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Essere capi oggi - Zona Etna Alto Simeto
Assemblea Zona “Alto Simeto” (CT) 18 marzo 2006 Essere capi oggi Lo scautismo ha fondamentalmente come suo scopo ultimo fare in modo che ciascuno sia personalmente responsabile di quello che gli sta intorno, dell’altro, del mondo (“lasciate il mondo un po’ migliore di come l’avete trovato”) la felicità E’ questo il nostro obiettivo, è questa la nostra “passione”: aiutare i ragazzi a scoprire la propria vocazione orientata al servizio. la Promessa: … per compiere il mio dovere verso Dio e verso il mio Paese il servizio: scopo ultimo della proposta scout. Vi voglio raccontare una storiella. A capo di una scuola fu nominato un nuovo giovane Direttore. E, tra gli altri cambiamenti, questi decise di nominare un nuovo suo primo assistente. Scelse un giovane insegnante che era da poco a scuola. La cosa scontentò un insegnante più anziano che si trovava in quella scuola da lungo tempo, il quale si presentò al Direttore per protestare. Finì dicendo: “Non posso capire come abbiate potuto non tenere alcun conto dei miei venti anni di esperienza”. Al che il saggio giovane Direttore rispose: “No, caro collega, non venti anni di esperienza, esperienza di un anno, venti volte”. 1 Credo che noi non possiamo correre il rischio di ripetere venti volte la stessa esperienza credendo sia un’esperienza ventennale! Lo scautismo, che è metodo educativo esperienziale, ci aiuta a fare “sempre nuove tutte le cose”. In altre parole se io non mi metto insieme all’altro per confrontare, non saprò mai se ciò che produco è “vero” oppure no. L’Associazione, nei suoi lunghi anni, ha costruito alcune strutture per l’educazione che ci aiutano a definire una ricetta che sappia essere appetibile ai ragazzi (… saper usare l’esca che piace al pesce …) senza rinunciare all’uso degli elementi essenziali alla sua produzione. Ma le strutture per l’educazione non sono qualcosa che possono sostituire l’UNICITA’ DEL CAPO perché, come la Comunità dei Capi, esse sono ambiti che offrono una “dimensione educazionale”, una dimensione che ha il compito di accogliere, sostenere l’essere soli e ben accompagnati. soli… - la vocazione ad essere Capo è “una chiamata per nome”: il Capo dovrà renderne conto individualmente. - lo sforzo personale per esercitare la propria scelta non può essere diviso con altri. - lo spessore della sua persona nasce dal suo amore per la solitudine e dal suo gusto per la responsabilità. - l’apertura agli altri Capi, la sua disponibilità alla condivisione, la sua volontà a contribuire ad un lavoro ma anche di affermare le proprie idee con forza, sono 2 funzionali al confronto con altre persone che, come lui, sono capaci di riflessione, autonomia e solitudine. - apprezzare la solitudine, non vuole dire vivere da soli. In un rapporto educativo poi, il Capo “solitario” corre il rischio di diventare possessivo (“i miei ragazzi”). … e ben accompagnati Il Capo è ben accompagnato se trova una comunità, una struttura - che lo fa crescere nelle risposte alla sua vocazione personale, lasciandogli del tempo per sé e per questa sua crescita; - esigente perché gli chiede, perché prima glielo ha insegnato, preparazione e non improvvisazione nel fare le cose; - che gli consente di esprimersi liberamente, con la curiosità di esprimere il suo dissenso, nell’eventualità che l’unica voce discordante sia quella giusta; - che spinga ognuno ad assumersi le sue responsabilità, senza permettere che ci si rifugi dietro scelte fatte da altri; - che favorisca la verifica seria delle cose fatte e che favorisca la benevolenza con chi ha sbagliato; - che favorisca la lettura complessa dell’oggi. Favorire tutto ciò è più una questione di stile che di tempo. Se questo stile c’è, esso diventa lo stile dell’essere Capo e quindi, riverberandosi nel lavoro di tutti i giorni con i ragazzi nell’aiutarli a crescere, diventa il loro stile e quindi lo stile e la “tradizione” dell’associazione. 3 Se tutto ciò è vero, questo stile nel vivere lo scautismo, nell’essere Capo, nell’essere Comunità di Capi, nell’essere associazione crea un’aspettativa rispetto al confronto – che non può essere soddisfatta solo all’interno del Gruppo - che spinge al trovare occasioni che lo possano favorire. Queste occasioni sono il collante del sentirsi parte di un qualcosa di più grande, di più completo e che permette di scoprire comunanze che portano alla dimensione di appartenenza associativa. Se sento distante il concetto dell’appartenere allora ho lontano quello del partecipare, dell’essere parte. Questo essere parte, questo partecipare, non è l’AGESCI che ce lo chiede, sono la Legge scout e la Promessa che liberamente abbiamo accettato “se Dio lo vorrà per sempre”. La Legge e la Promessa, che sono le stesse per tutti, Capi e ragazzi, e che per tutti sono difficile da mantenere perché richiedono una “vigilanza intelligente” ai nostri comportamenti perché siano coerenti e conseguentemente fedeli - in una parola coraggiosi – ci chiedono di essere uomini e donne d’onore, quell’onore che poniamo nell’essere persone affidabili e quindi fedeli, alla parola data, agli impegni e all’altro. E l’impegno del capo, espresso attraverso l’adesione al Patto Associativo non è altro che la traduzione che cerca di “storicizzare” la Legge e la Promessa. Ma questo essere coraggiosi richiede una cornice di riferimento che chiamerei delle 3 fedeltà: 4 - fedeltà al ragazzo - fedeltà al Metodo - fedeltà a Dio Fedeltà al ragazzo E’ lui il vero centro del nostro essere capi. Senza un ricentrarsi continualemte sulle sue esigenze, i suoi sogni, le sue capacità, i suoi limiti, non avrebbe senso il nostro essere. Fedeltà al Metodo Senza una fedeltà forte ai “pilastri” dello scautismo, questi diventa una proposta tra le tante. Fedeltà a Dio E’ lui il senso e la prospettiva Il metodo Dal “Libro dei Capi”: - “Con il termine scouting si intendono l’opera e le qualità dell’uomo del bosco, dell’esploratore, … del pioniere, dell’uomo di frontiera.” OPERA – PIENA CAPACITA’ QUALITA’ – CAPACITA’ DI ORIENTARSI A… Ma possono essere definite con un’unica parola questi termini? Penso che la più adatta sia stile. Stile non come sottolineatura di una forma, ma sottolineature di un atteggiamento interiorizzato che si esprime nei confronti di se stessi, degli altri e di ciò che ci circonda. 5 Ha stile chi riesce a far trasparire un modo di essere, semplicemente nel proporsi in un certo modo e quel modo è interpretato come non formale o forzato ma “autentico”. Questa è l’opera e la qualità! Ai nostri ragazzi cerchiamo di chiedere questo: essere fedeli e coerenti con un modo di essere che discende dalla nostra Legge e che è incarnato non da grandi discorsi, ma da piccole e fedeli testimonianze che sanno però diventare buone abitudini e poi stile di vita, Essere fedeli alle piccole cose che sembrano banali nella loro semplicità (la puntualità, l’ordine, l’attenzione reale alle difficoltà dell’altro, il pensare le cose per tempo e prepararle con sobrietà ma cura, il portare l’uniforme con dignità, ecc.) sono la modalità attraverso cui lo scautismo passa per formare uomini e donne “di carattere”, modalità che orientano l’essere “passabili in un salotto ma indispensabili in un naufragio”. Se non si è fedeli nelle piccole cose, difficilmente si riuscirà ad esserlo nelle grandi. Lo scout e la guida non sono coloro che “si comportano bene” con un atteggiamento più di forma che di sostanza, ma ragazzi e ragazze che hanno uno “stile di sostanza” come unico modo di rapportarsi: l’essere accoglienti, il sorridere nelle situazioni difficili, il vivere in modo sobrio, il dare sempre una mano, il non accontentarsi di avvicinarsi alle situazioni da “imparaticci”, sono il nostro biglietto da visita, sono la cartina di tornasole di uno scautismo che può effettivamente “… lasciare il mondo un po’ migliore …”. Ecco che allora il nostro “avere stile” ci permette di 6 costruire una modalità di operare che contraddistingue anche il nostro vivere “nel mondo e nella storia”. Questo stile mi piace chiamarlo IL GIOCO DELLO SCOUTING / COMPETENZA Vi sono due riflessioni che possono accompagnare la ricerca di un terreno comune attraverso il gioco dello scouting / competenza. La prima che viene alla mente riguarda la capacità di vivere come continua esplorazione. Se crediamo che esplorare significhi andare sempre avanti, abbiamo già trovato la ricetta per perderci: andare avanti presuppone mantenere i collegamenti. Perché diamo per scontato o trascuriamo un aspetto così importante? Forse perché abbiamo l'impressione che si possa "avanzare naturalmente", senza cioè sottoporsi ad un apprendimento e ad un allenamento, senza distinguere situazioni in cui possiamo affidarci all'esperienza di altri, che siamo sicuri di trovare vicini, da situazioni in cui siamo soli e sappiamo usare la nostra esperienza; e crediamo che questa apparentemente facile distinzione sia praticabile salvo incidenti imprevedibili ed eccezionali. La realtà è poi fatta di incidenti imprevedibili ed eccezionali. Se non si è pronti ogni volta abbiamo l'impressione che la sfortuna si accanisca contro di noi. Ma si può prepararsi ad esplorare sapendo che il punto più importante dell'esplorazione è costituito dalle connessioni, dai collegamenti. 7 Ecco la seconda riflessione. Avere le connessioni: è come conoscere un territorio, i suoi percorsi tracciati e tracciabili, permettendosi in tal modo almeno due importanti comportamenti solitamente considerati o negativamente o conseguenza di infortuni. Si può sbagliare e correggersi: prendere un sentiero, una strada e accorgersi che non porta verso il luogo cui eravamo diretti; sapere, allora, trovare i punti di riferimento, i tagli di percorso, per ritrovare l'orientamento. Si possono aggirare gli ostacoli, sapendo che a volte un percorso più lungo è meglio ed è paradossalmente più rapido di un percorso più breve. Esplorando si impara a collegare quanto già si conosce a quello che può aspettarci, l'esperienza fatta e l'esperienza possibile. Per fare ciò ci vuole un allenamento, un apprendimento e un'abitudine mentale, che non nascono da soli. Naturalmente ciascuno svilupperà a suo modo, secondo le proprie caratteristiche esclusive ed originali. Oggi è sempre più difficile imparare ciò informalmente e lo scautismo aiuta a costruire queste “abitudini mentali”: aiuta a saper connettere e non accontentarsi delle connessioni che accadono un po' per caso. A volte bisogna saper prendere tempo, aspettare; a volte esattamente il contrario. Ma è possibile che, oggi, ragazze e ragazzi raggiungano una certa età senza un processo di esperienze di avventure e di connessioni che permetta di vivere la realtà del gioco dello 8 scouting in continuità. Chi è capo, sa come è importante ascoltare e collegare le capacità di un ragazzo o di una ragazza ad un progetto. E per costruire un progetto occorre allenarsi, apprendere, esplorare connettendo, imparare ad avanzare, scoprire i vincoli ipotetici e saper individuare i vincoli reali. E’ insomma la definizione dell’opera e della qualità. E’ il gioco dello scouting, oppure se vi piace di più è il gioco del giocarsi nel vedere, giudicare ed agire, è il gioco dell’essere immersi nelle situazioni, è il gioco del vivere nel territorio da protagonisti è il gioco del Metodo. Grazie dell’occasione che mi avete data e buona strada! 9