pedalate gli sono già addosso, gli portano via la bici da sotto il culo e questo si ritrova a pedalare nel vuoto come un fringuello! Oh che scatto che c’hanno! Forse il clima di rispetto reciproco e di onestà pseudomistica di cui godiamo ora è dovuto in gran parte all’effetto shock che il blackout immediato ha determinato nei comportamenti della gente, anche quella priva di senso sociale… Ma non dobbiamo coccolarci troppo dentro questo idillio, di certo transitorio. Perfino dei rom non si sente più raccontare di furti e di occupazioni abusive e nemmeno di incendi nei loro campi, anche perché in quelle catapecchie di lamiera e nelle roulotte scassate non ci son rimasti nemmeno i cani randagi. Grazie alla caterva di appartamenti abbandonati, i senzatetto hanno trovato casa, finalmente! E vedessi come tengono tutto pulito e in ordine. Hanno piantato perfino i pomodori sul balcone… E come sono diventati pignoli nella raccolta differenziata! A parte che di spazzatura non se ne vede quasi più in giro… Vi ricordate la favola di Pinocchio che prima si pela la mela, si mangia la polpa, poi ci ripensa e si mangia tutte le bucce? Ecco, ognuno ormai si mangia ogni cosa: buccia, polpa, semi, acini e picciolo. È inutile: la fame è il più forte incentivo a non gettare gli avanzi e a tener pulito. Qui non si butta più niente. Pare che a Napoli in una settimana abbiano svuotato tutte le discariche! Si son mangiati pure i gabbiani che beccavano fra le lordure, compreso qualche topo che s’era permesso di unirsi al banchetto! In quel clima di repulisti per la sopravvivenza, pare che sia andata in crisi perfino la camorra! A proposito, vi ricordate di Romiti, l’ex dirigente della fiat? Ebbene, abbiamo scoperto che costui ha due figli proprio degni della sua fama. Entrambi hanno lucrato avidamente sullo smaltimento dei rifiuti, inventando il compost pressato, le cosiddette ecoballe, soprannominate anche le più grosse balle sulla raccolta pulita che si siano mai presentate! Chissà questi bravi giovani dove si sono rintanati oggi che tutte le loro balle sono state scoperte?! Dei politici si sente parlare sempre meno, e appena se ne nomina qualcuno, quasi tutti all’unisono si portano meccanicamente le mani a livello del pube. E lo stesso silenzio si è fatto intorno ai religiosi, salvo naturalmente quelli che incontri in discarica in mezzo agli affamati o fra i campi a zappare e raccogliere patate, zucchine e altre verdure. Quindi è proprio dei Santi Padri paludati che si hanno poche notizie, non li senti più predicare sulla morale, specie sul blackout e le relative conseguenze. Forse è meglio così, potrebbe capitare che sulla falsa riga del loro commento su altre sciagure, qualche vescovo salti fuori con il dichiarare che la fine del petrolio e il riscaldamento della calotta polare non siano altro che una punizione mandata da Dio per castigare l’umanità dei suoi peccati. Come il cardinale di Genova ha fatto a suo tempo con l’aids…! UN VANGELO DA IGNORARE Gesù non amava i sacerdoti del tempio, anzi chiamava quel luogo sacro «spelonca di ladri». Ma, magnanimo qual era, guarì la figlia di uno di loro. Non fondò mai una chiesa né ordinò vescovi e papi fra i suoi apostoli. Al contrario, consigliava loro: «Siate umili, lasciate le vostre case e andate intorno fra la gente con una sola veste di tessuto greggio, sandali ai piedi e senza borse né manti. E se vi scacceranno, scuotete le vostre vesti per far intendere che nemmeno la polvere di quei luoghi porterete con voi». dalla Storia del cristianesimo di Ambrogio Donini Più impressionante però è il silenzio di Ratzinger. È vero che oggi senza aver a disposizione una televisione è difficile comunicare il Verbo di Dio ai fedeli, soprattutto nella situazione di blackout che stiamo vivendo. Mica possiamo pretendere che si torni al tempo di san Francesco per vedere il papa andarsene scarpinando qua e là, su e giù per monti e valli e, con voce tonante, esser costretto a comunicare alla gente parole di speranza con accento mezzo tedesco e in falsetto! E poi, mangiare quel che gli capita, cioè la roba con cui si nutrono i contadini e i disperati… e montare su un mulo o un asino come Gesù. «Mein Gott!» lo sentireste esclamare. «Mi tocca rifare tutto il corredo! Con ’sti pizzi, ’ste dentelles e la seta… si scivola sulla groppa dell’asino! E con ’ste scarpette da ballerina, mi sto inzocchinando tutti i piedi! Roma, Roma! Torniamo subito a casa! A Castel Gandolfo? Per carità! Odio la campagna periferica. Mi sembrerebbe di essere un profugo a mia volta! Sono un professore, e Padre della Chiesa, mica un contadino! E neanche un pastore! Io sono l’operaio della vigna ma, quando l’ho detto dal balcone di San Pietro, aveva il significato di una metafora! Santo cielo! E quando mai il Signore ha avuto una vigna? Né il padre, né il figlio! Quando disse ’Bevete questo è il mio sangue’, a sua volta esprimeva una metafora!» Ma Dio mi perdoni, a parte gli scherzi, non poteva il nostro Santo Padre dire qualcosa di toccante e davvero cristiano sulla dabbenaggine criminale degli uomini, specie i governanti e quelli d’affari, a proposito del letamaio in cui stavano riducendo il pianeta?! Ma questo prima della situazione che stiamo vivendo! È allora che avremmo apprezzato una parola di condanna all’imbecillità di chi ci governa e dirige! Ecco, lassù è apparso il papa, immaginiamolo che, affacciato al balcone, si rivolga a una piazza ricolma di fedeli, che sventolano stendardi con scritto Benedetto, salva il nostro mondo! «Ognuno di noi è colpevole» lo sentiremmo gridare a tutta voce, «colpevole di ciò che sta accadendo sopra le nostre teste, dove una sottile fascia di cielo, creata per permetterci di respirare e vivere, si sta intasando di un gas immondo dal tanfo velenoso. E quando dico noi, mi guardo bene dal significare loro, esclusivamente loro, governanti, industriali e petrolieri: io intendo noi tutti, a cominciare dalla Chiesa e dai suoi fedeli». Eh! Che discorso sarebbe stato! Degno di un ateo condannato al rogo! PENSIERO DELL’IMMODERATO Libertà è vivere come ti pare, indossando abiti di foggia e colore da te preferiti, amare è far l’amore con chi t’aggrada e poi campare con il meglio dell’altro sesso o del medesimo. Una sola regola devi rispettare: di non ledere ad alcuno. Se ti rendi conto che i tuoi modi non sono da tutti graditi, gentilmente fatti più in là: stai sicuro che troverai gente che è d’accordo con te. Da un canto anarchico Mentre noi si sta immaginando ispirati d’assistere alla concione fremente del nostro pontefice, ecco che poco lontano dal canale della Martesana sorgono grida reali, inframmezzate da insulti e minacce. Sul fiume sta transitando un barcone che procede per mezzo di un rumoroso motore a scoppio, che va a gasolio. Chissà dove si saranno procurati quel carburante… Da un tubo a ciminiera escono bordate di fumo puzzolente. Dagli argini della Martesana ragazzi e uomini maturi lanciano pietre sul natante. I naviganti, dalla loro barca, rispondono con insulti, fra questi il più scatenato è il padrone del vascello: «Non c’è nessuna legge» grida «che mi impedisca di muovere il mio barcone col carburante che più mi piace!» «No, mio caro» gli rispondono quasi in coro, «è la comunità che decide! Non puoi permetterti con quello che abbiamo passato di inzozzare di nuovo come ti pare l’aria! Altrimenti ti mandiamo a picco!» Pietre e qualche masso cadono numerosi sul vascello. «Basta!» urlano dal barcone. «Ci avete convinti!» Così dicendo spengono il motore e proseguono spingendo il mezzo con remi e lunghi pali. Lì ai bordi del fiume subito s’apre una discussione piuttosto vivace sulle regole civili e la libertà. Ecco apparire un ragazzo in equilibrio sui trampoli seguito da una piccola orchestra di chitarre e fiati. Il trampoliere si dice preoccupato per l’aggressione al natante e alla sua ciurma. «Tutto può avvenire quando non ci sono né leggi né regole» commenta il chitarrista. «Eh no eh!» ribatte il cinico che sta pescando sulla riva. «È una vita che sento parlare di regole, ordini e regolamenti. Mi ricordo che durante il ’68 si gridava uno slogan stupendo. Prima regola: niente regole se si vuole godere della libertà!» «Sì, ma qui si parla della libertà propria contro i diritti degli altri» replica il chitarrista. «Guardatevi la storia di ogni società» prosegue una ragazza, scendendo dal suo pedalò, «gira e rigira si arriva a inventare e imporre ordinamenti per stabilire il vantaggio di pochi, ordinato come soggezione dei molti.» «Giusto, non occorrono leggi» dice il cinico, «bastano la coscienza e il valore della collettività.» Il gruppo dei giovani che tirava pietre alla barca applaude, una parte di loro con molta ironia. Uno tra quelli commenta: «Proprio quest’anno ho dato un esame sugli statuti comunali delle antiche Repubbliche lombarde e ho scoperto che nel Medioevo chi insozzava aria, acqua, territori e non rispettava i diritti della comunità veniva immediatamente cacciato fuori le mura». «Ecco!» esclama il trampoliere. «Infatti è una soluzione classica del Medioevo! Non rieducare, ma punire!» «Piano… piano… qui siamo nell’emergenza» riprende un altro giovane. «Che significa per te che stai sul trampolo rieducare? Forse aprire una casa di correzione? Una galera più soft, coi doppi servizi e con diritto di una notte di sesso la settimana?» «Attenti… con la scusa dell’emergenza qui salviamo il pianeta ma mandiamo a picco ogni civile convivenza!» avverte la ragazza del pedalò. «E allora che facciamo?» interviene un medico di transito. «Avendo fretta e non avendo né il tempo né i mezzi per rieducare, risolviamo come con la Nave dei folli di Sebastian Brant? Carichiamo su un vascello tutti gli indesiderati, i delinquenti abituali, coloro che truffano, rubano, compiono violenza e li spingiamo alla deriva fino al mare Artico? E s’arrangino, si scannino tra loro… noi ce ne laviamo le mani!» Intanto lì sullo spiazzo della Ripa s’è formata una folla attenta e reattiva. «No, no!» esclama il giovane che ha dato da poco l’esame. «Io dico che reprimere è sempre un errore. Bisognerebbe ripristinare la legge del cappello.» «Cos’è ’sta legge del cappello?» chiede un muratore con un berretto di carta in capo. «È un’espressione che proviene dagli Statuti del Comune di Gubbio, della fine del 1100» illustra il giovane. «Si tratta di indurre ogni cittadino a individuare immediatamente quelli che hanno la tendenza alla truffalderia, per esempio, all’appropriazione indebita e a delinquere in genere. Nella tradizione, sapete, si dice ’tanto di cappello’ e si cava di capo il medesimo per significare che la propria nuca è intonsa.» «E a che si allude con nuca intonsa?» «È semplice. Nel tempo antico era regola, anzi legge, che a ogni individuo, sorpreso più di una volta a delinquere, fosse rapato il cranio a cerchio, la classica tonsura, e che quel cerchio fosse intieramente dipinto con una lacca verde indelebile.» «Ah è per quello» commenta un altro ragazzo «che i francescani ancora oggi si rapano il cranio! Per mortificarsi e porsi all’ultimo gradino della società, insieme ai disperati e agli estromessi!» «Ecco, proprio così. Il rapato col cranio dipinto veniva chiamato ’verdone’, era costretto ad andarsene in giro a testa scoperta con quel marchio!» «Rapato e dipinto?» «Sì, un marchio infamante che lo distingueva dai cittadini onesti. Però, in caso di freddo e di pioggia, gli si permetteva di coprire il capo con un cappello, che era tuttavia costretto a cavarsi nel momento in cui incontrava un qualsiasi passante, uomo o donna che fosse, così da mostrare la propria identità.» «Ma è incredibile! Anzi orribile! Peggio della gogna!» esclama indignata una donna con la mantellina. «E se il condannato si rifiutava o evitava di toglierselo?» «In questo caso, gli s’imponeva di calzarsi per sempre un cappello verde!» «Eh sì» lo sostiene un vecchio docente, «è da qui che nasce anche l’espressione ’sono al verde’, che significa ’son rimasto senza quattrini, ma soprattutto senza reputazione’!» «Mentre il ’tanto di cappello’» riprende il giovane «significava appunto ’davanti a voi mi tolgo il copricapo poiché non ho nessuna vergogna da nascondere.’» «Ma tu guarda, quindi il gesto di salutarsi cavando il cappello viene di lì?» chiede il muratore giocando col suo berretto di carta. Interviene il trampoliere: «Eh sì, dovrebbero proprio ripristinarla questa tradizione a cominciare dagli inquilini della Camera e del Senato!» Qui esplode divertito il cinico: «Te li immagini quei deputati e senatori nonché presidenti di Regione muoversi sugli scranni e prendere la parola senza mai potersi cavare il verdone?» «No, non sono d’accordo» dice risaltando nel suo pedalò la ragazza. «Qui si ripristina la gogna, una mortificazione incivile e indegna di ogni vera democrazia.» «Certo» le fa il verso il chitarrista, accompagnandosi con degli accordi «è sempre meglio lavarci da noi i panni sporchi ZAN ZAN coprire lo zozzo TARAN TAN TAN i dirigenti luridi FLIN FLIN e le facce di merda puzzolenti PARAPAPPAPPA!» «E soprattutto nascondere sempre la sozzeria sotto il tappeto!» gli fa da controcanto, danzando il trampoliere. «Sennò che ci starebbero a fare tutti quei drappi e le stuoie nei saloni della politica?» «Lasciamo correre i tappeti copri-monnezza e anche il passato» interviene la donna con la mantellina. «Come dice un antico proverbio: l’acqua che scorre oltre il mulino più non serve a macinare. Chi macina il passato, tiene un cranio imbesuito!» Ormai intorno ai disputanti si è formata una folla di ascoltatori, alcuni si son portati appresso sgabelli e seggiole pieghevoli. Ragazze e ragazzi stanno assettati per terra. Appaiono venditori di zuppa di farro tenuta calda dentro grandi padelle su carrette, un altro offre cous cous con spezzatino di capretto in umido, una donna propone polenta con le rane fritte. Tutto si paga coi bonus. REGOLE CIVILI Nell’isola del Madagascar, ancora poco tempo fa, viveva una popolazione presso la quale non esistevano prigioni. Ogni tribù era ritenuta responsabile del comportamento d’ogni singolo componente. Se qualcuno commetteva atti illegali o ignobili contro chicchessia era tutta la comunità a cui l’indegno apparteneva che veniva considerata colpevole e responsabile, per cui il clan al completo doveva accollarsi il compito di segregare a turno nelle proprie case il reprobo. Chiamali selvaggi! Dalle memorie di un esploratore I venditori di sfizi al volo hanno grande successo. Si fa pausa un attimo, poi il ragazzo sui trampoli, spalleggiato dalla piccola banda di suonatori, chiede attenzione: «Sentite gente, se siete d’accordo, vorremmo continuare il dialogo. Eravamo arrivati a un punto molto interessante e piuttosto cruciale, quello delle regole e dei comportamenti civili. E qualcuno suggeriva di lasciare le cose come stanno». «Eh no! È proprio perché voglio un oggi diverso che non sopporto l’idea che si rimanga nella norma!» irrompe il cinico. «Con le stesse regole, leggi, consuetudini, giudici, avvocati! Torniamo ai processi infiniti? Alle sentenze in prescrizione?! Ai furbi fuori e i fessi dentro?!» «Se permettete, vorrei fare una considerazione» propone il vecchio docente. «Quante volte qui in Italia sentiamo vantare ’Noi abbiamo una giurisprudenza che ci invidiano in tutto il mondo’?» «Certo, in tutto il mondo…» interviene un correttore di bozze. «Bisogna però specificare che ce la invidiano soprattutto i furbi e i pluri-indagati con stuoli d’avvocati! Del resto dai giudici e dagli avvocati ti senti sempre ripetere: ’Non è la legge che fa testo’, tant’è che tutto dipende dal giudice: dipende solo da lui se una sentenza appare giusta o indegna.» DIO REGALÒ UN SESSO AGLI UOMINI, UN SESSO ALLE DONNE E UNO, DIVERSO, PER IL CLERO Si racconta che a un giovane prete, umile servitore della Chiesa, capitò di ascoltare in confessione una donna molto piacente e con un corpo di splendida fattura. Ella andava elencando, spietata e dolente, i suoi peccati, causati da innumerevoli avventure amorose. Nel proprio pentimento lamentava la debolezza della carne sua e la passione che in ogni occasione la rendeva vittima di ogni lussuria. Il giovane prete ascoltava sconvolto e in cuor suo andava commentando: «E io sto qui fra ’ste sante mura a perdermi tante emozioni, piaceri e fremiti amorosi? Tutti mirabili doni che il Signore ci ha elargito!» Tremante, sussurrò alla penitente: «Io ti rimetto i tuoi peccati solo se se tu prendi me come tuo sposo! Ti adoro perché hai molto amato». E si sposarono felici il giorno della Candelora. Dal Pecorone di Ser Giovanni Fiorentino «E allora, per riavere una legge onesta e rapida, come si fa?» chiedono delle donne quasi all’unisono. «Tanto per cominciare come si risolve lo scandalo dei processi tirati avanti per anni? Guardate che siamo l’unico Paese al mondo ad accettare una simile vergogna!» «Hanno ragione le signore!» interviene un cieco accompagnato da un ragazzo. «Questo accidente che ci è capitato ha stravolto le nostre abitudini spesso indegne, ha risvegliato le nostre coscienze. Approfittiamone! Ci son qui con noi persone colte e oneste… ci diano consigli appropriati, soluzioni nuove.» Interviene un bibliotecario: «Io, per esempio, imporrei che i giudici, ottenuto l’incarico, prima di calzare la toga e sedersi dietro il banco del tribunale, fossero accompagnati in carcere…» «Il giudice in carcere?! Perché? Per quale reato?» chiede un conducente di autobus. «Nessun reato» gli risponde il bibliotecario, «è solo perché si faccia carico della drammaticità del suo impegno… Uno deve sapere che significato ha esprimere una condanna. Se dice: ’Sei condannato a tre mesi, un anno, trent’anni…’ deve aver coscienza della violenza che impone.» Prende la parola il ragazzo completamente calvo: «Io so cosa significhi… sono stato condannato a dieci anni e ne ho fatti sei! Galera significa umiliazione, cancelli, chiavi, insolenza dei secondini, punizioni, violenza di tutti i generi, anche sessuale! Se non hai provato la galera non puoi renderti conto di che significhi il peso di una condanna!» «Appunto» riprende il bibliotecario. «E quindi se un giudice la galera non l’ha provata, per lui un anno… due anni… è un’espressione astratta, non implica nessuna tragedia, è come dicesse: ti do cinque noccioline!» «È giusto, è giusto!» lo acclamano le donne. «Sì, ma è solo paradossale» dice un prete che ha buttato la tonaca. «Paradossale un corno! Io propongo che diventi regola, anzi legge» ribadisce il calvo. «Sì: tutti i giudici in galera!» gridano in coro. «Perché se ne facciano coscienza.» «Esatto» interviene un pescatore che sta ormeggiando la sua barca, «è paradossale, ma in una società di scaltri e ipocriti come la nostra è solo con le soluzioni impossibili e inaccettabili che ci si può salvare!» «Vi ricordate di Tortora» si fa avanti il cieco, «quel presentatore televisivo arrestato con l’imputazione di aver spacciato droga? L’accusa era falsa, montata da quei giudici solo per ottenerne un grande ritorno d’immagine a proprio vantaggio! E avete in mente come andò il processo?! Valendosi di testimoni menzogneri, l’hanno condannato a non so quanti anni di galera. Al processo d’appello, poi, è stato riconosciuto innocente, ma Enzo Tortora uscì in libertà completamente a pezzi.» «È vero» concorda il vecchio docente, «le umiliazioni e la galera subite lo avevano distrutto nello spirito e anche nel fisico: di lì a un anno è morto. E i giudici che l’avevano condannato, che si erano incarogniti sulla sua colpevolezza assurda? Hanno pagato? Di sicuro avrebbero meritato a loro volta la galera!» «Io dico di sì!» urla dal fondo una vecchia signora. «Calma» interrompe una donna grassa, «se ci lasciamo trascinare dall’emotività dove andiamo a finire?! Questa che proponete voi è una giustizia primitiva.» E altre donne di rimando: «E allora viva la giustizia primitiva! Perché quella moderna di oggi non ci piace proprio per niente, anche se qualche volta m’è capitato di doverla difendere dalle sparate di certi politici intoccabili arruffoni!» «Ma dico… di questo passo» sbotta un signore con una coppola rossa in capo «anche per i medici bisognerebbe fare lo stesso!» «In che senso lo stesso?» chiede il medico di transito. «Scusate» fa il coppola rossa, «quante volte abbiamo letto sul giornale o ascoltato in televisione… quando ancora funzionava… di medici incapaci eletti primari di ospedali con l’appoggio di ministri compiacenti mentre i validi venivano scartati?! Per carità, non è il suo caso…» sottolinea rivolto al medico. «E quante volte abbiamo letto che per errore, distrazione, per colpevole mancanza di controllo, hanno ucciso pazienti?!» «A questo proposito» prende la parola uno sconosciuto «mi è successo d’esser testimone d’un fatto incredibile. Sono fuori corso di medicina e ogni tanto mi riesce di farmi assumere come assistente operatorio, precario naturalmente. Un giorno mi sono trovato a fare da passa-attrezzi durante un intervento nel quale è successo di tutto: pareva d’essere in una farsa di Ridolini o di Charlot. Tant’è vero che dei pubblicitari ne sono venuti a conoscenza e hanno approfittato di quell’episodio per farne uno spot televisivo…» «Ma va’!» esclama incredulo un postino. «E di che si tratta?» «Prima hanno rischiato di affogare subito il paziente per via di uno scambio di tubi, aprendo il condotto dell’idrogeno invece che quello dell’ossigeno; poi stavano per intervenire su una cistifellea invece si trattava di un’ernia inguinale e infine, concluso l’intervento, ricucito l’addome, sentono squillare un telefono: ’Di chi è? È tuo? È mio? È suo?’… Si trattava di un portatile che squillava di dentro il ventre dell’operato!» «No! Impossibile!» «Come no? Tant’è che è la stessa situazione che hanno messo in scena nello spot televisivo…» «Sì, è vero, l’ho visto anch’io. Era uno spot di pubblicità ai cellulari…» dichiara la donna grassa. «Ebbene» conclude l’assistente di medicina, «nella realtà il chirurgo ha esclamato: ’Cazzo! È il mio! Mi dev’esser scivolato dal taschino! Riaprire subito! Presto!’ Taglio rapido, riaperto l’addome: ’Pronto? Sei tu, cara?’… Avevano sbagliato numero.» Risate allo scompiscio. «E va bene! È un classico errore umano!» commenta con ironia il muratore. «Proprio sul tipo di quello di un bandito che durante una rapina ha lasciato partire un colpo accidentale dalla pistola!» LA BONTÀ Un santo uomo accolse nella sua casa un carcerato appena uscito di prigione. Gli offrì da mangiare e un letto in cui riposare la notte. All’alba l’ex detenuto se ne andò portandosi via tre candelabri d’argento. Dopo qualche ora il santo uomo sentì bussare al portone: erano tre gendarmi che avevano fermato il galeotto. «L’abbiamo sorpreso con della refurtiva» disse il sergente. «Il mariolo qui asserisce di averli ricevuti da voi in regalo.» E mostrò i tre oggetti d’argento. «Sì, è proprio un mio regalo» rispose senza esitare il padrone dei candelabri. Le guardie se ne andarono poco convinte. «Torna pure a letto» disse il brav’uomo al furfante, «ma ti consiglio di non approfittare troppo della mia benevolenza. A lungo andare il perdono è da imbecilli.» Da I Miserabili di Victor Hugo «Perdonate, ma stiamo andando un po’ fuori dal seminato» interviene l’ex prete, «si parlava di giustizia, e andiamo per ordine.» «È vero» ribadisce il correttore di bozze, «io premetto subito che son convinto del fatto che se non riusciamo a cambiare drasticamente regole, applicazioni e comportamenti, qui ci ritroviamo fra poco nel clima delle invasioni barbariche, dove chi è più bravo a infilzare l’altro ha sempre ragione.» «Giusto» gli fa coro il gruppo di donne, «l’anno scorso, anzi ormai due anni fa, abbiamo assistito al varo di una legge ignobile: la proposta di applicare l’indulto nelle nostre galere. ’Le carceri stanno scoppiando!’ ci avvertivano molti politici. Il ministro proponente era Mastella, quello col labbrone da inciucio naturale. Sì, proprio lui, l’orrendo trasformista che, poche ore prima di recarsi a Montecitorio per mettere in atto l’operazione che avrebbe fatto cadere il Governo del quale era ministro di Giustizia, si affrettava a firmare cinque nomine a suoi clientes per altrettanti posti di potere.» «Tornando a noi» puntualizza il cinico, «non bisogna mai dimenticare che quella legge sull’indulto è stata accettata per la prima volta da senatori e deputati di entrambi gli schieramenti.» «Certo!» aggiunge un altro. «Sempre per favorire amici, colleghi ladri e perfino parenti provenienti da entrambe le parti.» In contrappunto molti ragazzi esplodono in una fragorosa risata che termina con un grido corale: «Viva l’Italia!» «Datemi retta!» sentenzia uno sconosciuto. «Qui l’unica soluzione onesta e patriottica è di lasciarlo affondare, questo Paese. Non val proprio la pena di salvarlo.» «Mi scusi» gli chiede il prete spretato, «lei di che Paese è?» «Di San Marino.» «Ah beh, allora!» Risata corale. Quindi l’uomo col cappello rosso, quasi esplodendo, riprende con tono acceso: «Come si fa ad andare avanti così senza un minimo di responsabilità collettiva? Siamo ancora una nazione o no?» «Beh, una nazione senza uno straccio d’apparato di gestione!» avverte il cinico. «Assomigliamo molto di più a un convegno con scampagnata del cral dei Collezionisti di Francobolli!» «Va bene! Ma proprio per questo» ribadisce il cieco «non possiamo tirare avanti da sciammannati senza il minimo di regole. Ora stiamo campando anzi tirando a campare in una specie di idillio mistico, ma cosa succederà appena sorgeranno dei problemi? Quando ci vedremo arrivare delle bande che proprio col pretesto di mettere un po’ d’ordine ci incastreranno di prepotenza dentro le loro regole… magari a botte in testa... come reagiremo?» «Ha ragione» dice un altro, «dobbiamo organizzarci, per questo dobbiamo indire un’assemblea in un luogo adatto dove si possa intervenire nel maggior numero possibile. Io direi di ritrovarci domani mattina all’Arena.» «Quella per l’atletica leggera?» chiede il prete spretato. «Sì, proprio lì, dietro il parco del Sempione.» «Bisogna che ognuno passi voce. Vi va bene alle nove?» «Per me anche prima!» accondiscende il pescatore. «No, direi che alle nove è un orario buono per tutti» assicura il trampoliere. I convenuti intorno sono d’accordo. «Possiamo procurarci le chiavi» dicono quelli della piccola banda. Così dicendo la riunione si scioglie e anche noi ci prepariamo all’incontro di domani. LE REGOLE DEGLI INFAMI Il leone si mise in combutta con altri animali per catturare insieme le prede. Nel gruppo c’erano una iena, un lupo, un orso, una volpe e pure un babbuino. La volpe organizzò la battuta assegnando a ognuno un compito adatto alla cattura. Così acchiapparono una gazzella e uno gnu. «Portiamo il bottino nel mio antro» propose il leone. «Domani all’alba venite da me, uno alla volta: metteremo giù le regole della nostra società, per primo come ci si debba dividere il bottino.» Il giorno appresso il babbuino arrivò che il sole era già alto all’ingresso della caverna dove dimorava il leone. S’arrestò davanti all’entrata che dava in una specie di tunnel: sul terreno c’erano orme fresche di animali che disegnavano l’ingresso ma nessuna che ne indicasse l’uscita. Il babbuino s’affacciò e gridò dentro il tunnel: «Ci siete tutti?» «Sì» gli rispose il leone, «aspettavamo giusto te per metter giù i capitoli della nostra congrega.» «Ma sono arrivati anche la volpe e il lupo?» «Come no! Sono qui che se la dormono beati. Muoviti! Spicciati a entrare che tocca a te… Abbiamo bisogno del tuo parere per le leggi!» Il babbuino rispose: «Aspettate… devo pensarci su un attimo. Ecco, me n’è venuta in mente una, la più importante: prima regola, non fidarti mai quando a far le leggi sono i briganti». Così dicendo fece rotolare un’enorme pietra verso l’entrata e la spinse dentro il tunnel fino a incastrarla tanto da chiuder l’antro. Dalle Favole di Esopo L’indomani mattina all’Arena la gente comincia ad arrivare in anticipo e a gruppi si sistemano sulle gradinate della cavea. Ci sono anche i nostri amici che abbiamo già incontrato al teatro di pietra e altri dinnanzi al Carcano, in Porta Romana ecc. Passa mezz’ora, non sono ancora le nove, e già l’Arena strabocca di gente. Il cinico e il professore si sono accollati il compito di dirigere il dibattito e ordinare i vari interventi. Per questo girano, aiutati da un gruppo di ragazzi, per le gradinate a raccogliere i nominativi di quelli che hanno intenzione di prendere la parola. Levando lo sguardo verso l’alto, ognuno si rende conto che dal cerchio superiore che fascia l’Arena, spuntano una appresso all’altra torri eoliche in gran numero che roteano senza alcun gemito o fruscio. Ma la sorpresa maggiore è accorgersi che è stato approntato un impianto con tanto di microfoni e casse acustiche. È ora: il cinico sale sul palco di fronte per introdurre il dibattito. Si sente che è emozionato, ma si fa forza. «Il tema in questione riguarda il problema di darci un assetto legale, perché siamo convinti che una comunità senza programmi e regole non abbia alcuna possibilità di decollare. Se non vogliamo ritrovarci imburattinati da una massa di soliti furbi e prepotenti bisogna che si facciano proposte e le si discutano tutti insieme, ma con ordine e metodo.» «Sì, d’accordo, ma allora mettiamole giù subito ’ste regole» li sollecita il maestro. E il professore aggiunge: «Scusate, ma non dimentichiamo che noi possediamo già un fior di Costituzione! Non ci resta altro che riproporla e farla rispettare». «Un momento» li interrompe il cieco, «sono d’accordo che si debba ripartire da lì, ma attenti che oggi la situazione è un po’ cambiata. Tanto per cominciare, c’è la questione della moneta decaduta e dei ticket che sostituiscono giustamente il baratto. Ma già assistiamo al riemergere di banche pigliatutto e di maneggioni che gridano: ’Date a Cesare quel che è di Cesare!’ E guarda caso loro si chiamano tutti Cesare!» «È vero, specie in periferia le azioni di mafia sono all’ordine del giorno» testimonia con forza uno studente. «E per questo, bisogna trovare subito una soluzione.» «C’è il fatto delle appropriazioni» dice un giudice di pace, «ci sono dei furbastri che si sono impossessati di tre, quattro abitazioni e poi le subaffittano. Non parliamo poi della questione del mangiare. Sono saltati fuori nuovi mercanti che sono peggio di quelli di prima! Impongono i prezzi come gli pare.» La gente tutto intorno interviene. «Uno alla volta per favore, non si capisce più una parola!» «Perdio! Che fate? Ci si sormonta uno sull’altro adesso? Siamo tornati al clima del classico dibattito televisivo? Un po’ di creanza e rispetto per favore!» urla l’uomo obeso dal vocione. «Giusto! Fate silenzio!» impone perentorio il maestro. «Ho portato con me il testo della Costituzione. (Così dicendo lo sbandiera a mano tesa.) Vorrei che ognuno si procurasse carta e penna, si mettesse comodo e attento a prender nota… Vedo che c’è qualche ragazzo col computer: anche voi per favore trascriverete. (Poi, guardandosi intorno.) Il ladro di intercettazioni telefoniche è qua?» «Sì, sempre presente! E con il mio registratore già in funzione!» «Bravo! Attenti che si comincia…» avverte lo speaker. «Vai tranquillo, maestro, non mi lascerò sfuggire una parola.» Lo speaker dà l’ultima comunicazione: «Preghiamo i venditori di bevande, dolcetti, panini ecc. di sospendere per un attimo il loro deambulare di mercato». AMMAZZA CON GARBO Mosè s’arrampicò in cima al monte per ricevere le tavole della Legge. Il Signore Creatore era già lassù che lo aspettava: «Cominciamo subito!» ordinò fremente. «Sono dieci tavole. La prima dice: io sono l’unico, non avrai altro Dio all’infuori di me.» «D’accordo» assentì Mosè, «ma resta inteso anche che io qui rappresento il tuo unico popolo, quello eletto». «Sì, certo» accondiscende a sua volta Jahvè, «allora scriviamolo». «Ma stabiliamo anche che tu, Altissimo, non avrai altro popolo all’infuori del mio». «D’accordo, proseguiamo. Seconda regola: non uccidere.» «Come!?» esclama sorpreso Mosè. «Niente ammazzati? Per nessuna ragione?» «Beh» puntualizza l’Eterno, «a meno che ci sia un altro popolo che attenti ai tuoi diritti.» «Solo in quel caso posso uccidere?» «Sì, e ti è concesso di iniziare per primo per evitare di essere attaccato alla sprovvista.» «Ah beh, Jahvè, così va bene.» «Proseguiamo» sollecita l’Immenso, «non desiderare la donna d’altri.» «Ma va?!» si lascia sfuggire sorpreso Mosè. «Niente donna d’altri?» «No» insiste perentorio Dio. «Ma se la femmina io, invece di limitarmi a desiderarla, decido di comprarmela?» «La comperi dal marito?» «No, mio Dio, parlo di una donna libera, che non sia di nessuno.» «Per favore, non diciamo sciocchezze» ribatte l’incommensurabile. «Una donna non è mai ’di nessuno’! Se non ha marito, ha di sicuro un padre che ha potestà su di lei, un protettore, un amante, un parente prossimo che le fa da tutore.» «Ma» insiste Mosè «se non ha nessuno che la possegga? Se è sola, abbandonata, orfana?» «Ah, allora sì, si può!» «E ancora, se è sposata e io la libero da ogni possesso?» «In che maniera?» «Ammazzando il marito.» «Lo uccidi?» «Sì!» «E allora dipende: se tu sei un potente diventa causa di forza maggiore, come dire… una questione di Stato, e caschi in piedi!» «Andiamo avanti: altra legge. La quarta: non desiderare roba d’altri. E qui è uguale, basta sostituire donna con roba… non cambia una virgola». Frammento della Bibbia apocrifa Si fa avanti il giudice di pace sollevando un grosso bastone e mostrandolo a tutti avverte: «Attenti! Personalmente ho il compito di battere a terra ’sta mazza per interrompere chi, parlando, va fuori tema e lasciar intervenire chi ha osservazioni o varianti da proporre. Siete d’accordo?» «Sì, vada pure!» rispondono in coro. E il tranviere aggiunge: «Stia attento a non picchiarsi sulle dita dei piedi!» Il maestro riprende. «Allora, la Costituzione. Primo articolo: L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.» Botto. BUM! Il giudice di pace fa un cenno di accettazione per il primo intervento. «L’Italia è una Repubblica democratica» ripete un operaio. «Se permettete correggerei: Deve diventare una Repubblica democratica, perché a mio avviso adesso come adesso non lo è che a parole.» Il professore risponde: «Certo. Mi rivolgo a tutto il pubblico: siete d’accordo che si modifichi con Deve diventare?» In coro, tutti rispondono: «Sì, d’accordo!» «E allora scrivete: L’Italia deve diventare una Repubblica veramente democratica e fondata sul lavoro.» Altro botto, altro intervento. BOM! «Aggiungerei sul lavoro di tutti. E in particolare non sullo sfruttamento del lavoro altrui.» «Detto, accettato, (applauso) andiamo avanti! La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.» BUM. Battito di bastone. «Ma di chi? Di chi è sovrano il popolo?» interviene il ragazzo calvo. «Fermi tutti, questa della sovranità che appartiene al popolo mi pare un po’ retorica» commenta il giovanotto dal papillon, «non dimentichiamo che ognuno di noi spera che la situazione attuale cambi, anzi si formalizzi, giacché senza un’amministrazione efficiente, seppur burocratica, non ce la faremmo, continueremmo a trovarci sempre in un caos senza uscita.» «Quindi» riprende il professore «la Costituzione dobbiamo pensarla come chiave di volta di una prossima società ripristinata ed efficiente e immaginarci di vivere in quella situazione.» «Perciò ribadisco» prosegue il papillon «che quella frase sulla sovranità che appartiene al popolo è paradossale, oltre che retorica. Immaginate che, finalmente tra qualche tempo, fra un mese, cinque mesi, un anno... torni a funzionare il normale apparato amministrativo, Comune, Poste... si riaprono gli uffici e noi ci rechiamo agli sportelli per ottenere un qualsiasi documento... Si forma immediatamente una coda infinita e quando poi arrivi all’impiegata responsabile, quella immancabilmente, come accadeva prima, ti impone di tornare un’altra volta giacché i tuoi documenti non sono completi e se fai obiezioni e ti lamenti, la capoufficio ti manda uno della vigilanza che ti porta fuori di peso.» «È successo a me!» «E anche a me!» testimonia una maestra di danza. «Mi hanno trattato come fossi una pezzente!» «A me mi hanno pure minacciato!» «È successo a tutti!» «Giusto! È vero! Altro che popolo sovrano! Appena ti metti in coda, per qualsiasi ragione, ti trasformi subito in un cittadino di bassa categoria!» «Non parliamo poi» aggiunge un altro «se per un incidente o un malore stai male e ti portano all’ospedale...» E la solita vecchietta precisa: «Sempre che siano stati finalmente riaperti, attivi e funzionanti, ’sti ospedali e le cliniche! Se capiti in un giorno sbilenco ti può anche succedere di rimetterci le penne. Nella confusione, e non in grado di presentare credenziali speciali, ti ammollano in un angolo... dimenticato. Non possiamo scordare che, proprio qui nella nostra città, un mese prima del blackout, a uno l’hanno ritrovato in un boschetto nei pressi del Pronto Soccorso sulla sua sedia a rotelle. Era morto da venti giorni! L’ha scoperto un cane che abbaiava come un forsennato. A pochi passi c’era un cieco seduto su di una panchina che ha intuito l’allarme lanciato dal cane e ha chiamato aiuto. E quel disgraziato avrebbe dovuto essere un rappresentante del popolo sovrano?!» E una donna rincara: «Ma il peggio ti può capitare se ti viene prescritto un esame particolare, che so una tac o una risonanza magnetica. Hai soldi in contanti o sei coperto dall’assicurazione? No? Solo dalla mutua? Attendere prego. A un mutuato gli hanno fissato la tac dopo sette mesi dal giorno della visita con diagnosi. Ripeto, sette mesi di attesa! Ed era stato fortunato! Talmente fortunato che quando è arrivato il suo turno, lui era già defunto da un mese, morto e seppellito. E la beffa è che aveva già versato un acconto di garanzia! Che naturalmente non gli è stato mai restituito, né a lui né ai parenti!» «Certo!» dice afferrando il microfono un venditore di piadine alle erbe. «Ha ragione quel che ha detto prima il ragazzo col papillon. C’è proprio da chiederci: ’Sto popolo, di che è sovrano?» «E allora cosa proponete di scrivere a ’sto punto?» fa il dottore. «Io proporrei una variante, che dovrebbe suonare più o meno così: Medici, impiegati, ufficiali giudiziari, vigili urbani fate in modo che ogni cittadino sia rispettato, in quanto parte del cosiddetto popolo sovrano.» «Io sarei più preciso» propone un altro, «aggiungerei: Cari tutori della legge e della scienza, ricordate che voi siete al servizio dei cittadini. Siete assunti da loro, non dai dirigenti. Ogni cittadino non è solo un paziente, un utente, un pedone, un solvente o un mutuato... È, anzi, essi sono i proprietari unici della propria vita, e sono sempre loro, come dire noi, a permettere che anche voi abbiate una vostra vita.» Esplode un applauso fragoroso. I venditori di panzerotti, piadine, merende e bevande approfittano di quell’ovazione per riprendere a far mercato. «Accettato, scritto. Andiamo avanti.» LA LEGGE VELOCE DEI GOTI Teodorico re goto, da Ravenna, sta partendo per recarsi alla guerra. Una donna dall’aspetto nobile, seppur malandato, ferma il suo cavallo e così impone che la si ascolti: «Teodorico, tu non puoi uscirtene da questa città senza prima farmi giustizia. Mio figlio, che sempre ti fu leale, è stato assassinato da una potente famiglia: ho denunciato il delitto, è iniziato il dibattimento, ma d’accordo, giudici e avvocati, con intrallazzi vari, hanno procrastinato la conclusione a tempo infinito, per l’esattezza dieci anni, per cui a giorni stiamo per veder prescritto e annullato il processo». Teodorico scende da cavallo e ordina che giudici e avvocati siano invitati nel palazzo di giustizia. Giunti che sono, il re parla: «Vi impongo di concludere immediatamente il dibattito processuale. Se domani entro mezzogiorno non sarete in grado di leggere la sentenza, tutti voi, avvocati di parte lesa e di difesa, giudici e cancellieri, sarete decapitati». Sbianchiti in volto e tremanti, i responsabili di quel ritardo si pongono subito all’opera e l’indomani allo spuntar del sole sono già pronti a recitare il verdetto. La famiglia portata in giudizio è ritenuta colpevole del crimine e la donna deve essere intieramente rimborsata della violenza e del danno subiti. Viene chiamato il boia perché nella piazza si esegua la condanna: quando il patibolo è innalzato, il re chiama i giudici e gli avvocati e chiede loro: «Come mai in così breve tempo avete prodotto una sentenza tanto giusta e ineccepibile? Vi rendete conto che avendo voi impiegato tanti anni per giungere alla conclusione significa che avete commesso un grave reato mortificando la legge e rubando i denari dei vostri stipendi allo Stato senza produrre giustizia?» «Sì, ce ne rendiamo conto!» rispondono in coro gli interpellati. «Perciò, giudici e avvocati, accomodatevi tutti sul palco» conclude il re. «Avrete a vostra volta mozzo il capo.» E pensare che Teodorico era ritenuto un barbaro. Dalle Historiae di Procopio Il giudice di pace batte il bastone a terra e grida: «Si prosegue! Terzo articolo: qui si stabilisce che Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale. Avete preso nota?» «No, no! Un momento, siamo di nuovo alle definizioni retoriche, di grande effetto ma astratte» si sente gridare. «Cosa vuol dire pari dignità sociale?» E il giudice risponde: «Che a ognuno si deve dimostrare rispetto per la sua persona, indipendentemente dal suo stato sociale, l’abito che indossa, le credenziali che presenta, gli appoggi di cui dispone». Uno appresso all’altro lo contestano dei ragazzi: «E finora è stato forse così? È una legge che viene applicata?» «No, proporrei di toglierla di mezzo.» «Fermi» interviene il professore, «propongo: Il cittadino deve battersi con tutta la sua determinazione perché ognuno goda di una giusta parità sociale.» «Accettato, proseguiamo!» «E basta così?» «No, preciserei: parità sociale poiché tutti sono uguali davanti alla legge.» Intanto lassù, sotto l’arcone, s’è piazzata una grossa banda di ottoni e altri strumenti a corda e a percussione e accennano un leggero sottofondo d’accompagnamento agli interventi. Il giudice di pace enuncia: «Articolo 4: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto». «Battete la mazza, per favore» chiede il cieco, «vorrei intervenire.» Botto del bastone. BUM. «Sbaglio o l’articolo in questione dice che la Repubblica promuove le condizioni perché il lavoro sia garantito a ogni cittadino? E vi pare che questo impegno sia stato mantenuto? Al tempo del blocco totale d’ogni attività erano 3 milioni e più i disoccupati in attesa di lavoro, di cui 1.054.000, scusate la precisione, erano i giovani; più 3.800.000 precari d’ogni età, quelli turlupinati con questa trovata del contratto a progetto che imponeva loro di rimanere vacanti in eterno con un impiego aleatorio e momentaneo senza alcuna garanzia di continuità!» «È vero» esplode l’operaio, «è un articolo fasullo! Una bufala!» «Piano, piano, non esageriamo» lo interrompe il maestro. «In verità l’articolo dice ben altra cosa, e cioè che la Repubblica promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.» Una voce grida: «E quale sarebbe questa promozione che dovrebbe rendere effettivo il mio diritto al lavoro?» «Non è un impegno assoluto... è come dire: ’Guarda, io ci provo, mi interesserò, farò il possibile, ma senza impegno. Caro ex co.co.co., ora co.ca.ca, spera in Dio, e tira a campà’!» «Datemi retta» riprende l’operaio, «anche questo articolo, a mio avviso, è da eliminare.» Il professore lo blocca: «No, per favore! Non possiamo cancellare un bel niente, la Costituzione è sacra! Al massimo possiamo arrangiarla!» Il prete spretato fa un gesto con la mano e interviene: «A proposito di aggiustamento, qui c’è un commento esplicativo della Costituzione che ci chiede: chi è il popolo sovrano? Risposta: il popolo sovrano sono i cittadini che hanno il diritto di scegliere i propri rappresentanti attraverso il voto. Ma vi sembra che sia proprio così? Se non sbaglio, nelle ultime elezioni, ognuno di noi ha votato per il simbolo del proprio schieramento, ma senza il diritto di esprimere una o più preferenze. Una delega totale al partito. Cioè non ci sono state preferenze determinate dagli elettori: le preferenze le hanno decise le organizzazioni, i vertici di ogni singolo partito, quindi loro hanno deciso chi doveva rappresentare il popolo, non noi. Perciò ribadiamo, dov’è il popolo sovrano?» Il giudice di pace si inserisce deciso: «Per favore, questo argomento esula dal contesto che ci proponiamo di discutere, la nuova riforma elettorale stava per essere varata... prima del blackout totale e definitivo!» «Quale blackout? Quello causato da Mastella o quello scattato con la fine del petrolio?» «Tutti e due!» risponde l’uomo sconosciuto. «Chiedo si prosegua. Accettato? Sì? Articolo 6: La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.» «Ohhh!» esclama il bibliotecario. «Qui ci siamo! Le minoranze: un bene da preservare e difendere. A questo proposito, una delegazione di rappresentanti della Sardegna ha chiesto che venga applicata l’attenuante etnico culturale anche in Italia, come è successo in Germania, per i sardi maschi sorpresi a violentare donne perché, come ha dichiarato il giudice tedesco di Hannover, il sardo è parte di un’etnia ben differenziata con antiche tradizioni in contrasto con le normali forme culturali del resto d’Europa.» «Per favore, non buttiamola nel grottesco» prega il conducente d’autobus, «siamo seri... torniamo alla Sardegna... voglio dire... alla Costituzione, in particolare all’articolo che tratta dei rapporti con la religione, il clero e il regno di Dio. » IL CAPITALE COME PECCATO Io ti ringrazio, Creatore, per il linguaggio fatto di chiare parole che mi hai insegnato. Io ti rendo lode, Padre, perché hai tenuto nascosto quello che mi hai insegnato ai ricchi e ai sapienti cosicché lo possano intendere solo i semplici e i bimbi. Vivete oggi la vostra vita, vi dico, cercate di campare alla giornata, non curatevi del domani; siate puri come i fanciulli, non accumulate denari, non preoccupatevi di possedere una vostra casa, non indossate ricche vesti. Non vi fate tesori sulla terra: la ruggine e la tignola consumano e i ladri forzano le serrature. Siate indifferenti al posseder beni, ad accumulare cariche e stipare i granai. Siate come «uccelli e gigli che non si preoccupano di vestirsi e di seminare». Non limitatevi a predicare questi comportamenti, ma siate voi i primi a metterli in pratica. Dai tre Vangeli sinottici Il vecchio docente recita l’articolo numero sette: «Articolo 7: Lo Stato e la Chiesa Cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi». «Oh, ma questa è musica per le mie orecchie!» commenta un pensionato. «Ma a chi dobbiamo questa splendida pensata dei Patti?» chiede una signora. «Un momento, a proposito di musica io propongo» dice la maestra di danza «che la nostra orchestra improvvisi un sottofondo mistico a ciò che verrà recitato dal professore». «Oh, sì! Ci vuole!» li incoraggia un coro di voci. Immediatamente, i musicanti intonano un Magnificat largo e delicato al tempo. «Professore, tocca a lei!» Il professore si alza in piedi: «Eccomi qua, già pronto a dare informazioni». Offre ai ragazzi risme di fotocopie perché vengano distribuite. «I Patti Lateranensi sono stati stipulati nel 1929 fra Mussolini e il papa di allora, Pio xi.» Esplode un «Ohhh» sussurrato come un Alleluia scandito da commenti appropriati: «Papa re! Papa duce! Fascio e Chiesa ci conduce!», «Segno di croce e saluto romano tutti uniti in Vaticano.» «Zitti…! E seguite! Entrambi, l’uomo mandato dalla Provvidenza e la Provvidenza fatta Papa, avevano come programma di ottenere reciprocamente degli importanti vantaggi politici ed economici.» All’istante l’accompagnamento liturgico si fa sottilmente marziale. «Innanzitutto la Chiesa doveva riconoscere il Partito Fascista come partito unico alla guida dell’Italia; inoltre il papa si impegnava a eliminare, imponendogli le dimissioni, don Sturzo, fondatore del Partito Popolare, acerrimo oppositore di Mussolini. In compenso lo Stato Italiano doveva intervenire per salvare il Banco di Roma, uno storico istituto di credito sull’orlo del fallimento, e nel dissesto del quale la Chiesa era coinvolta.» «Eh no, scusate» interviene timidamente una signora dall’aria modesta. L’orchestra s’arresta. «Se la buttate così in farsa, è logico che otterrete l’ilarità di ognuno.» «No, signora» si difende il professore, «non c’è nessuna farsa qui, purtroppo è solo una tragedia, giacché è sulla nostra testa che si sono architettate e si continuano a elaborare certe infamità.» «Per favore, non perdiamo il filo del discorso. Si stava parlando del salvamento del Banco di Roma dalla catastrofe.» Riprende il sottofondo con andamento da romanza. «Ma coi soldi di chi l’hanno rimesso in piedi ’sto banco?» Risposta a più voci: «Ma naturalmente coi nostri di quattrini!» «Siamo tutti noi i benefattori storici della Chiesa tanto i credenti che gli atei che i bestemmiatori!» «Ecco, i bestemmiatori, giustamente per punirli dei loro peccati!» «No, no, non posso accettarlo!» urla l’operaio. «Io che salvo il papa...!? No... no... io mi sparo...!» «Zitti, per favore!» L’orchestra si è azzittita un attimo, ma poi riprende intonando una dolce pescarola. «Un po’ d’attenzione. Già allora la Chiesa, in seguito a quei Patti, godette di notevoli privilegi e regalie. Fra queste il dono delle acque.» «Che significa delle acque?» chiede una giovane con un bimbo in braccio. «Significa che tutta l’acqua proveniente dall’acquedotto del Lazio, erogata nel Vaticano, che ancora oggi bagna fontane e riempie piscine dello Stato Pontificio, il sistema di irrigazione dei parchi… per non parlare poi dell’acqua santa, è stata fin d’allora erogata gratis dal nostro Stato a quello del Vaticano!» E un altro interviene: «Scusa, offerta al Vaticano da noi? Ancora oggi?» «Sì, certo... anzi oggi l’erogazione è di gran lunga aumentata rispetto al ’29 causa le piscine e i getti d’acqua nei parchi.» «Eh sì, oggi tutti si lavano di più, compresi i religiosi!» aggiunge un altro. Lo spretato solleva la mano e testimonia: «È vero! Oggi ci inzuppiamo molto di più!» «Di quanto è aumentata l’erogazione da allora?» chiede il cieco. «Siamo a 5 milioni di metri cubi d’acqua all’anno» ci informa l’ingegnere. «BUMPETE!» esplodono dei ragazzi! E in coro ritmano: «La santa lavanderina che sguazza nell’acqua a getto che sciacqua e si risciacqua spalle, pancia e petto; noi gli diamo l’acqua chiara e lor ci rigettano lo scarico benedetto!» «Naturalmente in quella cascata d’acqua è inclusa anche l’elargizione per servizi igienici, domestici e per tutte le altre comodità idriche, compreso il lavaggio delle automobili: dal 1999 a oggi, cioè in nove anni, per la cifra di 52 milioni di euro, cioè 100 miliardi di vecchie lire!» Tutti in coro: «Salute! Dio ci benedica!» «Ma tutte queste sono bubbole, rispetto ai vantaggi elargiti negli ultimi anni dai nostri governi alla Chiesa, a cominciare dall’esenzione delle tasse sui beni immobili a uso commerciale come gli alberghi, per esempio. Qualche mese fa Curzio Maltese, giornalista de «La Repubblica», ha fatto esplodere un grosso scandalo elencando le case-albergo e i grandi hotel di cui la Chiesa è proprietaria e amministratrice. Questi alberghi, molto eleganti, con servizi da hotel di quattro o cinque stelle, frequentati da americani, giapponesi e altri turisti e imprenditori molto abbienti, sono iscritti al catasto come convitti cosicché non pagano l’ici, la tassa sugli immobili.» «Ma è un abuso inaccettabile!» commenta il pensionato. «Infatti» riprende il professore «nel 1992 la Corte di Cassazione ha giudicato illegittimo l’accordo che permette alle organizzazioni cattoliche di evadere l’ici, ma attraverso gabole e manovre nelle quali sono stati ingaggiati ministri e sottosegretari del penultimo e dell’ultimo governo, compreso Prodi, ancora oggi l’impresa vaticana riesce a evitare il pagamento dell’ici per la modica cifra stimata da 400 a 700 milioni di euro l’anno.» L’orchestra esplode in un «Gloria» possente. «No, scusate, perdonate, ma non posso accettare questo gioco al massacro» interviene la signora dall’aria modesta. «Perché non dite anche delle opere di carità, dei denari elargiti in Africa per aiutare bambini e per combattere le epidemie…?» «Signora, mi spiace ma è stato appurato che la parte devoluta alle buone opere dalla Chiesa corrisponde a cifre minime rispetto agli introiti complessivi. Al contrario si è scoperto che una valanga di soldi pubblici, pari a 3500 miliardi di lire stanziati per il Giubileo del 2000, più quote consistenti dell’otto per mille, sono finiti in questi anni nelle ristrutturazioni immobiliari che hanno trasformato conventi, collegi e ostelli in moderne catene alberghiere.» «Eccolo lì… l’otto per mille! Lo aspettavo! Questa è un’altra bella gabola da chiarire. Tanto per cominciare, vorrei sapere a quanto ammontano i milioni elargiti alla Chiesa cattolica apostolica romana…» «Ma cosa dici milioni…? Di’ pure un miliardo! Un miliardo di euro in donazione spontanea da parte dell’intiera popolazione del nostro Paese.» «Ma stai a sfottere! Spontanea!? È una trappola che neanche il gatto e la volpe con Pinocchio avrebbero inventato! Per questo ci mandano a catechismo fin da bambini!» «Eh no! Questo è troppo! Me ne vado!» s’indigna una vecchietta con la croce appesa al collo. «Beh, ma se non si può neanche più scherzare sulle furbizie del santo clero… che vita è?!» sbotta il capo orchestra interrompendo l’esecuzione. «Scusate» interviene ancora la signora dall’aspetto modesto, «ma io ci sono stata in uno di quegli alberghi che voi avete sbeffeggiato, in particolare sono stata in uno, conosciuto come la Casa di Santa Brigida, in piazza Farnese… è gestito da suorine deliziose… che parlano tutte le lingue… e si chiamano Brigidine.» «Signora» ribatte il papillon, «si vergogni! Fare dell’umorismo su quelle sante donne!» «No, no, è proprio così che si chiamano…! E ho saputo che lavorano anche dieci e più ore al giorno…» «E sa quanto percepiscono di stipendio?» gli fa eco lo spretato. Tutti in coro: «No, quanto?» «Nulla. Lavorano totalmente gratis… e non percepiscono nemmeno mance né pensione.» «Ma bene! Non hanno neanche un sindacato? Ma lo sa lei, signora, che è illegale, sfruttare lavoratori, anche se femmine, attraverso la suggestione mistica della fede?» «Ecco. Questo è un comma assoluto che dovremmo inserire nella nostra Costituzione» conclude il professore. «È vietato, e quindi punito, lo sfruttamento di manodopera semplice e specializzata ottenuta attraverso ogni forma di plagio spirituale con promesse di premi celesti non tassabili.» «Alzi la mano chi è d’accordo.» Tutti levano le braccia, entusiasti. «Accettato. L’articolo entra nella Costituzione Italiana come numero 7 bis.» Rullare di tamburi e strombazzate da Giudizio Universale. «Accettato? Proseguiamo. Articolo 9: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica... Cosa vuol dire cultura? Un certo Machiavelli diceva che ’scienza, conoscenza e sapere determinano la cultura’ e si chiedeva anche: ’Come si acquisiscono questi valori?’ Quindi si rispondeva ’con lo studio’, che allora significava soprattutto l’università, ’attraverso la ricerca, lo sperimentare, confrontare e il verificare’. ’Ma’ aggiungeva, ’per creare una sapienza vasta e condivisa, abbisognano i mezzi e la molteplicità degli aventi diritto.’ In poche parole, se in una società fortemente popolata da giovani, nelle scuole in genere gli studenti sono in numero scarso, saranno scarsi anche i risultati: pochi fortunati ammessi allo studio significano la carenza generalizzata della conoscenza e delle idee! Ed è ciò che succede da noi in Italia! L’errore è proprio quello di selezionare da una parte gli studenti che essendo in grado di pagare rette notevoli possono accedere a scuole private e di alto livello, dall’altra i non abbienti che si devono accontentare di scuole pubbliche meno attrezzate e soprattutto meno prestigiose. I primi, trovandosi nella categoria dei garantiti, avranno facilità di accesso all’impiego, i secondi dovranno accettare quel che dà il convento, cioè precariato, call center… l’indigenza!» «Certo che venire a sapere» commenta il ragazzo calvo «che qualche tempo fa l’allora ministro della Pubblica Istruzione di centrosinistra Fioroni, con la miseria di sovvenzioni di cui gode la scuola pubblica, sia stato scoperto a elargire sovvenzioni ricche e speciali alle scuole private, prediligendo le cattoliche, fa venire i brividi!» «Aggiungi pure» interviene il prete spretato «che l’articolo sul diritto allo studio e alla conoscenza uguale per tutti è, di fatto, una specie di corsa per cavalli con handicap molto differenziato, diciamo pure una corsa truccata dove i vincitori si conoscono già ancor prima della partenza, e le scommesse le fanno gli allevatori, che sono anche padroni della pista e dell’ippodromo.» I giovani presenti improvvisano una specie di danza, cantando: «Corri, corri, la corsa è bella corri, corri cavallo da sella la pista è sicura ma c’è chi è dopato sbava e sbuffa, tutto il gioco è truccato il mossiere è un uomo fidato, l’allibratore, di certo, ha pagato; tu, cavallo mio, sei già fregato se poi inciampi e cadi di schianto e lo stinco di netto è spezzato verrai accoppato un botto in testa e sei fottuto il gioco è quello: finisci al macello!» Il giudice di pace batte la mazza e grida: «Basta così! Si riprende». «Articolo 10: La Repubblica (…) tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione.» «Tutelare» specifica il maestro «in questo caso significa impedire lo scempio del patrimonio artistico e storico della nazione causato dalle costruzioni abusive a valanga, a cominciare dai cosiddetti ecomostri, e ancora ville e villette edificate in territori protetti anche dalla Comunità Europea.» «Ma questi sono casi particolari» puntualizza un fotografo, «la costante invece è l’abusivismo di massa, spesso davvero criminale. Un discorso a parte va fatto per certe abitazioni fuorilegge, costruite da disperati che rischiano una dura condanna e l’abolizione immediata dell’opera abusiva.» «Mi viene in mente a questo proposito» interviene un maestro dell’Accademia «un film al quale ho collaborato da ragazzo. L’autore del soggetto era nientemeno che Zavattini e il regista l’inarrivabile De Sica. Un film bellissimo, un capolavoro. Io ci lavoravo come sceneggiatore. La storia era davvero geniale.» «Ho capito di che parla» dice con soddisfazione il fotografo, «si tratta di Il tetto, un film del 1956. È davvero una pellicola stupenda.» «Fra tutti e due» interviene la ragazza fascinosa «non potreste raccontarci la trama?» «Oh sì!» l’appoggiano con entusiasmo altri giovani. «Forza maestro! Cominci lei!» «Cercherò di essere il più succinto possibile…» «No, niente succinto! Ce lo racconti senza tralasciare alcun particolare! Sennò che gusto c’è?» «D’accordo, ci proverò. Dunque, siamo nel dopoguerra, cinquant’anni fa. Allora le case venivano su come funghi: bisognava ripristinare e ricostruire ex novo quelle distrutte dai bombardamenti. Il protagonista è un ragazzo che chiamano Pietro Fenomeno perchè dimostra un’abilità a metter su muri che ha del portentoso. Non c’è nessuno nel cantiere che lo possa eguagliare. Il suo sogno sarebbe di farsi da sé una piccola casa per viverci e per questo mette i soldi da parte per riuscirci. La terra per tirarci su i muri ce l’ha, proprio presso la ripa destra del Tevere alto: un posto stupendo, gliel’ha lasciato suo padre. Ma il permesso, quelli del Comune, non glielo concedono; quindi, Pietro Fenomeno accantona l’idea e s’arrangia a dormire in un gabbiotto del cantiere, il deposito degli attrezzi. Un compagno di lavoro, un giorno, gli mostra un plico di carte. Si tratta di una raccolta di leggi sull’edilizia, dove c’è un capitolo che pare una sfida. Dice: ’Se uno, in possesso di uno spazio proprio, seppur privo di licenza, riesce in una notte a fabbricare un’abitazione di un unico piano, restando nelle regole di struttura e, prima che spunti il giorno, è in grado di montarci il tetto… ebbene, nessun ente può ordinargli l’abbattimento’.» «Ma sembra una favola da Mille e una notte, uno dei quesiti folli della Turandot!» esplodono le donne del coro. «Eppure è così. Non dimenticate che siamo in pieno Neorealismo e, come regola, le storie dovevano dimostrare una provenienza reale» puntualizza con tono sagace il fotografo. «Va bene, va bene» lo sollecitano le donne eccitate, «andiamo avanti, che cosa succede nel film?» «Succede che Pietro, il muratore provetto, s’innamora.» «Ah! Lo sapevo!» esclama una ragazza riccioluta. «Doveva per forza saltar fuori l’amore, se no, che storia è? E lei chi è?» «Una figliola» prosegue il maestro «dai capelli folti rossi, di nome Libera, in cerca di lavoro, che si presenta al capomastro dicendo: ’Io so metter su muri, so leggere un progetto e realizzarlo’. Gli operai edili che, per caso, si trovano nell’ufficio, trasecolano. ’Beh? Che c’è di strano?’ ribatte lei. ’Credete che far la sguattera in una cucina di una trattoria sia meno pesante? E poi, io vengo da una famiglia di muratori. Da mio padre ai miei fratelli, tutti hanno vissuto in cantiere, e io con loro!’ ’Beh, proviamo’ taglia corto il capomastro. Così la ragazza comincia a darsi da fare nel cantiere: si è infilata una tuta e una coppola in capo che le raccoglie i capelli. Pare un maschio! Pietro Fenomeno la incontra su un’impalcatura; scambiandola per un garzone, le passa un secchio che oscilla e si rovescia sbuffando malta in faccia alla ragazza facendole sparare fuori i capelli. ’Una donna!?’ esclama sorpreso il ragazzo. ’Sì, perché? Ti fa schifo?’ ’No, tutt’altro… ma ecco… io non pensavo mai…’ «Il Fenomeno s’incespica con le parole e… anche con i piedi. Pone male l’appoggio sui gradini della scala… ruzzolone! Oplà! Si trova tra le braccia della ragazza. Niente di rotto, ma che botta al cuore! Ridono. Da quel giorno stanno sempre assieme. Lui le confida del suo progetto da scommessa: costruire una piccola casa, a un piano, ma di buona misura, in una notte. La ragazza è entusiasta, ma lui è pieno di dubbi. ’Tutto dipende’ dice lei ’se ci organizziamo in modo scientifico.’ ’Beh, certo. Bisogna prevedere ogni cosa.’ Detto, fatto: lavorano un mese a preparare i vari pezzi da montare. E poi via che si parte! Si arriva sul terreno su cui edificare che è appena calato il sole con il camion e la ruspa: si raspa con le pale, si scavano le fondamenta. Tre compagni di Pietro scaricano tutto il materiale: scale, trabattelli, sopralzi, travate per le porte e le finestre, un gran bidone per la mota, calce eccetera.» «Ma dico, in ’sta storia non si fa mai l’amore?» chiede seriamente preoccupata la ricciola. «Come no! Sull’impalcatura si copula come dei pazzi!» risponde il fotografo. «I miei porno li scatto tutti lì!» «Continuiamo…» riprende il maestro. «Pietro Fenomeno comincia a tirar su i muri: un mattone appresso all’altro. La ragazza glieli lancia a ritmo sostenuto, lui li acchiappa al volo come in un numero da giocoliere; c’è anche un altro muratore dall’altro lato con il suo garzone, che fanno altrettanto. I muri salgono come in una sequenza da cartone animato: vengono inserite le centine e le battute per le finestre e le porte. ’Siamo un po’ in ritardo.’ ’Non ce la facciamo!’ urla disperata la ragazza. ’Fra mezz’ora spunta l’alba e non abbiamo ancora cominciato con il tetto!’ Pietro Fenomeno la tranquillizza: ’Calma, ci resta ancora il colpo di riserva da mettere in scena’. ’Di che si tratta?’ ’Sorpresa!’ Il Fenomeno porta due dita alle labbra ed emette un fischio da locomotiva. Subito, come d’incanto, dal canneto lungo il fiume, spuntano due ragazzini: ’Siamo pronti!’ gridano. ’Bene! E noi spingiamo più che si può! Siamo al gran finale. Come vedete arrivare vigili o guardie partite con la sceneggiata.’ Dopo un po’, ecco apparire i ragazzini sul ponte di legno che attraversa il fiume e di lassù fanno gesti agitando le braccia; poi si tuffano nel Tevere con un gran grido. Due tonfi, poi risalgono e, sbattendo braccia e gambe come forsennati, urlano: ’Aiuto! Aiuto! Salvateci, per carità!’ ’Chiamate quel barcarolo!’ ordinano le guardie accorrendo. Un vigile si toglie giacca e scarpe e poi si butta. Il barcarolo arriva a dar soccorso ai ragazzini che, fingendosi travolti dalla corrente, si allontanano verso la foce. Giunge anche un’altra barca: c’è un po’ di confusione, anzi panico… poi finalmente acchiappano i ragazzini e li portano a riva. I due malandrini recitano gli svenuti da rianimare, poi ecco che fan mostra di vomitare, gridano e piangono. Salvi, sono salvi! Quando le guardie finalmente raggiungono il cantiere, Libera, la ragazza capelluta, Pietro Fenomeno e i suoi tre compagni hanno appena terminato di montare il tetto. Stanno danzando e ridendo felici. ’Ben arrivati!’ è il loro saluto alle guardie. ’Vi aspettavamo. La casa è pronta, sfornata calda. Adesso apriamo la porta e oplà!, siate i benvenuti! Vi presento i miei amici e la mia ragazza. Dal momento che, ora che abbiamo la casa, possiamo finalmente sposarci’.» La banda dei clown intona una specie di marcia nuziale roccheggiata: tutti esultano soddisfatti. «Che bella storia!» inneggiano in coro. «Pausa! I venditori ambulanti possono scatenarsi per almeno un’ora» e così dicendo il giudice di pace batte la mazza. IL LUNATICO È UN PAZZO Alla fine delle sue conquiste Alessandro Magno si fece trasportare da due grifoni in cielo raggiungendo la luna. Come scese sulla polvere bianca gli venne incontro una processione vociante: erano uomini, donne e bambini che assomigliavano a statue mutilate, alcuni erano senza testa, altri senza braccia… altri ancora col corpo divelto, squarciato. Eppure, si muovevano senza impaccio. «Ma chi sono? Chi li ha ridotti a questo modo?» chiese sorpreso Alessandro. «Davvero non li riconosci?» lo pungolarono i grifoni. «In gran parte è opera tua e di altri magnifici conquistatori al par tuo.» Gli sconciati passarono dinanzi all’Imperatore e quelli che possedevano ancora la testa gli sputarono in faccia. « La visita è terminata.» I grifoni all’unisono sghignazzando lo sollevarono e lo scaraventarono giù dalla luna. L’imperatore rotolava nel vuoto scomparendo tra le nuvole. Pochi istanti prima che si sfracellasse al suolo i due grifoni lo acchiapparono al volo. Qualche tempo dopo Alessandro vagava come ebete fra i visitatori dei mercati, era terribilmente invecchiato, irriconoscibile… Ogni tanto diceva a gran voce: «Io sono Alessandro il Grande!» «È un pazzo!» commentava la gente. «Tutti sanno che Alessandro s’è perduto nel deserto.» Certo, nel deserto del suo cervello! Dallo pseudo Callistene «Basta così! Si riprende!» Il giudice di pace batte la mazza con forza e declama: «Articolo 11: L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…» I clown intonano una marcia grottesca e improvvisano una sfilata militare davvero spassosa con tonfi, cadute e capriole. Immediatamente, interviene scatenato l’obeso col vocione: «Scusate, ma lo abbiamo mai rispettato questo articolo?» E, così dicendo, sbandiera un gran foglio stampato a lettere cubitali, dove si legge chiaro: «L’Italia ripudia la guerra». L’obeso col vocione prosegue: «Siamo rimasti in Iraq per più di tre anni e abbiamo ancora oggi truppe del nostro Paese in Afghanistan. Ma dal giorno del blocco dell’energia, non ne sappiamo più niente». «E speriamo che, seppur con aerei e navi inagibili, ce la facciano lo stesso a tornare indietro» commenta con voce angosciata la signora modesta. «D’altra parte» dice il tranviere, «sapete cosa significhi Af - gha - ni - stan? Me l’ha confidato un soldato russo che da quell’inferno si è salvato per miracolo: ebbene, ’Af’ vuol dire ’topo’, ’ghanis’ significa ’bianco’, ’tan’ vuol dire ’trappola’, ’trappola per topo bianco’! E i ratti bianchi siamo noi…» Qualcuno tenta una risata ma viene subito zittito in malo modo. «Io mi chiedo» dice il signore dal cappello «a che scopo hanno mandato laggiù i nostri ragazzi? Ma perdio, governo di dementi, andate a sostenere Bush, quel rintronato cronico… oltretutto calato di credibilità al suo Paese al punto d’aver sorpassato il più basso dei livelli raggiunti da un presidente di tutta la storia d’America.» «Calma, calma» puntualizza la signora modesta. «Noi non eravamo coinvolti nella guerra, ma inviati in operazione di pace.» «Ma che dice, madame? Scherza?» la zittisce la ragazza fascinosa. «No, no!» assicura il signore con il papillon. «Il parlamento quasi al completo era d’accordo con questa premessa.» E il rapato ribadisce: «Sì, sì! Le nostre erano truppe esclusivamente di pace e con un programma di aiuti umanitari». «D’accordo, ma seppure in veste non aggressiva, siamo stati conniventi!» «Che cosa vuol dire esercito di pace» s’inserisce un altro, «se poi ti presenti con carri armati pesanti, elicotteri da combattimento, aerei d’assalto e distruzione!? Puoi scriverti sul petto ’Siam qui per portare la pace’?» Interviene ironico anche un giudice in pensione: «Io vorrei chiedere ai ministri competenti: perché non ci raccontate che si tratta di un’armata da passeggio, o meglio in azione di soccorso umanitario, come dichiarato da sempre? E già che ci siamo, come poteva fino a poco fa un governo di centrosinistra, libero e giocondo, spiegare l’acquisto, nei primi mesi del suo mandato, di 133 aerei da combattimento chiamati Joint Strike Fighter, che tradotto significa ’caccia bombardieri di immediata distruzione’?» «Ammazza!» sbotta un signore elegante. «Eccovi in carne e ossa un giudice davvero comunista.» Ma lo sfottuto non raccoglie e prosegue: «E sapete quanto costa ogni singolo Joint Strike Fighter? Ecco la cifra: esattamente 100 milioni di euro cadauno. Ma attenzione: non si concedono prototipi singoli, il contratto vale solo se si acquista lo stormo al completo. Nel nostro caso si tratta appunto di 133 aerei. Prendere o lasciare. È proprio il caso di gioire del fatto che la moneta sia crollata e quindi il nostro debito non si possa estinguere». I clown in coro recitano: «Signore altissimo e misericordioso, rimetti i nostri debiti e anche quelli dei nostri amministratori, passati e fottuti… voglio dire… futuri! Amen!» «Ecco» dice il conducente di autobus, «a ’sto punto come concludiamo questo capitolo sulla guerra? È un problema!» «No, non c’è nessun problema» lo rassicura l’ingegnere, «oggi, e l’abbiamo già ribadito più volte, grazie alla crisi energetica l’esercito e la guerra sono solo spettri vuoti, quindi nessun pericolo.» «Come nessun pericolo?» scatta seccato il professore. «Nessun pericolo adesso, in questo momento, ma noi stiamo rivalutando la Costituzione per un prossimo futuro… sempre se ce l’avremo. Appena si ritroveranno altri propellenti in grado di muovere quelle e tutte le altre macchine da guerra, riprenderanno valore i termini ’patria’, ’difesa della nazione’ e via di seguito.» «Tant’è vero» aggiunge lo studente con lo zaino «che gli accordi di azione congiunta militare sono rimasti operativi.» «Certo!» fa il ragazzo sui trampoli. «A me l’idea che si possa andare a bombardare gente inerme, donne e bambini, con caccia che vanno a olio di girasole o benzina di barbabietole, e che i carri armati vadano a sparacchiare contro operai che protestano su macchine tremende che si muovono con olio di marijuana e di hashish concentrato mi fa un po’ impressione!» «Scusa, scusa, ragazzo» s’intromette il cinico. «Si stava parlando di accordi operativi…? Operativi di guerra? E dove? E con chi?» «Certo, di guerra. Ultimamente» riprende il professore «si è scoperto, grazie a uno studio di un analista americano, Hans Christensen, che l’Italia ospita, sul proprio territorio, 90 bombe atomiche degli usa.» «Ancora adesso…? Bombe atomiche? E dove?» chiede uno sconosciuto. «Cinquanta sono nella base di Aviano in Friuli, le altre 40 si trovano a Ghedi, nel bresciano. Naturalmente in bunker sotterranei… E qui vi chiedo: sono in deposito da noi per gusto collezionistico? No, fanno parte dell’Ascia di Pietra, Stone Axe, cioè un accordo segreto fra il nostro ministero della Guerra, pardon della Pace, e quello degli usa.» «Ma porca d’una miseria vacca!» bestemmia un ciclista. «E nessuno ha avuto l’ardire di cassare questo infame accordo!? Siamo in crisi energetica, ma però con le bombe sotto il culo!» «Certo!» gli fanno il verso altri ciclisti. «È per tenerci su di giri, allegri e vispi.» «Ma scusate» riprende il primo. «Che potenza hanno ’ste ogive?» «Sono di tre modelli: B61-3, B61-4 e B61-10» recita il professore. «Ogni ordigno del primo tipo ha una potenza di 107 Kiloton, cioè almeno 10 volte superiore all’atomica buttata su Hiroshima.» «BUMPETA!» commenta il coro. «Salute!» Dall’alto un giovane viaggiatore appeso a un paracadute volante atterra sul prato, quasi addosso alla folla. «Scusate, disturbo?» chiede. «Sono sceso perché mi è arrivato il discorso sulle ogive atomiche e volevo dirvi anche la mia. Un mio zio, osservatore militare in pensione, mi ha passato un documento redatto dal suo gruppo di ricerca, secondo il quale 163 ragazzi del nostro esercito impiegati in Kosovo e su altri campi militari, in questi ultimi anni sono deceduti perché colpiti da cancro e leucemie causati dall’uranio impoverito.» Si fa un silenzio davvero di morte. Il ragazzo volante riprende un gran respiro e continua: «Sempre a causa del morbo in questione, altri 2353 ragazzi sono gravemente malati e parecchi sono in fin di vita. Ci sono state denunce ripetute da familiari, ricercatori, gruppi d’inchiesta universitari e ospedalieri, ma l’Esercito e il ministero della Difesa hanno, con tutti i mezzi, cercato di mascherare la tragica verità e negare attraverso dichiarazioni di scienziati compiacenti che i decessi siano stati causati dalle radiazioni suddette. Non si è voluto nemmeno riconoscere loro, ai caduti, il decesso per causa di servizio. Questi sono crimini contro l’umanità, non solo di guerra!» Un vecchio zoppicante trattiene con fatica le lacrime e dice: «Ho un figlio che sta morendo proprio a causa delle radiazioni di uranio che l’hanno colpito in Kosovo. Non percepisce né pensione né rimborsi per le visite e le medicine. Per fortuna un gruppo di amici ha messo in piedi una colletta…» Poi, rivolto al ragazzo volante: «Scusami se t’ho interrotto. Vai pure avanti». «Un momento, fatemi prendere un po’ di fiato.» «Sono sconvolto!» grida un altro. «Più che prender fiato, io vorrei vomitare…» Sottotono, il vecchio zoppicante dice: «Non so voi… ma a questo punto, io vi chiedo che valore abbia ancora l’articolo della nostra Costituzione sul ripudio della guerra… Non sarebbe più corretto riscriverlo in un altro modo?» Fra la gente c’è anche un attore di scarso successo che si dice d’accordo: «Anzi, personalmente proporrei» aggiunge deciso «che quell’articolo sul ripudio della guerra fosse sostituito da un brano di Aristofane, sapete, è il più grande satirico greco». «Sentiamo il satirico!» lo incoraggia il calvo. «Ci provo, e scusate se ogni tanto dovrò andare a soggetto.» «Vai! Vai! Vai tranquillo!» lo sostiene l’orchestra in coro. «Il fabulatore è un vecchio soldato che viene in proscenio tutto sderenato e fa l’elenco dei colpi subiti nelle varie battaglie. ’Il piede ce l’ho mozzato per via di una lancia dei persiani. Nel ginocchio c’ho ancora una scheggia di lama spartana, nel cranio c’ho un bozzo dovuto a una pietra dei siracusani. Un testicolo l’ho perso grazie ai beoti… E mi fermo qui perché il racconto di cosa m’è successo fra le natiche, vi indurrebbe a un’eccessiva risata!’ Zoppicando si muove, poi s’arresta e prosegue. ’Basta. Non si può più andar avanti con ’ste guerre. Io ci ho perso tutti i miei fratelli, gli amici più cari e anche un gran numero di nemici che non mi avevano fatto proprio niente. Ma come si fa a fermare ’sto massacro? Tutti i nuovi eletti al parlamento in ogni rimpasto giurano che non accetteranno mai più l’idea di gettarsi in armi contro chicchessia, nemmeno per difendersi! E poi immancabilmente ricadono nel conflitto. Io dico che se continueremo a eleggere nostri rappresentanti maschi non usciremo mai da questa calamità. Solo un governo composto unicamente da donne, donne femmine, ci può salvare. Ma bisogna imporre loro, come prima legge, che agli uomini sia proibito di indossare una qualsiasi armatura e di partecipare a qualsivoglia conflitto, pena l’esilio perpetuo. Noi non neghiamo la guerra ma imponiamo che l’esercito del nostro Stato sia composto solo da femmine, anzi, esclusivamente da donne madri. Solo così, c’è da giurarlo, i cittadini maschi si opporranno a qualsiasi massacro perché in verità solo i figli sono in grado di impedire che la propria madre vada a morire. Le madri, è ormai assodato, non amano sopra ogni cosa i figli. Se così fosse impedirebbero con le unghie e i denti che glieli portassero alla morte. Purtroppo, forse, è proprio nella natura delle madri il senso del sacrificio: quando i figli partono per la guerra, al massimo riescono solo a piangere. E seppellirli quando tornano cadaveri.’» «Ottimo!» esclama la gente col groppo alla gola. «Sostituiamo senz’altro l’Articolo 11 con il brano di Aristofane.» All’istante il congresso viene interrotto da una folata di vento che solleva un polverone trapuntato di foglie. Il ragazzo calato col suo paracadute aliante corre verso il rigonfio di plastica che sbatte rotolando. Clown e altri ragazzi si buttano sul volatile impazzito e lo bloccano. «Grazie ragazzi!» urla l’Icaro del gommone ai ciclisti. «Se mi date una mano evitiamo che il vento me lo riduca a pezzi.» Detto fatto, dieci pedalatori si aggrappano ai fili che pendono dal volatile e si danno a trascinare il mezzo spingendo con forza sui pedali. L’Icaro si è appeso a sua volta e incita i ciclisti… Ecco, il gommone si solleva, scivola nell’aria controvento. L’enorme aquilone prende quota. I ciclisti arrancano veloci come pistard in vista del traguardo. «Vola, sta volando!» Tutti mollano i fili. Uno dei ciclisti, aggrovigliato, resta appeso con la sua bicicletta e sballonzola nell’aria. Si libera giusto in tempo e ricade nel canale… sempre inforcando la sua bicicletta. Niente paura, è solo un tuffo. Tutti i presenti applaudono entusiasti con le facce rivolte al cielo. Il ciclista acquatico chiede aiuto; altri ragazzi si gettano in acqua per salvare lui e il suo ciclo. Il maestro è montato sull’ultimo gradone della cavea di pietra e, spingendo la voce dentro a un microfono portatile, richiama l’attenzione di tutti: «Sentite, a ’sto punto abbiamo messo le basi se non altro per una seria discussione sulla Costituzione. Direi di prenderci una pausa per ragionarci sopra». «È una buona idea» gli rispondono in coro, «ma dobbiamo accordarci tutti quanti perché si riprenda fra non più di due giorni, sennò si perde lo slancio, e ci trasformiamo in un convegno di bla bla da capannello di piazza.» All’istante tutti i convenuti volgono lo sguardo verso il portale d’ingresso all’Arena. Precedute da applausi e grida, vengono avanti due coppie di innamorati, in procinto di unirsi in matrimonio. Sembrano sortiti da una scena del Giardino delle Delizie dipinto da Bosch. Nella prima coppia, lei è di pelle scura, lui è biondo. Nella seconda, lui è moro e lei è bianca di latte. Gli amici che le accompagnano sono di razze assortite. Il rito sarà officiato al centro della pista, nella serata, dal prete spretato che li accompagna. Un rito quasi blasfemo! L’orchestra va incontro al gruppo intonando una marcia nuziale sgangherata. Pian piano tutti s’avviano al centro delle piste e a coppie ballano sul prato. Ma ecco che all’improvviso si levano grida provenienti da dietro l’Arena, presso il boschetto dei tigli. Fra i cespugli hanno trovato una ragazza svenuta, quasi del tutto nuda. Un bastardo, forse un gruppo di bastardi, l’ha violentata. «Chi erano?» «Come può essere accaduto, proprio a due passi dalla festa?» «Oppure è successo stamane e la scoprono solo adesso...!?» Ognuno commenta preoccupato e con indignazione l’accaduto: «Ma è possibile che nella condizione in cui ci troviamo esistano ancora dei criminali del genere!?!» «Speriamo solo sia un caso isolato.» «Non sarà forse un segnale atroce che stiamo tornando alla normalità?!» «Il guaio» dice la donna modesta «è che certamente la tragedia che stiamo vivendo a qualcuno non ha insegnato un vivere più civile e solidale... per certi individui non basta un’unica catastrofe, ce ne vuole almeno una alla settimana!» Intanto molta gente s’è spostata verso il luogo del ritrovamento, stanno portando la ragazza al Pronto Soccorso nel vicino ospedale. Pare si stia riprendendo. Un signore dall’aria compita e contrita commenta: «È chiaro che con questo blackout sono spariti molti personaggi indegni che campavano sulle spalle della comunità ma si è dissolta anche ogni sicurezza organizzata!» «Di che sicurezza sta parlando?» gli chiede un giovane. «Un’organizzazione d’ordine o, come dire, di polizia.» «Certo, bisognerà darci da fare per ricostruirla, non si può vivere senza almeno un gruppo di difesa che faccia rispettare la legalità. Andando avanti così, alla spera in dio, senza nessun programma né progetto di controllo civile, fra poco vedremo tornare scippi e rapine, violenza, droga e puttane a ogni angolo di strada.» Una ragazza interviene in tono risentito: «Beh? Cos’è adesso questo ’puttane a ogni angolo’? Cos’hai contro chi fa ’sto mestiere?» «Che fastidio ti danno?» aggiunge un’altra donna. «Beh» commenta uno sconosciuto, «diciamo che non fanno un bel vedere...! Specie oggi che la gente vive sempre più nella strada, oltretutto con i bambini!» «E allora guardami!» Così dicendo spalanca il cappotto e appaiono lunghe gambe decorate in cima da una strettissima minigonna. «Ti sembra che io faccia un brutto vedere? Ho forse l’aria peccaminosa?» «No, peccaminosa no» commenta lo sconosciuto. «Ma provocante sì! Eccome!» La prima dolente peccatrice Adamo ed Eva furono cacciati dal Paradiso. Eva era disperata e, perché Dio la perdonasse, scese nell’Eufrate e lì vi stette ignuda immersa fino al collo. Dopo giorni che se ne stava sprofondata in quell’acqua gelida, la nostra prima madre si sentì scossa da fremiti e brividi. Il tenero colore del suo corpo si era trasformato in un azzurro verdastro. Non riusciva più a muovere né le gambe né le braccia. Un angelo apparve nel cielo: scorse Eva immersa nel fiume e si gettò come un airone nel fondo dell’acqua; riemerse tenendo fra le braccia la donna, ormai più morta che viva. La avvolse nelle proprie grandi ali. La distese su un prato nella riva presso il fiume stringendosela al petto e trasmettendole tutto il suo calore. Eva tornò in vita e a sua volta abbracciò teneramente l’angelo. Dio lo perdoni! In quella creatura divina montò una passione incontenibile, fecero l’amore e così l’angelo possedette la prima donna, prima per il mondo e anche per sé. L’amplesso aveva ridato vita a Eva e le regalava anche una creatura che sarebbe nata a tempo debito. Così, grazie a questo amore, imprevisto e proibito, il genere umano non avrebbe più rischiato di veder nascere creature imperfette perché generate dallo stesso seme. E giacché è sempre Dio che decide e controlla ogni azione, di tutto ciò diciamo gloria al Signore. Da una Bibbia apocrifa tradotta nel ’600 da Giovanni Diodati «È solo questione di forma, allora?» riprende un’altra ragazza. «Se noi peccatrici venissimo sistemate in un bel parco isolato, magari dove sono rimasti i ruderi del vecchio zoo, sarebbe tutto un altro discorso... la morale sarebbe salva!» «Scusi» chiede il signore dall’aria compita, «cosa vuol dire ’ci sistemano nello stesso zoo’? Anche voi, come dire, siete del mestiere?» «Sì, e pure queste altre due amiche. Ma non si preoccupi, non siamo venute all’arena per una promozione dimostrativa dei nostri prodotti in offerta speciale... è il nostro giorno di riposo!» Un ragazzo con un radioso sorriso stampato in faccia esclama: «Bene! Benvenute nella società degli uomini e delle donne libere! Mi chiedevo dove foste finite». «Noi non siamo mai finite!» esplode orgogliosa un’altra ragazza che s’è aggiunta al gruppo. «Anch’io sono contento del vostro riapparire! È un po’ come veder tornare le rondini dopo anni che quasi non si vedevano più... almeno in centro.» E la ragazza: «Sta alludendo alle rondini come gentil volatili?» «No, a essere sinceri alludevo a una similitudine passerinica…» e il suo volto si fa rosso fuoco. L’uomo compito salva dall’impaccio il ragazzo: «Scusi se la importuno con una domanda, forse troppo personale…» «Dica, dica…» «Dove agite?» «Perché ce lo chiede? Per pura curiosità o perché vuol diventare nostro cliente onorario?» E l’altra ragazza entra nel dialogo con entusiasmo: «Beh, le dirò, stiamo ricostruendoci in modo davvero insolito... fra qualche giorno daremo una festa in cui sarà invitata tutta la gente che ci sostiene». «Io vi sostengo moltissimo!» assicura un signore dall’aria vispa. «Io ancora di più» aggiunge una vecchietta «e per un fatto personale. Oggi lo posso anche dire: da ragazza c’è stato un tempo in cui battevo a mia volta!» I presenti emettono un «Ohhh!» di stupore, anzi due «Ohhh! Ohhhh!» «Ma badate bene, battevo non per pagarmi la vita ma per pagarmi gli studi!» Coro: «No!!!» «Sicuro! Io sono andata all’università e mi sono pure laureata grazie alla mia passerina!» Tutti ridono, qualcuno applaude. E c’è chi commenta: «Ognuno si crea una cultura coi mezzi di cui meglio dispone». «D’altra parte» garantisce un bel ragazzo dalla folta chioma «vi assicuro che quello della signora non è un caso isolato: vi potrei presentare anche qualche giovane maschio che si è pagato la retta d’iscrizione all’università e le altre spese facendo felici alcune signore.» «Va bene, presentaci qualche giovane maschio, amico tuo!» lo provoca una dama ornata di collane e bracciali. «Facci vedere il gigolò.» «Eccolo! Sono io» dice ridendo il bella chioma. «L’avrei giurato!» esclama la signora. «E sei ancora in servizio?» I due ridendo si abbracciano. «Scusate» riprende il signore compito, «ma non andiamo fuori del tema...» «No, no, ci stiamo in pieno!» grida la signora. E il compito riprende allegramente: «Io volevo sapere qualcosa di più preciso, sono professore di sociologia...» «... Sociologo del coito interruptus!» lo sfotte un ragazzo. Il compito non raccoglie, e continua: «Vorrei proprio saperne di più di questa vostra organizzazione...» «Beh, è semplice» interviene la donna che ha tutta l’aria di una maîtresse da bordello antico. «Prima di tutto, noi della nostra professione siamo sempre state sfruttate come nessuno al mondo: su di noi campavano i ruffiani, le megere, le maîtresse, poi ha cominciato a sfruttarci perfino lo Stato. Al tempo del fascismo, e anche prima, su di noi le istituzioni hanno fatto quattrini da aggiustare il debito pubblico! L’Abissinia l’hanno colonizzata grazie al nostro lavoro, eravamo le cosce di produzione più attive della nazione. Avevamo perfino un inno tutto nostro che faceva così (improvvisando un coro, le ragazze, accompagnate dall’orchestra, iniziano a cantare): ’Saltiam dal letto siam liberate non siamo indegne né svergognate noi donne putte in verità siamo un faro di civiltà le vere dame di carità. Vendiamo amore che non ha prezzo di sottobanco e a sottoprezzo. Quando nel tempo ormai passato in case chiuse si facea peccato il nostro amore ci venìa tassato e circa un terzo si prendea lo Stato. La patria sempre ricordar ci dovrà. E quando passa un incrociatore, con sulla prua il tricolore pensa ch’è fatto col nostro amore’.» Risate e battimani concludono la canzone. «Oggi» riprende la giovane con le cosce lunghe e la gonna corta «diciamo basta! A nessuno può più venire in mente di sfruttarci, ci siamo messe in proprio.» «Brave!» applaude la vecchietta. «Organizzatevi.» «Certo» risponde la donna dall’aria di mâitresse, «infatti ci siamo organizzate in cooperativa.» «In cooperativa? Come le coop?» «Esatto, abbiamo trovato un centro benessere ormai abbandonato, di quattro piani, salone centrale e scale mobili che salgono a torciglione, un sacco di uffici che abbiamo trasformato in camere da letto.» «Uffici-camere da letto?» «Sì, con letti di due, tre fino a quattro piazze!» «Per comitive?!» «Ma no!» La donna maîtresse tronca subito il gioco. «Per favore, non buttiamola in bordello! Tutta la nostra associazione è seria e del tutto semplice.» «Beh, ma quattro piani, scale mobili, il supermercato dell’amore, non mi pare roba dall’aspetto molto semplice!» «Voglio dire che non c’è sfarzo né aria lussuriosa. Uno deve sentirsi come a casa propria.» «E dal punto di vista economico come vi siete organizzate?» «Con un sistema impostato sul baratto. Ognuno offre quel che produce o lavori inerenti alla trasformazione degli ambienti del nostro centro.» «E che fa? Se il lavoro è importante poi consuma tutto in una sola seduta, pardon, sdraiata?» «No, accumula!» «Accumula cosa?» «Diritti.» Un altro interviene: «Come dire che rilasciate abbonamenti?» «Esatto. Una sorta di raccolta punti che poi il destinatario può distribuire ad altri, se crede.» «Ah, una specie di catena di sant’Antonio del sesso!» «Certo!» «Incredibile, ma com’è che nessuno ci aveva mai pensato prima?» «Perché quella che ci ha preceduto era una società di ipocriti conformisti. Noi siamo davvero il nuovo mondo!» «Scusate, scusate signora...» chiede il vecchio zoppicante, «come vi salvaguardate dalle malattie veneree?» «È semplice, non si fa del sesso, se ne parla solo: si visionano insieme porno davvero osé, ci si eccita e poi ognuno si masturba per conto proprio.» «Sta scherzando?» «Certo che sto scherzando» dice una ragazza con le treccine fitte. «Per proteggerci dalle malattie prima di tutto massima igiene. Come uno entra, monta sulla scala mobile centrale e man mano che sale viene spogliato da ragazze apprendiste; poi, alla maniera dei centri benessere, attraverso un tapis roulant, transita in un corridoio dove viene letteralmente assalito da getti d’acqua medicale simile a quella termale, solo fortemente disinfettante, poi viene massaggiato da soffioni e spazzole morbide di varia grandezza.» «Ah, come fosse in un autolavaggio!» «Sì, soltanto che in più c’è musica molto erotica e voci di lamenti orgasmici.» Il sociologo chiede: «E basta così?» «No, naturalmente. Noi offriamo anche un controllo medico.» «Cioè a dire?» «Abbiamo ingaggiato uno staff di specialisti che conducono una serie di esami clinici approfonditi sul cliente.» «Non mi direte che gli succhiano anche qualche spruzzo di sangue per le analisi?» «L’ha detto, proprio mentre vengono sventolati dalle spazzole da autolavaggio. Una punturina che manco se n’accorgono, anzi, uno sfizio erotico in più.» «Naturalmente» riprende una delle signore del gruppo «gli stessi esami li effettuiamo su noi stesse ogni giorno per nostra tranquillità e per quella della stimata clientela...» «E come vi dividete gli utili?» «Abbiamo un dipartimento amministrativo che calcola le spese vive della cooperativa, il netto dei compensi per ognuna di noi e una parte viene tenuta in deposito per la liquidazione finale.» «Ecco! A ’sto punto però» esclama la vecchietta «non capisco che utili riusciate a dividervi, dal momento che la moneta non esiste più.» «Beh, noi abbiamo stabilito che ci si dividono gli introiti in valori percentuali e ci distribuiamo dei ticket: buoni valore.» «Buoni bancari?» «No, ticket per ogni bisogna. Ticket medici, farmaceutici, di viaggio, abbigliamento eccetera, eccetera... ormai, è risaputo, funziona tutto così: per andare a teatro, al cinema o a vedere una partita. Tutti ticket nominali.» «Compreso il ticket della passerina!» commenta un ragazzo spiritoso. «Certo che oltretutto questo è un bel blocco contro i furti e gli scippi.» «E se ti scippano la passerina?» dice ancora il ragazzo dalla battuta facile. «Eh, ma è un’ossessione!» «Scusate ma a me pare che sia un gran casino, pardon, voglio dire papocchio. Continuiamo a ripetere che bisogna sveltire e render più facile ogni operazione e poi ci intruppiamo in tutti ’sti labirinti burocratici...» «Ma qui, guarda che non è affatto un sistema complicato come tu credi. Ti sembrerà impossibile ma da quando ci è capitato addosso ’sto blackout, la tecnologia non s’è bloccata, anzi si è evoluta in forme sempre più efficienti e sofisticate. Hanno tirato fuori queste macchinette (ne mostra una) che ti fotografano il viso e stampano il ticket in un attimo, quindi è a pieno controllo. Li adoperano perfino i vu’ cumprà.» «Ma tornando alla vostra organizzazione... da dove la ricavate tutta l’energia, oltretutto pulita, necessaria per far funzionare l’intero sistema a cominciare dall’illuminazione, agli apparecchi medici, agli spruzzi disinfettanti...?» «Aggiungi pure» interviene una morettona appena sopraggiunta «le proiezioni erotiche in video su tutte le pareti, la musica e la presenza di acrobati danzanti che dal vivo eseguono numeri di altissimo valore erotico surreal-porno.» «Stupendo!» esclama un ragazzino quasi implume. «Che bella famiglia! Ma cosa aspetta il papa a venirvi a benedire!?» Scoppiano tutti in una gran risata. Si inserisce la vecchietta: «Ma ’st’energia, la producete voi o la comprate?» «Beh, qui devo dire che ci è venuto in soccorso un vero genio dell’ ipermeccanica, un nostro cliente.» «Cliente abbonato, immagino?» «E in che cosa consiste l’invenzione?» «È l’uovo di Colombo!» esclama soddisfatta la ragazza capelluta. «L’amore si fa su letti a due piazze che, grazie all’oscillazione amatoria, vibrano… il fremito amoroso produce energia meccanica che viene raccolta da speciali affluttuatori che la immagazzinano nella nostra centrale. Più ami, più produci. Riesci a calcolare quale forza motrice si può produrre con vibrazioni e oscillazioni di quaranta letti in movimento?» «Stupendo!» si complimentano in gran numero. «Se mi date l’indirizzo vengo oggi stesso a darvi una mano con fluttuazioni ritmiche adeguate!» aggiunge il testimone della sposa. «Anch’io!» si prenota il calvo. «Mi associo» dice un altro sconosciuto. «Fate sconti di gruppo?» «A proposito di gruppo» s’introduce l’ingegnere. «Avete saputo che proprio a pochi passi di qua, nel grande spiazzo di fronte al castello, un gruppo di studenti del Politecnico ha issato un’enorme antenna la cui forza di ricezione è alimentata dal grande mulino installato nel canale?» «No… A che scopo?» chiede uno. «Hanno appena messo in funzione lo stain becker sul grande schermo televisivo» riprende l’ingegnere. «Hanno captato due e più satelliti attraverso i quali sono riusciti ad acquisire immagini provenienti da impianti lontanissimi, perfino dall’Africa.» «Dall’Africa? Ma cosa aspettiamo ad andarcene al castello e così assistere alle proiezioni?» domanda il ragazzo dalla battuta facile. «Ma purtroppo adesso non si vede niente, sono fermi, stanno mettendo a punto il sistema trasmittente. Ricominceranno appena scende il sole.» «Scusi» dice un vu’ cumprà, «lei ha assistito a quel contatto con l’Africa?» «Sì, è durato un paio d’ore.» «E che cosa ha visto? Da che Paese trasmettevano?» «Da Johannesburg, credo. A ogni modo davano notizia come in tutto il continente africano stia avvenendo qualcosa che nessuno avrebbe mai immaginato.» «Di che si tratta?» chiedono altri. «Cosa sta succedendo?». «Che è esplosa la diaspora in massa dei bianchi.» «La diaspora? Che intende dire?» «Le compagnie europee e americane, impiantate laggiù ormai da cinquant’anni con l’appoggio dei signori della guerra delle varie zone, scoppiato il blackout, si sono rese conto all’istante che il mercato e lo sfruttamento fin troppo facile delle risorse di quel Paese delle quali avevano goduto da anni impunemente, di botto stavano crollando.» «Ah certo» commenta il vu’ cumprà, «mancando i combustibili provenienti dal petrolio tutti i trattori, i bulldozer, le pompe e i macchinari sono rimasti roba morta, inutilizzabili.» «Proprio così. Da qui coi mezzi di trasporto ridotti a ferraglia abbandonata» prosegue l’ingegnere, «spente le pompe che aspiravano acqua dal sottosuolo, all’istante è crollato anche il mercato delle merci e la coltivazione di prodotti agricoli da esportazione a cominciare dal caffè, tabacco, canna da zucchero, cereali, banane e frutta esotica in genere…» Interviene il nasuto: «Aggiungi che col crollo della moneta, i produttori bianchi non sanno più con cosa pagare la manodopera nera.» «Giusto, mica puoi pagarli in banane» dice il vu’ cumprà. «Ma il massimo del grottesco» fa un altro «è che l’Africa è il continente che vanta il primato nella produzione di oro, diamanti, uranio e platino e oggi i padroni mica possono retribuire la manodopera in metalli preziosi! Se li tengono ben stretti nei caveau delle loro banche a fortezza.» «Io vengo proprio dal Senegal» interviene un ex lavavetri abusivo «e ieri sera ho assistito alla proiezione al castello e ho riconosciuto gente della mia tribù che si procurava cibo dalle coltivazioni abbandonate; e poi immagini degli imprenditori bianchi che montavano su una nave che si muoveva grazie a enormi vele a paracadute gonfiate dal vento: avevano tutta l’aria di fuggire disperati. E oltretutto cacciavano con le armi i gruppi di indigeni che tentavano di salire sulla nave per mettersi in salvo con loro.» «Io temo davvero» aggiunge preoccupato un altro ragazzo di colore «che questa situazione da noi creerà altri scontri con vere e proprie stragi giacché, specie negli immensi territori del Centro Africa, le bande armate che prima si ponevano a servizio delle imprese occidentali ora sono rimaste prive d’ingaggio. Quindi si andrà creando un evento terribile che si è riprodotto nella storia del mondo fin dai tempi antichi in situazioni analoghe.» «Già, questo è il caso di aspettarselo!» fa un altro. «Ho studiato proprio nelle vostre università che nel tempo dei grandi imperi i barbari guerrieri stavano tranquilli finché godevano della paga garantita dai dominatori egizi, assiri, babilonesi, indiani, persiani ecc… per non parlare degli imperatori cinesi. Ma appena uno di quei potentati ha cessato di servirsene, i barbari hanno aggredito quei loro signori, facendo strage e saccheggiando tutto quello che i padroni avevano accumulato rubando loro nei secoli.» «E tu pensi» chiede il professore «che quella stessa situazione possa riprodursi, oggi, in tutta quanta l’Africa?» «Le dirò… io spero proprio che nelle nostre terre non succeda, ma mi ritrovo fortemente pessimista.» Il sole è già sceso oltre l’orizzonte. Intanto tutti i partecipanti all’incontro dell’Arena stanno raggiungendo l’enorme spiazzo di fronte al castello. I tre schermi a plancard e l’apparecchio di ricezione abbinato al proiettore sono stati issati sull’arco alto del Filarete. Una folla straboccante sta prendendo posto davanti ai grandi schermi sui quali appaiono le immagini provenienti dal Sudan, dal Kenia e da altre terre africane. Quelle che si susseguono sono scene sconvolgenti: scontri armati dove vengono impiegate armi di tutti i tempi, mitragliatrici, lance, frecce e pietre; pare di assistere a pellicole delle guerre coloniali, Abissinia ed Etiopia comprese. Ma non si vedono né un aereo né un carro armato in azione. E oggi, come aveva previsto il giovane laureato di colore, anche nel continente nero, sono proprio le bande, un tempo assoldate e armate dai coloni e imprenditori d’ogni razza, che stanno aggredendo i loro padroni. Costoro si sono arroccati nelle proprie fazende e nei palazzi che dominano le cave e le miniere che li hanno arricchiti come nababbi e satrapi. Ma il tragico ribaltone di cui sono vittime i grandi imprenditori bianchi e i loro tirapiedi armati, compresi gli innumerevoli burattini posti al comando di governi fantoccio, non si sarebbe rivelato tanto disastroso e rapido se non si fosse verificato contemporaneamente un nuovo fenomeno, imprevedibile anche per gli scienziati. Stiamo assistendo alla proiezione di immagini sconvolgenti sugli schermi del castello. Le scene di guerra stanno per essere cancellate dal montare di una sequenza di tempeste inaudite: un ribaltamento climatico, che rischia di capovolgere sia la situazione ambientale che quella economico-politica. All’improvviso il cielo è percorso da immensi cumuli di nubi che lo attraversano a velocità impossibile: è l’inizio di un uragano con trombe d’aria che dall’alto scendono trapanando il suolo, e fulmini che sbiancano il deserto. Poi, come un sipario stracciato dal ciclone, le nubi si spalancano e ha inizio un vero e proprio diluvio: violenti getti d’acqua percuotono la savana e il deserto, sradicano arbusti e aspirano terra e sabbia come mostruose idrovore. Lo speaker del servizio televisivo ci comunica che quella tempesta è durata un giorno, una notte, un altro giorno e così via senza cessare un attimo, per due settimane. A memoria d’uomo non si è mai assistito a un cataclisma del genere. Uno tsunami con risvolto straordinariamente salutare, proprio come quello mitico che ogni anno per secoli allagava la piana d’Egitto al tempo dei faraoni. Il montaggio delle sequenze è rapido ma essenziale. Sembra di assistere a un documentario mediatico sullo stravolgimento epocale del pianeta: deserti e savane vengono solcati da corsi d’acqua, si sono formati nuovi fiumi, avallamenti da sempre asseccati vengono riempiti da tonnellate di pioggia e si creano laghi. Finalmente le nubi si dissolvono esauste e appare un sole davvero radiante; dopo alcuni giorni in quello che era un torrido deserto cominciano a spuntare erbe e arbusti in gran numero. La folla che assiste alla proiezione esplode in un applauso entusiasta. Fino a pochi minuti prima la tensione era incontenibile. Sullo schermo riappaiono figure umane in controluce. Sono donne, uomini e bambini neri; alla fine della panoramica, spuntano i pochi proprietari bianchi rimasti, tutti sono sconvolti: ora davanti a loro si stendono terre disponibili a vista d’occhio, ideali per la coltivazione e l’allevamento; spazi fertili si stanno allargando a dismisura con gran vantaggio soprattutto per la popolazione indigena che finalmente possiede terreni liberi da ogni rapina. Poi seguono sequenze quasi idilliache. Gli schermi sono solcati da animali che attraversano correndo un paesaggio prodigiosamente rigoglioso. Anche antilopi, zebre, giraffe, gazzelle trovano facilmente cibo e acqua. Aumentano di numero i branchi di animali selvatici d’ogni specie; i contadini si improvvisano anche cacciatori e i cacciatori diventano a loro volta contadini e allevatori. Sembra proprio ci sia cibo per tutti! E che si siano create terre fertili che non attendono altro che d’essere lavorate. In un’altra sequenza vediamo un esodo che già conosciamo: quello dalle città verso le grandi pianure in cui sta riprendendo la vita. È soprattutto la manodopera in servizio dai grandi manifatturieri a disertare in massa: agli indigeni non conviene più lavorare sotto padrone ed essere sfruttati fino allo strozzo, meglio mettersi in proprio, anzi in forme associative che allargano a dismisura il sistema tribale, facendolo letteralmente esplodere. Appresso assistiamo a un autentico ribaltamento della macchina portante del profitto: quella che regge lo sfruttamento delle miniere d’oro e di pietre preziose. Vediamo i minatori disertare montacarichi e gallerie che traforano montagne: quegli schiavizzati hanno scoperto che oggi in Africa coltivare in proprio frutta, verdure e canne da zucchero, dà maggior utile ed è più salutare che raspare a cinquanta metri sotto terra per incocciare pietre preziose da consegnare ai proprietari della miniera sotto pena di galera immediata. Un batter di mani accompagnato da un altrettanto festoso batter di piedi segna la fine del collegamento via satellite. Fra la gente, in tanti si sono commossi, specie gli spettatori di colore intervenuti in gran numero. Gli africani, maschi e femmine, si abbracciano l’un l’altro. Si viene a sapere che in molti hanno deciso di tornare nelle proprie terre. Il viaggio non è certo agevole: è vero che per attraversare la penisola italiana e raggiungere il Sud si può approfittare del ripristino delle linee ferroviarie, ma l’energia elettrica non è a erogazione costante, quindi succede di dover sopportare pause di snervante attesa. Per l’attraversamento, abbiamo già visto che è entrato in funzione l’uso di enormi vele a mongolfiera ma la riuscita del viaggio è sempre una grande incognita. Fra i numerosi africani determinati al ritorno ci sono giovani maschi e anche femmine che da qualche mese si stanno esercitando nella conduzione di alianti forniti di piccoli motori alimentati a olio di colza e benzine prodotte dallo zucchero di barbabietole. Domani partirà il primo gruppo. L’uomo dal cappello rosso invita tutti ad assistere alla spettacolare trasmigrazione dei larghi uccelli di tela gonfia. «Non possiamo mancare!» esclamano in molti. «Da dove avverrà il decollo?» «Dalle piste della Malpensa e dall’aeroporto di Linate, rimaste completamente sgombre.» Il giorno appresso si assiste a una vera e propria sagra di primavera, quando gli aironi si levano in volo per la grande traversata. A trainarli perché prendano quota ci sono macchine con motori a propellenti vari, tutti forzatamente ecologici: elettrici, ad aria compressa, ad alcol e perfino alcuni strani veicoli caricati a molla. È incredibile, ma per qualche chilometro funzionano che è una meraviglia. Uno appresso all’altro prendono quota, compiono qualche largo giro sopra la folla che saluta con urla, risate e pianti, fanno partire il loro piccolo motore che muove l’elica e poi via che s’allontanano verso levante. Tutti volando ridono e cantano. Per una popolazione che ha raggiunto le nostre terre mettendo a repentaglio la propria vita in attraversate da disperati, rischiando a ogni tempesta di finire a centinaia in fondo al mare, quella traversata in aquilone, sospesi nell’aria, è addirittura un gioco festoso. Il cielo si sta riempiendo di alianti come alla festa degli aquiloni a Shanghai. Anche qualche lombardo s’è lanciato nell’avventura e, sorvolando la folla, getta coriandoli da Carnevale. Qualche tempo dopo, alla prima trasmigrazione di ex abusivi, lavoratori più o meno clandestini, ne seguono altre a cui si uniscono molti italiani, svizzeri e perfino tedeschi che, qualche mese dopo aver raggiunto l’Africa, riescono via radio a comunicare con amici e parenti rimasti in patria; declamano loro l’ambiente davvero incredibile che hanno scoperto laggiù: «Spicciatevi! Qui è un Eldorado!» assicurano. NEGRO È BELLO I primi uomini erano africani. Erano piccoli di statura, non superavano il metro e quaranta. I loro scheletri, ritornati alla luce, denotano una figura elegante e proporzionata. Veloci nel correre, nel nuoto e straordinari nella caccia, non temevano di affrontare perfino enormi elefanti. Lo testimoniano le loro incisioni rupestri. Furono anche i primi a disegnare immagini di animali e autoritratti. Fabbricavano utensili vari e addirittura strumenti musicali, coi quali sicuramente accompagnavano il proprio canto. Furono i primi mammiferi ad amarsi sdraiati e abbracciati: il maschio sopra la femmina. Raggiunsero l’Europa e l’Asia, più tardi costruirono le piramidi. Da La vera storia del mondo di Jacopo L’esodo a rovescio dei vu’ cumprà e degli immigrati europei e perfino orientali sta trasformando l’Africa. Ormai l’Europa e in particolare l’Italia non sono più la terra del Bengodi per i disperati: non ci sono più vetri di macchine da pulire né sindaci in grado di proibirlo; nella vendita per strada sono stati sostituiti dai locali, non parliamo della vendita sulle spiagge: alcuni si sono addirittura tinti la faccia di nero e scimmiottano il lessico dei vu’ cumprà! È crollato anche il mercato o meglio il racket della prostituzione. E, per quanto riguarda gli amori, i giovani, soprattutto le ragazze, si sono svelate all’istante più aperte ai rapporti affettivi e di sesso, e oltretutto stanno rieducando i maschi a liberarsi dall’inibizione congenita acquisita negli ultimi tempi. È vero che ora maschi e femmine hanno più facilità a mettersi insieme, favoriti dalla straordinaria disponibilità di locali liberi, specie in città, nei quali vivere un’esperienza di coppia. Tornando all’Africa, come accennavamo, la situazione della fauna nella savana e nelle foreste sta completamente trasformandosi: fra i branchi di animali erbivori si notano nuove nascite in progressione esponenziale. Leopardi e leoni a loro volta si ritrovano con abbondanza di prede e non corrono più il pericolo di venir catturati dai bracconieri e finire come trofei o addirittura venduti a zoo e a circhi in tutte le latitudini: per le fiere da collezione o mostra non c’è più mercato. Il ritorno in patria degli africani, che all’estero avevano lavorato come operai nell’industria dei più variegati settori o come muratori nei cantieri edili, rischiando di schiantarsi al suolo per mancanza di impianti protettivi, fa sì che costoro trovino immediatamente ingaggio come manodopera qualificata nei nuovi cantieri e nelle imprese nascenti. Ma fra i ritorni di maggior valore, ci sono quegli africani che hanno avuto l’occasione di frequentare l’università nei vari centri europei e americani: essi sono in grado di portare tecnologie avanzate che faranno davvero decollare l’intera società del continente africano. Fra gli arrivi insoliti creano meraviglia quelli di giovani cittadini afroamericani, i cui antenati secoli fa furono catturati dai mercanti di schiavi e trasportati nel Nuovo Mondo in catene. Oggi quei figli di schiavi hanno scelto di vivere nei luoghi dove i loro progenitori erano nati liberi. Già anni fa in Sudafrica, in Egitto e in Israele avevano avuto inizio le installazioni di grandi plancard a specchio per la cattura dell’energia solare. In questo campo finalmente l’Africa si rende conto di essere il continente più avvantaggiato al mondo. Un pannello solare, grazie alla potenza del calore in quei territori, accumula energia in quantità incredibile. In breve tempo spuntano in ogni dove anche pale eoliche. Ma la novità che crea maggior stupore sono le auto e i camion, con pannelli solari posti sopra il tetto delle macchine con aggiunte di ali rotanti a specchio e pale eoliche ai lati del motore. Sono mezzi di trasporto che godono di un’autonomia ineguagliabile: si caricano non solo da fermi ma anche e soprattutto in movimento e quindi non abbisognano di far sosta ad alcun distributore di propellente. C’è anche un’altra novità che modifica notevolmente il paesaggio e l’ambiente: è l’apparire di un numero incredibile di piramidi di varie dimensioni di tipo egizio e in forma di mastabe a gradoni, nonché di colline naturali adattate alla bisogna. Ma cos’è questa bisogna? E che significano le piramidi e le mastabe? Ebbene, da trent’anni circa gruppi di archeologi e studiosi provenienti da facoltà europee fra i quali un certo Jacopo, direttore della Libera Università di Alcatraz, che porta il mio stesso cognome, Fo – essendo guarda caso mio figlio – hanno scoperto che le mastabe, piramidi a gradoni senza punta, erano inizialmente usate come riparo durante le inondazioni: la gente stava all’asciutto su quei parallelepipedi di pietra. E anche le piramidi non finivano appuntite: erano tagliate più basse a formare un grande spiazzo in cima. Questi grandi cumuli di pietre erano poi fondamentali per la sopravvivenza durante le inondazioni, allora abbondanti, e soprattutto nelle pause di siccità giacché quelle mastabe e piramidi tronche permettevano di raccogliere acqua potabile, in gran quantità. Infatti erano giganteschi filtri nel cui centro si apriva un cunicolo che raggiungeva una cisterna sotterranea dove l’acqua limpida, filtrata dalle pareti di pietra, si accumulava. I recenti scopritori di questo marchingegno sospettarono, quindi, che anche le piramidi, prima ancora di essere trasformate in tombe per faraoni e grandi sacerdoti, in tempi antichi fossero state costruite dagli autoctoni per servire appunto da congegni idraulici per raccogliere e filtrare l’acqua. Questo sistema, riprodotto oggi in migliaia di esemplari, sta permettendo al nuovo popolo dei neri di preservare il dono maggiore, anzi, essenziale della natura per la sopravvivenza dell’uomo e per la sua emancipazione, cioè appunto l’acqua. Mi rendo conto solo ora che trascinato da una specie di catarsi immaginifica mi sono lasciato trasportare dentro una simulazione di follia. Ma tutto quello che vi ho proposto non è solo paradosso proiettato da una surreale visione da incubo: mettetevi a vostra volta in testa – e perdonate se lo andiamo ripetendo a tormentone – che da questo appuntamento tragico con l’imminente blackout dell’energia non possiamo assolutamente sfuggire. Non si tratta di bufale metafisiche, ma di previsioni scientifiche inderogabili: il petrolio sta per scomparire! L’estrazione del principale propellente fossile è alla fine! Dice Basil Gelpke, nel suo documentario A Crude Awakening (Un brusco risveglio), che il susseguirsi di situazioni positive e negative dopo il blackout del petrolio sarà costante per molti anni. Il fenomeno inarrestabile dei ghiacciai, che man mano si vanno estinguendo fino a lasciare alte montagne completamente spoglie, determinerà purtroppo in certe vaste aree del pianeta la totale scomparsa dei grandi fiumi, fenomeno disastroso che non riuscirà a essere compensato dal ripetersi di piogge torrenziali. Per cui avremo fiumi come il Gange, che da secoli ha offerto vita e fecondità all’India tutta, ridotto a un enorme solco assecchito. Folte popolazioni saranno costrette a emigrare; lo stesso avverrà per il Rio delle Amazzoni, per il Fiume Giallo e quello Azzurro. Fame ed epidemie faranno strage di popoli intieri. Il numero previsto di vittime appare terrificante: si parla di almeno un miliardo di persone condannate a sparire. Ancora, cataclismi saranno favoriti dalla disastrosa condizione nella quale abbiamo lasciato gli oceani, ridotti a immense pattumiere, discariche che coprono il fondo dell’Atlantico e del Pacifico: un immondezzaio che va dalle Americhe al Giappone. La famosa curva di Hubbert è tutt’altro che una fandonia senza costrutto: mi spiace per tutti noi, ma si tratta di una legge geometrica inesorabile, dimostrata e già sperimentata. Infatti, la bellezza di cinquant’anni fa lo scienziato Hubbert, appunto, aveva previsto come la curva della produzione di petrolio in usa sarebbe scesa precipitando fino a zero a partire dal 1970. Evento che oggi si è da tempo avverato in America e in caduta verticale si sta concretizzando nel resto del mondo. Puntuale e inesorabile. Finalmente tutti i geologi, compresi gli scettici, si sono arresi e hanno cominciato a prestare molta attenzione ai calcoli di Hubbert. Dai primi anni di questo secolo i pozzi degli Stati Uniti sono quasi completamente spenti, salvo alcuni giacimenti in Texas. Gli abitanti statunitensi ne sono consci e ora sanno finalmente, come abbiamo già ribadito all’inizio, che cosa ha portato Bush a dichiarare guerra all’Iraq: il petrolio, arrivando a far credere che se non si fosse occupato quel territorio, l’America rischiava di essere distrutta da bombe atomiche lanciate da Saddam Hussein! Ma per quanto riguarda tutti gli altri pozzi ancora in azione in Oriente, Medio Oriente, America del Sud ecc., è solo questione di un anno, cinque anni, dieci anni al massimo, e arriverà anche per loro il totale asseccamento. Si tratta cioè di un semplice respiro rispetto al tempo dettato dal susseguirsi dell’inesorabile dinamica della storia. Quindi l’appuntamento con l’apocalisse dei propellenti minerali, che abbiamo immaginato, purtroppo si avvererà. IL RUBINETTO DELL’ETERNO Ogni tanto profeti fasulli predicono l’apocalisse finale. C’è chi sale in cima ai monti fra i picchi e pazientemente attende che la catastrofe si consumi sotto i loro piedi senza colpirli. Dopo qualche tempo, quasi mortificati, si rendono conto d’esser stati gabbati. Non è successo niente. E tornano a valle derisi dagli scettici raziocinanti. Ma la grande catastrofe, quella vera, segnata nel libro di Dio, arriverà puntuale come il tuono dopo il lampeggiare dei fulmini e l’esplosione di fuoco fuori dal cratere dei vulcani in eruzione. Ma attenti, non fate l’errore di sperare che tutto ciò possa essere rimandato all’infinito. Preparatevi, si salverà solo chi avrà disposto, costruendola, l’arca sicura per galleggiare come Noè sopra la tempesta. O, se non vi riesce, procuratevi di montare sulla «Nave dei folli» e lasciarvi andare, ubriachi, fra le braccia di scatenate femmine alla deriva. Da L’isola dei canidi di Ben Jonson e Thomas Nashe Ora, come abbiamo dichiarato all’inizio di questo scritto, l’intiero blocco dei mezzi di trasporto e di comunicazione nonché il blocco delle caldaie, delle navi, degli aerei e dei frigoriferi, il silenzio delle televisioni, dei cellulari, le autostrade sgombre e silenziose saranno l’inizio della nostra salvezza e di quella del pianeta azzurro. Se non si producesse questo cataclisma salvifico quello che ci attenderebbe sarebbe di gran lunga più disastroso. Significherebbe una lenta ma inesorabile agonia della Terra con una progressione di disastri senza ritorno. Ormai abbiamo appurato che non c’è speranza che l’umanità rinsavisca e si renda conto del baratro che l’attende. Ho assistito qualche giorno fa a un documentario terrificante sulla cosiddetta «carica finale degli gnu», quei mammiferi dal testone sproporzionato che a un certo punto della loro esistenza, tutti insieme, spinti da una strana follia, si gettano come disperati correndo per la prateria. Corrono a perdifiato in centinaia di migliaia, senza mai rallentare finché giungono al punto fatidico: un’immensa voragine che si spalanca sotto le loro zampe impazzite. Ebbene nessuno del branco frena o scantona o s’arresta, così assistiamo a una sequenza infinita di salti nel vuoto e a un precipitare sconsiderato di massa nell’abisso: scompaiono inghiottiti nell’orrido, incontro a un massacro davvero bestiale. Alla fine dell’ecatombe ho esclamato: «Ma questi siamo noi! È la macabra allegoria di ciò a cui andiamo incontro se continuiamo a ignorare la logica e la ragione!» Questa è la nostra stessa prospettiva, anche noi ci muoviamo come ciechi impazziti, incuranti delle avvisate di cui gli scienziati onesti e coscienti da tempo ci vanno inutilmente avvertendo. Anzi, come già dicevamo nel prologo iniziale, i nostri simili reagiscono quasi seccati e, alle nostre previsioni, si toccano velocissimi i corbezzoli, strizzandoseli, pensando che questo rito scongiuri la tragedia imminente; invece riusciranno solo, al massimo, a procurarsi una vistosa orchite traumatica! Eppure quei sordi mentali s’informano, o fingono d’informarsi, leggono, ascoltano notizie seppur scarse alla televisione ma fanno spallucce e cambiano canale per godersi l’Isola dei Famosi o partite di football con risse tremende fra i tifosi. I politici poi hanno altro a cui pensare: si scannano, si accusano, s’insultano, stappano bottiglie di champagne in Senato per festeggiare il crollo del governo, proprio come i folli di Erasmo da Rotterdam; si preoccupano di sistemare le mogli in posti di comando statali, ministeriali, regionali, e i figli nelle segreterie e negli ospedali nel ruolo di incapaci primari; e poi gli amici, i consuoceri, le amiche, presentatrici e ballerine. Un presidente politico famoso pluri indagato esulta giacché dopo sei anni il tribunale della Cassazione lo ha prosciolto da ogni accusa che lo vedeva inquisito per corruzione di giudici e soprattutto falso in bilancio, poiché il reato suddetto è stato, dal governo precedente, letteralmente cassato. Ma chi era il presidente che aveva voluto a ogni costo quella cancellazione? Guarda caso, proprio lui stesso! Il pluri indagato premier sempre intoccabile e salvato! Intanto nella Sicilia il governatore della Regione è stato condannato a cinque anni per collusione, cioè per aver appoggiato e favorito noti capimafia. Il condannato però esulta perché pare che fare una soffiata solo a qualche mafioso non significa essere collusi con l’intiera mafia. Poi il condannato, interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e pressato dall’opinione pubblica, decide di dare le dimissioni. L’ex governatore, pseudomafioso ma non troppo, si presenterà alle prossime elezioni e lo rivedremo in Senato, nel gruppo dei condannati in primo grado. Sarà giudicato mafioso, perdio, ma porta più voti nel suo paniere di tutti i candidati dc messi insieme! Nel frattempo, oltreoceano, Bush, che vede scorrere veloce il poco tempo che gli rimane da presidente degli Stati Uniti, tenta di lasciare un buon ricordo di sé e riscatena il clima di terrore… che gli riesce così bene! Approfitta di una boutade del presidente iraniano che, sostenuto da Putin, dichiara che sta preparando una bomba atomica, ma non a scopo militare! Un suo generale in vena di bravate lo corregge e assicura che due secondi dopo che gli Stati Uniti avranno iniziato le ostilità contro il loro Paese, partiranno una dietro l’altra una caterva di missili contro le basi usa vicine e lontane. I generali americani rispondono elencando le portaerei e le basi disposte intorno all’Iran da dove muoverebbero i propri missili e gli aerei per il contrattacco definitivo. Putin a sua volta minaccia: «Guai a voi! I missili russi per la controffensiva sono già pronti in posizione». Anche la Cina dice la sua chiedendo che la questione sia regolata dopo le Olimpiadi per non guastare la purezza dello sport e il successo della festa. Insomma, abbiamo da scegliere: o una guerra atomica mondiale della durata di pochi secondi o un cataclisma più lento e generalizzato. ATTENTI! SI CHIUDE! «Sta arrivando la fine!» disse la First Lady. «E non ho niente da mettermi per il Diluvio!» Dalle spigolature di «Vogue» di aprile 2008 Ma purtroppo non saremo noi a scegliere. Nessuno ci ascolta, l’eco d’ogni voce schiaccia e confonde le parole dell’altro. È inutile pensare di poter ricorrere a referendum, azioni dimostrative, riunioni di piazza: tutte le nostre voci echeggiano nel deserto inascoltate. Non passerà molto tempo che vedremo una moltitudine di gente correre senza meta in tutte le direzioni, urlando: «Non c’è più luce nelle nostre lampade! Non c’è più calore nelle stufe! Nei frigoriferi tutto sta marcendo! Le auto si sono fermate e con loro anche treni e tram, gli unici a muoversi sono i cumuli di monnezza, che, trascinati dal vento, rotolano come gomitoli di foglie e sterpi d’autunno ai bordi delle piazze e sul sagrato delle chiese!» Ma ciò che più indigna e produce sgomento è l’indifferenza con cui i cittadini, testimoni e protagonisti di questa più che annunciata catastrofe, accolgono il fatto, senza alcuna reazione. Prendiamo come esempio da proiettare nelle coscienze di ognuno ciò che sta succedendo da anni intorno a Napoli. Non ci riferiamo al disastro delle discariche ma a ben altra più terribile calamità. Attenti a non cadere nella trappola del razzismo, scegliamo questo dramma come esempio: noterete che in tale contesto tutto appare macroscopico e sragionevole. Il fenomeno che vogliamo portare alla vostra attenzione vede il suo palcoscenico sul Vesuvio e dintorni. È risaputo che i geologi avvertono da anni che il vulcano in questione equivale a una doppia atomica di Hiroshima, posta nel profondo di quell’immenso cratere, e che il giorno e le dimensioni di quella deflagrazione siano sempre da ritenersi non certi né prevedibili. Da un giorno all’altro può ripetersi la terribile catastrofe che si concretò al tempo di Plinio il Vecchio nel i secolo d.C. La testimonianza di quella strage è ben palese negli scavi di Ercolano e Pompei dove sono mostrati i calchi di giovani donne e bambini pietrificati dalla lava, venti secoli fa. Ma, indifferenti e senza posa, i partenopei continuano da quasi un secolo a costruire sulle falde del vulcano case, palazzi, ville e villette a migliaia, incuranti del più che possibile avverarsi della nuova orrenda esplosione. In gran numero quelle abitazioni sono abusive, ma la legge che le vieta viene puntualmente «escamotata» con il concorso di assessori, sindaci, forze dell’ordine e perfino qualche parroco. Costoro, tutti insieme, vanno facendo spallucce e, sorridenti, tranquillizzano: «S’ha da accadé, nun ce stà nulla a fà! Nui ce avimm artro a che cozzà... lu nostro santo c’ha da penzà: san Gennaro datte da fà! Dacce un occhio te! Nui ce avimm da campà. Una giravolta, un segno della croce e la paura chiù nun ce stà! Eppure nui savimm che sott allu cratere, chilla massa de foco no’ duorme! La lava rischia, come l’altra volta, de sotterracce». La lava e la cenere posson calare ad affogare ogni vita fino al mare. Un disastro immane: migliaia di paesi a vista d’occhio mangiati dal fuoco, e vasti pezzi di città. Ma che importa? La nostra progenie tra cent’anni, scavando di nuovo, potrà cavarci un museo di dimensioni mai vedute al mondo. Ma com’è possibile che noi si sia giunti a tanta insensata follia, a tanta aberrazione? Il caso del vulcano è solo emblematico di una generale condizione mentale di cui siamo tutti, ripeto tutti, ottusi testimoni e protagonisti. L’abbiamo già detto e ridetto ma insistiamo: è incredibile che un popolo come il nostro, pur avendo a disposizione un clima straordinario per poter produrre energia alternativa (eolica, solare, per non parlare delle biomasse), invece di cambiar rotta se ne stia completamente inerte come se la cosa non lo riguardasse assolutamente. Ci si preoccupa per altri problemi: la sicurezza e quindi i ladruncoli, gli scippatori, le parolacce e le svergognate, stando seduti tutti tranquilli in riva al baratro con le gambe penzoloni, chiacchierando del pericolo che rappresentano questi immigrati clandestini, i cinesi che taroccano le borse di Armani, le ragazzine che mostrano natiche e si fanno canne, il vescovo che manda anatemi alle femmine mal maritate che vivono nel peccato e programmano un aborto, il problema della politica «m’interessa, non m’interessa più… vadano tutti a farsi fottere…!» E si resta lì, senza renderci conto che ogni momento si sta scivolando, metro su metro, giù nel baratro. Eppure, in altri Paesi si sbattono molto più di noi per porre un argine alla situazione… ma da dove ci viene questa ottusa apatia? Perdio! Abbiamo pure un cervello e un dna non comuni. In queste nostre terre son nati per secoli e continuano a nascere veri e propri talenti, giovani che son ricercati all’estero anche da università prestigiose, mentre le nostre badano ai baroni e alle assunzioni di rango… Nei teatri d’opera e di musica classica i nostri maestri spopolano, dirigono spettacoli; e gli scienziati trattano di progetti rivoluzionari in tutte le università, montano ponti, grattacieli e intiere metropoli, sono prenotati per il doppio della loro vita. E allora? Da noi, è risaputo, la ricerca scientifica è un disastro: se abbiamo la fortuna di possedere un genio della nuova tecnologia, lo cacciamo via subito… all’estero, dove, naturalmente, lo accolgono a braccia spalancate! Ma com’è che dietro a questa caterva di menti attive ed effervescenti di cui siamo orgogliosi poi spunta una massa di inetti beoti, compresi, come ovvio, quelli che stanno ai posti di potere? È come se le scorie di tutti i secoli d’oro, scarti e rifiuti di opere eccelse che hanno esaltato e dato prestigio ai nostri padri, si siano scaricati addosso a noi. La furbizia di Arlecchino e di Brighella, l’avidità dei mercanti strozzini, il traffichismo dei faccendieri, la scaltrezza truffaldina degli avvocati tuttofare e disponibili a ogni infamità… il politicame, l’opportunismo dei dottori sottili, la laida saliva degli aggiustatutto e, sopra ogni cosa, la lezione d’ambiguità che per secoli ci ha ammannito la santa Chiesa cattolica, apostolica, romana con il dogma e la penitenza, con le persecuzioni, i veti, le congreghe, il mercato delle indulgenze, il baciapiedismo e le sentenze feroci e poi le giaculatorie, il chieder venia e pace eterna. È tutto questo bailamme di rifiuti e arrangiamenti dentro al quale ci muoviamo che ci rende gente da poco, inaffidabile e stolta agli occhi di chi dal di fuori ci osserva. Quando sentiremo l’ultimo avviso del «Si chiude!», ci muoveremo senza saper che fare, intontiti al par d’allocchi, al momento dell’ultima valanga di polvere e lava: solo allora il terrore, come molla, ci butterà in piedi al grido di «Vogliamo campare!» Eh no: è troppo tardi, coglioni! Ringraziamenti Ringrazio particolarmente il professor Gianni Tamino, docente di Biologia all’Università di Padova, il mio amico Piergiorgio Odifreddi e, insieme a loro, Mario Tozzi e mio figlio Jacopo.