1 INTRODUZIONE 1 La necessità di parlare di alcol nel
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1 INTRODUZIONE 1 La necessità di parlare di alcol nel
1 INTRODUZIONE 2 La necessità di parlare di alcol nel contesto dei LARN nasce dalla tradizionale 3 abitudine al consumo di bevande alcoliche che caratterizza la dieta e la cultura del 4 nostro paese; l’alcol etilico o etanolo infatti non è un nutriente: pur apportando calorie 5 (7 kcal/g), non fornisce alcun nutrimento al nostro organismo e si differenzia dagli 6 altri nutrienti energetici per la mancanza di finalità funzionali e/o metaboliche utili. 7 Tale concetto trova mirabile sintesi nella definizione inserita nel glossario FeSIN di 8 Alimentazione e Nutrizione Umana (FeSIN 2010) che descrive l’etanolo come 9 “sostanza non nutriente di interesse nutrizionale”. 10 L’etanolo, sebbene riscuota una diffusa accettazione sociale, è una sostanza tossica 11 per il nostro organismo, a cui risulta estranea; è un noto cancerogeno (NPT 2002, 12 WCRF/AICR 2007), tanto che lo IARC classifica nel gruppo 1 (sicuramente 13 cancerogeno nell’uomo) tutte le bevande alcoliche(International Agency for Researc 14 on Cancer (IARC) 1988). L’etanolo è una potente sostanza psicoattiva, per la quale 15 non è possibile individuare quantità “raccomandabili”, ma nemmeno “ammissibili” o 16 sicure per la salute. L’OMS ribadisce infatti che non esiste un limite sotto il quale 17 l’alcol può essere consumato senza rischio (Emblad 1995, WHO 2007), e che il 18 rischio aumenta con l’aumentare delle quantità di alcol assunte, indipendentemente 19 dalla fonte (Park et al. 2009, Rehm et al. 2010). 20 L’impatto sociale e sanitario dell’alcol è ben documentato in tutti i documenti formali 21 e di indirizzo prodotti a livello comunitario ed internazionale da parte degli organismi 22 di tutela della salute e recentemente arricchiti dai contributi dell’Independent 23 Scientific Committee on Drugs, che classifica l’alcol al primo posto per pericolosità 24 sociale e al quarto posto tra tutte le droghe per i danni organici e psicologici che 25 determina (Nutt et al. 2007, Nutt et al. 2010). 26 Nonostante ciò, in generale, nella popolazione si riscontra una bassa percezione del 27 rischio alcol-correlato ed una scarsa attenzione al consumo. 28 La scarsa attenzione ai rischi alcol-correlati da parte degli operatori sanitari è 29 confermata anche dai dati rilevati dal sistema di sorveglianza Passi (PASSI 2009) nel 30 2009. Tra gli utenti del SSN intervistati, infatti, solo una piccola parte (14%) riferisce 31 che un operatore sanitario si è informato sui propri comportamenti in relazione al 1 1 consumo di alcol. Ancora più bassa la percentuale di bevitori a rischio che ha ricevuto 2 il consiglio di bere meno da parte di un operatore sanitario (6%). 3 Mentre, fino a pochi anni fa, l’attenzione sull’alcol era rivolta principalmente alla 4 comprensione dei fenomeni collegati all’alcolismo e all’individuazione di strategie 5 efficaci per la prevenzione e il trattamento delle dipendenze, negli ultimi anni la 6 ricerca scientifica ha ampliato il campo d’indagine, focalizzandosi in generale sul 7 consumo di alcol e sui rischi connessi anche all’assunzione di quantità molto basse di 8 bevande alcoliche. In particolare vengono oggi definite le seguenti modalità di 9 consumo, che sostituiscono termini comunemente utilizzati finora, ma non 10 scientificamente definiti né appropriati come: “consumo moderato”, o “consumo 11 sociale”, “abuso”. (Anderson et al. 2005): 12 • CONSUMO A BASSO RISCHIO: è quello inferiore a 10 g (circa una Unità 13 Alcolica∗) al giorno per le donne adulte e a 20 g al giorno per gli uomini 14 adulti. 15 • CONSUMO A RISCHIO (hazardous): è quel livello di consumo o modalità di 16 bere che supera le quantità a basso rischio (20-40 g al giorno per le donne e 17 40-60 g al giorno per i maschi) e che può determinare un rischio nel caso di 18 persistenza di tali abitudini. 19 • CONSUMO DANNOSO (harmful): modalità di consumo che causa danno 20 alla salute, a livello fisico o mentale (oltre i 40 g al giorno per le donne e 60 g 21 al giorno per i maschi). A differenza del consumo a rischio, la diagnosi di ∗ L’Unità Alcolica (U.A.) è una quantità di etanolo pari a 10-12 grammi e corrispondente a un bicchiere di vino a media gradazione (125 ml) o ad una lattina di birra a media gradazione (330 ml), o ancora ad un bicchierino di superalcolico (40 ml). Si ottiene il quantitativo in grammi moltiplicando la gradazione alcolica per 0,79 (la densità dell’etanolo) e per la quantità di bevanda in decilitri. L’alcol puro contiene 75 g di etanolo per 100 ml di prodotto (grado alcolico 95%); tra le bevande alcoliche, le più ricche sono i distillati (whisky e grappa- 34 g/100 ml, brandy - 32 g/100 ml) e i liquori da dessert (mediamente 28 g/100 ml). I vini ad elevata gradazione o liquorosi e gli aperitivi a base di vino hanno un contenuto di etanolo variabile da 12 g a 17 g per 100 ml di bevanda alcolica. Per il vino in generale (bianco, rosso e rosato) il contenuto medio è di 10 g di etanolo per 100 ml di bevanda alcolica (Carnovale e Marletta 2000) La birra presenta un ampio range di gradazione alcolica: dalla birra analcolica (circa 0,3 g/100ml), alla birra leggera o light (circa 2 g/100ml), alle birre normali (3 g/100ml circa) fino alle birre speciali o doppio malto, che possono raggiungere anche 11 g per 100 ml di bevanda (Gnagnarella et al. 2008) 2 1 consumo dannoso può essere posta solo in presenza di un danno alla salute del 2 soggetto; 3 • ALCOLDIPENDENZA: insieme di fenomeni fisiologici, comportamentali e 4 cognitivi in cui l'uso di alcol riveste per l’individuo una priorità sempre 5 maggiore rispetto ad abitudini che in precedenza avevano ruoli più importanti. 6 La caratteristica predominante è il continuo desiderio di bere. Ricominciare a 7 bere dopo un periodo di astinenza si associa spesso alla rapida ricomparsa 8 delle caratteristiche della sindrome. 9 10 FONTE DI ETANOLO NELLA POPOLAZIONE ITALIANA 11 Contenuto nei singoli alimenti 12 Oltre che nelle bevande alcoliche, l’etanolo presente nei prodotti alimentari è frutto 13 della fermentazione alcolica, che avviene in presenza di carboidrati semplici e lieviti 14 del genere Saccaromyces. Nella dieta italiana oltre alle bevande alcoliche, l’unico 15 alimento fermentato da questo tipo di lieviti è il kefir, un latte fermentato di origine 16 greca, che può contenere da 0,05 g a 2 g di etanolo per 100 g. L’etanolo è anche 17 presente nei piatti e nelle preparazioni, specialmente dolciarie, nelle quali vengono 18 aggiunte bevande alcoliche a scopo conservativo (frutta sotto spirito) o aromatizzante 19 (babà al rhum, praline ripiene di liquore) che non subiscano trattamenti termici in 20 grado di eliminare l'etanolo per evaporazione. 21 Livelli di assunzione 22 L’indagine multiscopo sugli “Aspetti della vita quotidiana” (ISTAT 2008) e le 23 elaborazioni dell’Osservatorio Nazionale Alcol-CNESPS dell’Istituto Superiore di 24 Sanità forniscono un monitoraggio annuale dei consumi di bevande alcoliche in Italia 25 e dei consumi considerati a rischio. La maggior parte dei bevitori di bevande alcoliche 26 con più di 11 anni consuma vino (53%), cui segue il consumo di birra (45%) e di 27 aperitivi alcolici, amari e superalcolici (44%). Tra i maschi c’è una percentuale 28 maggiore di bevitori (67%) rispetto alle femmine (41%). Considerando i valori medi 29 utilizzati per la definizione di Unità Alcolica (vedi nota pag 2) è possibile stimare che 30 il 6% dei maschi e l’1% delle femmine consuma oltre 50 g/die di etanolo mediante il 31 consumo di oltre 500 ml di vino. Il 31% dei maschi e il 13% delle femmine consuma 32 dai 12 ai 25 g/die di etanolo al giorno mediante il consumo di 1 a 2 bicchieri di vino. 3 1 Nell’ambito dell’indagine INRAN-SCAI 2005-2006 (Leclercq et al. 2009) il 47% 2 della popolazione ha riportato il consumo di bevande alcoliche con una percentuale di 3 consumatori maggiore nei maschi (59%) che nelle femmine (37%) ed un consumo 4 medio tra i consumatori di 194 ml/die. Per quanto riguarda gli adulti consumatori di 5 vino, è risultato un apporto medio di etanolo di 13 g/die (circa un bicchiere di vino) 6 per i maschi e 6 g/die (circa mezzo bicchiere di vino) per le femmine. Per gli anziani 7 consumatori di vino è risultato un apporto medio di etanolo di 19 g/die (circa un 8 bicchiere e mezzo di vino) e di 8 g/die (poco più di mezzo bicchiere di vino) 9 rispettivamente per i maschi e per le femmine (dati non pubblicati). 10 Dai dati dell’ISTAT emerge una percentuale non trascurabile di adolescenti di 11-15 11 anni che dichiarano di consumare vino (5%) e birra (8%) nonostante siano al di sotto 12 dell’età legale per il consumo di bevande alcoliche (ISTAT 2008). Dai dati 13 dell’indagine INRAN-SCAI 2005-2006 risulta, per gli adolescenti (10-18 anni) 14 consumatori di vino, un apporto di 4 g/die di etanolo nei maschi e 2 g/die nelle 15 femmine, mentre dal consumo di birra risulta un apporto di alcol (etanolo) solo per i 16 maschi, pari a 3 g/die (dati non pubblicati, elaborazione su INRAN-SCAI 2005-06 17 effettuata da Stefania Sette). Secondo il rapporto dei dati italiani dello studio 18 internazionale HBSC (HBSC 2006) la proporzione di giovani che bevono con 19 frequenza almeno settimanale aumenta a partire dagli 11 ai 15 anni, sia nei maschi che 20 nelle femmine, con incremento maggior fra i 13 e i 15 anni. La media nazionale passa 21 infatti dal 9,9% nei maschi e dal 3,5% nelle femmine di 11 anni, al 16,8% e 8,7% nei 22 tredicenni, rispettivamente per maschi e femmine, per arrivare al 39,6% e 23,5% nei 23 quindicenni, rispettivamente maschi e femmine. Il 16,7% dei maschi, inoltre, e il 24 10,8% delle femmine riferisce di aver bevuto tanto da ubriacarsi almeno due volte 25 nella loro vita. 26 Ancora su dati ISTAT 2008 l’andamento nel tempo delle frequenze di consumo delle 27 bevande alcoliche negli anni tra il 2001e il 2008 ha rilevato un andamento decrescente 28 per il consumo di birra, vino, amari e superalcolici e un andamento crescente per il 29 consumo degli aperitivi alcolici. Per gli adolescenti di 14-17 anni, è stato rilevato un 30 andamento fortemente crescente per il consumo di alcolici fuori pasto, aperitivi 31 alcolici e superalcolici (Adamo 2009). Inoltre, il numero dei consumatori a rischio 32 (definiti come donne che hanno consumato più di 1-2 unità alcolica al giorno, uomini 33 che eccedono le 2-3 unità, tutti i giovani di età inferiore ai 16 anni che assumono 4 1 qualsiasi quantità di bevande alcoliche, giovani tra 16 e 18 anni e ultra 65enni che 2 eccedono il consumo di 1 unità alcolica al giorno) è risultato pari al 17% della 3 popolazione di età superiore a 11 anni, con differenze di sesso (26% uomini, 8% 4 donne) e tra regioni (Scafato et al. 2009). 5 6 Quantificazioni delle fonti 7 Dai dati dello studio INRAN-SCAI 2005-2006 (Leclercq et al. 2009) emerge che 8 l’etanolo assunto deriva per l’84% dal vino, per il 9% dalla birra e per il 7% dalle altre 9 bevande alcoliche (super alcolici, liquori, vini liquorosi, ecc.) (dati non pubblicati, 10 elaborazione su INRAN-SCAI 2005-06 effettuata da Stefania Sette). 11 12 13 EFFETTI SULLA SALUTE 14 I classici studi sui rapporti tra bevande alcoliche e salute mettono in evidenza una 15 tipica curva a J o a U (Farchi et al. 1992, Gronbaek 2002, Keil et al. 1997) nella quale 16 i bevitori di basse quantità di bevande alcoliche sono un gruppo a più bassa mortalità 17 sia rispetto ai bevitori a rischio, sia rispetto ai non bevitori. Ciò è stato interpretato 18 come indicazione di un effetto protettivo (Marmot et al. 1981) esercitato dal basso 19 consumo di bevande alcoliche, con un rischio ridotto di alcune importanti patologie 20 come cardiopatia ischemica, ictus ischemico, osteoporosi, diabete (Rehm et al. 2010); 21 un consumo dannoso aumenta invece il rischio di varie tipologie di cancro, pancreatite 22 cronica, ipertensione, epatopatie croniche (cirrosi epatica), neuropatie degenerative, 23 incidenti e numerose condizioni patologiche (Anderson et al. 2005). Questa tendenza 24 è stata confermata da 4 recenti e meno recenti “metanalisi” (Bagnardi et al. 2008, 25 Costanzo et al. 2010, Di Castelnuovo et al. 2006, Di Castelnuovo et al. 2002) che 26 mostrano come consumi a basso rischio di bevande alcoliche (fino a 10 g/die per la 27 donna e 20 g/die di etanolo per l’uomo) siano associate ad una minore incidenza di 28 eventi vascolari e una minore mortalità per tutte le cause sia in prevenzione primaria 29 che secondaria. 30 Bisogna tuttavia essere molto prudenti nell’interpretazione di questo fenomeno, sia 31 perché l’associazione di per sé, in assenza di chiare evidenze dei meccanismi 5 1 coinvolti, non conferisce necessariamente all'alcol un valore protettivo, sia e 2 soprattutto perché, se pure si dimostrasse un nesso causale tra consumo a basso 3 rischio di alcol e malattie cardiovascolari, non può essere trascurato il pericolo di 4 aumento di rischio di cancro anche per consumi molto modesti di alcol. Diversi studi, 5 alcuni molto recenti, infatti, hanno riportato un aumento di rischio, se pure basso, 6 anche con una quantità di alcol che rientra nel cosiddetto consumo a basso rischio, 7 cioè pari a 10 grammi al giorno, corrispondenti a un bicchiere di vino (Levi et al. 8 2005, Tramacere et al. 2010). In particolare è stato messo in evidenza che il consumo 9 di resveratrolo è inversamente correlato al rischio di cancro della mammella quando 10 venga consumato tramite uva, mentre è positivamente correlato quando il vino è la 11 fonte di assunzione (Levi et al. 2005). 12 Per quanto riguarda invece la ricerca dei meccanismi che potrebbero essere coinvolti 13 nella protezione dalle malattie cardiovascolari, molto è stato scritto e la responsabilità 14 è stata dapprima attribuita all’effetto dell’etanolo sui lipidi plasmatici (Haskell et al. 15 1984, Linn et al. 1993, Moore et al. 1988, Rimm et al. 1996) e sulla funzione 16 piastrinica (de Lorgeril e Salen 1999, Folts et al. 1997, Pellegrini et al. 1996, 17 Pignatelli et al. 2002, Renaud e de Lorgeril 1992), per spostare poi l’attenzione 18 sull’infiammazione (Imhof e Koenig 2003, Stewart 2002), sulla insulinoresistenza 19 (Avogaro et al. 2002, Facchini et al. 1994, Lazarus et al. 1997, Wei et al. 2000); poi 20 sono stati presi in considerazione i componenti non alcolici delle bevande alcoliche 21 (Pellegrini et al. 1996, Pignatelli et al. 2002, Renaud e de Lorgeril 1992) e infine 22 l’attenzione è stata focalizzata anche sulle abitudini, le modalità di consumo e la 23 tipologia del consumatore (Russell et al. 2009, Trevisan et al. 2001). 24 E’ vero che un basso consumo di alcol causa un aumento dei livelli di HDL-Chol, ma 25 provoca effetti diversi sulle sue sottofrazioni. La frazione collegata alle malattie 26 cardiovascolari è rappresentata dalle HDL2 (Miller et al. 1981, Syvanne et al. 1995). 27 Secondo Haskell (Haskell et al. 1984), un basso consumo di alcol aumenta le HDL3, 28 piuttosto che le HDL2 29 significato. Da uno studio sulla relazione tra alcol e rischio di infarto del miocardio 30 emerge, invece, che l’assunzione di alcol è associata ad un aumento delle 31 concentrazioni di entrambe le sottofrazioni di HDL2 e 3, oltre ad una relazione 32 inversa con il rischio di infarto del miocardio (Gaziano et al. 1993). Tali dati 33 contrastanti fanno emergere la necessità di ulteriori studi epidemiologici e fisiologici e quindi l’aumento globale di HDL potrebbe non avere 6 1 per capire il ruolo dell'alcol sulle sottofrazioni di HDL in relazione alla progressione 2 della malattia aterosclerotica. 3 Gli effetti dei flavonoidi e delle differenti sostanze di natura fenolica presenti in 4 alcune bevande alcoliche (vino e birra in particolare) sono oggetto di numerose 5 pubblicazioni. Tra questi il resveratrolo, una fitoalessina presente nella buccia 6 dell’uva, che ha dimostrato, in esperimenti in vitro e sull’animale, un’azione 7 antiinvecchimento (Rockenfeller e Madeo 2010), antiaterogena (Bertelli e Das 2009), 8 anticancro (Liu et al. 2009) e antiobesiogena (Szkudelska e Szkudelski 2010); o 9 ancora, le procianidine (Das et al. 1999), la quercetina (Boots et al. 2008) e molti altri 10 composti fenolici. Tuttavia permangono numerose perplessità: per esempio la 11 biodisponibilità del resveratrolo non consente il raggiungimento di quantità plausibili 12 con gli effetti biologici (Vitaglione et al. 2005) suggerendo che l’effetto, qualora ci 13 sia, deve essere ascritto al pool di sostanze antiossidanti presenti nella bevanda e, a 14 maggior ragione, in alimenti quali frutta e verdura che contengono quantità maggiori 15 di polifenoli (Neveu et al. 2010) in assenza di alcol. Del resto le revisioni della 16 letteratura riguardante i rapporti tra le differenti bevande alcoliche (vino, birra e 17 superalcolici) e le malattie cardiocerebrovascolari non trovano nessuna evidenza 18 sistematica che riesca ad ascrivere l’effetto protettivo ad uno specifico tipo di 19 bevanda, suggerendo che l’alcol possa essere il maggiore responsabile di tale effetto 20 (Rockenfeller e Madeo 2010). Plausibile appare infatti l’effetto dell’alcol sulla 21 fibrinolisi e sull’aggregabilità delle piastrine (Pellegrini et al. 1996, Pignatelli et al. 22 2002, Rimm et al. 1996, Rotondo et al. 1996) e sarebbe quindi un’azione comune a 23 tutte le bevande alcoliche. Il meccanismo attraverso il quale l'alcol riduca la fibrinolisi 24 e l'aggregabilità piastrinica non è tuttavia ben noto; studi in vitro di aggregazione 25 piastrinica hanno evidenziato come l'alcol sia in grado di inibire la fosfolipasi A2, 26 riducendo in tal modo il rilascio di acido arachidonico dalle membrane piastriniche e 27 diminuendo la produzione di trombossano A2 (Stubbs e Rubin 1992) 28 Nell’analisi dei rischi associati al consumo di bevande alcoliche è necessario 29 considerare poi, oltre all’etanolo, anche i fattori confondenti: fumo di sigaretta, dieta 30 abituale, consumi associati, fattori culturali e socioeconomici, stato di salute. 31 Uno dei maggiori fattori confondenti, infatti, e che può spiegare, almeno in parte, la 32 più alta mortalità del gruppo “astemi” negli studi prospettici è dato dal fatto che il 33 consumo di bevande alcoliche diminuisce con la malattia, con l’uso di farmaci. Poichè 7 1 questi soggetti non sono stati esclusi, il maggior rischio di mortalità nel gruppo degli 2 “astemi” potrebbe non essere dovuto all’assenza di consumo di alcol, ma alla presenza 3 di un peggiore stato di salute, o di un’età più avanzata (Fillmore et al. 2007). Ma c’è 4 di più. Emerge dalla letteratura scientifica che il consumatore di vino appartiene in 5 genere ad una classe socio-economica più alta, con un livello culturale più elevato, 6 con uno stato di salute migliore e con un interesse verso la propria salute più alto 7 rispetto al bevitore di superalcolici e al non bevitore (Hansel et al. 2010, Johansen et 8 al. 2006, Mukamal et al. 2006b). Se prendiamo quindi in considerazione lo stato di 9 salute, l’età, la razza, il livello culturale, lo stato di nutrizione e persino lo stato civile 10 e il livello di assistenza medica, si nota che le differenze tra gruppo “astemi” e gruppo 11 consumatori a basso rischio si attenuano e le curve tendono ad appiattirsi (Hansel et 12 al. 2010, Shaper et al. 1988). 13 Infine, anche la dieta che accompagna la scelta della bevanda gioca un ruolo 14 essenziale: i bevitori di vino seguono abitudini alimentari più sane dei bevitori di altre 15 bevande alcoliche, compiendo scelte più mediterranee (Johansen et al. 2006, 16 Ruidavets et al. 2004, Tjonneland et al. 1999) e svolgendo maggiore attività fisica 17 (Hansel et al. 2010, Paschall e Lipton 2005). Le modalità di consumo, se ai pasti o 18 lontano da essi, rispetto alla modulazione del rischio di mortalità, rappresentano 19 anch’esse un fattore estremamente importante (Trevisan et al. 2001). 20 In sintesi, è quindi assai probabile che la persona con un basso consumo di alcol corra 21 un minore rischio di mortalità, non tanto per merito del tipo di bevanda e delle 22 quantità assunte, quanto per una serie di fattori correlati e di cui quel consumo non 23 rappresenta che un semplice marcatore (Hansel et al. 2010). Tali fattori (maggiore 24 consapevolezza, alto stato socio-economico, migliore stile di vita, migliore stato di 25 salute ecc.) svolgono un ruolo protettivo nei consumatori di vino, che spesso viene 26 erroneamente attribuito alle sostanze fenoliche in esso contenute; tali sostanze 27 presenti nel vino in bassissima concentrazione, sono peraltro diffuse, e in grande 28 quantità, in tutti gli alimenti vegetali, alimenti che per tipica abitudine il consumatore 29 di vino maggiormente predilige, sia rispetto a chi non beve, sia rispetto ai bevitori di 30 altre bevande alcoliche (Tjonneland et al. 1999). 31 Riassumendo, l’alcol è causa di moltissime e differenti disfunzioni e patologie che 32 possono riguardare tutti gli organi ed apparati dell’organismo. Tra lesioni, disordini 33 psichici e comportamentali, patologie gastrointestinali, immunologiche, infertilità e 8 1 problemi prenatali, tumori ecc. se ne contano più di 60 (Anderson et al. 2005). Per 2 questo anche l’OMS conclude a tale riguardo che l’impatto su mortalità, morbilità e 3 disabilità in tutte le realtà mondiali è comunque un impatto negativo espresso 4 correttamente al netto dei possibili, scarsi effetti benefici riportati in letteratura (WHO 5 2009). 6 Le ultime evidenze di letteratura mostrano che per molte di queste patologie, tra cui il 7 cancro, non si può definire un livello di consumo privo di rischio, una specie di “dose- 8 soglia” sotto la quale non si corrano rischi per la salute, poiché il rischio sale in 9 maniera proporzionale alla dose di alcol ingerita e indipendentemente dalla fonte di 10 alcol (Cleophas 1999, Park et al. 2009, Rehm et al. 2010), rispettando la sola regola 11 che quanto maggiore è la quantità ingerita, tanto più alto il rischio. Per i tumori, il 12 rischio è molto basso per consumi inferiori ai 20-25 g al giorno di etanolo (Corrao et 13 al. 2004), ossia sotto le due U.A. al giorno; tuttavia bisogna considerare che anche 14 quantità inferiori (10 g/die), pur tenendo conto della difficoltà nella stima di tali rischi 15 in studi osservazionali, comportano un aumento di rischio, valutabile almeno per il 16 cancro della mammella attorno al 5% (Hamajima et al. 2002, WCRF/AICR 2007). 17 Tenendo dunque conto dei rischi di cancro da una parte e degli effetti sulle malattie 18 cardiovascolari dall’altra, si può dire che il livello di consumo di alcol con il più basso 19 rischio di mortalità per gli uomini, è pari a 0 grammi sotto il 35° anno di età, mentre è 20 intorno ai 5 g al giorno per gli uomini di mezza età e meno di 10 g al giorno oltre i 65 21 anni. Per le donne è invece molto prossimo a 0 grammi per un’età inferiore ai 65 anni, 22 e meno di 5 g al giorno oltre i 65 anni (Anderson et al. 2005). 23 Le raccomandazioni dell’OMS, in particolar modo per la Regione Europea (Robertson 24 et al. 2004), le linee guida USA (DGA 2010) così come quelle del WCRF/AICR 25 (WCRF/AICR 2007), tenendo in considerazione da una parte il rischio di cancro e 26 dall’altra l’effetto plausibile di piccole quantità di etanolo sulla mortalità 27 cardiovascolare, definiscono un consumo a basso rischio di bevande alcoliche, 28 indipendentemente dal tipo di bevanda, quello equivalente ad una quantità giornaliera 29 di etanolo inferiore o pari a 2 U.A. al giorno (20-25 grammi di etanolo) per l’uomo e a 30 1 U.A. al giorno (10-12 grammi di etanolo) per la donna e l’anziano. 31 Anche nell’anziano, infatti, la relazione tra consumo di alcol e mortalità mostra la 32 tipica forma a U (Gronbaek et al. 1998), con il livello di più bassa mortalità 9 1 corrispondente a 24-30 grammi a settimana per le donne e 64-80 grammi per l’uomo 2 (White et al. 2002) (circa 1 U.A. a giorni alterni per le femmine ed 1 U.A. al giorno 3 per i maschi). Bassi valori di consumo di alcol sono associati a minore incidenza di 4 malattie cardiovascolari, ictus, densità minerale ossea e frattura di femore rispetto al 5 non consumo (Mukamal et al. 2005, Mukamal et al. 2006a, Mukamal et al. 2007). 6 Tuttavia, bisogna tenere conto anche del fatto che il consumo di alcol negli anziani, 7 soprattutto al crescere dell’età, rappresenta un motivo di preoccupazione in relazione 8 a potenziali interferenze con problematiche fisiche e psicologiche (depressione), con 9 la terapia farmacologica, con limitazioni funzionali (mobilità ed autonomia), col 10 fumo e la guida di autoveicoli (Culberson 2006a, b). 11 Gli anziani sembrano divenire più sensibili agli effetti dell’alcol non solo per la 12 minore efficienza dei meccanismi di detossificazione e per l’eventuale uso di farmaci, 13 ma anche in relazione ai cambiamenti nella composizione corporea (riduzione della 14 componente idrica e della capacità di idratazione e aumento della massa grassa). 15 Particolare attenzione al consumo di bevande alcoliche deve essere posta durante la 16 gravidanza e l’allattamento. La sindrome feto-alcolica ha una prevalenza in USA tra 17 0,5 e 2/1000, ma se si considera l’intero spettro dei disturbi legati all’assunzione 18 materna di alcol (FASD: fetal alcohol spectrum disorders) la prevalenza sale al 9- 19 10%. In Italia non ci sono studi su territorio nazionale in grado di determinare una 20 stima della prevalenza di FASD, ma c’è da notare che una percentuale estremamente 21 ridotta di donne rinuncia all’assunzione di alcol una volta accertato lo stato di 22 gravidanza(Ceccanti et al. 2007). 23 24 In conclusione è bene ricordare che alcune situazioni fisiologiche o patologiche 25 impongono l’astensione totale dal consumo di bevande alcooliche di qualunque tipo: 26 gravidanza e allattamento, età inferiore a 18 anni, epatopatie, patologie digestive e 27 comunque condizioni che richiedano l’assunzione di farmaci, intenzione di accingersi 28 alla guida di veicoli o macchinari pericolosi per sé o per gli altri, pregressa storia di 29 alcolismo o altra dipendenza. 30 La valutazione e l’analisi delle evidenze scientifiche disponibili non consentono di 31 poter sostenere o promuovere il consumo pur moderato di bevande alcoliche. 10 1 In conseguenza della costante e crescente produzione di nuove conoscenze sulle 2 relazioni tra alcol e salute, appare dunque adeguato adottare a livello di popolazione e 3 di tutela della salute pubblica il principio di precauzione, che è l’unico che consente di 4 ridurre l’adozione di comportamenti potenzialmente nocivi o pericolosi per 5 l’individuo. A tale riguardo gioca un ruolo fondamentale la comunicazione 6 istituzionale corretta. 7 8 9 BIBLIOGRAFIA 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 Adamo D. Tendenze evolutive nel consumo degli alimenti e delle bevande. Roma: 2009. Internet: http://www.osservasalute.it Anderson P., Gual A. e Colom J. Alcohol and Primary Health Care: Clinical Guidelines on Identification and Brief Interventions. 2005. Internet: http://www.gencat.cat/salut/phepa/units/phepa/pdf/cg_1.pdf Avogaro A., Watanabe R. M., Gottardo L., de Kreutzenberg S., Tiengo A. e Pacini G. Glucose tolerance during moderate alcohol intake: insights on insulin action from glucose/lactate dynamics. J Clin Endocrinol Metab 2002; 87:1233-1238. Bagnardi V., Zatonski W., Scotti L., La Vecchia C. e Corrao G. Does drinking pattern modify the effect of alcohol on the risk of coronary heart disease? Evidence from a meta-analysis. 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