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Le miniere di zolfo nelle Marche: cenni storici e situazione attuale

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Le miniere di zolfo nelle Marche: cenni storici e situazione attuale
Le miniere di zolfo nelle Marche: cenni storici e situazione attuale
L’Italia mantiene il predominio mondiale della produzione dello zolfo dal XV secolo fino
al 1912, anno in cui il primato passerà agli USA. I poli produttivi dello zolfo sono principalmente
due: la Sicilia e, a partire dalla seconda metà del 1800, l’area Romagna-Marche. Questa, nel
secondo dopoguerra, arriverà a produrre un quinto dello zolfo italiano.
L’area solfifera romagnolo-marchigiana si estende dal cesenate al fabrianese, passando per
il Montefeltro e l’urbinate. Nelle Marche abbiamo miniere a Perticara (Comune di Novafeltria,
Provincia di Pesaro-Urbino) e a Cabernardi (Comune di Sassoferrato, provincia di Ancona ), un
pozzo di quest’ultima è ubicato in località Percozzone (Comune di Pergola, provincia di PesaroUrbino). Il periodo di piena attività estrattiva a Cabernardi e Perticara prosegue, come vedremo, per
circa un secolo.
Il terreno su cui insiste questo bacino minerario è costituito in superficie da argilla; segue
uno strato gessoso e, a trenta metri di profondità, iniziano gli strati di minerale sulfureo con uno
spessore che va da uno a quattro metri.
L’estrazione e la lavorazione dello zolfo
Il minerale viene estratto scavando gallerie su livelli diversi in corrispondenza degli strati di
minerale sulfureo. A Cabernardi le gallerie sono poste su 25 diversi livelli, l’ultimo dei quali è posto
ad oltre 500 metri di profondità ed avranno uno sviluppo complessivo di circa 40 chilometri. Per
scavare le gallerie al piccone si sostituiscono ben presto le mine.
Il trasporto del minerale, fino ai montacarichi dei pozzi od ai vagoni posti alla fine delle
discenderie (gallerie in pendenza che collegavano i livelli più alti con l’esterno ), avviene tramite
vagoncini trainati da muli. A partire dagli anni ’30 gli animali - che passano tutta la loro esistenza
nel sottosuolo e per questo motivo diventano ciechi - vengono sostituiti solo in parte da piccoli
locomotori .
Dal minerale portato in superficie si estrae zolfo greggio mediante due metodi: il calcarone
ed il forno Gill. Il calcarone altro non è che un mucchio di minerale depositato su una piattaforma
in muratura a pianta circolare che viene ricoperto da malta di gesso. Si sfrutta il calore prodotto
dalla combustione di parte del minerale per fondere lo zolfo il quale inizia a fuoriuscire, dai canali
posti sul fondo, dopo quindici giorni dall’accensione del calcarone. La combustione dura anche sei
mesi e lo zolfo fuso viene fatto colare e solidificare in cassoni di legno. Il rendimento in zolfo
greggio, rispetto al minerale impiegato, si aggira sul 19-20 %. I forni Gill sono costituiti da quattro
o sei celle a forma conica collegate tra loro; il calore prodotto dal minerale caricato nella prima
cella viene convogliato sulla seconda e così via. Questo sistema di recupero di calore permette un
rendimento maggiore e tempi più brevi.
A Cabernardi i pani di zolfo vengono trasportati mediante teleferica a Bellisio (comune di
Pergola) ove è ubicato un impianto di raffinazione. Da Perticara i pani raggiungono, tramite
teleferica o camion, la stazione di Novafeltria e da qui avviati alla raffinazione via treno.
Il lavoro della miniera richiedeva un considerevole numero di qualifiche e mestieri, la
stessa voce Minatore, secondo la classificazione ministeriale del 1952, comprende diverse
qualifiche: minatore in genere, tracciatore minatore, perforatore con martello-fiorettista, fuochinocarichino, sgabbiatore-imboccatore-boccaiolo; “….poi c’era l’armatore, il riparatore, poi il
manovale…” (1) .
1
Inutile soffermarsi sulla pericolosità del lavoro in miniera; nella sola Cabernardi, durante il
periodo del suo funzionamento, sono 130 i lavoratori deceduti per incidenti sul lavoro.Le cause più
frequenti sono: scoppi di gas, asfissia, cadute di blocchi e cedimenti di armature.
Nonostante i pericoli e la gravosità del lavoro in miniera è comunque indubbio che,
soprattutto in terre di miseria ed emigrazione come il fabrianese ed il Montefeltro, il minatore
poteva - tra le due guerre - essere considerato un privilegiato. La società Montecatini fornisce ai
suoi dipendenti molti servizi essenziali: sono operanti uno spaccio aziendale, locali dopolavoro,
cinema, campo da tennis (ovviamente per i dirigenti ), campi da bocce, ecc. Vi sono compagnie
filodrammatiche e bande musicali costituite da minatori. Anche un giornale come l’Unità scrive,
nel 1952, che “… La diffusione dei mezzi motorizzati tra i minatori è talmente elevata da portarsi
alla media registrata negli USA…”
La miniera di Cabernardi e le lotte sindacali del 1951-52
La presenza di minerale di zolfo viene rilevata a Cabernardi nel 1877. Nel 1889 le
concessioni minerarie vengono acquistate dalla ditta Trezza-Albani che attiva due pozzi
( Cabernardi e Percozzone ) ed arriva ad impiegare 300 operai.
Nel 1917 la proprietà passa, insieme a tutte le altre miniere della zona romagnolomarchigiana, alla società Montecatini.
L’attività estrattiva raggiunge il massimo livello nel 1930 (65.000 t di zolfo greggio
prodotte), scende poi nel periodo bellico per risalire nel 1950 a 40-45.000 tonnellate. Nel periodo
migliore vi lavorano 1.700 persone. Il lavoro era organizzato su tre turni di otto ore; il primo turno
(dalle 8 alle 14, ma l’entrata è scaglionata a seconda delle mansioni ) impiega il maggior numero
di operai in quanto vi avviene l’attività estrattiva vera e propria; durante gli altri due turni vengono
effettuate riparazioni, puntellamenti, ecc.
Alla fine degli anni ’40 l’industria italiana dello zolfo entra in crisi, soprattutto a causa delle
tecniche estrattive molto meno costose adottate negli USA. Si tratta del metodo Frash che consiste
nell’immettere nel sottosuolo acqua surriscaldata ed aspirare - sempre tramite un tubo – lo zolfo
fuso; non occorre più scavare gallerie e nemmeno il lavoro di tante persone per trasportare il
minerale
in
superficie
e
separare
lo
zolfo
dallo
scarto.
La Montecatini, proiettata verso l’industria chimica, non approfitta nemmeno del calo delle
esportazioni americane, dovute alla guerra in Corea, per investire risorse nelle sue miniere.
Inoltre i giacimenti iniziano ad esaurirsi e la società annuncia un drastico processo di
ridimensionamento.
Nel luglio 1950, su iniziativa del Comitato di Gestione e della Commissione Interna, si tiene
a Cabernardi la I Conferenza di produzione dalla quale scaturiscono proposte per lo sviluppo delle
attività estrattive ed un richiamo alla Montecatini circa il rispetto delle norme sulle concessioni
minerarie. Nei mesi successive le forze politiche ( dai democristiani ai comunisti ), i sindacati e
diverse associazioni di categoria danno vita a Pergola al Comitato cittadino per la difesa della
miniera il quale riesce ad ottenere una larga mobilitazione intorno alla richiesta ,avanzata al
governo senza apprezzabili risultati, di interventi finanziari a favore dell’industria mineraria
marchigiana. L’anno successivo CGIL , CISL e UIL proclamano uno sciopero dei lavoratori di
tutte le miniere della Montecatini. La lotta dei cento giorni si conclude con l’accordo del 12 luglio
1951 in base al quale i lavoratori ottengono sensibili miglioramenti riguardo alle condizioni di
lavoro, la riforma del cottimo e le 48 ore settimanali . La Montecatini non fornisce però nessuna
garanzia circa il futuro delle miniere.
Alle richieste sempre più pressanti delle comunità locali, appoggiate dalle forze sociali e
politiche, tendenti a verificare le ulteriori possibilità di sfruttamento del bacino solfifero, la società
proprietaria risponde con l’intendimento di liberarsi di un primo gruppo di 860 minatori ; dopo
alcuni giorni 550 di essi si vedono recapitare la lettera di licenziamento. A quel punto 400 minatori
2
- appoggiati unitariamente da sindacati e partiti politici - decidono, come forma di lotta, di
autosegregarsi nelle gallerie. La direzione della miniera, d’intesa con il Ministero dell’Industria,
propone – in cambio della sospensione della lotta – che una commissione ispezioni gli impianti e
verifichi la consistenza dei giacimenti; i licenziamenti sarebbero stati sospesi qualora la tesi
dell’esaurimento fosse risultata infondata. I “sepolti vivi”, appoggiati oramai dalla sola CGIL e dai
partiti di sinistra, rifiutano. La direzione decide di interrompere, a tratti, l’illuminazione elettrica e la
ventilazione delle gallerie; la polizia dal canto suo impedisce ai familiari di fornire loro i generi
alimentari. A quaranta giorni dall’inizio della protesta i minatori sono costretti ad uscire e ad
accettare un accordo che prevede il trasferimento di 440 dipendenti in altre miniere od industrie
della Montecatini come il petrolchimico di Ferrara in primo luogo (tanto che nella vicina
Pontelagoscuro si costituirà una numerosa comunità marchigiana) nonché il licenziamento di altri
400 lavoratori. Nel 1959 l’attività della miniera cessa definitivamente: Cabernardi ed i paesi
limitrofi iniziano a spopolarsi.
La miniera ed i minatori di Perticara
L’avvio dell’estrazione dello zolfo a Perticara risale al 1755, quando nasce una società a cui
partecipa anche una famiglia locale: quella dei Masi. Nel periodo napoleonico lo zolfo marchigiano
il blocco decretato dagli inglesi mette fuori gioco gli zolfi siciliani e le miniere marchigianoromagnole diventano essenziali per la fornitura di zolfo - indispensabile per la fabbricazione della
polvere pirica - a tutta l’Europa continentale.
Nel 1816 la miniera viene acquistata dal conte Giovanni Cisterni di Rimini e nel 1836 passa
in proprietà alla società francese Picard che fallisce quattro anni dopo. Per un certo periodo (18961908) la gestione viene assunta da una cooperativa di minatori la quale, nella esposizione universale
di Parigi del 1902, ottiene una medaglia d’oro per le capacità dimostrate. La gestione passa poi alla
ditta Trezzo-Albani che giunge ad impiegare 340 operai. Nel 1917 la miniera viene assorbita dalla
Montecatini.Negli anni 1919-22 sono frequenti le azioni di sciopero dei minatori ,il contratto di
lavoro strappato nel settembre 1922 prevede un aumento medio di cinque lire il giorno.”Con
l’avvento del fascismo le agitazioni e le rivendicazioni divennero solo un ricordo.” (2)
Il periodo di massima espansione si ha intorno al 1950: vi lavorano 1600 persone e
funzionano cinque pozzi e due discenderie.
Inizia poi la crisi anche in questa miniera; nel 1952 i minatori di Perticara scendono in
sciopero di solidarietà con i loro compagni di Cabernardi, tre anni dopo arrivano le prime 155
lettere di licenziamento. Poi, nel giugno 1958, la Montecatini - affermando che a Perticara non c’è
più zolfo e che, comunque, l’estrazione risulta troppo costosa - procede alla sospensione di 447
operai. La vasta mobilitazioni dei lavoratori e delle comunità locali riesce a limitare i licenziamenti
: 350, i più in pensione anticipata o collocati in altre miniere ed industrie della stessa società.
Seguiranno altri licenziamenti e, per i più giovani, i trasferimenti, tanto che nel 1960 il numero
degli occupati si riduce a 470.
Nell’aprile 1964 la società Montecatini chiude definitivamente la miniera.
Situazione attuale dei siti minerari marchigiani
Nell’abitato di Cabernardi è funzionante il Museo minerario, gestito dall’Associazione
culturale La miniera e ospitato nell’edificio dell’ex scuola elementare. Il museo raccoglie una
ricchissima documentazione fotografica relativa al lavoro in miniera e agli impianti, attrezzature ed
utensili usati, campioni di minerali, modellini dei pozzi ecc.
Nell’area dell’ex miniera sono discretamente conservati e recuperabili: la struttura in
cemento armato del pozzo Donegani) almeno uno dei forni Gill, tre basamenti di calcheroni, un
3
tratto di discenderia ed un fabbricato. Nella vicina ex miniera di Percozzone potrebbero essere
recuperati alcuni fabbricati ed un sistema di trazione ad argano.
A due chilometri da Cabernardi di notevole interesse è il villaggio minerario di Cantarino
composto da casette, disposte in fila allineate, che servivano da dormitorio per i minatori che non
potevano rientrare a casa dopo il lavoro.
A Perticara sui fabbricati del cantiere Certino e sul traliccio in acciaio del pozzo Vittoria - di
proprietà del Comune di Novafeltria - sono stati compiuti dei pregevoli lavori di restauro
utilizzando finanziamenti di Enti locali, Regione e Comunità Europea. Gli edifici restaurati ospitano
il museo storico minerario Sulphur, gestito dalla locale Pro loco e contenente anche una preziosa ed
interessante esposizione di minerali provenienti da ogni parte del mondo. All’esterno sono stati
recuperati, e restaurati in modo pregevole, il basamento di un calcarone ed una batteria di forni
Gill. Nel bacino minerario di Perticara sono in discrete condizioni alcuni tratti di gallerie e
discenderie che potrebbero essere rese accessibili per fornire ai visitatori una realistica visione del
lavoro dei minatori.
Mario Fratesi
( 1) AA.VV. , Cristalli nella nebbia. Minatori a zolfo dalle Marche a Ferrara, Ferrara , 1996
(2) Ido Rinaldi, Perticara,la miniera di zolfo,la sua gente,Verucchio 1988 ( pag. 136)
(pag.24 )
BIBLIOGRAFIA
Una delle pubblicazioni più complete, sia riguardo alle vicende storiche dell’industria mineraria
marchigiana ed alle tecniche di estrazione dello zolfo che alle lotte dei minatori, è Un mondo cancellato. Miniere e
minatori di Cabernardi (Regione Marche e Provincia di Pesaro, 1996 ) curato da Giorgio Pedrocco. Gli stessi
argomenti sono ampiamente trattati da Bruno Fabbri ed Alida Gianti in La miniera di Cabernardi-Percozzone
(Fano, 1993 ). Giuseppe Paroli e don Dario Marcucci - ex minatore il primo ed attuale parroco di Cabernardi il
secondo – sono gli autori di Cabernardi. La miniera di zolfo ( Sassoferrato 1992). Nel libro sono anche raccolti
documenti e testimonianze, un capitolo è dedicato alla storia del paese di Cabernardi.
Le testimonianze dei minatori costretti a lasciare la loro Regione per conservare il posto di lavoro sono state
accolte, su iniziativa dalla comunità marchigiana di Pontelagoscuro, nel già citato volume Cristalli nella nebbia.
Minatori a zolfo dalle Marche a Ferrara ( Comune di Ferrara, 1996 ). Interessante è il discorso su come le tradizioni
marchigiane,ad iniziare da quelle culinarie,abbiano avuto un positivo impatto con quelle della comunità ospitante.
In campo cinematografico segnaliamo il bellissimo cortometraggio Pane e zolfo di Gillo Pontecorvo
( Cinelatina 1954 ).
Le vicende storiche del bacino minerario di Perticara sono ricostruite da Giorgio Pedrocco nel libro Zolfo
e Minatori nella Provincia di Pesaro e Urbino( Urbania, 2002). La vita e le lotte dei minatori sono raccontate, e
documentate fotograficamente, da Ido Rinaldi nel libro Perticara, la miniera di zolfo, la sua gente (Verucchio
1988). Dello stesso autore La miniera di zolfo di Perticara. Storia per immagini (Verucchio 1998 ).
Perticara e la sua miniera vengono riproposte - in un intreccio tra realtà e fantasia e attraverso la storia dei
suoi protagonisti - da Enzo Antinori ne La Buga. Storia” minore” della Miniera di Perticara ( Città di Castello,
2004).
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