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Ripetere non è mai ripetere
Editoriale Enrico Molteni “Recupero e creazione saranno complemento e non specializzazioni passibili di trattamento autonomo. Non ci sarà posto per polemizzare intorno a concetti come regionale-internazionale, modernotradizionale, popolare-erudito. Si dovrà riconoscere che non si inventa un linguaggio come non si inventa uno stile di vita. Si dovrà riconoscere che il linguaggio si trasforma per adattarsi alla realtà e per formalizzarla. Non ci sarà posto per la classificazione di quello che merita o no attenzioni speciali di conservazione. Tutto sarà riconosciuto come parte dello spazio, inteso come patrimonio collettivo e, in quanto tale, oggetto di mutamento e di continuità”. Alvaro Siza Il tema del presente numero della rivista non è nuovo; si radica nella storia ed è perpetuamente di stretta attualità. Ne è recente prova, in forma provocatoria e polemica, anche la mostra “Cronocaos” che, dopo la sua prima apparizione alla Biennale di Venezia del 2010, è ora al New Museum di New York. Alcune domande poste da Rem Koolhaas tendono a riconsiderare infatti i modi dominanti di “preservare” architettura e città – ma il discorso si può certamente estendere anche al paesaggio – da lui intesi come una epidemia pericolosa e falsificante.Visione che non è difficile condividere, soprattutto se la prospettiva da cui si guarda è quella operativa del progetto. Nel regno odierno della preservazione tout court, sembra infatti che il mondo sia impaurito da una presa diretta della realtà attuando una forma di censura ideologica ed estetica – rispetto ad ogni trasformazione del centro urbano, per esempio – oppure di amnesia storica, rispetto alle altre epoche, soprattutto quella della modernità, ma non solo. Per Koolhaas, come trent’anni prima lo era per Siza, evidentemente con esiti architettonici diversi, l’approccio al tema della “preservazione” non può che essere un perenne approccio critico e progettuale. Al contrario di essere un monolite permanente, il patrimonio deve essere ri-definito e arricchito di continuo. Ma come? Queste brevi note intendono indagare alcuni temi e modi di preservare e di riutilizzare l’architettura. 1. L’allargamento della riflessione a tutti gli ambiti dell’attività di progettazione – dalla scala della ristrutturazione di interni al disegno del paesaggio – induce subito ad una presa di posizione contro le specializzazioni. Gli architetti hanno spesso dato prova che ogni condizione di lavoro deve essere affrontata sempre in termini di progetto, in quanto trasformazione di ciò che esiste “da prima”.Trasformare una data realtà fisica, un luogo esistente – anche un terreno “vuoto” –, così come ristrutturare o ricostruire, sono termini che implicano un dato iniziale. È il progetto che si conforma sempre ad una realtà, alle condizioni e costrizioni specifiche, tanto che a volte, spesso, è la realtà che decide per noi. In quest’ottica, il progetto è consapevolmente anche un gesto mai definitivo, inserito in un tempo lungo e mai uguale a se stesso. 2. Il tema specifico della riqualificazione edilizia implica una limitazione di campo, escludendo cioè tutti quei casi in cui l’architettura ha conservato la sua integrità, tanto costruttiva che culturale, sollecitando una risposta fondamentalmente tecnica, di tecnica di consolidamento o di restauro conservativo. Comprende invece tutti quei più diffusi esempi di edifici in rovina, decadenti o in disuso, o frammenti di edifici ma anche edifici non più funzionali o inadeguati rispetto agli standard Ripetere non è mai ripetere 2 cil 143 Rachel Whiteread House, 1993. Loris Cecchini. Empty Walls, Just Doors, 2006. Nella pagina a fianco: Diener & Diener Architekten. Museo di storia naturale di Berlino. attuali, a tutto quanto cioè si presenti “aperto”. Sono questi i casi in cui si attua per sovrapposizione, completamento, o modificazione a partire da un dato fisico. Ed è certamente necessario il confronto con l’originale, innanzitutto la conoscenza diretta di quello che c’è, del suo stato dal punto di vista costruttivo: ma è un confronto che rimanda immediatamente al carattere o all’atmosfera, ovvero all’identità. Nella coesistenza di due condizioni, il “vecchio” e il “nuovo” sono entrambi partecipi, tra opposizione e continuità, e simultaneamente alludono all’idea di una totale preservazione e di un perpetuo rinnovamento. In tali casi, l’attività progettuale andrebbe condotta prevalentemente sul binario tecnico-costruttivo in cui il “nuovo” e il “vecchio” si fondono nel senso che dovrebbero tendere ad essere irrilevanti e rilevanti solo in quanto ri-definizione di quel carattere, atmosfera o identità negoziata tra una radicale stasi e un radicale cambiamento e pur sempre all’interno di una concezione unitaria dell’opera. 3. In quest’ottica, la ricostruzione del Museo di storia naturale di Berlino, opera dello studio Diener & Diener di Basilea, può essere preso come caso esemplare. La facciata esistente in mattoni, distrutta dai bombardamenti solo in una parte minore, viene ricucita seguendo il disegno originario. L’azione progettuale si centra sul dato costruttivo, sul come, e a partire da lì attua al contempo una totale mimesi e uno scarto radicale rispetto all’esistente. Attraverso un calco in negativo della facciata esistente, la nuova facciata, divisa in pezzi, viene successivamente riprodotta: modanature, fughe, cornici, ogni cosa è restituita fino al minimo dettaglio nella matrice del nuovo prefabbricato. L’intervento, una volta concluso – cioè la sua immagine definitiva –, non è privo di rimandi all’arte contemporanea. Nel vedere replicate parti della realtà in modi e per ragioni differenti, alcuni lavori dell’inglese Rachel Whiteread (1963) e dell’italiano Loris Cecchini (1969) possono, per esempio, essere affiancati all’approccio architettonico di Roger Diener (1950). Medesima è la meticolosità del rilievo e della successiva replica del dato reale. Medesima appare anche l’astrazione che si tende conferire al nuovo manufatto – edificio o parte o elemento in sé – attraverso l’uso di un unico materiale, tendenzialmente di colore neutro, apparentemente poco opportuno (fino ad essere “inappropriato”). Ma è proprio attraverso queste apparenti “forzature” – da misurarsi rispetto all’ambito artistico o architettonico – che la messa in opera del “nuovo” assume un valore concettuale ed estetico tale da trasfigurare la realtà, da intensificarne e destabilizzarne la percezione. A tal punto che la facciata del Museo di storia naturale di Berlino solo nel momento in cui acquisisce il nuovo innesto assume una valenza emotiva e seduttiva assai più acuta dello stato originale. E così vale anche per le case di cemento di Rachel Whiteread e per le porte di gomma di Loris Cecchini. Già nell’azione della replica o della ripetizione si attua necessariamente per interpretazione, per trasformazione, per distanza critica. Come era fatto? Come fare adesso? Niente in questi casi è più eloquente della differenza tra il materiale dell’originale e quello della copia. Dal pragmatismo costruttivo emerge, dunque, una nuova poetica. Nulla di più lontano, per essere chiari, da un atteggiamento rinunciatario o di adesione rispettosa allo stato delle cose, o al riconoscimento della rovina in senso romantico. Al contrario, è la radicalità delle scelte che qui si intende sottolineare. E dunque anche il mattone può e deve essere utilizzato criticamente e creativamente, non solo per le capacità di mimetizzarsi, come spesso accade, quanto per le proprie qualità specifiche: dato che, sembrerebbe, è possibile ri-costruire il vetro anche con il mattone. ¶ 3 editoriale