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la ristrutturazione del debito dell`impresa secondo la novella dell`art
ARTI GRAFICHE APOLLONIO
Università degli Studi
di Brescia
Dipartimento di
Economia Aziendale
Marta Maria PEDRINOLA
LA RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO
DELL’IMPRESA SECONDO LA NOVELLA
DELL’ART. 182-BIS L.F.
Paper numero 73
Università degli Studi di Brescia
Dipartimento di Economia Aziendale
Contrada Santa Chiara, 50 - 25122 Brescia
tel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814
e-mail: [email protected]
Dicembre 2007
LA RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO DELL’IMPRESA
SECONDO LA NOVELLA DELL’ ART 182-BIS L.F.
di
Marta Maria PEDRINOLA
Dottoranda di ricerca in Economia Aziendale
Università degli Studi di Brescia
Indice
1. Introduzione ............................................................................................... 1
2. L’evoluzione degli istituti .......................................................................... 2
2.1 La prassi previgente al D.L. 14 marzo 2005 n° 35.............................. 2
2.2 La riforma della disciplina delle procedure concorsuali nel suo iter ... 5
2.2.1 Dal progetto Chiaraviglio alla Commissione Trevisanato.......................... 5
2.2.2 Le recenti iniziative governative e il Decreto Legislativo 9 gennaio
2006 n° 5 ................................................................................................... 9
3. Le soluzioni concordate della crisi d’impresa.......................................... 12
4. La disciplina dell’accordo di ristrutturazione dei debiti .......................... 15
4.1 La natura dell’ accordo ....................................................................... 15
4.2 Le fasi esecutive................................................................................... 16
4.3 La forma e il contenuto dell’accordo ................................................. 18
5. La posizione dei creditori nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione
dei debiti e il trattamento dei creditori estranei all’accordo (art. 182bis)............................................................................................................ 20
6. La relazione dell’esperto.......................................................................... 22
7. Conclusioni .............................................................................................. 25
Appendice Fonti Giurisprudenziali .............................................................. 28
Bibliografia .................................................................................................. 37
La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art 182-bis L.F.
1. Introduzione
Il fenomeno della crisi dell’impresa sorge parallelamente alla nascita
dell’impresa stessa, essendone una fase fisiologica del ciclo di vita 1 , ma è
forse a partire dagli anni Settanta del XX secolo che le <crisi> hanno
cessato di essere fenomeni ciclici o episodici per divenire una dinamica
permanente all’interno dell’intero sistema industriale2 .
La volontà di dare una definizione univoca al termine <crisi> si scontra
tuttavia con la diversità dei pareri e degli approcci utilizzati dai diversi
Autori: in tal senso, noto è l’uso del termine in senso strettamente
finanziario, come sinonimo di insolvenza, considerando in crisi l’impresa
che “non è in grado di far fronte alle proprie obbligazioni, o meglio quando
vengono meno le condizioni di liquidità e di credito necessarie per
adempiere, regolarmente e con mezzi normali, alle obbligazioni contratte.” 3 .
Ancora, secondo autorevole opinione “[…]la crisi si sostanzia
nell’instabilità della redditività che porta a rovinose perdite economiche e
di valore del capitale, con conseguenti dissesti nei flussi finanziari, perdita
della capacità di ottenere affidamenti creditizi per un crollo di fiducia da
parte della comunità finanziaria, ma anche da parte dei clienti e fornitori,
innescando così, un pericoloso circolo vizioso” 4 .
Acclarata l’esistenza di uno stato di crisi, il problema principale riguarda
la scelta della soluzione da attuare.
A tal riguardo è noto come si possa agire più o meno
contemporaneamente su più fronti che - almeno in linea ipotetica - si
declinano nei seguenti:
i) scelte di gestione tipica;
ii) scelte di natura finanziaria, in particolare di ri-negoziazione
dell’indebitamento oneroso, senza escludere nuovi apporti di capitale
proprio;
iii) liquidazione di singoli elementi del patrimonio, specie ove non connessi
alla gestione caratteristica;
iv) attuazione di un <piano di risanamento> dell’azienda, acclarata la
sussistenza di seri presupposti per il rilancio dell’attività aziendale;
v) cessione parziale o totale dell’azienda.
1
Cfr. G. MORANDINI presidente della Piccola Industria di Confindustria, intervento al
convegno “Dalla riforma della crisi alla crisi della riforma”, tenutosi l’ 11 maggio 2007 a
Milano.
2
Cfr. L. GUATRI, “Crisi e risanamento delle imprese”, Milano, Giuffrè editore, 1986.
3
Cfr. M. ZITO, “Fisiologia e patologia delle crisi di impresa”, Giuffrè, Milano, 1999.
4
Cfr. L. GUATRI, “Turnaround: declino, crisi e ritorno al valore”, EGEA, Milano,
1995.
1
Marta Maria Pedrinola
La scelta dovrebbe riguardare, come è stato affermato 5 , l’alternativa che
presenti il minor onere, inteso come differenza tra il valore dell’impresa in
crisi e il valore successivo ad ogni singola scelta.
Le scelte ricordate ai numeri (i), (iii), (iv), (v), sono da tempo
ampiamente trattate dalla letteratura. Altrettanto le scelte sub (ii), le quali
peraltro sono oggi mutate nella propria attuazione, dopo il D.L. 14 marzo
2005 n° 35.
Nel prosieguo verranno quindi trattati: l’evoluzione degli istituti (§ 2); le
soluzioni concordate della crisi d’impresa ai sensi del D.L. 14 citato (§ 3); la
disciplina dell’accordo di ristrutturazione del debito (§ 4); la posizione e il
trattamento dei creditori (§ 5); la relazione dell’esperto (§ 6).
2. L’evoluzione degli istituti
2.1 La prassi previgente al D.L. 14 marzo 2005 n° 35
La legge fallimentare del 1942 6 ha disciplinato, pressoché immutata, la
materia delle procedure concorsuali per più di sessanta anni 7 . Quel Regio
Decreto considerava la liquidazione del patrimonio e la conseguente
dissoluzione dell’azienda quale strumento ultimo di regolamentazione del
fenomeno dell’insolvenza 8 .
5
Cfr. S. PROSPERI, “Il governo economico della crisi aziendale”, Giuffrè, Milano,
2003.
6
Regio decreto 16 marzo 1942 n° 267, Gazzetta Ufficiale n° 81 Edizione Straordinaria
del 6 aprile 1942.
7
La citata disciplina è stata affiancata dalla Legge n° 95 del 3 aprile 1979 (Legge
Prodi), per l’amministrazione delle grandi imprese commerciali in crisi. Una tra le
motivazioni che hanno portato all’emanazione di tale Legge è stato il tentativo di risolvere i
problemi che si verificavano nel momento in cui un’impresa di grandi dimensioni, per
essere stata soggetta ad una procedura concorsuale, cessava l’attività, provocando gravi
conseguenze per l’intero sistema economico e sociale. La Legge Prodi si connotava per la
finalità conservativa delle attività aziendali, da attuarsi mediante la prosecuzione,
riattivazione o conversione delle stesse. Si trattava di una procedura il cui cuore era la
continuazione dell’attività, proprio per evitare i danni gravi ed irreparabili che potevano
derivare da brusche interruzioni della stessa. L’obiettivo primo era il salvataggio dal
fallimento delle imprese ritenute di maggior interesse per l’economia nazionale, le quali
erano in tutto o anche solo in parte da ritenersi recuperabili. Essa tendeva a contemperare la
tutela dei creditori, in base al criterio della par condicio, col proseguimento delle attività
produttive e in tal modo a contribuire a conservare i livelli occupazionali in atto. Tale
procedura venne abrogata nel 1999 con l’approvazione del D. Lgs. n° 270, su sollecitazione
europea per rispetto del principio concorrenziale di non assistenza statale alle imprese.
8
Cfr. G. BRUNETTI in “Le crisi d’impresa tra prevenzione e superamento. Un punto
di vista aziendale” in www.portaleaziende.it.
2
La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art 182-bis L.F.
L’incipit della legge sanciva espressamente che “erano soggetti alle
disposizioni sul fallimento gli imprenditori che esercitano una attività
commerciale, esclusi gli enti pubblici e i piccoli imprenditori” 9 . A tal
riguardo erano considerati <piccoli imprenditori 10 > coloro che avessero
esercito un’attività commerciale, che fossero titolari di un reddito inferiore
al minimo imponibile, o che avessero investito un capitale non superiore a
lire novecentomila 11 . Si sottolineava dunque l’esigenza di salvaguardare tale
delicata categoria imprenditoriale, proteggendola da un eventuale
fallimento, che avrebbe minato la palese esiguità dell’attività di impresa, e
indebolito il patrimonio economico produttivo che essa costituiva
nell’insieme 12 .
Se si escludono le finalità risanatorie dell’istituto -innovativo per l’epocadell’amministrazione controllata 13 , che aveva lo scopo di salvaguardare
l’attività aziendale e favorirne il risanamento così da consentire
all’imprenditore il soddisfacimento delle obbligazioni contratte, negli altri
casi l’obiettivo principale era di ottimizzare gli interessi dei creditori,
considerati collettivamente secondo il principio della par condicio
creditorum, rispetto all’attivo fallimentare.
Da ciò discendeva una finalità principalmente liquidatoria della
procedura fallimentare, la quale mirava alla monetizzazione dei cespiti
dell’azienda disgregata.
L’impronta del Legislatore rispondeva ai principi economici e giuridici
propri di quel tempo, fondati su una visione patrimonialista 14 di favor
9
Si veda art. 1 R.D. 16 marzo 1942, n° 267.
Limite così elevato dalla Legge 20 ottobre 1952, n. 1375.
11
La Corte Costituzionale, con sentenza n° 570 del 22 dicembre 1989, ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale della norma. A seguito di ciò la categoria del “piccolo
imprenditore” è stata individuata in base all’art. 2083 c.c. che recita: “Sono piccoli
imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che
esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e
dei componenti della famiglia”.
12
Cfr. VINDIGNI, “Piccolo imprenditore: decisioni nuove, problemi vecchi”, nota alla
Sentenza Trib. Firenze, 31 luglio 1990, in Diritto fallimentare e delle società commerciali,
1990.
13
Introdotta dal Legislatore del 1942, l’Amministrazione Controllata aveva il precipuo
scopo di conservare l’apparato produttivo. Era un mezzo che la legge concedeva al debitore
in temporanea difficoltà per prevenire l’insolvenza stessa e la dichiarazione di fallimento,
allorquando esistessero comprovate possibilità di risanare l’impresa. Tale procedura è stata
abrogata dalla riforma del diritto fallimentare di cui al D. Lgs. n° 5 del 2006 a decorrere dal
16 luglio 2006, fatte salve le procedure a quella data già pendenti.
14
Cfr. Circolare n° 15 del 19 luglio 2006 “La Riforma del diritto Fallimentare”,
Fondazione Luca Pacioli.
10
3
Marta Maria Pedrinola
creditoris 15 .
A ciò si aggiungeva l’intento afflittivo con cui il Legislatore del ‘42
considerava l’imprenditore insolvente, punito per la sua condotta giudicata
riprovevole con l’istituto del fallimento che lo spossessava del suo
patrimonio e gli imponeva limitazioni anche di tipo personale16 . Questi
principi rispondevano congiuntamente all’antica tradizione punitiva di
repressione del reato anche economico, e alla più recente del diritto penale
di uno Stato autoritario. Quei principi, come noto, mutarono più tardi nel
tempo, congiungendosi peraltro al favor di cui poi godette l’impresa in crisi
- nell’ipotesi di poterla risanare in toto o parzialmente - a vantaggio dei
dipendenti, dei creditori, del sistema.
A quell’impianto legislativo, forse rigido forse imperfetto rispetto alle
necessità delle imprese e del sistema, e alla nettezza dell’azione giudiziaria,
si era poi sommata nel tempo la sempre più complessa organizzazione delle
attività economiche. Questa suggeriva la riconsiderazione delle procedure
concorsuali già basate sulla liquidazione dei beni aziendali, nonché la
definizione di soluzioni alternative che consentissero la ristrutturazione e il
salvataggio dell’impresa quale azienda organizzata.
Gli interventi giuridici effettuati, nel contesto internazionale come in
Italia, ebbero l’obiettivo di rendere più flessibile la gestione della crisi, e
introdussero strumenti di carattere prevalentemente negoziale finalizzati a
consentire, in sede stragiudiziale, un più efficiente controllo della crisi
stessa.
A tal proposito il 9 gennaio 2006 il Consiglio dei Ministri ha approvato il
Decreto Legislativo recante “Riforma organica della disciplina delle
procedure concorsuali” 17 , decreto che dovrebbe concludere un iter
legislativo iniziatosi negli anni ’70 del secolo XX.
Filo conduttore della riforma è stata la volontà di recuperare l’impresa o
15
La relazione di accompagnamento alla Legge Fallimentare del 1942 era chiara a tal
proposito e stabiliva: “Nelle sue linee generali la presente Legge reagisce alla concezione
troppo liberistica del codice del 1882 […] e offre una più energica tutela degli interessi
generali rispetto a quelli individuali dei creditori e del debitore. Si suole parlare a tale
proposito di una concezione pubblicistica del fallimento contrapposto a una tradizionale
concezione privatistica […] La nuova Legge assume la tutela dei creditori come un
altissimo interesse pubblico e pone in essere tutti i mezzi perché la realizzazione di questa
tutela non venga intralciata da alcun interesse particolaristico. […]”.
16
Si trattava dell’obbligo di consegna al Curatore della corrispondenza, dell’obbligo di
residenza, dell’iscrizione nel Pubblico registro dei falliti e della perdita dell’elettorato attivo
e passivo.
17
Il D. Lgs. 9 gennaio 2006, n° 5, recante “Riforma organica della disciplina delle
procedure concorsuali, a norma dell’art. 1, comma 5, della legge 14 marzo 2005, n° 80”, è
stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n° 12, Supplemento Ordinario n° 13 del 16
gennaio 2006.
4
La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art 182-bis L.F.
parte di essa, talché fine della procedura non è più la mera liquidazione dei
beni (con il conseguente soddisfacimento dei creditori), bensì la
conservazione e il risanamento dell’impresa stessa: da un sistema legislativo
orientato ai creditori si è quindi transitati ad uno orientato all’impresa, pur
nel senso anzidetto.
Accanto alle procedure liquidatorie sono state infatti introdotte, o
potenziate, procedure alternative di ristrutturazione o riorganizzazione, il cui
obiettivo principale è tipicamente il recupero dell’economicità aziendale.
Le soluzioni concordate si innestano principalmente su procedure nonliquidatorie, e hanno la funzione di incoraggiare la collaborazione del
debitore.
In particolare, la disciplina degli accordi stragiudiziali, introdotta
nell’ordinamento italiano dall’art 182-bis L.F., ha risposto alla volontà di
favorire le ipotesi di composizione contrattuale della crisi, affidando la
gestione della stessa ai soggetti coinvolti dal dissesto, riconoscendo loro la
possibilità di promuovere e definire soluzioni pattizie alternative.
L’utilizzazione di tali strumenti, ancorché largamente realizzati in
precedenza nella prassi d’impresa al di fuori della Legge Fallimentare,
presupponeva sì accordi tra debitore e creditori sulle possibili modalità di
soddisfacimento dei crediti, ma doveva però sempre e comunque venire
posta in relazione con il rischio di successiva dichiarazione di fallimento e
con le sue conseguenze, sia per il debitore 18 sia per i creditori, esponendo
questi ultimi al rischio di azioni revocatorie e all’applicazione delle
previsioni di cui all’art. 218 L.F. 19 .
Il D.L. n° 35 del 2005 ha quindi fortemente assecondato l’esigenza di
prevedere una tutela normativa in favore delle soluzioni privatistiche della
crisi d’impresa, al fine di limitare i rischi evidenziati.
2.2 La riforma della disciplina delle procedure concorsuali nel suo iter
2.2.1 Dal progetto Chiaraviglio alla Commissione Trevisanato
L’esigenza di una modifica della Legge Fallimentare si inizia a sentire
già a partire dagli anni ’70 del XX secolo, da un lato con l’importante
18
In caso di successiva dichiarazione di fallimento, poteva venire accusato di bancarotta
preferenziale.
19
Si veda art. 218 L.F. “Salvo che il fatto costituisca un reato più grave, è punito con la
reclusione fino a due anni l’imprenditore esercente un’attività commerciale che ricorre o
continua a ricorrere al credito, dissimulando il proprio dissesto. Salve le altre pene
accessorie di cui al capo III titolo II libro I del codice penale, la condanna importa
l’inabilitazione all’esercizio di un’ impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici
direttivi presso qualsiasi impresa fino a tre anni”.
5
Marta Maria Pedrinola
proposta Chiaraviglio-Gerini-Servergnini e il Decreto Legge n° 602 del 5
ottobre 1978 20 (poi non convertito), dall’altro con l’approvazione della
Legge n° 95 del 3 aprile 1979 21 .
Il progetto sopra menzionato, opera di tre dottori commercialisti,
proponeva una riforma delle procedure concorsuali che prevedesse quale
condizione applicativa “una situazione di crisi, intesa in senso economico di
squilibrio tra costi e ricavi di gestione, insufficienza cioè di questi a coprire
quelli” 22 . Si anticipava 23 quindi la possibilità di un intervento preventivo
sull’impresa in ragione della considerazione dell’insolvenza come “punto di
arrivo di un cammino, nel corso del quale le manifestazioni del cattivo
andamento sono state sicure e numerose” 24 .
La novità di maggior rilievo riguardava il piano di ristrutturazione 25 che
gli amministratori potevano proporre al Tribunale competente il quale prescindendo da ogni possibile controllo di merito - dopo aver esaminato la
correttezza formale della domanda, dichiarava l’impresa sottoposta a
controllo giudiziario. Nel corso di questo periodo di “controllo giudiziale”,
l’amministrazione della società continuava ad essere affidata all’organo
societario e il Tribunale, oltre a poter disporre la moratoria dei pagamenti e
la sospensione degli interessi, poteva approvare ulteriori provvedimenti
“strumentali agli effetti della più agevole riuscita del piano di
ristrutturazione” 26 .
Si reputava inoltre dovessero costituire ulteriori condizioni per la riuscita
del piano:
i) il riconoscimento delle pre-deduzioni ai creditori posteriori;
ii) l’obbligatorietà della procedura per tutto il ceto creditorio, il cui
parere era vincolante soltanto nell’ipotesi in cui si richiedeva la
protrazione della moratoria oltre l’anno;
iii) il controllo costante da parte del Tribunale;
iv) la salvaguardia del principio della par condicio creditorum.
20
Rubricato “Misure dirette ad agevolare la ripresa delle imprese in difficoltà”.
La quale convertiva in legge, con modificazioni, il decreto-legge 30 gennaio 1979, n°
26, concernente provvedimenti urgenti per l’amministrazione straordinaria delle grandi
imprese in crisi.
22
Cfr. L. CHIARAVIGLIO – L. GERINI – O. SEVERGNINI “Le procedure
concorsuali previste dalla legislazione vigente e l’attuale realtà economica e sociale”.
Relazione presentata al XXI° Congresso nazionale dei Dottori Commercialisti tenutosi in
Venezia nel mese di ottobre 1978 e pubblicata sulla Rivista dei dottori commercialisti,
1979.
23
Si prescindeva ciò dalla manifestazione finanziaria, bastando per l’avvio di una
procedura lo stato di crisi economica.
24
Cfr. L. CHIARAVIGLIO – L. GERINI – O. SEVERGNINI op. cit..
25
In caso di crisi di non breve durata, ma comunque sanabile.
26
Cfr. L. CHIARAVIGLIO – L. GERINI – O. SEVERGNINI op. cit..
21
6
La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art 182-bis L.F.
Nel caso in cui gli amministratori dell’impresa avessero interpretato lo
squilibrio tra costi e ricavi come manifestazione di crisi irreversibile, non
rimediabile con qualsivoglia ristrutturazione, loro dovere era di porre fine
all’impresa, “accingendovi si quando la stessa era ancora nelle condizioni
di poter assolvere tutte le sue obbligazioni”.
Le modifiche proposte invece all’istituto del concordato preventivo e al
fallimento erano volte all’acceleramento e alla semplificazione delle
procedure, al riordinamento delle sanzioni, infine alla responsabilizzazione
di coloro che svolgevano funzioni di amministrazione e controllo all’interno
dell’impresa.
Questo progetto non ebbe alcun seguito parlamentare, così come i
progetti di riforma della Legge Fallimentare che in qualche modo raccolsero
tale proposta.
Il successivo progetto complessivo di riforma delle procedure
concorsuali, il disegno di legge n° 7458 27 , risale all’anno 2000.
Esso conteneva una proposta di legge-delega che puntava a riordinare le
procedure concorsuali, predisponendone due sole, che sostituivano tutte le
precedenti:
i) una di crisi;
ii) una di insolvenza.
Scopo della prima procedura era di consentire il risanamento
dell’impresa e la continuazione dell’attività. Le caratteristiche principali
riguardavano la gestione dell’impresa e l’amministrazione del patrimonio
che rimanevano all’imprenditore, sebbene assoggettate al controllo
giudiziale.
Il giudice delegato e i commissari giudiziali potevano controllare la
procedura e autorizzare il compimento degli atti di gestione e
amministrazione di particolare rilevanza.
La procedura di insolvenza, a propria volta, si divideva in due fasi: la
prima tesa all’accertamento della consistenza effettiva del patrimonio del
debitore, la seconda volta ad attuare un programma alternativamente di
risanamento o di liquidazione.
Il disegno di legge non prevedeva alcuna conseguenza di carattere
personale in capo all’imprenditore, né forma alcuna di soluzione
stragiudiziale della crisi.
Parallelamente al disegno di legge n° 7458, veniva presentata alla
27
Recante “Delega al governo per la riforma delle procedure relative alle imprese in
crisi”, presentato il 24 novembre 2000.
7
Marta Maria Pedrinola
Camera dei Deputati la proposta di legge n° 7497 28 .
Anche tale proposta distingueva tra una procedura di carattere
anticipatorio 29 e una di carattere liquidatorio 30 , ma al contrario della
precedente contemplava:
i) la possibilità di accordi tra debitore e creditore;
ii) l’abbreviazione generale dei termini, al fine di rendere più celere la
procedura;
iii) meccanismi premiali a favore del debitore che richiedesse
tempestivamente l’avvio della procedura.
Nonostante la completezza delle due proposte di legge-delega, nessuna fu
approvata nel corso della XIII legislatura.
Alla fine del 2001 veniva quindi istituita, presso il Ministero della
Giustizia, la Commissione per la riforma della disciplina delle procedure
concorsuali (c.d. Commissione Trevisanato 31 ), che avrebbe dovuto
elaborare un autonomo progetto di legge-delega da presentare al
Parlamento. La commissione elaborò una proposta che prevedeva la
sostituzione delle procedure concorsuali ancora in vigore con una disciplina
organica articolata in:
i) meccanismi di prevenzione e di allerta;
ii) procedura di composizione concordata della crisi;
iii) procedura di insolvenza 32 .
L’attivazione della procedura di composizione concordata della crisi si
proponeva venisse subordinata alla sussistenza di alcune condizioni (quali
l’impossibilità o la temporanea difficoltà ad adempiere le proprie
obbligazioni o il pericolo di insolvenza) determinate da una situazione di
squilibrio patrimoniale, economico, finanziario tale da compromettere la
continuità aziendale. La procedura di insolvenza, che al contrario della
precedente aveva quale unico presupposto l’impossibilità di adempiere
28
Rubricata “Delega al Governo per la riforma delle procedure della crisi di impresa”.
Fu presentata il 14 dicembre 2000 su iniziativa dei deputati: Veltroni, Mussi, Agostini,
Folena, Finocchiaro, Fidelbo, Benvenuto, Biasco, Brunale, Cennamo, Chiusoli, Panattoni,
Rabbito, Targetti, Vannoni.
29
La procedura di ristrutturazione delle passività.
30
La procedura di insolvenza.
31
“Commissione per l’elaborazione di principi direttivi di uno schema di disegno di
legge-delega al governo, relativo all’emanazione della nuova legge fallimentare ed alla
revisione delle norme concernenti gli istituti connessi”. Istituita con D.I. 28 novembre 2001
presso l’Ufficio Legislativo.
32
Cfr. “La riforma della disciplina della crisi d’impresa” progetto coordinato da
Innocenzo Cipolletta, Stefano Micossi, e Giangiacomo Nardozzi, in www.confindustria.it.
8
La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art 182-bis L.F.
regolarmente alle proprie obbligazioni, si caratterizzava per essere di natura
liquidatoria.
Uno dei punti più problematici della proposta di riforma riguardava
tuttavia la disciplina degli atti pregiudizievoli per i creditori. Su questo
punto si confrontavano, all’interno della commissione, due visioni
contrapposte: la prima considerava l’azione revocatoria come uno strumento
avente funzione risarcitoria 33 , mentre la seconda ribadiva l’impostazione
della legge fallimentare, evidenziando l’importanza dello strumento ai fini
della tutela del principio della par condicio creditorum 34 .
La commissione Trevisanato non trovando una soluzione unica e
condivisa presentava, nel 2003 due disegni di legge, uno di maggioranza e
uno di minoranza, entrambi senza esito parlamentare.
2.2.2 Le recenti iniziative governative e il Decreto Legislativo 9 gennaio
2006 n° 5
Contestualmente ai lavori di tale Commissione, il Consiglio dei Ministri
aveva tuttavia approvato, l’8 marzo 2002, il disegno di legge n° 1243,
recante “Modifiche urgenti al R.D. 16 marzo 1942, n° 267”.
Questo intervento avrebbe dovuto avere carattere meramente
anticipatorio di una riforma di più ampio respiro, ed era “teso ad adeguare la
normativa vigente, senza sconvolgerne l’impianto, in modo da consentire
che le procedure pendenti e quelle sopravvenienti potessero, da subito,
svolgersi secondo regole più chiare e certe e concludersi, per quanto
possibile, in tempi più brevi” 35 .
Tra le modifiche di maggior rilievo vi era l’eliminazione del richiamo
alla nozione di <piccolo imprenditore>, l’abrogazione delle disposizioni
concernenti la presunzione muciana 36 , la limitazione delle incapacità
personali del fallito, la possibilità di disporre la continuazione temporanea
dell’esercizio dell’impresa, l’abrogazione dell’istituto della riabilitazione
civile.
I contenuti del citato disegno-legge furono modificati nel dicembre 2004,
allorché il Governo presentò un corposo numero di emendamenti che ne
ampliavano notevolmente i contenuti. Tale intervento 37 si proponeva di
apportare importanti modifiche a numerosi disposti della legge fallimentare,
33
Concezione indennitaria, per cui dovevano essere revocati soltanto gli atti che
pregiudicano le garanzie patrimoniali.
34
Cfr. “La riforma della disciplina della crisi d’impresa” progetto coordinato da
Innocenzo Cipolletta, Stefano Micossi e Giangiacomo Nardozzi, in www.confindustria.it.
35
Si veda la relazione al Disegno di legge n° 1243.
36
Secondo la quale si presupponevano comprati con denaro del fallito i beni acquistati
dal coniuge dello stesso nei 5 anni precedenti la dichiarazione di fallimento.
37
Noto come maxi-emendamento.
9
Marta Maria Pedrinola
e rinviava alla stesura di una successiva legge-delega la definizione di
ulteriori principî. Gli emendamenti del Governo, ancorché approvati nel
Consiglio dei Ministri del 23 dicembre 2004, non furono però oggetto di
successivo dibattito parlamentare.
Per non rendere vane le proposte di modifica contenute nel maxiemendamento, il Parlamento ne riprese alcuni tra gli elementi più
qualificanti nel D.L. 14 marzo 2005 n° 35, proponendosi di inserire le
restanti disposizioni all’interno di un disegno di legge che avrebbe dovuto
trovare definizione in sede parlamentare.
Con la Legge n° 80 dello stesso anno il Governo ha poi provveduto alla
conversione in legge del D.L. n° 35; in autunno è stato licenziato un decreto
attuativo 38 approvato dal Consiglio dei ministri il 22 dicembre 2005. Per
ultimare il processo il 16 gennaio 2006 è stato pubblicato in Gazzetta
Ufficiale il D.Lgs. del 9 gennaio 2006 n° 5 39 .
Gli addetti ai lavori hanno parlato di una “rivoluzione copernicana” 40
che porrebbe l’Italia al passo con l’Europa nella disciplina delle procedure
concorsuali.
Il provvedimento interviene in maniera significativa sulla disciplina
concorsuale, a completamento dei primi interventi apportatati dal Decreto
Legge 14 marzo 2005, n° 35, nell’ambito del quale il Legislatore ha da un
lato modificato la disciplina del concordato preventivo e della revocatoria
fallimentare, dall’altro introdotto alcuni innovativi istituti che ampliano gli
spazi per la gestione privatistica della crisi dell’impresa.
Una delle novità di maggior rilievo è l’introduzione nella legge
fallimentare del nuovo art. 182-bis, concernente gli accordi di
38
Su proposta del Ministro della giustizia, Castelli e del Ministro dell’economia e delle
finanze Tremonti, il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legislativo che attua la
delega conferita al Governo a riformare l’istituto del fallimento e le procedure connesse. Il
provvedimento incide su ampie parti della disciplina contenuta nel regio decreto n. 267 del
1942 (disciplina del fallimento, del concordato preventivo,dell’amministrazione controllata
e della liquidazione coatta amministrativa) innovandole significativamente ed abrogandone
diverse parti (ad esempio l’intera disciplina dell’amministrazione controllata) secondo
criteri improntati all’estensione dei soggetti esonerati dall’applicabilità dell’istituto del
fallimento, all’accelerazione delle procedure applicabili alle controversie relative, alla
valorizzazione del ruolo e dei poteri del curatore fallimentare e del comitato dei creditori, al
ridimensionamento di quelli del giudice delegato; viene introdotta ex-novo la disciplina
dell’esdebitazione, cioè la liberazione del debitore dai debiti residui nei confronti dei
creditori in taluni casi di buona condotta.
39
Rubricato “Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma
dell’articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80”.
40
L’espressione è del Ministro della Giustizia Roberto Castelli, in un articolo
pubblicato su “Il Giornale” del 23 dicembre 2005.
10
La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art 182-bis L.F.
ristrutturazione del debito.
Si tratta di un istituto ampiamente conosciuto e diffuso nella prassi, ben
definito in molteplici legislazioni straniere41 , già codificato dall’ABI 42 , di
cui si auspicava da parte di alcuni la recezione anche nell’ordinamento
nazionale, quale strumento di risoluzione negoziale della crisi 43
dell’impresa, nel senso del suo risanamento 44 .
Da sempre, infatti, debitori e creditori sono soliti ricorrere a concordati
stragiudiziali per definire i loro rapporti e cercare di superare la situazione
di crisi, ma ciò avveniva senza poter fruire dei vantaggi della stabilità e
certezza giuridica che scaturiscono solo dalla recezione nell’ordinamento.
Era quindi necessaria una legittimazione di diritto positivo che assegnasse
41
Principale punto di riferimento è la legislazione statunitense, che disciplina la
procedura della Corporate Reorganization, in cui occupano un posto centrale gli accordi tra
debitore e creditori, che tengono in grande considerazione le ragioni dell’impresa e
dell’imprenditore (debtor oriented,), cui si cerca di fornire il c.d. fresh start, ovvero una
nuova opportunità di operare sul mercato. Nella procedura statunitense è prevista anche la
suddivisione dei creditori in classi secondo interessi omogenei, e il trattamento
differenziato delle singole classi; la differenza più rilevante rispetto agli accordi di cui
all’art. 182-bis è data dalla regola del “cram down”, secondo la quale, se c’è almeno una
classe di creditori a favore dell’accordo, questo si impone anche ai creditori il cui dissenso
non è dovuto dal fatto che ricevono un trattamento inferiore a quanto potrebbero ricevere
in sede di liquidazione dell’impresa.
42
L’Associazione Bancaria Italiana nel gennaio 2000 ha redatto il “Codice di
Comportamento per affrontare i processi di ristrutturazione atti a superare le crisi di
impresa”, finalizzato a far emergere con tempestività le situazioni di difficoltà delle
imprese finanziate dal settore e ad individuare i conseguenti comportamenti. L’iniziativa ha
consentito al sistema bancario italiano di ispirarsi alle esperienze estere più significative,
dove il ricorso ai Codici di comportamento è largamente diffuso. Obiettivo del Codice è
fissare i principi comportamentali che facilitano l’adozione di procedure di concertazione
finalizzate al superamento di difficoltà reversibili dell’ impresa. Il Codice, predisposto con
l’ausilio di un rappresentativo gruppo di lavoro della Commissione Tecnica Legale, è stato
approvato dal Comitato Esecutivo dell’ABI nella riunione del 20 ottobre 1999. Esso è
aperto all’adesione volontaria delle banche e degli altri intermediari finanziari (di cui agli
articoli 106 e 107 Testo unico bancario), che possono aderirvi anche a livello di gruppo.
43
Secondo S. BONFATTI, “La promozione e la tutela delle procedure di composizione
negoziale della crisi d’impresa nella riforma della legge fallimentare”, tratto dal sito
<www.Iudicium.it>, la composizione negoziale delle crisi d’impresa è un fenomeno
caratterizzato da due anime: quella degli accordi stragiudiziali e quella degli accordi che si
raggiungono in sede giudiziale e sotto la sorveglianza dell’Autorità Giudiziaria. La dottrina
e i vari progetti di riforma della legge fallimentare avrebbero fatto emergere un terzo
genere di accordi, quelli formati prima e fuori dall’accesso dell’impresa a procedure
giudiziarie, ma che poi prevedono l’assoggettamento del piano all’omologazione
dell’Autorità Giudiziaria, come presupposto per poter attribuire all’accordo particolari
effetti di stabilità.
44
Cfr. A. BELLO, “Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella riforma della legge
fallimentare”, tratto dal sito www.ilcaso.it.
11
Marta Maria Pedrinola
agli accordi una certa protezione da parte dell’ordinamento, in modo da
tutelarne l’attuazione.
3. Le soluzioni concordate della crisi d’impresa
Il Legislatore ha dunque previsto molteplici strumenti innovativi intesi a
favorire la gestione privatistica della crisi dell’impresa.
Oltre alla rivisitazione del concordato preventivo, il quale prevede ora
all’art. 160 la possibilità per il debitore di proporre un piano ai propri
creditori, un provvedimento ulteriore - il D.L. n° 35 del 2005 - ha introdotto
due nuove procedure per la gestione e il superamento dello stato di crisi:
i) l’accordo di ristrutturazione, ora previsto dall’art. 182-bis L.F.;
ii) il piano per il risanamento dell’esposizione debitoria, ora contenuto
nell’art. 67, comma secondo, lettera d) L.F..
Il piano menzionato nell’art. 160 L.F., preliminare alla proposta di
concordato preventivo, è finalizzato “alla ristrutturazione dei debiti e al
soddisfacimento dei crediti anche attraverso la cessione dei beni, l’accollo o
altre operazioni straordinarie, ivi compresa l’attribuzione ai creditori
(nonché a società partecipate da questi ultimi) di azioni, quote o
obbligazioni anche convertibili in azioni o altri strumenti finanziari e titoli
di debito; nonché l’attribuzione a un assuntore delle attività delle imprese
interessate dalla proposta di concordato preventivo, il cui ruolo potrebbe
essere ricoperto da uno o più creditori, ovvero da una o più società da questi
partecipate o da costituirsi nel corso della procedura, le cui azioni siano
attribuite ai creditori per effetto del concordato”.
L’accordo di ristrutturazione, ex art. 182-bis, riguarda la sola
ristrutturazione dei debiti.
Il piano di cui all’art. 67 lett. d), ha come obiettivo “il risanamento
dell’esposizione debitoria dell’impresa e il riequilibrio della situazione
finanziaria” 45 .
La terminologia impiegata dal Legislatore nel definire gli istituti appena
indicati è differenziata, il che invita a riflettere sul significato dei termini
ristrutturazione 46 e risanamento 47 .
45
Si veda P. MARANO, “La ristrutturazione dei debiti e la continuazione
dell’impresa”, in “Il Fallimento e le altre procedure concorsuali” n° 1 del 2006, p. 101-105,
che indica quello previsto nell’ambito dell’art. 160 L.F. come accordo procedimentalizzato
con i creditori, quello introdotto dall’art. 182-bis L.F. come accordo stipulato con i creditori
e la fattispecie di cui all’art. 67, secondo comma, lett. d) L.F. come piano che sembrerebbe
addirittura prescindere da un accordo con i creditori.
46
Cui si riferiscono sia l’art. 160 L.F. sia l’art. 182-bis L.F..
47
Contemplato invece nell’art. 67 comma secondo, lettera d), L.F..
12
La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art 182-bis L.F.
Al riguardo le opinioni dei primi commentatori non sono univoche.
Secondo alcuni i due vocaboli hanno il medesimo significato in quanto
l’espressione “risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa”,
contenuta nell’art. 67, ha l’accezione di <ristrutturazione dei debiti>, in
quanto risulta essere difficile -al fine del risanamento- prescindere
dall’utilizzazione di strumenti propri della ristrutturazione, quali ad
esempio, dilazioni di pagamento, rinunzie, emissioni di obbligazioni o di
titoli di debito, concessione di nuova finanza, e con riferimento alla
posizione del debitore non ricorrere a operazioni straordinarie, liquidazioni
o interventi sulle componenti di costo 48 .
Secondo altri, invece, i lemmi non hanno significato analogo.
La ristrutturazione fa seguito al deteriorarsi delle condizioni economicofinanziarie dell’impresa e prevede la ri-programmazione dei debiti in
termini sia quantitativi, sia di scadenza; il risanamento, invece, è volto a
riequilibrare la situazione finanziaria dell’impresa a breve o a lungo termine,
vale a dire a consentire che le eventuali entrate fronteggino le eventuali
uscite, così da ritenere che nella maggior parte dei casi le misure attuate ai
fini della ristrutturazione potranno servire ai fini del risanamento finanziario
dell’impresa 49 .
Il piano delineato nell’art. 67, comma secondo, lett. d), dovrà in ogni
caso avere come obiettivo il raggiungimento dell’equilibrio economico e
finanziario dell’impresa nella logica di continuità della medesima 50 .
Un elemento aggiuntivo che differenzia gli istituti in esame riguarda le
fasi attuative degli stessi. Sia negli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis
L.F., sia nell’ambito del concordato preventivo, possono infatti riscontrarsi
due momenti:
48
Cfr. P. MARANO, op. cit.
Si veda L. MANDRIOLI, “I piani di ristrutturazione e di risanamento: il ruolo e le
responsabilità del professionista nella predisposizione delle relazioni e nell’attività di
attestazione”, in Atti del Convegno su “La riforma del diritto fallimentare” tenutosi a
Carate Brianza l’11 e 12 novembre 2005. L’Autore evidenzia che il rapporto tra il concetto
di ristrutturazione e risanamento si risolverebbe nel rapporto tra genus e species, in quanto
la ristrutturazione dei debiti rappresenterebbe una delle differenti modalità tramite cui si
può raggiungere il risanamento. Secondo S. D’AMORA, “Note esegetiche sul nuovo
concordato preventivo e le procedure di ristrutturazione dei debiti”, in
www.fallimentitribunalemilano.net, poi, la norma impone il risanamento dell’esposizione
debitoria e non il risanamento dell’impresa, il che implicherebbe un esame del piano,
qualora fosse stata proposta un’azione revocatoria, avuto riguardo esclusivamente alla
situazione debitoria (passivo in perfetto equilibrio con l’attivo) e alla struttura finanziaria
(flussi di cassa idonei a fronteggiare le uscite ivi previste) e non anche ai parametri
economici. Per l’autore, dunque, è sufficiente che il piano risponda all’esigenza di risanare
l’esposizione debitoria e di pervenire all’equilibrio finanziario.
50
Si veda B. CENATI, Relazione per convegno Sinergia, Milano il 18-21 ottobre 2005.
49
13
Marta Maria Pedrinola
i)
il primo a contenuto negoziale basato sul raggiungimento dell’intesa
tra debitore e creditori (e approvazione da parte di questi ultimi con le
maggioranze prescritte dalla legge);
ii) il secondo propriamente giudiziale, consistente nell’omologazione da
parte del Tribunale.
Nell’ambito dell’art. 67, comma secondo, lett. d) manca invece qualsiasi
coinvolgimento non solo dell’autorità giudiziaria, ma anche dei creditori.
Il piano di risanamento risulta infatti autonomo, non conducendo
necessariamente alla conclusione di accordi stragiudiziali: il Legislatore
specifica che il piano deve apparire idoneo a “consentire il risanamento
dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della
situazione finanziaria”, ma non fa menzione né di accordi raggiunti sul
punto con i creditori, né di successivi controlli da parte dell’autorità
giudiziaria 51 .
Nel piano di risanamento 52 , pertanto, non solo risulta annullata la fase di
garanzia dell’intervento giudiziario, ma non si fa neppure menzione allo
strumento dell’accordo: esso resta solo un’ipotesi, non è la regola. Il piano
di cui al citato art. 67, comma secondo, lett. d) L.F., appare, dunque,
esclusivamente atto dell’imprenditore “...a formazione solo eventualmente
contrattuale...” 53 .
E’ evidente come la differenza tra accordi di risanamento e accordi di
ristrutturazione non consista tanto nella diversità dei due concetti esaminati,
quanto nel fatto che i primi, stando alla lettera della norma, non passino
attraverso il vaglio giudiziale, essendosi il Legislatore limitato a prevederne
la sola attestazione della ragionevolezza ai sensi dell’art. 2501-bis, comma 4
c.c. 54 .
51
Cfr. Fondazione Aristeia, “Gli accordi di ristrutturazione ex art. 182- bis”, giugno
2006.
52
Cfr. S. BONFATTI, “La promozione e la tutela delle procedure di composizione
negoziale della crisi d’impresa nella riforma della legge fallimentare”, tratto dal sito
<www.Iudicium.it>.
53
Si veda M. FERRO, “I nuovi strumenti di regolazione negoziale dell’insolvenza e la
tutela giudiziaria delle intese fra debitore e creditori: storia italiana della timidezza
complessiva”, in “Il Fallimento e le altre procedure concorsuali” n° 5 del 2005, p. 587600.
54
Si veda art. 2501-bis “...la relazione degli esperti di cui all’art 2501-sexies attesta la
ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione ai sensi del precedente
secondo comma...”.
14
La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art 182-bis L.F.
4. La disciplina dell’accordo di ristrutturazione dei debiti
4.1 La natura dell’ accordo
L’articolo 182-bis, rubricato “Accordi di ristrutturazione dei debiti”, è
collocato tra le norme del novellato concordato preventivo.
La lettera della legge non chiarisce tuttavia se la disciplina degli accordi
di ristrutturazione costituisca modalità “semplificata” del concordato
preventivo ovvero procedura alternativa, dotata di una propria autonomia.
Il tema è dibattuto, e la dottrina - particolarmente la dottrina giuridicaregistra opinioni contrastanti. Un primo orientamento dottrinale sembra
propendere per la tesi dell’identificazione dell’istituto quale strumento
rafforzativo della domanda per l’ammissione alla procedura di Concordato
preventivo 55 : tale convincimento si basa sulla facoltà del debitore di
depositare 56 l’accordo di ristrutturazione dei debiti esclusivamente con la
dichiarazione e la documentazione di cui all’art. 161 L.F., e tenuto conto
dell’ubicazione stessa dell’art. 182-bis nell’ambito della procedura di
Concordato preventivo.
Una seconda opinione ritiene invece che la previsione legislativa di cui
all’art. 182-bis L.F. debba venire considerata fenomeno assolutamente
autonomo, che si distacca totalmente dal concordato preventivo. A favore di
tale ipotesi 57 può essere considerato il fatto che il Legislatore non ha
imposto, nella formulazione del D.L. 35 del 2005, condizione oggettiva
alcuna per il deposito dell’ accordo di ristrutturazione, diversamente da
quanto previsto dall’art. 160 L.F., che prevede lo “stato di crisi”
dell’imprenditore 58 .
In tal senso si è pronunciato anche il Tribunale di Bari 59 stabilendo che:
“l’art. 182-bis introduce un nuovo istituto che deve essere considerato
autonomo e distinto rispetto al concordato preventivo; con la conseguenza
55
In tal senso G. VERNA, “Sugli accordi di ristrutturazione ex art. 182- bis L.F.”, in
“Il Diritto fallimentare e delle società commerciali” n. 5 del 2005, p. 865-875.
56
Si veda art. 182-bis: “Il debitore può depositare, con la dichiarazione e la
documentazione di cui all’art. 161, un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i
creditori che rappresentino almeno il sessanta per cento dei crediti[…]”
57
In tal senso G. LO CASCIO “La nuova Legge fallimentare: dal progetto di legge
delega alla mini riforma per decreto-legge”, in “Il Fallimento e le altre procedure
concorsuali” n. 4 del 2005, p. 361-365; S. AMBROSINI in “Gli accordi di ristrutturazione
dei debiti nella nuova legge fallimentare: prime riflessioni” in “Il Fallimento e le altre
procedure concorsuali”, n° 8 del 2005, p. 949-951.
58
Il Decreto Legislativo n° 169 del 12 settembre 2007 ha modificato tale condizione e
anche con riguardo all’art. 182-bis prevede che l’imprenditore, per poter presentare un
accordo di ristrutturazione dei debiti, debba trovarsi in stato di crisi.
59
Con decreto del 21 novembre 2005.
15
Marta Maria Pedrinola
che la richiesta del debitore al Tribunale ha ad oggetto la sola omologa
dell’accordo che ne sancisce l’efficacia e non l’apertura di un procedimento,
con relativa istruttoria, come previsto invece per il concordato preventivo”.
Ulteriore elemento da considerarsi è la circostanza secondo cui, a
differenza del concordato preventivo, qui i creditori non aderenti all’accordo
avranno pieno diritto di venire regolarmente soddisfatti: nei loro riguardi
non si verificherà alcun effetto remissorio. Per tale insieme di ragioni le due
procedure devono essere ritenute autonome e differenziate.
4.2 Le fasi esecutive
La procedura descritta dall’art. 182-bis individua due differenti fasi per la
definizione degli accordi per la ristrutturazione dei debiti.
La prima si connota per avere caratteristiche più propriamente
stragiudiziali: l’imprenditore in crisi rinegozia con i propri creditori la
situazione debitoria; a questa fase ne segue una seconda, di natura
giudiziale, dalla quale il Legislatore fa derivare l’effettiva produzione degli
effetti legali che l’accordo persegue.
Per poter accedere allo strumento in esame occorre che siano rispettati
requisiti a) soggettivi, b) oggettivi.
Quanto al presupposto soggettivo, l’art. 182-bis, nell’originaria
formulazione contenuta nel D.L. 35 del 2005, precisa che può accedere alla
relativa procedura “il debitore” 60 .
Nonostante la difformità rispetto al termine “imprenditore” utilizzato agli
articoli 1 e seguenti del novellato R.D. n° 267 del 1942, l’orientamento più
diffuso sembra ritenere che il presupposto soggettivo sia il medesimo per
l’accesso sia agli accordi di cui all’art. 182-bis sia per il fallimento; possono
pertanto accedere a tale procedura gli imprenditori commerciali privati non
piccoli 61 che vogliano prevenire lo stato di insolvenza e la relativa apertura
della procedura concorsuale.
Per quanto poi riguarda il presupposto oggettivo, la norma in esame non
prevede un criterio specifico: nel silenzio della legge, la maggior parte degli
interpreti ha ritenuto che il Legislatore si sia implicitamente riferito allo
“stato di crisi”, introdotto, in maniera innovativa, nell’ambito della novellata
disciplina del concordato preventivo.
60
L’articolo è stato modificato dal decreto correttivo, D. Lgs. n° 169 del 12 settembre
2007, e ora recita: “L’imprenditore in stato di crisi può domandare, depositando la
documentazione di cui all’articolo 161 l’omologazione di un accordo di ristrutturazione
dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei
crediti…”
61
Cfr. A. COPPOLA in “L’accordo per la ristrutturazione dei debiti” in A.A.V.V. “Il
nuovo concordato preventivo. Dallo stato di crisi agli accordi di ristrutturazione dei debiti”
a cura di S. Pacchi, IPSOA, Milano 2005.
16
La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art 182-bis L.F.
La scelta del requisito dello “stato di crisi”, in luogo del concetto di
insolvenza 62 , deriva dal carattere prevalentemente risanatorio che il
Legislatore ha voluto imprimere alla nuova disciplina del concordato.
La legge n° 80 del 2005 non presentava alcuna definizione di <stato di
crisi>, e gli interpreti della materia erano concordi nel ritenere che l’intento
del Legislatore fosse di consentire all’espressione la più ampia
interpretazione possibile, ricomprendendovi sia la difficoltà temporanea sia
lo stesso stato d’insolvenza. Sotto il profilo letterale, può risultare utile la
definizione di crisi data dalla Commissione Trevisanato nel febbraio 2005,
che la definiva come “la situazione patrimoniale, economica e finanziaria in
cui si trova l’impresa, tale da determinare il rischio d’insolvenza”.
Con riferimento a tale requisito si sono tuttavia registrate, nella fase
successiva all’entrata in vigore del D.L. n° 35 del 2005, due differenti
correnti interpretative.
A quanti ritenevano che lo <stato di crisi> fosse una condizione diversa
dallo stato di insolvenza e, come tale, inidonea a comprendere quest’ ultimo,
si è contrapposto l’orientamento di chi sosteneva che lo stato di crisi
comprendeva l’insolvenza, con la conseguenza che sarebbero legittimate ad
accedere alla procedura in esame anche le imprese che versano in una
situazione di grave dissesto 63 .
Il dibattito è stata definitivamente risolto dall’art. 36 del D.L. n° 275 del
2005 64 , che ha aggiunto all’art. 160 L.F. un ulteriore comma, chiarendo che
per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza 65 .
Proseguendo nell’analisi delle condizioni richieste per la presentazione
dell’accordo, il primo comma dell’ art. 182-bis richiede al debitore il
deposito della dichiarazione e della documentazione di cui all’art. 161;
anche in questo caso il Legislatore opera un rinvio espresso alla disciplina
del concordato preventivo.
L’accordo deve venire accompagnato da una accurata documentazione,
idonea a identificare la situazione economica e finanziaria dell’impresa in
crisi.
62
Cui faceva riferimento l’art. 160 L.F. prima delle novità introdotte nel 2005.
In tal senso una decisione del Tribunale di Treviso, secondo cui la nuova terminologia
usata dal Legislatore in sostituzione dello stato di insolvenza giustificherebbe “una
differenza concettuale tra i due termini”. Il suddetto Tribunale ritiene, pertanto, che “in
assenza di definizioni normative, si debba fare ricorso al contenuto economico del termine
crisi, e cioè una situazione di stallo dell’economia dovuta a fattori di breve periodo cioè a
cause contingenti di squilibrio o inefficienza che precede l’insolvenza stessa, ma che
tendenzialmente risulta reversibile”.
64
D.L. 30 dicembre 2005, n° 273, convertito con modificazioni dalla Legge 23 febbraio
2006, n° 51, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n° 49 del 28 febbraio 2006 - S. O. n° 47.
65
Si veda art. 160 che recita: “[…]Ai fini di cui al primo comma per stato di crisi si
intende anche lo stato di insolvenza.”
63
17
Marta Maria Pedrinola
Si rende pertanto necessario, anche nell’ambito di tale procedura il
deposito di:
i)
una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e
finanziaria dell’impresa;
ii) uno stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo
dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di
prelazione;
iii) l’elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in
possesso del debitore;
iv) il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci
illimitatamente responsabili.
4.3 La forma e il contenuto dell’accordo
Come si evince dalla formulazione della norma 66 , la definizione
dell’accordo che il debitore provvede a depositare in Tribunale presuppone
la sua preliminare definizione, nonché l’avvenuto raggiungimento
dell’adesione da parte dei creditori.
Si tratta di un contratto stipulato tra il debitore ed i propri creditori,
rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti. Ai fini del
raggiungimento del quorum anzidetto, risulta del tutto indifferente sia il
numero dei creditori - così che la maggioranza potrebbe venire imputata
anche ad un solo creditore - sia l’eventuale privilegio, potendo partecipare
all’accordo qualsiasi creditore 67 .
Data la rilevanza del tema anche ai fini sia della responsabilità68 sia
garantistici 69 , pare suggeribile la forma scritta. Ad ogni modo, l’articolo
1967 del codice civile prevede che la transazione, che l’accordo
indiscutibilmente contiene, debba essere provata per iscritto70 .
Tale ipotesi è stata poi ribadita dal Tribunale di Brescia che, con il
decreto citato alla nota 67, ha sottolineato l’esigenza che gli accordi di
ristrutturazione vengano realizzati in forma scritta. Altresì, il Tribunale di
66
Si veda art. 182-bis che recita: “Il debitore può depositare, con la dichiarazione e la
documentazione di cui all’articolo 161, un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato
con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una
relazione redatta da un esperto sull’attuabilità dell’accordo stesso, con particolare
riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei”.
67
In questo senso il Tribunale di Brescia con decreto del 22 febbraio 2006 ha indicato
che la maggioranza va calcolata con riferimento a tutti i creditori, privilegiati compresi.
68
Del professionista che deve redigere la relazione sull’attuabilità dell’accordo stesso.
69
Si veda art. 1967 “Prova”: La transazione deve essere provata per iscritto, fermo il
disposto del n° 12 dell’art. 1350.
70
Cfr. A.A.V.V. “Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis l.f.)”,
intervento al Convegno di Viterbo del 24 novembre 2006.
18
La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art 182-bis L.F.
Bari, con pronuncia del 21 novembre 2005, ha indicato la necessità di
accordi con firme a sottoscrizione autenticata.
Per quanto riguarda poi il contenuto che tale accordo può avere, il
Legislatore
non
offre
alcuna
specificazione
dell’espressione
“ristrutturazione dei debiti”, lasciando alla piena autonomia delle parti la
definizione economica-giuridica.
A quel contenuto si potrà addivenire nel confronto tra debitore in crisi e
ceto creditorio (ove in questo possono coesistere posizioni anche
differenziate dei singoli creditori). Quel confronto, peraltro, cercherà di
conciliare interessi contrapposti più di sempre, e appunto da risolversi in via
negoziale, di un negoziato ove, paradossalmente, ambedue le parti è come
se fossero contraenti deboli.
In tale monopolio bilaterale infatti il ceto creditorio è perennemente
combattuto tra concessioni - costose e comunque ex-ante rischiose - ed esiti
concorsuali potenzialmente più problematici.
L’assoluta libertà riservata dal Legislatore alla determinazione dei
contenuti dell’accordo trova un limite nella necessità che le pattuizioni in
esso contenute siano però lecite, e funzionali allo scopo di rispettare
l’accordo con i partecipanti 71 .
Più in generale, l’accordo deve venire improntato alla finalità di
ripristinare la condizione di solvibilità dell’impresa debitrice, attraverso un
pagamento in percentuale dei creditori aderenti al patto e senza necessità
che tra costoro sia rispettata la regola della par condicio creditorum.
Gli accordi depositati in Tribunale devono poi venire iscritti nel Registro
delle Imprese; nel termine di trenta giorni dall’iscrizione 72 i creditori (non
aderenti all’accordo) ed ogni altro interessato possono proporre opposizione.
Il giudizio di omologa del Tribunale deve verificare la fondatezza dei
requisiti oggettivi e soggettivi, e decidere sulle eventuali opposizioni
presentate.
È oggetto di controversia in dottrina 73 se il giudizio di omologazione
debba riguardare anche il merito dell’accordo o se debba limitarsi ad un
controllo di legittimità riguardante il rispetto dei criteri di legge posti a
fondamento dell’accordo e la sua non-contrarietà a norme imperative.
Al riguardo il Tribunale di Milano si è recentemente così espresso “[…]
71
A titolo meramente esemplificativo, l’accordo potrebbe contenere: dilazioni di
pagamento, rinunce totali o parziali agli interessi o ad una parte del capitale, erogazione di
nuova finanza, conversione di crediti in capitale.
72
Da tale momento l’accordo acquista piena efficacia.
73
Cfr. D. BENINCASA “Crisi d’impresa: accordi di ristrutturazione dei debiti e
soluzioni stragiudiziali”, tratto dal sito www.altalex.it.
19
Marta Maria Pedrinola
il collegio deve valutare anche il merito del ricorso e soffermarsi sulla
concreta attuabilità del piano, intesa come il rispetto coerente degli accordi
prospettati sulla base delle concrete prospettive di realizzo basandosi su un
ragionevole grado di monetizzazione con particolare attenzione alla
posizione dei creditori estranei all’accordo.” 74 .
Se non ci sono opposizioni, il Tribunale provvederà senza instaurare il
contraddittorio, verificando comunque il rispetto formale della
documentazione presentata e valutando l’esistenza delle risorse da destinare
ai creditori estranei. Viceversa, se ci sono opposizioni, il Tribunale procede
in contraddittorio tra le parti, pronunciandosi con decreto motivato in
Camera di Consiglio. Il decreto è reclamabile avanti alla Corte d’Appello
entro 15 giorni dalla pubblicazione nel Registro delle imprese; essa decide
con sentenza che può, nei casi ammessi dalla legge, essere impugnata
mediante ricorso in Cassazione.
In caso di mancata omologa dell’accordo depositato, non opera l’effetto
di automatismo fra rigetto dell’omologa e dichiarazione di fallimento.
Infine, sempre nel silenzio della legge, deve ritenersi che, ove l’impresa
non adempia gli obblighi assunti con l’accordo di ristrutturazione, i creditori
aderenti possano domandare la risoluzione dello stesso secondo la disciplina
generale prevista in materia contrattuale 75 .
Il Legislatore ha inoltre affermato, nell’art. 67, comma 3, lett. e) L.F., che
gli atti compiuti, i pagamenti eseguiti e le garanzie concesse dal debitore in
esecuzione dell’accordo omologato ai sensi dell’art. 182-bis non sono
soggetti a revocatoria.
5. La posizione dei creditori nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione
dei debiti e il trattamento dei creditori estranei all’accordo (art. 182bis)
Per quanto riguarda i creditori estranei all’accordo, l’articolo 182-bis li
menziona con esclusivo riferimento alla relazione redatta dal professionista,
la quale ne deve attestare il regolare soddisfacimento.
Due sono a tal proposito, le questioni di maggiore importanza: la prima
consiste nell’individuazione della categoria giuridica costituita dai creditori
estranei all’accordo; la seconda riguarda il loro trattamento e il significato
del concetto di <regolare pagamento>.
Per quanto concerne il primo problema, i creditori estranei sono: i) i
74
Si veda il decreto del Tribunale di Milano depositato il 23 gennaio 2007.
Cfr. “Fallimento 2006 - Memento Pratico”, IPSOA ove si dice che creditori non
aderenti, invece, non avranno interesse ad agire perché non sono lesi nei loro diritti
dall’accordo, essendone estranei.
75
20
La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art 182-bis L.F.
creditori che non hanno accettato l’accordo; ii) i creditori non invitati a
partecipare all’accordo e quindi esclusi.
La posizione di questi soggetti, comunque coinvolti dall’accordo di
ristrutturazione, è importante 76 per più di un motivo: in primo luogo
giacché esentati dall’azione revocatoria - di cui all’art. 67, comma secondo,
lett. e) L.F.- e in secondo luogo poiché privati, di conseguenza, della
garanzia rappresentata dai beni del debitore ex art. 2740 77 c.c. 78 .
Per quanto riguarda poi il significato da attribuirsi al concetto di
“regolare pagamento” di tali creditori, si sono manifestati due diversi
orientamenti.
Il primo, finora prevalente, interpreta la disposizione nel senso che rispetto ai creditori estranei- l’adempimento debba essere puntuale e
integrale 79 : nella sostanza l’accordo con i creditori aderenti dovrebbe
raggiungere lo scopo di liberare risorse finanziarie idonee a estinguere le
passività nei confronti dei creditori estranei 80 .
Essendo inoltre l’accordo di ristrutturazione un contratto, vale il principio
per cui il contratto ha forza di legge tra le parti, e non produce effetti
rispetto ai terzi se non nei casi previsti dalla legge, come recita l’art. 1372
c.c. 81 . Confermano tale interpretazione gran parte delle sentenze in tema, da
76
Cfr. U. DE CRESCIENZO - L. PANZANI, “Il nuovo diritto fallimentare. Dal
maxiemendamento alla legge n. 80 del 2005”, IPSOA, Milano, 2005.
77
Si veda l’art. 2740 “Responsabilità patrimoniale”: Il debitore risponde
dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Le limitazioni
della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge.
78
Cfr. Fondazione Aristeia “Gli accordi di ristrutturazione ex art. 182- bis”, giugno
2006.
79
In tal senso S. AMBROSINI, “Sub art. 182-bis, Accordi di ristrutturazione dei
debiti”, in Il nuovo concordato preventivo, Milano 2005; U. DE CRESCIENZO - L.
PANZANI, “Il nuovo diritto fallimentare”, Milano, 2005; M. FABIANI, “In salvo chi ha
votato contro”, in Il sole 24 ore, 16 aprile 2006; M. FERRO, “I nuovi strumenti di
regolazione negoziale dell'insolvenza e la tutela giudiziaria delle intese fra debitore e
creditori: storia italiana della timidezza complessiva”, in Fallimento e le altre procedure
concorsuali, n. 5 del 2005.
80
In questo senso anche il Tribunale di Brescia che, con decreto del 22 febbraio 2006
sancisce:“[…] per regolare pagamento dei «creditori estranei» (dissenzienti, privilegiati
per cui si prevede il regolare pagamento ed estranei veri e propri) si deve intendere
l’esatto pagamento del debito alla sua scadenza e non il pagamento secondo le regole
concordate tra il debitore e i creditori aderenti all’accordo (in particolare, trattandosi di
accordo di natura privatistica, non solo chi non aderisce ad esso ma anche chi vi resta
estraneo va regolarmente pagato, per cui con la locuzione «creditori estranei» si deve
intendere che il Legislatore in questo caso minus dixit quam voluit, pena la palese
incostituzionalità della norma)”.
81
Si veda l’art. 1372 “Efficacia del contratto”: Il contratto ha forza di legge tra le parti.
Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge (1671,
2227). Il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge.
21
Marta Maria Pedrinola
Milano a Bari 82 .
Il secondo orientamento ritiene invece che l’espressione esaminata vada
intesa come pagamento dei creditori estranei nella stessa percentuale
riconosciuta ai creditori aderenti e rispettando le scadenze con questi
concordate 83 .
Questa interpretazione è stata accolta dal Tribunale di Milano nel decreto
di omologa depositato il 21 dicembre 2005, ove si stabilisce che anche i
creditori dissenzienti devono essere soddisfatti in misura analoga a quanto
previsto per i sottoscrittori dell’accordo.
Questa seconda interpretazione rende l’istituto in esame sicuramente più
invitante per l’imprenditore, che in questo modo non sarebbe tenuto a
soddisfare integralmente il 40% dei crediti; ma non ha trovato conferma
nelle successive pronunce giurisprudenziali, neppure del medesimo
Tribunale.
È altresì verisimile che i creditori non accettanti la proposta del debitore
difficilmente si riterrebbero soddisfatti da un pagamento parziale, come
anche è indubbio che i creditori esclusi dalla stipulazione dell’accordo non
possano accettare condizioni che non li compensino della perdita che
comunque devono sopportare, cioè di non poter aggredire direttamente il
patrimonio del debitore per mezzo dell’azione revocatoria 84 .
Per queste motivazioni un’interpretazione di questo tipo non appare del
tutto convincente 85 .
6. La relazione dell’esperto
L’art. 182-bis L.F. subordina l’omologazione dell’accordo di
ristrutturazione dei debiti alla redazione di una relazione, che attesti
l’idoneità di quello ad assicurare il regolare pagamento dei creditori
82
Tribunale di Salerno, decreto 3 giugno 2005; Tribunale di Roma, ordinanza 7 luglio
2005; Tribunale di Bari, decreto 21 novembre 2005; del Tribunale di Milano, decreto del 16
gennaio 2006; nonché del Tribunale di Brescia 22 febbraio 2006.
83
In tal senso G. VERNA, “Sugli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis legge
fallimentare” in “Il Diritto fallimentare e delle società commerciali” n. 5 del 2005, p. 865875; B. QUATRARO, “Il giudizio di omologazione” relazione tenuta al forum sulla
riforma della legge fallimentare, ottobre 2005; S. D’AMORA, “Note esegetiche sul nuovo
concordato preventivo e le procedure di ristrutturazione dei debiti”, in
www.fallimentitribunalemilano.net.
84
Si veda art. 67 lett. e) L.F.:“Non sono soggetti all’azione revocatoria: gli atti, i
pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo,
dell’amministrazione controllata, nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo
182-bis.”.
85
Cfr. Fondazione Aristeia, “Gli accordi di ristrutturazione ex art. 182- bis”, giugno
2006.
22
La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art 182-bis L.F.
estranei.
All’esperto chiamato a redigere tale documento non erano richiesti,
nell’originaria formulazione della norma, particolari requisiti professionali,
differentemente da quanto previsto sia nell’art. 67 sia nell’art. 161 L.F..
Questa disposizione è stata però modificata dal decreto correttivo - D. Lgs.
n° 169 del 12 settembre 2007- che uniforma i requisiti richiesti al
professionista incaricato di redigere le relazioni citate e prevede che esso
debba possedere, oltre le caratteristiche contenute nell’art. 28, lett. a) e b),
anche l’iscrizione nel registro dei Revisori Contabili.
Per quanto concerne il primo articolo la norma dispone che “la
ragionevolezza del piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’
esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua
situazione finanziaria” deve essere attestata ai sensi dell’art. 2501-bis,
comma quarto, c.c. 86 .
Questa norma prevede che l’esperto, esterno all’impresa, deve essere
scelto da quest’ultima tra i soggetti di cui all’art. 2409-bis, comma primo
c.c., vale a dire tra revisori contabili e società di revisione iscritti nel registro
istituito presso il Ministero della Giustizia, ovvero -in caso di società con
azioni quotate in mercati regolamentati- tra le società di revisione iscritte
all’albo tenuto presso la Consob.
Per quanto riguarda l’art. 161, si prevede che “la relazione che attesti la
veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano di ristrutturazione
proposto ai creditori dal debitore all’atto della presentazione della domanda
per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo” sia redatta da un
professionista avente i requisiti di cui all’art. 28 L.F., vale a dire:
i) avvocati, dottori commercialisti ed esperti contabili;
ii) studi professionali associati o società di professionisti i cui soci siano
in possesso di uno dei requisiti del punto precedente 87 .
Mentre con riferimento agli incarichi menzionati negli articoli 67 e 161
L.F., il Legislatore aveva avvertito la necessità di specificare i criteri in base
ai quali potesse essere valutata la professionalità dell’esperto, nessun
criterio era stato al contrario definito per l’individuazione dell’esperto cui
affidare la relazione ex art. 182-bis L.F., lacuna poi sanata nel Decreto
86
Che rinvia alla relazione redatta da esperti in merito alle indicazioni contenute nel
progetto di fusione ex art. 2501-sexies c.c..
87
Tale soggetto non deve tuttavia essere: i) dichiarato interdetto, inabilitato, fallito o
condannato ad una pena che importa l’interdizione anche temporanea dai pubblici uffici; ii)
coniuge, parente e affine entro il quarto grado del fallito, creditore del fallito o colui che
abbia prestato la sua attività professionale a favore del fallito o che sia ingerito nell’impresa
nei due anni anteriori alla dichiarazione del fallimento, nonché chiunque si trovi in conflitto
di interessi con il fallimento.
23
Marta Maria Pedrinola
Legislativo 88 n° 169 ricordato 89 .
La relazione dell’esperto, prevista per gli accordi di ristrutturazione dei
debiti, deve attestare l’idoneità di quelli ad assicurare il regolare pagamento
dei creditori estranei.
Dovrà trattarsi di un giudizio professionale positivo, volto a offrire
all’autorità giudiziaria “parametri economici oggettivi e convincenti al fine
di evitare il sindacato di merito da parte del Tribunale in fase di
omologazione” 90 . L’esperto non potrà dunque limitarsi a esaminare
l’accordo stipulato tra debitore e creditori, ma si spingerà ad esaminare la
situazione reddituale, patrimoniale e finanziaria del debitore, e dovrà
verificare la sussistenza e la tipologia di mezzi e risorse che potranno servire
al pagamento dei loro crediti.
Il parere dell’esperto è di natura sia giuridica sia economico-aziendale.
Sotto il profilo giuridico, l’esperto dovrà illustrare che siano state raggiunte
le maggioranze previste dall’art. 182-bis, nonché il contenuto dilatorio e/o
remissorio dell’accordo, in relazione alle varie categorie o classi di creditori,
come pure i criteri adottati per la eventuale suddivisione dei creditori in
classi omogenee per posizione giuridica ed interessi economici.
Sotto il profilo economico-aziendale, occorre che la relazione dimostri
che le fonti di entrata siano sufficienti, per importi e tempi di liquidazione, a
soddisfare le scadenze, sia nuove che originarie, dei debiti, pattuite
nell’accordo di ristrutturazione.
Al riguardo, l’esperto dovrà quantomeno compiere una limited review 91 ,
in contraddittorio con il debitore e con l’ausilio della documentazione
contabile, per rilevare se si evidenzino significative discordanze tra la
situazione redatta dal debitore la effettiva, anche con riguardo a eventi che
possono essersi manifestati tra la data cui la situazione è riferita e il
momento di riferimento della relazione peritale.
Sul tema della responsabilità dell’esperto, posto che manca un’apposita
previsione legislativa al riguardo, non si può applicare il regime di
responsabilità previsto dall’art. 64 c.p.c. 92 , in quanto l’esperto non è
88
L’articolo 22 di tale decreto legislativo dispone che esso entrerà in vigore il primo
gennaio 2008. Le relative disposizioni si applicheranno ai procedimenti per dichiarazione di
fallimento pendenti a tale data, nonché alle procedure concorsuali e di concordato
fallimentare aperte successivamente alla sua entrata in vigore.
89
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n° 241 del 16-10-2007.
90
Cfr. D. POSCA, “Concordato preventivo: così le nuove regole” in Leggi e Fisco,
2005, tratto dal sito www.denaro.it..
91
Cfr. G. VERNA, op.cit.
92
Si veda art. 64 Responsabilità del consulente: “Si applicano al consulente tecnico le
disposizioni del codice penale relative ai periti. In ogni caso, il consulente tecnico che
incorre in colpa grave nell’esecuzione degli atti che gli sono richiesti, è punito con
24
La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art 182-bis L.F.
consulente tecnico nominato dall’autorità giudiziaria. Per quanto riguarda la
responsabilità contrattuale nei confronti dell’imprenditore mandante può
trovare applicazione l’art. 2236 c.c. 93 , ma solo in caso di dolo o colpa grave,
dovendosi riconoscere che la relazione “implica la soluzione di problemi
tecnici di speciale difficoltà”. Con riguardo alla responsabilità
extracontrattuale per i danni arrecati ai creditori o ai terzi si potrà ricorrere
all’art. 2043 c.c. 94 , dimostrando il danno patito e il suo insorgere a causa di
un fatto doloso o colposo dell’esperto.
7. Conclusioni
Il Governo ha approvato, in data 15 giugno 2007, uno schema di decreto
legislativo che modifica il Regio Decreto n° 267 del 1942, riformato nel
2005, con il D.L. del 14 marzo, n° 35da cui il D. Lgs. 9 gennaio 2006, n° 5.
Acquisiti i pareri delle Commissioni della Camera dei Deputati e del
Senato, rispettivamente il 25 luglio e il 1° agosto, è stato emanato il Decreto
Legislativo 12 settembre 2007 n° 169 95 .
Le linee-guida della riforma 2005 appaiono salvaguardate, mentre le
novità di maggior rilievo riguardano tre profili specifici.
Il primo concerne il presupposto soggettivo della dichiarazione di
fallimento, contenuto nell’art. 1 L.F., presupposto che, nei primi dieci mesi
di applicazione ha già determinato vari problemi interpretativi di non facile
soluzione. Le innovazioni proposte non solo chiariscono alcuni profili, ma
inseriscono anche sensibili modifiche; l’obiettivo è abbassare le soglie di
fallibilità, giudicate eccessive, e evitare che un numero eccessivo di imprese
si sottraggano alle procedure concorsuali.
I parametri di riferimento per determinare i soggetti che sono esclusi dal
fallimento 96 non sono più due, ma tre:
l'arresto fino a un anno o con l'ammenda fino a lire venti milioni. Si applica l’art. 35 del
codice penale. In ogni caso è dovuto il risarcimento dei danni causati alle parti”.
93
Si veda art. 2236 “Responsabilità del prestatore d’opera”: se la prestazione implica
la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei
danni, se non in caso di dolo o di colpa grave”.
94
Si veda art. 2043 “Risarcimento per fatto illecito”: qualunque fatto doloso o colposo,
che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il
danno.
95
Rubricato “Disposizioni integrative e correttive al R.D. 16 marzo 1942, n. 267,
nonché al decreto legislativo n. 5 del 2006, in materia di disciplina del fallimento, del
concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, a norma dell'articolo 1,
commi 5, 5-bis e 6, della legge n. 80 del 2005.
96
Sono esclusi dal fallimento i piccoli imprenditori, definiti in negativo attraverso il
ricorso a parametri quantitativi.
25
Marta Maria Pedrinola
attivo patrimoniale 97 annuo che, nei tre esercizi precedenti la
presentazione dell’istanza 98 , non dovrà essere superiore a 300 mila
euro ;
ii) ricavi lordi annui che, nei tre esercizi precedenti la presentazione
dell’istanza, non dovranno superare i 200 mila Euro;
iii) ammontare dei debiti inferiore a 500 mila euro, compresi i debiti non
scaduti.
i)
Si tratta di criteri che devono essere tutti presenti affinché l’imprenditore
sia sottratto alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo 99 .
Dal momento che le soglie della non-fallibilità sono state accresciute e
che l’attivo patrimoniale e i ricavi lordi devono essere inferiori ai massimi
indicati in ciascun anno, <l’area di fallibilità> risulta ampliata rispetto a
quella individuata dalla disciplina 2005 100 .
Da segnalare a riguardo anche una importante modifica dell’art. 15 L.F.,
ove al comma 9 si prevede che, in ogni caso, non si dichiara il fallimento se
l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati, risultanti dagli atti
dell’istruttoria pre-fallimentare risulti complessivamente inferiore a 30 mila
Euro 101 .
Si è inoltre rovesciato il sistema dell’onere probatorio, talché grava sul
debitore il dovere di dimostrare di non aver superato alcuno dei tre
parametri dimensionali. “Si evita, così, di premiare con la non fallibilità
quegli imprenditori che scelgono di non difendersi in sede di istruttoria prefallimentare o che non depositino la documentazione contabile dalla quale
sarebbe possibile rilevare i dati necessari per verificare la sussistenza dei
parametri dimensionali” 102 .
97
Espressione che sostituisce quella di investimenti nell’azienda e che fa riferimento
alla precisa elencazione contenuta nell’art. 2424 c.c..
98
O dall’inizio dell’attività se di durata inferiore.
99
Tali parametri potranno essere aggiornati ogni 3 anni con decreto del Ministero della
Giustizia, sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo
per le famiglie di operai e impiegati intervenute nel periodo di riferimento.
100
Al riguardo si veda la relazione illustrativa del Decreto correttivo: “[…] L’eccessiva
riduzione dell’area di fallibilità, venutasi a determinare a seguito della novella del 2006,
spesso ha impedito di assoggettare a fallimento ed alle conseguenti sanzioni penali
imprenditori di rilevanti dimensioni con elevati livelli di indebitamento, danneggiando in
tal modo sia i numerosi creditori insoddisfatti, che il sistema economico in generale.
Quindi la necessità di eliminare gli eccessi della riduzione dell’area della fallibilità, ha
consigliato l’introduzione del nuovo criterio dell’ammontare dell’indebitamento
complessivo dell’imprenditore […]”.
101
Tale limite era di 25 mila Euro nel D.L. 35 del 2005.
102
Cfr. la relazione illustrativa del Decreto correttivo.
26
La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art 182-bis L.F.
La seconda innovazione di notevole rilievo concerne la disciplina del
concordato preventivo, e consente di eliminare un’ingiustificata disparità di
trattamento; si prevede infatti che la proposta di concordato preventivo
possa disporre che i creditori privilegiati non vengano integralmente
soddisfatti, applicandosi cioè la stessa regola dettata per il concordato
fallimentare 103 (pur restando fermo che i creditori privilegiati, il cui
soddisfacimento non sia integrale, sono da considerarsi chirografari per la
parte residua del credito).
La terza importante novità riguarda gli accordi di ristrutturazione dei
debiti, laddove si prevede che il debitore possa chiedere la protezione del
proprio patrimonio da iniziative cautelari e azioni esecutive di terzi estranei
all’accordo. Il Tribunale potrà infatti stabilire, per un tempo non superiore a
60 giorni, la sospensione degli atti esecutivi o cautelari già intrapresi,
nonché l’inibizione di azioni esecutive o cautelari da intraprendere. Inoltre come già ricordato-, al fine di uniformare i requisiti previsti dall’articolo in
esame con quelli contenuti nell’art. 67, comma terzo, lett. d) e nell’art. 161,
si prevede che il professionista incaricato di redigere la relazione prevista
negli articoli citati, debba possedere, oltre le caratteristiche contenute
nell’art. 28, lett. a) e b) 104 , anche l’iscrizione nel registro dei revisori
contabili.
A completare il decreto una serie di disposizioni transitorie, per cui in
caso di sentenza dichiarativa di fallimento pronunciata prima dell’entrata in
vigore del presente decreto è applicata la legge anteriore. La norma infine,
in vigore dal 1° gennaio 2008, estende retroattivamente l’applicazione
dell’istituto dell’esdebitazione anche alle procedure fallimentari pendenti
alla data del 16 luglio 2006.
103
A condizione che la misura del soddisfacimento proposta non sia inferiore a quella
realizzabile dalla vendita dei beni sui quali il privilegio cade.
104
Si tratta di: avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti;
studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse
abbiano i requisiti professionali di cui alla lettera a).
27
Marta Maria Pedrinola
Appendice
Fonti Giurisprudenziali
Tribunale di Bari, decreto 21 novembre 2005 – Pres. Napoleone, Rel.
Monteleone.
(omissis)
Il Legislatore, con il d.l. 14 marzo 2005 n. 35, convertito in l. 14 maggio 2005 n.
80 non ha riscritto la disciplina del concordato preventivo, ma usando la tecnica
della novellazione ha abrogato o modificato alcune norme del vecchio testo
legislativo inserendone di nuove finalizzate al perseguimento di obiettivi
innovativi assolutamente estranei all’istituto tradizionale.
L’intento di valorizzare l’autonomia privata per la gestione della crisi
dell’impresa si è concretamente manifestato con l’introduzione di un sistema di
soluzioni stragiudiziali, la cui efficacia sia garantita da un provvedimento di
omologazione da parte dell’autorità giudiziaria che riguardi, peraltro, il solo
controllo di legalità e di correttezza della procedura svolta.
Secondo tale previsione dopo l’art. 182 l. fall. è stato, così, inserito come è noto
l’art. 182 bis (accordi di ristrutturazione dei debiti) che prevede che
l’imprenditore in crisi possa depositare con la dichiarazione e la documentazione
di cui all’art. 161 (che riguarda il concordato così come modificato dalla l.
80/05) «un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori
rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti unito ad una relazione
redatta da un esperto sull’attuabilità dell’accordo stesso con particolare
riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori
estranei».
Da un primo esame di tale nuova disciplina risulta garantito il pieno rispetto del
principio dell’autonomia privata, in base al quale il contenuto contrattuale
vincola i contraenti e non gli estranei ad esso, dovendosi, quindi, intendere per
regolare pagamento che il medesimo sia integrale e alle scadenze pattuite.
D’altro canto, la finalità pubblicistica che permea tutti i procedimenti
concorsuali e che implica che sia data tutela anche agli interessi generali è
garantita dall’intervento dell’autorità giudiziaria. Infatti, l’accordo deve essere
sottoposto all’omologazione da parte del tribunale che deve decidere anche sulle
opposizioni secondo le modalità di seguito riportate.
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182 bis l. fall. sono
caratterizzati da due fasi: quella propriamente stragiudiziale, nella quale
l’imprenditore «in crisi» negozia con i creditori la propria situazione debitoria e
quella giudiziale, in cui l’accordo necessita dell’omologazione per essere
produttivo di effetti legali.
La relazione illustrativa al d.l. 35/05 invero non chiarisce se il nuovo istituto
abbia una sua autonomia o sia piuttosto una particolare ipotesi di concordato
preventivo (come del resto ritenuto in origine dalla ditta individuale istante), in
quanto essa, a tale proposito afferma che «il concordato diviene lo strumento
28
La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art 182-bis L.F.
attraverso il quale la crisi di impresa può essere risolta anche attraverso accordi
stragiudiziali che abbiano ad oggetto la ristrutturazione dell’impresa».
Proprio per la novità assoluta ed anche per la singolarità dell’istituto non poche
luci ed ombre si addensano tuttavia in pari misura sul lavoro interpretativo che la
nuova norma disciplinatrice richiede.
Uno dei profili interpretativi sul quale non sembra esservi accordo unanime è
quello che riguarda la struttura del procedimento, se, cioè, l’art. 182 bis l. fall.
introduca un nuovo istituto autonomo rispetto al concordato preventivo o se,
invece, questo debba intendersi come un’ulteriore tipologia di proposta di
concordato preventivo nel quale finisca per confluire, seppur con una procedura
semplificata.
Si ritiene di dover propendere per la tesi autonomistica militando a suo favore
almeno due dati testuali.
In primis nella rubrica del novellato titolo III del r.d. 267/42 sono state aggiunte
le parole «e degli accordi di ristrutturazione»; inoltre il dettato normativo di cui
all’art. 67, 3° comma, lett. e), l. fall. che prevede la non assoggettabilità ad
azione revocatoria «... degli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in
esecuzione del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata, nonché
dell’accordo omologato ai sensi dell’art. 182 bis».
È significativo, inoltre, che per la disciplina degli accordi di ristrutturazione il
rinvio a quella del concordato preventivo novellato, si attua solo per alcuni
aspetti procedurali e, cioè, con un primo rinvio all’art. 161 l. fall. che fissa le
modalità per la presentazione della dichiarazione e della documentazione. È
richiesta, quindi, la presentazione al tribunale dell’accordo, già concluso
stragiudizialmente con i creditori, che siano state rispettate le forme previste per
la presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo.
Un secondo rinvio è fatto all’art. 183, che disciplina il reclamo avverso il
decreto di omologazione. Nessuna altra norma che riguardi il concordato
preventivo è richiamata dall’art. 182 bis.
L’accoglimento della tesi autonomistica determina così alcune precise
conseguenze.
Non è, infatti, previsto che l’imprenditore chieda al tribunale un provvedimento
di apertura della procedura: quel che il debitore chiede è l’omologazione
dell’accordo che ne sancisca l’efficacia.
Nessun riferimento, quindi, all’esigenza di svolgere un’istruttoria per
l’ammissione alla procedura come previsto, invece, per il concordato preventivo,
né da parte del tribunale v’è possibilità di sindacato alcuno in relazione
all’ammissibilità della procedura medesima.
Né alcun riferimento normativo viene fatto all’art. 177 l. fall. (maggioranza per
l’approvazione del concordato), in quanto evidentemente in epoca antecedente
alla proposizione dell’accordo tra le parti è già intervenuta un’intesa e quindi,
apertamente, un consenso è gia stato prestato.
Il presupposto soggettivo è il medesimo del fallimento: deve trattarsi di un
imprenditore commerciale privato, non piccolo ex art. 1 l. fall., che versi tuttavia,
ai sensi del novellato art. 160 l. fall. in «stato di crisi».
29
Marta Maria Pedrinola
Il giudizio del tribunale deve riguardare quindi la sussistenza del requisito
oggettivo, e cioè la sussistenza di uno «stato di crisi» dell’impresa, stato non
meglio definito, ma nel quale possono essere ricomprese tutte quelle situazioni di
difficoltà economica e finanziaria dell’impresa, sia che esse si siano già tradotte,
sia che non si siano ancora tradotte, nello stato di insolvenza irreversibile
rilevante ex art. 5 l. fall.
L’espressione usata dal Legislatore lungi dall’escludere lo stato di insolvenza, lo
ricomprende in sé, ponendosi i concetti di «crisi» e «insolvenza» in rapporto, per
l’appunto di genere a specie.
La norma in commento non richiede particolari formalità, se non evidentemente
l’utilizzo della forma scritta, dato che l’accordo deve essere depositato in
tribunale e pubblicato nel registro delle imprese.
La norma tuttavia nulla dice in ordine alle formalità che devono assistere la
manifestazione del consenso dei creditori né tanto meno circa le modalità di
raccolta del consenso, ovvero se l’accordo debba essere contenuto in un unico
documento oppure se il debitore possa depositare tanti singoli accordi, come
avvenuto nel caso di specie.
La necessità insopprimibile di valorizzare la genuinità della manifestazione
della volontà dei creditori unitamente al momento della successiva pubblicazione
dell’accordo nel registro delle imprese impone che le sottoscrizioni debbano
essere autenticate e certificate da un soggetto dotato di tale potere.
Il 2° comma dell’art. 182 bis prevede che l’accordo di ristrutturazione dei debiti
è pubblicato nel registro delle imprese ed acquista efficacia dal giorno in cui
avviene detta pubblicazione, ai sensi dell’ultimo comma; è fissato altresì il
termine di trenta giorni dalla pubblicazione entro il quale i creditori ed ogni altro
interessato hanno facoltà di proporre opposizione.
Il tribunale, decise le opposizioni, procede all’omologazione, sempre necessaria
a prescindere dai casi di opposizione o meno.
È onere del tribunale vagliare e valutare la sussistenza dei presupposti, delle
condizioni procedurali di accesso innanzi elencate dal 1° comma
(particolarmente della dichiarazione e documentazione di cui all’art. 161 l. fall.),
ed il raggiungimento della percentuale del sessanta per cento dei crediti rispetto
al passivo complessivamente vantato dal debitore, il tutto come desumibile dalla
relazione dell’esperto.
La più comune operazione di ristrutturazione dei crediti consiste in una
moratoria nel pagamento dei debiti scaduti ovvero in una modifica dei termini
contrattuali del debito originario, identificandosi così sostanzialmente in un
pactum de non petendo.
La stipulazione del patto non determina l’estinzione dell’originario rapporto
obbligatorio, in quanto i crediti risultano temporaneamente inesigibili ma non
estinti, e quindi la funzione del pactum de non petendo si risolve nell’incidere
sulle modalità di esecuzione dell’obbligazione preesistente, senza alcuna
alterazione dell’oggetto e del titolo. L’accordo ex art. 182 bis l. fall. è quindi
caratterizzato dall’intervento di una pluralità di creditori che si riconoscono in un
piano di ristrutturazione che ha il precipuo obiettivo di prevenire o rimuovere lo
30
La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art 182-bis L.F.
stato di insolvenza nel quale versa una società in crisi.
Il problema di non facile soluzione per l’interprete risiede quindi nella
valutazione dell’idoneità di tale negozio, al cui perfezionamento abbia concorso
di fatto la volontà di una parte soltanto dei creditori, a rendere inattuale e
superato lo stato di insolvenza.
Negli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis l. fall. tale soluzione va ricercata
nella concreta fattibilità dell’accordo, con particolare riferimento alla sua
idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.
Infatti particolare importanza assume il sindacato dell’attuabilità dell’accordo
soprattutto con riferimento al soddisfacimento integrale dei creditori estranei,
elemento questo tanto valorizzato dalla legge in quanto diretto a garantire il
regolare e tempestivo pagamento di questi ultimi.
Evidente appare, nella ratio legis, la necessità dell’accentuazione del momento
di tutela in quanto diretto alla protezione di rapporti giuridici facenti capo a terzi
rimasti estranei ed all’oscuro dell’intervenuto accordo, che, vincolante per i soli
aderenti, non pone al riparo il debitore dalle azioni esecutive esperibili da parte
dei creditori estranei.
Tanto premesso in ordine all’accordo di ristrutturazione per debiti come in atti
proposto va evidenziato quanto segue:
— l’accordo di ristrutturazione risulta depositato, in originale, in tanti singoli
atti senza l’autentica delle sottoscrizioni dei creditori;
— risulta depositato esclusivamente il rapporto di trasmissione telematica
avvenuta in data 25 ottobre 2005 dell’accordo di ristrutturazione al registro delle
imprese, mentre non è desumibile la data dell’avvenuta pubblicazione da cui
decorrono come visto gli effetti giuridici, in primis la decorrenza del termine di
trenta giorni per l’opposizione da parte dei creditori o di ogni altro interessato;
— non è dato desumere, con certezza, dal tenore letterale della relazione del
dott. Domenico Di Lorenzo, attestante invero molto genericamente la fattibilità
del piano, se la percentuale del sessanta per cento dei crediti rispetto al passivo
complessivamente vantato dal debitore, richiesta dalla norma in commento, sia
stata raggiunta e in quale percentuale;
— in tutti gli undici accordi prodotti sub punto 6), in maniera difforme da
quanto previsto dall’art. 182 bis l. fall., irritualmente, è previsto che «il creditore
si obbliga, ove necessario, a manifestare per iscritto in apposito documento il
proprio consenso alla ristrutturazione del debito con le modalità qui convenute e
ciò ai fini della pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese, per come
disposto dall’art. 182 bis l. fall.»;
— infatti, alla luce di quanto sin qui esposto, il consenso dovrebbe già essere
intervenuto e l’accordo all’atto della proposizione del ricorso già depositato e
pubblicato presso il registro delle imprese da oltre trenta giorni;
— il pagamento dei creditori estranei all’accordo non può essere postergato
«entro e non oltre il termine di sessanta mesi dalla data di omologazione del
concordato» (rectius dell’accordo di ristrutturazione), ben al di là della scadenza
naturale dei crediti vantati ed in ragione della loro naturale esigibilità, in
mancanza comunque di garanzie in ordine al puntuale adempimento.
31
Marta Maria Pedrinola
Alla luce delle argomentazioni che precedono, appare indispensabile sentire le
parti prima della decisione in ordine alla richiesta omologa.
Tribunale di Brescia, decreto 22 febbraio 2006 – Pres. Cumin, Rel. Sabbadini.
(omissis)
A scioglimento della riserva, nel giudizio di omologazione dell’accordo di
ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l. fall. proposto dalla società M. s.r.l.
(ricorso n. 7/06); vista l’opposizione proposta da C.G.C. s.r.l.; visti ed esaminati gli
atti e rilevato che, trattandosi di procedure assolutamente nuove ed il cui testo
normativo appare assai carente sia dal punto di vista tecnico che lessicale, ritiene
opportuno il tribunale fissare, prima facie, i principî cui si atterrà nella valutazione
di detti accordi:
1) l’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 l. fall. è un istituto che,
trovando collocazione all’interno della legge fallimentare, è applicabile solo alle
imprese di cui all’art. 1 l. fall. ed è autonomo rispetto al concordato, trattandosi di
un contratto consensuale plurilaterale, di natura sostanzialmente privatistica, per
cui non sono applicabili né estensivamente né analogicamente le norme stabilite
per il concordato preventivo;
2) per il principio di cui all’art. 1326 c.c., esso si conclude nel momento in cui
l’ultima accettazione giunge a conoscenza di tutte le altre parti, che nel caso di
specie si presume con il deposito e la pubblicazione dell’accordo nel registro delle
imprese;
3) anche se non è espressamente previsto alcun requisito particolare di forma per
l’accordo, la forma scritta appare indispensabile per il deposito e la pubblicazione
nel registro delle imprese e la verifica delle adesioni pervenute;
4) la percentuale dei creditori «rappresentanti almeno il sessanta per cento dei
crediti» va calcolata, secondo la lettera della norma, sul totale dei crediti,
comprendendo quindi non solo i creditori dissenzienti, ma anche i privilegiati e gli
eventuali creditori rimasti estranei o non avvisati dal debitore;
5) per regolare pagamento dei «creditori estranei» (dissenzienti, privilegiati per cui
si prevede il regolare pagamento ed estranei veri e propri) si deve intendere l’esatto
pagamento del debito alla sua scadenza e non il pagamento secondo le regole
concordate tra il debitore e i creditori aderenti all’accordo (in particolare,
trattandosi di accordo di natura privatistica, non solo chi non aderisce ad esso ma
anche chi vi resta estraneo va regolarmente pagato, per cui con la locuzione
«creditori estranei» si deve intendere che il Legislatore in questo caso minus dixit
quam voluit, pena la palese incostituzionalità della norma);
6) per evidenti ragioni sistematiche, attesi i limiti propri del giudizio di
omologazione del tribunale, il presupposto del raggiungimento minimo della
maggioranza del sessanta per cento dei crediti deve sussistere al momento del
deposito e della pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese, anche se
saranno sempre ammissibili adesioni successive;
7) dette condizioni devono essere previamente fatte proprie dal debitore, trasfuse
32
La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art 182-bis L.F.
nell’accordo e verificate dall’esperto, non potendo il tribunale in sede di omologa
modificare i termini dell’accordo o apporre nuove o diverse condizioni, ma
potendo solo omologare o meno l’accordo come proposto;
8) l’eventuale mancanza del presupposto del raggiungimento della maggioranza
del sessanta per cento dei crediti al momento del deposito e della pubblicazione nel
registro delle imprese, non potrà essere sanata da adesioni pervenute
successivamente, ma il debitore dovrà attivarsi per iniziare nuovamente la
procedura, secondo la lettera della norma che prevede il deposito dell’accordo che
sia stato «stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei
crediti».
Tutto ciò premesso, rilevato che nel caso di specie l’accordo è stato depositato
sulla base di presupposti all’evidenza diversi da quelli sopra indicati;
rilevato peraltro che attesa l’oggettiva situazione di confusione esistente, allo stato,
pare opportuno al tribunale non adottare nessun altro provvedimento consentendo
al debitore, se lo vuole, di presentare un altro accordo che tenga conto di quanto
sopra indicato;
per questi motivi, non omologa l’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182
bis l. fall. proposto dalla società M. s.r.l..
Tribunale di Roma, decreto 4-16 ottobre 2006 – Pres. F. Severini, Rel. M.
Manzi.
La previsione dell’istituto degli accordi di ristrutturazione di cui all’art. 182 bis
l.f. indica il tentativo del Legislatore di attenuare i profili officiosi delle
procedure concorsuali privilegiando quelli pattizi. Agli organi giurisdizionali non
è più richiesto di tutelare in via principale gli interessi dei soggetti coinvolti nella
crisi d’impresa ricercando profili di insolvenza a carico degli imprenditori al fine
di rendere “sano” il mercato e di dirigere e vigilare sul buon andamento della
gestione delle procedure, bensì di ergersi a garanti del rispetto delle regole
prescelte dai soggetti privati decidendone gli eventuali conflitti.
Nonostante l’art. 182 bis che regola gli accordi di ristrutturazione sia collocato
nel titolo III accanto alle norme sul concordato preventivo, tra i due istituti vi è
una marcata differenza che non consente di affermare che tra gli stessi vi sia un
rapporto tra genus a species.
Non può essere omologato l’accordo di ristrutturazione che non preveda
espressamente le modalità di pagamento dei creditori non aderenti e che ai fini
del computo del 60% dei creditori aderenti vengano considerati solo quelli
muniti di titolo esecutivo.
33
Marta Maria Pedrinola
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La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art 182-bis L.F.
35
Marta Maria Pedrinola
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La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art 182-bis L.F.
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seguente indirizzo internet http://www.deaz.unibs.it
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62- Francesca GENNARI, Responsabilità globale d’impresa e bilancio integrato, marzo
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un’estensione di marca: consonanza percettiva e fattori Brand-Related, luglio 2007
66- Marco BERGAMASCHI, Crisi d’impresa e tecnica legislativa: l’istituto giuridico
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ARTI GRAFICHE APOLLONIO
Università degli Studi
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Dipartimento di
Economia Aziendale
Marta Maria PEDRINOLA
LA RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO
DELL’IMPRESA SECONDO LA NOVELLA
DELL’ART. 182-BIS L.F.
Paper numero 73
Università degli Studi di Brescia
Dipartimento di Economia Aziendale
Contrada Santa Chiara, 50 - 25122 Brescia
tel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814
e-mail: [email protected]
Dicembre 2007
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