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Determinazione ed esecuzione della pena in particolare dopo le modifiche introdotte dalla legge n.251/05 Torino, 10 aprile 2008 Alcuni paletti di carattere generale sul percorso di determinazione della pena (artt.63 ss. c.p.), scusandomi per il fatto che si tratti di paletti arcinoti, ma che è bene porre come base comune prima di affrontare le innovazioni apportate dalla legge exCirielli (d’ora in poi, Cirielli). D’altra parte, in tanto mi permetto di fare queste premesse, in quanto me lo hanno espressamente chiesto le “formatrici decentrate”, quindi le committenti: • nel caso di reato unico e non circostanziato: unica operazione, la scelta di una pena compresa fra il minimo ed il massimo edittali • nel caso di reato unico con sole circostanze attenuanti: determinazione della pena base fra il minimo ed il massimo, poi tante riduzioni di pena quante sono le attenuanti • nel caso di reato unico con sole circostanze aggravanti (comuni o speciali): determinazione della pena base fra il minimo ed il massimo, poi tanti aumenti di pena quante sono le aggravanti, con l’avvertenza che nel caso di concorso di attenuanti comuni ed attenuanti speciali o ad effetto speciale, si dà la precedenza a queste ultime • nel caso di reato unico con circostanze aggravanti e attenuanti: o determinazione della pena base fra il minimo ed il massimo, poi bilanciamento delle circostanze, che deve comprenderle tutte, senza alcuna esclusione: se equivalenti, nessun aumento e nessuna riduzione; se prevalenti le une o le altre, solo tanti aumenti o tante riduzioni quante sono le circostanze dichiarate prevalenti; o nell’ipotesi in cui ad essere ad effetto speciale sia un’attenuante (es., 648 comma 2 c.p., 73 comma 5 DPR 309/90, attenuanti della collaborazione), per poter applicare la pena prevista per l’ipotesi attenuata l’attenuante deve necessariamente essere dichiarata prevalente, perché, se solo equivalente, si ricade nella pena dell’ipotesi base • nel caso di più reati che vengono legati in continuazione: o individuazione del reato base • fra delitti e contravvenzioni, è base il delitto • è base il reato punito più gravemente (complesso il caso in cui l’un reato abbia massimo edittale superiore ma minimo edittale inferiore: la Cassazione sembra propendere per ritenere base il reato col massimo edittale superiore, salvo non poter scendere al di sotto del minimo - più elevato - dell’altro reato; ma mi domando se questa impostazione non dia, della continuazione, un’interpretazione in sfavor) • nel caso di custodia cautelare per taluni reati e non per altri, cercare di individuare quale reato base uno di quelli per cui vi è custodia cautelare • • o determinazione della pena per il reato base, poi aumenti o riduzioni per eventuali aggravanti o attenuanti, eventualmente procedendo al bilanciamento delle circostanze eterogenee o alla fine, tanti aumenti quanti sono i reati satelliti, aumenti pacificamente sottratti al bilanciamento delle circostanze o caso particolare: reato base non aggravato e reato satellite aggravato (es., resistenza e lesioni aggravate dal 61 n.2): quid se si concedono attenuanti per entrambi? pacificamente si riduce la pena per il reato base, ma si fa il bilanciamento? Forse no, proprio perché il reato base non è aggravato, anche se nell’aumento di pena per il reato atellite si tiene conto del fatto che ci sono attenuanti o opportunità di rispettare l’art.533 comma 2 c.p.p., quindi di indicare per ciascun reato satellite la pena che si sarebbe applicata per quel reato in via autonoma, perché, se per una qualsiasi ragione “salta” il reato base, il giudice dell’impugnazione (o dell’esecuzione) si trova già predeterminata la pena per il nuovo reato base nel caso di delitto tentato: non è necessario partire dalla pena prevista per il reato consumato, è sufficiente dar conto del perché la riduzione viene operata in misura più vicina al terzo ovvero in misura più vicina ai due terzi le riduzioni per il rito vanno sempre apportate come ultima operazione, quindi anche dopo gli aumenti per la continuazione, altrimenti finirebbero per operare su alcuni reati soltanto; e, nel caso di patteggiamento per reati di cui soltanto alcuni sono colpiti da misura cautelare, è bene cercare di fare la riduzione nel terzo secco, altrimenti, per emettere l’ordine di esecuzione provvisorio, al quale fine vanno scorporati i reati a piede libero, occorre procedere ad una operazione aritmetica che credo si chiami proporzione (?). Problematiche connesse alla legge Cirielli. Nel raffronto fra il testo dell’art.99 come introdotto nel 1974 ed il testo dell’art.99 come introdotto dalla legge Cirielli balzano evidenti due differenze: • il vecchio testo faceva scattare la recidiva quando alla condanna per un reato succedeva la commissione di un altro reato; il nuovo testo fa scattare la recidiva soltanto quando alla condanna per un delitto non colposo succede la commissione di un altro, sottinteso delitto non colposo. Dunque, totale eliminazione del rilievo, ai fini della recidiva, di contravvenzioni e delitti colposi • il vecchio testo, in tutti i suoi commi e quindi in tutti i casi di recidiva (semplice, aggravata, pluriaggravata, reiterata), faceva reggere la sottoposizione ai vari aumenti di pena dal verbo “può”, così prospettando un regime di generalizzata facoltatività degli aumenti connessi ai vari tipi di recidiva; nel nuovo testo il verbo “può” rimane operativo per gli aumenti praticabili in relazione alla recidiva semplice (comma 1) e per gli aumenti praticabili in relazione alla recidiva aggravata (comma 2), mentre o l’aumento praticabile per la recidiva pluriaggravata (comma 3) e quelli praticabili per i due casi di recidiva reiterata (semplice o aggravata, comma 4) sono retti dal verbo “è” o l’aumento da praticarsi per i casi di recidivo nell’ambito di uno dei delitti di cui all’art.407 comma 2 lettera a) c.p.p. (comma 5) “è obbligatorio” e nei casi indicati dal secondo comma (recidiva aggravata) non può essere inferiore ad un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto. Fermo restando che rimane immutato il limite agli aumenti posto dall’attuale comma 6, l’intenzione del legislatore, del resto già almeno in parte manifestata con la legge sul patteggiamento allargato, sembra evidente: ridare peso effettivo, nel percorso di determinazione della pena, ad una recidiva che, disciplinata nel ’74 in modo da esaltare la discrezionalità del giudice, si era di fatto tradotta in un istituto spesso privo di rilievo effettivo. Tant’è vero che i lavori preparatori della riforma, così come concepita nella sua formulazione originaria, prevedevano il ripristino dell’obbligatorietà indiscriminata degli aumenti di pena connessi alla recidiva, fra l’altro partendo proprio dalla considerazione del lassismo dimostrato, negli anni, dai pubblici ministeri quanto a contestazione della recidiva e dai giudici quanto ad applicazione dei relativi aumenti di pena. Non si può non sottolineare, tuttavia, che, così facendo, e anche se nella versione definitiva la drasticità del progetto riformatore si è almeno in parte attenuata, si sia letteralmente capovolta l’impostazione del legislatore del ’74, spostando l’attenzione dalla recidiva al recidivo, quindi considerando costui come meritevole di un più severo trattamento sanzionatorio a prescindere dalla concreta considerazione del fatto per cui viene pronunciata condanna. E tutto ciò facendo nel comma 5 ricorso ad una categoria – quella dei delitti di cui all’art.407 comma 2 lettera a) c.p.p. – che era stata concepita ad esclusivi effetti di natura processuale (durata della fase delle indagini preliminari, durata della custodia cautelare…) ed alla quale vengono qui attribuiti effetti di natura sostanziale, destinati a suscitare serie perplessità: sia per la disomogeneità delle pene edittali previste dai reati contenuti in quell’elenco, sia per la difficoltà di comprendere perché mai rimangano esclusi dall’ambito dell’obbligatorietà della recidiva altri delitti di pari se non di maggiore gravità, sia perché l’automatismo derivante dall’obbligatorietà della recidiva non tiene in alcuna considerazione la possibilità che tra i reati attribuiti ed attribuibili al recidivo non vi sia alcuna relazione indiziante di una sua reale maggiore pericolosità, quando l’omogeneità del tipo di illecito è forse criterio, a quei fini, ben più oggettivo e ben più significativo. Problema connesso alla prima differenza: se la recidiva, contestata prima della legge Cirielli, poggiava anche su contravvenzioni e delitti colposi, queste condanne devono essere scorporate? Si tratta di norma sostanziale, l’eliminazione di certi reati dal novero di quelli che concorrono a formare la recidiva è norma più favorevole, non avrei quindi dubbi ad affermare che lo scorporo debba essere effettuato, così da rielaborare il tipo di recidiva alla stregua della nuova normativa. Problema connesso alla seconda differenza: il comma 5 si riferisce a tutti i casi di recidiva o è una mera appendice del comma 4 e si riferisce dunque alla sola recidiva reiterata? La soluzione non è così scontata come ci si augurerebbe in un’ottica di mitigazione della recente sindrome sanzionatoria del recidivo. A favore della prima tesi sta l’argomento che il comma 5 è strutturato come comma autonomo, esattamente come il comma 6 che pacificamente si riferisce a tutti i casi di recidiva. Viene inoltre addotto l’ulteriore argomento che il comma 5 richiama anche, espressamente, i casi di recidiva aggravata di cui al comma 2. Questo secondo argomento mi pare debole, perché il richiamo ai casi del comma 2 è pur sempre compatibile (anche) con la recidiva reiterata, ben potendo questa essere anche specifica o infraquinquennale. A favore della riferibilità del comma 5 alla sola recidiva reiterata sembra essersi pronunciata la Corte Costituzionale, con la sentenza di cui presto diremo, che al suo interno contiene l’espressa affermazione “la recidiva reiterata è divenuta obbligatoria unicamente ove concernente uno dei delitti indicati dall’art.407 comma 2 lettera a) c.p.p.”. Ma neppure questo argomento mi pare decisivo, perché la Corte Costituzionale lavorava sull’art.69 comma 4, che aggancia il limite dell’equivalenza proprio alla recidiva reiterata di cui all’art.99 comma 4, sicché il riferimento alla sola recidiva reiterata mi pare imposto dal tema stesso che la Corte si trovava a dover affrontare, Corte che si sarebbe dunque trovata fuori tema se non avesse parlato, appunto, di recidiva reiterata. Piuttosto, la riferibilità del comma 5 ai soli casi di recidiva reiterata mi pare possa poggiare su un argomento squisitamente letterale. L’incipit del comma 5 (se si tratta di uno dei delitti…) è tale da rendere pressoché necessario l’aggancio al comma 4, cioè al comma che più da vicino usa l’espressione “un altro delitto non colposo”. Senza questo aggancio, mi parrebbe che l’incipit del comma 5 rimanga sostanzialmente sospeso in aria, e quindi incomprensibile. Altro problema connesso alla seconda differenza: pacifico essendo che l’aumento del comma 1 e quello del comma 2 sono facoltativi, mentre quello del comma 5 è obbligatorio, che dire di quello del comma 3 e di quello del comma 4? Il problema si è posto soprattutto perché il nuovo testo dell’art.69 comma 4, disciplinando il bilanciamento fra circostanze aggravanti ed attenuanti, estendendo tale disciplina anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole, prevede poi che, nei casi previsti dall’art.99 comma 4, vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti: il che, in un contesto nel quale il dato normativo non autorizza distinzioni fra circostanze attenuanti ad effetto comune e circostanze attenuanti ad effetto speciale, impedirebbe di ritenere il quinto comma dell’art.73 prevalente sulla recidiva reiterata (anche non aggravata), con la conseguenza che, pur riconoscendo il comma 5 ma potendolo dichiarare soltanto equivalente, la pena sarebbe comunque quella base dell’art.73, sia pure senza gli aumenti connessi alla recidiva. Poiché una simile prospettiva comportava una eccessiva sovraesposizione delle connotazioni personali dell’imputato ed una eccessiva sottovalutazione della reale consistenza dell’illecito, si sono tentate tutte le vie possibili per ridimensionare il dettato dell’art.69 comma 4: soluzioni che è inutile riprendere, non tanto perché assai variegate, quanto piuttosto perché fanno ormai parte del passato. Cassazione e Corte Costituzionale hanno invece lavorato non sull’art.69 comma 4, bensì all’interno dell’art.99. Già nell’aprile 2007, con le sentenze dell’11 in proc. Serra e del 19 in proc. Meradi, la IV sezione della Cassazione, ponendosi in contrasto con Sez.VI, 27.2.2007, in proc. Ben Hadhria, aveva statuito che “la recidiva reiterata di cui all’art.99 comma 4 c.p., anche dopo le modifiche apportate dalla legge 251/05, deve ritenersi tuttora facoltativa, salvo che si tratti di uno dei delitti previsti dall’art.407 comma 2 lettera a) c.p.p. (art.99 comma 5), cosicché, allorquando il giudice ritenga – con adeguata e congrua motivazione – di non apportare alcun aumento di pena per la recidiva, non reputando questa come espressione di maggiore colpevolezza o pericolosità sociale, non è operante il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle contestate aggravanti...”. In sostanza, dato per pacifico il perdurante carattere facoltativo della recidiva, anche reiterata (tranne che nei casi del comma 5), il giudice continua a dover accertare se la ricaduta nel reato sia effettivamente espressione di una più marcata pericolosità del reo ovvero costituisca indice di una maggiore colpevolezza: se sì, applicherà in concreto gli effetti sanzionatori della recidiva e scatterà il divieto di prevalenza delle attenuanti, se no la mancata applicazione in concreto degli effetti sanzionatori della recidiva sottrae quest’ultima al bilanciamento e quindi al divieto di prevalenza delle attenuanti. In altre parole, la discrezionalità del giudice nel giudizio di bilanciamento viene ad essere limitata soltanto quando la recidiva concorra effettivamente alla determinazione della pena in concreto. La Corte Costituzionale, con sentenza 192 del giugno 2007 di non facilissima lettura, seguita dall’ordinanza 409/07, dall’ordinanza 33/08 e dalla recentissima ordinanza 90/08 (pubblicata sulla G.U. di ieri), ha sostanzialmente percorso il solco tracciato da queste pronunce della Cassazione. I giudici a quibus avevano lamentato che l’art.69 comma 4 avesse introdotto “una indebita limitazione del potere-dovere del giudice di adeguamento della pena al caso concreto – adeguamento funzionale alla realizzazione dei principi di eguaglianza, di necessaria offensività del reato, di personalità della responsabilità penale e della funzione rieducativa della pena – introducendo un automatismo sanzionatorio correlato ad una presunzione juris et de jure di pericolosità sociale del recidivo reiterato”. Ad essere incostituzionale sarebbe quindi l’effetto di neutralizzazione della diminuzione di pena connessa alle concorrenti circostanze attenuanti, indipendentemente dalla natura e dalle caratteristiche di queste ultime, da un lato, e, dall’altro lato, anche quando la recidiva sia fondata su precedenti remoti, non gravi, scarsamente significativi in rapporto alla natura del nuovo delitto. La Corte parte dalla considerazione che le censure poggiano sul comune presupposto che con la legge Cirielli la recidiva reiterata sia divenuta obbligatoria e non possa quindi essere discrezionalmente esclusa dal giudice, quanto meno agli effetti della commisurazione della pena. Osserva la Corte che, a favore di questa tesi presupposta, vi è il dato letterale del passaggio, nel terzo e quarto comma dell’art.99, dal “può” all’”è”. Ma, secondo la Corte: • questa maggiore imperatività letterale può essere esclusivamente riferita alla misura dell’aumento di pena conseguente alla recidiva pluriaggravata ed a quella reiterata, nel senso che il legislatore ha voluto renderlo fisso anziché variabile tra un minimo ed un massimo, lasciando tuttavia inalterato il potere discrezionale del giudice di applicare o meno l’aumento stesso. E, del resto, recidiva pluriaggravata e reiterata altro non sono che mere species della figura generale individuata nel primo comma, sicché la struttura della recidiva resta quella – facoltativa – contemplata nel primo comma. Obbligatoria, dunque, sarà soltanto la recidiva reiterata prevista dal comma 5, mentre in tutti gli altri casi, anche di recidiva reiterata, viene meno l’automatismo relativo alla predeterminazione dell’esito del giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee sulla base di una asserita presunzione assoluta di pericolosità sociale: nel senso che, esclusi gli effetti della recidiva sulla pena, non si darà luogo ad alcun giudizio di comparazione fra attenuanti e recidiva • qualora si ammettesse che la recidiva reiterata mantenga il carattere di facoltatività ma che abbia efficacia comunque inibente in ordine all’applicazione di concorrenti circostanze attenuanti, siano esse ad effetto comune o speciale, ne deriverebbe, ove la recidiva non sia indicativa di maggiore colpevolezza o pericolosità del reo, la conseguenza di una circostanza “neutra” agli effetti della determinazione della pena nell’ipotesi di reato non ulteriormente circostanziato, ma in concreto “aggravante” nell’ipotesi di reato circostanziato in mitius. Sarebbe cioè illogico supporre che la recidiva reiterata non operi rispetto alla pena del delitto in quanto tale e determini invece un sostanziale aumento di pena rispetto al delitto attenuato. Dunque, una decisione di inammissibilità, ma un’interpretazione che, per salvare la costituzionalità dell’art.69 comma 4, si spinge ben oltre, arrivando a fornire un’interpretazione costituzionalmente corretta dello stesso art.99 c.p.: la recidiva, anche reiterata, tranne che nei casi del comma 5, è facoltativa, dunque il giudice applicherà il relativo aumento di pena solo quando ritenga il nuovo episodio delittuoso “concretamente significativo – in rapporto alla natura ed al tempo di commissione dei precedenti, ed avuto riguardo ai parametri indicati dall’art.133 – sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo”; o, in altre parole, quando ritenga la recidiva reiterata effettivamente idonea ad influire, di per sé, sul trattamento sanzionatorio del fatto per cui si procede. Sulla base di questa pronuncia, la Cassazione, che secondo la stessa Corte Costituzionale si era precedentemente espressa in modo contrastante, si è univocamente orientata verso la soluzione adottata nelle pronunce dell’aprile 2007: sicché sono seguite • nel giugno 2007, la sentenza in proc. Farris della IV sezione e la sentenza in proc. Mazzitta della IV sezione (la quale apertamente afferma che “la conservazione della dimensione facoltativa dell’aggravamento del trattamento sanzionatorio – sott. nel caso di recidiva reiterata – opera come correttivo necessario a rendere compatibile la disciplina normativa con i principi • • • • costituzionali in materia di pena, vale a dire col principio di proporzionalità e quindi della funzione rieducativa della pena) nel luglio 2007, la sentenza in proc. Doro della II sezione e la sentenza in proc. Saponaro della VI sezione nel settembre 2007, la sentenza in proc. Mura della V sezione nell’ottobre 2007, la sentenza in proc. Barah della VI sezione nel gennaio 2008, la sentenza Mouhamed e la sentenza in proc. Cosentino, entrambe della VI sezione. Mi domando e vi domando. La Corte Costituzionale interpreta dunque l’art.99, affermando il carattere obbligatorio della recidiva reiterata nei soli casi previsti dal quinto comma dello stesso art.99. E’ allora altrettanto pacifico che, proprio per il riconosciuto carattere obbligatorio della recidiva, nei casi del quinto comma dell’art.99 il limite al giudizio di bilanciamento previsto dall’art.69 comma 4 (nel senso che non si possa andare oltre l’equivalenza) rimane pienamente operativo. Ma la Corte era stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale non già dell’art.99, bensì proprio dell’art.69 comma 4. Possiamo allora dire che la pronuncia della Corte contiene un’implicita ammissione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt.69 comma 4 e 99 comma 5? Una sicura conclusione in senso affermativo mi sembrerebbe un po’ ardita, perché la sentenza della Corte conclude per l’inammissibilità delle questioni proposte, e non per la loro infondatezza, bacchettando i giudici a quibus per il fatto di non aver cercato interpretazioni alternative e costituzionalmente orientate: dunque dribblando, in realtà, le questioni strettamente connesse all’art.69 comma 4. Mi pare, dunque, che rimanga aperto lo spazio per eventuali questioni di legittimità costituzionale sul combinato disposto degli artt.69 comma 4 e 99 comma 5. A proposito di bacchettate, la stessa Corte Costituzionale, in un passaggio della propria decisione, rimprovera i giudici a quibus anche per il fatto di non essersi posti un altro problema: perché diventi operante il regime di obbligatorietà della recidiva contemplata nel quinto comma dell’art.99, nell’elenco dei delitti di cui all’art.407 comma 2 lettera a) deve rientrare il delitto oggetto della precedente condanna, ovvero il nuovo delitto che vale a costituire lo status di recidivo, ovvero l’uno o l’altro indifferentemente, ovvero l’uno e l’altro? La Corte non risponde a tale quesito e devo dire che, se non fosse la Corte, con la sua autorevolezza, a porre il problema, le alternative non mi sarebbero proprio venute in mente: perché, una volta che si agganci il comma 5 al comma 4, operazione che abbiamo visto letteralmente corretta e che d’altra parte è funzionale a non estendere l’obbligatorietà degli aumenti a tutti i casi di recidiva, ma solo a quelli di recidiva reiterata, mi parrebbe evidente che a dover rientrare nel novero dei reati di cui all’art.407 debba necessariamente essere il nuovo delitto non colposo. Due ultime osservazioni pratiche sul binomio 99/69 comma 4: • quando non si voglia far scattare i limiti al bilanciamento imposti dal 69 comma 4, e dunque essere liberi di bilanciare anche in regime di prevalenza delle attenuanti, che cosa si scrive in dispositivo? Non mi parrebbe corretto • scrivere che si esclude la recidiva, perché la recidiva continua ad esserci, e continua ad essere reiterata, salvo che se ne esclude l’operatività ai fini della determinazione della pena. Mi pare dunque più corretto scrivere una frase del tipo “esclusi gli effetti sanzionatori della recidiva” se ricorre l’ipotesi di cui all’art.99 comma 5, per cui l’aumento connesso alla recidiva è obbligatorio, si può pur sempre bilanciarla con eventuali attenuanti, sia pure soltanto nei limiti dell’equivalenza? Il dubbio si pone proprio perché la Corte Cost., anziché pronunciarsi direttamente sul 69 comma 4, ha in qualche modo svicolato sul 99. Mi sembra comunque di poter dire che, se il comma 5 viene agganciato al comma 4 ritenendo obbligatorio l’aumento soltanto nei casi di recidiva reiterata per i delitti di cui all’art.407, se d’altra parte il 69 comma 4 pone il limite dell’equivalenza per tutti i casi di 99 comma 4, dei quali quelli del 99 comma 5 costituiscono una semplice sottospecie, varrà per questi ultimi il limite obbligatorio dell’equivalenza, ma non anche un divieto di bilanciamento con eventuali attenuanti, che porterebbe il 69 comma 4 a vietare più di quello che letteralmente vieta. D’altra parte, non è che così facendo si svuoti di contenuto il 99 comma 5, perché l’aumento per la recidiva rimarrà pur sempre obbligatorio nei casi di delitto non attenuato, quindi per il caso in cui i problemi di bilanciamento non si pongano neppure. Il che, fra l’altro, mi pare anche razionale per le considerazioni che abbiamo visto essere state svolte dalla stessa Corte Costituzionale nel raffronto fra delitto puro e delitto attenuato. Il binomio recidiva reiterata/delitti di cui all’art.407 viene un’altra volta in discorso anche agli effetti dell’art.62-bis c.p.: perché, quando ricorra questo binomio, e ad esso si aggiunga il fatto che il nuovo delitto sia punito con reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni, il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non può fondarsi sui parametri di cui all’art.133 comma 1 n.3 né su quelli dell’intero secondo comma di tale articolo. Una volta precisato che, affinché scatti questo limite, è necessario il ricorrere di tre condizioni (recidivo reiterato, nuovo delitto rientrante nel 407, minimo edittale di tale delitto non inferiore a cinque anni), c’è ben poco da dire. Quando ricorrono quelle tre condizioni, il legislatore presume di trovarsi davanti ad un tale mostro che nessuna considerazione di tipo soggettivo (intensità del dolo) o di tipo socialpersonale può vincere la presunzione juris et de jure di non meritevolezza delle attenuanti generiche. Che, dunque, potranno poggiare soltanto sulle modalità dell’azione e sulla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa. La recidiva reiterata, questa volta sganciata dall’ulteriore condizione che si tratti di delitto rientrante nell’art.407, incide poi anche sulla disciplina dell’art.81 c.p.: nel senso che, fermi restando i limiti indicati nel terzo comma dello stesso art.81 (quindi per i casi di concorso di reati e di pene), se i reati in concorso formale o in continuazione con quello più grave sono commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’art.99 comma 4, l’aumento della quantità di pena non può essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave. Che cosa c’entri la recidiva con gli aumenti per la continuazione, vorrei proprio saperlo dagli autori della legge Cirielli. Mi pare comunque che tale previsione possa suggerire tre problematiche: • quale aumento dev’essere fatto nella misura indicata dal legislatore? Uno solo o tanti quanti sono i reati satelliti? Il fatto che la legge parli dei reati satelliti al plurale e passi poi al singolare quando evoca l’aumento della quantità di pena da infliggere mi pare una degna ragione per sostenere che tale aumento debba intendersi nel suo complesso, quindi come quello globale, e non come aumento da operare, nella misura indicata dalla legge, per ciascun singolo reato satellite • che cosa vuol dire “sia stata applicata”, ed in particolare il “sia stata”? Non possiamo fare riferimento all’analoga formula utilizzata dalla stessa legge Cirielli per modificare l’art.656 comma 9 lettera c) c.p.p., perché lì siamo in fase di esecuzione e quindi il “sia stata applicata” credo non possa riferirsi ad altro che alla già irrevocabile sentenza oggetto di esecuzione. Nell’81, dunque, il “sia stata applicata” può voler dire o che la recidiva reiterata dev’essere stata applicata in una precedente sentenza irrevocabile di condanna (il che meglio spiegherebbe l’uso del “sia stata” anziché del “sia”), o che venga applicata nella stessa pronuncia con cui si riconosce la continuazione e relativamente alla quale si deve decidere la misura dell’aumento di pena per i reati satelliti. Temo che il verbo “sia stata” non sia in contrasto con questa seconda opzione, perché nel percorso di determinazione della pena si procede prima alla determinazione della pena base, poi agli aumenti o alle diminuzioni per le circostanze, e quindi anche per la recidiva, solo alla fine si procede agli aumenti per la continuazione. E dunque, quando il giudice si trova a determinare l’entità degli aumenti a titolo di continuazione, ha già applicato (o no) la recidiva, così rendendo plausibile l’uso del verbo “sia stata” anche se si rimane all’interno di quella medesima ed unica sentenza • che cosa vuol dire, invece, “applicata”? o mi pare non vi sia dubbio che la recidiva non viene applicata se la si esclude, ovvero se se ne escludono gli effetti sanzionatori. E l’esclusione è possibile, perché la previsione dell’81 richiama il 99 comma 4, cioè un caso di recidiva facoltativa, e quindi, se non si tratta di uno dei delitti di cui all’art.407, e non si versa quindi nel 99 comma 5, l’esclusione è pur sempre possibile o mi pare altrettanto indubitabile che la recidiva viene invece applicata se la si ritiene equivalente ad eventuali circostanze attenuanti, perché in tal caso ha comunque l’effetto di paralizzare le diminuzioni di pena connesse al riconoscimento delle attenuanti. E, qui, si può richiamare tutta la giurisprudenza che ritiene comunque applicate le aggravanti, se il giudizio è di equivalenza, ai fini della non applicabilità dei vari indulti, oltre alla sentenza 10.1.2007 della I sezione in proc. Bianchi, che, sia pure agli effetti di una continuazione applicata in sede esecutiva ex art.671 c.p.p., impone l’aumento del terzo in un caso di recidiva ritenuta equivalente alle attenuanti o il dubbio si pone, invece, nel caso di giudizio di prevalenza delle attenuanti, perché, se è vero che possono rimanere operativi altri effetti penali della recidiva (prescrizione, estinzione della pena…), è però altrettanto vero che rimangono in tal caso paralizzati gli effetti della recidiva sulla determinazione della pena, che è proprio ciò che qui interessa. E mi pare che proprio l’impostazione della Corte Costituzionale, che agli effetti dell’art.69 comma 4 vuole che la recidiva sia concretamente operativa sulla determinazione della pena in concreto, consenta di ritenere che, se le attenuanti vengono ritenute prevalenti (cosa ovviamente possibile a patto che non si tratti di uno dei delitti di cui all’art.407 comma 2 lettera a) c.p.p.), non si possa parlare di recidiva “applicata”. Resta fermo che, nei casi in cui la recidiva non può non essere conteggiata, potrebbe essere più favorevole l’esclusione della continuazione. Che cosa occorre perché si possa parlare di recidiva reiterata? Fermo restando che con la nuova disciplina la recidiva, per esplicare i suoi effetti negativi per l’imputato, dev’essere contestata e ritenuta non in forma generica ma specifica (sez.I, 13.7.2006, Piccinino), un indirizzo giurisprudenziale espresso con sentenza dell’ottobre 2000 della III sezione, poi ribadito da una sentenza del febbraio 2005 della I sezione, metteva in luce come non fosse sufficiente la mera esistenza dei presupposti per la sua contestazione, né che essa potesse essere desunta da elementi presenti nel certificato penale, occorrendo invece che la recidiva fosse dichiarata con sentenza di condanna all’esito del giudizio. Ed a tale indirizzo molti di noi si sono abbarbicati per escludere la recidiva reiterata, o quanto meno per riqualificare una recidiva contestata come reiterata in recidiva di minor gravità. Dò la cattiva notizia che, con sentenza 9.1.2008 n.4056, in proc. Mouhamed, la VI sezione, presieduta niente meno che da Giangiulio Ambrosini, ha statuito: “La recidiva individua una situazione che attiene allo status soggettivo dell’imputato, determinata da un dato di natura oggettiva integrato dall’avvenuta realizzazione di un reato (affermata da una sentenza irrevocabile di condanna), alla quale faccia seguito la commissione di un nuovo reato (di stessa o di diversa specie, nel quinquennio successivo o non); commissione che assume di per sé valenza costitutiva dello stato di recidività, senza il bisogno che questo risulti da formali enunciati dichiarativi, conseguendone così, in particolare, che per contestare la recidiva reiterata non è necessario che in precedenza sia stata dichiarata giudizialmente la recidiva semplice”. Credo che questa pronuncia risenta molto della volontà di non creare indebite diseguaglianze fra chi si è precedentemente visto contestare (e ritenere) una recidiva e chi per mera avventura non se l’è vista contestare pur essendo essa sussistente. Rimane il fatto che questo orientamento mi pare comunque eccentrico all’ipotesi di patteggiamento allargato, perché l’art.444 comma 1-bis esclude dal patteggiamento allargato i procedimenti “contro coloro che siano stati dichiarati recidivi ai sensi dell’art.99 comma 4”, con ciò facendo intendere (“dichiarati”) che qui l’anteatta dichiarazione giudiziale di recidivo reiterato sia necessaria. Per il patteggiamento allargato, dunque, mi pare tuttora operante l’insegnamento di Sez. VI, 16.9.2004 in proc. Bonfanti, secondo cui “in tema di patteggiamento, al fine della preclusione prevista dall’art.444 comma 1-bis c.p.p., non è sufficiente che dal certificato penale emerga una situazione riportabile alla recidiva ex art.99 comma 4 c.p., ma occorre una specifica declaratoria della recidiva stessa, che ne presuppone la rituale contestazione”. L’uovo di giornata è che, sulla G.U. di ieri 9 aprile, è pubblicata l’ordinanza n.91/08 della Corte Costituzionale, che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di costituzionalità delle norme che hanno introdotto, per gran parte dei casi di recidiva (commi 1, 3 e 4), un aumento della pena in misura fissa. La Corte: • ricorda anzitutto di avere già sentenziato che il giudice conserva, salvi i casi di cui all’art.99 comma 5, la facoltà di non applicare gli aumenti connessi alla recidiva, così evitando gli effetti sanzionatori ritenuti incongrui dai giudici a quibus; • precisa poi che la propria giurisprudenza critica sulle pene fisse va riferita alle previsioni sanzionatorie realmente insuscettibili di modulazione e non comprende i casi in cui, applicando il complesso delle disposizioni in materia, sia possibile una variazione del trattamento. Ebbene, gli aumenti quantificati secondo un cruterio frazionario sono fissi nella loro incidenza percentuale sul valore di base, ma dipendono appunto da quello e dunque sono variabili in termini assoluti. Il giudice potrà dunque lavorare sulla pena base, alla luce dei criteri fissati dall’art.133 c.p., determinandola in modo da garantire, anche tenuto conto dell’aumento fisso per la recidiva, una risposta sanzionatoria adeguata alle caratteristiche del caso concreto; • non rinuncia, tuttavia, all’affermazione che l’assetto normativo scrutinato “si discosta per più versi dalle linee generali del sistema”. La notizia di questa nuova pronuncia è accompagnata, sul sito della Corte, da una breve nota di Giorgio Piziali, il quale lamenta che, nelle prassi degli uffici, la discrezionalità “salvata” dalla Corte si stia trasformando in libertà assoluta; e, conseguentemente, propone che il riferimento alla natura e al tempo di commissione dei precedenti, sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo, dovrebbe almeno portare al “principio minimo condiviso” che “non sia tollerabile” l’esclusione degli effetti sanzionatori della recidiva • nel caso di recidiva reiterata che sia anche specifica ed infraquinquennale • nel caso di recidiva reiterata del soggetto che si trovava nella pendenza del termine di sospensione della pena precedente.