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Tempio-cattedrale a Pozzuoli 10 Alessandro Pergoli Campanelli

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Tempio-cattedrale a Pozzuoli 10 Alessandro Pergoli Campanelli
Consiglio dell’Ordine degli
Architetti di Roma e Provincia
(in carica per il biennio 2001/2003)
Presidente
Amedeo Schiattarella
Vice Presidenti
Andrea Mazzoli
Silvio Luigi Riccobelli
Segretario
Pietro Ranucci
ANNO XL
LUGLIO-AGOSTO 2005
60/05
BIMESTRALE DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI DI ROMA E PROVINCIA
Tesoriere
Alessandro Ridolfi
Consiglieri
Piero Albisinni
Giovanni Bulian
Lucio Carbonara
Rolando De Stefanis
Valter Macchi
Mauro Mancini
Maria Letizia Mancuso
Fabrizio Pistolesi
Luciano Spera
Benedetto Todaro
Direttore
Lucio Carbonara
Direttore Responsabile
Amedeo Schiattarella
Hanno collaborato
a questo numero i redattori:
Valeria Caramagno,
Luisa Chiumenti, Claudia Mattogno,
Alessandro Pergoli Campanelli,
Christian Rocchi
Segreteria di redazione
e consulenza editoriale
Franca Aprosio
Edizione
Ordine degli Architetti
di Roma e Provincia
Servizio grafico editoriale:
Prospettive Edizioni
Responsabile: Claudio Presta
www.edpr.it - [email protected]
Direzione e redazione
Acquario Romano
Piazza Manfredo Fanti, 47 - 00185 Roma
Tel. 06 97604560 Fax 06 97604561
http://www.rm.archiworld.it
[email protected]
[email protected]
Progetto grafico e impaginazione
Artefatto/
Manuela Sodani, Mauro Fanti
Tel. 06 61699191 Fax 06 61697247
EDITORIALE
Oltre la Casa dell’architettura
Amedeo Schiattarella
a cura di Giovanni Carbonara e Alessandro Pergoli Campanelli -
6
R E S TA U R O
Tempio-cattedrale a Pozzuoli 10
Alessandro Pergoli Campanelli
Esito del Concorso internazionale per il restauro:
Gruppo Marco Dezzi Bardeschi (1° premio)
Gruppo Guido Batocchioni (2° premio)
Gruppo Luca Zevi (3° premio)
Gruppi invitati:
Alessandro Anselmi
Corrado Bozzoni
Stella Casiello
David Chipperfield
Vincenzo Corvino
Pasquale Culotta
Donatella Fiorani
Paolo Marconi
Tobia Scarpa
Stampa
Ditta Grafiche Chicca s.n.c.
Villa Greci - 00019 Tivoli
Distribuzione agli Architetti
iscritti all’Albo di Roma e Provincia,
ai Consigli degli Ordini provinciali
degli Architetti e degli Ingegneri
d’Italia, ai Consigli Nazionali
degli Ingegneri e degli Architetti,
agli Enti e Amministrazioni interessati.
a cura di Lucio Carbonara e Barbara Pizzo -
PA E S A G G I O
Premio Scarpa per il giardino 38
Valeria Caramagno
Gli articoli e le note firmate esprimono
solo l’opinione dell’autore e non
impegnano l’Ordine né la
Redazione del periodico.
Spediz. in abb. postale D.L. 353/2003
(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1
comma 1.DCB - Roma
Aut. Trib. Civ. Roma
n. 11592 del 26 maggio 1967
BUGA a Monaco di Baviera 41
Luisa Chiumenti
In copertina:
Tempio-cattedrale di Pozzuoli
(foto di Luciano Romano)
Tiratura: 13.000 copie
Chiuso in tipografia
il 26 settembre 2005
segue
U R B A N I S T I C A
- a cura di Claudia Mattogno
41
Rione Monti: salvato dalla rete?
Carlo Cellamare
44
Un sottovia a San Pietro
Alberto Gatti
C I T T À
I N
50
C O N T R O L U C E
- a cura di Claudia Mattogno
Sao Paulo e il Minhocao
Elio Trusiani
S P O R T E L L O G I O V A N I
55
- a cura di Christian Rocchi
Leonardo unpacked
Daniele Mancini, Irene Rinaldi
R U B R I C H E
57
LIBRI
58
NORMATIVA
Trasformazione del diritto di superficie in diritto
di proprietà delle aree 167/62, di Eugenio Burgio
Editoriale
di Amedeo Schiattarella
T
Oltre la Casa
dell’architettura
utti noi, guardando alla realtà europea ed
internazionale, percepiamo i gravi ritardi
che l’Italia ha oramai accumulato
nell’affermazione dei valori della
contemporaneità nel campo dell’architettura.
Di fronte alla straordinaria eredità che ci deriva
dalla nostra storia sembra, infatti, che il nostro
Paese stia oggi, con lucida follia, rinunciando al
tema dell’architettura.
Mentre nel mondo si assiste ad un rilancio della
nostra disciplina, divenuta immagine simbolo nel
processo di rinnovamento globale, noi abbiamo
ancora un sistema legislativo che, nella pratica,
marginalizza il progetto e riduce la
trasformazione del territorio ad un fatto
puramente “immobiliare”.
Riconquistare la centralità dell’architettura è una
necessità civile, ma anche un compito che
responsabilmente non possiamo delegare ad altri.
Per questa ragione, in questi anni, ci siamo
impegnati per far crescere significativamente,
attraverso la vitalità e la capacità di iniziativa, il
ruolo dell’Ordine nel dibattito nazionale ed
internazionale sulla nostra professione.
Un’azione corale che ha visto, al fianco del
Consiglio, la partecipazione attiva di centinaia di
colleghi impegnati con passione e spirito di
sacrificio personale, ed ha permesso all’Ordine di
Roma di raggiungere una credibilità ed una
autorevolezza, ritengo, senza precedenti.
I rapporti di collaborazione continua con
l’Università, l’Inu, l’Inarch, gli Enti Locali, frutto di
una lucida volontà di tutti noi di riunire le forze,
stanno consolidando intorno ad un progetto
comune, l’intera nostra categoria.
La Casa dell’architettura, infine, realizzata dopo
decenni di attesa, è un luogo, accreditato a livello
internazionale, in grado di moltiplicare le
occasioni di confronto.
Guai, però, a sentirci appagati da questi risultati.
Dobbiamo infatti mettere quanto conquistato a
servizio della nostra categoria per poter rilanciare
il nostro mestiere e promuovere i valori di cui
siamo portatori.
La Casa dell’architettura deve divenire, sempre
più, lo strumento per amplificare la nostra voce: la
nostra cassa di risonanza per responsabilizzare
la classe politica e sensibilizzare i cittadini sui
temi dell’architettura.
Dobbiamo proseguire, infatti, una incisiva azione
politica perché gli organismi che ci rappresentano
a livello nazionale si impegnino su una profonda
revisione della legislazione, dai lavori pubblici
alle competenze, dalla formazione all’accesso alla
professione.
Dobbiamo pretendere dalle istituzioni locali e
nazionali risposte adeguate ai problemi concreti
della professione, dall’emergenza finanziaria alla
sottoccupazione giovanile, dalla trasparenza
degli incarichi alle diverse aberrazioni presenti
nel mercato della progettazione.
Il lavoro da fare è indubbiamente lungo ed il
ritardo accumulato dal nostro Paese enorme.
Sarà, penso, la generazione che oggi si affaccia
nella professione a poter cogliere i frutti
dell’ambiziosa sfida che abbiamo iniziato, se, e
solo se, chi guiderà l’Ordine nei prossimi anni
avrà la consapevolezza e l’ostinazione di
proseguire per questa strada.
Oggi possiamo solo consegnare quanto abbiamo
costruito in questi anni nelle mani degli architetti
romani indicando quella che crediamo sia la
direzione giusta.
7
60/05
R E S T A U R O
a cura di Giovanni Carbonara e Alessandro Pergoli Campanelli
Tempio-cattedrale
a Pozzuoli
Alessandro Pergoli Campanelli
Gli esiti di un concorso
internazionale per il
restauro di un
importante complesso
monumentale.
Un confronto
esemplare anche per
la contemporanea
presenza di quasi tutti
gli esponenti dei
principali orientamenti
attuali, teorici e
operativi, del restauro
in Italia.
I
n questo numero della rubrica si è
scelto di presentare ai colleghi romani
gli esiti di un importante concorso internazionale di progettazione, promosso dalla Regione Campania nel 2003,
per il restauro del complesso monumentale tempio-cattedrale dell’acropoli di Pozzuoli, meglio nota come Rione Terra.
S’è ritenuto, infatti, di voler dare particolare risalto a questa iniziativa che, per una
serie fortunata di circostanze, rappresenta
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un evento eccezionale nel variegato panorama del restauro architettonico italiano.
La stessa volontà della Regione Campania
di procedere ad una competizione internazionale per trovare la migliore soluzione di restauro e, al tempo stesso, di valorizzazione, che restituisse all’uso quotidiano un importante complesso monumentale, rappresenta di per sé una circostanza singolare e meritevole di nota.
L’Ordine di Roma si è da lungo tempo
R E S T A U R O
battuto, infatti, per promuovere un sempre maggiore ricorso ai concorsi di progettazione. L’alta qualità delle proposte
presentate ha dimostrato, in questo caso,
se mai ve ne fosse bisogno, come anche
nel progettare un delicato intervento di
restauro si possa ricorrere con vantaggio a
tale sistema.
Gran parte del merito va al committente
(oltre che, ovviamente, ai singoli partecipanti) il quale, attraverso un bando rigorosamente attento alle complesse problematiche del monumento, ha selezionato,
in due successive fasi, i gruppi invitati alla
seconda fase privilegiando criteri autenticamente culturali e non economici né di
mero fatturato. La speranza è che questo
modello virtuoso serva di stimolo e d’esempio per altri futuri interventi analoghi. Il tema stesso del concorso già in sé
meriterebbe di essere attentamente studiato, anche solo per la grande complessità dello stato attuale del monumento (una
cattedrale barocca costruita su di un antico tempio romano, con consistenti parti
di restauro realizzate negli scorsi anni Sessanta e Settanta dall’architetto Ezio De
Felice, all’interno di una ricca area ar-
cheologica) e per l’apparente incompatibilità delle richieste di progetto individuate nel bando (la cattedrale, in parte demolita, dovrà tornare a svolgere le proprie
funzioni di culto e contemporaneamente
è richiesta la valorizzazione del tempio antico che, reso nuovamente leggibile, sarà
fruibile all’interno dei percorsi archeologici). Se tutto questo non bastasse ad
esprimere un compendio di quanto di più
difficile possa presentarsi in un progetto
di restauro architettonico basti ricordare
che tutta l’area è soggetta a frequenti e pericolosi fenomeni sismici e bradisismici.
Il carattere esemplare di questo concorso è
poi completato dalla contemporanea presenza, all’interno dei gruppi invitati a partecipare alla fase finale del concorso, di
quasi tutti gli esponenti dei principali
orientamenti attuali, teorici e operativi,
del restauro in Italia. Se infatti, nella relazione introduttiva al bando, curata da Giovanni Carbonara, sono espressi con chiarezza i principi dell’attuale approccio “critico-conservativo” al tema del restauro, allo stesso tempo, ovviamente, si è garantita
la massima apertura ai più diversi e autorevoli orientamenti in materia. Da qui, ad
esempio, la partecipazione, da una parte,
di Marco Dezzi Bardeschi, assertore di una
linea rigorosamente conservativa, dunque
di assoluto rispetto della ‘materia’ antica
dell’opera e della sua complessa stratificazione storica, dall’altra di Paolo Marconi,
fautore d’una linea di restauro definibile in
termini di “manutenzione-ripristino” che,
in qualche modo, privilegia l’apprezzamento estetico del monumento e la sua
formulazione architettonica originaria.
Partendo da tali precedenti lo scopo è qui
di dimostrare, grazie all’esame d’un caso
reale di studio, come ogni intervento di
restauro, pur dovendo necessariamente
sottostare ad una serie di precise limitazioni (che, seppur particolari, possono
sempre ricomprendersi fra le premesse di
lavoro d’ogni progetto) e contare sull’indispensabile presenza d’operatori dotati
di specifiche competenze (come del resto
è sempre richiesto in ogni altro tipo d’intervento architettonico dotato d’una pur
minima complessità) non sia altro, alla fine dei conti, che sempre un tema di vera e
propria progettazione architettonica, anche se di natura molto ardua e complessa.
Ne deriva come anche ogni intervento
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60/05
R E S T A U R O
ascrivibile alla sfera della tutela e della
conservazione dei beni architettonici,
proprio per il suo fondamentale carattere
“progettuale” rappresenti, nel migliore
dei casi, una fra le tante ipotesi possibili e
corrette e non mai l’unica inequivocabilmente ‘giusta’, come troppo spesso si vorrebbe far credere nel tentativo di ricondurre l’intervento sui monumenti, o più in generale sui cosiddetti beni culturali, sotto
l’egida ‘scientifica’ ed esclusiva di pretesi
specialismi. Un rapido esame delle proposte presentate, che fra loro sono molto diverse, nonostante siano tutte espressione
del lavoro di gruppi interdisciplinari composti da eminenti studiosi della disciplina
e da professionisti che hanno al loro attivo
numerosi lavori riconducibili al settore del
restauro, ne dovrebbe costituire la dimostrazione più evidente.
Una simile esposizione è necessariamente
estesa, perché rivolta a documentare non
il solo progetto vincitore che ha, come s’è
detto, numerose valide alternative ma, in
sostanza, lo stato complessivo del restauro
architettonico in Italia, proprio attraverso
10
60/05
il confronto diretto fra i progetti dei dodici gruppi ammessi alla seconda fase.
In sintesi il monumento è composto, come s’è accennato, da un tempio romano
d’età augustea sul quale, a seguito di successivi adattamenti e stratificazioni, è sorta un’importante cattedrale barocca. Il
tempio antico, adattato a chiesa (in forma
sostanzialmente rispettosa) almeno sin
dal medioevo, rimase visibile sino al 1632
quando la nuova sistemazione della cattedrale inglobò l’antica struttura sotto decori e stucchi barocchi. Il tempio romano
tuttavia sopravvisse, almeno parzialmente, all’interno delle nuove strutture ma
tornò alla vista solo nel 1964 quando, un
violento incendio causò il crollo di alcune
murature, la distruzione del tetto e di
buona parte dei rivestimenti della chiesa
barocca. L’intera costruzione si leva su di
un alto podio identificato con un primitivo capitolium di età repubblicana.
Il successivo intervento di restauro, inoltre, si diresse principalmente in senso archeologico, anche a scapito di molte porzioni residue dell’insieme barocco che
vennero demolite. Si procedette quindi ad
un primo consolidamento del tempio con
l’inserimento di elementi in ferro (nelle
basi, nelle colonne, nei capitelli e nella trabeazione) e la realizzazione di una soletta
d’appoggio in cemento armato su micropali. Particolarmente interessanti, anche
sotto il profilo estetico, sono le reintegrazioni in cemento dei fusti delle colonne.
Per la temporanea protezione del tempio
fu poi realizzata una copertura metallica.
I lavori furono sospesi nel 1972. Successivamente, nuovi scavi archeologici hanno
restituito numerosi frammenti riconducibili al tempio romano; ma di essi non sempre si è riusciti ad individuare con assoluta
certezza la loro collocazione originaria.
Il concorso, e quindi l’intero intervento di
restauro, è stato motivato, oltre che dall’urgenza di porre fine a un pericoloso stato di abbandono del complesso, anche
dalla volontà, insieme culturale e politica,
di ripopolare e valorizzare il Rione Terra,
quasi interamente abbandonato dopo il
terremoto degli anni Settanta. Una prima
fase di opere già realizzate a tal proposito è
R E S T A U R O
visibile nei percorsi archeologici progettati dal gruppo Gnosis e illustrate da Alessandro Castagnaro nel numero 53 di “AR”
proprio all’interno di questa rubrica.
In considerazione di tanto numerose e
complesse problematiche il concorso richiedeva, come requisito principale, la
composizione di un ampio e qualificato
gruppo interdisciplinare costituito almeno da un archeologo, uno storico dell’architettura rinascimentale e barocca, un liturgista, un architetto specializzato in restauro dei monumenti, uno strutturista,
un impiantista, oltre ovviamente al capogruppo architetto insieme con gli altri
eventuali progettisti. In particolare, poi,
la relazione d’apertura del bando ricapitola, sinteticamente, quei basilari princìpiguida dell’intervento che dovrebbero ormai considerarsi generalmente acquisiti,
almeno in Italia, nella moderna teoria del
restauro scientifico, quali la subordinazione dell’intera opera alla migliore conservazione del monumento, il criterio del
“minimo intervento” e del rispetto dell’autenticità dell’opera; la reversibilità, al-
meno potenziale, la distinguibilità, l’attualità espressiva e la compatibilità fisicochimica e figurativa, delle nuove aggiunte; il rispetto delle stratificazioni, come
anche delle testimonianze cosiddette “minori”. Orientata in modo leggermente diverso si presenta invece la relazione archeologica di Giuliana Cavalieri Manasse, anch’essa parte integrante del bando,
quando suggerisce un “ripristino” per “linee essenziali della costruzione antica”,
immaginato, in qualche modo, come indipendente dalle complesse stratificazioni
successive, sovente di qualità e, comunque, d’indubbio valore storico. Si tratta di
un tema, insomma, difficile, il quale evidenzia la difficoltà di operare scelte coerenti e guidate da principi ispiratori spesso in conflitto fra loro.
Il primo premio (consistente in 100.000
euro e nell’incarico di predisporre il progetto definitivo) è stato assegnato al gruppo Elogio del palinsesto, capogruppo Marco Dezzi Bardeschi; il secondo premio
(consistente in 60.000 euro) è stato aggiudicato al gruppo avente come motto In
cielo e in terra, capogruppo Guido Batocchioni; il terzo premio (di 45.000 euro) è
stato assegnato al gruppo avente per motto Est modus in rebus, capogruppo Luca
Zevi. Gli altri nove gruppi invitati alla seconda fase del concorso sono, in semplice
ordine alfabetico, quelli aventi per motto:
Genius loci capogruppo Alessandro Anselmi, Dulce ad summas emergere opes capogruppo Corrado Bozzoni, Facemmo ali al
folle volo capogruppo Stella Casiello, Tertium quid capogruppo David Chipperfield, Vino nuovo in otri nuovi capogruppo
Vincenzo Corvino, Ludus absentiae et presentiae capogruppo Pasquale Culotta, Retenta ad memoriam vetustatis capogruppo
Donatella Fiorani, Tempio e cattedrale
Compositio oppositorum capogruppo Paolo Marconi, Avendo cura capogruppo Tobia Scarpa.
Nelle pagine seguenti la parola ai singoli
gruppi, preceduti dal bando di concorso.
11
60/05
R E S T A U R O
IL BANDO DI
CONCORSO
RIONE TERRA DI POZZUOLI.
PROGETTAZIONE DEL RESTAURO
DEL TEMPIO-DUOMO
(Stralci)
Art. 1 - Ente banditore
Presidente della Regione Campania
(omissis)
tanto interna quanto esterna. Ciò per mezzo
di un’attenta opera di restauro e di un accorto ripensamento degli spazi, dei livelli e
degli accessi. Particolare attenzione sarà riservata agli accorgimenti per il superamento delle barriere architettoniche e per la piena fruizione, in sicurezza, del monumento;
inoltre alle relazioni ed alle modalità di collegamento del monumento stesso con gli
ambienti edificati circostanti e sottostanti e
con l’ambiente urbano ed archeologico nel
cui tessuto esso insiste. Informazioni generali ed immagini sul tema di progetto, sul
luogo e sul monumento sono pubblicate sul
sito www.acmaweb.com/concorso-pozzuoli/ e www.regione.campania.it
Art. 2 - Responsabile del procedimento e
segreteria
Responsabile del procedimento:
arch. Anna Gianfrano, funzionario Regione Campania.
Segreteria tecnica e amministrativa:
presso la Struttura dell’Ente Banditore.
Società di supporto ai servizi:
ACMA Centro Italiano di Architettura - Milano.
Art. 3 - Programmatore
Prof. Giovanni Carbonara, Direttore della
Scuola di Specializzazione in Restauro dei
Monumenti dell’Università degli Studi di
Roma La Sapienza.
Art. 4 - Oggetto del concorso
Progettazione preliminare del restauro del
tempio romano sito sull’acropoli di Pozzuoli denominata Rione Terra, costituente,
a seguito di adattamenti successivi, la
Chiesa Cattedrale di Pozzuoli; il monumento è ubicato in area di particolarissimo
interesse storico-archeologico, oggetto di
complessivo recupero in atto, in regime di
concessione, ad opera del Consorzio Rione Terra di Pozzuoli. (omissis)
Art. 5 - Esigenze della stazione banditrice
Restauro del monumento, nel rispetto della
sua duplice odierna valenza e funzione:
archeologica e di culto; sua valorizzazione nella cornice storico-archeologica e
paesaggistica in cui è inserito; individuazione e progettazione dei percorsi di accesso e di visita; il tutto in coerenza con gli
studi preliminari e con la documentazione
preprogettuale che sarà fornita ai progettisti prequalificati. L’intento è quello di restituire il monumento alla sua storia ed alla
città, rendendolo comprensibile e fruibile,
incrementandone la conoscenza e agendo
sulla sua conformazione e presentazione,
12
60/05
Art. 6 - Tipo di concorso
Concorso ad inviti per la progettazione preliminare del Restauro del Tempio-Cattedrale
del Rione Terra di Pozzuoli, con spunti ed
approfondimenti verso il livello progettuale
definitivo; al vincitore sarà affidato l’incarico di elaborazione del progetto definitivo,
comprensivo del controllo della rispondenza artistica dei lavori al progetto esecutivo,
che sarà redatto dal concessionario di costruzione.
Art. 7 - Procedura di aggiudicazione e
principali riferimenti normativi
Procedura ristretta di licitazione privata previa preselezione dei concorrenti da invitare
(omissis)
Art. 8 - Soggetti ammissibili alla fase di
prequalificazione
Professionisti cittadini dell’Unione Europea in
possesso dei titoli contenuti nella Direttiva
85/384/CEE (omissis). I professionisti che
intendono partecipare dovranno formare un
gruppo interdisciplinare altamente specializzato sul tema; in particolare, il gruppo, oltre
al professionista architetto capogruppo, dovrà comprendere almeno le seguenti figure:
- un archeologo o uno storico dell’architettura antica e medioevale con curriculum
scientifico comprendente studi su comples-
si di età greco-romana (anche come consulente);
- uno storico dell’architettura rinascimentale
e barocca oppure uno storico dell’architettura religiosa dell’Occidente cristiano (anche come consulente);
- un liturgista (anche come consulente);
- un architetto che abbia conseguito il diploma post-universitario di Specialista in restauro dei Monumenti;
- un ingegnere o architetto strutturista con
esperienze pluriennali nel campo del consolidamento dei beni architettonici (anche
come consulente);
- un ingegnere o architetto impiantista con
esperienza pluriennale nel settore dei beni
architettonici (anche come consulente);
- un restauratore, specializzato in marmi e
affreschi, formatosi presso istituti superiori
di restauro (anche come consulente). A tutti i componenti del gruppo interdisciplinare è riconosciuta la paternità del progetto;
nella domanda di partecipazione, dovrà
essere sottoscritta espressa delega al capogruppo a rappresentare nei confronti
dell’ente banditore; in caso di vittoria il capogruppo sarà destinatario dell’incarico
di direttore artistico dei lavori.
Art. 9 - Incompatibilità
(omissis)
Art. 10 - Termine e modalità di presentazione delle domande di partecipazione alla prequalificazione
(omissis)
Art. 11 - Quesiti e chiarimenti
(omissis)
Art. 12 - Contenuto della domanda, dichiarazioni obbligatorie, documentazione
(omissis)
Art. 13 - Commissione di prequalificazione
Componenti effettivi:
Presidente della Commissione giudicatrice:
Prof. Arch. Dieter Mertens, Direttore dell’Isti-
R E S T A U R O
tuto Archeologico Germanico Roma.
Componenti:
Programmatore: Prof. Arch. Giovanni Carbonara, Direttore della Scuola di Specializzazione in Restauro dei Monumenti dell’Università degli studi di Roma La Sapienza;
Rappresentante Regionale: Prof. Arch. Benedetto Gravagnuolo, Preside della Facoltà
di architettura dell’Università degli Studi Federico II Napoli; Soprintendente per i Beni
Archeologici di Napoli e Caserta Arch. Fausto Zevi; Soprintendente per i Beni Architettonici ed il Paesaggio e per il Patrimonio Storico, Artistico e Demoetnoantropologico di
Napoli e Provincia, Arch. Enrico Guglielmo.
(omissis)
Art. 14 - Criteri e termini di selezione per la
prequalificazione
- natura e competenze specifiche del gruppo interdisciplinare;
- sua qualificazione scientifica;
- esperienze pregresse nello specifico campo del restauro architettonico e archeologico, ed in riferimento ai temi di archeologia urbana e dell’adeguamento liturgico
di beni culturali ecclesiastici.
- valutazione della relazione di intenti di cui
all’art.12.
La commissione concluderà i suoi lavori entro il 15 (quindici) dicembre 2003.
Art. 15 - Numero massimo di concorrenti
prequalificabili
Dodici (12).
Art. 16 - Validità dei requisiti
(omissis)
Art. 17 - Documentazione di base per il
progetto
(omissis)
Art. 18 - Anonimato dei concorrenti
(omissis)
Art. 19 - Elaborati richiesti
(omissis)
Art. 20 - Termine di presentazione
(omissis)
Art. 21 - Commissione giudicatrice
Componenti effettivi:
Presidente Prof. Arch. Cesare De Seta, Italia, Facoltà di Architettura dell’Università
degli Studi Federico II, Napoli.
Componenti:
Arch. Roberto Cecchi, Italia - Direttore della
Direzione Generale Beni Architettonici e
Paesaggio. Ministero Beni Culturali - Roma;
Prof. Arch. Salvatore Di Pasquale, Italia Professore Ordinario in Scienze delle Costruzioni della Facoltà di Architettura di Firenze;
Arch. Manolis Korre’s, Grecia - Direttore del
cantiere di restauro dell’Acropoli di Atene;
Prof. Arch. Dieter Mertens, Germania - Direttore dell’Istituto Archeologico Germanico
di Roma;
Arch. Corrado Bucci Morichi, Italia - già
Ispettore Generale del Ministero per i Beni
Culturali - Roma;
Prof. Arch. Mario Docci, Italia - (omissis)
Art. 22 - Criteri e metodi di valutazione
La valutazione terrà conto per il 15% del costo stimato per la realizzazione del progetto
e per l’85% della qualità scientifica ed architettonica del progetto e della sua rispondenza ai principi del restauro. In particolare, saranno considerati i seguenti criteri progettuali, alla luce dell’intento esplicitato all’art. 5:
- la distinguibilità, non ostentata ma riconoscibile a vista, del moderno intervento di
restauro o di reintegrazione condotto sul
monumento. Essa riguarda la scelta dei
materiali e delle forme dell’intervento;
- l’attenzione al senso del luogo, che si
esprime nel riconoscere i caratteri culturali
che connotano il monumento ed il sito sotto il profilo paesaggistico, simbolico, tipologico, morfologico, costruttivo ed urbanistico;
- il pieno rispetto della preesistenza archeologica e rinascimentale-barocca, tramite
l’accoglimento del criterio del “minimo intervento”, della “compatibilità” fisico-chimica e della, almeno potenziale, “reversibilità” delle opere conservative, tecnologiche, strutturali e di adeguamento funzionale, sì da garantire la minore invasività e la
possibilità di correzioni o di modifiche future senza danno per l’antico monumento.
Art. 23 - Aggiudicazione
La commissione concluderà i suoi lavori entro il 17 (diciassette) luglio 2004.
Al gruppo vincitore l’Ente banditore corrisponderà l’onorario per la progettazione
preliminare nella misura di Euro 100.000,
00 (euro centomila/00).
Al medesimo gruppo sarà conferito l’incarico dell’elaborazione del progetto definitivo
comprensivo del controllo della rispondenza artistica dei lavori del progetto esecutivo.
Detto incarico sarà remunerato in base alla
vigente tariffa professionale degli Ingegneri
ed Architetti, a cui si applica la decurtazione del 20% così come previsto dall’art. 12
bis della L. 155/89, in caso di lavori pubblici, per il progetto definitivo con la maggiorazione del 10%, sul compenso base, per la
direzione artistica.
Al secondo e al terzo classificato, saranno
corrisposti i premi rispettivamente di Euro
60.000,00 (euro sessantamila/00) ed Euro
45.000,00 (euro quarantacinquemila/00).
A titolo di rimborso spese sarà corrisposta la
cifra di Euro 15.000,00 (euro quindicimila/00), ai rimanenti gruppi non premiati. Il
giudizio della Commissione à vincolante
per l’Ente banditore.
Art. 24 - Pubblicazioni e menzioni
(omissis)
Art. 25 - Proprietà dei progetti - Ritiro di
quelli non vincitori
(omissis)
13
60/05
R E S T A U R O
ELOGIO
DEL PALINSESTO
Capogruppo
MARCO DEZZI BARDESCHI
Progettisti
FRANCESCO BUONFANTINO
ALESSANDRO CASTAGNARO
RENATO DE FUSCO
ANTONIO DE MARTINO
LAURA GIOENI
ROSSELLA TRAVERSARI
Consulenti
ALESSANDRA G. ANGELONI
MARIO BENCIVENNI
FULVIO CAPTANO
GIOVANNI COPPOLA
SABINO GIOVANNONI
MONSIGNOR U. GRAZIOSO
GIAMPIERO MARTUSCELLI
GIORGIO PICCONATO
FURIO SACCHI
DOMENICO TRISCIUOGLIO
FERDINANDO ZACCHEO
Collaboratori
MARZIA DEZZI BARDESCHI
CARLA CELESTINO
FEDERICA DE STEFANO
ROSANNA PANDOLFO
IL PROGETTO
Il progetto è stato sviluppato su un’approfondita analisi dei luoghi e delle preesistenze da cui è scaturita una prima sintesi
conoscitiva che rispetta le istanze di tipo
archeologico e liturgico. Tutto il problema della fabbrica ubicata nel Rione Terra
di Pozzuoli ha presentato una catena di
fenomeni dualistici: classicismo/barocco;
tempio pagano/chiesa; isolamento/stratificazione; archeologia/liturgia; distinzione/separatezza; navata/presbiterio, ecc.
Questi binomi sono la chiave che meglio
illustra il nostro progetto. Non é da escludere che, fra i tanti e ben noti accorgimenti proporzionali e ottico-percettivi
trovati in età classica, vi sia stata anche
l’intuizione di estrema «trasparenza» quasi da vetro, pluridirezionalità e polivalenza esterna/interna generata dall’iterazione
dell’elemento colonna. Cosicché possiamo dire che colonnato significa al tempo
stesso apertura e chiusura, delimitazione
ed invito, parte dell’invaso e parte dell’involucro. Planimetricamente lo spazio
dell’antico pronao è stato annesso alla navata unica della chiesa che ha acquistato
maggiore lunghezza, mentre i colonnati
laterali sono stati chiusi con elementi in
cristallo strutturale. Nel trasformare il
tempio in navata di chiesa e nel ridurre al
solo presbiterio la gran parte del rudere
barocco, è stato necessario raccordare il
piano della fabbrica classica al livello di
quella moderna. Tale raccordo, comportando in buona parte l’elevazione del pavimento, è motivato altresì dal fatto che,
al di sotto del tempio augusteo, sopravvivono i resti del podio dell’edificio di età
repubblicana, identificato con il capitolium della colonia romana del 194 a.C.
Così, da un lato si ottiene la valorizzazio-
R E S T A U R O
ne e la più adeguata fruizione del Capitolium, dall’altro viene dato maggiore spazio al percorso archeologico sottostante.
Peraltro l’innalzamento del piano rispetto
alla quota del precedente restauro curato
da Ezio De Felice, fa sì che l’invaso interno del tempio riacquisti la sua originaria
conformazione spaziale. Alla copertura,
realizzata nel precedente restauro, consistente in un tetto a doppia falda sostenuto
da capriate metalliche, è stato applicato
un intradosso piano cassettonato che restituisce l’originaria soffittatura e l’intera
volumetria dello spazio interno. È ben vero che un unico grande invaso è racchiuso
da un unico grande involucro, ma quest’ultimo conserva per così dire delle preziose aggiunte. È il caso della ex sacrestia
che cambia destinazione d’uso: al suo interno si prevede una scala per raggiungere
i sottostanti percorsi archeologici ricchi di
reperti e lungo la quale si possono collocare reperti museali liturgici. Nella nuova
conformazione si è tentato di realizzare un
segno forte che va individuato nel tentativo di isolare l’intero organismo descritto
dalle costruzioni circostanti, così da far
prevalere “l’atopia” del monumento più
antico. Tuttavia il segno forte va meglio individuato nella conformazione stessa dell’organismo rinnovato.
Il campanile, per una città che oggi è purtroppo ormai molto lontana dalla sua Cattedrale, deve essere alto ed ubicato nella
posizione più emergente del contesto, affinché possa essere visto da lontano ed il
suono delle sue tre storiche campane possa
essere agevolmente udito dalla città bassa
(e dalla Curia).
R E S T A U R O
IN CIELO
E IN TERRA
Capogruppo
GUIDO BATOCCHIONI
Progettazione
LAURA ROMAGNOLI
architetto, progettista esperta in tutela,
conservazione, valorizzazione dei
monumenti
FILIPPO COARELLI
archeologo, professore, esperto per
l’architettura greco-romana
MARCELLO FAGIOLO
storico dell’arte, professore, esperto per
l’architettura rinascimentale e barocca
MONSIGNORE ALFREDO DI STEFANO
liturgista, consulente per l’adeguamento
liturgico
ROSSANA MANCINI
architetto, diplomata specialista
in restauro dei monumenti
GIUSEPPE TOSTI
ingegnere, esperto in restauro e
consolidamento delle murature
FRANCESCO BIANCHI
architetto, esperto per gli impianti
tecnici di servizio
MOHAMMAD MIRZABEYK TORKAMAN
architetto, esperto nel restauro dei
materiali
FEDERICO MARAZZI
archeologo, esperto in architettura
medievale
CARLO COPPOLA
architetto, esperto in restauro e
recupero urbano
ANGELA IADEVAIA
architetto, esperto in restauro e
recupero urbano
MARIA CEROVAZ
architetto, consulente per la
documentazione e valorizzazione delle
strutture archeologiche
Consulenti e collaboratori
ANDREA MARCHI
GIANCARLO MICHELI
PAOLO CIANCIO
GIOVANNA ESPOSITO
GIAMPIERO BOLLETTI
OSCAR SANTILLI
CHRISTINE SIMET
MARCO ANASTASI (sculture)
MARCO GALOFARO (plastico)
GIANCARLO VERZILLI (grafica
tridimensionale)
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60/05
IL PROGETTO
Nel progettare il restauro del Tempio
Duomo di Pozzuoli si è inteso recuperare,
in linea prioritaria, la struttura di un racconto dal senso compiuto e trasmissibile;
l’intervento, dunque, si propone di ristabilire l’unità d’immagine affidando alle
forme e ai materiali delle integrazioni il
compito di una nuova configurazione
dell’intero complesso monumentale.
La copertura è stata concepita e sviluppa-
ta proprio per raccogliere il massimo sviluppo del volume edilizio sotto un’unica
superficie continua. La sua morbida modellazione evoca le forme originali sottostanti: tetto a spioventi del tempio e volta
barocca dell’abside, sono fusi in una superficie continua “sensibile” alla presenza
delle architetture ad essa sottoposte, leggibili come impronte. In modo analogo, a
terra, lungo tutto lo sviluppo longitudinale, piani di raccordo e corrugazioni col-
legano i livelli di calpestio delle varie fasi
di frequentazione consentendo, a queste
stesse, di convivere in un percorso unitario che presenta, in metafora, il passaggio
del tempo.
Nella ricerca di un equilibrio tra il recupero della funzione religiosa e la conservazione e fruizione delle strutture antiche, il
progetto propone una lettura il più possibile corretta ed estesa della spazialità e dei
caratteri architettonici del tempio roma-
no. Il pronao, ad esempio, è riproposto
come spazio aperto e coperto, accessibile a
tutti; luogo di musealizzazione in situ dei
reperti più significativi, così ricontestualizzati, e, al tempo stesso, atrio e sagrato
della chiesa.
Una ricca articolazione degli spazi esterni
e dei percorsi, infine, oltre a garantire una
comoda accessibilità, propone la riconnessione del sito nel contesto urbano in
chiave di una rinnovata centralità.
R E S T A U R O
EST MODUS
IN REBUS
Capogruppo
ARCH. LUCA ZEVI
Componenti
ARCH. PATRIZIA BARUCCO, spec.
PROF.ARCH. ARNALDO BRUSCHI
storico dell’architettura
ARCH.
AGOSTINO BURECA
restauratore
PROF.
ARCH.PAOLO FANCELLI
sorico-restauratore
DON VINCENZO GATTI
liturgista
DOTT.
GIUSEPPE MESOLELLA
archeologo
PROF.ING.
strutturista
PROF.
ANTONIO MARIA MICHETTI
FRANCESCO NEGRI ARNOLDI
storico dell’arte
ING.
ANTONINO PAPASERGIO
impiantista
DOTT.
MARINA PENNINI
DOTT.
CLAUDIA VALERI
restauratrice
archeologa
ARCH. FABRIZIO
VESCOVO
esperto in barriere architettoniche
PROF. FAUSTO
archeologo
DOTT.
ZEVI
SAVERIO ZINZI
scultore
Collaboratori
ARCH. FLAVIA BRENCI, spec. e dott.nda
ARCH. VALERIA CASELLA, spec.nda
ARCH. GIULIA CHEMOLLI, spec.nda
ARCH. PIETRO DAVID, spec.ndo
ARCH. LUCA DELLA SANTA, spec.ndo
ARCH. ALESSANDRA INCARNATI, spec.nda
ARCH. LORENZO MATTONE, spec.ndo
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60/05
IL PROGETTO
Riproposizione di un grande invaso unitario, da un lato e valorizzazione del carattere di sofferto palinsesto che presenta oggi il manufatto, dall’altro, sono i motivi
ispiratori del progetto.
La riunificazione è attuata attraverso l’introduzione di un piano di calpestio, che
ripropone l’antica quota del Tempio, ma
soltanto in corrispondenza del pronao, reso spazio chiesastico-museale interno da
grandi pareti vitree, che arretrano rispetto
alle colonne perimetrali, incurvandosi in
ragione di queste. Al piano stesso si accede, superando i lacerti conservati della
facciata della vecchia Cattedrale, attraverso una scalea, allusiva a quella templare,
lungo la quale prendono forma, in negativo, le sagome delle colonne scomparse. A
partire dalla linea di ingresso alla cella, il
pavimento, a connessione fra i diversi livelli, antico (più alto) e moderno, presenta una leggera pendenza, in discesa, fino
alla zona dell’altare, mantenuto e restaurato con i minimi adattamenti richiesti
dalla liturgia post-conciliare.
Un tetto a capriate che ripropone, in chiave contemporanea, l’antica spazialità,
protegge l’area del tempio. Al di qua e al di
là di questa – in corrispondenza della zona della facciata e della fascia di distacco
fra Tempio e presbiterio – due brevi volumi più alti, con copertura piana, recepiscono e sottolineano drammaticamente le
forti cesure fra i due grandi protagonisti
della storia di questo manufatto.
Conservazione scrupolosa delle tormentate testimonianze del tempo e dell’opera
degli uomini, dunque. E, contemporaneamente, proposizione di un nuovo ciclo di vita per questo prezioso monumento. Il nuovo setto di facciata, realizzato in
grandi lastre marmoree e distaccato dal
prospetto preesistente (onde consentirne
la percezione), rappresenta emblematicamente, assieme ai due “volumi-cerniera”,
un originale approccio alla conservazione. Ove si coniuga il rispetto rigoroso dell’esistente con un’espressione misurata,
ma schiettamente moderna, degli interventi necessari a prefigurare una nuova
stagione dell’edificio.
R E S T A U R O
60/05
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R E S T A U R O
GENIUS
LOCI
Capogruppo
ARCH. ALESSANDRO ANSELMI
MAURA MEDRI
archeologa
MARIO MANIERI ELIA
storico dell’architettura rinascimentale
e barocca
STEFANO GIZZI
architetto esperto in restauro
dei monumenti
CARLA GIOVANNONE
restauratrice
FRANCESCO CELLINI
progettista
LUDOVICA DI FALCO
progettista
GIOVANNI MANIERI ELIA
progettista
FRANCESCO MARINELLI
progettista
PAOLO MEZZALAMA
progettista
FABIO BRANCALEONI
ingegnere strutturista
MARIA MARGARITA SEGARRA LAGUNES
restauratrice
ALESSANDRA CENTRONI
architetto specializzato in restauro
dei monumenti
Consulenti e collaboratori
PADRE GIACOMO GRASSO
liturgista, consulente
JOSÉ LUIS GONZALEZ MORENO NAVARRO
architetto strutturista, consulente
BRUNO MACCHIAROLI
ingegnere impiantista, consulente
DANIELA MANACORDA
consulente
EUGENIA BENELLI
collaboratore
VALERIA MEROLA
collaboratore
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60/05
IL PROGETTO
L’ affascinante palinsesto archeologico e
architettonico del Duomo di Pozzuoli è il
prezioso documento/monumento della
storia di un luogo da sempre segnato da
una condizione di instabilità, il cui genius
loci è e resta quello del mutamento radicale e improvviso.
Il luogo oggi ci offre la messa in scena dello scontro tra due mondi: quello del trilite e quello del continuo murario che raggiunge, con il manierismo e il barocco, la
massima enfasi. Due mondi tra i quali i
responsabili del restauro eseguito dopo
l’incendio del 1964 hanno decisamente
fatto la loro scelta antibarocca.
La contemporaneità, invece, chiedendo il
ritorno della Cattedrale, sembra suggerire
il recupero dello spazio barocco.
E l’idea formale/strutturale di un involucro architettonico esterno al tempio, posto in relazione con le preesistenze seicentesche, poteva considerarsi la più vicina al
senso acquisito dal monumento nel suo
processo evolutivo.
Tale scelta ha proposto un unico involu-
cro, costituito da una struttura bidimensionale avvolgente, piana, interrotta,
aperta, di cui: la fiancata occidentale sorge dalle fondamenta storiche, richiamando il perimetro barocco a cappelle; il piano di copertura si stende a proteggere, in
forma contemporanea, il palinsesto delle
preesistenze, mantenendo lo scarto di
quota che segna le due principali fasi epocali e, sporgendosi al di sopra della faccia
orientale, lascia scoperto il colonnato
marmoreo rimasto, da sempre, a dialogare con il contesto insediativo. A chiudere
lo spazio cultuale alle spalle del colonnato, corre una vetrata portante, che scarica
completamente su se stessa il peso della
copertura. Le facce terminali, anteriore
(verso il mare) e posteriore (absidale),
mantengono, invece, per quanto possibile l’assetto barocco ripristinato e in particolare, nella prima viene proposto il tema
della doppia facciata, inserendo una parete portante di marmo scuro che delimita il
vano ecclesiale e fa da fondale alla facciata
barocca restaurata ‘a rudere’.
R E S T A U R O
60/05
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R E S T A U R O
DULCE AD SUMMAS
EMERGERE OPES
Capogruppo
ARCH. CORRADO BOZZONI
ARCH.
AUGUSTA CYRILLO GOMES
GAETANA CANTONE
ING. LUIGI CONTE
ARCH. FABRIZIO DE CESARIS
ARCH. ALESSANDRO VISCOGLIOSI
ARCH. ALBERTO WHITE
ARCH.
Consulenti
PROF. EUGENIO LA ROCCA
PROF. MANLIO SODI
ARCH. LUCIA BARATA
PAOLA COGHI (restauratrice)
IL PROGETTO
Il restauro è stato affrontato nell’ottica
della duplice polarità, archeologica e religiosa, insita nel tema. La complessità delle fasi storiche presenti, incluse quelle rappresentate dall’incendio e dai lavori conseguenti, imponeva innanzitutto la valutazione della “qualità” dei singoli elementi ai fini della loro valorizzazione, rimozione o modificazione, nell’evidenza di
trovarsi di fronte a un aggregato di parti
ricche e meno ricche di valori artistici e
storici, più o meno trasformate nel tempo. Da queste premesse discendono le opzioni che hanno orientato la proposta:
prima tra queste, conseguente al riconoscimento del massimo valore storico e architettonico da attribuire oggi al tempio
romano e al recupero della sua originaria
spazialità, la ricostituzione del livello pavimentale augusteo e successivamente l’estensione della medesima quota di calpestio al “coro-presbiterio barocco” (forte-
mente compromesso nei suoi originari
valori architettonici anche riguardo alla
copertura), allo scopo di ottenere la continuità spaziale e funzionale di aula e presbiterio e la continuità liturgica assemblea-altare-cattedra episcopale. Viceversa
l’originaria “cappella maggiore” e l’altare
barocco appaiono recuperabili con la
reintegrazione delle parti mancanti, imponendo ovviamente di mantenere, per lo
spazio relativo, il livello esistente; il vano,
separato dal nuovo presbiterio, assumerà
le funzioni di “cappella feriale”. Infine, allo scopo di restituire al tempio augusteo il
valore simbolico e riassuntivo che gli è attribuito in tutte le rappresentazioni antiche, ma lungi dal riproporre una determinata fase storica del monumento, è sembrato opportuno frazionare i volumi presbiteriali, presentandone le singole coperture in forma estradossata, in modo da ottenere un nuovo, calibrato, inserimento
del complesso nel contesto ambientale.
R E S T A U R O
FACEMMO ALI
AL FOLLE VOLO
Capogruppo
PROF. ARCH. STELLA CASIELLO
PROF. ARCH.
FRANCESCO LA REGINA
PROF. ARCH.
EUGENIO VASSALLO
PROF. ARCH.
CARLO BLASI
progettista, specializzato in restauro
dei monumenti
progettista, specializzato in restauro
dei monumenti
progettista strutturista
ING.
ANGELO PUORTO
DON
FRANCESCO IANNONE
progettista impiantista
liturgista, consulente
PROF. ARCH.
PAOLO MORACHIELLO
storico dell’architettura, consulente
PROF.
OTTORINO NONFARMALE
restauratore, consulente
PROF. DOTT.
PAUL ZANKER
archeologo, consulente
Con i progettisti
ARCH. CLAUDIA GABRIELLA AMBRON
ARCH. MARIACRISTINA BENETOLLO
ARCH. FRANCESCA BLASI
ARCH. CIRO BUONO
ING. SUSANNA CARFAGNI
ARCH. ALESSANDRO CASTELLANO
ARCH. ANTONIO D’AURIA
ARCH. GIANLUIGI DE MARTINO
ARCH. RICCARDO DE MARTINO
ARCH. ANDREA PIERO DONADELLO
ARCH. FEDERICA GIULIANI
ARCH. ARDUINO LOPEZ
ARCH. MARCO RUSSIELLO
ARCH. CARLO SARDO
ARCH. SALVATORE SOLARO
IL PROGETTO
Il tempio/duomo di Pozzuoli presenta una
stratificazione ricca di almeno 2200 anni
di storia, testimoniata da elementi architettonici, apparati decorativi, semplici reperti materiali; è questa stratificazione costituita dal senso proprio di ogni elemento che la compone - il documento primo che si è inteso conservare e valorizzare.
Tra i problemi più complessi è stato senza
dubbio quello di far coesistere inoltre
strutture archeologiche e spazi liturgici di
particolare rilevanza, come quelli di una
cattedrale.
D’altro canto è noto che nel restauro il fine primario è la conservazione e la trasmissione al futuro di una eredità storico/artistica unica e irripetibile che non
può essere subordinata ai temi d’uso e
pratici. Si è quindi cercato di far coesistere e di conciliare interessi diversi, liturgici,
culturali e turistici. D’altronde la dimensione celebrativa non esclude il riconoscimento dei caratteri culturali che connotano il monumento. Obiettivo del restauro
è stato anche il rispetto dell’autenticità
materica dell’opera e per i nuovi interventi grande attenzione è stata rivolta al valore espressivo delle parti nuove - riconoscibili a vista o dopo attenta osservazione rispetto alle antiche. Partendo dai vincoli
che discendono direttamente dal rispetto
per la storia del monumento si è cercato di
enfatizzare il suo significato simbolico, tipologico, morfologico, religioso e ambientale e di conseguenza il progetto è stato redatto nel rispetto della ricca e complessa stratificazione.
R E S T A U R O
TERTIUM
QUID
Capogruppo
ARCH. DAVID CHIPPERFIELD
Progettisti
ARCH. ALBERTO IZZO
ARCH. FERRUCCIO IZZO
ARCH. EVA SCHAD
ARCH. MAURIZIO D’ANDREA
Consulente progettista
ARCH. ALEXANDER SCHWARZ
Consulenti
DOTT. GIUSEPPE MAGGI
archeologo
DOTT.
DOMENICO CAMARDO
archeologo
ARCH. JOSEPH
RYKWERT
storico dell’architettura
GIUSEPPE AROSIO
liturgista
ARCH.
GIOVANNA TARASCO
specialista in restauro dei monumenti
ING.
CLAUDIO MODENA
ING.
ANDREW SEDGWICK
ING.
ANIELLO CASTALDO
strutturista
impiantista elettrico
impiantista meccanico
LIVIA ALBERTI
restauratrice specialista
in marmi e affreschi
IL PROGETTO
La parte a nord della chiesa barocca rimane
intatta nella sua volumetria, uniche modifiche sono il completamento (filologico,
diversificando il materiale) della volta del
presbiterio, con l’aggiunta dell’unghiatura
mancante, e la riproposizione, sulla stessa
zona, della copertura piana che già esisteva
prima dell’incendio. Il dislivello di quota
tra il Duomo e il Tempio romano è risolto
con una piattaforma che si estende nella
zona barocca; una scala disposta lungo uno
dei fianchi della piattaforma collega i due
piani. Un’altra scala, attraverso la demolizione di una parte di solaio barocco, raccorda la zona dedicata al culto con la sottostante area archeologica.
La facciata e le due cappelle, sono incastonate nella nuova struttura, mentre la sacrestia si arricchisce di un volume sovrapposto a quello attuale, sul quale poggia il
nuovo portale d’ingresso.
Il volume del nuovo campanile, inserito
nello spazio dietro la cappella di destra,
media l’attacco del nuovo duomo con la
cappella detta Coretto e il Vescovado.
Avendo a che fare con un palinsesto di interventi diversi e spesso in cattivo stato di
conservazione, il restauro che riguarderà
le strutture antiche sarà di tipo archeologico e cercherà di consolidare l’immagine
esistente. Ogni operazione pratica di integrazione o restauro rispetterà i criteri base
del minimo intervento, della reversibilità,
R E S T A U R O
della compatibilità, della distinguibilità,
della durabilità.
Le parti che riguardano il tempio augusteo, in special modo i frammenti archeologici, dopo il loro restauro saranno conservati e ricollocati, con la collaborazione
degli archeologi.
Dal punto di vista strutturale, il consolidamento sarà attuato in modo da non
snaturare ulteriormente il modello statico
originale dell’edificio.
Le soluzioni saranno congrue e rispetteranno il saggio criterio del minimo intervento e dove possibile, i criteri della distinguibilità e reversibilità delle operazioni. In ogni caso nel momento di una scelta si prediligerà l’istanza estetica.
R E S T A U R O
VINO NUOVO
IN OTRI NUOVI
Progetto
CORVINO+MULTARI architetti
con
BERNARD ANDREAE
archeologia
ROSARIO PAONE
restauro
CARMEN
DEL
GROSSO
metodologia del restauro
Consulenti
TERESA COLLETTA
storia della città
DON ANTONIO GIANNOTTI
liturgista
ING.
GABRIELE SALVATONI
ING.
ALDO BOTTINI
consolidamento statico
strutture
ALBERTO ZIMBELLI
impianti
GIUSEPPE GIORDANO
restauro apparati decorativi
RUGGERO MORICHI
rilievo scientifico
Design team
G. CASTALDO, M. CRISCI, F. CAPRIO,
M. NATALE, M. POLITO, M. VOCATURO
IL PROGETTO
Il tema è il Restauro del Tempio-Duomo di
Pozzuoli, e più precisamente, la costruzione della sua Chiesa-Cattedrale. Un ragionamento ed una teorizzazione attorno alla “grande preesistenza” alla ricerca del significato teologico e liturgico contemporaneo. Disegnare la “casa di Dio” è pensare alla “casa dell’uomo”: la casa di Dio è
una parte del paesaggio, del contesto, della città.
L’ impegno parte dai “limiti finiti” di una
funzione, raccogliere l’assemblea attorno
al luogo di culto, e ci porta ad indagare i
“limiti infiniti” della ricerca progettuale.
Integrare la cultura contemporanea nel
grande spazio archeologico e di tradizione
cristiana, equivale anche a dare testimonianza del nostro tempo.
La Cattedrale è densa di significati simbolici e metaforici ed il testo architettonico
deve trovare corrispondenza tra lo spazio
e lo spirito, tra l’esistente ed il nuovo.
La Cattedrale fa ritornare il sistema Tempio-Duomo ad essere luogo di frequentazione spirituale e laica, il senso più profondo della “Grande Fabbrica”, testimonianza della vicenda spirituale ed umana.
La nuova architettura prenderà forma nelle pareti di vetro extrachiaro, e nelle sottili
strutture in cemento bianco che poggiano
sul nuovo piano strutturale e sorreggono la
nuova sagoma della Cattedrale, nella scena
geografica del grande golfo.
La Cattedrale si annuncia ai fedeli a partire
dal Sagrato e dallo storico ingresso laterale.
Il volume della Cattedrale è contenuto nella sagoma del tempio, si allunga fino alle
strutture barocche e si compenetra nella
tensione delle strutture del tempio illuminate di luce naturale che filtra dall’alto.
Il vuoto viene raccolto per divenire spazio, comunità, edificio, un edificio che si
allunga e misura la dilatazione barocca in
un nuovo piano che prima è vestibolo, poi
è navata, quindi presbiterio.
Attorno il suo paesaggio è la sua storia, che
con i reperti ed i pezzi autentici, partecipa
alla costruzione della fabbrica contemporanea, dedicata a San Procolo, e lascia filtrare la luce verso lo spazio liturgico.
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60/05
R E S T A U R O
LUDUS ABSENTIAE
ET PRAESENTIAE
Capogruppo
PROF. ARCH. PASQUALE CULOTTA
studio Culotta Architetti - Palermo
Progettisti
ARCH. TANIA CULOTTA
ARCH. ANDREA SCIASCIA
unoaunoarchitetti - Napoli
PROF. ARCH. RICCARDO FLORIO
ARCH. GIUSEPPE VELE
Componenti
DOTT. FILIPPO DEMMA
archeologo
ARCH.
TIZIANA CAPASSO
restauratore
PROF. ING. LUIGI
strutturista
PALIZZOLO
Consulenti
PROF. ARCH. MARIA GIUFFRÉ
storico dell’architettura
PROF.
CONCETTA MILITELLO
PROF.
CRISPINO VALENZIANO
liturgista
liturgista
PROF. ING.
impiantista
ANGELO MILONE
CLAUDIA TEDESCHI
specialista in marmi
VALENTINA PIOVAN
specialista in affreschi
ARCH.
GIUSEPPE BRUNO
restauratore
ARCH.
PROF.
VALERIA PROCACCINI
PIETRO MARESCALCHI
topografo
Collaboratori
ARCH. TERESA DELLA CORTE
ARCH. CARMELA ACANFORA
MARIA ANNA MARTIGNETTI
ARCH. VINCENZO GUADAGNO
IL PROGETTO
Nel presentare il progetto si fa leva su due
termini sintetici: conferme ed aperture.
Le conferme riguardano: l’identità architettonica e l’unità culturale del TempioDuomo.
Le aperture riguardano: le relazioni tra il
Rione-Terra e il mare, i due livelli del Rione Terra: il suolo della città degli scavi e
quello del Tempio-Duomo, le tecniche
presenti nel cantiere di restauro, i numerosi frammenti del Tempio, le potenzialità di connessioni museali del tessuto urbano. Nelle interazioni fra i principi dell’architettura della storia, quelli dell’architettura della liturgia e quelli dell’architettura della città, il progetto si muove tra
l’interno e l’esterno del Tempio Duomo
riaffermando l’identità di ogni singola
parte in un nuovo sistema di relazioni spaziali. Dalla scelta di demolire la sacrestia
consegue la formazione del sagrato proporzionata ai rapporti fra il Duomo e città, favorendo il raccordo spaziale fra prospetto, gradinata e volume del lucernario
del battistero. L’aula si distende dall’in-
gresso sino al nuovo arco trionfale. Fra
questi due limiti si distinguono, procedendo in direzione dell’altare: l’esonartece, la ricomposizione per anastilosi del
frontone del tempio, la traccia sul pavimento del colonnato esastilo. I due percorsi vetrati a sbalzo sono funzionali all’aula. Le due navatelle creano anche le
condizioni per attraversare l’intercolumnio del pronao augusteo. La riconfigurazione dell’area del presbiterio, nei suoi elementi costitutivi: altare, cattedra, coro del
capitolo e coro dei cantori, trova regole
nelle norme liturgiche del Concilio Vaticano II. Si è ipotizzata la traslazione della
cappella per liberare l’angolo colonnato
del tempio. La traslazione non implica
mutamento funzionale, non arreca alterazione alla forma e la nuova posizione caratterizza il paesaggio urbano visto dal mare. Nella ricostruzione del volume diruto,
in continuità funzionale con il presbiterio,
sono stati previsti i locali destinati alla sagrestia e agli uffici parrocchiali. Al di sotto
dell’area presbiteriale sono stati ricavati
degli spazi espositivi del Tempio-Duomo.
R E S T A U R O
RETENTA AD
MEMORIAM VENUSTATIS
Capogruppo
PROF. ARCH. DONATELLA FIORANI
specialista in Restauro dei monumenti
Componenti progettisti
PROF. ARCH. DANIELA ESPOSITO
esperta in Storia dell’Architettura e
specialista in Restauro dei monumenti
ARCH.
ANDREA BRUSCHI
ARCH. LAURA IERMANO
ARCH. LORENZO IACCHIA
ARCH. LUCA
ARCH.
SCALVEDI
ALESSANDRA REGGIANI
esperta in Illuminazione dei Beni Culturali
ING.
GIUSEPPE CARLUCCIO
ING.
MARIO BIRITOGNOLO
ING.
STEFANO DE VITO
ING.
FRANCESCO SALA
strutturista
strutturista
strutturista
impiantista
ING. FABRIZIO
impiantista
ARCH.
CUMO
ALESSANDRO MICUCCI
professionista abilitato da meno di 5 anni
Consulenti
DOTT.SSA
PAOLA PALAZZO
DOTT.SSA
CRISTINA VAZIO
archeologa
restauratrice specialista in marmi
ed affreschi
MONS. ROBERTO CARRARA
liturgista
PROF. DOTT.
archeologo
DOTT.
PATRIZIO PENSABENE
DOMENICO POGGI
geologo
PAOLA DE GREGORIO
artista
Collaboratori
ALESSIO TOMMASETTI
dottore in architettura
ARCH. ISABELLA
SANPIETRO
IL PROGETTO
L’impostazione progettuale, derivata dallo studio e dalla lettura critica della preesistenza, ha cercato di integrare e riunificare, nella continuità figurativa delle pareti
in elevato e delle coperture, le porzioni
oggi disgiunte della fabbrica, in una volumetria esterna che raggiunge l’estensione
della chiesa barocca, dal fronte meridionale al corpo della sala capitolare.
Internamente, lo spazio appare invece articolato in una successione di ambienti distinti, semiaperti e dialoganti con l’esterno nella prima campata addossata alla facciata seicentesca e nel pronao, chiusi all’interno e principalmente rivolti allo
svolgimento della funzione religiosa nella
cella del tempio e nel presbiterio.
La ricongiunzione di due spazialità alternative e contrapposte fra loro per modalità figurative, caratteristiche costruttive e
scelte dimensionali ha richiesto l’impiego
d’un nuovo linguaggio espressivo, con-
temporaneo negli indirizzi tecnologici e
formali ma al tempo stesso calibrato sull’architettura della preesistenza.
La copertura metallica spaziale è stata studiata con l’obiettivo di migliorare la resistenza sismica dell’edificio, mentre il nuovo coronamento, differenziato nella zona
templare e nella parte barocca, consente il
raccordo figurativo fra l’integrazione e la
preesistenza e gradua diversamente la luce, diurna all’interno dell’involucro della
fabbrica, atmosferica nel sagrato, soffusa e
omogenea nella navata, direzionata e gerarchica, per la presenza di aperture dirette, nel presbiterio.
R E S T A U R O
60/05
33
R E S T A U R O
TEMPIO/CATTEDRALE:
COMPOSITO
OPPOSITORIUM
Capogruppo
PROF. ARCH.
PAOLO MARCONI
Progettisti
ARCH. GIANCARLO BATTISTA
progettista architettonico e di restauro
ING.
ROBERTO BELLUCCI SESSA
progettista degli impianti
PROF. ARCH.
EMMA BUONDONNO
progettista architettonico ed ambientale
ARCH.
GIACOMO MARTINES
MARIO ROSARIO MIGLIORE
PROF. ING.
progettista delle strutture
PROF. ARCH.
ALBERTO MARIA RACHELI
specialista in restauro dei monumenti
Consulenti
DOTT.SSA GABRIELLA DE MONTE
restauratrice
PROF. ARCH.
PIER NICOLA PAGLIARA
storico dell’architettura
rinascimentale e barocca
PROF. FABRIZIO
archeologo
PESANDO
MONS. GIOVANNI DI NAPOLI
liturgista
Collaboratori
PROF. ARCH. CARLA CERALDI
ARCH. RAFFAELLA BARTOLI
GEOM. MARINA ELEFANTE
ARCH. MARCO GRIMALDI
ING. GIANCARLO MIGLIORE
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IL PROGETTO
I disegni in scala 1: 200 furono esposti
nella Mostra tenuta quattro mesi prima
della consegna del progetto, consentendo
a chiunque di uniformarsi al nostro programma, il quale è il più fedele alle Indicazioni per la predisposizione delle linee guida
per il ripristino delle strutture archeologiche
della Committenza ed alle condizioni per
l’Adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica (31 maggio 1996) che chiedono espressamente che l’assemblea dei fedeli sia collocata in piano al livello dell’Altare piuttosto che in pendenza, come se il
rito fosse uno spettacolo profano. Il progetto ha tenuto anche conto della casisti-
ca dei Templi antichi come la Maison Carée e l’Artemision di Magnesia, realizzando il pavimento marmoreo della Cattedrale
in piano col livello seicentesco ma evidenziando lo spiccato interno del tempio romano grazie alle due gallerie laterali rialzate al
livello antico, destinate, oltre che alla celebrazione liturgica, all’esame dei frammenti lapidei presentati sui muri della
Cella. In tal modo l’accesso avviene dal
Pronao ripristinato grazie al soffitto a lacunari come richiesto dalla Committenza, tramite una vetrata dall’aspetto esterno marmoreo che sostituisce la parete Sud
della Cella. Il campanile viene ricollocato
nella posizione originaria.
R E S T A U R O
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R E S T A U R O
AVENDO
CURA
Capogruppo
ARCH. TOBIA SCARPA
TIZIANO MANNONI
archeologo
PROF.
ROBERTO MASIERO
DON ROBERTO TAGLIAFERRI
ARCH. CARLA ARCOLAO
ING. GIAN DOMENICO COCCO
ARCH. ADRIANO LA GRECA COLONNA
MAURO MATTEINI
Consulenti e collaboratori
ARCH. ALBERTO TORSELLO
GEOL. ANTONIO SENATORE
ARCH. BRUNO DOLCETTA
ARCH. BENITO PAOLO TORSELLO
ALBERTO CASCIANI
ANTONIO RAVA
ANNAMARIA GIUSTI
MASSIMO D’ANTONIO
ANNA GIANNETTI
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IL PROGETTO
All’inizio di tutto, c’è una bella metafora
del restauro: basta ascoltare il primo
pezzo di un album musicale, dove Jan
Garbarek intreccia la voce del suo sassofono con il coro che esegue Officium
defunctorum, di Christóbal de Morales
(1500-1553). La base è quella cinquecentesca, eseguita con puntigliosa fedeltà al
testo, ma un altro testo vi si sovrappone,
mescolandosi al primo, dialogando, incuneandosi nelle sue pieghe musicali con la
tipica libertà creativa del jazz: è quello
moderno, dissacrante del sassofono. Il
risultato è stupefacente, perché determinato da una contaminazione reciproca
che produce un esito tutto dentro al
nostro tempo, eppure colmo di antiche
memorie. Agli strati archeologici del corale, tutti devotamente salvati, si aggiungono quelli di una nuova voce, anch’essa
predisposta alla sacralità dell’armonia.
Così, conservare e innovare delimitano
lo spazio di un progetto che si apre (ci
apre) all’enigma del tempo, palesando
misteri impenetrabili, fonte di ricerca e
di linguaggi. Questo è l’intento: all’idea
di una spettacolarizzazione dell’architettura e della storia sostituire un’idea di
“paesaggio”, di “racconto”, dove ogni
parte costruita, in passato e oggi, abbia il
ruolo di “strato”, proprio nel senso
archeologico del termine.
R E S T A U R O
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P A E S A G G I O
a cura di Lucio Carbonara e Barbara Pizzo
Premio Scarpa
per il giardino
Valeria Caramagno
Premiato Deir Abu Maqar, il monastero egiziano copto di San
Macario, luogo in cui si inventa un’idea di paesaggio produttivo e
innovativo insieme, ripensato e ridisegnato in chiave contemporanea,
ma in continuità con la tradizione.
L
a Fondazione Benetton Studi e Ricerche, costituitasi nel 1987, ha avviato un settore di studio pertinente
alla “questione del governo del paesaggio”, con iniziative varie tra cui l’istituzione del Premio Internazionale Carlo
Scarpa per il Giardino, a partire dal 1990,
con l’intento di contribuire ad elevare e
diffondere la cultura del paesaggio.
La sedicesima edizione del Premio, presieduta da Lionello Puppi e coordinata da
Domenico Luciani, direttore della Fondazione Benetton Studi e Ricerche, ha attribuito, il 14 maggio scorso a Treviso, il premio per l’edizione 2005 a Deir Abu Maqar, il monastero egiziano copto di San
Macario, lungo la strada che, attraverso il
deserto, collega Il Cairo con Alessandria.
La giuria internazionale, composta da Lionello Puppi, Domenico Luciani, SvenIngvar Andersson, Carmen Anon, Monique Mosser e Ippolito Pizzetti, ha scelto
questo luogo straordinario in cui il vuoto
del deserto si condensa in uno spazio vitale, pieno di valori culturali e spirituali, ma
anche luogo in cui si inventa un’idea di
paesaggio produttivo e innovativo insieme.
La scelta della giuria, puntando a far conoscere in Europa la vicenda di questo
fulcro del monachesimo egiziano, ha inteso segnalare, ai soggetti interessati a pen-
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sare e fare paesaggi, come un’utopia abbia
saputo concretizzarsi e dare forma ad uno
spazio fisico, la cui identità, capace di trasformarsi ed evolvere, trovi modi, stile,
suoni, parole e misure di spazio e di tempo, che oggi possono avvolgere il visitatore con singolare, toccante sobrietà.
Fondato nel 360 d.C., il monastero è sempre stato abitato da monaci cristiani copti. Nel 1969, il complesso versa in condizioni di declino e, per rivitalizzarlo, vi
vengono inviati dodici monaci. Nell’arco
di un ventennio, a partire dal 1969, viene
aperto un cantiere che trasforma ogni
aspetto del monastero, con grande energia di invenzioni e di realizzazioni. Il monastero consegnato dalla storia, costituito
da un piccolo rettangolo murato e da celle sparse dentro e fuori, in stato di abbandono, viene reinventato. Si traccia un
nuovo perimetro, molto più ampio, una
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sorta di cordone perimetrale in forma curvilinea che ospita 150 celle individuali,
articolate in più vani e servizi, tutte rivolte verso l’esterno, verso i campi coltivati e
il deserto.
Questo poderoso edificio ovoidale che
circonda e protegge le testimonianze del
passato del monastero, ripulite di tutte le
superfetazioni che nel tempo si erano accumulate, accerchia le vestigia importanti
di un patrimonio storico e artistico in parte sepolto e in parte degradato. Le tre
chiese, la fortezza, i chiostri e i cortili, articolano uno spazio complesso fatto di
ambiti diversi eppure dotato di una forte
unitarietà, sottolineata dalla nettezza della geometria delle pavimentazioni e da
una speciale qualità dell’insieme: il genius
loci di un paesaggio unico.
All’esterno del complesso costruito, il territorio viene inciso dall’orditura cartesiana
di spazi quadrati protetti da alte siepi antivento, che trasformano il deserto in campi
coltivati, orti, giardini, frutteti e pascoli.
Fondamentale in quest’opera di coltivazione e trasformazione del deserto è il programma idraulico, elaborato a partire dal
1969, costituito da una nuova torre del
monastero che diventa anche serbatoio
d’acqua, mentre decine di pozzi vengono
scavati per irrigare le colture con le tecnologie sperimentali in continua evoluzione,
messe in campo dagli specialisti, tecnici e
laureati di varie discipline presenti tra i
monaci. Quest’opera di trasformazione ha
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coinvolto un gran numero di persone della popolazione locale dando lavoro e sussistenza a circa settecento persone.
Deir Abu Maqar appare pertanto anche il
luogo nel quale la trasmissione di un corpus di valori da conservare del tempo può
avvenire anche attraverso l’innovazione,
con mutamenti radicali della dimensione
della comunità, degli spazi conquistati al
deserto, con nuove agricolture ed economie, con nuove relazioni e rapporti allargati con le popolazioni nei dintorni.
L’attribuzione del Premio Internazionale
Carlo Scarpa per il Giardino sottolinea,
dunque, come Deir Abu Maqar offra – a
quanti si occupano di salvaguardia e di valorizzazione di paesaggi, scienze, arti o del
rapporto tra la condizione dei luoghi e la
qualità della vita di chi abita tali luoghi –
un terreno di riflessione come paesaggio
ripensato e ridisegnato in chiave contemporanea, ma in continuità con la tradizione monastica, per farla vivere nella storia
attuale.
“Si avverte qui il gusto delle giornate piene, operose, il valore della meditazione solitaria e insieme la capacità di dialogo riflessivo e quieto, l’ironia leggera, quasi
gioiosa, con cui le comunità dei monaci
affrontano i temi ultimi dell’esistenza.
Mentre stabiliscono relazioni fertili ed intense con molte altre e diverse realtà culturali, ecclesiali, monastiche di ogni continente. Mentre incalzano le aporie del
nostro mondo e del nostro tempo”.
a cura di Lucio Carbonara e Barbara Pizzo
P A E S A G G I O
BUGA
a Monaco
di Baviera
Sostenibilità e cambio di
prospettiva: questi i due fili
conduttori della
manifestazione dedicata a
nuove proposte di design e
architettura dei giardini.
Luisa Chiumenti
L’
Esposizione nazionale “Buga
2005” a Monaco di Baviera (dal
28 aprile al 9 ottobre 2005),
chiaramente ispirata ai principi
dello sviluppo sostenibile dell’Agenda 21
(sottoscritta a Rio de Janeiro nel 1992),
ha presentato una serie di progetti di architetture dei giardini, fra cui spiccano
quelli per il recupero e la riqualificazione,
nella stessa città di Monaco, dell’area dell’ex aeroporto Riem. Alcuni di tali progetti è previsto infatti che siano mantenuti in
essere al termine della manifestazione, integrando il Landschaftspark e andando a
costituire parte integrante del parco del
nascente quartiere Messestadt Riem. È
quello che avverrà in particolare per: i
Giardini Paralleli, con rose, arbusti e piante perenni, divisi da siepi, con splendidi
giochi cromatici e il Giardino Verticale,
con piante in vaso dalle dimensioni superiori all’usuale che permettono la visione
affascinante e l’osservazione dettagliata di
ogni più piccolo germoglio, foglia o ramo.
Ed è significativo che sia stata proprio
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Monaco di Baviera la città tedesca scelta
per accogliere “Buga ‘05” trattandosi di
una delle città che più fortemente, da
sempre, ha dimostrato una grande sensibilità per l’architettura del verde, costellata com’è, nel suo assetto urbano, da tanti
parchi e giardini, di ottimo livello qualitativo (si pensi anche soltanto al parco del
Castello di Nymphenburg che, con il bellissimo Giardino Inglese, fu il primo giardino che, a Monaco, “fece confluire in
uno spazio pubblico le idee della Rivoluzione francese, della libertà e dell’uguaglianza”).
Hanno collaborato alla manifestazione
(che è stata siglata in certo modo dal
motto della Corporate Design della BU-
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GA 05, con il lavoro realizzato su un “fiore computerizzato”, dall’artista Oliver
Kosovsky) circa quaranta fra città, comuni e associazioni bavaresi, sottolineando
così il vivo interesse nazionale per una
tradizione più ampia, che vede la Germania impegnata storicamente (fin dai primi
anni ’50), in molti progetti di recupero,
riqualificazione e sensibilizzazione del
territorio in ordine ai concetti di Ambiente e Sviluppo, che sempre più acquisiscono interesse sovranazionale.
L’esperienza della BUGA 05 (diretta da
Andrea Gebhard e presieduta da Susanne
Porsche), appare così assai significativa ai
fini di una possibile individuazione di
idee, temi e problematiche di sicuro interesse per il futuro dell’architettura del
paesaggio nelle nostre città.
L’idea di una mostra nazionale di giardinaggio ed architettura era già stata formulata nell’ ambito della evoluzione del concorso per il parco paesaggistico della città
fieristica di Riem.
In quest’ambito si inquadra il progetto
della città di Monaco per il recupero dell’area dove sorgeva il vecchio aeroporto di
Monaco-Riem, che è stata suddivisa in 3
parti: una destinata alla fiera, una a zona
residenziale e una a parco, il Landschaftspark, nel cui ambito spicca, ad esempio,
la realizzazione di 170 km di percorsi ciclabili attorno al capoluogo bavarese e la
“rinaturalizzazione” di fiumi e ruscelli.
Il tema conduttore della concezione creativa, l’architetto del paesaggio monacense, Prof. Rainer Schmidt (che, con i colleghi del LAS Rainer Schmidt - Landschaftsarchitekten, München, è stato
vincitore del concorso indetto su scala na-
zionale per la BUGA 05), appare incentrato sugli schemi basilari della vita delle
piante, con le loro affascinanti strutture:
ne sono valido esempio sia la composizione cellulare, simboleggiata nel Giardino
delle Cellule, che le complesse strutture
del tessuto di una pianta rappresentate a
forte ingrandimento nel Giardino Verticale e nel Giardino delle Foglie.
In particolare, percorrendo il “Giardino
delle Cellule” i 12 vasti ambienti tematici
consentono ai visitatori di esplorare la natura e gli elementi aria, terra, acqua da un
insolito punto di vista. Ed è così che in
uno degli ambienti si può camminare fra
canne alte dai 2 ai 3 metri; in un altro in
mezzo a pietre giganti, scoprendo cosa si
nasconde fra di esse; in un altro ancora si
può vedere dal basso la tana di una talpa.
Nella consapevolezza del fatto che “il futuro delle zone di concentrazione urbana
e delle città” sia comunque affidato alla
questione della “sostenibilità” e in un certo modo in opposizione al concetto per
cui “sostenibilità ed ecologia” coincide-
rebbero con “rinuncia, monotonia ed alti
costi”, Buga 2005 vuole dimostrare come
il tema della “sostenibilità“ possa essere
“acclamato con allegria” sollecitando la
creatività verso “emozionanti eventi artistici e culturali e progetti impostati su criteri ambientali”.
Il padiglione “Biovision” rappresenta l’highlight nell’area meridionale della Buga
e chi accede alla Buga servendosi da questo padiglione (ingresso meridionale), ha
la possibilità di godersi, dalla scalinata
esterna del padiglione stesso, una meravigliosa vista sui 190 ettari di superficie prima di iniziare il vero e proprio percorso
fra i giardini.
Ed è così che nella città fieristica di Riem,
insieme con le tracce della strada medioevale, la pianura di pietrisco dell’era glaciale e la vecchia pista dell’aeroporto, si possono vedere oggi i minuscoli fiori delle
colture dei prati magri, le concentrazioni
boschive, i piccoli dettagli dei giardini
paralleli, le Alpi con il Föhn, la silhouette
della Frauenkirche di Monaco che si staglia all’orizzonte, i riflessi cromatici sul lago di Costanza, il gioco della topografia
ed il tramonto dietro alla grande terrazza.
È interessante inoltre sottolineare come le
varie aree della Buga, ma in particolare i
giardini tematici, dall’ interno dei vari padiglioni, si aprano gradualmente e dolcemente verso lo spazio aperto all’esterno.
E poiché “lo spazio non ha né limiti né
tempo” (come afferma giustamente l’architetto del paesaggio Vexlard), tutte le
aree di esposizione consentono ai visitatori di ogni padiglione l’accesso diretto ai
giardini all’aperto, dove in particolare essi
possono conoscere più direttamente da
vicino le piante inerenti al determinato tema esposto all’interno del padiglione stesso: dalle erbe medicamentose fino alle viti
e possono ammirare altresì alcune vecchie
specie di verdure, già quasi dimenticate,
accanto a colture nuovissime come le
piante tessili, medicinali e coloranti.
Ed è importante, per comprendere meglio
l’attuale edizione della Buga, nei confronti del paesaggio e del modo con cui esso
deve essere “guardato”, nel giusto rapporto con uno spazio a cielo aperto, pressoché
illimitato come questo, quanto afferma
ancora l’architetto Vexlard: “… è necessario recuperare gli elementi di tipicità di un
luogo, metterli in evidenza e liberarli da
tutti i fattori ad essi estranei… che in qualche modo possano impedire la visibilità
del suo paesaggio e della sua tipicità”.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia al
Catalogo della Buga 2005 (per ora soltanto in lingua tedesca).
www.buga2005.de
U R B A N I S T I C A
a cura di Claudia Mattogno
Rione Monti:
salvato
dalla rete?
Carlo Cellamare*
Progetti,
attività culturali,
rafforzamento dell’identità
sociale: il contributo
della rete locale per
la riqualificazione del
rione Monti.
L
a Rete Sociale Monti e la riqualificazione del rione
Il rione Monti si era “salvato” per
molto tempo dalle trasformazioni,
anche radicali, che hanno investito il centro storico di Roma, quel fenomeno che
sinteticamente viene ormai usualmente
chiamato “trasteverizzazione”, ma che rimanda ad analoghi fenomeni, spesso ben
più accentuati e stravolgenti, che hanno
colpito centri storici come quelli di Venezia e Firenze. A Roma il fenomeno non ha
ancora cambiato completamente il volto
del centro storico e, in particolare, Monti
ne era rimasto ai margini, luogo non ambito dal mercato immobiliare per il suo
carattere popolano e storicamente considerato malfamato (la suburra). Da alcuni
anni proprio questi caratteri (la dimensione umana delle relazioni e della vita loca-
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le, un tessuto sociale che “tiene”, un’identità locale e una qualità del contesto di vita significative) sono particolarmente ambiti, unitamente ad alcune convenienze
(oltre alla vicinanza ai più importanti poli urbani, la presenza della metropolitana), determinando un forte aumento della pressione trasformativa: sviluppo ed
espansione di alcuni grandi sedi terziarie e
direzionali (Ministero dell’Interno e servizi connessi; servizi segreti, Banca d’Italia, Università, ecc.) che determinano vere e proprie isole urbane inaccessibili; vertiginoso aumento del mercato immobiliare; una massiccia ondata di sfratti e ristrutturazioni (con sviluppo del fenomeno dell’illegalità); gentrification; espulsione degli artigiani e dei ceti meno abbienti;
ecc. All’interno di questa realtà ha preso
corpo una rete locale, la Rete Sociale
Monti, tra le diverse realtà presenti sul territorio (associazioni locali, Ong e terzo
settore, artigiani, commercianti, università, case editrici, Banca Etica, singoli cittadini) con l’obiettivo di contrastare i fenomeni di stravolgimento dell’identità rionale e di occuparsi della riqualificazione
del contesto urbano. Si tratta di un esempio di un fenomeno, quello delle reti locali impegnate nella riqualificazione urbana, che si sta moltiplicando in diverse
realtà italiane.
La Rete Monti agisce, anche in rapporto
(più o meno conflittuale, a seconda delle
situazioni) con le istituzioni municipali e
comunali, attraverso iniziative e proposte
progettuali (e non solo proteste) sia relative ad attività culturali e sociali sia relative
al campo vero e proprio della riqualificazione urbana.
U R B A N I S T I C A
Nella pagina a fianco:
• Alcune immagini di Piazza Madonna dei Monti:
la “piazzetta” è il cuore del rione, unico spazio
pubblico reale, luogo d’incontro di tutti, delle
manifestazioni pubbliche, degli eventi culturali, del
gioco dei bambini. E sempre più minacciata
dall’invasione dei tavolini, ben noti nel centro
storico.
In questa pagina, dall’alto:
• L’ex istituto “Angelo Mai” dall’alto, all’interno del
tessuto urbano del rione. Difficilmente visibile
dall’esterno, è un complesso molto esteso che
racchiude al suo interno una delle poche aree
verdi residue del rione, resti di quello che era la
situazione nel ‘700.
• Il cortile interno dell’ex istituto “Angelo Mai”, con
il porticato, la terrazza e il giardino. Il complesso
sarà destinato a sede della scuola media
“Viscontino” e di un progetto integrato scuolarione.
• L’ex istituto “Angelo Mai” visto da via del
Boschetto, all’altezza di piazza Madonna dei
Monti. Il complesso domina dall’alto, su via degli
Zingari, con una scalinata scenografica. In
prospettiva dovrà essere studiato un sistema di
spazi pubblici e di percorsi pedonali protetti che
connettono tutti questi elementi del rione.
L’ex Istituto “Angelo Mai”
L’iniziativa più importante di riqualificazione del rione ha riguardato l’ex Istituto
“Angelo Mai” complesso edilizio di particolare importanza sito a poca distanza da
piazza Madonna dei Monti. Si tratta di un
ex istituto scolastico privato, di grande
importanza sia dal punto di vista dell’identità locale, sia dal punto di vista degli
spazi disponibili, tra cui una grande area
verde interna, ultimo residuo di questo tipo all’interno del rione. Le decisioni del
Ministero dell’Economia e l’accordo
“Campidoglio 2” ne prevedevano la cartolarizzazione, con destinazione commerciale e residenza. Le iniziative e le proposte progettuali della Rete Monti hanno
permesso, dopo lo sviluppo di un percorso collaborativo con l’assessorato comunale al Patrimonio, di tutelarne la funzione pubblica e di destinare il complesso a
sede della scuola media “Viscontino” (che
deve lasciare l’attuale sede non più adeguata alle norme di sicurezza) e di un progetto integrato scuola-rione. Il progetto
di recupero del complesso elaborato dagli
uffici tecnici dell’assessorato ai Lavori
Pubblici (di cui si sta attualmente espletando il bando di appalto) ha ampiamente considerato le indicazioni progettuali
proposte dalla Rete, con il supporto della
Facoltà di Architettura di Roma Tre. Il
percorso partecipativo sviluppato con il
Comune e gli altri soggetti interessati sta
ora approfondendo gli aspetti funzionali e
le modalità di gestione.
Pedonalizzazioni
La pedonalizzazione di Piazza Madonna
dei Monti, il cuore della vita e dell’identità del rione, è stata il frutto di una mobilitazione e di un lavoro durato più di una
decina d’anni e conclusosi con i lavori di
rifacimento nei primi anni ’90. In un rione così densamente costruito e dove
mancano quasi completamente non solo
spazi pubblici, ma anche spazi verdi o ge-
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Da sinistra:
• Via degli Ibernesi, un luogo altamente simbolico
per il rione. Uno degli ambienti più caratteristici
ed emblematici del rione, ma anche luogo di una
delle più complicate e dolorose vicende di sfratti
che sono il segno dei cambiamenti in atto nel
rione.
• Via del Boschetto durante la pedonalizzazione
sperimentale. Una delle strade di riferimento del
rione, difficile da vivere per il parcheggio e per il
passaggio delle auto, è stata completamente
“riappropriata” dagli abitanti. Se ne sta
studiando la pedonalizzazione per il futuro.
nericamente spazi liberi dalle auto, il tema
delle pedonalizzazioni è una questione
molto sentita. Soprattutto se si tiene conto di due aspetti fortemente conflittuali:
in primo luogo, che molta parte della mobilità all’interno del rione è pedonale (i rilevamenti effettuati confermano flussi pedonali fortemente consistenti) in strade
per lo più mancanti di marciapiedi (e dove non ha senso inserirli) e dove quindi i
percorsi a piedi avvengono all’interno della strada; in secondo luogo, che attualmente il rione è interessato da forti flussi
veicolari quasi esclusivamente di attraversamento per andare da via Nazionale a via
Cavour e viceversa. Rendere pedonali alcuni tratti stradali e alcuni spazi pubblici,
ma più in generale rivedere la circolazione
interna al rione, è diventata quindi non
solo un’esigenza, ma una necessità. Già
nel passato sono stati effettuati alcuni studi per la pedonalizzazione parziale dello
slargo Argiletum, ovvero dello slargo antistante la chiesa della Madonna dei Monti
e la facoltà di Architettura di Roma Tre.
Più recentemente, nell’ambito del Maggio
46
60/05
Monti 2005, è stata sperimentata con successo per quattro venerdì successivi la pedonalizzazione di via del Boschetto. È
chiaro che sorgono alcuni problemi che
dovranno essere risolti, come il carico e lo
scarico delle merci e i parcheggi, ma alcune iniziative essenziali potrebbero essere:
la revisione della circolazione nell’area, il
passaggio della navetta elettrica 117 anche nelle aree pedonalizzate, il mantenimento delle occupazioni di suolo pubblico allo stato attuale ovvero una loro revisione complessiva, l’individuazione delle
aree di parcheggio adeguate, la definizione delle modalità specifiche di carico e
scarico delle merci, la realizzazione del
progetto per fasi successive. Alcune di
queste proposte sono state avanzate al Primo Municipio, per essere realizzate nell’ambito dell’iniziativa “Piano degli interventi partecipativo”. Obiettivo generale è
l’organizzazione di un sistema di spazi
pubblici e pedonali protetti secondo gli
assi di via del Boschetto e piazza degli Zingari - Angelo Mai - piazza Madonna dei
Monti - slargo Argiletum.
Tavolino selvaggio
Piazza Madonna dei Monti è emblematica anche di un altro ordine di problemi,
quello connesso al fenomeno del “tavolino selvaggio” ovvero allo sviluppo enorme
(abusivo e non) e spesso sconsiderato, delle occupazioni di suolo pubblico, fenomeno che condiziona pesantemente tutto
il centro storico e che ha portato recentemente alla revisione della normativa vigente (la cosiddetta delibera sui “salotti di
Roma”), sotto la forte pressione di tutte le
LA RETE SOCIALE MONTI
La Rete Sociale Monti (nata nell’estate 2001) è
una rete auto organizzata tra artigiani,
associazioni (locali o nazionali con sede nel
Rione), università (Ingegneria de “La Sapienza”
e Architettura di Roma3) e altri ricercatori,
singoli cittadini che si pone come obiettivo
fondamentale la riqualificazione del proprio
rione, anche attraverso la ricostruzione del
legame sociale tra gli abitanti. Opera
attraverso attività di proposta e di
progettazione partecipata, iniziative culturali
(in particolare, l’appuntamento annuale del
Maggio Monti) e di formazione, eventi sul
territorio e forme di comunicazione (tra cui
MontiTV, giornale). Attualmente è organizzata
in alcuni gruppi di lavoro: sfratti,
comunicazione, Angelo Mai, mobilità, Maggio
Monti, ecc.. Tutti i materiali informativi ed
eventuali spazi di discussione possono essere
trovati sul sito: www.rione-monti.it.
La Rete lavora con queste logiche: è fortemente
presente una componente propositiva e
progettuale; non si intende essere
“rappresentativi” del rione, ma di svolgere un
ruolo “politico” in senso innovativo; si opera
attraverso un’organizzazione a rete; si è
sempre scelto di non “istituzionalizzarsi”, e di
mantenere una completa autonomia rispetto
alle istituzioni.
associazioni locali del centro (riunite nel
Laboratorio sulle scelte urbanistiche nel
Primo Municipio), ma anche del Primo
Municipio stesso, impossibilitato ad affrontare adeguatamente i problemi della
gestione ordinaria. Il recente ulteriore sviluppo delle aree invase dai tavolini in
piazza Madonna dei Monti ha dato origine ad una serie di iniziative pubbliche della Rete e delle altre associazioni del centro
storico, a favore della revisione della delibera, dell’introduzione di criteri per la definizione della massima occupabilità
(proposta oggetto di uno specifico documento elaborato dal Laboratorio) e, nello
specifico, della riprogettazione delle occupazioni di suolo pubblico nella piazza.
Il sindaco Veltroni ha deciso la costituzione a questo scopo di un “tavolo” di progettazione partecipata (tra associazioni locali, tecnici e commercianti) che lavorerà
sulla base di una proposta dell’Ufficio
Città Storica che mira a ridurre al 7% le
occupazioni consentite e a riorganizzarle
complessivamente.
* Docente di Ingegneria del Territorio, Dipartimento di Architettura e Urbanistica Università
“La Sapienza” di Roma
a cura di Claudia Mattogno
U R B A N I S T I C A
Un dettaglio
del prospetto
di S. Pietro
Un sottovia
a San Pietro
Per evitare il ripetersi del caos di traffico in occasione
di eventi eccezionali nella zona, la proposta consiste nel fare un
sottopasso, che come è giusto, passi sotto e non sopra all’incrocio.
Alberto Gatti
A
l concludersi di una giornata
di fortissima emozione, ci si
viene a porre una domanda; è
sulla assurdità di quanto sentiamo che sta accadendo. Sul come, sul
perché, i sentimenti e i comportamenti
umani, individuali e collettivi, possano
subire un così inatteso, rapido e totale rovesciamento di segno. Dalla coinvolgente
sublimità della elevazione mistica, alla degradante prepotenza ed intolleranza, proprie dei peggiori stati del nostro percorso
quotidiano. Il momento è quello estrema-
mente solenne, permeato di partecipe devozione, di intensa religiosità, di reciproca fraterna colleganza, in cui il “grande
Pastore” ci lascia per tornare alla “casa del
Padre”. Quindi l’onda lunga della massa
enorme dei fedeli si va sospingendo nell’esodo per abbandonare, infine la platea
della sacralità.
E avviene qualcosa di inimmaginabile:
suoni e clangori improvvisi, voci di mille
clacson adirati, rumori diversi ed opposti
si odono subentrare e poi prevalere alla
TV, che ci inchioda, in tutto il mondo; ur-
la blasfeme prodotte dall’odio e dalla rabbia, che invano le regie mediatiche tentano generosamente di arginare o di mascherare.
Finalmente l’evento manifesta la causa
che lo ha prodotto. È l’impatto di due
esausti, ma travolgenti flussi, tra loro perpendicolari, un impatto dalle conseguenze devastanti, seppur provocato da un piccolo errore in un disegno tecnico, invero
facilmente rilevabile nella elaborazione e
poi nella approvazione del progetto; però
non rilevato, forse per la fretta giubilare.
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60/05
U R B A N I S T I C A
1. Soglia d’inizio della galleria attuale - 2. Punto di imbocco della galleria proposta - 3. Soglia d’ inizio della galleria proposta
4. Punto di separazione dei traffici locale e veloce - 5.Riduzione passaggio pedonale e adeguamento percorso auto.
Comunque è un avvenimento eccezionale, che mai più si sarebbe verificato, per la
irripetibile grandezza delle circostanze.
Ma invece no; il carisma del Pastore, anziché lasciare il vuoto dopo la sua scomparsa, si è riversato tutto sul Successore, investendo ed esaltando all’inizio il ruolo, più
della persona, che poi tuttavia è emersa,
dimostrando una confrontabile potenzialità di attrazione; pertanto è da presumere
che l’accaduto abbia a replicarsi ancora,
ogni volta.
La segnalazione quindi non può essere archiviata, perché l’errore continuerà a causare la trasformazione dell’amore in odio,
nel luogo sacro e prestigioso, annullandone la mistica suggestività. Si conferma
dunque l’opportunità della proposta qui
presentata e la imprescindibilità di un intervento e della conseguente adeguata risoluzione del problema.
Questa consiste nel realizzare una rampa
stradale che si interra prima dell’incrocio,
nella fattispecie eccezionale, e non già dopo di esso, restando così del tutto inutile.
Ciò, affinché ciascuno dei flussi di traffico
abbia, senza reciproche prevaricazioni, lo
spazio ad esso riservato; cioè, sede propria
e percorso libero e non sede comune,
quindi inevitabile conflitto. Ovviamente.
Vediamo ora in forma di brevi didascalie,
48
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le previsioni del progetto realizzato e .le
conseguenze, le opportunità e i problemi
che ne derivano e vediamo infine la proposta; questa, non molto impegnativa,
tuttavia sufficiente a garantire un adeguamento del sistema. Ciò richiede un discorso un po’ dettagliato, perciò “venia”.
È da rilevare, intanto, come non sempre le
esigenze da cui nasce un progetto, in particolare di opere infrastrutturali di questo
genere, trovino infine soddisfacente risposta, anche perché nel processo di approvazione vengono sovente variate o eliminate componenti anche di rilievo, attraverso decisioni, che sono autonome e
non coordinate, in quanto derivano da
giudizi singoli di distinti e autorevoli soggetti. In tal modo si altera la logica complessiva del progetto, che è spesso da recuperare a posteriori.
Nella fattispecie, il progetto ha subito dall’inizio tagli cospicui e modifiche, non
sempre controllati nel loro insieme e nel
loro esito, tra essi per esempio, oltre la rilevante riduzione iniziale dell’opera, la
soppressione di una molto utile linea radiale primaria del sistema tranviario veloce, quella tra piazza dei Giureconsulti e
viale Trastevere, sulla cui utile realizzazione sarebbe giusto ritornare.
Analizziamo, qui di seguito, nel paragrafo
“A”, per tratti, lo stato dell’opera come attuata e con i suoi problemi; e nel paragrafo
“B” la soluzione proposta; i numeri a margine rinviano alle relative planimetrie.
A. LO STATO ATTUALE
1.2. Percorso precedente al Giubileo del
2000 per S. Pietro.
Oggi purtroppo abbandonato al mercato
di strada, benché il tratto via Ulpiano Ponte Vittorio costituisca parte integrante e significativa nella continuità della
grande direttrice N/S, formata dal duplice viale dei Lungotevere, caratterizzato
dalla bellissima volta delle fronde dei platani centenari.
1.3.2. Percorso attuale, di lunghezza pressoché raddoppiata, prospetticamente deviante, non più marginale rispetto all’afflusso dei fedeli e basato sul senso unidirezionale esclusivo; esso è finalizzato, oltre
che all’accesso alla Basilica, al collegamento rapido, nella sua prosecuzione, tra S.
Pietro e le zone dell’ ovest (n.5) e del sud
(n.6); comunque la sua funzionalità è automaticamente recuperabile.
2.6. Traffico locale, nel canale superiore a
cielo libero sul Lungotevere, afferente, in
particolare, al servizio dell’ospedale, anche in funzione specifica delle esigenze
dell’affollamento; esso è destinato princi-
U R B A N I S T I C A
• Una nuova porta sulla facciata
palmente ai mezzi di servizio turistico, a
bassa velocità.
4.5.6. Tratto in galleria, nel sistema basato su percorsi riservati ai traffici selezionati, quivi si ha un flusso rapido a quota inferiore, destinato all’attraversamento urbano a grande scala, nelle direzioni
dell’1.3.2., con uscite sul Lungotevere e
verso via Gregorio VII.
7. Inizio del percorso sottostante al preesistente traforo Principe Amedeo, oggi a
due livelli entrambi sotterranei; con traffici in senso opposto e parzialmente doppio nel superiore, in quanto dotato di corsia preferenziale per i mezzi pubblici.
7.8. Rampa di raccordo tra il Lungotevere
a traffico locale e il sottovia veloce, destinato alla direttrice ovest; essa costituisce
replica del 1.4.5., utile al cambio di programma durante il tragitto intrapreso.
9. Piazzale di Porta Cavalleggeri: essendo
privato dell’attraversamento N/S per piazza S. Pietro e del flusso E/O, posto in galleria ed essendo dotato di sottopasso pedonale (n.15), anch’esso per S. Pietro, risulta
disponibile per altre funzioni, per esempio
come capolinea dei tanti pullman turistici,
in sosta di attesa al parcheggio ad essi riservato di via Gregorio VII (n.16), che oggi
però è del tutto inutilizzato.
10.11. Via della Conciliazione, percorso
naturale di accesso e di evacuazione della
Piazza e di agevole collegamento tra S.
Pietro ed il Centro Storico; progettata,
aperta, sistemata ed arredata in occasione
del Giubileo del 1950, ma oggi funzionalmente alquanto declassata dal formarsi
della strozzatura, di cui appresso.
12. Punto di conflitto e, a volte, barriera
di ostruzione, rispetto all’esodo delle masse dei fedeli, al termine delle cerimonie rituali; esso è conseguenza del nuovo ed intenso flusso di traffico veicolare, che da
esterno e tangenziale è divenuto perpendicolare e quindi ostativo rispetto alla linea di smaltimento.
13. Soluzione presunta del problema, di
cui al n.12: regolazione semaforica della
alternanza temporale dei due percorsi,
veicolare N/S e pedonale O/E; essa, però,
risulta pressoché vanificata, nelle fasi di
punta, a causa della forte pressione prodotta nell’esodo, dai gruppi retrostanti,
che sospingono all’impatto i fronti di entrambi i flussi ortogonali.
14. Parcheggio per mezzi pubblici, collocato nello spazio di accesso dei fedeli; esso
rappresenta un ingombro non necessario,
da sostituire molto vantaggiosamente con
il servizio, di cui al punto n.9
15. Ampio sottopasso pedonale per Piazza S. Pietro, Sud/Nord.
16. Parcheggio per pullman turistici in via
Gregorio VII.
17. Barriera di interrompimento.
B. LA SOLUZIONE PROPOSTA
Soluzione esigua, tuttavia risolutiva, che
prevede un intervento sul punto di conflitto -indicato in planimetria “A” n.12,
quale incrocio tra i percorsi, veicolare
n.3/2 e pedonale n.10/17 - inteso a sciogliere il nodo su due quote, rendendo in
tal modo efficace la semaforizzazione del
residuo, non rilevante, flusso locale.
Tale risultato è ottenibile mediante un
breve avanzamento verso nord della soglia
di accesso alla rampa del sottovia, da posizionare presso i fornici del “Corridore di
Borgo”, alla distanza minima per avere lo
sfalsamento sufficiente; ivi ha inizio la separazione dei due traffici, locale e veloce.
Con tale intervento, di impegno non rilevante, è possibile conseguire il libero e sereno percorso dei fedeli dalla grande Piazza ai giardini del Mausoleo, all’affaccio sul
Fiume, alla Città.
In conclusione, la proposta consiste nel
portare l’imbocco della galleria dal punto
n.4 del disegno “ A” al n.2 del “B” ; cioè nel
fare un sottopasso, che come è giusto, passi sotto e non sopra all’incrocio.
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C O N T R O L U C E
a cura di Claudia Mattogno
Sao Paulo
e il Minhocao
C I T T À
I N
Un semplice viadotto, ma un
segno forte della città e del
rapporto con i cittadini, un protagonista
discusso dell’immagine della metropoli contemporanea,
uno spaccato di paesaggio urbano identitario.
Elio Trusiani*
Q
uesto breve articolo è dedicato
ad Haroldo Lodi, ingegnere
civile paulistano in pensione:
un giorno del dicembre 2003
mi ha raccontato la storia del Minhocao, fino a dirmi la dimensione dei bulloni presenti!! Un racconto fatto di dati tecnici frammisti a ricordi e sensazioni durante il quale, attraverso le lenti dei suoi occhiali, ho visto
scorrere lacrime di saudade e … tutte le automobili di trentacinque anni di storia del
viadotto!
COME CAMBIA LA RUBRICA
L’
immagine della città ha sempre esercitato un grande fascino nell’immaginario dando
luogo a varie forme di rappresentazione cui gli architetti hanno spesso attinto come fonte inesauribile di suggestioni progettuali ed evocative. Leggere la città attraverso testi letterari, fotografie, filmati, è sempre stato un
esercizio fertile e assai praticato,
anche se a volte si corre il rischio
di riproporre acritiche interpretazioni e consolanti stereotipi.
Scopo della rubrica è quello di
50
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disvelare aspetti inconsueti, di
rovesciare luoghi comuni, di far
emergere il significato dello spazio fisico e dei suoi molteplici usi,
di mettere in luce contraddizioni
e inedite bellezze che connotano
città e paesaggi contemporanei.
Attraverso brevi descrizioni e rapide riflessioni, che non vogliono
presentarsi come stralci da una
guida di architettura, la rubrica si
propone di far conoscere in controluce luoghi e sensazioni dei
tanti tipi di spazio che abitano la
nostra vita, da quelli più domesti-
ci vicino casa a quelli di lontane
dimensioni metropolitane.
ta dai 3000 ai 5000 caratteri
(spazi compresi).
Note per gli autori
Premesso che la pubblicazione
degli articoli, come consuetudine, avverrà ad insindacabile giudizio del Comitato di redazione
della rivista si forniscono di seguito alcuni dati utili.
Specifiche delle immagini:
foto, diapositive, schizzi e disegni, immagini digitali ad alta risoluzione (minimo 300 dpi calcolati nella dimensione reale dell’immagine), corredate da opportune didascalie e numerate
progressivamente.
Specifiche dei testi:
il ruolo sostanziale sarà svolto
dalle immagini, per questo la
lunghezza dei testi sarà contenu-
Consegna testi e immagini:
su Cd alla “Redazione rivista
AR” – Piazza Manfredo Fanti, 47
– Roma.
C I T T À
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C O N T R O L U C E
Atterrando all’aeroporto nazionale di
Congonhas si ha la sensazione di atterrare
su qualche terrazza di copertura dei grattacieli della città; decollando dallo stesso
si ha la sensazione di un brevissimo percorso a zig zag tra gli stessi grattacieli, prima di riuscire a dominare con lo sguardo
la città. Dominare con lo sguardo … vuol
dire riuscire a vederla al di sopra dei suoi
grattacieli, cogliendone il senso smisurato
di una metropoli contemporanea senza fine. Infatti è difficile dominarla con l’intento di percepirne un ipotetico confine
con gli spazi extraurbani o perlomeno
non urbanizzati nella medesima maniera.
San Paolo può spaventare, ma può anche
attrarre infinitamente: e questo riesce a
farlo esaltando tutte le contraddizioni di
una metropoli contemporanea. Tanto di
tutto, in una grande città con appena cinque secoli di vita: costruzioni del 1554
opera dei gesuiti portoghesi sovrastate
dall’architettura moderna e contemporanea, un rione italiano-Bexiga, un rione
giapponese-Liberdade, grandi settori industriali-Sao Caetano, Sao Bernardo,
Santo Andre’, un quartiere di affari arabo-
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C I T T À
25 de Maio, un quartiere di affari ebreoBom Retiro, ricchi quartieri residenzialiJardins e Morumbi, il parco Anhembi, il
parco Ibirapuera, le favelas. Musei di tutti
i tipi: il museo d’arte di San Paolo (Masp),
che conserva una delle più grandi collezioni dell’America Latina, il Museo Brasiliano di Arte, il Museo ed Istituto Preistorico, il Museo di Arte Sacra, il Museo Lazar Segall, il Museo di Arte Contempora-
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nea, sede della famosa Biennale, il Museo
dell’Aeronautica, la Galleria d’Arte dello
Stato di San Paolo, il Museo di Mineralogia, il Museo del folclore, il Museo Zoologico, il Museo dell’immigrazione Giapponese e il Museo del Telefono. Lina Bo
Bardi, Burle Marx, Oscar Niemeyer e
molti altri ancora; l’autodromo di Ibirapuera con le gare del campionato mondiale di Formula Uno e la grande passione
brasiliana, il calcio, con i loro templi: Morumbi e Pacaembú, che vogliono dire San
Paolo, Corinthias, Santos e Palmeiras.
Tanto altro ancora. Ed infine loro:
18.000.000 di paulistanos che riempiono
ed animano la scena ventiquattro ore su
ventiquattro, vivono e si spostano tra autostrade urbane, viadotti e ponti scandendo i ritmi della città. Proprio l’immagine
delle infrastrutture, forse, definisce più
della verticalità degli edifici, il vero paesaggio urbano della città: la vera anima.
Una di queste è il Minhocao: un semplice
viadotto. Non un’opera di architettura
ma un segno forte della città e della sua sto-
ria più recente, un protagonista discusso
dell’immagine più vera della metropoli
contemporanea, di quella che non compare nelle guide turistiche e neppure nelle
guide di architettura, ma appartiene alla
vita quotidiana della città e ne racconta
tutta la storia tra spazi di degrado e momenti di gloria.
Pensato da Faria Lima, durante il suo governo (1965 – 1969), il progetto del Minhocao fu abbandonato molto presto a
causa della reazione negativa dei tecnici e
della popolazione. L’idea fu ripresa da
Paulo Maluf durante il suo primo mandato amministrativo nel 1971 e la sua realizzazione provocò un impatto innegabile
nel paesaggio urbano della regione centrale di San Paolo provocando gravi problemi di inquinamento acustico ed atmosferico, nonché il relativo deprezzamento del
valore immobiliare degli edifici presenti
nell’area. Il viadotto passa a cinque metri
di altezza, si sviluppa per una lunghezza di
circa 3,4 km e connette la regione centrale di San Paolo alla zona ovest della città.
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C O N T R O L U C E
Numerose furono le critiche alla realizzazione dell’opera; fu chiamato “scenario di
architettura crudele” e “un’aberrazione architettonica”. A tutt’oggi non è ben visto
dalla popolazione della regione centrale e,
cinque anni dopo la sua inaugurazione
(1976), fu interdetta la circolazione nelle
ore notturne a causa del numero elevato
di incidenti, accaduti anche a causa di alcune curve particolarmente pericolose,
tanto che, molti anni dopo, furono modificate e riprogettate. La storia trentennale
del Minhocao racconta dei tentativi, succedutisi nel tempo, di farne un’arteria anche per il trasporto pubblico e del loro fallimento a causa degli elevati costi di gestione.
Nel ‘98 furono dipinti e decorati circa
2.725 metri del viadotto con opere di artisti plastici; si trattò di un tentativo di
migliorare la presenza e l’immagine della
polemica costruzione che connette le regioni di oriente della città di San Paolo. Il
progetto, battezzato il Viadotto dell’arte,
fu creato dalla Funarte (Fondazione Na-
zionale dell’Arte) legata al Ministero della
cultura. Le pitture laterali del Minhocao
sono di artisti plastici quali Mauricio Nogueira Lima e Sônia von Brüsky. Nei pilastri del tratto tra l’Avendia Sao Joao e Venral Olimpio da Silveira sarà ricostruito il
lavoro dell’architetto Flavio Motta che risale alla decade degli anni Settanta.
Il viadotto è stato anche scenario di film
come “Terra estrangeira” di Hector Babenco e “As Meninas” di Emiliano Ribeiro tratto dal romanzo di Lygia Fagundes
Telles, testimoniando in tal senso la propria appartenenza alla città, il proprio
ruolo strutturale, funzionale ma anche
rappresentativo di un’immagine della capitale, ponendosi come riferimento nell’immaginario collettivo degli stessi abitanti e, inevitabilmente, di tutti coloro
che attraversano la metropoli.
Nonostante non sia stato incluso, in passato, nei programmi e nei piani di riqualificazione e recupero urbano, il viadotto
sta vivendo, da alcuni anni, un periodo di
rinnovata amicizia con la popolazione in
seguito alla realizzazione del progetto Domenica nel Minhocao; in sostanza lo spazio
carrabile del viadotto viene chiuso al traffico delle auto per circa un chilometro e si
rivela ai cittadini come uno spazio pubblico adibito allo svago, al tempo libero ed
allo sport ponendosi, provocatoriamente,
come una delle maggiori aree di piacere e
tempo libero ubicate nel centro di San
Paolo. La novità del progetto realizzato
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C I T T À
dalla prefettura di San Paolo è stata quella
di ripensare questo spazio, nei giorni festivi, come una risorsa per l’area centrale e
con una destinazione del tutto differente
da quella funzionale e attinente alla viabilità metropolitana (che nelle ore di punta
registra un traffico di circa 6.000 veicoli/ora in entrambi i sensi); lo spazio centrale, infatti, è suddiviso in viali che ospitano strutture temporanee e rimovibili
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60/05
adibite alla vendita di prodotti di artigianato e gastronomici, alla presentazione di
progetti di natura sociale, ai punti di informazione di carattere sanitario, nonché agli
spazi attrezzati per il gioco dei bambini e
per la sosta. Arricchiscono il paesaggio del
“Minhocao festivo” i ciclisti, gli atleti, i pattinatori, i ragazzi con lo skate che, insieme
a bimbi e genitori, approfittano delle domeniche di sole per riappropriarsi di uno
spazio urbano contestato e vissuto, quasi
sempre, con grande diffidenza e mal sopportazione.
Attualmente è in corso un progetto di recupero che include anche le aree limitrofe
al viadotto e prevede la creazione di servizi ed attrezzature di carattere culturale negli spazi urbani contermini come per
esempio nella Praça Marechal Deodoro
dove verrà realizzato un nuovo spazio culturale per le arti e lo spettacolo con la creazione di strutture dedicate all’insegnamento e a laboratori di sperimentazione
di carattere teatrale, cinematografico, fotografico. Il progetto volto al persegui-
mento di una migliore qualità di vita prevede la partecipazione dell’associazione
Amigos dos Minhocao, a testimonianza di
un valore simbolico riconosciuto e posto
come fondamento del rapporto nuovo tra
cittadini e Minhocao; un rapporto che
non si limita alla sua fruizione nei giorni
di festa ma va oltre, avviando azioni di recupero e riqualificazione intesi a promuovere ed avviare processi più ampi di riqualificazione attorno ad una delle opere infrastrutturali maggiormente discusse e
criticate nel corso degli anni ma che, al
contempo, hanno segnato l’immagine, la
storia e la vita della città tanto da costituirne, oggi, più che uno spaccato di paesaggio urbano quasi un paesaggio urbano
identitario da cui partire per ripensare e riprogettare la zona centrale della città.
*architetto, professore a contratto presso l’Università “La Sapienza” di Roma
Le fotografie che illustrano questo articolo sono
di André Feliciano, architetto, urbanista e fotografo d’architettura, vive e lavora tra Sao Paulo
e gli USA.
S P O R T E L L O G I O VA N I
Leonardo
unpacked
“AAA 14 ARCHITETTI
UNPACKED appena tornati da
una esperienza di lavoro
internazionale a Parigi,
Barcellona e Madrid, cercano
committenti coraggiosi disposti
ad assecondarne l’audacia e
ad alimentarne l’incrollabile
ottimismo. Vi facciamo
proposte che sfidano
l’impossibile, elaboriamo per
voi progetti innovativi,
promuoviamo idee che non
s’erano mai sentite prima:
contattateci al numero di
LEONARDO UNPACKED
3383425248 oppure veniteci
a trovare dal 20 al 26 gennaio
all’Acquario Romano dove ci
metteremo in mostra e vi
racconteremo cosa abbiamo
per la testa!”(*)
D
unque immaginateci trentenni o giù di
lì, generazione erasmus o interrail se
rende meglio l’idea. Europei irrequieti
fino al midollo insomma. Oggi con i polpi galiziani nello stomaco, domani con il Kiasma
Museum negli occhi. Ieri già stufi di fare il
progetto di composizione uno sui tavolini scomodi della nostra facoltà, adesso a passar notti
in bianco per realizzare la nostra prima architettura a Pamplona o a progettare furiosamente con Odile Decq tra Parigi e Roma.
Già lo sappiamo che voi sapete tutto del programma europeo di mobilità e formazione
LEONARDO da cui abbiamo preso il nome.
Se vi sfuggono alcuni dettagli, bene lo stesso, è
un’occasione per andare a sbirciare il sito dello sportello giovani dove è spiegata ogni cosa:
in pratica siamo stati ospitati in studi d’architettura a Barcellona, Madrid e Parigi per un
periodo di alcuni mesi. A fare cosa? Mah, a
pensare spazi e realizzare modelli, a disegnare
dettagli o a seguire cantieri, a realizzare installazioni, a fare video, a scrivere articoli, ad andar per mostre; a fare i turisti per scoprire la
città, ad allontanarci da fidanzati/e noiosi per
ritrovarci innamorati dei colleghi/e di studio
più simpatici ed intriganti... Qualcuno di noi
poi si è portato il gatto e la fidanzata, alcuni al-
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60/05
a cura di Christian Rocchi
Daniele Mancini,
Irene Rinaldi
S P O R T E L L O G I O VA N I
tri si sono portati macchine fotografiche e registratori, altri si sono trasferiti in India o sono
diventati papà... maledettamente i soliti architetti !
Detto questo, cosa succede quando torniamo
a Roma? Facile, proponiamo di allestire una
mostra breve di tre giorni nello spazio Monitor dell’Acquario Romano, per mettere in scena ciò che abbiamo fatto nei mesi di permanenza all’estero. La metafora la troviamo subito: sarà quella dello “spacchettamento”, unpacking, cioè del disfare e raccontare i pacchetti di memoria che ci siamo portati appresso in valigia. Così decidiamo di realizzare delle installazioni evocative con cui il visitatore
può interagire seguendo il filo della nostra memoria. Per una questione di flessibilità concordiamo un set minimo di elementi espositivi
comune a tutti. Ognuno di noi ne avrà uno.
Lo chiamiamo kit: una luce al neon colorata
da appendere in verticale, una o più piattaforme circolari in polistirolo bianco, un cavo
d’acciaio come supporto per uno spot luminoso. Per il resto liberi. Ognuno poi declina la
propria isola espositiva a suo piacimento, con
elementi leggeri per lo più appesi. Il giorno
prima dell’inaugurazione dell’evento si decidono le posizioni e si monta tutto. Et voilà, I
giochi son fatti ...
I visitatori arrivano e cominciano a frugare come dentro 14 valigie da viaggio appena aperte:
ognuna racconta, con un pizzico di magia,
una storia, un sogno, un ricordo, una passione
che ognuno di noi ha portato con sé da Parigi,
Barcellona o Madrid. E noi ci sentiamo un po’
come Mary Poppins a cui in effetti è dedicata
la mostra ...
Ma lasciateci raccontare brevemente e con ordine quello che abbiamo fatto ...
Per prima viene Eleonora Barone che ha lavorato a Barcellona presso lo studio Xavier Tragant Mestres de la Torre e che ora si è trasferita
lì per il suo dottorato. Eleonora realizza una
installazione cilindrica in acetato trasparente
dal titolo Ciudades rendendo esplicita la pluralità degli aspetti della città percepiti da una
moltitudine di persone che la vivono.
Poi c’è Maddalena Cannarsa, che tuttora lavo-
ra a Madrid presso lo studio Lamela, lei appende frammenti di architetture che quotidianamente attraversa, individuandoli sulla mappa della linea metropolitana.
A seguire Francesca Canu, anche lei a Barcellona da Xavier Tragant Mestres de la Torre, che
costruisce un cilindro opaco mobile, all’interno del quale si possono ricostruire le contraddizioni delle trasformazioni della città.
Più complessa l’installazione di Irene Dall’Aglio, che ha lavorato a Madrid presso lo studio
di De Lapuerta y Asencio. Irene affronta un tema colto, tipico della cultura spagnola da Calderón de la Barca a Cervantes passando per
Borges: quello della finzione, del rapporto tra
realtà e immaginazione, usando gli immaginari popolari del cinema.
Stesso punto di vista ce l’ha Cinzia di Renzo, a
Barcellona da Emili Donato Folch, che popola il suo spazio di una serie di specchi appesi
che riflettono immagini di architettura: dove
inizia l’illusione, dove finisce il vero?
Ancora con gli specchi gioca Daniele Mancini, il quale ha lavorato a Parigi da Jakob+MacFarlane. Lascia il suo kit spoglio, aggiunge solo uno specchio sulla base bianca di polistirolo, titolo: Vanità, alludendo alla tendenza narcisistica del visitatore di specchiarsi.
Tra tutti Manuela Minzi, che ha lavorato a
Madrid presso lo studio Lamela, realizza l’installazione più interattiva: il visitatore compone e scompone una serie di immagini interscambiabili appese a dei fili.
Poi viene Andrea Pavia, che dopo un breve
soggiorno a Parigi ha trascorso alcuni mesi in
India per l’organizzazione Architecture &
Dévelopement. Andrea ricostruisce in alluminio un Mandap, una piattaforma di incontro e
interscambio tipica dei villaggi rurali indiani e
ci da la possibilità di navigare in un ipertesto
sull’architettura spontanea locale che ha mappato e studiato.
Proseguendo, Irene Picardo, a Barcellona
presso lo studio di Magí Gual Valverde, allestisce uno spazio intitolato Abriendo Puertas e
appende immagini di porte e tante chiavi per
aprirle e poterci sbirciare dietro.
Ancora, Irene Rinaldi, che ha lavorato a Ma-
drid presso lo studio De Lapuerta y Asencio,
costruisce una storia e offre la possibilità di seguire le tracce di un killer immaginario attraverso indizi sottovuoto che non sono altro che
frammenti di memoria.
In questo sistema, fatto di installazioni concettuali e sofisticate, Giuseppe Savarese, che
ha lavorato e continua a lavorare a Parigi presso lo studio di Odile Decq, ci spedisce una lettera in cui racconta il suo progetto più importante: un figlio. Auguri a Giuseppe.
Giulia Scaglietta invece, che ha lavorato a Parigi presso il Secteur Développement Urbain
dell’Unesco, trafigge la base di polistirolo con
mille schegge: sono “frammenti visivi, squarci
di città e di volti, per giocare toccare saltare ridere guardare racchiudere raccogliere… sperimentare”.
Massimo Sodini, che ha lavorato a Barcellona
da Helio Piñón e continua a frequentarla per
un dottorato in progettazione, per il suo spazio
propone una installazione multimediale intitolata E_SENS dove esplora il concetto di mutazione della percezione visiva prendendo come pretesto una sua installazione a Barcellona.
Infine Fabio Surrentino, a Madrid presso lo
studio di Lahao Lopez, lascia fluttuare in aria
un planisfero gonfiabile ed una palla di vetro
sfaccettata, indicando come le rotte dell’anima siano importanti tanto quanto le migrazioni fisiche tra una città e l’altra sul globo terrestre.
Ok, per questo giro è tutto. Non dimenticatevi di dare un’occhiata al nostro sito dove potrete vedere le video interviste che raccontano
le nostre installazioni e la galleria delle immagini della serata inaugurale.
http://www.sportellogiovani.it/unpacked/
(*) Che ci crediate o no, l’annuncio all’inzio dell’articolo l’abbiamo fatto pubblicare su Portaportese
per davvero. Come dire che era l’unica maniera per
far circolare rapidamente e gratis la notizia dell’evento in giro per Roma. E comunque, non siete curiosi di sapere se il numero funziona ancora? Abbiamo la certezza che LEONARDO vi risponderà ma
non sapremmo dire da dove ... Leonardo è mobile e
continua il suo viaggio per l’Europa ... semmai lasciategli un SMS!
Trattato di restauro architettonico
vol. VIII - Atlante (in due tomi)
diretto da Giovanni Carbonara
Utet Torino - Euro 220
come punto di concentrazione del
potere, delle attività produttive non
agricole e del surplus alimentare,
costituendosi come nodo di
centralità, sede amministrativa,
luogo di scambi, epicentro di
cultura e di informazioni, in un
sistema territoriale di tipo
reticolare. Oggi il processo di
urbanizzazione procede a ritmi
rapidi, e poiché l’economia
mondiale si caratterizza per la
globalizzazione dei mercati, con
una accentuata terziarizzazione,
le città riorganizzano su nuove
basi i propri meccanismi di
funzionamento, per attrarre
investimenti, attivare risorse,
ottenere funzioni privilegiate.
Il volume raccoglie una serie di
brevi saggi suddivisi in due sezioni
tematiche relative a reti ed aree
metropolitane europee, la prima,
ad alcune città globali, la
seconda. Le città prese in
considerazione sono Berlino,
Londra, Barcellona, Dublino,
Lisbona e Helsinki, che
rappresentano situazioni
paradigmatiche della
trasformazione urbana in corso
nel territorio europeo.
un arco temporale quanto mai
vario. L’autore accompagna il
lettore attraverso percorsi dove
vicende storiche e quotidianità
si alternano con disinvoltura,
puntando solidamente verso
quel finale sorprendente quanto
portentoso.
In sostanza, co-protagonista
l’architettura del Seicento
romano, e con essa figure della
nostra storia tra cui spicca, per
forza religiosa e di ingegno
creatore, il Borromini, il
romanzo si propone come
thriller, in equilibrio tra verità e
verosimiglianza, con radici
solide nella letteratura italiana,
esprimendosi con sintomi di
modernità che si manifestano
nei ritmi e nei sorprendenti
passaggi improvvisi.
Un’isola del tesoro quindi, che
coinvolgerà il personaggio
Aurelio in un’indagine -ricerca
dal connotati gaglioffi. Ma che
dall’isola si snoderà tra le
segretezze di un’epoca tra le
più misteriose. Gli intrighi, la
religiosità, l’architettura del
Barocco, entreranno di forza
nella sua esistenza a segnare
una svolta nell’indole, se non
nel carattere antieroico del
protagonista.
L’opera si avvale di una
copertina originale, redatta
appositamente dall’artista Rosy
Danieilo, foggiana, che ha
interpretato con spirito barocco
il dualismo territoriale, Italia e
Albania, teatro dell’opera.
Carmelo G. Severino
Soveria Mannelli
Città d’Europa
Rubbettino editore, 2004
Pubblicato nel Bollettino dell’AISU
L’Europa si è urbanizzata in non
più di un millennio secondo una
dinamica che ha presentato
periodi di rapido sviluppo
alternati a periodi di stagnazione
e di declino, in situazioni che
hanno ora favorito ora ostacolato
il processo di crescita delle città,
le quali, infine, si sono affermate
Pietro Cimino
L ‘Isola
Edizioni Sovera
Il romanzo del nostro collega,
architetto Pietro Cimino abbraccia
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LIBRI
Recentemente Giovanni
Carbonara ha curato l’Atlante del
restauro, sezione conclusiva del
noto Trattato di restauro
architettonico, apprezzato da
studenti e specialisti del settore in
quanto affronta con grande
competenza l’intero corpus delle
problematiche inerenti la
specifica materia.
Il piano dell’opera è composto
dai primi quattro volumi del
Trattato, editi per la prima volta
nel 1996, dai tre volumi (in
quattro tomi) dedicati al rapporto
fra Restauro architettonico e
impianti aggiuntisi nel 2001 e
dall’attuale ottavo volume (in due
tomi) dell’Atlante, per un totale
complessivo di dieci libri. La sua
mole imponente è diretta
conseguenza del rigore
impiegato nell’affrontare la
complessità del variegato mondo
della conservazione, sempre
intesa come riflessione teorica e
operatività. Ciò in perfetta
sintonia con i fondamenti stessi
del fare architettura, dove la
teoria è sempre una potenziale
prassi e, viceversa, la migliore
operatività, in quanto esempio di
eccellenza, diviene la base di
ulteriori affinamenti teorici.
Giovanni Carbonara, infatti,
come curatore dell’opera e nel
delicato ruolo di coordinatore e
revisore dei contributi di molti
autori (scelti con grande
attenzione all’interno delle
Università, del Ministero per i
Beni e le Attività Culturali e fra i
professionisti del settore)
mantiene sempre vivo il rapporto
fra teoria e prassi (in questo
memore di un’altra analoga e
importantissima opera pubblicata
dal padre, Pasquale Carbonara,
Architettura pratica, Utet Torino,
pubblicata a partire dal 1954).
Tutto ciò nonostante l’inevitabile,
e propedeuticamente necessaria,
divisione per argomenti, imponga
che una prima parte di
trattazione metodologica preceda
logicamente quella dedicata alle
pratiche di cantiere, conclusa poi
da una ricca appendice
normativa.
In questo panorama i due tomi
dell’Atlante si caratterizzano in
maniera propria all’interno del
piano generale dell’opera perché
privilegiano una comunicazione
‘visiva’, svolta cioè con grande
ricchezza di immagini e schemi,
pur ricalcando nei contenuti e
nell’indice gli stessi argomenti che
nei primi quattro volumi del
Trattato erano stati, invece,
affrontati seguendo modalità
eminentemente ‘discorsive’.
I molti esempi sono spesso
presentati e commentati dagli
stessi responsabili, o autori, degli
interventi di restauro, facendo del
volume un vero e proprio
repertorio critico in sé autonomo.
Si tratta di un testo che vale come
riferimento nel campo del
restauro architettonico e che non
dovrebbe, quindi, mancare nella
biblioteca di ogni architetto che
voglia affrontare, o solo
conoscere con compiutezza,
questo difficile argomento.
Da segnalare, infine, l’ottima
qualità grafica dell’Atlante, ricco
di numerose immagini a colori.
Alessandro Pergoli Campanelli
N O R M AT I VA
Trasformazione
del diritto di
superficie in
diritto di
proprietà delle
aree 167/62
Eugenio Burgio
Diritto di superficie
Il diritto di superficie,ovvero la
facoltà di edificare su altrui aree,
nasce come deroga al consolidato
principio della accessione (regolato
dall’art.938 del c.c.),in base al
quale tutto ciò che sta sopra o sotto
il suolo appartiene al proprietario
del terreno, costruito o piantato che
sia.
L’inibizione del principio
dell’accessione permette la
concessione a privati di suoli
pubblici per l’edificazione, con
conseguente trasferimento del
diritto reale della proprietà del
costruito a soggetti diversi dal
titolare del terreno; in pratica viene
ceduto lo jus aedificandi,
mantenendo nel contempo
inalterata la titolarità del suolo.
L’art. 952 del c.c. sancisce che il
proprietario di un’area può
concedere a terzi il diritto di
edificare e di mantenere al di
sopra del suolo una costruzione,
configurando di fatto una
dicotomia dell’assetto dominicale
con due proprietari distinti, uno del
suolo e l’altro del costruito.
Nel caso in specie gli assegnatari
di edifici residenziali costruiti su
aree destinate all’Edilizia
Economica e Popolare sono i
proprietari della costruzione,
mentre il Comune concedente resta
il dominus soli.
Per quanto di lunga durata, 60 o
99 anni, la concessione del diritto
di superficie è a tempo
determinato; ai sensi dell’art. 953
del c.c. “ allo scadere del termine,il
diritto di superficie si estingue e il
proprietario del suolo diventa
proprietario della costruzione.“,
pertanto i Comuni che hanno
ceduto in diritto temporaneo di
superficie le aree, su cui altri
hanno edificato, entrerebbero in
possesso delle costruzioni, se non
provvedessero a cederle in
proprietà.
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Legge 167/62
L’edilizia residenziale su suolo
pubblico trae spunto dalla legge
167 del 18 aprile 1962, laddove
prevede, all’art. 1 co.1, che “I
Comuni con popolazione superiore
ai 50.000 abitanti o che siano
capoluoghi di Provincia sono tenuti
a formare un piano delle zone da
destinare alla costruzione di alloggi
a carattere economico o popolare
nonché alle opere e servizi
complementari urbani e sociali, ivi
comprese la aree a verde pubblico“.
A tale scopo vengono acquisiti
terreni da privati, mediante
esproprio, qualora già non fossero
nella disponibilità delle
Amministrazioni e trasferiti in
temporaneo diritto a cooperative o
ad imprese.
Legge 865/71
L’acquisizione delle aree avviene a
norma dell’art. 35 della legge 865
del 22 ottobre 1971, che recita
“…Le aree comprese nei piani
approvati a norma della legge 18
aprile 1962 n. 167, sono
espropriate dai Comuni o dai loro
consorzi.
Le aree di cui al precedente
comma…vanno a far parte del
patrimonio indisponibile del Comune
o del consorzio.
Su tali aree il Comune o il consorzio
concede il diritto di superficie per la
costruzione di case di tipo
economico…“.
L’attuazione del Programma di
Edilizia Economica e Popolare passa
pertanto attraverso l’esproprio da
parte dei Comuni o dei loro consorzi
delle aree necessarie e attraverso la
costituzione su di esse di un diritto
reale a favore di soggetti che si
impegnino ad attuare le previsioni
del piano.
Tali soggetti, ottenuta la concessione
delle aree in diritto temporaneo di
superficie, mediante la stipula di una
convenzione con il Comune e previo
pagamento di un corrispettivo,
anticipo compensativo dei costi di
esproprio, procedono
all’edificazione con la
consapevolezza che al termine
l’edificio passerà al patrimonio del
Concedente.
All’estinzione del diritto di superficie,
in caso di mancato rinnovo,
riprenderebbe vigore il principio
dell’accessione, con conseguente
acquisizione della costruzione a
favore del proprietario dell’area, a
meno che non si provveda alla
trasformazione del diritto di
superficie in diritto di proprietà.
Trasformazione del diritto di
superficie in diritto di proprietà
La normativa a cui viene data
attuazione per la trasformazione in
diritto di proprietà è quella
contenuta nella Legge Finanziaria
23 dicembre 1998 n. 448 art. 31
commi 45-50,che disciplina le
modalità di cessione in piena
proprietà delle aree già concesse
in diritto temporaneo di superficie
e fissa i criteri per la valutazione
dei sedimi edificati.
Tale legge presenta, rispetto alle
pregresse finanziarie che avevano
già affrontato il tema, alcune
significative novità, quali: la stima
del corrispettivo di trasformazione
è determinata dal Comune, su
parere dei propri uffici tecnici e
non più dall’ Ufficio Tecnico
Erariale; il singolo condomino può
addivenire alla trasformazione per
la propria unità immobiliare senza
dover necessariamente attendere la
collegialità di una scelta
condominiale.
I punti salienti della legge sono:
- i Comuni possono cedere in
proprietà le aree già concesse in
diritto di superficie;
- i singoli proprietari degli alloggi
hanno facoltà, non l’obbligo, di
accettare la proposta del Comune,
con pagamento di un corrispettivo
per la quota millesimale di
pertinenza;
- il corrispettivo per la cessione
delle aree è pari al valore
commerciale dell’area sommato e
mediato con il reddito domenicale,
detratto il 40% e quanto a suo
tempo versato per il diritto di
superficie, rivalutato sulla base
delle variazioni ISTAT dell’indice
dei prezzi al consumo per le
famiglie di operai ed impiegati
verificatasi tra il mese di
versamento e quello di stipula
dell’atto di cessione delle aree.
Adesione dei Comuni
Molti Comuni italiani si sono
avvalsi della facoltà di cedere le
aree, concessa dalla legge
448/98, favorendo i propri
cittadini e cogliendo nel contempo
l’occasione di reperire risorse
finanziarie aggiuntive per
finanziarie attività gestionali ed
amministrative.
Le modalità ed i criteri operativi
adottati differiscono alquanto nei
vari Comuni, non fosse altro che
per le differenti realtà urbanistiche
e sociali in cui si opera e per lo
stato delle procedure espropriative.
Giova infatti ricordare che, agli
assegnatari che dovessero
accettare la proposta di
trasformazione, il Comune farà
pagare un corrispettivo,calcolato in
base al valore venale dell’area,cui
va detratto quanto già versato a
compensazione degli espropri dei
terreni. Naturalmente se le
procedure espropriative non
fossero concluse i Comuni non
sarebbero in grado di calcolare
quanto imputare ai superficiari né
di procedere alla trasformazione.
In tale situazione si trova il
Comune di Roma che, con la
Deliberazione 54/2003, ha
concesso la facoltà di trasformare
il diritto di superficie in diritto di
proprietà a quei cittadini
proprietari di alloggi ricadenti nei
soli 9,su oltre 100 piani di zona
167/62,in cui le procedure
espropriative sono concluse.
L’Amministrazione Capitolina,
stimate le aree,accertata la
convenienza economica di
procedere alla cessione in
proprietà, ha avviato le procedure,
tramite la soc. Gemma già
affidataria di altri servizi quali il
Condono Edilizio e il Fascicolo del
Fabbricato, ed ha incentivato
l’adesione con il ricorso a forme di
credito agevolato con Istituti
Bancari.
Tra le diversità dei criteri operativi
rientra anche la stima delle aree
che ciascun Comune ritiene di
adottare. Generalmente le
procedure più accreditate sono due
e dipendono dal grado di
approssimazione che si vuole
ottenere: una,la procedura
statistico-mercuriale, basata sul
rilevamento dei prezzi di mercato,
l’altra, economico-estimale, basata
sul valore di trasformazione delle
aree in rapporto al volume che vi
sarà edificato.
In entrambi i casi sta alla
sensibilità politica perseguire il
giusto equilibrio tra l’esigenza di
introitare somme da reinvestire e
l’adozione di prezzi invitanti per
assegnatari che potrebbero avere
una certa ritrosia ad investire per il
riscatto di un bene che rischiano di
perdere soltanto dopo un lasso di
tempo consistente.
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