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breve antologia dei testi di s. freud sull`amleto di

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breve antologia dei testi di s. freud sull`amleto di
Nome file
0607ANTSC_SA3.pdf
data
2006/07
Contesto
ENC
Relatori
S Alemani
Liv. revisione
Pubblicazione
CORSO DI STUDIUM ENCICLOPEDIA 2006-2007
IDEA DI UNA UNIVERSITÀ
IL TRIBUNALE FREUD
BREVE ANTOLOGIA DEI TESTI DI S. FREUD
SULL’AMLETO DI W. SHAKESPEARE
A cura di Alessandro Alemani
Dalla LETTERA a Wilhelm Fliess del 15 ottobre 1897:
“Da allora sono andato molto più avanti, ma ancora non ho raggiunto un vero luogo di riposo.
Comunicare l’incompleto è così faticoso e mi porterebbe così lontano che spero che lei vorrà scusarmi,
accontentandosi di udire quelle parti che sono oramai certe e definitive. Se l’analisi procede come io mi
aspetto, la metterò tutta quanta per iscritto sistematicamente e le metterò davanti i risultati. Per il
momento, non ho trovato nulla di completamente nuovo, ma tutte le complicazioni alle quali ormai
sono abituato. Non è cosa semplice. Essere affatto sinceri con se stessi è un buon esercizio. Mi è venuta
alla mente solo un’idea di valore generale. Ho trovato anche nel mio caso amore per la madre e gelosia
per il padre, e adesso credo che sia un fenomeno generale della prima infanzia, sebbene non sempre si
verifichi altrettanto precocemente come in bambini che siano stati resi isterici. (Lo stesso vale per la
“romanticizzazione delle origini” nel caso dei paranoici-eroi, fondatori di religioni.). Se le cose stanno
così, la forza impressionante dell’Edipo re, nonostante tutte le obiezioni di carattere razionale nei
confronti dell’inesorabilità del fatto che la vicenda presuppone, diviene intelligibile, e si riesce a capire
perché successivi drammi sul fato siano stati così fallimentari. I nostri sentimenti si ribellano contro
qualsiasi fato arbitrario, individuale, come quello mostratoci nel Ahnfrau ecc., ma il mito greco fa
ricorso a una pulsione che chiunque riconosce perché ne ha avvertito tracce in se stesso. Ogni
componente l’uditorio è stato almeno una volta, nella propria fantasia, un Edipo in boccio, e
l’attuazione del sogno che si verifichi nella realtà induce chiunque a ritirarsi orripilato, con tutto il peso
della rimozione che separa il suo stato infantile dal suo attuale.
Mi è passata per la mente l’idea che la stessa cosa possa essere alla radice dell’Amleto. Non alludo a
intenzioni consapevoli di Shakespeare, ma suppongo piuttosto che si stato spinto a scriverlo da un
evento reale perché il suo stesso inconscio comprendeva quello del suo eroe. Come si può spiegare la
frase dell’isterico Amleto,”così la coscienza può fare di noi tutti dei codardi”, e la sua esitazione a
vendicare il padre uccidendo lo zio, quando lui stesso con tanta indifferenza spedisce propri cortigiani
alla morte e spaccia così sveltamente Laerte? Come si può spiegarlo meglio che con il tormento
suscitato in lui dall’oscuro ricordo di avere egli stesso meditato l’identica azione contro suo padre a
causa della passione per sua madre: “Usa ogni uomo dopo la sua diserzione, e chi potrebbe sfuggire alla
frusta?”. La sua coscienza è il suo inconscio sentimento di colpa. E non sono forse tipicamente isterici
la sua freddezza sessuale quando parla con Ofelia, la sua reiezione dell’istinto di generare figli, e infine
il suo transfert dell’azione da suo padre a Ofelia? E forse che alla fine non riesce, esattamente allo
stesso, singolare modo con cui lo fanno i miei isterici, ad attirare su di sé la punizione e a subire lo
stesso destino di suo padre, quello di essere avvelenato dallo stesso rivale?”.
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Da L’INTRPRETAZIONE DEI SOGNI (OSF, vol. III, p. 246 e p. 167):
“Nello stesso terreno dell’Edipo re si radica un’altra grande creazione tragica, l’Amleto di Shakespeare.
Ma il diverso trattamento dello stesso soggetto rivela l’intera differenza intervenuta nella vita psichica
di queste due epoche di civiltà ampiamente separate: il laico progredire della rimozione nella vita
affettiva dell’umanità. Nell’Edipo, l’infantile fantasia di desiderio che lo sorregge viene tutta alla luce
e realizzata come nel sogno; nell’Amleto permane rimossa e veniamo a sapere della sua esistenza – in
modo simile a quel che si verifica in una nevrosi – soltanto attraverso gli effetti inibitori che ne
derivano. L’effetto travolgente del dramma più recente si è dimostrato singolarmente compatibile col
fatto che si può rimanere perfettamente all’oscuro del carattere dell’eroe. Il dramma è costruito
sull’esitazione di Amleto ad adempiere il compito di vendetta assegnatogli; il testo non rivela quali
siano le cause o i motivi della sua esitazione, né sono stati in grado di indicarli i più diversi tentativi di
interpretazione. Secondo la concezione tutt’ora prevalente, che risale a Goethe, Amleto rappresenta il
tipo d’uomo la cui vigorosa forza di agire è paralizzata dallo sviluppo opprimente dell’attività mentale
(“la tinta nativa della risoluzione è resa malsana dalla pallida cera del pensiero”, Amleto, atto III, scena
1.). Secondo altri, il poeta ha tentato di descrivere un carattere morboso, indeciso, che rientra
nell’ambito della nevrastenia. Sennonché, la finzione drammatica dimostra che Amleto non deve affatto
apparirci come una persona incapace di agire in generale. Lo vediamo agire due volte, la prima in un
improvviso trasporto emotivo, quando uccide colui che sta origliando dietro il tendaggio, una seconda
volta in modo premeditato, quasi perfido quando con tutta la spregiudicatezza del principe
rinascimentale manda i due cortigiani alla morte a lui stesso destinata. Che cosa dunque lo inibisce
nell’adempimento del compito che lo spettro di suo padre gli ha assegnato? Appare qui di nuovo chiara
la spiegazione: la particolare natura di questo compito. Amleto può tutto, tranne compiere la vendetta
sull’uomo che ha eliminato suo padre prendendone il posto presso sua madre, l’uomo che gli mostra
attuati i suoi desideri infantili rimossi. Il ribrezzo che dovrebbe spingerlo alla vendetta è sostituito in lui
da autorimproveri, scrupoli di coscienza, i quali gli rinfacciano letteralmente che egli stesso non è
migliore del peccatore che dovrebbe punire. Così ho tradotto in termini di vita cosciente ciò che nella
psiche dell’eroe deve rimanere inconscio. Se qualcuno vuol dare ad Amleto la denominazione di
isterico, posso accettarla solo come corollario della mia interpretazione. A questo ben s’accorda
l’avversione sessuale che Amleto manifesta poi nel dialogo con Ofelia, la medesima avversione
sessuale che negli anni successivi doveva impadronirsi sempre più dell’animo del poeta, sino alle sue
estreme manifestazioni nel Timone d’Atene. Naturalmente può essere solo la personale vita psichica del
poeta, quella che si pone di fronte a noi nell’Amleto. Traggo dall’opera di Georg Brandes su
Shakespeare la notizia che il dramma è stato composto immediatamente dopo la morte del padre di
Shakespeare (1601), quindi in pieno lutto, nella reviviscenza – ci è lecito supporre – delle sensazioni
infantili di fronte al padre. E’noto anche che il figlio di Shakespeare, morto giovane, aveva nome
Hamnet (identico a Hamlet). Come l’Amleto tratta del rapporto del figlio con i genitori, così il Macbeth,
cronologicamente vicino, ha per tema la mancanza di figli. Del resto, nello stesso modo in cui ogni
sintomo nevrotico, e il sogno stesso, sono passibili di sovrainterpretazione, anzi la esigono per essere
totalmente compresi, cosi anche ogni autentica creazione poetica sorge da più di un motivo, da più di
un impulso nell’anima del poeta e ammette più di una interpretazione”.
“Ma non è necessario, signor mio, che uno spettro sorga dalla sua tomba. Per dirci questo”. [Nota 1:
Atto I, scena 5. Orazio ad Amleto che, esitando a comunicare agli amici il segreto dell’assassinio di suo
padre, rivelatogli dallo spettro, aveva detto: “Non c’è una sola canaglia, in tutta la Danimarca, che non
sia un furfante matricolato”].
Da TOTEM E TABU’ (OSF, vol. VII, p. 90):
“Ora sembra che soltanto l’azione magica, in virtù della sua similarità con ciò che si desidera, possa
costringere l’evento a verificarsi. A livello del pensiero animistico non si dà ancora alcuna occasione di
dimostrare con obiettività come stanno effettivamente le cose, ma questa occasione esiste a livelli
successivi, quando, pur continuando tutte queste procedure ad essere osservate, comincia a manifestarsi
il fenomeno psichico del dubbio, come espressione di una tendenza alla rimozione. Solo allora gli
uomini ammetteranno che, se non si crede negli spiriti, scongiurarli non approda a niente e che anche il
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potere magico della preghiera fallisce se dietro di esso non opera la pietà religiosa.” [Nota 3: Vedi il Re
nell’Amleto, atto III, scena 3: “Le mie parole volan su, i miei pensieri restano al basso; parole senza
pensieri mai non giungono in cielo.”]
Da Il MOSE’ DI MICHELANGELO (OSF, vol. VII, p. 300):
“Pensiamo per esempio all’Amleto, il capolavoro creato da Shakespeare oltre tre secoli fa. Mi sono
tenuto al corrente della letteratura psicoanalitica, e concordo con l’affermazione secondo cui soltanto la
psicoanalisi, riconducendone la materia al tema di Edipo, ha risolto l’enigma dell’effetto suscitato da
questa tragedia. Ma, prima che questo venisse fatto, che sovrabbondanza di tentativi d’interpretazione
diversi e tra loro incompatibili, che grande disparità di opinioni sul carattere dell’eroe e sulle intenzioni
del poeta! Shakespeare si è proposto di farci partecipare alle vicende di un malato, di un inetto minus
abens, o di un idealista che è solo troppo buono per il mondo reale? E quante di queste interpretazioni
ci lasciano freddi, al punto che non possono far niente per spiegare l’effetto suscitato dalla poesia e ci
inducono piuttosto all’ipotesi che il suo incanto risieda unicamente nell’impressione provocata dai
pensieri e nello splendore della lingua! Eppure questi sforzi non rimandano precisamente all’esigenza
che si avverte di trovare, al di là di questa, un’altra fonte dell’effetto poetico?” .
Da CASO CLINICO DELL’UOMO DEI LUPI (OSF, vol. VII, p. 491):
“Che i lettori siano almeno persuasi che quelli che riferirò sono fatti venutimi innanzi da soli, a
prescindere dalle mie aspettative in proposito, che per nulla li hanno influenzati. Non mi restava che
ricordarmi delle sagge parole: ci sono più cose, tra cielo e terra, di quante ne insegni la nosta filosofia.[
Nota 2: Dall’Amleto di Shakespeare, atto I, scena 5]. E di queste cose, ne scopriranno certo di più
coloro che sapranno prescindere radicalmente da convinzioni preconcette.”
Da PERSONAGGI PSICOPATICI SULLA SCENA (OSF, vol. V, p. 231)
“Il primo di questi drammi moderni è l’Amleto. Esso ha per argomento il modo con cui un uomo che in
precedenza è stato normale diviene nevrotico a causa della particolare natura del compito con cui si
trova alle prese, un uomo, voglio dire, in cui una pulsione che in precedenza era stata efficacemente
rimossa tenta di farsi strada nell’azione. L’Amleto presenta tre caratteristiche che sembrano importanti
in connessione con la nostra presente discussione. 1) Il protagonista non è psicopatico, ma diviene
psicopatico solo nel corso dell’azione scenica. 2) La pulsione rimossa è una di quelle che sono allo
stesso modo rimosse in ciascuno di noi, e la cui rimozione è parte integrante dei fondamenti della
nostra personale evoluzione. E’ questa rimozione a essere scossa dalla situazione nel dramma. Il
risultato di queste due caratteristiche è che per noi risulta facile riconoscerci nel protagonista: siamo
suscettibili allo stesso suo conflitto, dal momento che “una persona la quale smarrisca la propria
ragione in certe condizioni può darsi non abbia nessuna ragione da perdere”. 3) Sembra essere una
necessaria precondizione di questa forma d’arte che alla pulsione che si fa strada nella coscienza, per
quanto chiaramente riconoscibile, non venga mai dato un nome definitivo; sicchè, anche nello
spettatore il processo si compie mentre la sua attenzione è volta altrove, e lo spettatore in preda alle
proprie emozioni anziché rendersi conto di ciò che stava accadendo. In tal modo, indubbiamente un
certo quantitativo di resistenza viene risparmiato, esattamente come, nel trattamento analitico, troviamo
derivati del materiale rimosso che raggiungono la coscienza a causa di una minor resistenza, mentre il
materiale rimosso di per sé non è in grado di farlo. In fin dei conti, il conflitto nell’Amleto è così
efficacemente nascosto che è stato riservato a me il compito di riportarlo alla luce”.
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Dall’AUTOBIOGRAFIA (OSF, vol. X, p. 130 ):
“Fato e oracolo non erano altro che materializzazioni di una necessità interiore. Il fatto che l’eroe si
fosse macchiato di una colpa senza saperlo né volerlo fu inteso come l’esatta espressione della natura
inconscia delle sue tendenze criminali. Inteso così il significato di questa tragedia del fato, bastò
pochissimo per giungere al chiarimento di quella grande tragedia del carattere che è l’Amleto, un’opera
che da trecento anni tutti ammiravano senza che nessuno fosse mai riuscito a indicarne il significato né
a penetrare i moventi del poeta. Era ben singolare che questo nevrotico creato dal poeta fallisse
miseramente di fronte al complesso edipico, al modo stesso di tanti suoi simili nella vita reale; Amleto,
infatti, era stato posto dinanzi al compito di vendicare su una terza persona i due fatti che costituiscono
il contenuto essenziale dl complesso edipico, ma un oscuro senso di colpa gli aveva paralizzato il
braccio impedendogli di compiere la sua vendetta”.
Da DOSTOEVSKIJ E IL PARRICIDIO (OSF, vol. X, p. 532-533):
“La rappresentazione fornita dal dramma inglese è più indiretta: qui non è l’eroe in persona ad aver
compiuto l’azione, bensì un’altra persona per la quale il misfatto non significa parricidio. Non c’è
quindi bisogno qui di velare il motivo scandaloso della rivalità sessuale per il possesso della donna.
Anche il complesso edipico dell’eroe traspare per così dire in una luce riflessa, quando veniamo ad
apprendere l’effetto esercitato su di lui dal delitto dell’altra persona. Egli dovrebbe vendicare
l’assassino, ma si sente stranamente incapace di farlo. Ciò che lo paralizza, lo sappiamo, è il suo senso
di colpa; ma esso viene trasferito sulla percezione della propria inadeguatezza a eseguire questo
compito, e in un modo che ricalca quasi alla lettera i processi nevrotici. Secondo parecchi indizi, l’eroe
sente questa colpa come una colpa che travalica l’individuo. Egli disprezza gli altri non meno di sé
stesso. “Trattate ogni uomo secondo il suo merito,e chi sfuggirà alla frusta?”.
Dalla LETTERA a Arnold Zweig del 2 aprile 1937:
“Sembra non avere proprio nulla a sostegno della sua pretesa, laddove Oxford ha quasi ogni cosa. Mi è
del tutto inconcepibile che Shakespeare abbia avuto ogni cosa di seconda mano, la nevrosi di Amleto la
follia di Lear, la sfida di Macbeth e il personaggio di Lady Macbeth, la gelosia di Otello, eccetera.
Quasi quasi mi irrita che lei voglia sostenere questa idea”.
Dal COMPENDIO DI PSICOANALISI (OSF, vol. XI, p. 619):
“Quando un’altra volta da parte psicoanalitica si attirò l’attenzione sulla facilità con cui, facendo
riferimento al complesso edipico, può essere risolto l’enigma di un altro eroe della poesia, l’esitante
Amleto descritto da Shakespeare (il principe fallisce infatti quando tenta di punire un altro per una
colpa che coincide col contenuto dei suoi stessi desideri edipici), in quella occasione l’universale in
comprensività del mondo letterario dimostrò con quanta caparbietà la massa degli uomini sia propensa
a rimanere ancorata alle proprie rimozioni infantili. Eppure più di un secolo prima dell’avvento della
psicoanalisi, il francese Diderot aveva reso testimonianza del significato del complesso edipico con
questa frase, nella quale è così espressa la differenza tra epoca primitiva e civiltà: “Se il piccolo
selvaggio fosse abbandonato a sé stesso, e se conservasse tutta la sua debolezza mentale e alla
mancanza di ragione propria del bambino in fasce congiungesse la violenza delle passioni dell’uomo di
trent’anni, torcerebbe il collo al padre e giacerebbe con la madre” . Oso dire che, se pure la psicoanalisi
non potesse vantare nessun altro risultato oltre alla scoperta del complesso edipico rimosso, questa
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scoperta sola le darebbe comunque il diritto di essere annoverata tra le preziose nuove acquisizioni
dell’umanità” .
Da IL PENSIERO DI NATURA di G.B.Contri (SIC, 3^ ed. p. 368 ):
“Dice Amleto che la coscienza ci fa vili, ma è inesatto: è la Teoria-censura a fare vile la coscienza con
il ricatto della minaccia dell’angoscia. Consegue che se la florida tinta della risoluzione si scolora, non
è per il pallido riflesso del pensiero – non c’è pallore del pensiero legislativo -, bensì per la pallida
riflessione della coscienza che farebbe bene a riflettere solo un momento e quello giusto, così che
imprese di gran portata vengono dal loro corso deviate e perdono il nome di azione. Le imprese di
gran o meglio in-finita portata sono del pensiero. Le cattive azioni sono altamente coscienziali e povere
anzi debili di pensiero, e in fondo anche di azione” .
© Studium Cartello – 2007
Vietata la riproduzione anche parziale del presente testo con qualsiasi mezzo e per qualsiasi fine
senza previa autorizzazione del proprietario del Copyright
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