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20 metri sottoterra Il caos è forse una rete?
20 metri sottoterra oppure: Il caos è forse una rete? (cronaca da un laboratorio di fisica in quel di Zogno) di Bruno Reffo. “Maledetti caproni!” Imprecava il tipo sulla sessantina allungando gli occhi verso un grigio soffitto di cemento armato. … Come non dargli torto: sono ormai tre giorni che ci ritroviamo chiusi in questo maleodorante garage sotterraneo a condividere, io e una ventina tra impiegati e manager, le conseguenze del probabile più lungo blackout della storia … “ E si sono pure dimenticati di noi!” Ora però piagnucolava. Il tipo sembrava un po’ il capo manager poiché tutti gli altri annuivano, ciondolando la testa con gesti resi automatici da anni di palese sudditanza. Strano destino, pensavo, 20 metri sotto terra, cellulari senza campo, porte taglia fuoco inesorabilmente sbarrate a impedirti ogni possibile via di risalita. Ero sceso per parcheggiare la fedele a stagionata Toyota: al livello del quattro piano interrato, un sordo rumore poi il buio. Dopo qualche minuto sentii le prime timide voci: “C’è qualcuno?” E ora siamo tutti qui, incavati nel grigio cemento, tra una montagna di auto silenti e suoni ovattati, con uno strano senso dello spazio e del tempo. L’unica fonte di luce è quel grigio_spento che proviene dai faretti interni delle auto e che abbiamo trasformato in tanti piccoli camper: ma qui ce ne sono a decine quindi non abbiamo pressanti problemi energetici. Una vera fortuna! Per ora, l’unica nota stonata proviene da questa strana compagnia di mega impiegati lamentosi che, a turno, picchiano su un grosso tubo sperando di essere sentiti da lassù: illusi, ma questo li tiene, in qualche modo, occupati. Bam, bambam, bim… stessero almeno a tempo! Al secondo giorno di blackout, dopo molte discussioni fu deciso di prelevare, da un fortunoso magazzino del garage, tutte le bibite e snack di ogni tipo che servivano per rifornire le macchinette a gettone che si trovavano 20 metri più su, nell’agognato atrio. Ho preso la mia razione di cibo e dopo un’estenuante trattativa con i compagni di sventura (sono riuscito a barattare a mio vantaggio, patatine e merendine varie per i miei soliti succhi di frutta), me ne sono andato nel punto più silenzioso, lontano, qui in fondo al garage: volevo riflettere in sana solitudine. Bam, bambam, bim… Alla fine convenni con me stesso che ero nella situazione ideale per scrivere, con il mio fedele portatile alimentato tramite un fortunoso adattatore per l’accendisigari della macchina (mi è costato due sacchetti di arachidi salate per il capo manager), un sorta di libro sul caos e di come, esso, il caos, divenne per almeno un paio di anni oggetto di studio in una scuola superiore di una valle nota per una fantomatica vocazione celtica: l’orobica val brembana. Un ultimo sorso dall’ennesimo succo di frutta (pera), e posso cominciare. Cerco nel mio fido PC e trovo che uno dei primi programmi che hanno a che fare con il caos, risale al 2004: ne sono passate di nubi sopra il cielo... Lo so, il proverbio parla di acqua sotto i ponti ma stare qui sotto, con una probabile acqua di falda (siamo sempre sottoterra e pure nella bassa pianura padana) e senza più l’intervento delle pompe elettriche, immagino che essa, acqua dura e atrazinosa, abbia già cominciato a risalire dai più bassi piani del garage, è meglio quindi pensare al cielo terso(!) lassù, a circa venti metri sopra noi. Penso allora al fisico Smale, uno scienziato che negli anni quaranta, ha lavorato per la costruzione della prima bomba atomica. Leggendo la sua storia me lo sono immaginato un tipo un po’ stralunato, un pensatore e forse poeta della natura: lui aveva il compito di aiutare a risolvere problemi dei suoi colleghi, un lavoro non facile. Smale però, quando era libero dagli impegni, passeggiava (notte o giorno che fosse) contemplando le nuvole e con un’idea fissa: potrà mai esistere una matematica in grado di descrivere un simile fenomeno? E ricordo che pure il grande Leonardo da Vinci, anche lui un grande poeta della natura. Leonardo, ho letto che tra i suoi innumerevoli interessi, aveva anche lo studio dei vortici o mulinelli che l’acqua produce nel suo incessante e imprevedibile scorrere. Smale e Leonardo, che strano accostamento: oggi, vedere due tipi osservare per ore nubi e/o ruscelli, non deporrebbe positivamente verso la loro sanità mentale. Questa è però l’occasione giusta per introdurre (senza la pretesa di definire) il caos: nubi, vortici e altre diavolerie simili quindi, ma è solo un primo approccio. Prima di entrare nella mia esperienza e il percorso che mi ha portato allo studio sul caos, potrei sintetizzare quello che emerge dalla lettura dei libri che si occupano della materia in oggetto: ciò che è capitato a me e a quelli che ho poi coinvolto, è iniziato però in modo diverso; un bel problema per me che cerco di ricostruire una specie di storia, e con un minimo di logica temporale. Mentre penso a come superare il dilemma, vado a controllare il livello dell’acqua di falda, non si sa mai … 2. Qualche appunto sul caos Ho lanciato una monetina nel foro che ho praticato nella parete interna della rampa e il tempo di ritorno del tonfo supera di poco i tre secondi, potrei calcolare la distanza, ma basta il tempo. Tre secondi dal tonfo: un’ottima misura della propria vita. Più tardi andrò a riferire ai miei compagni di sventura. Potrei partire, come tutti i libri che parlano di caos, dalla solita equazione differenziale a n variabili, ma non è così che è iniziato il mio percorso sul caos, decido allora per una mediazione: ora indosso, quasi fosse un gioco, un cappello da capostazione. …. Sto guardando il treno al quale ho dato il segnale di partenza dalla mia piccola stazione ferroviaria e aspetto che passi davanti al solito palo, a circa centottanta metri dalla stazione: da lì inizia una specie di leggera discesa e i macchinisti di solito lasciano che il treno viaggi poi per inerzia e quindi con velocità pressoché costante. Misuro il tempo di passaggio, sono 18 secondi. Bene. Ora posso prevedere il tempo d’arrivo alla stazione seguente (distante 12 km circa) e verificare, al suono del campanello che segnala l’arrivo del treno nell’altra stazione, la bontà dei miei calcoli (è un modo come un altro per passare il tempo). Basta risolvere una piccola situazione matematica: (1) variazione dello spazio nel tempo (k è la velocità del treno) =180 metri (condizione iniziale, da qui, di solito, il macchinista toglie corrente alla motrice per proseguire d’inerzia) (spazio percorso o legge oraria (posizione del treno in funzione del tempo rispetto alla stazione di partenza)) sviluppo la (1): dove con il simbolo ∆ si indica variazione ovvero (ed è così esplicitata la terza “frase” del sistema) per via dell’ipotesi inerziale sulla velocità del treno si deduce che, passati i 18 secondi, il treno viaggerà con velocità costante (e da qui inizia a lavorare il sistema). Questa è una delle condizioni iniziali che controllano tutto il sistema: il valore si può facilmente determinare, ovvero velocità = 360m/18s = 20 m/s … (72 km/h) “Ma non erano 180 metri? E’ vero, ma è che siamo in un moto accelerato”1 Occorre quindi passare attraverso l’accelerazione fino ai 180 metri, poi, il moto è costante … Niente paura, questa è fisica! Il capostazione però, ha una diversa percezione. Cosa accadrà poi al treno? Ovvero occorre conoscere: 1) massa dei vagoni, numero di passeggeri, 2) potenza dei motori della motrice, 3) stato di lubrificazione di ogni ruota dei vagoni, 4) pendenza del terreno, 5) intensità del vento, 6) direzione del vento, 7) angolazione del vento … poi c’è il macchinista: lui sa che il massimo della velocità in quella tratta è di 90 Km/h ma che in genere la velocità e di circa 70 Km/h, rispetterà la consegna o avrà fretta di arrivare a casa (è mercoledì e c’è la partita di coppa, è poi un interista quindi …) e quando arriverà al palo dei 180 metri staccherà il motore oppure farà ancora qualche metro … Penso che basti … come si possono inserire nel sistema che pretende di prevedere il moto del treno, tutte queste variabili? Non è possibile. Il nostro capostazione ricorda poi, e molto bene, quell’incidente scampato per una manciata di minuti! Era circa due anni prima, il treno si bloccò in aperta campagna: il macchinista lo aveva avvisato via telefonino (contravvenendo al regolamento) che il locomotore si era rotto e stavano inesorabilmente rallentando. Eppure i display del pannello di controllo nella sala controllo della stazione, luccicavano di un verde imperterrito, per loro funzionava tutto! Il capostazione doveva invece fermare il secondo treno che, già partito da tre minuti, avrebbe inesorabilmente raggiunto il primo treno. Non c’era però, alcun segnale di irregolarità, anzi, il display che stimava l’ora d’arrivo del primo treno continuava a segnalare, imperturbabile, l’ora d’arrivo presunta del primo treno. Doveva agire in fretta ma il protocollo prevedeva il suo intervento solo dopo il segnale di allarme. “Accenditi maledetto segnale di pericolo, accenditi!” Nulla. Già vedeva i treni vicini, sempre più vicini e infine la commissione di inchiesta schierata, gli sguardi severi con le solite ipocrite domande … “Ora sono fermo!” Urlava il macchinista. 1 2 si deduce dalle “fumose” formule della cinematica (S=0,5 a t e v = a t ) ovvero v = 2 S/t Un treno contro l’altro, il regolamento, il pannello di controllo … pensò alle persone sui due treni e attivò di sua iniziativa il blocco della linea. Due mesi senza stipendio e una nota di biasimo: doveva comunque prima attendere la conferma dal pannello, disse la commissione. … Da allora, l’amico capostazione ha preso l’abitudine di stimare le velocità dei treni quando raggiungono il palo dei 180 metri; si affida alla velocità presunta (e sono quei 20 m/s) aggiustandola poi, a sua discrezione, a seconda le situazioni contingenti. Eppure, le sette condizioni sopra esposte più gli aspetti metafisici legati al macchinista, vengono pomposamente chiamate, dai meccanici classici ( e da quelli della commissione d’inchiesta): Condizioni Iniziali Secondo loro basta sapere il loro valore e tutto diventa prevedibile! Condizioni Iniziali !! Esse sono una delle basi delle leggi della fisica! La realtà però, a volte non la pensa in quel modo e il capostazione sapeva d’aver fatto la cosa giusta. Torniamo però al canone scientifico. Il sistema iniziale allora si sintetizza nella semplice equazione (si aprono cioè le scommesse: tra quanti minuti il treno raggiungerà l’altra stazione?) Il capo stazione conosce però la matematica (quella imparata a scuola) quindi calcola (cosa che farà anche il lettore) risolvendo l’equazione nella variabile t ponendo x(t)=12000 metri, ovvero: (2) La stessa cosa ha però una propria rappresentazione grafica che dovrebbe spiegarsi da sola. Ecco comunque il grafico relativo alla (2): x(t) grafico (1) 10 km 5 km 180 metri tempo 15 minuti 30 minuti 45 minuti 60 minuti (La velocità del treno è nella pendenza del segmento). E’ evidente che il grafico non fornisce il tempo preciso di arrivo: per i conti occorre usare la solita matematica. Il treno arriverà alla stazione vicina in circa 10 minuti. Nota: il “circa” è, evidentemente una pura provocazione, ma tutto ciò è una sorta di primo approccio al caos. Sono tornato dai miei talpoidi ma non è andata bene. C’era uno strano silenzio e solo una debole luce che indicava la loro presenza. “Ehi! Dove siete?” “Silenzio! Accidenti … ecco, ora ci tocca ricominciare daccapo!” Erano tutti seduti tipo yoga o cosa simile e al mio richiamo il cerchio si dileguò. Il capo manager era furioso e inveiva parole oscene nella mia direzione. Un impiegato (seppi poi il suo nome: Osvaldo) mi si avvicinò e mi accompagnò lontano da loro. Parlò molto veloce e sottovoce. “ Eravamo in seduta di training mentale e stavamo comunicando “mentalmente” con la segretaria del capo: dovevamo cioè connetterci mentalmente con lei e concentrarci tutti affinché lei, Vanessa, venisse a cercarci”. Lo guardai ma il suo sguardo, pur nella penombra, era molto eloquente. Osvaldo mi fissò e concluse: “Il problema è che … hai presente la tipica segretaria dei capo? “. I suoi occhi si erano come inumiditi ed erano diventate due fessure lussuriose e piegate in alto: non c’era molto da aggiungere. “Devi dire al tuo capo che c’è il problema della falda che …”. “Ok,ok. Riferirò, la falda?... Ma che c’entra ora la falda? “ Si era però già sganciato e stava tornando dai suoi. “Non farti vedere per almeno due giorni, hai capito!” Tutti lo sentirono e approvarono rumorosamente. Tutto qui. Sono andato al solito foro e ho gettato un’altra monetina: i tre secondi ci stavano ancora tutti. Se l’acqua saliva, lo faceva con molta calma: meglio per tutti. Molto probabilmente non sto prendendo con la giusta serietà questa situazione. Purtroppo non ho molte alternative: i talpoidi sono accampati vicino all’unica, anche se improbabile, via d’uscita e cercano, a loro modo, di trovare un modo per salire. Dopo il blackout e le prime concitate ore, sono stato quasi subito estromesso dal gruppo: probabilmente sono stato un po’ troppo scorbutico (e forse anche un po’ brutale) con quello che poi ha capito troppo tardi, essere il capo manager. Il mio solito caratteraccio. Non mi resta quindi che attendere e occuparmi di caos. Devo però sintetizzare. Ora il grafico della (1) può essere ora generalizzato a due treni che percorrono lo stesso binario (in tempi diversi). L’amico capostazione saprà essere comprensivo; ecco alcuni casi possibili: (a) (b) (c) (d) Cerchiamo di descrivere i grafici rappresentati in termini matematici: l’equazione (1) ovvero = k è sempre valida: occorre solo applicarla due volte e per le due rette o segmenti (d) è dunque fuori e capire cosa accade. In simboli: x1 (t) = k1 t + x1(0) x2(t) = k2 t + x2(0) (S.1) Cerchiamo ora la soluzione (se esiste) del sistema. Ciò vuol dire trovare le coordinate tempo-spazio del punto comune ovvero, (l’eventuale anche se non auspicabile) punto d’incontro per entrambe le “curve”. In pratica deve valere: punto d’incontro: x1 (t) = x2(t) ovvero x1 (t) - x2(t) = 0 t (k1 - k2)= x2 (0) - x1 (0) e si hanno i casi possibili : se k1 = k2 ( i treni hanno la stessa velocità) ovvero il caso (b) non si hanno punti tempo_spazio comuni; se k1 ≠ k2 si può ricavare il tempo ma se risulta negativo, è il caso (a); è come se il punto di incontro fosse avvenuto già nel passato (!). Se invece t è positivo è il caso (c) (in questo caso il capostazione deve lestamente fermare i due treni). Il grafico (d) può aspettare (uno dei due treni deve essere impazzito). L’equazione (1), con aggiunte le condizioni iniziali (dove si trova il treno al tempo zero), possono risolvere un po’ tutti i problemi di natura ferroviaria. Il sistema (S.1) è un classico e semplice sistema lineare. Se partiamo, però dal significato “pratico” (due treni sullo stesso binario) possiamo trasformarlo in qualcosa di diverso. Dico subito che la diversità è nell’interdipendenza tra i coefficienti (k1 e k2) che caratterizzano il sistema e che “classicamente” sono pensati (in quanto coefficienti) tra loro indipendenti. Se vogliamo che i treni non s’incontrino mai, ovvero che il sistema (S.1) non abbia mai soluzione deve valere: Le ultime tre condizioni, sono condizioni che regolano le prime 2 equazioni generiche. Nel caso particolare, S1 =360 metri, una lunghezza sufficiente (se il primo treno è più veloce del secondo) per impedire ai due treni di “raggiungersi” (la soluzione del sistema fornisce un tempo negativo (!), cioè lo “scontro” nell’impossibile passato ...). E’ evidente che il nocciolo del problema (se parliamo dei grafici a,b,c) è nell’equazione (1) che considero anche in un’altra forma: dove j è un indice intero e che generalizza il problema per un numero generico di treni sulla stessa tratta. Che cosa dire allora del caso (d)? E’ evidente che non possiamo cavarcela con equazioni tipo (1) o (1a). La matematica si complica e le soluzioni non sono così facili (ma è un modo più o meno elegante per dire, tranne che per pochi casi felici, che non sappiamo come affrontare problema complessi (reali): un treno impazzito, ma quando mai!). Chi vuole approfondire può consultare il testo di Bertuglia-Vaio “Non linearità, caos, complessità”. Tolgo ora il cappello da capostazione e propongo alcune riflessioni. - La (1) o la (1a) fanno parte di una delle equazioni più semplici in grado di tradurre in linguaggio matematico alcuni problemi scientifici: non ha caso, la sua rappresentazione sono le curve (linea) più semplici, ovvero le rette (in questo caso segmenti). - La possibilità di trovare soluzioni relativamente semplici, ha assunto nel tempo, il sinonimo di linearità (è una grossolana approssimazione ma avrò molte tra breve molte e più pesanti scuse da chiedere). - Se il problema da rappresentare diventa più complesso allora sarà anche più complessa l’equazione (1) ovvero, il grafico (d) non può corrispondere alla (1) o (1a). Aggiungo ora a un altro nocciolo della questione attraverso ulteriori affermazioni che la scienza ha ormai consolidate: affermazione (1): lo spazio ovvero x(t) è un numero; il numero è infinito ed infinitesimo quindi lo spazio è infinito ed infinitesimo2 affermazione (2a): il tempo ovvero, ciò che da senso a x(t), è un numero; il numero è infinito ed infinitesimo quindi il tempo è infinito ed infinitesimo ovvero, in alternativa alla 2a, ( ma è una mia libera intromissione): affermazione (2b): dato che lo spazio è un numero allora il tempo, per pura ragione esistenziale per lo spazio in sé, è anch’esso un numero affermazione (3): se lo spazio è infinitesimo, esso può essere ridotto a valori sempre più piccoli ovvero è una variabile continua3. L’affermazione (3) è molto importante tant’è che trasforma il simbolo “∆” (che indica variazioni o intervalli discreti, quindi non continui) nel simbolo “d ” (variazioni continue e piccole senza limite di dimensione). La (1) diventa allora: Concettualmente (dal punto di vista dei treni) però non cambia nulla. Se siamo ora in grado di generalizzare il ragionamento (certo, se il mondo fosse un treno continuum, non avemmo tutti questi problemi) avremo cioè che, se fosse possibile porre al posto di k, una opportuna funzione (o legge) che dipende da delle n variabili generiche x1 , x2, …, xn , otterremmo una funzione generica F(x1 , x2, … xn , t ). A questo punto la (2) diventerebbe: 2 3 o viceversa? vedi la nota 1 Chiaro? A me non sembra. La prima volta che vidi la (2a) mi dissi: ”Che diavolo è?” E’ pero, tipico dei matematici: loro definiscono un oggetto, ci costruiscono delle strutture o algebre e poi ti lasciano lì a decifrarne il senso facendo infine apparire il tutto come semplice (o lineare). Non è così. Tengo a precisare che, quasi tutti i sacri testi che ho incontrato sul caos, normalmente partono dalla (2a); poi passano ad applicazioni via, via più complesse per poi inevitabilmente fermarsi e un po’ dispiaciuti davanti a esempi pratici insormontabili Ogni volta che vedo però la (2a) io penso sempre all’amico capostazione e ai due, tre quattro, ai tanti j_treni … e mi trovo più tranquillo. Restano sempre molte domande tipo: cosa sono le x1, x2, …, xn ma con Lorenz (che vedremo tra poco) si avranno delle risposte esaustive. La (2a), come tutte le equazioni che stanno alla base della fisica e della scienza in genere, provengono da lontano e sarà ormai da molto più di cent’anni che le scienze “dure” vivono e convivono aggrappati alla flotta che ha per capostipite il piroscafo che batte la bandiera di Laplace & Company! A quell’idea cioè, che la natura si possa spiegare con il linguaggio della matematica e/o verificata con il galileiano metodo sperimentale. Il caso, l’imprevedibilità, l’irripetibilità, l’imprecisione non hanno mai avuto molto spazio: tutti questi ultimi e inevitabili fattori hanno motivo di esistenza solo se riescono ad entrare in un qualche sistema probabilistico, altrimenti sono solo noie da cui disfarsi al più presto. In effetti, siamo zuppi di eleganti e sintetiche equazioni (la (2a) ne è un esempio) che sono sistematicamente riportate e citate come base per la soluzione di tutti (o quasi) i problemi di natura fisica: belle e praticamente irrisolvibili o risolvibili mediante algoritmi estenuanti. Per non dire poi di come il pragmatismo (leggasi, tecnologia) interviene per ottenere un qualcosa che assomigli a un risultato! Si linearizza (si segmenta) ciò che è curvo, si approssima, si separa, s’ipotizza ciò che non si riesce a conoscere … e via così. Alla fine, si controlla se il risultato è compatibile con le aspettative: se c’è corrispondenza, i marchingegni utilizzati vengono assunti come validi e coerenti, con buona pace per il rigore, non solo formale, che era alla base delle equazioni iniziali. Quando però i conti non tornano, si danno le colpe più astruse. La mia macchina non partiva più “al primo colpo”; il meccanico dopo molte ipotesi tecniche mi chiese: “Quanti anni ha?” “Quasi nove”. Risposi. “… Sarà allora l’età. Non deve stare più all’aperto, meglio tenerla, specie d’inverno, dentro un garage” Gli astanti, tecnici e non tecnici, annuivano convinti. La mia macchina era diventata una signora di una certa età che doveva vivere al calduccio … E se ora sono in questo maledetto garage, è per via della mia “Toyota” che, a sentir loro, doveva stare al riparo! L’induzione magnetica e tutta la teoria della scarica elettrica fecero, non viste, una smorfia di disapprovazione metafisica, ma che mi sembrò scorrere lungo la spina dorsale. Meglio sorseggiare ancora un po’ di succo. Mela verde! Discreto. Voglio però, anche esagerare. Cosa dire del moderno uomo di scienza? Ha ancora senso nascondersi dietro la presunta e galileiana “neutralità” della scienza per non guardare gli effetti delle ricerche della ricerca scientifica? Da dove provengono le armi intelligenti: dalle menti bacate d’imprenditori e/o politicanti corrotti o dalle menti eccelse di ricercatori scientifici (magari con la solita commovente, strappalacrime premessa sulla loro supposta gioventù)? Immagino infine il lavoro certosino dei matematici che si sono dedicati, e che tutt’oggi, dedicano la propria vita a questa parte della scienza: va tutto bene e ho per loro una grande stima. Tutto questo, però non è nel mio DNA, non riesco a piegarmi a questa innaturale complessità strutturale. La natura, a mio avviso, ha troppe cose interessanti da realizzare per passare il tempo a verificare se ciò che avviene rispetti, per filo e per segno, le nostre complicatissime equazioni! Sto volando! In effetti, sto volando, chiuso in questo mio modesto lavoro, sono rovinosamente finito nel cestino. L’unto della merendina al cioccolato sta di fronte a me e segna con un’incomprensibile macchia, la carta del libro: riesco a vedere a malapena, sbirciando tra le pieghe delle mie stesse pagine spiegazzate e il cartoccio usato di un succo di frutta, il mio recentissimo e oramai ex lettore che sbuffa spazientito e che rivolge a me, piccolo e innocuo libercolo, parole irripetibili. Ora però va meglio, il dado è tratto e posso riprendere la stesura e affrontare le ardue questioni che ancora ci aspettano. Riprendo ora la (2a) e cerco di darle un volto umano: applichiamola quindi per capire com’è nato il famoso “effetto farfalla”4 introdotto da Lorenz. Il problema: siamo negli anni 60, la questione da risolvere era il movimento di un fluido (aria) in un campo gravitazionale costante posto tra due piani orizzontali tenuti a temperature diverse; quella più bassa è quella a temperatura maggiore. Per essere un po’ più pratici: 4 Per chi desidera una trattazione più completa si consulti: “Determinismo e caos” di A. Vulpiani ed. Carrocci … è circa mezzogiorno, c’è il sole e il metereologo vuole capire come si muove l’aria calda, che in quanto calda, tende a salire ... Per iniziare il discorso, occorre partire da delle equazioni base e le equazioni di riferimento sono quelle relative alle leggi della fluidodinamica e della termodinamica ovvero l’evoluzione temporale delle velocità, pressione e densità di ogni punto del fluido (aria). I teorici sono Landau e Lifsits (1959) e di Boussinesque ma la matematica associata è molto complessa. Nel 1963 Lorenz semplificò le equazioni in modo drastico sintetizzandole in queste tre equazioni (che non sono altro che la nostra vecchia (2a) applicata tre volte): Diciamo subito che le (4) non sono equazioni lineari (appaiono anche prodotti tra le variabili). Le variabili di stato x, y, z sono connesse alla velocità e temperatura del fluido(aria) mentre gli altri parametri riguardano le caratteristiche del fluido5. Ecco però qui rappresentata un’idea di cosa possono significare le variabili x1 , x2, … che compaiono nella (2a). Nella (4) le variabili x, y, z non sono quindi le tre classiche variabili spaziali, ma sono delle variabili generiche (si parla allora di spazio delle fasi) che si possono anche combinare tra loro e che descrivono, in ogni istante di tempo, lo stato di un sistema fisico. Il fattore esprime allora la variazione nel tempo delle singole variabili di stato: l’aspetto descritto dal sistema è che le variazioni nel tempo delle tre variabili, dipendono non solo da se stesse, ma anche dalle altre due variabili di stato! Cerchiamo, però, di “vedere” le equazioni del sistema (4). Le cose qui si fanno complicate. Se si vogliono, infatti, rappresentare le tre equazioni (nello spazio delle fasi individuate dalle tre variabili x, y, z), sorgono dei problemi. Il primo problema è la pretesa (di origine Laplaciana) di conoscere con continuità, cioè in ogni più piccolo istante di tempo, le variazioni temporali e numeriche delle tre variabili (cioè i simboli “d” che compaiono nei termini a sinistra delle equazioni). Il secondo problema è la questione delle condizioni iniziali ovvero, sapere con precisione (assoluta?) nel primo istante di tempo, lo stato del sistema e poi prevederne l’evoluzione. 5 Tratto dal già citato testo di Vulpiani Eppure, su queste pretese non ho mai visto grandi obiezioni scientifiche: possono bastare i comportamenti medi e/o approssimati, dicono. L’importante, al solito, è che funzioni! In ogni caso, per ottenere qualcosa da poter far elaborare al computer (siamo nel 1963 ma anche oggi il problema è lo stesso) occorre discretizzare sia le variabili x, y, z che il tempo t: in pratica bisogna passare dal simbolo “d” al simbolo “∆” . Questo passaggio, dal continuo al discreto, viene liquidato matematicamente con una parola: mappa, cioè una sorta d’insieme di punti. Troppo comoda. Discretizzare il fenomeno nel tempo e nello spazio significa rinunciare a sapere cosa accade durante la discretizzazione dello spazio_tempo e la cosa, a mio avviso, non è così digeribile. In pratica se si discretezza il tempo, significa che lo spazio (delle fasi), durante il ∆t, deve restare immobile6 e, viceversa, se si discretizza lo spazio, è il tempo ad immobilizzarsi (cioè smette di scorrere!). E’ come la pellicola di uno strano film: un insieme d’immobilità spazio_temporali o pseudo fotogrammi fatti poi scorrere con velocità arbitraria in tre direzioni. Ora la domanda (!) che sorge spontanea, è questa: che fine hanno fatto le bellissime e complesse equazioni e condizioni originarie e ora diventate una mappa ovvero Con la discretizzazione spazio_(delle fasi)_temporale però, con un tranquillo programma informatico, ho però ottenuto un grafico rappresentativo7: 6 Se il lettore pensa allo spazio come qualcosa di eterno e immobile, pensa al piano continuo o euclideo. Lo spazio_tempo, specie se discreto, prevede invece uno spazio variabile nel tempo, anche se costante nelle sue peculiarità geometriche. 7 tratto dal lavoro di presentazione per BG scienza 2010(Istituto Turoldo Zogno) fig. 0 Ma dov’è la farfalla? Non c’è. Nella figura ho riportato un grafico a 2d (due dimensioni). Ho però realizzato, sempre con le stesse equazioni, un grafico in 3d. Non lo rappresento poiché, per comprenderlo appieno, occorre vederlo nella sua evoluzione temporale (il film di cui prima). Io ci ho visto i vortici di Leonardo, i mulinelli dei tornado che magari ipotizzava Smale ovvero il movimento lento e maestoso dell’aquila che risale sfruttando le correnti calde del primo pomeriggio ovvero, temperatura, pressione, densità, gravità e chissà quali altre variabili, combinarsi e trasformare il movimento dell’aria. di per sé caotico, in una sorta di rete a forma di vortici … ogni volta che osservo il grafico a 3d evolversi, confesso, tendo spesso, a commuovermi. Ora però ritorno a terra. In definitiva, quello che mi sento di dire e in piena tranquillità, è che le equazioni provenienti dal bellissimo ma ermetico mondo della teoria, sviscerate da chissà quanti uomini di scienza e ormai diventate delle specie di divinità irraggiungibili, hanno dei limiti applicativi intrinseci. Queste equazioni (o teorie) hanno ispirato e saranno sempre punti di partenza per la scienza ma non possono essere, e in modo esaustivo, l’unico linguaggio della natura. In effetti, l’immagine di fig. 0, non è prevedibile, sia nel singolo passo sia nella sua globalità: le due macchie bianche ai centri dei vortici (attrattori strani), non erano assolutamente prevedibili e restano in quelle “posizioni” anche se si cambiano le condizioni iniziali (con prudenza però). E la farfalla? La storia riportata da più autori si può sintetizzare così8. Lorenz, con il computer cha aveva a disposizione (e sembra non fosse un granché) stava calcolando lo sviluppo delle coordinate attraverso le tre equazioni trovate (le equazioni del sistema (4)). L’operazione doveva però essere molto tediosa e lenta: lasciò fare al computer e andò a bersi un caffè. Al ritorno trovò una bella sequenza di numeri (coordinate x, y, z). Gli venne poi la brillante idea di prolungare con una nuova sequenza quella appena ottenuta ma, invece di ripartire dall’inizio, partì da delle coordinate intermedie che il computer aveva già sfornato … ma fece una piccola operazione di arrotondamento: invece di riportare i valori intermedi con tutte le 6 cifre decimali , arrotondò i numeri a soli 3 numeri decimali. Riavviò il programma e dopo un po’ di calcoli, la figura relativa cominciò a deviare in modo imprevedibile rispetto a quella originale e che aveva già precedentemente ottenuto! Non aveva alcun senso. Per uno sperimentatore poi, le imprecisioni sulle misure, se opportunamente elaborate, non devono e non possono alterare le leggi scientifiche: le imprecisioni, di solito, si compensano statisticamente tra loro. Da dove proveniva allora quell’evidente devianza tra le due serie di numeri? E non solo. Sappiamo che l’evoluzione di un fenomeno viene deciso dalle condizioni iniziali; se basta una piccola variazione di esse per provocare comportamenti imprevedibili, l’unicità delle soluzioni e la prevedibilità evolutiva del sistema vanno in crisi. Con buona pace di Laplace & C. Riprendo allora l’esempio dell’amico capostazione. Se ricordate, il treno impiego 18 secondi per raggiungere la condizione di moto costante. Tutto il calcolo seguente si basò su questo dato: se fosse stato di 18.002 secondi, non sarebbe cambiato molto … già, ma se invece di 12 km, avessimo dovuto affrontare un tragitto di 12000. 00 km, la cosa non sarebbe stata così semplice. Sembra poca cosa perché l’esempio è molto semplice. Se però si applica la questione delle condizioni iniziali a equazioni anche solo un po’ più complesse, le devianze appaiono con aspetti imprevedibili e molto interessanti: ed è così che nasce il concetto matematico di caos. Se il lettore vuole approfondire (e prima o poi lo dovrà fare) rimando alla lettura di testi molto esaustivi e specifici: troverà che il caos, più che un truce personaggio distruttore di qualsiasi ordine, è un burlone che si diverte a formare evoluzioni elegantissime e con geometrie impensabili. Non sempre però, ed è per questo, probabilmente, che il caos non va d’accordo con i soliti scienziati (L. & C.) che pretendono d’avere sempre e tutto sotto controllo. 8 faccio riferimento al solito Vulpiani , Gleick ed a F. Capra. Ora però siamo pronti per l’effetto farfalla. Se una piccola variazione iniziale produce effetti imprevedibili e che la scienza non riesce (almeno per ora) a “controllare” allora, quale potrebbe essere l’effetto scatenante, ad esempio di un uragano? Questo impercettibile, ipotetico, paradossale battito d’ali non ha alcun senso statistico. Per una parte però può servire per amplificare, quasi fosse un effetto speciale, il concetto d’imprevedibilità a medio e a lungo termine dei fenomeni metereologici (ricordiamo che Lorenz era un metereologo) e dall’altra per ripetere che il meccanismo scatenate un uragano non è una sorta d’interruttore deterministico e allora perché non immaginare: il battito d’ali di una farfalla?9. Ciò è paradossale: è evidente, ma la ragione che sta alla base, come abbiamo visto, è nel problema delle condizioni iniziali. Ma i paradossi, come le imbecillità, si propagano molto più velocemente della ragione e della relativa spiegazione: quando ti chiedono: “Ma cos’è questa storia del caos? E’ proprio vero che basta un battito d’ali di una farfalla in Messico per scatenare un l’uragano a Chicago?” “Ma no! Non c’entra la questione della farfalla, è solo un modo di dire, è solo matematica. La questione è un’altra …” A questo punto però, l’interlocutore, di solito, già non ti ascolta più. Spero che ora, almeno tra noi, l’effetto farfalla abbia il suo opportuno contorno logico_informativo. 9 Ho sintetizzato quanto riportato dal già citato Vulpiani e da F. Capra (da controllare) 3. Le reti Dalla penombra sbucarono due occhi spalancati e pieni di dubbi. Intento com’ero nella stesura dell’effetto farfalla, mi ero dimenticato dei miei conterranei talpoidi. “ Non so nemmeno come ti chiami!” parlò a bassa voce Osvaldo. “Bruno” risposi mentre conducevo il PC alla sua chiusura. “Io sono Osvaldo: abbiamo un problema e dobbiamo esserci tutti … è meglio che tu venga”. Riposi con calma e cura il PC: dovevo anche capire se c’erano dei pericoli in vista, ma non avevo poi molte scelte. Ci recammo tentoni dal resto del gruppo, guidati dall’unica luce che illuminava la parte lontana del garage. Quando giunsi da loro, vidi il lavoro che avevano realizzato: erano riusciti ad aprire sia la porta blindata delle scale sia quella dell’ascensore. Il problema era molto evidente: l’ascensore era bloccato a metà piano; era parzialmente smontato ma era ancora un evidente ostacolo insormontabile. La porta delle scale era scardinata e apparentemente libera ma i ferri rudimentali e abbandonati sule scale rivelavano l’inutilità di quella via: lo sconforto regnava nei loro volti. Quel blackout era stato devastante. In ogni caso la situazione era chiara: uscire utilizzando quelle due vie, non era più possibile. “Lei aveva parlato di una falda, se non sbaglio!” Era il capo manager, ora il tono era molto più soffice ma conteneva sempre quella fastidiosa nota d’irritazione. Presi fiato e risposi, ma ora miravo agli occhi degli altri presenti. “Se ho capito la situazione, non ci resta altro che trovare il modo di risalire dalla torre interna alle rampe, lì ho fatto un buco ed è da lì che ho scoperto la presenza di acqua a qualche metro più in basso … il muro, per fortuna, non è molto spesso e realizzare il foro non è stato un gran problema”. Una luce brillò negli occhi dei presenti. Come un sol uomo (!) ci dirigemmo nella mia postazione: quello che sembrava il più pratico infilò la testa nel buco e, aiutandosi con una specie di torcia analizzò il problema. Quando rientrò aveva il volto più sereno:”C’è luce lassù; non sarà facile ma con un po’ di fortuna possiamo farcela. In ogni caso, l’acqua qui sotto è a circa 5 metri; se c’era qualcuno lì sotto ora … “ Il silenzio accolse e assorbì le sue ultime parole. “Ehm … ho contato già 4 giorni: se non ci sbrighiamo faremo tutti una brutta fine. Ok, le chiedo scusa ma sa …” Il capo manager era tornato al suo fastidioso tono dirigenziale. Attesi un lungo secondo. Presi con calma le mie poche cose e mi allontanai. I talpoidi si fecero lentamente da parte, incrociai l’espressione di Osvaldo. Senza farsi notare, mi strizzò l’occhio: sembrava il battito d’ali di una farfalla, o era suggestione? Ma torniamo a noi. Partiamo allora dalle reti fig. 1 fig. 2 La fig. 1 è un insieme di n = 20 punti mentre nella fig. 2 gli stessi punti (o nodi) sono connessi tra loro con n(n-1) linee ovvero vi è rappresentata una rete o, più semplicemente, usando un simbolo arbitrario ma sintetico, una R(n): in questo caso una R(20). Possiamo ora costruirci una funzione Generatrice della rete che, senza troppa fantasia, rappresentiamo con il simbolo G (x1, x2, …, xn, t). E’ evidente che i valori x1, x2, …, xn fanno riferimento ai nodi ed il tempo t individua lo stato della rete in un dato istante di tempo. Alla G(…) possiamo poi associare, sempre in modo arbitrario, un numero, ad esempio N = 20 (20-1)/2 =190, dove N rappresenta il numero delle linee tracciate per unire tra loro i nodi, oppure, alla G(…) possiamo associare il grafico o i grafici proposti, ovvero, possiamo unire grafici e numeri N e/o con tutte le possibili informazioni relative alla rete stessa. Sono poi intervenuto, sulla rete appena formata, con una sorta di funzione interna, e ho ottenuto questo risultato grafico: fig 3 fig 4 Nella figura 3 ho operato quindi una variazione nel tempo (da t a t+1) ovvero, in generale: G(x1, x2,…, xn, t) ≠ G(x1, x2,…, xn, t+1) relativamente alle linee. Infine, nella fig. 4 ho solo modificato solo la disposizione degli n punti. In definitiva, quindi, si può sintetizzare il percorso fatto in questo modo: Gspaziale(x1, x2,…, xn, t) ≠ Gspaziale(x1, x2,…, xn, t+1) mentre nell’aspetto strutturale (regola di formazione dei legami) vale Gstrutturale(x1, x2,…, xn, t) = Gstrutturale(x1, x2,…, xn, t+1) Infatti, qual è la caratteristica della rete che si può dedurre dall’analisi delle due ultime figure e che hanno la stessa G_strutturale? E’ evidente che ci sono 17 dei 20 nodi che si connettono solo con altri 3 ovvero, nel passaggio (temporale) tra la fig. 2 e le fig. 3 o 4 avremo che 17 nodi hanno subito una variazione negativa del numero di linee mentre per i restanti 3 nodi non c’è stata alcuna variazione. In questo modo, le variabili x1, x2, …, xn non hanno alcuna relazione con la disposizione spaziale dei nodi. Per dare anche un senso numerico a quanto detto, calcolo il numero N associata alla nuova G(….) Gstrutturale(x1, x2,…, xn, t) = Gstrutturale(x1, x2,…, xn, t+1) = 20٠ (20-1) - (19-3) ·17 10 per capire poi cosa è accaduto in ciascun nodo, possiamo allora introdurre una funzione , che farà riferimento alla Gstrutturale(x1, x2,…, xn, t) e che prendo in prestito dai paragrafi precedenti ovvero: che è però subito operativa: se ∆t=1=( t+1) - t, allora per 17 dei 20 nodi la diminuzione evidente delle linee mentre per i tre nodi restanti, la = 3-19= -1611 o più semplicemente si ha una =0 (nessuna variazione sul numero di linee di connessione). Se i numeri non sono esaustivi per la comprensione, possono bastare allora i 4 grafi appena introdotti; quanto ho appena esposto è da considerare come una possibile modalità per rendere operativa una rete. Se il lettore ha uno stomaco abituato a digerire un po’ di formalismo matematico, può leggere queste poche righe altrimenti ci ritroviamo tra circa 20 righe. Rete in modalità struttura: -1) Si consideri un insieme di punti n (n N) disposti in uno spazio non necessariamente reale (se è cartesiano o euclideo, può andar bene). -2) Associamo poi ai n punti l’insieme delle (n-1) linee o connessioni tra tutti gli n punti. Definiamo allora l’insieme con le proprietà 1 e 2 come una rete R(n) (In questo caso, l’aspetto spaziale della rete non è determinante). Con un semplice calcolo induttivo, si può determinare il numero di linee N(n) che caratterizzano la R(n): 10 11 lascio i numeri per evidenziare il ragionamento operato. Tralascio il pedice i alla F lasciando però sottinteso, quando serve, la sua presenza (6) La (5) contiene in sé le condizioni per avere una rete: ovvero Associamo ora alla R(n) una funzione , ) (7) che determina il valore (numero/i ) caratterizzante la rete e che misura la connessione di ogni singolo nodo con gli altri n-1 nodi. In prima analisi il numero può semplicemente misurare quante sono le connessioni tra i nodi, ma è solo il caso più semplice12. Allora, se la (7) varia nel tempo, significa che in almeno un nodo, il numero associato alle connessioni, è cambiato nel tempo ovvero: Nota: la funzione F(…) si correla con la G(…), allora la (8) descrive lo stato di ciascun nodo nella sua variazione nel tempo (quindi una sorta di derivata relativa allo stato di ciascun nodo). E’ evidente che la (8) è formalmente identica alla più famosa (2a) ma la (8) se correlata alla (7) è qui più operativa. La (7) descrive, infatti, tutta la rete mentre nel termine xi si concentra lo stato del singolo nodo. In altri termini, la variabile xi si estrae dalla G(…) e produce, in questo esempio di rete, il valore numerico associato al nodo. Infine, Assumiamo la (6) come una prima definizione di caos ovvero: Caos è una rete di tipo R(n) ovvero un numero > 1 (6a) E’ evidente che con questo esempio, ho cercato di adattare quello che è stato il mio percorso sul caos, almeno sul piano formale, a quello descritto dai testi che si occupano di caos e che ho cercato di introdurre nei primi due paragrafi. 12 in alcuni miei programmi ho introdotto 3 livelli di tipologie del legame tra i nodi Il vantaggio di quest’approccio consiste nel fatto che il caos è qui già operativo: per capire, infatti, la caratteristica della rete ho eliminato l’aspetto spaziale (ordinato) della rete, l’introduzione di due (o più) rappresentazioni della rete contiene in sé la modalità per capire le caratteristiche specifiche della rete stessa. E’ meglio però anche precisare che una rete può caratterizzarsi anche solo per la sua disposizione spaziale (cartesiana o delle fasi che sia); ma per ora mi concentro solo sulla struttura della rete di tipo relazionale tra i nodi. Infatti, ponendo i nodi sul piano in modo casuale (o caotico) si ottengono conoscenze imprevedibili. In seconda battuta, è evidente che lo stato della rete, anche se può ricondursi a un numero, ha una sua descrizione complessiva che, anche se può essere trasformata in modo più analitico in una serie di numeri, non può prescindere dalla sua rappresentazione “visiva” o grafica che sia. 4. Hub e il grande fratello Dov’è finito il cielo? Saranno ormai 5 giorni che siamo qui sottoterra e il cielo, l’aria e i miei volti e luoghi familiari si fanno sempre più sentire; è una grande nostalgia che a stento riesco a contenere. Chiudo il PC e vada dai miei soci di underground. Incontro il primo e mi accoglie con un timido sorriso. Dopo un po’, dopo che anche gli altri si accorgono della mia presenza, si apre un piccolo varco ed io posso recarmi sul foro cha avevo inizialmente realizzato ma che ora era diventato un apertura di circa 2x3 metri . Mi affaccio e vedo una rete di nastri (le cinture di sicurezza delle auto) che s’inerpicano lungo la parete cilindrica. Due tipi stanno lavorando con ingegnosi martelli e scalpelli … “Devo dire che è un proprio un bel lavoro!”. Dissi con gusto. Mi resi conto che, in qualche modo, ora ero stato accettato dal gruppo. Il concetto di rete mi turbinava ancora nella testa e me la vidi lì bella e pronta da analizzare. “Posso contribuire a questo lavoro ?” Osvaldo rispose con tono sicuro. “Per ora non ce ne bisogno; però se ogni tanto vieni a trovarci, ci faresti un gran piacere!” Eravamo una rete (deviazione professionale): una rete con tre o forse quattro hub. Prima c’era un solo hub (il capo manager) e un nodo disconnesso (cioè io), ora era tutto cambiato. Potevo anche togliermi da quella rete; ma era incredibile vedere come la rete si era formata e come i ruoli si fossero trasformati. Mentre riflettevo, osservavo i miei compagni di rete: era evidente che se volevo … no! Se c’era un’occasione per tutti noi di uscire da quel blocco di cemento e acqua consisteva nell’accettare quella rete e il ruolo che ciascuno aveva assunto. Dovevo in pratica stare al gioco e ignorare ciò che avevo, in qualche modo, contribuito a formare. Agii d’istinto; presi dal mio zainetto due confezioni di succhi e li diedi a Osvaldo: “E’ per voi che sicuramente consumerete molte più calorie di me”. Mi sentivo un po’ ipocrita e un po’ calcolatore ma notai anche gli impercettibili gesti di consenso. Ritornai quindi al mio lavoro. Prima però decisi di concedermi qualche ora di riposo. Avevo ancora voglia di cielo e mi concentrai sull’esempio di rete. L’Italia e la sua rete di aeroporti. Nonostante il tempo trascorso (10 o 15 anni?), avevo ancora nella memoria la vicenda degli aeroporti italiani dei primi anni del 2000: ora l’analizzerò con la logica delle reti. Resterò comunque nel modello astratto relativo alle reti di fig 1, 2, 3, 4. I 20 nodi sono allora le 20 città sedi di aeroporti: la disposizione geografica di queste città o nodi è poco significativa13 per cui, almeno in teoria, la rete di fig. 2 (190 linee) è la più semplice immaginabile. La realtà aeroportuale però non vi corrisponde: allora considero la rete di fig. 3 o 4. Tre nodi di concentrazione del traffico aereo (cioè gli hub) rispetto agli altri 17, danno il senso della rete reale degli aeroporti italiani. Considero un esempio esplicativo. Se da Cagliari voglio collegarmi con un aereo con Torino, e devo avere l’aereo il più carico di persone possibili, la tratta sarà Cagliari-Roma-Torino, oppure Cagliari-Milano-Torino oppure Cagliari-Bologna-Torino; la tratta Cagliari-Torino sarebbe semplicemente anti economica. Ecco come si formano (in maniera praticamente autonoma) gli hub ovvero Roma, Milano, Bologna14: in pratica le reti di fig. 3 o 4. Evidentemente, il discorso vale anche per tutti gli altri nodi; in sostanza, non ha riscontro (economico) collegare tra loro i 17 nodi e così si caratterizza la rete. Diamo ora un significato alla (8) 13 le difficoltà tipiche per le comunicazioni (montagne, fiumi ecc.) con gli aerei perdono di senso Non conoscendo nei particolari il mondo del traffico aereo, il modello proposto e i ragionamenti che proporrò sono solo di pura immaginazione ma la logica che sta alla base dell’esempio è fondamentale. 14 e vediamo di capire cosa sia la funzione dove la variabile xj indica, evidentemente, il numero di voli uscenti dall’ j_esimo nodo (es. Cagliari). Poniamola allora in due situazioni semplici ovvero: → ∆xi =0 → xt+1 - xt =0 → xt+1 = xt → nel nodo i_esimo non avvengono variazioni di traffico aereo. → ∆xi ≠0 → xt+1 - xt ≠0 → xt+1 ≠ xt → nel nodo i_esimo sono avvenute delle variazioni di traffico aereo. Ora sarebbe troppo semplice pensare di costruire una modalità per la formazione della problemi. In verità esistono numerose situazioni in cui poter lavorare sulla in altri casi: ma qui iniziano i veri ma qui la matematica associata non può essere sempre così semplice. Proseguendo, infatti, con l’analisi dell’esempio proposto, cerco ora d’avventurandomi in una mia arbitraria ricostruzione storico_scientifica. L’hub di Milano era, ed è, anomalo. Questo hub è composto, infatti, da ben 3 aeroporti: Linate, Malpensa e Orio al Serio che distano, in linea d’aria, tra loro non più di qualche decina di chilometri. In quel periodo però, di inizio 2000, il piccolo ma comodo aeroporto di Orio iniziò ad aumentare il suo traffico: ciò significa che, se calcolo nel suo nodo la (8), troverò: (nodo di Orio) e, contemporaneamente, la (8) calcolata dagli altri due nodi (Linate e Malpensa) saranno < 015. Questo fatto indebolì principalmente Malpensa (anche per interventi “politici” poco chiari) e l’hub milanese entrò in crisi e con lui un po’ tutta la rete. La storia degli eventi racconta poi il ridimensionamento subito dalla compagnia di bandiera (Alitalia) e le relative ripercussioni (buone e cattive) sulle altre compagnie e su tutti gli altri nodi della rete. Agli italiani “onesti “ non rimase che il solito trasferimento del danno economici conseguenti ai debiti accumulati dall’Alitalia, sulla propria fiscalità. 15 il numero dei viaggiatori si presume costante. Sarà una ricostruzione un po’ grossolana, ma il finale economico è poi quello che ho riassunto. Questo esempio però realizza una situazione che non è prevedibile e non potrebbe comunque essere prevista nella matematica “canonica”. Infatti, ogni qualvolta un nodo muta la (8), ne consegue che tutta la rete, viene a esserne condizionata: in pratica, le variabili xj non sono tra loro indipendenti quindi la F(…) esce dal canone di funzione classica. E non solo. Le motivazioni che alterano la (8) non sono necessariamente relative solo alle variabili interne xi, ma possono parteciparvi altri fattori quali: l’imbecillità umana relativa alla classe dirigente imprenditoriale e/o politica che imperversava in quel e questo periodo; la pretesa di ragionare “curando” solo il problema del nodo e non della rete; intervenire su un hub non ha lo stesso effetto rispetto allo stesso intervento su un nodo generico; l’intervento di crisi economiche e/o sociali locali, nazionali o internazionali imprevedibili; Non so se il lettore sarà d’accordo con la mia ricostruzione storica e le mie ultime osservazioni, in ogni caso, con le reti io riesco a decifrare gli avvenimenti complessi con relativa facilità. E questo, per me, ha senso. Purtroppo, per verificare la bontà della teoria delle reti, avevo realizzato, intorno a quegli anni, verifiche sulle reti su due esempi reali; ed erano esempi dove, in entrambi i casi, i nodi erano persone. Non è stata un’esperienza facile ed ha comportato qualche perplessità di tipo etico ed ho avuto, e tuttora ho ancora, molte remore a parlarne. La rete che realizzai era comunque molto più articolata e oggettiva rispetto all’esempio sugli aeroporti. I riscontri che però ho poi ottenuto furono estremamente precisi e nel contempo inquietanti tant’è che interruppi ogni altra reale o presunta applicazione delle reti. Qualche anno dopo, mi sorse un grande sospetto: le orribili trasmissioni che a quei tempi attraversarono, senza alcuna tutela culturale, il piccolo schermo tipo: “grande fratello” ,” l’isola dei famosi” e porcherie simili, si basano su procedure simili a quelle mie che avevo usato nelle mie reti? Non lo so. Temo però in una risposta positiva. Se sono stato comunque un po’ nebuloso, va tutto bene: è una scelta voluta. Potrei ora ampliare il discorso ma voglio chiudere con la questione che ho lasciato in sospeso qualche riga fa e relativa alla mia opinione sulla in relazione con la , ) ovvero la rete nella sua interezza e nella sua complessità. Ho cioè una sorta di atteggiamento indeterministico tipo quello di Heisemberg. Il nodo o la rete; non il nodo e la rete ovvero: Per analizzare e conoscere una rete non puoi entrarvi (essere cioè un nodo) ma starne fuori, mantenendosi invisibile (in tutti i sensi) a tutti i nodi(!). La rete, quindi non è un nodo anche se è fatta solo di nodi (il tutto e maggiore e minore della somma delle parti (E. Morin)). In pratica, l’osservato non deve essere consapevole d’essere osservato altrimenti il suo comportamento si altera e così si altererebbe tutta la rete. Intravedo qui anche i prodromi di una possibile applicazione del teorema di Gödel ma non è il caso di aprire un altro“fronte”logico. Ricordo comunque le mie perplessità e i miei dubbi e come ne venni fuori. Mentre riflettevo su tutto questo materiale e rimuginavo sulle mie reti, mi accorsi che avevo scavalcato senza troppe remore un fattore che avevo già dato per inutile e banale e che era nella fig.1. Quell’insieme di cerchietti disposti casualmente … ma che ora sarebbe meglio dire, in modo caotico, e che mi osservavano sornioni e con aria di sufficienza. In effetti, per poter estrarre le proprietà della rete, all’inizio avevo distrutto qualsiasi riferimento geometrico dei nodi. Avevo cioè distrutto la base del ragionamento stesso della matematica ovvero, la geometria. La domanda allora emerse chiara e semplice: “ … e se la base per capire i fenomeni complessi della rete fosse nel caos che avevo prodotto nel costruire il piano dei nodi?” 5. Il bivio Volendo fare il punto della situazione, se s’intende seguire il percorso standard sul caos, dobbiamo partire dall’equazione (8) e con tutta la matematica che la precede e che da lei prosegue. In questo modo il caos emerge come un elemento che, almeno in prima battuta, è una sorta di disturbatore imprevedibile dei sistemi meccanici risolvibili con le equazioni (come la (8)) e che hanno profonde radici nella fisica classica. Gli aspetti invece singolari, curiosi e imprevedibili associati al caos sono nati in seguito ed hanno poi formato un argomento matematicamente facilmente consultabile: frattali, mappe, sistemi dinamici, attrattori strani ecc. sono i termini che hanno poi arricchito la scienza di fine novecento. Ma il mio percorso sul caos qui, prende un’altra via. Manterrò, finché è possibile, un linguaggio comune (come per l’equazione (8)) ma il caos ora prenderà un altro percorso. Se si riprende la fig. 1 si vedono dei nodi di quella che sarà poi una rete e la peculiarità della loro rappresentazione è la loro assoluta casualità spaziale. Mi sono allora cimentato a produrre N nodi e un programma in grado di ottenere questa casualità. All’inizio non pensavo al caos, ma alla casualità in genere. In pratica era la ricerca su come produrre una distribuzione casuale con un programma informatico. Quest’aspetto era oggettivamente marginale rispetto allo studio delle reti, ma questa ricerca prese poi il sopravvento e mi indirizzò verso lo studio più approfondito del caos. Per completezza di ricostruzione, la questione che ho prima sollevato e relativa al possibile uso manipolatore delle reti nelle relazioni umane, contribuì al passaggio dalle reti vere e proprie allo studio della casualità e quindi del caos. Le reti rimasero, ma come un’applicazione e/o base del caos. Esiste ed esisteva però una questione fondamentale che però, e per fortuna, allora non mi posi più di tanto. Può un sistema basato sul più puro determinismo (un computer) produrre un sistema improntato sulla casualità? Se la mettiamo in chiave logica, la risposta è semplice: no. C’era però una convinzione che mi perseguitava, sin dai tempi universitari ed era la continuità dello spazio e del tempo. Per dirla in una battuta, non sono mai riuscito a tollerare che sia il tempo (reale) che lo spazio (reale) e qualsiasi altra quantità fisica misurabile potesse assumere il corrispettivo di un numero irrazionale e tantomeno che potesse assumere un valore infinito o infinitesimale. La fisica dei quanti assieme alla relatività poi non mi ha certo desistito da questa mia eresia: anche il mio collega, amico e ora complice G. Botti è su questa linea: “la materia è quantizzata, l’energia è quantizzata, la carica è quantizzata: è mai possibile che campi, potenziali e le equazioni risolventi siano sempre pensati in termini di continuità?”. Ritorniamo ora agli N nodi di partenza svincolati però dal concetto di rete … A proposito! Osvaldo mi venne a chiamare ed era molto emozionato: “Vieni, dobbiamo traslocare al piano sopra … siamo riusciti a raggiungerlo proprio ora!”. Chiusi il PC, raccolsi le mie quattro cose e lo seguì. I soci d’underground erano tutti lì in evidente attesa. Il capo manager mi fece un cenno e mi accompagnò all’apertura sulla parete della rampa. Una debole luce ora proveniva dall’alto ed era di sicuro e corroborante effetto sul nostro morale. “Ora siamo in grado di risalire: ci vorrà tempo ma abbiamo una possibilità … il suo contributo è stato …”. “Lasci perdere. E’ una questione già superata “ Ma il mio sguardo era già scivolato verso il basso: l’acqua di falda era a meno di un metro dall’attuale piano. “Non perdiamo tempo e spostiamoci alla svelta!” Dissi in modo repertorio. Sembravamo dei marines della seconda guerra che risalivano le sponde delle navi da sbarco... Eravamo sul piano sopra; erano passati già 6 giorni dal blackout e mancavano ancora una quindicina di metri all’uscita. Ci guardammo tutti in faccia: ora che la luce proveniente dalla cupola della rampa illuminava con più energia il nuovo locale, ci rendemmo conto del nostro stato. Una quindicina di barboni, vestiti di stracci sporchi, sudaticci e con occhi stralunati per il lungo digiuno di luce. L’unico aspetto positivo, per dirla come un militare, era: “Il morale è però molto alto”. “Comunque siamo una buona squadra!” proferì il capo manager. Non fu una grande frase e fu accolta nel silenzio totale. “… Converrà sondare questo livello. Potremmo trovare delle nuove risorse di cibo e magari qualche attrezzo più efficace!” Era Osvaldo che osava, forse per la prima volta nella sua vita, intervenire dopo il capo. Osvaldo si alzò seguito da tutti gli altri, tutti tranne il capo manager (il nome di battaglia che si era personalmente attribuito era Silver) e dai due suoi fedeli subordinati che mentalmente battezzai in julius e ‘mbert. La ricerca fu proficua: scassinammo senza alcun ritegno le macchine presenti sul piano, ma c’era poca roba. Per fortuna incappammo in una grossa auto familiare; il bagagliaio ci emozionò non poco. I proprietari erano probabilmente reduci dalla solita spesa settimanale al supermercato e lì c’era un po’ di tutto: una vera fortuna! Commuoversi per due lattine di birra in 15! Ci mettemmo a tutti ridere senza ritegno: eravamo ancora vivi. Ho appena finito il mio turno: bucare il cemento appesi a cinghie di fortuna avendo per martello e scalpello il crick e la chiave a L degli svita_bulloni non è per nulla facile. Ora ho qualche ora di riposo ma prima voglio finire il paragrafo. Tornai mentalmente al 2005. A quel tempo, ricordo, mi posi come obiettivo concreto la produzione via informatica di un piano_caos: ovvero un insieme di punti discreti disposti sullo schermo del computer e che avesse le stesse opportunità pratiche di uno spazio continuo. Utilizzai i comandi in dotazione del linguaggio di programmazione che stavo usando e dopo molti tentativi ottenni un risultato soddisfacente. Ero tranquillo, nella mente avevo Boltzman, e il concetto di entropia come elemento di misura del disordine: l’equilibrio era nell’entropia massima dove ogni stato (disordinato, o meglio, caotico) del gas è in sé equivalente. Dovevo in pratica simulare un gas di N molecole, ovvero di N nodi ovvero di N punti di un piano con le stesse peculiarità di un piano cartesiano. Osai prima con 100 punti poi 1000, 10000, 50000 sono poi giunto a 200000 punti: il computer arrancava leggermente ma reggeva. Lo strumento di lavoro che ho usato e uso tuttora, era la semplice random in dotazione del linguaggio di programmazione; e se anche sappiamo che le RND informatiche non sono vere e proprie random il risultato era per me, accettabile. Domanda: come misurare la bontà matematica del piano_caos così realizzato? Usai la geometria e il suo fascino auto referente. La risposta è allora nella figura che segue: fig. 5 In rosso abbiamo la parabola ottenuta in modalità caos; i puntini bianchi sono i punti del piano caos; in verde è una parabola solo in modalità caos. Occorre però osservare con più attenzione la parte rossa: essa è la parabola in modalità caos che contiene il tratto di parabola in continuo o cartesiano (tratto nero). Non intendo commentare ulteriormente la figura proposta: a mio avviso ritenni che il mio piano_caos non avesse nulla da invidiare con il piano euclideo o cartesiano o, se vogliamo, il piano cartesiano poteva anche coincidere con il piano discreto portando “all’infinito” il numero di punti del piano caos ... ma non avevo alcuna intenzione di trovare un qualche accordo con lo spazio euclideo! Ultima nota: se si osserva il menù, si può capire che il programma realizzato produceva rette e altre curve in modalità caos. Prendiamo allora la parte rossa. Ho realizzato la parabola utilizzando la sua antica definizione: “luogo dei punti equidistante da un punto (fuoco) e una retta (direttrice)” e l’ho confrontata con la definizione analitica_cartesiana y = x2. Il ritorno alle origini della geometria di Apollonio aveva un non so che di magico: in definitiva la modalità che produceva la parte rossa del grafico era di una semplicità disarmante. Si tratta, infatti, di un ciclo che colorava di rosso i punti del piano_caos che ubbidivano alla definizione di parabola e regolati da una condizione di controllo (l’omeo). Se la condizione di controllo fosse stata più elastica (un omeo maggiore), i punti rossi aumentavano di densità; se più rigida, la densità diminuiva. Il piano_caos aveva, a mio avviso, superato la prova geometrica e matematica, quindi era ok. Dato che si tratta di matematica e geometria in un piano discreto, è opportuno spiegare come si può operare in una situazione simile: farò un esempio che parte dalla seguente figura: fig. 5 I due punti rossi, che indicherò con A e B, sono due punti, scelti a caso, del piano_caos; la striscia blu rappresenta l’asse (!!) di AB in modalità piano_caos. La domanda, alla quale occorre qui rispondere, è logicamente pressante: cosa c’entra il “bivio logico” che ho preannunciato, con l’asse di un segmento che sembra più una clessidra che una retta? (Se non è la stessa domanda che il lettore ha in mente, poco importa, io intendo comunque rispondere). Il bivio. La fisica ha provato a spiegare la natura e, quando vi è riuscita, ha realizzato poi scoperte incredibili tanto da trascinare quasi tuta l’evoluzione sociale e culturale di cui godiamo (e soffriamo). Il successo del pensiero scientifico è stato di tale portata tanto da produrre un movimento detto “fisicalismo”; un movimento cioè che tende all’applicazione della metodologia, tipica della scienza, anche alle altre discipline non prettamente scientifiche (sociologia, economia e quant’altro). In ogni caso, tutto ciò, ma è una pura opinione, non può funzionare: il caos è implacabile … ma non è questo il motivo principale che è alla base del bivio al quale faccio riferimento. Il mio percorso culturale era iniziato già da questi due blocchi di partenza: 1) L’ambito dei fenomeni naturali parte dal caos generativo 2) La fisica, per evolversi, deve ispirarsi alla natura (riferimento: Edgar Morin16) (riferimento: Leonardo da Vinci17) Per il primo punto faccio riferimento, o meglio, traggo ispirazione anche da Boltzman e Prigogine e qualcosa si è già visto: il piano caos è sostanzialmente un gas nel suo stato di massimo disordine e gli stati possibili (sempre diversi nel tempo), sono però tutti tra loro equivalenti18. Già, ma il gas è un insieme discreto di “punti”. Inoltre, i problemi che affrontiamo, riguardano lo stato dei sistemi che non sono necessariamente in uno stato di minima energia, ma spesso, sono lontani dal punto di equilibrio (o, appunto, di minima energia). Il secondo punto non è facile da esplicare; ho già fatto riferimento a Leonardo da Vinci e sarebbe interessante raffrontarlo con Galileo, ma sarebbe un’ operazione che non sono in grado di sviscerare in modo esaustivo: è per me come una questione di “pelle”. Trovo, infatti, in Leonardo un atteggiamento a me più vicino, più ispiratore, più coinvolgente e completo. Qualcosa di più umano, insomma! Sia chiaro, non li metterò mai tra loro in contrapposizione, cerco solo di integrarli in una visione unitaria. 16 dal libro di E. Morin “La natura della natura” F. Capra: “La scienza universale”. Tralascio volutamente i movimenti filosofici che si ispirano alla natura per evidenti motivi di estensione spazio temporale 18 nel caso della parabola appena trattato, se cambio disposizione degli N punti la parabola, come luogo geometrico, non cambia nella sua peculiarità: in pratica, tutti i piani_caos sono tra loro equivalenti. 17 Quello che poi scoprii chiamarsi caos, con assieme tutta la sua interessantissima matematica, è stato solo un inevitabile incontro tra natura e matematica. Ritorniamo però, all’asse del segmento in un piano_caos. I punti del piano_caos sono virtualmente nodi di una rete: l’asse del segmento AB è allora una delle possibili reti che si possono estrarre dalla rete più generale R(n) (dove n è il numero di punti del piano_caos). L’asse di AB lo definiamo in questo modo: asse (AB) = , ) (9) ed è importante far notare che nel secondo membro, a differenza della già nota (7)19, non appare la variabile temporale t: questo sta semplicemente ad indicare che, in questo caso, il piano caos che ho individuato non cambia nel tempo. Per formare quindi (e finalmente …) il sottoinsieme del piano_caos e cioè , basta innescare, magari per via informatica, un semplice ciclo selettivo con l’aggiunta di un parametro particolare: -1) Condizioni iniziali: A, B, omeo → 2) considero generico P piano_caos → 3) calcolo PA e PB → 4)condizione per l’asse ( |PA –PB| < omeo)20 se 4) è verificato allora P asse e P diventa blu → ritorno a 1) se 4) Non è verificato → ritorno a 1) il ciclo si ferma quando tutti i punti del piano caos sono stati “consultati”. nota: omeo indica il valore di “omeostasi21 “ ovvero il valore (in questo caso stabilito nelle condizioni iniziali) che rende possibile sia la soluzione del punto 4) che la dimensione (k) della , )22 19 ho anche cambiato l’indice n con k per non confondere i nodi k di G con l’insieme n dei nodi di R nella geometria euclidea PA = PB ovvero PA-PB=0 21 in questo contesto l’omeostasi (termine tipico della biologia) indica la capacità del programma di fornire sempre (o quasi) una soluzione 22 In sostanza, GAB è un sottoinsieme del piano_caos 20 E’ evidente che questa procedura si può realizzare se, e solo se, i punti del piano_caos sono in numero finito (cioè non infinito). Con procedure simili ho selezionato tutti i luoghi geometrici che appaiono nel menù. Sorge però urgente una domanda: esiste una specifica modalità per produrre un piano_caos? Non esiste una risposta univoca. Potremmo far cader dei chicchi di riso sullo schermo del PC e poi trasformarli in punti del piano_caos, ovvero scannerizzare le gocce d’acqua su una superficie opportuna … io ho usato, come già detto, con qualche “aggiustamento” e molte ore di prove, la random del PC: alla fine, è la verifica applicativa a stabilire se il modello funziona. In seguito, incontrai un’altra modalità per ottenere un possibile piano_caos: faccio riferimento a Prigogine e alla trasformazione del fornaio. In questo caso il caos assume una sua connotazione canonica e che ora riporto, per completezza, ma in estrema sintesi. La trasformazione del fornaio è una particolare trasformazione geometrica e condensa in essa una delle essenze del caos. Per una trattazione completa consiglio la consultazione di libri specifici: per comprenderla in poche parole riferisco il tutto a un problema pratico. Ho davanti un impasto di farina e acqua e ho il problema di distribuire nell’impasto e nella maniera più omogenea possibile, un pugno di uva passa: quale modalità di impasto può garantire la migliore distribuzione dell’uvetta dentro l’impasto stesso? Mi rendo conto che il lettore che non conosce il mondo della scienza proverà un certo disagio: uvetta e farina! Sono problemi o prese in giro? La risposta è semplice: la società paga i ricercatori per risolvere problemi a volte apparentemente con poco senso pratico … una volta però risolti diventano, quasi per magia, applicazioni tecnologiche (ovvero brevetti) che producono molto denaro (ma non per gli scienziati, è evidente). In effetti, il problema dell’uvetta può essere alla base di un miscelatore che renda possibile la distribuzione di un componente in un fluido più o meno denso nel modo più uniforme possibile e, naturalmente, in poco tempo: come al solito, tempo è denaro ecc ... pensiamo al futuro! Fra poco avremo sul mercato l’elettrodomestico che tutti dovranno regalarsi: il frullatore caotico! (120 euro + iva). Torniamo ora, alla matematica. La trasformazione del fornaio prende spunto dalla nostra amica equazione (8). Un punto (x, y) si trova dentro un quadrato; prima si dimezza la sua ordinata y e si passa al punto (x, y/2) poi si raddoppia la x e si passa al punto (2x, y/2) infine, i punti così ottenuti che hanno la 2x superiore al lato del quadrato iniziale si simmetrizzano rispetto alla diagonale e ritornano dentro il quadrato iniziale. Il ciclo poi ricomincia daccapo. Se non è così chiaro, prendete un blocco di pasta di pane, mettete l’uvetta e iniziate l’impasto: stendete la pasta la ruotate di 90° e la riragruppate e così via, alla fine (dopo una ventina di cicli) l’uvetta sarà ben distribuita. Vediamo le sequenze che ho realizzato con un programma informatico: fig.6 uvetta inserita (striscia rossa) fig 7 fig 8 fig. 9 uvetta distribuita caoticamente nell’impasto. nella fig. 6 l’uvetta è inserita; in fig. 7 sono passati 3 cicli; in fig. 8 sono passati 6 cicli; nella fig. 9 i cicli sono 12: ecco il piano_caos ottenuto per via canonica: punti ravvicinati che ricalcolandosi in N cicli (tipo effetto farfalla) si allontanano progressivamente. La differenza della trasformazione del fornaio con l’effetto farfalla consiste nel fatto che i punti non possono uscire dal quadrato quindi “sono obbligati” a disperdersi in tutto il quadrato stesso. Potremmo ora tornare alla rete; dovremo (ma non ci conviene) cioè unire tra loro i punti secondo una modalità che si caratterizza dalla funzione già introdotta: , ) (7) che, in questo caso coincide, se non si considera la variabile t, con la rete R(k)23. Per avere ora una “classica” rete, basterebbe quindi unire tra loro i punti (nodi), ma non è il nostro obiettivo: la cosa importante da sottolineare è invece un’altra. Le varie xi cambiano (posizione) tra un ciclo e l’altro mediante la procedura di compressione e dilatazione che caratterizza la trasformazione del fornaio quindi si può facilmente costruire la funzione ovvero: ∆xi = dove ∆t indica, di fatto, con il passaggio da una posizione spaziale alla successiva e ∆xi rappresenta la trasformazione della posizione del punto (uvetta) nel piano (pasta). Una curiosità sulle reti. Esiste un’interessante proprietà associata alle reti di tipo relazionale: una proprietà nota come “6 gradi”. Consideriamo, ad esempio, la rete formata da tutti gli uomini che hanno vissuto e che vivono tutt’oggi sulla terra. E’ possibile allora collegare 2 persone prese a caso da questa rete e collegarli con solo 6 passaggi. “6 gradi” era il titolo di una trasmissione della radio (quando ancora si poteva ascoltarla). L’idea era quella della rete ovvero, si dimostrava che era sempre possibile, attraverso sei brani musicali scelti con logica relazionale, collegare due qualsiasi musicisti passati e presenti, Mozart e Bruce Springsteen. Finalmente il bivio spuntò, come tutti i bivi, improvviso: muoversi dentro una rete! Ecco l’idea che emerse improvvisa e che mi fece pensare alla rete e al caos. Muoversi dentro una rete unendo due nodi qualsiasi della rete stessa! Ora i due nodi li chiamo punti, la rete di N nodi diventa il piano_caos e la modalità del percorso può ricondursi con una nuova modalità nella (7) ovvero: , ) = percorso in un piano caos Se nel piano euclideo (e quindi cartesiano), esiste il concetto di segmento, allora posso trovare un concetto simile dentro una rete ovvero un piano di punti discreti disposti in modo caotico. Riassumendo: 23 in qualche modo si può ricondurre all’esempio della prima rete introdotta qualche pagina fa. punto del piano ↔ nodo della rete segmento ↔ , ) 24 Allora l’asse del segmento AB, appena visto, si può rappresentare mediante un percorso (e non unico) tra i punti blu (di quella specie di clessidra) partendo da due generici punti “opposti” rispetto al segmento stesso AB. Mi rendo conto che il lettore si sentirà un po’ smarrito. No problem. Nel prossimo paragrafo tutto diventerà più chiaro(!): d’altra parte, ho convissuto con queste idee bislacche per mesi e non mi è successo nulla (almeno credo). Il vantaggio che poi avevo, e che ora non ho più, è nel fatto che tutto questo viveva solo nel mio cervello e in quello del mio PC: ogni tanto ne parlavo con qualche amico e/o con i miei familiari ma tutto finiva in lunghi e perplessi silenzi. ! In ogni caso, ogni giorno, per guadagnarmi da vivere, insegnavo (sempre più malvolentieri) derivate e integrali: il regno del mondo continuo continuava a darmi lavoro perpetuando la sofferenza delle passate e attuali generazioni di studenti (ma ora c’era in più anche la mia d’insofferenza …). 6. La scarica elettrica Per una serie di combinazioni non prevedibili, mi ritrovai a operare con l’antica e magica macchina di Wimshurst. Da anni il laboratorio di fisica della scuola dove insegnavo … giaceva: quell’anno era però cambiato il dirigente: Io e il collega, Prof. Botti, ci trovammo, dopo anni di esilio scientifico più o meno dichiarato, di fronte al riordino e al recupero dell’aspetto scientifico della scuola dove si operava. “Professore, qui occorre dare una scossa al laboratorio di fisica!”. Mi disse il nuovo preside il primo giorno di settembre. Io e il collega Botti decidemmo di tentare una soluzione. 24 solo per gli amanti della matematica: in un piano caos non esiste allora un unico segmento decisamente accattivante. , ) che unisce due punti (!)… e la cosa è Era una bella prova: da dove cominciare? Proposi di “unire più competenze” … ma è meglio confessare tutto: cercai di realizzare, in modo più o meno consapevole, una rete di tipo relazionale, un modo vero e reale per verificare la teoria che avevo studiato. I nodi erano: tecnici (anche quelli che avevo già conosciuto in altre scuole), colleghi, studenti, preside ed ex colleghi. Acquistammo una serie di esperimenti e una macchina che avevo sempre chiesto, e mai ottenuto. Era la mitica e “antica” macchina di Wimshurst (1883)25. Essa produceva (in particolari situazioni) una bella e rumorosa scarica elettrica. Ero affascinato da quelle scariche potenti e (altra confessione) anche un po’ dolorose. Si potevano realizzare molti esperimenti associati alla scarica elettrica, tra questi ve n’era uno che innescò un’idea nel mio cervello. Fig. 10 In fig. 10 ho disegnato una basetta (una piastra di materiale isolante) dove sono stati impressi (fotoincisione) dei piccoli rettangoli in rame: i due cerchietti sono due fori dove si collocano i due elettrodi della macchina elettrostatica di Wimshurst. All’avvio della macchina, tra gli spazi vuoti dei piccoli rettangoli in rame, si potevano osservare piccole scariche che percorrevano tutto il tragitto: una sorta di scarica di corrente quasi continua. Ecco l’idea. Poniamo, al posto dei piccoli rettangoli, dei cerchietti in rame ma disposti casualmente (ovvero in modalità caotica): come si comporterà la scarica? Ne parlai con due colleghi (tra i quali quello che aveva realizzato la basetta in figura) e formulammo ognuno le proprie ipotesi. Io vedevo, in quelle ipotetiche basette, già un piano_caos e la modalità di produrre un segmento, o meglio, una serie di segmenti tipo , ) ma mi limitai a prevedere non un unico percorso della scarica (quello, giustamente, coincidente con la minor dispersione di energia e che sostenevano i due colleghi) ma diversi e imprevedibili percorsi. 25 tra qualche pagina si potrà vedere nella sua applicazione Era una situazione estremamente stimolante., Il collega m’invitò allora a stampare su lucido la basetta “caotica” (tipologia mai esistita nel gergo elettrico) per poi realizzarla in concreto: a quel punto sarebbe stata la macchina di Wimshurst a stabilire la verità. Tornai a casa e rispolverai un mio vecchio programma informatico che avevo realizzato per altre applicazioni (formazione di una crepa in un cristallo di granito …) e lo adattai alla bisogna. fig. 11 C’è il piano caos (i punti blu), i due punti da congiungere (cerchietti rossi) una retta euclidea (si intravede una segmento marroncino che unisce i due cerchietti) e la spezzata rossa che rappresenta il segmento AB (inizialmente era una crepa), in modalità caotica. La figura 11 rappresenta allora l’idea che mi ero posto: muoversi dentro una rete. Devo praticamente chiedere al lettore se sono riuscito a convincerlo che quella che “sembra” una linea spezzata rossa che si vede in figura è rappresenta invece una rete. Se la risposta è positiva, si può proseguire. Ora il gioco si farà molto pesante. Nella figura 11 si ha la rappresentazione della relazione AB ↔ , ) Esiste però, in questa relazione, anche la variabile t (tempo!): cosa vorrà mai dire? La risposta e tanto semplice quanto critica: il segmento AB cambia nel tempo! Allora non feci altro che modificare il piano_caos (che essendo un gas di Boltzman, ovvero gas in entropia massima che lo rende diverso ma equivalente in tutte le sue diverse conformazioni) per ottenere così quello che doveva accadere con la scarica elettrica. fig 12. Infatti, com’è noto, la scarica elettrica non segue (quasi mai) lo stesso percorso. Adattai la piastrina riducendo i punti e cambiando i punti in cerchietti belli pieni; stampai la basetta (evidentemente senza i percorsi) e consegnai il tutto al collega ingegnere. Ecco il prototipo: fig 12° A proposito d’ingegneri. Ora è il mio turno di lavoro e devo interrompere. … Sono tornato. Il lavoro procede ora con relativa efficienza: i due ingegneri che hanno preso in mano la gestione di quella sorta di cantiere, hanno previsto al massimo un paio di giorni … poi siamo fuori! 9, al massimo 10 giorni e vedremo il giorno: una bella notizia. Devo allora finire alla svelta questo lavoro. Non l’ho detto ai miei colleghi di rete, ma hanno cominciato a turbinare nella mia mente domande inquietanti (e probabilmente non sono l’unico a porsele). Ne basta una: dopo 10 giorni di blackout, che mondo troveremo là fuori? Quando si passò alla verifica sperimentale, come previsto, la scarica elettrica seguiva percorsi diversi e imprevedibili! Il modello teorico aveva retto alla verifica sperimentale. Nel mondo della scienza ciò significa che c’è della verità scientifica nei ragionamenti a sostegno del modello. Ecco comunque le scariche elettriche nella basetta caotica: fig. 12 In fig. 12 si vede una tra le numerose basette caotiche che ho realizzato e sottoposto a verifica. In questa basetta ho inserito delle zone senza rame (tre cerchi) per obbligare la scarica a “scegliersi” il percorso: nulla da fare26. La scarica elettrica, ogni tanto, prendeva percorsi diversi, imprevedibili e irripetibili, ovvero caotici. Facemmo vedere l’esperimento anche al preside. Dopo qualche giorno ci propose la partecipazione del nostro istituto27 a BG scienza: ricordo più o meno quel momento: “… e con che cosa andiamo a BG scienza?” Obiettammo io, Botti e Calamida (i colleghi allora coinvolti.) “ Con che cosa vuoi partecipare! … Con quelle diavolerie sul caos!” Rispose Beolchi (il preside) 26 27 dalla fig. 12a, se si osserva il menù (zona grigia) si possono intuire le opzioni relative alla formazione dei detti cerchi senza punti di piano_caos Turoldo di Zogno 7. La rete si allarga e si fa complessa Mi sono fermato a pensare a quel periodo: i volti, le battute, i piccoli e grandi problemi, i rocchetti che si rompevano fino al definitivo “Tesla” da 100.000 Volt; poi c’erano gli studenti: li vedevamo arrancare e poi, giorno dopo giorno, progredire su argomenti ostici ed inusuali. Probabilmente mi appisolai e dal dormiveglia, un po’ come l’antico poeta, piombai nel sonno. Al risveglio controllai il mio orologio: impiegai un po’ convincermi. Avevo dormito quasi 11 ore! Mi recai trafelato dai miei compagni di fossa, ma già la mancanza di rumori non dava buoni presagi. Nessuno! Il garage ora era vuoto e silenzioso. Accesi il PC e con la debole luce dello schermo cercai di indagare lo spazio attorno. M’infilai dentro la parete della rampa e tutto fu chiaro. Gli ultimi 10 metri, quelli che univano il secondo piano con il tetto in vetroresina della torre, erano già stati attrezzati, al tempo della costruzione del garage, con una rudimentale e quasi invisibile scala di ferri piegati a U (probabilmente servivano per la manutenzione del tetto). Voleva dire un guadagno di almeno due giorni su quello che avevamo preventivato! Dal vetroresina rotto da cui si intravedeva la via di “fuga” usata dagli ex talpoidi, scendeva ora una leggera pioggerellina: ero solo. Se ne erano andati così, senza un saluto! M’immaginai la frenesia alla scoperta della scala, il moltiplicarsi degli sforzi per raggiungerla e il ritorno repentino alla realtà, alla vecchia e squallida realtà. Guardai in basso: l’acqua era immobile e a circa 5 metri da me, probabilmente aveva raggiunto il livello zero. Qualcosa di voluminoso vi galleggiava immobile: non ci volle molto a distinguere la figura un po’ tozza e supina di Osvaldo. Caduto o gettato?Poco importa, restare lì stava diventando anche un po’ rischioso. Uscire ora o attendere e capire cosa fare? Cominciava a imbrunire: tornai senza fretta al mio solito rifugio. Mangiai qualcosa e cominciai a riflettere: quel lungo riposo mi aveva fatto bene. Ora vedevo la mia situazione con più cinico realismo. Decisi di fare un sopraluogo più approfondito. M’infilai entro la rampa interna e iniziai la salita: Ci volle una decina di minuti. Quando sbucai dal tetto in vetro della torre, fu l’aria calda e ferrosa a ricordarmi che ero ancora vivo. Vivo? La città era tutta spenta e unta dal misto di polvere e acqua; qua e là si vedevano dei falò inquietanti. Realizzai che eravamo in piena estate e che un blackout in quella stagione poteva anche essere decisamente tragico. Sarà stata la paura o la suggestione ma mi sembrava di sentire rumori provenire dal palazzo di fronte: con mosse lente e ovattate, ritornai ancora al mio rifugio. Che fare? Quello che era stato solo un gioco e che era servito per tenere la testa in funzione, ed è quello che sto ancora facendo, doveva concludersi ma doveva anche avere un senso. Decisi allora come concludere il lavoro. Esaurita quella fase, avrei realizzato due copie di questo lavoro, una in chiavetta e una in minidisco. Il PC, sicuramente ingombrante, l’avrei poi nascosto in quell’anfratto tra il soffitto e la struttura delle scale interne mentre le altre due le avrei celate, una nello zainetto e una nel calzino. Avevo ancora voglia di vivere e volevo pensare d’aver ancora del lavoro da ultimare. Dovevo tornare a casa, ma non potevo rischiare. Decisi di muovermi all’alba (come nei vecchi film, pensai). Avevo ancora un paio d’ore e riavviai, ancora una volta, il mio fedele PC. E’ incredibile il passaggio tra ciò che elabori nel tuo piccolo mondo e quello che, in modo più o meno consapevole, si può innescare. Forse dovrei raccontare quei venti giorni vissuti nella mia, ormai diventata ex scuola, tra la quarantina di persone che, in vario modo, sono poi state coinvolte nell’esperienza sulla scarica elettrica: ricordo molto bene, era il 2009. Sono però convinto, che più che le mie parole, sarà poi la fervida immaginazione applicativa del lettore a rendere il quadro di ciò che può essere stata per me e per le persone coinvolte, quell’esperienza elettrizzante. Riporto, anche per dovere di corretta e futura documentazione, la scheda da me curata (testo lungo per la seconda edizione di BG Scienza) sulla scarica elettrica: “Testo lungo”. Premessa Questo lavoro nasce come traslazione d’alcuni studi sul mondo del caos e/o della complessità su alcuni aspetti sperimentali nati quasi casualmente(!) durante alcune esperienze sulle scariche elettriche nel laboratorio di Fisica nel liceo di Zogno. L’idea base è la scarica elettrica. Il fulmine (evento naturale) è in sostanza una corrente che si propaga in un mezzo di per sé isolante che diventa in particolari condizioni e cause (presenza di alti potenziali elettrici) un devastante conduttore. Il fulmine in sé, non è prevedibile, ma si può affermare che, almeno in generale, a parità di ∆V è più probabile tra punti a minore distanza e con forme particolari (punte o forme ad esse assimilabili). Queste affermazioni sono oggi facilmente riproducibili e verificabili nei laboratori. Il fulmine, in buona sostanza, è riconducibile ai fenomeni imprevedibili, discontinui e legato ai fenomeni del disordine in sé. Il lavoro proposto prosegue poi nella simulazione di una forma di scarica attraverso un programma realizzato al computer utilizzando un algoritmo a base caotica. I due eventi sono distinti, ma la forma rappresentativa è molto simile. Questa seconda fase quindi inizia con la simulazione di un percorso attraverso un ambiente “ordinato”, un ambiente in pratica formato da basette dove sono disposte regolarmente (come un reticolo) cerchietti di rame. Emerge in ogni caso l’aspetto caotico (in senso di imprevedibilità del percorso della scarica) come elemento caratterizzante l’esperimento. Le domande diventano inquietanti specie se si pensa al principio di Fermat o più in generale alle leggi sulle correnti. La cosa diventa ancora più interessante nel momento in cui, sia nelle basette reali (con il rame) che in quelle virtuali (con il PC) si inseriscono delle zone che sono dei veri e propri ostacoli e che, sia con la scarica elettrica che nella simulazione, sono tranquillamente aggirati quasi ad evidenziare una sorta di intelligenza intrinseca. La questione che poi rimane sempre aperta è che, anche in questi casi, i percorsi sono sempre imprevedibili Sulla presunta” intelligenza” della scarica non si intende aprire in questa sede alcuna supposizione ma vogliamo lasciare ai visitatori più che una domanda, una sorta di inquietante curiosità. Ad ogni modo questa fase si conclude analizzando i percorsi (reali e simulati) evidenziando le analogie tra la realtà sperimentale e quella virtuale Nel frattempo scopriremo alcuni elettroscopi che avevamo già predisposto in precedenza, velati da un panno, e disposti attorno alla macchina elettrostatica che produceva le nostre ∆V elettriche. Faremo ora notare ai visitatori che le foglioline si aprono e si richiudono con la formazione della scarica e il suo esaurimento: tutt’attorno registriamo quindi dei campi elettrici! Ora le macchine che producono ∆V elettriche diventano sempre più misteriose (alimentatori di vario tipo) anche perché evitano le scariche; producono dei ∆V costanti (nel tempo) con correnti costanti (nel tempo). Scosse regolari quindi. Le modalità di realizzo degli alimentatori qui non sono affrontati ( oppure si può realizzare per l’occasione, una vecchia pila chimica…). Ora si mette tra la ∆V un tubo di Plücker: si vedrà un piccolo fascio di elettroni ben disciplinato che ubbidisce alle sollecitazioni di campi elettrici e magnetici. I percorsi caotici sono spariti e tutto rientra nelle leggi classiche. Si rientra nel mondo dell’ordine della continuità e delle leggi del macroscopico. Nota: se però la scarica avviene a basse pressioni, riappaiono modalità imprevedibili e spiegabili solo con la quantistica e le sezioni d’urto (penso agli spazi di Hittorf). In qualche modo il mondo del caos ricompare quando lo spazio diventa discreto, non più continuo o, se vogliamo, quando la discontinuità produce come forma sua risolutiva l’imprevedibilità o la casualità Nell’ultima fase produciamo direttamente in laboratorio uno spazio caotico, setacciando polline di nocciolo sulla superficie di un sottile strato di olio di oliva. Spendendo energia attraverso l’immersione nell’olio di elettrodi sottoposti ad alte ∆V, dal caos si genera ordine: lo spazio viene plasmato dai campi elettrici generati. Ma il caos è sempre in agguato: basta spegnere l’alimentatore e non si avrà più memoria delle condizioni di partenza. Ora il mio percorso sul caos era diventato di dominio pubblico (ma è solo un modo di dire, quanti sono in Italia gli studi del caos?): il percorso, sicuramente diverso da quello classico sul caos e non certo troppo ortodosso, ora è non stava più in “quell’emblematico cassetto” che ognuno tiene solo per sé. Pubblico, quindi, criticabile. Finora però, prevale il pensoso silenzio degli incauti interlocutori e finche dura … Nel frattempo, un gruppo di matematici della scuola ci chiese di poter essere coinvolti in questo percorso laboratoriale. Avevamo già messo in conto un altro esperimento di fisica (effetto tunnel, che vedremo poi) per cui la questione si faceva più articolata e complessa. Si decise quest’altro fronte sul caos entrando nel merito degli aspetti più “spendibili” a livello didattico. Ed è qui il caso di sottolineare che tutto il lavoro da noi realizzato ha sempre avuto l’occhio, oltre che al coinvolgimento degli studenti, anche verso le ricadute, diretto e indirette, sul piano della didattica. Rispolverai i miei programmi che ho usato per approfondire il caos adattandoli alle nuove esigenze, ritornai sui libri già letti e acquisii nuove e stimolanti letture e un linguaggio formale più canonico: lo sto usando anche ora ma non so con quanto successo. La rete si stava comunque allargando, altri insegnanti e altri studenti in più: se prima potevo averne un qualche controllo, ora si stavano innescando altri percorsi e occorreva crederci davvero. Ma erano anche alcuni nuovi docenti (precari quindi giovani o giovani, quindi precari?) a voler intervenire con voglia ed interesse. Proponemmo alla fine di aprire, anche con matematica, un laboratorio per la successiva edizione di BG scienza con il lavoro: “Tra matematica e caos”. 28 Riporto ora la scheda relativa 28 Curata dal Prof. Aufiero Tra matematica e caos Mediante semplici programmi informatici proponiamo alcune elaborazioni trattate da alcuni studiosi del mondo del caos: una sorta di finestra sulla scienza di fine 900. La parola caos spesso viene utilizzata come la conclusione inevitabile, catastrofica o sottilmente minacciosa di un sistema quando viene privato di regole e/o controlli. Eppure nel mondo del caos esistono leggi e una appropriata matematica, ma ciò non mitiga l’inquietudine, anzi, scopriamo nuove domande e scenari imprevedibili. Cercheremo allora di illustrare l’origine del famoso effetto farfalla (Lorenz) e si analizzeranno alcune questioni legate alla probabilità (Markov). Si affronteranno quindi due aspetti strettamente legati al caos: l’irreversibilità e l’imprevedibilità in alcuni processi temporali. In effetti la matematica, negandosi a qualsiasi opinione, ci ha abituato a risolvere i problemi fornendoci massicce dosi di determinismo e di sano buon senso: purtroppo non sempre funziona. Semplicismo e riduzionismo emergono allora come rozze forme risolutive ma vale un assunto: “ … un comportamento complesso implica cause complesse (Gleick) …” e la complessità non può nascondere la sua matrice caotica. Un nuovo paradigma? Forse. Per ora godiamoci la nostra amica matematica che, quando si occupa di caos, sembra divertirsi nel proporci rompicapi e/o figure inusuali. In queste occasioni essa, ora dispettosa matematica, non propone soluzioni o teoremi: sembra voglia giocare con gli antichi e misteriosi numeri, quelli discreti, molto discreti. nota: questo laboratorio trova verifica e applicazione pratica nelle altre due proposte di laboratorio di fisica “Microonde ed effetto tunnel “ e “La scintilla intelligente2”. L’irreversibilità – Markov ovvero il Modello di Ehrenfest Introduzione In natura ci sono processi reversibili ed irreversibili; quest’ultimi sono la “regola”, i primi, invece costituiscono l’eccezione, ovvero delle idealizzazioni. La distinzione tra processi irreversibili e reversibili fu introdotta per la prima volta nel 1865 da Clausius nell’introduzione del concetto di entropia: diversamente dall’energia che si conserva, l’entropia (dell’universo) cresce verso un massimo e permette quindi di distinguere tra processi reversibili (crescita entropia = 0) e processi irreversibili (crescita entropia diversa da 0). Inoltre la crescita dell’entropia delinea la direzione del futuro e in un certo senso accenna ad una sorta di freccia del tempo presente in ogni processo naturale. Perfino i processi probabilistici più semplici sono orientati nel tempo; nel 1907 Paul e Tatiana Eherenfest introdussero un modello probabilistico noto appunto come modello di Ehrenfest: tale modello è un esempio di processo di Markov, e la sua attuazione ed applicazione concreta sono semplici (anche se per avere risultati significativi occorrono tempi molto lunghi) e permettono di comprendere e sviluppare due punti fondamentali: è un processo irreversibile, orientato nel tempo (tende allo stato più probabile pur partendo da una condizione si applica in modo chiaro e lineare all’espansione spontanea di un gas nel vuoto. lontana da tale stato); Esaminiamolo in dettaglio. Come è fatto? All’interno di due urne sono contenute delle palline numerate (il numero delle palline, N, è del tutto arbitrario, ovviamente per avere risultati significativi non deve essere basso). Supponiamo N = 12. Sia data una terza urna contenete N bigliettini numerati esattamente come le palline. A B Bigliettini (“Volendo far matematica”, tra l’insieme dei bigliettini e l’insieme delle palline c’è una corrispondenza biunivoca). Come funziona? Ogni volta che si estrae un biglietto, la pallina corrispondente cambia urna, e il biglietto viene reinserito; dopo un certo numero di estrazioni avremo un certo numero di palline nell’urna blu (A) e un certo numero nell’urna rossa (B); operando in termini probabilistici possiamo indicare tale stato con il simbolo [NA,NB]; a tale stato corrispondono tutti i microstati ottenibili permutando le palline in A e B, lasciando invariati NA e NB. Il numero dei microstati lo possiamo indicare con W ed è dato da : W = N! . N A!N B ! Se N = 12, qual è il valore di NA e NB affinché W è massimo o minimo? Cosa accade se effettuiamo un numero grandissimo di estrazioni? Per comprendere e derivarne le opportune considerazioni necessita un’applicazione concreta del modello di Eherenfest. Ma facciamo un po’ i conti: se volessimo effettuare 1000 estrazioni, supponendo di avere un’agilità tale nelle braccia che ci permetta di completare un’estrazione in appena 4 secondi, occorrerebbero 4000 secondi, ovvero più di ora. Il prof. Bruno Reffo ha realizzato un applicazione con Microsoft Visual Basic che simula in maniera velocissima il modello in questione. Simulazione del modello con visual basic Struttura Funzionamento Di seguito riportiamo l’immagine del risultato ottenuto proponendo la simulazione di 7000 estrazioni nel caso in cui le palline nella prima urna siano 3; (abbiamo bloccato la simulazione dopo 5757 estrazioni). Al centro del form il software genera un diagramma in cui vengono rappresentati la ricorrenza del numero di palline all’interno dell’urna A. Conclusioni Dov’è l’irreversibilità? Qual è il numero minimo di estrazioni per ottenere risultati significativi? Ma supponiamo che le palline delle due urne siano 12 molecole di un gas e che le due urne siano due regioni comunicanti. Che cosa accade? Questo modello ci torna utile? Simulazione del modello con visual basic applicato all’espansione libera di un gas Struttura Alle due urne sono stati sostituiti due contenitori sferici contenenti molecole di gas; si è preferito mantenere invariata la parte grafica per evidenziare maggiormente il nesso tra i due fenomeni. Funzionamento Di seguito riportiamo l’immagine del risultato ottenuto proponendo la simulazione di 1000 estrazioni nel caso in cui le molecole del gas nel primo recipiente siano 3. Conclusioni Dall’analisi della simulazione è sempre più probabile nel verso possiamo concludere che la diffusione da dove la concentrazione è maggiore a dove la concentrazione è minore. La diffusione in verso opposto non è impossibile, è solo meno probabile (a tal proposito ci viene in mente come il secondo principio della termodinamica è stato formulato. In particolare occorre insistere sulla sostituzione della parola “impossibile”, tipica degli enunciati originari di Kelvin e Clausius, con l’espressione “ improbabile”). L’imprevedibilità - Bernoulli Introduzione Nella dinamica classica come in quella quantistica il tempo opera in modo continuo, mentre nelle applicazioni che ci accingiamo a studiare, come nel modello delle urne di Eherenfest, la trasformazione avviene a intervalli di tempo regolari. Questa discretizzazione del tempo conduce ad una forma semplificativa di equazione del moto, che permette un raffronto più facile tra i due livelli descrittivi: quello individuale (corrispondente alle traiettorie) e quello statistico (Progogine .............). L’equivalenza tra questi due punti di vista rimane valida solo se si prendono in considerazione comportamenti dinamici stabili, ovvero corrispondenti ad un sistema integrabile, mentre si rompe se prendiamo in considerazione un modello di sistema dinamico instabile. Ad esempio possiamo prendere in considerazione un facile esempio di applicazione caotica, cioè l’applicazione di Bernoulli. Come è fatto? L’applicazione di Bernoulli restituisce la seguente equazione del moto: xn+1 = 2 xn (modulo 1) . Osserviamo che tale legge denota come l’equazione del moto sia deterministica ma non invertibile. Come funziona? Ad ogni passo, ovvero al variare di n, il valore di x, modulo 1, raddoppia. Se conosciamo xn resta fissato x n +1 ; questo è un esempio di caos deterministico: traiettorie calcolate a partire da punti inizialmente molto vicini divergono progressivamente. Possiamo osservare che ad ogni passo la coordinata raddoppia, pertanto dopo n passi la divergenza è proporzionale a 2n. A questo punto si potrebbe citare, il coefficiente di Ljapunov che si ottiene passando al limite per n all’infinito dopo aver stabilito che la divergenza vale e n log 2 , ma quest’aspetto esula da questo lavoro. Se per il modello di Ehrenfest il tempo necessario era di circa 4000 secondi, proviamo a pensare per un attimo il tempo che occorrerebbe a calcolare e rappresentare in un piano cartesiano due diverse traiettorie generate dall’applicazione di Bernoulli. Anche in questo caso il prof. Bruno Reffo ha realizzato un applicazione con Microsoft Visual Basic 6.0 che simula in maniera velocissima il modello in questione. Simulazione del modello con visual basic Struttura Funzionamento Il programma ripropone due simulazioni di traiettorie generate dall’applicazione di Bernoulli a partire da due condizioni iniziali che differiscono di poco (in termini matematici ciò si traduce con la questione della precisione delle condizioni al contorno, in termini fisici si traduce nel concetto di precisione delle misure); nel corso del tempo la traiettoria si approssima arbitrariamente ad ogni punto compreso tra 0 e 1. Conclusioni Il fatto che le traiettorie divergono visibilmente pur partendo da condizionali iniziali che differiscono di pochissimo (nell’applicazione in questione addirittura nell’ordine dell’ottava cifra decimale) rappresenta l’imprevedibilità di un sistema caotico. Se passiamo alla descrizione statistica (ovvero andiamo a simulare l’evoluzione della distribuzione di probabilità per l’applicazione), la distribuzione di probabilità converge rapidamente verso il suo valore di equilibrio: mentre la traiettoria rimane irregolare, la funzione che rappresenta la distribuzione di probabilità tende rapidamente ad un valore costante (Prigogine: operatore di Perron-Frobenius); in pratica l’instabilità a livello della traiettoria conduce ad un comportamento stabile al livello della descrizione statistica. Ecco la fina dell’armonia tra i due punti di vista citati prima, e questo permette di dare un senso, ovviamente a livello statistico, alle leggi che governano i sistemi caotici. Trasformazione del fornaio e piano caos Introduzione L’equazione di Bernoulli possiede già una freccia del tempo nell’equazione del moto. Per assistere all’emergere di tale freccia dobbiamo tirare in ballo un altro semplicissimo esempio di applicazione reversibile, la trasformazione del fornaio. Come l’applicazione di Bernoulli, tale trasformazione è un esempio di caos deterministico. Come è fatto? In un certo senso la trasformazione del fornaio è una generalizzazione dell’applicazione di Bernoulli: invece di considerare una sola variabile x nell’intervallo [0,1], consideriamo due variabili x e y definite in un quadrato di lato 1. Come funziona? La trasformazione consiste nell’appiattire il quadrato facendogli assumere la forma di un rettangolo e nel tagliare quest’ultimo in due parti per ricostruire il quadrato. Lungo l’ascissa x (detta coordinata dilatante in quanto ad ogni trasformazione la distanza tra due punti raddoppia), il principio di trasformazione è lo stesso che nell’applicazione di Bernoulli. Lungo l’ordinata y (coordinata contraente) ad ogni trasformazione la distanza tra due punti si dimezza. Ovviamente durante la trasformazione la superficie del quadrato si conserva. Osserviamo che la trasformazione del fornaio, come già anticipato in precedenza, è una trasformazione reversibile in quanto può essere invertita scambiando il ruolo delle coordinate. Inoltre la trasformazione è anche deterministica e permette di calcolare la posizione di ogni punto dopo un certo numero di trasformazione. Come abbiamo fatto per la trasformazione di Bernoulli è interessante studiare l’effetto di iterazioni successive della trasformazione del fornaio. Non essendo esperti pasticcieri o fornai, ci si è avvalsi di un’applicazione in Visual Basic 6.0 che simula tale trasformazione. Simulazione del modello con visual basic Struttura Funzionamento Si parte da un insieme di punti localizzati in una piccola regione del quadrato; l’applicazione mostra chiaramente l’effetto di dilatazione e dimezzamento. Poiché le coordinate variano nell’intervallo [0,1], i punti vengono sempre reinseriti nell’area di partenza e ciò determina una distribuzione uniforme su tutto il quadrato. Conclusioni La rappresentazione binaria permette di mettere in evidenza la dimensione caotica e aleatoria della trasformazione: la trasformazione del fornaio permette di realizzare mediante uno strumento deterministico (il computer) un piano caos. Applicazioni Trasformazioni geometriche complesse - Hanon Effetto farfalla – Lorenz Turoldo_Zogno -BG scienza 2010 Infine, l’effetto tunnel. In questo esperimento, la questione sul caos ha prese una piega molto rischiosa. Dovrei forse ricostruire il tutto con una procedura più storica che concettuale, ma sarebbe troppo lungo. E non solo, il lettore che è riuscito a leggere fin qui avrà ancora la pazienza per ingoiare ancora un bel po’ di rospi? Sospendo allora la trasposizione delle schede, affronto ancora una questione teorica, sorta nel lavoro di preparazione dell’effetto tunnel, e chiudo. Ho sentito strani rumori più sopra. Meglio spengere il PC e trovare un nascondiglio. … La scelta di restare ancora un po’ nel garage è stata saggia. Il rumore dei loro passi, amplificati dal silenzio e dai pezzi di vetro dei vari finestrini che avevamo rotto per entrare nelle macchine, era da film giallo. Nascosto tra i sedili di una mercedes, cercavo di intuire quanto avveniva nel resto dello spazio. Sentivo due che parlavano tra loro in modo secco e senza troppi complimenti: lingua sconosciuta e forse di stampo slavo. Una delle due voci era vagamente femminile mentre l’altra era sottile ma dava un inquietante senso di cinismo efficientista: era la mia immaginazione, pensai. Le strisce di luce, proveniente dalle loro una torce elettriche, tagliavano il buio amplificando il mio senso di inquietudine. Perché non uscire ed urlare: “Ehi! sono qui!” Perché ho invece scelto la logica della preda che si nasconde dal cacciatore? A un certo punto ho persino chiuso gli occhi fingendomi morto. “Ora esco e li affronto!!” Mi dissi quando la posizione tra i sedili divenne impossibile. Mi sollevai ma proprio in quel momento sentii urlare la donna: aveva trovato qualcosa. Le luci sparirono di colpo. “Osvaldo madfef! iodnei!! Osvaldo! Maledetti caproni!”. E non aveva tutti i torti, sul fatto dei caproni, è evidente. Ma il tono era molto alterato, era evidente: avevano trovato il corpo galleggiante di Osvaldo. Ora la donna si rivolgeva ad un terzo uomo: “Hai visto che erano qui, Osvaldo aveva poi il compito di non mollarlo mai … il mio Osvaldo. Quell’inutile caprone, Silver o come cavolo si chiama, pagherà anche per questo!” “Ok”. Intervenne calmo e gelido il terzo uomo; aveva una vaga cadenza padana. ”Io resterò qui sopra, non si sa mai, potrebbe anche tornare … Tu con Vanessa tornate a casa sua. Ci vedremo verso mezzogiorno al solito posto” Ero immobile, seduto e schiacciato sul sedile della mercedes, … direi anche comodo …, vidi il tizio finire di parlare caricando alla maniera dei telefilm americani, una grossa pistola automatica (click, clack). … Ecco perché ora mi ritrovo ancora dentro il garage: pazienza continuerò a scrivere ancora un po’ (almeno fino a mezzogiorno). 7. L’inquietante AB(t) ↔ , ) Chiedo ora al lettore di riprendere le figure 11 e 12. Quello che ora tratterò è conseguenza del lavoro di fisica (anch’esso proposto assieme agli altri due che ho appena allegato) che avevo già accennato e che riguarda l’effetto tunnel. Dovrei quindi presentare prima il lavoro di fisica e poi illustrarne le conseguenze: ma preferisco ribaltare il percorso. , ) (7a)29 Cerco di approfondire l’inquietante e non unico segmento AB(t) ↔ se nella (7a) non c’è la variabile t (che equivale a dire, per comodità, che siamo al tempo zero30 o spazio_caos immobile), abbiamo il caso: AB(0) = AB ↔ 29 30 , ) (7b) Evito il riferimento AB, ormai scontato e che ho fin qui indicato con GAB Il tempo, anche se la cosa ci da un po’ di fastidio, non può essere annullato, ovvero non è possibile farlo “ sparire” e questo fatto si caratterizza nella figura 11 (quella con un solo percorso caotico). Quindi la (7a) è la figura 12 (quella con più percorsi caotici). Il lettore, se avvezzo alla matematica, avrà già intuito il senso dell’ora ed inevitabile definizione che propongo: Il segmento AB, in uno spazio_tempo discreto (e caotico), è una funzione variabile nel tempo e nello spazio (7c) “Ancora!!” Sto volando: stavolta però ho attraversato anche la finestra della grande stanza, tra lo stupore dei presenti. “Adesso basta!... quante volte devo dirlo, non si trattano così i libri!” Starnazzò la becera bibliotecaria! Atterrai su un ramo del pino secolare adiacente alla storica biblioteca e scivolai sballottando con geometria caotica fino a terra. Attesi qualche minuto poi, le mani del mio ultimo lettore mi raccolsero con un certo nervosismo: lo sentivo bofonchiare. Mi sentivo un po’ sbatacchiare mentre terra e aghi di pino se ne uscivano dalle pagine un po’ spiegazzate. “Sopporterò ancora per qualche pagina poi, giuro, lo brucio!”. Un brivido mi corse lungo lo spigolo un po’ più malconcio: chissà perché quando leggono la definizione (7c) tutti hanno reazioni così violente! Questo poi mi sembra un tipo molto deciso. Euclide, Euclide, perdona il tuo umile servo! Io parto dalla natura, e da essa cerco di capire la fisica, tutta la fisica! E quindi, la matematica: tutto qui. … La formica rossa è uscita dal formicaio A e si reca dalla cicala B, morta per il troppo canto e ora e pronta a divenire riserva di cibo per il lungo inverno. Senza farmi accorgere dalla formica, seguo il suo percorso e lo rappresento su un foglio31: 31 E sempre la figura usata per le scariche. fig 11 Ma altre formiche escono da formicaio A per andare fino alla cicala in B: registro il percorso di 10 formiche (ho impiegato circa 12 secondi per formica) ed ho ottenuto questa registrazione: fig12 Domanda: perché non seguono il percorso più breve ovvero, Il segmento AB? Semplice, non conoscono la geometria euclidea! I sacri test dicono, infatti, che il segmento è il percorso più breve che congiunge due punti del piano, però: - il piano è un concetto “primitivo” e formato da infiniti (!) punti il punto è anch’esso un concetto primitivo (e il punto non ha dimensioni) la retta è un insieme di punti ecc. il segmento (anch’esso formato da infiniti punti) si ottiene da una retta (è allora un pezzo di retta) Ho provato a spiegare alla formica la geometria euclidea ma lei, con il suo linguaggio “antennale e acido”, mi ha fatto capire che non può sapere, a priori, qual è il percorso più breve! E ha continuato imperterrita con la sua (7b). Con Euclide, tutto era più semplice: AB, in quanto unico, è anche il più breve. Peccato però che, per poter si garantire l’unicità, abbia bisogno pure della continuità dello spazio: a dirla in linguaggio aulico: la formica, invece, si esprime così (tradotto in modalità discreta): e la (7e)32 vale per ogni formica o per la stessa formica che continua a muoversi tra A e B per spolpare la cicala e portarla dentro il formicaio. E il senso pratico delle formiche non può, in alcun modo, essere confrontato con quello, in generale, dei matematici e dei fisici. ora, il diavoletto che è in me, mi spinge a proporre questo lavoro di verifica (che io non farò). Ecco la provocazione. Prendiamo la figura relativa alla (7a) ovvero, in termini numerici: AB(t) ↔ , ) (7a) - prendiamo un qualsiasi punto (anche euclideo) del piano_caos: chiamiamolo C - per ogni percorso, uniamo il punto C con i vertici dei segmenti che compongono la spezzata AB(t) - indichiamo con sj l’area del j-esimo triangolino di base il segmentino j-esimo e di vertice il punto C - Indichiamo con (7f) La somma di tutte le aree dei triangolino così ottenuti ora, essendo t anch’essa una variabile discreta ovvero: 32 E’ evidente che(xj+1-xj) ha il senso di una distanza nel piano_caos; per quanto mi riguarda potremmo anche pensarla semplicemente come la distanza pitagorica tra due punti del piano. ne segue che, fissato t, ho anche fissato il numero di percorsi compiuti dalla (o dalle) formiche. Ciò significa che, fissato t, ho anche il numero p (p = t/∆t) dei percorsi delle formiche: vediamo se l’amico matematico sa supporre la soluzione del limite: dove nell’argomento del limite ho messo la media di tutte le aree di tutte le infinite(!) spezzate. Temo che la soluzione del limite (7g) sia propria l’area (euclidea) del triangolo ABC. C’è anche un altro modo per connettersi ad AB_euclideo (ovvero al classico segmento AB) ma occorre ora infilarsi nella terza esperienza di fisica che avevamo preparato: l’effetto tunnel. Per ora vale questa micro sintesi: - il percorso delle formiche, diverso da formica a formica è però mediamente o statisticamente coincidente con il percorso più breve AB. se i percorsi sono diversi è perché c’è la probabilità di fare percorsi diversi. Ma la probabilità e cugina stretta del caos e di una delle sue caratteristiche: l’imprevedibilità (un'altra potrebbe essere l’irripetibilità ma è qui meno inquietante). Tutto però ritorna nei binari della tranquillità scientifica se si analizza il fenomeno in termini statistici. Esiste il comportamento medio delle formiche che si uniforma al segmento (unico ed euclideo) che è il vecchio e tranquillizzante . La (7g) ne è l’espressione matematica: essa fornisce la possibilità di agganciarsi con la matematica “classica” attraverso la media delle aree di tutte le spezzate. Quando ciò non è però possibile, pazienza, in ogni caso le formiche continueranno nel loro atavico lavoro. 8. Tunnel ed un po’ di Schrödinger Il mio PC segna le 8,32. La luce proveniente dalla torre inizia a filtrare nella sua esiguità, anche qui sotto. A volte mi sembra di sentire i passi lontani del tizio là fuori, ma so che è pura suggestione. Ho già preparato il mio piccolo zaino contenete l’ultimo cibo e qualche altra cianfrusaglia. Mi sono dato un termine: alle 12,31 uscirò da qui. Ho il tempo per concludere, almeno spero. Riporto la scheda dell’effetto tunnel33: era e sarà ancora un buon punto di partenza. Testo breve. Microonde ed effetto tunnel 33 Curata dal prof. Botti George Gamow è un fisico d’inizio ‘900 (russo, Odessa 1904 – Colorado 1968). Per spiegare l’emissione della particelle α dal nucleo dell’atomo, fenomeno osservato sperimentalmente ma teoricamente non ancora interpretato, introdusse l’effetto tunnel. Era l’epoca degli effetti: effetto fotoelettrico, effetto Compton e altri ancora. L’immagine però che l’effetto tunnel evoca era molto azzeccata: quando è impossibile superare una montagna è decisamente più conveniente scavare una galleria alla sua base. Ma il nucleo dell’atomo non è una montagna e le particelle α non sanno scavare; alla fine è solo una questione di probabilità connessa ad una delle equazioni più inquietanti della fisica: l’equazione di Schrödinger. Ma nell’esperimento che proponiamo le particelle si travestono da microonde ed il nucleo è un bellissimo, profumato blocco di cera d’api. Saranno allora le misteriose ma ormai domestiche microonde a far la parte del leone, le quali, assieme ad un laser e ad una comune lampadina, cercheranno di “far luce” sul concetto di onda_particella, ovvero uno degli aspetti più interessanti ed emblematici che la fisica ha posto sul tavolo della conoscenza. Testo lungo. Premessa Perché è così affascinante entrare nel mondo delle microonde? Possiamo tentare alcune risposte: le microonde non si vedono, ma hanno modalità di propagazione simili a quelle onde elettromagnetiche che i nostri organi visivi percepiscono, cioè la luce. Per altri aspetti invece si comportano in modo assolutamente originale: se l’atmosfera avesse lasciato aperte finestre di frequenze tipiche delle microonde, anziché di quelle radiazioni che chiamiamo “luce”, chissà quale percezione avremmo del mondo circostante? Ad esempio per riposare dovremmo chiudere imposte costituite da doppi vetri con l’intercapedine riempita di acqua! E poi, abituati come siamo ad effettuare in laboratorio comuni esperimenti di ottica, nell’utilizzare le microonde ci sentiamo un po’ come i Lillipuziani di fronte a Gulliver. Tutto è dovuto agli straordinari rapporti tra le lunghezze d’onda: circa 30 mm per le microonde, mediamente 0,0004 mm per la luce. Come prima fase del laboratorio è interessante mostrare, effettuando semplici misure, alcuni fenomeni convenzionali, legati alla propagazione per onde, con la luce e le microonde a confronto: rifrazione, riflessione totale, interferenza, risonanza, polarizzazione. E’ significativo paragonare le dimensioni delle apparecchiature da utilizzare per le microonde con quelle dei dispositivi per le prove con la luce. Doppie fenditure per luce Laser e per microonde Corpi ottici per la rifrazione: in vetro per la luce, in cera d’api per le microonde Reticoli polarizzanti: filtro Polaroid per la luce, griglia metallica per le microonde Ora riflettiamo sul fatto che numerosi fenomeni legati al comportamento delle particelle subatomiche vengono interpretati partendo dalla sconvolgente ipotesi che si comportino anche come onde: uno per tutti l’emissione di particelle α da parte dei nuclei radioattivi, fenomeno riscontrato dall’esperienza ma inspiegabile teoricamente con i metodi della fisica classica secondo la quale la particella si scontrerebbe contro la barriera di potenziale dovuta alle forze nucleari, senza possibilità di sfuggire dalla sua sede naturale di appartenenza. Ma, come dimostrò per primo G.Gamow, se questa particella diventa un’onda-particella qualche chance le rimane: è l’effetto tunnel (si racconta che uno dei primi tunnel della storia riguardi l’episodio di Simone Pietro che, grazie all’intervento dell’angelo che gli aprì le porte della cella, riuscì a fuggire a Roma per diventare il 1° Papa). Particella classica contro barriera di potenziale: il passaggio è interdetto Onda-particella contro barriera di potenziale: esistono probabilità di passaggio Come immaginare di riprodurre macroscopicamente tale fenomeno? Se fosse possibile (!!) ingrandire una particella α diversi miliardi di volte essa non avrebbe più un comportamento da onda-particella. Ecco allora arrivare in nostro aiuto le microonde e così passiamo alla seconda fase del laboratorio. Con l’approccio dell’ottica geometrica di Snellius le onde elettromagnetiche diventano dei raggi e le zone di separazione tra materiali diversi perfette superfici, cioè astratte entità geometriche. Con queste approssimazioni i raggi (le microonde) non hanno possibilità di oltrepassare la barriera che incontrano (superficie piana) e quindi devono rientrare nel mondo di cera da cui erano arrivate secondo il meccanismo della riflessione totale. Ma il comportamento delle onde o onde-particelle non è confinato dentro il concetto di materia – non materia. Il fenomeno della riflessione totale avviene in una zona “franca” le cui dimensioni sono dello stesso ordine di grandezza della lunghezza d’onda della radiazione incidente; se la barriera di potenziale è sufficientemente sottile da essere contenuta in questa zona “franca” allora c’è qualche possibilità di riuscire a superarla. Sperimentalmente osserviamo le microonde passare nella forma di cera affacciata, anche se come previsto con intensità ridotta, nonostante una barriera di qualche centimetro (distanza tra le forme). Ed è proprio quello che riescono a fare le particelle α, in una scala spaziale enormemente più piccola, nei confronti degli intensissimi, ma molto sottili, campi di forze nucleari. E’ l’effetto tunnel! Ma come affrontare teoricamente tali fenomeni: la meccanica ondulatoria è alquanto complessa e quindi ci costringe a troppi atti di fede. Ci aiutano allora le simulazioni al computer nel piano “caos” che accompagnano tutti gli esperimenti effettuati. Onde e particelle tornano ad essere solo particelle e nel loro moto caotico pare ridiventino onde, e si riflettono e rifrangono, interferiscono come negli esperimenti. Infine le barriere di potenziale vengono simulate come ostacoli in cui le rappresentazioni caotiche sfumano, condizionando l’attraversamento della materia. Turoldo_Zogno -BG scienza 2010 Occorreva approntare quindi una simulazione al PC, ed era il mio compito specifico, delle microonde dentro la cera con relativo effetto tunnel. Sullo sfondo c’era poi la tremenda equazione di Schrödinger. Riporto qui il percorso informatico che ho realizzato. Partii dalla luce: dolevo simulare le classiche esperienze di riflessione e rifrazione ma volevo realizzarle in modalità caos. C’erano però due problemi da superare. Il primo era riuscire a produrre traiettorie “rettilinee” in uno spazio_caos: la funzione , ) (7a) AB(t) ↔ Era inesorabile. Essa produce, come abbiamo già visto (fig. 11 o 12), comunque una spezzata. Il secondo problema consisteva in una delle caratteristiche specifiche della luce. La luce, una volta emessa da una sorgente (ad esempio il punto A ovvero una stella qualsiasi del firmamento) prosegue poi con un percorso “rettilineo” percorrendo, almeno in termini teorici, tutto l’universo: ciò significa, per semplificare, che il punto B è all’infinito (A magari lo è un po’ meno ma non semplifica comunque il problema) e infine, il raggio di luce relativo deve essere assimilabile34 a una retta . La (7a) descrive però solamente il percorso tra A e B. Questo secondo problema lo superai “imbrogliando” il software: associai al punto B coordinate pixeliane (quelle dello schermo del monitor del PC, per intenderci) dei valori molto grandi. In pratica, se lo schermo aveva al massimo 20000 pixel tra x e y, al punto B assegnai valori 10 volte più grandi, in questo modo B era lontano, fuori dallo schermo, virtuale ovvero infinito. La cosa funzionava, il controllo su B non era sul valore delle coordinate ma solo in fase di rappresentazione: bastava fermarsi prima che il punto xj uscisse dallo schermo e il punto B, ovvero il punto di arrivo della luce, era come all’infinito. Il primo problema era invece irrisolvibile: arrivai a rappresentare fino a 200.000 punti ma la (7a) era sempre una spezzata. 34 Non considero qui gli aspetti descritti della Relatività Generale Pazienza, la simulazione era improponibile. Passai quindi a un’altra questione. Io e il collega Botti, avevamo, oltre ad altre funzioni che qui non riporto, anche la responsabilità teorico_scientifica delle esperienze. Con l’effetto tunnel si doveva fare i conti con l’equazione di Schrödinger. Ripresi, sommariamente, gli antichi studi di fisica e trovai una buona sintesi nel testo di Paul Tipler (volume 3 pagg. 1371/2). Mentre l’autore del testo cercava di costruire la funzione d’onda attraverso le serie di funzioni di Fourier, mi trovai di fronte ad alcuni esempi applicativi: l’interferenza dei fotoni (cioè la luce pensata come formata da particelle, ovvero i fotoni) e la diffrazione degli elettroni attraverso un cristallo (cioè gli elettroni come onde). Puro e bellissimo dualismo onda corpuscolo. Le foto illustrative davano una sequenza molto chiara: i fotoni (elettroni) dovevano attraversare due fenditure (un cristallo) e poi impressionare nel tempo e punto per punto, una pellicola: erano tanti puntini bianchi su sfondo nero che formavano, punto dopo punto appunto, le classiche figure discrete di interferenza. Tutto bene; ma nelle prime sequenze fotografiche però non si vedevano figure d’interferenza o diffrazione: erano solo pochi punti apparentemente disposti a caso; solo negli ultimi fotogrammi si poteva chiaramente distinguere i puntini bianchi formare le figure tipiche dell’interferenza o diffrazione. Le prime figure erano, però troppo simili ai miei piani_caos e ritornai alla simulazione che avevo appena abbandonato. Riporto ora il mio primo tentativo grafico e relativo alla diffrazione: fig. 13 Il tratto punteggiato poteva essere la simulazione di un elettrone in un piano caos mentre la struttura a cerchi era una prima simulazione di un cristallo: la , ) era in quella specie di spezzata di puntini blu. Nella parte destra invece avevo disposto una sorta di istogramma che era in grado di registrare dove finiva il percorso dell’elettrone simulato (e il piccolo tratto rosso verticale che si vede nella griglia dell’istogramma). Vidi (e così pure il mio lettore molto attento) nel tratto punteggiato, una sorta di onda: un’onda trasversale! Come mai la spezzata si era ora trasformata in una sorta di onda? Nella mia strategia informatica quell’onda non c’era! Cos’era allora “quella cosa lì?” Per rendere partecipe il lettore del dilemma descriverò le strategie logico_informatiche utilizzate nel programma e che hanno poi prodotto “quella cosa lì”. 1. parte alta e a sinistra dello schermo: c’è quella specie di pendolo rosso. Con modalità random, il “pendolo” oscilla in modo casuale e la particella (elettrone) inizia da quelle posizioni l’attraversamento del piano caos. Questa iniziale e casuale oscillazione del punto d’inizio serve per porre, almeno virtualmente anche il punto A35 (del segmento AB) in una sorta di “infinito iniziale”(B è già all’∞). 2. Le variabili interne del programma sono: a) numero di punti del piano caos (circa 80.000). b) il passo, ovvero l’ampiezza in pixel (intorno ai 200) entro la quale era consentito il salto da un punto al successivo del piano_ caos. c) il valore omeostatico (omeo di circa 40 pixel) che consentiva una certa flessibilità nella ricerca dei punti del percorso. Come si può vedere, non esiste nessuna indicazione ondulatoria. In ogni caso, ed è importante sottolinearlo, la figura ottenuta è una fortunata combinazione tra le tre variabili interne del sistema (omeo, passo ed N_punti_piano_caos). Stavo però, ancora studiando l’equazione di Schrödinger nel campo del discreto quindi mi balenò l’azzardo (o eresia che sia) : AB(t) ↔ , ) ↔ “quella cosa lì” ↔ ψj (8) ψj, introduce, in forma solo abbozzata, una parte, della funzione d’onda, soluzione dell’equazione di S. ed è pensata come una delle componenti della somma (discreta) delle j_funzioni elementari, goniometriche (e questo ce lo dice Fourier ) … passerò subito al grafico (sperando di evitare altri voli dalla finestra) Praticamente decisi di ripetere (per 200 volte) i percorsi così ottenuti, cambiando ogni volta il piano_caos (così c’è anche la variabile t) e per somma di Fourier, intesi quello che si otteneva sull’istogramma finale: ottenni, dopo estenuanti selezioni delle variabili interne del programma, una sequenza di figure che riporto senza commento. Passaggio per una fenditura delle 200 “cose lì”: 35 La spezzata tipica del segmento in piano_caos porta ad avere una indeterminazione propria di qualsiasi punto, anche di quello iniziale A. fig. 14 Passaggio per due fenditure : fig. 15 Passaggio attraverso un cristallo: fig. 16 Nota: se l’inclinazione del cristallo era verso l’alto, il massimo secondario ne seguiva la direzione (si posiziona in alto) Prima di concludere con l’ultima figura che riguarda il tunnel e chiuderà l’aspetto “scientifico” con forse l’ultima eresia, voglio verificare se anche il lettore ha realizzato le mie stesse osservazioni: 1. le 200 “onde” (e che ho singolarmente e brutalmente definito “quella cose lì”) combinandosi forma inizialmente una sorta di onda longitudinale (tipo onde di compressione sonore). Confesso che ho subito un feedback (di origine Lanziana o Prosperiana che sia36) e quando le ho visto formarsi, ed è emozionante vederlo fare punto per punto, ho pensato ai mitici pacchetti o auto pacchetti di onde: ma non intendo aprire altri fronti. 2. la fig. 14, almeno nella parte destra, se immaginiamo di espandere l’istogramma su tutto l’asse verticale e di passare alla forma continua (ma non lo farò!), è molto simile alla classica ψ(x,t). (Qui però la variabile x assume il senso tipicamente cartesiano). 3. Le singole (cioè ognuna delle 200 “cose lì”) “onde”, quando incontrano le fenditure o il reticolo cristallino, interagiscono con quella specifica geometria e ne vengono “travolte e distrutte”: complessivamente però, e indipendentemente l’una dall’altra, “costruiscono la memoria del tipo di ostacolo” e ce la riconsegnano (come se avessero un loro linguaggio) sotto forma di figure di interferenza o diffrazione sul relativo istogramma. Tento ora una specie di conclusione; dai testi sacri della quantistica si descrive la funzione d’onda per un generico pacchetto d’onde costituito da un insieme discreto di onde armoniche in questo modo: = (8a) Applicando poi l’analisi di Fourier (passando quindi dal discreto al continuo) la ψ(x,t) diventerà poi la mitica funzione d’onda. Non è importante declinare tutte le variabili che appaiono nella (8a) e gli aspetti matematici connessi; intendo, infatti, concentrare l’attenzione solo su alcuni aspetti: 1. La (8a) si esprime come somma in forma discreta 2. la variabile x rappresenta la variabile spaziale cartesiana (quindi continua) 3. applicando la serie di Fourier, o più semplicemente, sommando (al computer) i valori di tutte le j_funzioni sinusoidali espresse nella formula, si può costruire una curva della forma che si vuole … 36 Lanz e Prosperi sono stati i miei insegnanti di fisica teorica L’azzardo che ho quindi realizzato, a prescindere dal senso della variabile x (che chiarirò subito) descritto nella (8a), è associare a quella specie di onda (che ho orribilmente battezzato in “quella cosa lì” ovvero una sorta di onda “discreta” e descritta in un piano_caos), l’onda classica sinusoidale: in pratica conosco la forma dell’onda discreta, riesco a realizzarla con un programma informatico, ma non ho alcuna idea della “matematica” che la supporta (non è male!). Ora però cerco (come promesso e se riesco) di raffinare in precisione: siamo nel discreto, ciò significa che t = p ∆t con p numero naturale positivo e ∆t rappresenta la durata del tempo di osservazione, ovvero l’intervallo di tempo (euclideo) durante il quale si sviluppa la singola “onda” e dove il piano_caos è pensato, per ogni j, immobile. Quindi, la definizione appena posta ci completa nella forma: mentre la variabile x rappresenta l’insieme dei punti del piano caos che si stendono su di esso per rappresentare il percorso dell’onda (o particella che sia) ovvero, per sintesi, la x della (9) condensa il concetto di AB(t) descritto dalla (8) ovvero: AB(t) ↔ , Ora sono pronto per la rappresentazione della (9) in ambito di effetto tunnel: ) fig. 17 Che descrivo così. La particella si trova dentro il nucleo (parte alta e a sinistra dello schermo). L’onda di probabilità, cioè la (9) si propaga nel mezzo e interagisce con le sue peculiarità (di campo di energia e di quant’altro37) e, in un certo senso, disegna il possibile (o probabile) percorso o percorsi della particella stessa. 37 Il passaggio tra un mezzo e l’altro l’ho ottenuto “sfumando” il piano_caos tra i due mezzi. L’effetto complessivo, dopo in tempo t, consiste nella formazione di due particelle “nate” dalla prima: una è ancora nel nucleo mentre l’altra (una particella alfa) è ora fuori del nucleo (quella a destra). Il ragionamento che qui ho fatto, vale per una particella nel nucleo, ma si può estendere anche per una generica onda. Però è meglio fermarsi qui. Per poter infine, localizzare le due particelle ottenute, ho preso come punto di riferimento il “baricentro” di tutti i punti caos dei fine percorso (i puntini rossi) tant’è che questa mi a ultima diavoleria mi ha suggerito di concludere, e sono consapevole che i miei limiti fisici e matematici hanno già ampiamente superato la mia soglia di comprensione e che ora viaggio solo in ambito di sfrontata intuizione, con questa immagine: Dopo che la (9) ha previsto il futuro della particella o onda che sia, la traiettoria effettiva della particella attraverserà tutti i baricentri dei singoli pacchetti, o auto pacchetti,d’onde percorrendo quindi(e qui mi rifaccio a quanto già detto per le fig, 11 e 12) una sorta di percorso “rettilineo” . Esiste cioè una sorta di relazione del tipo: ovvero, alla certezza del percorso che farà l’onda e che si associa alla parte a sinistra della (10) (che ho volutamente esprimere in termini estremamente vaghi, e che è associata alla probabilità di trovare la particella (dal qualche parte dello spazio)38 corrisponde un sorta di rete tra i punti del piano-caos dove ciascun si ricava dal baricentro di tutti punti dei singoli pacchetti d’onde che percorrono lo spazio_caos. Well. Ora sono le 11, 44. … Sono ora qui, aperto sull’ultima pagina. Intravedo i due occhi pensosi su di me. Non ho idea del tempo che scorre, non è nelle specifiche caratteristiche di un libro. Il mio lettore si ora alzato, rovista in qualche cassetto della scrivania e si risiede. Ha in mano un accendino: ritorna quel brivido sullo spigolo della rilegatura. 38 non ho elevato la funzione d’onda al potenza 2 poiché la (10) è solo indicativa. L’accendino, dopo un paio di tentativi s’illumina e si dirige vero l’imboccatura della grossa pipa apparsa d’incanto tra le labbra del mio lettore. Dopo qualche angoscioso minuto, avvolto nel fumo dal sapore delizioso di buon tabacco, m’involo leggero e finisco stretto tra una fila di libri. Ora è buio. Alla mia sinistra però riconosco subito il continuo rimescolarsi delle equazioni tipiche e ripetitive della meccanica classica. Bene. Alla mia destra invece risento il profumo di vecchi amici: Morin, Prigogine, Gleick, Hofstadter, Bertuglia, Vulpiani, Ceruti, Bocchi, Capra e tutta la formidabile squadra dei “fuori di testa” che si sono occupati di caos. Meno male. Poteva fare una brutta fine: stritolato tra gli orribili di B. Vespa o la cosa peggiore in assoluto, far da sponda alla raccolta dei discorsi di quel premier italiano un po’ macchietta … accidenti! Non mi viene più il suo nome. Pazienza, ora posso finalmente riposare. … Devo salvare, chiudere tutto e uscire da questo garage sottoterraneo. Com’è però strana la vita; se non mi fossi trovato qui, per dieci giorni sottoterra, probabilmente non avrei mai trovato il tempo e il coraggio di scrivere questo libro (sono una novantina di pagine, non saprei più come definirlo). La mia mente però ora naviga nel mondo là fuori. Penso all’amico Giorgio anche lui intento alla lettura (non certo tipicamente estiva) del libro sul caos che gli ho consigliato, penso a Francesco nel laboratorio fisica mentre allestisce apparecchiature e strutture per le prossime esperienze per bg_scienza. Cambio regione e vedo Luigi manipolare i programmi con pure lui un libro sul caos aperto lì di fronte; immagino poi i giovani colleghi matematici Aufiero, Di Luca ed ai miei colleghi del Turoldo e chissà quanti ancora, alle prese, tra un bagno e quant’altro, a cercare di immaginarsi, pure loro, un qualche futuro nella suola e magari con questi argomenti caotici capitati senza alcun preavviso. Un bel pezzo d’Italia, comunque. Penso all’amico Roby, a quando assieme al collega Botti, tenevamo acceso quel poco di laboratorio che c’era malamente concesso: a quel “nonostante tutto” che ci teneva sempre e comunque con la schiena dritta. Penso e non invidio l’attuale preside, gestire quest’attività aggiuntiva con scarse risorse e con troppe incognite: ma lui sembra sempre così fiducioso … Di altri, non penso proprio più niente. Il pensiero vola poi a quegli studenti, siamo arrivati anche a una settantina, che allora coinvolgemmo di studenti nel lavoro di laboratorio sul caos e su tutto ciò che abbiamo architettato: cosa sarà rimasto di tutto ciò? E’ allora inevitabile naufragare nei ricordi dei miei ex studenti ed ex colleghi … i loro volti hanno ora riempito tutta la mia mente: nostalgia? Forse. Ma questa memoria ancora così viva è stata, ed è tuttora, il serbatoio d’energia che mi ha sostenuto in passato e che spero mi darà anche ora la voglia di uscire da questo rifugio e tornare ancora al caos … Devo chiudere. Sta finendo l’energia delle batterie. Salvo e mi avvio: sono le 12,31. In perfetto orario. causa effetto