Comments
Transcript
Antilingua. Il vizietto che non si può nascondere
non piccola parte di essa. Un’Italia con cui, piaccia o non piaccia, bisogna fare i conti, anche come Movimento per la vita. Perché al prossimo referendum (prima o poi ce ne sarà uno) voterà anche questa Italia, e anche quei giovani amici di Amici che con gli sms hanno fatto vincere Valerio Scanu. Certo si può felicemente ignorarla e fare il gioco nobile dello struzzo. Ma non sono sicuro che paghi. Penso invece che, senza de- rese e come la stessa esperienza della maternità raccontata dalla presentatrice Antonella Clerici in un duetto con l’altra neomamma Elisa. Anche la musica più autentica che si è ascoltata, quella vintage dei Sanremo di una volta, ma interpretata dai big di oggi (Cocciante che canta Volare), era lì non per essere musica ma per essere emozione, ricordo, capace infatti di suscitare l’appassionato coro di accompagnamento del pubblico. Come vedere e rivedere all’infinito i gol di quell’Italia-Germania del 1982… Se contenitore nazional-popolare doveva essere, è indubbio che la Clerici sia stata la persona giusta al posto giusto, capace di accogliere con un familiare bacetto la regina Rania di Giordania e di presentare i cantanti «come se stesse leggendo il prezzo al chilo delle orate al mercato», scrive sul Foglio Diana Zuncheddu. Antonella è una di noi. Bene allenata da anni di Prova del cuoco, sa entrare nelle nostre case con quella naturalezza con cui la gente compie le normali azioni quotidiane. Ma la Clerici vi aggiunge quel pizzico di corriva banalità che rende le sue trasmissioni così simili al chiacchiericcio estivo sotto gli ombrelloni, tra parole crociate e riviste di gossip. O come le conversazioni che si fanno - maschi e femmine - dal parrucchiere. Una di noi, appunto. Certo, si può passare meglio il tempo. Però, però… Questa è l’Italia. Magari non tutta l’Italia, ma monizzare nessuno, e semmai ricorrendo all’arma elegante delsi possa l’ironia, imparare/insegnare a leggere con acutezza questi fatti, per demitizzarli e magari cogliervi i positivi elementi di realtà (non dico neppure “di verità”) che essi recano. Oppure ignorarli del tutto, ma così perdendo il diritto di criticarli. E’ rigorosamente vietato fare prediche, ai non addetti ai lavori. GIANNI MUSSINI Antilingua. Il vizietto che non si può più nascondere « Gli antesignani Heorge Orwell e Italo Calvino “Le parole sono importanti”, dice Michele Apicella, alias Nanni Moretti in Palombella rossa: “Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste”. Se in Italia la bioetica viene pensata e vissuta non al meglio delle sue possibilità, forse è anche un problema di parole»: Gilberto Corbellini, ordinario di storia della medicina alla Sapienza di Roma e noto saggista “laico”, su Il Sole 24 Ore, 7 febbraio. «Siamo al delirio quotidiano, reso possibile da una menzogna mediaticamente talmente onnipervasiva che ha trasformato in realtà l’incubo orwelliano della Neolingua, nella quale le parole “significano quasi esattamente l’opposto di quel che parevano in un primo momento” – il mafioso diventa eroe, l’odio amore, la latitanza esilio – ma il cui fine “non era soltanto fornire un mezzo di espressione alla concezione del mondo del Regime, ma soprattutto rendere impossibile ogni altra forma di pensiero”»: Paolo Flores d’Arcais, filosofo, direttore della rivista MicroMega, su Il Fatto Quotidiano, 2 gennaio. 43 marzo 2010 CULTURA «Sul caso Eluana […alcuni] punti meritano una pausa di riflessione. Il primo riguarda l’uso del linguaggio. Ormai tutti si lamentano che le parole sono usate nel significato sbagliato. Per risolvere la stortura, la sottosegretaria Roccella ha fatto scrivere un vero e proprio “Glossario” in cui si definiscono i termini chiave […] L’obiettivo è quello di sempre: dando il nome alle cose si vuole dare una rassicurazione ai cittadini turbati, dicendo loro che non devono preoccuparsi»: Maurizio Mori, docente di bioetica all’università di Torino e presidente della Consulta di bioetica (una Onlus che fa da contraltare laicista alla Consulta Nazionale di Bioetica), Liberazione, 21 novembre 2008. «Come in “Alice nel Paese delle Meraviglie”, tutto dipende da come si definiscono le cose. Così la legge, con la sua capacità di nominare, modifica fantasticamente il gioco»: Chiara Zamboni, docente di Filosofia del Linguaggio all'Università di Verona, il Manifesto, 19 marzo 2005. «Oggi più che mai la nostra lingua è usata per nascondere e non per comunicare. E questo succede quando una società si sgretola, è senza memoria e non ha più nulla da dire». Diego Marani, scrittore, glottologo e traduttore presso il Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea, l’Unità, 13 maggio 2004. Concludo questa incompleta antologia con il poliedrico Guido Cernetti, scrittore, filosofo e molte altre cose: «La diseducazione linguistica conduce diritto all’indifferenza a tutto: valori etici, culturali, religiosi del luogo dove “la casa dell’essere”, il linguaggio in cui lo spirito della lingua s’incarna, patisce [un terremoto] scala Richter al settimo [grado]»: Corriere della sera, 14 gennaio. Come si vede e se si escludono il primo e l’ultimo, tutti questi testi provengono da giornali comunisti o post-comunisti che, 62 anni dopo la “Neolingua” di Gorge Orwell (in “1984”), 45 dopo l’articolo su “L’Antilingua” di Italo Calvino sul Giorno (3 febbraio 1965) e 17 dopo la pubblicazione del primo “Dizionario dell’Antilingua” curato da chi scrive (1993), sembrano anch’essi aver scoperto e voler denunciare l’uso di “parole dette per non dire quello che si ha paura di dire”. Tuttavia è difficile sostenere se si tratta di ritardo, di ingenuità o di ulteriore malizia. E ciò non solamente perché coloro che in Italia hanno varato l’Antilingua con cui vengono deliberatamente presentati e qualificati pressoché tutti i problemi più seri della bioetica (dalla interruzione volontaria della gravidanza alla contraccezione d’emergenza, all’ovulo fecondato, al grumo di cellule, al progetto di uomo, alla ominazione, alla clonazione terapeutica eccetera) sono proprio quelli cui appartengono le citazioni che ho appena riportato, ma soprattutto perché, come faceva notare Orwell nel “1984”, è proprio il comunismo che ha inventato l’Antilingua. Come il filosofo russo-tedesco, Boris Groys, osserva nel suo Post Scriptum Comunista, un piccolo libro recentemente tradotto e pubblicato anche in Italia, Stalin aveva perfettamente intuito che «la rivoluzione comunista è il passaggio dal medium del denaro» (tipico della società capitalista) «al medium del linguaggio» e aveva adoperato quest’ultimo come metodo per manipolare la cultura in tutti i Paesi dell’Unione Sovietica e in quelli sotto il suo diretto controllo. Groys era nato a Berlino Est, ma è vissuto in Russia e poi, nel 1981, è tornato in Germania, dove ora insegna Teoria dei media alla Scuola superiore di pedagogia. Gli eredi da sinistra a destra: Gilberto Corbellini, Paolo Flores d’Arcais, Maurizio Mori, Chiara Zamboni, Diego Marano. In basso: Boris Groys Dai suoi studi risulta chiaramente come l’uso politico e ingannevole della parola fosse una sorta di perfezionamento della intuizione di tutti i regimi totalitari, secondo i quali il controllo dell’informazione è innanzi tutto necessario per la conquista del potere (se ne fa esperienza persino in democrazia e l’esito negativo del referendum sull’aborto del 1981 fu dovuto proprio alla massiccia pressione della quasi totalità dei media a favore della “interruzione volontaria della gravidanza”). In Inghilterra se n’era occupato anche Robert Nigel Carew Hunt, docente a Oxford, con la sua “Breve guida al gergo comunista” pubblicata a Londra nel 1957 e in Italia nel 1961. Quel gergo era una vera Antilingua composta di una lunga serie di vocaboli come centralismo democratico, democrazia popolare e proletaria, deviazionismo, frazionismo, realismo socialista, vigilanza rivoluzionaria, internazionalismo proletario eccetera. Con un martellamento propagandistico continuo di questo gergo il regime comunista era riuscito a manipolare il linguaggio e, conseguentemente, a imporre la filosofia e la prassi comuniste, sfruttando la buona fede e la disinformazione delle “masse popolari”. Del resto anche noi sappiamo bene quali lacerazioni culturali e morali l’Antilingua lasci nella mentalità e nei comportamenti della gente in Italia e in tutte le democrazie occidentali, a partire proprio dagli Stati Uniti, il nemico Numero Uno del comunismo sovietico. Come si è visto e come si potrebbe ulteriormente dimostrare, la fondatezza dell’allarme – purtroppo quasi sempre vano – contro l’Antilingua riceve ora più che una conferma proprio dallo schieramento che l’ha promossa, coltivata e continuamente alimentata. Resta da chiedersi come sia possibile che proprio i padri e gli utenti dell’Antilingua imputino al campo della difesa della vita e dell’etica naturale la tecnica di manipolazione del linguaggio di cui ci stiamo occupando. Per esempio il già ricordato Maurizio Mori precisa la “dottrina” laicista circa la vita accusando chi la difende (i cristiani vitalisti, nel linguaggio laicista) di servirsi, per esempio, dell’accostamento eutanasia-Nazismo «per puntellare l’etica della sacralità della vita, secondo cui la vita umana è buona in sé a prescindere dai contenuti». E afferma che «è preferibile lasciare il termine “eutanasia” solo a quella “attiva”, vale a dire solo al caso in cui si procede con un’azione specifica a causare la morte di un paziente che lo ha richiesto», per cui, scrive, «nel caso di Eluana non ha senso parlare di eutanasia […] Non sempre atti benefici sono moralmente buoni» (ancora su Liberazione). Invece su il Manifesto Chiara Zamboni definisce addirittura «grottesco» che «un ovulo appena fecondato» sia considerato «soggetto di diritto: sembra di essere catapultati al di là dello specchio di Alice, dove le cose sono viste al contrario». E ricorda come una psicoanalista femminista francese in un suo lavoro ricordi come le madri trovino parole «per raffigurarsi il bambino o la bambina che nascerà. Non si immaginano un feto, ma una creatura che sarà così e così» e in tal modo preparano «una culla di parole per chi viene al mondo» mentre la realtà vorrebbe che pensassero «alla singolarità dell’altro che portano con sé», cioè pensare «il feto come feto, come grumo di carne in divenire, come appendice del proprio corpo». Per finire un’altra citazione “dotta” di un cattedratico: «I preti non si sposano, ma predicano il matrimonio agli altri; l’omosessualità è diffusissima, ma è definita ufficialmente una pratica contro natura e una malattia. Non sono parole di verità, ma normali procedure di autoconservazione di un organismo politico costruito su una mitologia che ha funzionato nei secoli e funziona ancora e che non si può modificare senza il rischio di vedere la propria fine» (Luciano Albanese, professore associato della facoltà di Filosofia della Sapienza a Roma, il Manifesto, 29 maggio 2007). PIER GIORGIO LIVERANI