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la moneta complementare pubblica
LIBRO VERDE
LA MONETA COMPLEMENTARE
PUBBLICA
Gennaio/febbraio 2013
Francesco Bernabei
1
Indice
Premessa
Perché un libro verde sulla moneta complementare
Introduzione
La moneta complementare
Capitolo primo
La crisi della moneta
Capitolo secondo
L’emissione monetaria e i problemi collegati
Capitolo terzo
Gli strumenti di pagamento e la distribuzione del reddito
Capitolo quarto
La fine dell’era del lavoro?
Capitolo quinto
Prospettive macroeconomiche e riflessi sulle economie regionali
Capitolo sesto
Si può costruire ed emettere una moneta pubblica per ripagare i debiti e sostenere i
redditi?
Capitolo settimo
Possibili schemi di funzionamento di una moneta complementare pubblica
Capitolo ottavo
Chi potrebbe emettere una moneta complementare pubblica?
Capitolo nono
Prevedere i problemi ed occuparsene
Capitolo decimo
Un modo diverso di concepire la spesa pubblica?
Capitolo undicesimo
Chi si assume la responsabilità del cambiamento?
Bibliografia/linkografia
2
Premessa
Perché un libro verde sulla moneta complementare?
La moneta complementare (MC) è argomento di dibattito da molto tempo ma, forse
mai come in questi ultimi due anni, di essa si parla diffusamente e con un generale
interessamento da parte del pubblico.
Gli esperimenti che si stanno susseguendo nel nostro Paese, (gli studi riportano che in
questo momento ci sono oltre 22 MC in circolazione) e le promesse derivanti dalle
esperienze di maggior portata - che sono tutte all’estero: Gran Bretagna, Francia,
Germania, Giappone - stanno contribuendo a generare un’aspettativa ragionevole
rispetto al fatto che la MC possa costituire un’adeguata misura anticrisi e forse - e
probabilmente - molto di più.
Chiunque abbia approfondito la materia, non può non rimanere colpito dagli scenari
nuovi che questo strumento socio-economico può partecipare a costruire, e dalla
ragionevole speranza di veder superare vecchie e nuove forme di povertà e miseria.
Ancora, la MC può contribuire a combattere quelle odiose sperequazioni di cui si è o si
è stati spettatori più o meno impotenti, ma che sempre più stanno imperversando qui
come altrove, man mano che la crisi toglie fiducia, progettualità, creatività e reazioni
positive prima ancora di posti di lavoro e chiusura di attività.
Quindi, si tratta sicuramente di un’idea progettuale interessante e potenzialmente
molto utile ma, affinché essa possa diventare un effettivo strumento di pagamento ed
una misura socio-economica di riferimento, deve trasformarsi in progetto prima ed in
oggetto subito dopo: non abbiamo ancora, infatti, “la” MC ma possiamo contare su
diverse sperimentazioni, per lo più locali e di profilo cittadino, dove le dimensioni
possono essere accostate più propriamente a quelle di un quartiere o di una piccola
città piuttosto che a quelle di una regione.
Ogni esperienza, anche quelle ormai concluse, ha regalato, spesso con grande
generosità verso gli altri e la società tutta, una preziosa tessera del puzzle: ci ha
mostrato infatti cosa fare per agire meglio e cosa non fare per evitare problemi. Ma la
lezione più importante che questo “piccolo mondo”, anche antico, ci ha insegnato è
che una moneta, per poter circolare veramente e per affermarsi, ha bisogno della
fiducia della gente e che questa fiducia deve essere conquistata passo dopo passo.
Costruire la fiducia, - un’altra parola per “credito” e un’espressione di uso corrente nel
mondo delle banche e di chi gestisce il denaro, quello vero per intenderci -, è la chiave
di ogni progetto economico che non può non essere, prima di tutto, sociale. Non si
può, del resto, far apparire, come per magia, uno strumento di pagamento nuovo,
3
diverso, e, per giunta, spesso prodotto semplicemente, se non poveramente, ed
aspettarsi che migliaia, centinaia di migliaia e, in prospettiva, milioni di cittadini, usino
una moneta complementare come se fosse quella cui sono abituati normalmente. Si
ha l’obbligo morale di non far morire l’idea potenzialmente buona ma, nello stesso
tempo, anche quello di non darle una veste misera che la farebbe fallire per semplice
incomprensione o pigrizia intellettuale. Si dice che oggi le persone non leggono più
perché non ne hanno il tempo o perché sono bombardate da troppi stimoli cui non
sanno fare fronte: può essere, ma si pone la questione: cosa dovrebbero leggere tutti
per farsi un’idea adeguata o addirittura per partecipare intelligentemente all’eventuale
progetto? Il materiale in circolazione, siti internet soprattutto e pochi libri, non hanno
fatto “letteratura”, come si dice in gergo accademico: non ci sono manuali completi,
anche se esistono interessanti prodotti editoriali. Potremmo dire, sulla base di quello
che ci risulta, che esiste certamente una narrativa sulla moneta complementare che
racconta chi ha fatto cosa e perché, mentre non c’è davvero una trattazione della
materia che proponga dei parametri di comprensione dell’esperienza e del successo e
sia, contestualmente, in grado di rappresentare la MC come misura pratica e
attuativa, se non ovunque, almeno in certe circostanze. Manca la scientificità,
direbbero sempre gli accademici.
Non intendiamo colmare questo vuoto, lo diciamo subito e chiaramente: abbiamo
scelto invece lo strumento del libro verde proprio perché riteniamo che l’idea “moneta
complementare” abbia bisogno di un certo grado di affinamento prima che si possa
parlare propriamente del progetto monetario vero e proprio. Quindi, non formuleremo
una proposta in queste pagine ma daremo conto del dibattito esistente e delle
indicazioni scaturite dalle esperienze di cui abbiamo avuto notizia. E’ il caso di
ricordare che il libro verde è uno strumento di governo di uso comune, ad esempio
presso la Commissione Europea, che non intende risolvere una certa questione ma
porre le domande giuste affinché si possa poi disegnare e approntare un piano
attuativo da descrivere adeguatamente nel conseguente “libro bianco”.
Non riporteremo nemmeno il parere di tutti o le proposte rappresentate da ogni
progetto di MC: ci limiteremo a fornire sinteticamente le informazioni, le deduzioni, le
esperienze, le indicazioni utili affinché si possa impostare su basi oggettive e razionali
il progetto di una moneta complementare pubblica. Come si sarà capito scorrendo
l’indice, daremo voce a tutti i ragionamenti che ci sembrano consoni e adeguati per
descrivere il territorio culturale di nascita e di affermazione della MC. Ci saranno anche
molte questioni cui non daremo risposta, consapevoli del fatto che qualunque progetto
possiede margini di incertezza sia in fase ideativa che realizzativa: riteniamo anzi
molto importante sottolineare le aree da capire meglio, per lasciare spazio alla
costruzione di strumenti di gestione e di controllo che diano forza e consistenza
all’eventuale progetto.
Concludiamo ricordando che un libro verde, fatti salvi gli errori lampanti e i
ragionamenti mal impostati, non è qualcosa da criticare ma è piuttosto un luogo
intellettuale necessariamente aperto a tutti nel quale si va per aggiungere i propri
dubbi e contribuire con i propri argomenti.
4
Introduzione
La moneta complementare
Con il termine “moneta complementare”1 si è soliti indicare i progetti e gli esperimenti
aventi per oggetto la creazione di sistemi di pagamento diversi dalla moneta ufficiale
ma ad essa affiancati (complementari, appunto). Tali sistemi di pagamento si
configurano semplicemente come mezzi di scambio e non possiedono altre funzioni
monetarie: non individuano, infatti, unità di conto nuove rispetto alla valuta ordinaria
e, quindi, gli scambi sottostanti sono computati in euro, dollari, sterline o yen. Le
monete complementari, inoltre, non possiedono quella caratteristica tipica della
moneta ufficiale definita come “riserva di valore”, nel senso che non garantiscono il
proprio valore nel tempo e non possono pertanto essere accumulate in quanto
progettate per essere utilizzate, e quindi spese, rapidamente: esistono progetti di
moneta complementare che prevedono una perdita di valore ad andamento lineare nel
tempo 2 (una certa quantità ogni settimana o mese) ed altri che contemplano la
cessazione della circolazione e la conseguente impossibilità di utilizzo e scambio dopo
una certa data (esattamente come avviene nel caso dei cosiddetti “buoni pasto” 3).
Oltre a queste caratteristiche di specificità e demarcazione rispetto alla valuta
corrente, bisogna poi ricordare che, generalmente, le monete complementari (da
adesso MC) non sono universalmente accettate, ma sono dotate di circolazione locale
e riguardano aree di dimensioni poco più che rionali, coinvolgendo al massimo qualche
migliaio di cittadini/consumatori. La circolazione è garantita da fondi depositati di cui
la MC è rappresentazione e/o da una convenzione con esercizi commerciali in maniera
analoga a quanto avviene con i gruppi di acquisto o le carte fedeltà. Anche se la MC,
tra i vari vantaggi, origina tipicamente uno sconto sull’acquisto di beni e servizi, si
differenzia dai buoni sconto perché la sua funzione non si esaurisce con l’atto della
compravendita e il buono è suscettibile di ulteriore circolazione. Le MC vengono
emesse, per lo più, da cittadini o da associazioni di cittadini e, per il resto, da istituti
appositamente creati. Possono essere convertite, se lo prevede il progetto monetario,
in valuta ufficiale presso sportelli bancari convenzionati. L’emissione di MC non è
continua, ma procede secondo una modalità simile alle promozioni e alle campagne
commerciali: la MC, infatti, viene prodotta e distribuita in seguito all’atto della
convenzione di garanzia con i negozi aderenti al circuito di circolazione e/o nel
momento in cui vi è la certezza del possesso dei fondi. Questo tipo di emissione,
quindi, determina dei picchi distributivi e dei momenti di rallentamento o stasi della
MC, per cui i pezzi realmente circolanti non sono mai tutti quelli prodotti ma una
1
Sinonimi in italiano: valuta locale, buono o voucher di consumo, traduzione in inglese complementary currency /
complementary money, local money, in francese, monnaie complémentaire communautaire o bon / bonùs d’échange,
in tedesco Komplementärwährung
2
Meccanismo del demurrage
3
I famosi ticket restaurant
5
frazione del volume potenziale: questo dato è importante per valutare il successo
della MC. I volumi di MC dei progetti attualmente in essere e più affermati arrivano a
circa un milione di unità - espresse in valuta ufficiale.
Altro elemento importante è la modalità di accettazione da parte dell’esercente, che
può essere parziale o totale: va detto che la MC, proprio per la sua caratteristica di
affiancamento rispetto alla moneta corrente, raramente viene accettata per pagare
completamente il prezzo di un bene o di un servizio, soprattutto a causa del bisogno
di valuta “nobile” da parte del commerciante che deve far fronte tempestivamente agli
obblighi fiscali verso lo Stato ed a quelli retributivi rispetto al personale, nonché per il
pagamento dei fornitori. Quindi, a parte i casi, meno frequenti ma decisamente più
interessanti, in cui la MC riesce a regolare completamente la compravendita, questa
assume per lo più l’aspetto di “uno sconto che cammina” 4 . Lo sconto praticato,
tipicamente tra il 5 e il 30 %, è a discrezione dell’esercente e la variabilità del tasso
rappresenta un ulteriore indice di successo della MC.
Per quanto concerne l’aspetto fisico della MC, essa si presenta di solito come una
moneta cartacea “povera” in quanto priva di “moneyness” 5 , cioè di tutte quelle
caratteristiche proprie della valuta ufficiale: non ci sono firme di garanzia da parte di
autorità costituite o riconosciute, non esistono particolari disegni o filigrane, la carta
non è “speciale” o del tipo convenzionalmente impiegato per la cartamoneta (leggero
e ad alta resistenza), gli inchiostri usati non sono particolarmente adeguati alla
conservazione della leggibilità nel tempo come avviene per le valute nazionali, non ci
sono codici alfanumerici per l’individuazione e la tracciabilità del pezzo ed, infine, non
sono presenti sistemi antifalsificazione. La MC non possiede moneyness perché, come
si intuisce dalle affermazioni precedenti, ha circolazione limitata nel tempo e nello
spazio: la fiducia di cui è oggetto è diretta e non indiretta o dovuta come avviene nel
caso della valuta nazionale di corso forzoso 6. Consumatori e negozianti accettano la
MC perché hanno fiducia nel progetto monetario, ma, nel momento stesso in cui
questa fiducia si riduce, essi possono rallentarne la circolazione: tutti gli aderenti al
circuito, infatti, hanno la libertà di accettare solo in parte o addirittura di non accettare
la MC, talvolta anche senza darne notizia preventiva.
Contrariamente a quanto descritto rispetto all’assenza di moneyness della MC, va
annotato che diversi esperimenti hanno lavorato invece sulla gradevolezza dello
strumento, affidando ad artisti la creazione di fattispecie “belle” e significative per lo
scopo ultimo del progetto monetario. In un caso 7, è addirittura successo che l’Istituto
Poligrafico della Zecca di Stato abbia disegnato e firmato diversi tagli di una MC
circolante in Italia fino al 2005.
4
Questa definizione è stata data in modo preciso ad uno degli esperimenti più diffusi del nostro Paese, lo SCEC, lo
SConto/la Solidarietà chE Cammina
5
Il termine appartiene al mondo della finanza e viene impiegato per indicare la convertibilità in moneta di un titolo
finanziario a scadenza, cioè quanto vale veramente: in letteratura, lo si usa anche per indicare la qualità monetaria,
ovvero il complesso delle caratteristiche positive che rendono riconoscibile e apprezzabile la moneta
6
Esiste ancora oggi il reato di rifiuto di monete avente corso legale che comporta anche una sanzione penale di 30
euro, (dispositivo dell’art 693 del Codice Penale)
7
EcoAspromonte moneta complementare del Parco Nazionale dell’Aspromonte (RC).
6
I tagli in circolazione sono bassi, limitandosi ai pezzi da 5, 10, 20; raramente si arriva
a contemplare i tagli più propriamente metallici (1,2) o il taglio da 50: la scelta dei
tagli non è casuale ma collegata alla gestione dei resti. Infatti, a garanzia dei
commercianti, si pongono in circolazione pezzi bassi per evitare la restituzione di cifre
“elevate” in moneta ufficiale, cosa percepita come un’esposizione finanziaria. La
gestione dei resti costituisce un altro punto delicato nella creazione di un sistema di
pagamento.
Benché la stragrande maggioranza degli usi preveda il cartaceo, la MC può anche
circolare in forma scritturale, ovvero non essere stampata ma impiegata come puro
valore nominale per regolare i conti tra aziende e fornitori 8. Esistono anche alcune
forme di moneta elettronica - molto embrionali se paragonate ai grandi circuiti di
moneta elettronica - che possono essere impiegate nel sistema POS abitualmente
presente nei nostri esercizi commerciali 9.
Quanto descritto finora rappresenta in modo piuttosto fedele, la media dei progetti
monetari complementari degli ultimi cento anni. Tralasciando le esperienze più
antiche (troppo lontane dagli scopi del presente lavoro e legate a società o usi
societari decisamente estinti) e gli esperimenti non propriamente definibili come MC ai
sensi di quanto si è detto in apertura (progetti monetari alternativi 10 alla moneta
ufficiale, riproduzione di monete storiche nei festival 11 , monete proposte dall’arte
contemporanea ma non destinate veramente alla circolazione 12, monete scambiabili
su piattaforme del web destinate a specifici gruppi di utenti 13), possiamo riassumere
le caratteristiche comuni delle MC nella seguente definizione:
La MC è un mezzo di scambio locale temporaneo, accettato in pagamento parziale
o totale di beni e servizi, la cui circolazione è garantita da accordi fra cittadini e,
spesso, da una dotazione in valuta ufficiale.
Gli elementi che, invece, rappresentano differenze sostanziali fra i diversi progetti
monetari riguardano le seguenti aree:
1. Attribuzione della MC ai consumatori: la MC, infatti, può essere donata o
scambiata alla pari o sotto o sopra la pari con lo stesso valore in moneta
ufficiale (da adesso MU) 14;
2. Circolazione della MC tra commercianti: la MC può essere spesa dopo la prima
compravendita oppure essere trattenuta dal negoziante in attesa di essere
convertita in MU o ancora essere in parte donata ad enti di volontariato/no
8
Come avviene nel sistema svizzero del WIR, uno dei progetti di MC più vecchi (1934) e ancora in uso
La valuta locale bavarese Chimgauer ha avviato una sperimentazione con carte di debito, simili al circuito
Pagobancomat
10
Quindi non destinati ad affiancare ma a sostituire completamente la moneta ufficiale
11
Come i festival di rievocazione storica in cui si propongono monete antiche per la compravendita di prodotti locali
per la sola durata del festival
12
Sono tanti gli artisti contemporanei che hanno riflettuto sulla natura della moneta ed hanno costruito delle
fattispecie monetarie riferite ad alcuni aspetti della storia e della cultura monetaria
13
Ad esempio, l’esperienza dei Bitcoin (Cryptocurrency), dei Linden Dollars di Second Life o dei Beenz
14
Ovvero rispettivamente dando 100 MC per 100 di moneta ufficiale MU, 95 MC contro 100MU o ancora 103 MC per
100 MU
9
7
profit. Il meccanismo più frequente prevede la normale circolazione e, secondo
modalità semplificate, l’uscita dal circuito mediante la conversione di MC a vista
(raramente su prenotazione) e al portatore in MU a titolo oneroso, cioè con
svantaggio 15 per chi esce dal circuito;
3. Conservazione del valore nel tempo: le MC possono mantenere lo stesso valore
o perderlo linearmente nel tempo (demurrage) o completamente a scadenza. Il
senso di tali scelte è collegato all’accentuazione dell’aspetto tecnicamente
definito di “moneta cattiva o imperfetta” 16 ovvero destinata solo alla
circolazione e non all’accumulo con il fine ultimo dichiarato di rendere più rapide
le transazioni. Nel caso del demurrage, ci sono vari e precisi sistemi per la
conservazione del valore della MC che rendono la circolazione ancora diversa 17;
4. La convertibilità della MC in MU: non tutte le MC diventano MU, alcune
semplicemente smettono di circolare, altre vengono convertite a scadenza di
circolazione e/o sono “ricomprate” dall’emittente. Nella maggioranza dei casi, la
MC conserva la facoltà di essere convertita a piacere, quindi, “a vista e al
portatore”, come si diceva sopra 18.
Il motivo per il quale le MC possiedono tanti elementi di somiglianza, pur nella varietà
delle forme, deriva sicuramente dal fatto che, già in tempi storici, le diverse società si
sono abituate a produrre mezzi di pagamento diversi per migliorare le prestazioni
della valuta ordinaria. Questi sistemi, pur arrivando a sostituire la moneta di
pagamento e/o di conto, non erano però che progetti temporanei, spesso spontanei,
decisamente non sovversivi e, soprattutto, determinati dal bisogno di evitare la
paralisi degli scambi, e di cercare, nel contempo, di non ricadere nel baratto, ormai
troppo inadeguato per economie moderne in crescita 19. Anche in tempo di guerra,
quando le valute ufficiali smettevano di circolare, si rendeva necessaria la produzione
di una MC che consentisse almeno di regolare temporaneamente gli scambi 20 . Da
questa primaria e diffusa reazione spontanea e dalla marcata improvvisazione degli
strumenti di scambio non monetari 21 deriva che non esiste una teoria di riferimento
per le MC, nonostante esistano interessanti riflessioni sulla natura della moneta che
hanno avuto un peso significativo su alcuni esperimenti storici e contemporanei e da
15
Meno MU in cambio di MC
Dalle osservazioni dell’agente di commercio medievale Gresham che coniò il famoso aforisma economico per cui “la
moneta cattiva (quella di scarso valore intrinseco per svalutazione o povertà dei metalli impiegati) scaccia quella
buona (la moneta coniata con i metalli nobili che erano quindi in grado di costituire riserva di valore)”.
17
Come avveniva nel 1932 nel celebre esperimento di Woergl in Austria, per cui era necessario applicare una marca
da bollo settimanalmente per non perdere la frazione corrispondente di valore nominale.
18
Formula bancaria antica ma ancora in voga per indicare il fatto che un certo valore viene consegnato presentando il
titolo corrispondente, (in questo caso la moneta cartacea), che può così essere visto fisicamente, a chi lo (tras)porta,
essendo il possesso presunto semplicemente per il fatto di avere fisicamente il titolo cioè senza procedere con
l’identificazione legale del possessore
19
Il baratto richiede la “doppia coincidenza dei bisogni” per poter procedere allo scambio ovvero due soggetti con
bisogni perfettamente incrociati: pertanto non può essere che un mezzo di scambio limitato in una società industriale.
20
Si pensi alla funzione di scambio delle sigarette nel mercato nero del nostro Paese durante il secondo conflitto
mondiale e, contemporaneamente, all’arrivo delle cosiddette AAM lire dell’esercito anglo-americano.
21
Questo spontaneismo è stato particolarmente evidente nella creazione delle monete complementari argentine in
seguito alla paralisi della moneta nazionale e alla chiusura delle banche (2001)
16
8
cui si sono potute trarre importanti insegnamenti e indicazioni. Basti pensare alle tesi
di Silvius Gesell a proposito della cosiddetta “moneta libera” 22 oppure alla teoria del
“regio” di Margrit Kennedy 23 o ancora ai lavori del professor Bernard Lietaer
sull’impatto degli interessi bancari sulla moneta ufficiale e sulla necessità di cambiare
le politiche monetarie anche impiegando monete diverse dalla valuta di riferimento 24:
in questi casi, la MC è argomento, se non marginale, quanto meno secondario rispetto
alle riflessioni sulla moneta principale. In altre parole, questi autori, unitamente a
tanti altri che qui non citiamo per ragioni di spazio e per mantenere il profilo
presentato in premessa, si sono occupati di descrivere i propri progetti di riforma della
moneta nazionale e, nell’impossibilità di poter intervenire direttamente sulla valuta
ufficiale, hanno pensato ad una moneta “secondaria” ma non necessariamente
complementare. Questo contesto teorico, in ultima analisi, ha generato una serie di
esperimenti monetari interessanti ma abbastanza lontani dalle teorie di riferimento,
che sono così decadute in prassi monetarie più semplici o semplificate rispetto alle
intenzioni iniziali, per entrare, infine e a pieno titolo, in quell’empirismo proprio del
mondo delle MC.
In mancanza di un riferimento teorico preciso, per le ragioni appena esposte, e in
virtù dello spontaneismo/empirismo ricordato, si può affermare che una MC viene
costruita con lo scopo di migliorare le prestazioni monetarie della moneta ufficiale.
Tipicamente, la MC fornisce un mezzo di scambio per aumentare la quantità degli
scambi a livello locale (che rappresenta la dimensione massima esplorata per la sua
governabilità), consentendo il pagamento e la valorizzazione economica di beni e
servizi diversamente non fruibili soprattutto perché fuori mercato 25.
Sul fronte della legalità, limitandoci al solo ambito italiano, è doveroso ricordare che
alcuni esperimenti sono stati oggetto di interessamento da parte delle autorità
giudiziarie 26 o amministrative 27 e che recentemente si è registrato nel nostro Paese
addirittura il caso di una moneta complementare prodotta da un municipio 28. Tutto
questo ha permesso di comprendere che la MC è legale in quanto chiaro accordo tra
cittadini che stabiliscono di impiegare un mezzo di pagamento in determinate e
precise condizioni. La MC non può essere, inoltre, un titolo finanziario per cui non deve
produrre redditi da interesse o plusvalenze da possesso ed è anche importante, per
22
“Das Freies Geld”o “Freigeld”, dal tedesco letteralmente “moneta libera” meglio nota in letteratura come “free
money” dove si introduce, tra le altre cose, il concetto di moneta a tempo: teoria esposta nel libro “Il naturale ordine
economico” (1916)
23
Cfr il libro “Moneta libera da inflazione ed interesse” (1987) dove si propone l’introduzione di una moneta di
respiro regionale, controllabile direttamente dalla gente e libera da interessi ed inflazione
24
Bernard Lietaer, studioso di fama internazionale sulle moneta, è autore di molti articoli informativi di monete
complementari nate in paesi anche extraeuropei (Giappone, USA, Venezuela, Argentina, etc)
25
Come le attività sociali riguardanti i servizi alla persona (ad esempio rivolte ai migranti con o senza permesso di
soggiorno) o la produzione di beni (ad esempio agricoli) non ritirati dalla grande distribuzione e non vendibili
diversamente per mancanza di mercato o, ancora, le attività proprie delle banche del tempo
26
La moneta complementare SIMEC (Guardiagrele in provincia di Chieti), in circolazione per circa un mese nell’estate
del 2000, è stata oggetto di un dibattimento giudiziario importante che ha stabilito la legalità della MC.
27
Arcipelago SCEC l’associazione di riferimento del progetto SCEC, sopra ricordato, ha interpellato Agenzia delle
Entrate e Guardia di Finanza per comprendere i limiti legali del proprio circuito
28
Si tratta del Napo, MC del Comune di Napoli, (fine 2012), che sarà forse l’esperimento più rilevante come quantità di
MC in circolazione in Italia
9
chi avvia un progetto di MC, che siano accuratamente considerate le relazioni con la
materia fiscale (emissione di scontrino/fattura, diminuzione importo dichiarato
fiscalmente, etc).
In conclusione e in estrema sintesi, la MC è un mezzo di scambio legale, spazialmente
e temporalmente limitato, avente lo scopo di migliorare le prestazioni monetarie della
MU,





aumentando la capacità di acquisto dei cittadini;
agendo come un buono sconto ulteriormente spendibile;
anticipando somme dovute da enti pubblici in merito ad alcuni capitoli di spesa
29
;
agevolando lo scambio di alcuni beni e servizi diversamente non disponibili 30 in
quantità e qualità;
consentendo un miglior sostegno a cittadini in condizioni particolari 31.
Il presente LIBRO VERDE intende indagare tutti gli elementi che permetteranno di
rispondere a questa domanda: si può regolare una parte della spesa pubblica per
mezzo di una moneta complementare?
29
Esperimenti di Riace (RC), 2011, e di Rionero in Vulture (PZ), 2012: si sono anticipati ai migranti i soldi attesi dallo
Stato per mezzo di voucher costruiti da una cordata di associazioni ed enti pubblici che venivano spesi dai beneficiari
presso alcuni esercizi convenzionati e, in seguito, estinti con la MU.
30
Come succede anche nelle Banche del Tempo o nei Gruppi di Acquisto Solidale.
31
Cittadini con dipendenze, soggetti a rischio di usura, alcuni servizi per gli anziani.
10
Capitolo primo
Crisi della moneta
Diversi economisti 32 hanno sottolineato le difficoltà di gestione dello strumento
monetario: ogni sistema finanziario è infatti alle prese con il problema della
regolazione della quantità di moneta circolante, materiale e dematerializzata ovvero
fisica e virtuale (elettronica e/o scritturale) e con l’altrettanto rilevante problema della
gestione del cambio con le altre valute, elemento di capitale importanza per il
commercio. Mantenendo il ragionamento sulle questioni generali - e semplificandolo a
beneficio della comprensione - possiamo dire che la quantità di moneta in circolazione
viene ritenuta la principale responsabile dell’inflazione ovvero dell’aumento
generalizzato dei prezzi, mentre le relazioni con le altre monete sono il fattore più
importante negli scambi internazionali in quanto l’import/export è direttamente
influenzato dal tasso di cambio applicato alle monete cioè dal costo della moneta
estera in termini di valuta ufficiale -e viceversa. La moneta di per sé non è quindi un
parametro fisso, ma è soggetta a variazioni spesso molto ampie con impatto
principalmente sui prezzi al consumo e all’ingrosso (tra aziende), determinando la
sufficienza o l’insufficienza dei redditi dei cittadini all’accesso a beni e servizi, la
capacità delle aziende sul mercato globale, la possibilità da parte dei governi di
sostenere la spesa pubblica e tanto altro. Si può decisamente affermare che proprio il
governo della moneta è sempre stato il principale problema delle economie moderne e
contemporanee e, ad oggi, dopo le scelte operate nel nostro33 come in altri Paesi, il
tema è passato completamente nelle mani delle Banche Centrali, ritenute al di sopra
delle parti interessate (cittadini, stati e governi, banche, mercati) e la cui azione viene
esercitata nell’interesse collettivo. Sono le Banche Centrali, infatti, ad emettere il
denaro e a regolarne la circolazione, intervenendo sul costo del denaro stesso e
rendendolo ora più, ora meno disponibile al fine di gestirne la quantità nel modo
giudicato più consono al sistema economico in un dato momento. Le Banche Centrali
hanno anche molteplici altre funzioni, come gli interventi detti di “mercato aperto”34,
ma il loro scopo principale risiede sicuramente nel gestire convenientemente la
moneta35, evitando soprattutto l’inflazione o le perturbazioni dei prezzi imputabili alla
moneta stessa. Si può anche affermare che sta proprio nella stabilità dei prezzi nel
tempo o nel governo di questi l’essenza dello sforzo e del pensiero economico.
Senza entrare in discussioni che richiederebbero molto spazio e che travalicano gli
scopi di questo libro verde, è doveroso ricordare che, a giudicare soprattutto dalla
32
Cfr S. Strange “Mad Money: When Markets Outgrow Governments” (1998), L. Fantacci “La moneta, storia di
un’istituzione mancata” (2005)
33
Si pensi allo storico “divorzio” fra Ministero del Tesoro e Banca d’Italia (1981).
34
Open market operation: si tratta di un sistema di regolazione della moneta tramite la compravendita di titoli di
stato.
35
La cosiddetta “sterilizzazione della moneta” ovvero il complesso delle attività della Banca Centrale per regolare la
quantità della moneta in circolazione
11
storia dell’istituto monetario e del suo andamento nel tempo, non si è ancora
raggiunta una soddisfacente e condivisa politica monetaria in grado di mantenere
all’equilibrio il sistema economico e di prevederne gli spostamenti tempestivamente al
fine di poter agire per il meglio: senza davvero attribuire responsabilità a nessuno,
non si è in condizione di immaginare uno scenario monetario di lungo periodo (almeno
superiore a qualche anno), né si possono comprendere in anticipo le conseguenze
delle scelte effettuate, in questo come in tanti, forse in tutti i settori dell’economia
attuale. Sono troppi i player, gli attori e le parti coinvolte e ancora gli eventi e le
condizioni da tenere presenti: nemmeno la storia appena passata o recente è in grado
di fornire lezioni o spiegazioni tali da garantire la sicurezza del risultato. Siamo,
quindi, nel campo dell’incertezza e della probabilità, come in tutte le scienze, e si
procede per stati di equilibrio successivi e conseguenti, come ci ha mostrato la teoria
dei giochi applicata all’economia 36. Quando c’è l’incertezza e i problemi si moltiplicano
accavallandosi, si è portati ad agire con prudenza: in questo modo si comporta la
Banca Centrale quando, in momenti di crisi come l’attuale, contemporaneamente
economica, produttiva, finanziaria e fiscale, riduce la quantità di moneta circolante e
tenta di regolare più finemente la circolazione stessa, aggiungendo regole, ponendo
limiti alla possibilità di indebitamento degli stati, suggerendo maggiore attenzione
nell’erogazione del credito, proponendo ai governi riforme importanti finalizzate a
ridurre la spesa pubblica. Tutto ciò concorre a determinare (esistono anche altri fattori
macroeconomici) una condizione permanente per cui esiste una richiesta di denaro da
parte dei cittadini, delle imprese, degli stati che è superiore all’offerta messa a
disposizione dal sistema bancario e finanziario in generale: di qui la crisi monetaria.
La crisi della moneta, - lo diciamo senza entrare nell’arena della politica e del
dibattimento interpretativo ma cercando di rimanere sull’oggettività -, si traduce nelle
misure di austerità che sono ben note di questi tempi, nella speranza di riportare il
sistema all’equilibrio in un orizzonte temporale piuttosto breve. Nello stesso momento,
- che si sia o meno d’accordo e coerentemente con le scelte operate -, continuano
l’inasprimento della pressione fiscale, il peggioramento dell’accesso al credito, la
ridotta capacità del sistema produttivo che non è in grado di assumere stabilmente
forza lavoro e, soprattutto, l’aumento del tasso nazionale di povertà ovvero del rischio
di povertà e di esclusione sociale (ad oggi superiore al 28,4% secondo dati ISTAT )37.
Qualunque sia la posizione politica e pur conservando la fiducia in alcuni ragionamenti,
non è tuttavia possibile né veramente sostenibile socialmente, non rispondere ai
bisogni di oltre un cittadino su 4, sapendo anche che nemmeno gli altri 3, sempre in
riferimento ai grandi numeri, stanno poi molto meglio. Negli altri paesi, il malessere
economico ha raggiunto anche il connotato di protesta manifestamente stabile con
comitati, soprattutto di giovani 38, che cercano di raggiungere i gruppi di potere per
chiedere cambiamenti tangibili in poco tempo in merito a occupazione, sviluppo,
distribuzione del reddito. Il sentimento collettivo, se lo si può interpretare davvero,
sembra orientato ad un futuro di ulteriore e perdurante depressione economica in cui
non si potrà più mantenere lo stile di vita precedente né garantirlo ai propri figli.
36
Si pensi al famoso “equilibrio di Nash”.
Cfr “Reddito e condizioni di vita”, ISTAT, 10 dicembre 2012, scaricabile dal sito www.istat.it
38
Come il Movimiento 15-M o degli “indignados” e l’ “Occupy Movement”.
37
12
In un clima come quello descritto, è prevedibile che nasca la reazione spontanea di cui
si parlava sopra, in base alla quale, in mancanza di un mezzo di pagamento
disponibile, se ne cerca o se ne crea uno complementare. Proprio durante la nascita e
l’affermarsi dell’attuale depressione economica globale sono sorti i tanti esperimenti di
MC nel mondo (oltre 5000 noti in questo momento) con un’accelerazione negli ultimi
10 anni: questi progetti monetari sono l’espressione del bisogno diffuso di maggiore
potere d’acquisto o accesso a qualche forma di credito o ancora di governare
localmente e autonomamente alcuni aspetti della vita economica più vicina. La MC è
uno strumento che richiede partecipazione, costruzione di rapporti, avviamento di
nuove pratiche, verifica degli obiettivi, apertura alla società ed ai suoi problemi: è,
quindi, uno strumento fragile che mette nella posizione di dover chiedere e ottenere
fiducia ma che potrebbe raggiungere i cittadini direttamente, essendo da essi anche
governata.
La moneta ufficiale, ritenuta - a torto o a ragione - corresponsabile di vari malanni
economico-sociali, non può essere rifiutata e dipende da dinamiche politiche e globali
così distanti dai cittadini da impedire una partecipazione o, addirittura, una
comprensione: forse, la recente ondata di rifiuto 39 nei confronti dell’euro, moneta
forte e sovranazionale, al di là delle ragioni di ordine politico ed economico, potrebbe
anche derivare dall’aver aumentato la distanza fra la gestione dello strumento
monetario e la gente, che ancora meno è in grado di partecipare e comprendere 40.
Le monete nazionali, quelle a cui siamo abituati, nascono storicamente da progetti
basati sul principio di autorità e, come tali, imposti ai cittadini i quali sono stati
obbligati nel tempo ad un solo mezzo di pagamento e all’impossibilità di poterlo
cambiare con il mutare dei propri bisogni: non potremmo essere davanti non tanto
alla crisi della moneta ufficiale quanto alla nascita della possibilità di una gestione
diversa degli strumenti monetari, uno o più dei quali sarebbero creati e governati dalle
persone sulla base dei propri legittimi bisogni? Non è forse questa una possibile
rappresentazione della “sovranità monetaria”?
39
40
Cfr. A. Bagnai “il tramonto dell’euro”, 2012, J. Sapir “Bisogna uscire dall’euro?” 2012
Cfr L. Bini Smaghi“ Il paradosso dell’euro”, 2008
13
Capitolo secondo
L’emissione monetaria e i problemi collegati
Le tre fasi rilevanti per la circolazione monetaria possono essere così elencate:
A. emissione
B. circolazione propriamente detta
C. ritiro
L’emissione prevede la produzione e la consegna della moneta a chi la distribuirà
capillarmente; il distributore può essere individuato in via esclusiva nel sistema
bancario. La circolazione è, invece, il passaggio della massa monetaria 41 tra tutti gli
attori sociali (persone fisiche e giuridiche) ed è pressoché continua e a tempo
indeterminato: infatti, solo una piccola parte della moneta cartacea scompare perché
il ritiro, ultima fase, avviene per rovina, distruzione o perdita del supporto cartaceo o
per deposito presso istituti esteri, relativamente lontani dal circuito nazionale di
riferimento. Il ritiro, nel senso della completa sparizione, non avviene per la moneta
elettronica e scritturale, quella che non ha base cartacea o fisica e viene quindi
progressivamente accumulata nel sistema, circolando anch’essa in maniera continua.
Ci sono, comunque, periodi di stasi in cui la moneta “giace” non spesa presso i conti
correnti o i depositi, ma anche in questo caso non è corretto dire che non “faccia”
niente: il sistema bancario, infatti, la investe, senza spenderla effettivamente ma di
fatto prestandola, e ricavandone ulteriore moneta. Come noto, le banche possono così
“creare moneta” 42. È vero dunque che “il denaro non dorme mai”. La Banca Centrale
interviene per incettare massa monetaria - cioè toglierla dalla circolazione - quando
questa è eccessiva, altrimenti il sistema si avvierebbe al collasso, nel senso che
prenderebbe avvio la spirale inflazionistica, ben studiata e nota, che si concluderebbe
solo alla teorica perdita totale di valore da parte del denaro 43.
La Banca Centrale e il sistema bancario rappresentano, quindi, l’inizio e la fine del
circuito monetario e agiscono come un cuore che pompa e regola la quantità del
sangue finanziario nel corpo sociale, se ci è permessa un’immagine suggestiva.
Questo sistema, che si è raffinato nel tempo, non prevede una reale scomparsa della
moneta la quale, una volta entrata nel sistema finanziario nazionale, non ne esce più
se non per andare all’estero, con tutti i problemi derivanti da tale evento: se essa,
infatti, dovesse tornare in massa e improvvisamente, potrebbe destabilizzare una
41
La massa monetaria è distinta per aggregati indicati con M che, semplificando, possiamo definire così : M1 è il
circolante propriamente detto perché spendibile praticamente subito, M2 è costituito da M1 e da tutti i depositi che
richiedono un po’ di tempo per essere svincolati e spesi, M2 estesa è data da M2 e dai depositi presso le filiali estere
delle banche italiane, che richiedono il “ritorno” per essere veramente spesi, cfr “Finanza” Garzanti alla voce M.
42
Meccanismo del cosiddetto “moltiplicatore dei depositi”.
43
Cfr A. Fergusson ,“Quando la moneta muore”, 2011
14
moneta nazionale condannandola alla svalutazione. Si pensi a tal proposito a quanto
accaduto ad alcune valute europee tra gli anni ’80 e ’90 44, ed a come tali accadimenti
hanno contribuito a generare e rinforzare gli accordi del Sistema Monetario Europeo
prima, e l’Euro dopo: quest’ultimo viene ritenuto, in tal senso, una roccaforte
monetaria inespugnabile 45.
La moneta ufficiale, quindi, cresce continuamente sviluppandosi su sé stessa;
periodicamente, viene “limata” nelle quantità, come si è ricordato: tuttavia, il continuo
aumento del volume monetario in circolazione, assolutamente insostenibile, è tale da
condurre ad una sorta di “reset” occasionale (cambiamento della valuta, riduzione del
denominatore monetario dalle migliaia alle decine, restrizione dei meccanismi indiretti
di distribuzione mediante azioni sulla spesa pubblica e sugli investimenti, etc) 46 .
Altrimenti, il meccanismo di emissione deve essere messo in condizione di limitare o
almeno non eccedere nella produzione e distribuzione di moneta. Se questa, infatti,
non può scomparire per non generare perturbazioni sociali facilmente immaginabili –
chi potrebbe accettare la sparizione di parte dei propri risparmi per semplice ritiro di
moneta? -, sarà utile e importante fare in modo che la moneta venga ridotta nelle
quantità in ingresso. E’ il caso di sottolineare qui che la moneta entra nel sistema a
debito 47: essa, in altre parole, non viene semplicemente assegnata alle persone e agli
enti, ma deve essere guadagnata perché si possa entrarne in possesso e avere la
facoltà di spenderla. Per averla effettivamente, quindi, bisogna cedere qualcosa: il
proprio tempo lavoro, un oggetto in senso lato o il diritto su di un oggetto. Anche se è
forse difficile comprendere come potrebbe essere altrimenti, avvezzi come siamo al
meccanismo di debito, possediamo la moneta solo se la compriamo e la possiamo
spendere solo cedendola, e non trattenendola nello stesso tempo: non siamo in grado
di produrre direttamente il simbolo economico per eccellenza né possiamo usarlo
direttamente senza detenerlo in qualche modo.
Questo dato universalmente diffuso e accettato, banale di per sé, non lo è poi tanto se
si pensa al fatto che esso vale non solo per il singolo, ma anche per gli stati e le
amministrazioni pubbliche e che, in ultima analisi, è proprio il meccanismo descritto,
nell’impossibilità di far fronte al fabbisogno di moneta diversamente, a costringere
all’indebitamento. Tutto il circuito finanziario, si dice da più parti 48, si basa sul debito.
Alcuni hanno visto in questo un sistema fraudolento ai danni dei cittadini e dei loro
legali rappresentanti 49, avviando una querelle tuttora ben presente sul web. Senza
entrare nel merito del dibattito che ha anche generato nel nostro Paese dibattimenti
giudiziari e discussioni molto interessanti intorno alla natura della moneta, ribadiamo
che la moneta viene emessa a debito e che questo meccanismo, forse proprio in virtù
del processo storico che lo ha elevato a sistema globale, può essere ritenuto una delle
44
come I famosi attacchi speculativi del 1992 alla sterlina e alla lira da parte del finanziere George Soros
Padoa Schioppa “L’euro e la sua banca centrale” 2004.
46
Si pensi alla storia monetaria europea dal dopoguerra ad oggi.
47
G. Lemme, “Moneta scritturale ed elettronica”, 2003, pg 24: “(…) sentiamo dunque di poter dire che la “moneta”
coincide con la lex monetae: ossia con la totalità delle norme legali monetarie che definiscono il carattere di un
debito(…)
48
B. Lietaer et al, “Money & Sustainability: the missing link”, una pubblicazione del Club di Roma, 2012
49
Teoria del signoraggio monetario, cfr “Finanza”, Garzanti, alla parola “moneta”
45
15
pietre di fondazione dell’intero edificio economico.
50
, premio Nobel per l’economia nel 1970, la fame
ci alziamo ogni mattina e andiamo a lavorare ed
quantità e tipologie di merce viaggiano verso tutte
Anzi, parafrasando Paul Samuelson
di moneta è la vera ragione per cui
è sulla base di essa che milioni di
le località del pianeta.
Ciò che accade in questo momento è che non si riesce più a placare la fame di moneta
con l’indebitamento: il sistema di emissione di moneta e di gestione del credito
dichiara di non poter sostenere la richiesta di nuovo circolante e invita gli stati a non
indebitarsi ulteriormente ed a gestire meglio le proprie risorse anche a costo di
sacrifici impopolari: sul piatto c’è, inizialmente, la perdita di fiducia da parte degli
investitori nei confronti del debito pubblico 51 , ma, subito dopo, il tracollo della
moneta52.
Se non si aumentano o migliorano spesa pubblica, investimenti e credito, si incorre,
come stiamo verificando, necessariamente nella paralisi dei consumi e nell’inutilità e
nell’impossibilità di produrre beni e servizi che comunque nessuno comprerebbe ai
prezzi necessari per permanere sul mercato.
L’attuale crisi, però, non si configura come una reale incapacità produttiva - nel senso
che non mancano beni e servizi e soggetti in grado di offrirli - ma si presenta, per lo
più, come una crisi finanziaria, cioè dei sistemi di pagamento/ indebitamento 53. In
altre parole, non si tratta di una “carestia” o di una scarsità vera e propria, ma solo di
un’incapacità distributiva legata all’impossibilità di chiudere lo scambio per mancanza
dello strumento pagatore e risolutivo della transazione. In considerazione di ciò, e del
fatto che la moneta è essenzialmente un tramite che permette di scambiare i prodotti
del proprio lavoro con quelli del lavoro altrui, non si potrebbe dunque adottare un
mezzo di pagamento nuovo, non basato sul debito e non generante ulteriori posizioni
debitorie, ma circolante esclusivamente per chiudere le transazioni necessarie al
mantenimento dei bisogni e degli investimenti fondamentali?
Se, come sembra logico, l’emissione della moneta ufficiale deve essere limitata per
questioni di sopravvivenza del sistema, perché non provare a progettare una MC,
anche a tempo e dotata di scadenza, ad esempio, per far fronte almeno ad una parte
della spesa pubblica?
Non si potrebbe immaginare un sistema di pagamento basato su una moneta ufficiale
“forte”, unità di conto delle transazioni e riserva di valore, e una MC “debole”,
distribuita su base regionale o nazionale, da impiegare per la massa delle spese
correnti di importo medio-basso?
50
Paul Samuelson è stato autore di un celebre manuale di macroeconomia, “Economia”, che ha raggiunto 19 edizioni
ed è stato tradotto in oltre 20 lingue.
51
Si pensi alla significativa storia del declassamento dei rating dei titoli di stato e alla dinamica del famoso “spread”.
52
Come la paventata “fine dell’euro”.
53
M. Amato, L. Fantacci “La fine della finanza”, 2012
16
Capitolo terzo
Gli strumenti di pagamento e la distribuzione del reddito
Il pagamento è l’atto finale della compravendita e si consuma con la consegna dei
titoli (di pagamento, appunto) da parte del compratore: oggi, questo comporta la
cessione di moneta in una delle sue forme, cioè cartamoneta, moneta elettronica54 o
moneta scritturale55. Senza entrare nei dettagli della storia dell’istituto monetario, è
utile ricordare qui che la moneta non costituiva titolo di pagamento fino
all’imposizione del corso forzoso. Infatti, prima di allora, il venditore non si riteneva
pagato con la ricezione della banconota, bensì con la consegna del valore sottostante
ovvero quello di cui la banconota costituiva la ricevuta: in un momento successivo, al
banco dei cambi - la prima rudimentale banca dell’epoca tardo medioevale e
rinascimentale – avrebbe, infatti, ricevuto tanto oro o tanto argento quanto era
riportato nell’impegno della banconota (appunto “nota di banco”). Solo allora si
sarebbe chiuso il pagamento che, da sempre, si deve concludere con reciproca
soddisfazione delle parti. Questa è la ragione per cui le monete ante euro e molte
valute ancora in circolazione 56 recano sul fronte la dicitura “pagabile a vista al
portatore” 57 , proprio perché il pagamento si consumava allo sportello del banco di
cambio.
Con l’avvento del corso forzoso della moneta, la legge ha stabilito che il pagamento si
concludeva con l’incasso della ricevuta ovvero della banconota, cosa che ha richiesto
vari tentativi nel corso del 18° e 19° secolo e diverse generazioni per essere
“digerita”, attaccati come si era al valore sottostante58. Il motivo per cui si è passati
alla carta risiede nel fatto che i metalli preziosi non erano sufficienti a coprire il
fabbisogno di moneta e si è dovuto “barare”59 per avere maggiore quantità di valuta.
Oggi c’è stata un’ulteriore evoluzione, silenziosa ma molto significativa: l’introduzione
della moneta elettronica ha posticipato a tempo indeterminato la consegna dei titoli di
pagamento e ha reso moneta effettiva la semplice scrittura contabile. Infatti, basta
registrare il passaggio dei valori da un conto all’altro, per avere la chiusura della
transazione fra compratore e venditore: la banconota potrebbe non essere mai
incassata in quanto non prelevata e il sistema finanziario non necessita più di una
grande provvista di cartamoneta. Il pagamento, quindi, si chiude con la promessa
garantita che la moneta sarà disponibile a richiesta. ll sistema fa sì che questo sia
54
Cfr Finanza, Garzanti Moneta elettronica o monetica, “tecnica che consente il trasferimento di potere d’acquisto
mediante la registrazione elettronica di istruzioni nella memoria di un calcolatore”; si avvale di supporti magnetici
dotati di microchip riconoscibili dai sistemi elettronici tipo POS
55
La moneta scritturale è la moneta esistente solo nelle scritture contabili: è, sostanzialmente, la registrazione degli
scambi monetari presso conti correnti o documenti analoghi aventi valore legale.
56
Ad esempio, la sterlina inglese
57
Cfr nota 18.
58
In Italia il corso forzoso è diventato permanente dopo la prima guerra mondiale.
59
Ovvero stampare più carta di quanto metallo si possedesse senza procedere con la svalutazione.
17
subito possibile per importi piccoli ed in breve tempo per quelli maggiori, ma è anche
in questo senso che si deve leggere la contemporanea tendenza delle banche a
scongiurare l’uso del contante rendendolo sempre meno disponibile60.
La cartamoneta costituisce la garanzia della moneta elettronica e scritturale e
rappresenta precisamente la copertura finale del pagamento. I vantaggi di questa
scelta sono tanti:









si può contenere la produzione di moneta lasciandone fluttuare le
rappresentazioni scritturali e consegnando la cartamoneta a richiesta;
le transazioni sono sempre tracciabili consentendo l’emersione di quello che un
tempo era detto “mercato nero”61;
grandi quantità di moneta possono essere trasferite molto facilmente;
non occorre stoccare e provvedere al mantenimento di grossi magazzini di
cartamoneta;
si salvano anche i costi di produzione della moneta stessa (costosa da realizzare
per tutti i crismi richiesti);
la contraffazione fisica non è più possibile62;
i cambi fra monete sono immediati e non occorre il preventivo possesso delle
valute estere;
i pagamenti per merci e servizi anche molto lontani possono avvenire
facilmente e in relativa sicurezza;
si può disporre del proprio conto corrente anche all’estero.
Tutto ciò rappresenta sicuramente un’evoluzione ma comporta anche una maggiore
onerosità degli scambi: ogni passaggio di moneta elettronica o scritturale comporta
infatti un costo, mentre l’impiego della cartamoneta è gratuito; l’accesso alla
cartamoneta è diventato più difficile o a pagamento. Inoltre, per avere la moneta
elettronica dotata di tutti i servizi 63 , occorre necessariamente un conto corrente
d’appoggio che costringe a diventare consumatori bancari, a sostenerne i costi e ad
essere valutati finanziariamente.
Proprio quest’ultimo aspetto apre al tema della bancabilità 64 : per accedere a tutti i
servizi messi a disposizione dal sistema bancario è necessario avere tutti i requisiti
che vengono definiti anche con il termine di “bancabile”. Bisogna essere bancabili, con
uno spostamento semantico notevole per cui il termine, coniato per i prodotti
finanziari perfetti e in grado di ottenere dalla banca un certo effetto, viene ora
applicato direttamente alle persone. La finanza etica e il microcredito o la microfinanza
parlano, infatti, di “soggetti non bancabili” per indicare gli esclusi dal sistema
bancario.
60
Si pensi alla recente decisione del governo italiano di non consentire prelievi uguali o superiori ai 1000 euro.
Il complesso delle transazioni non autorizzate dalla legge o non visibili al fisco.
62
Permangono invece i problemi legati alla pirateria informatica.
63
Esistono anche le carte elettroniche prepagate che però non consentono tutti i servizi di una carta di credito
aderente ai circuiti maggiormente accreditati (Visa, Mastercard, Maestro, American Express, etc)
64
Cfr Dizionario Hoepli, www.dizionari.hoepli.it: bancabilità, Carattere di ciò che è bancabile, scontabile, esigibile
presso una banca.
61
18
Non essere bancabili comporta il non accesso a:





un conto corrente in grado di avere uno scoperto, cioè di poter usufruire
momentaneamente di un extrareddito rispetto a quello presente a saldo65:
una carta di credito che apra alla possibilità di alcuni servizi (extrareddito,
alcune tipologie di acquisti, fitti e altro);
una carta di debito (il bancomat) con possibilità di scoperto;
crediti finanziari come il mutuo per la casa e il prestito personale;
credito al consumo presso alcuni esercenti (acquisto con pagamento
dilazionato di beni quali ad esempio auto, arredi, etc)
Se tutto questo può sembrare ingiusto, sarà bene sottolineare che la banca si tutela
dalle cosiddette “sofferenze”, cioè dal fatto di non vedersi rimborsare i crediti presso
la clientela, in quanto deve coprire con fondi propri (capitale sociale e riserve)
eventuali ammanchi e che, in Italia, con grande variabilità territoriale, il tasso di
sofferenza medio nel 2011 è stato pari al 10,8% dei prestiti, con un ammanco al
sistema di 195 miliardi di euro66.
La caratteristica principale per essere pienamente bancabili è il possesso di un reddito
certo a tempo indeterminato (da lavoro o da rendita patrimoniale): in presenza di
questa caratteristica, la banca sostiene il proprio cliente in maniera completa
soprattutto fornendogli la capacità di accedere ad un extrareddito che può essere
rimborsato convenientemente per entrambe le parti. Questo extrareddito è, di fatto, la
dilazione del pagamento vero e proprio.
Si può comprare una casa, un’automobile, tutto l’arredamento, un viaggio e offrire
inizialmente una piccola somma essendo coperti per l’intero importo dal sistema
bancario che semplicemente calcolerà una rata più o meno alta in base alla bancabilità
del consumatore e procederà a prelevare automaticamente dal conto la cifra
corrispondente . Addirittura anche l’inizio del pagamento può essere dilazionato a data
migliore (dopo un anno per esempio), se si è garantiti da un sistema di credito.
In definitiva, se si è bancabili, per concludere gli acquisti, è sufficiente la promessa di
pagamento garantita da soggetti finanziari. Ciò conferisce il potere di regolare il
proprio reddito aumentandolo momentaneamente e a seconda delle esigenze: è
corretto dire che, in questo modo, il soggetto bancabile può usufruire del denaro
bancario pienamente, compiendo investimenti profittevoli - pur non essendo
proprietario reale delle somme necessarie - o accedendo al credito sempre all’interno
di circuiti di garanzia. Questi investimenti e questi acquisti permettono di raggiungere
una ricchezza materiale ed un agio inarrivabili con il solo reddito da lavoro. Il possesso
di beni patrimoniali e la capacità di investire originano, poi, altri redditi: si può quindi
affermare che il denaro bancario così impiegato permette al soggetto bancabile di
avere accesso ad un reddito maggiore nel tempo. E’ doveroso dire che, quando si
perde il lavoro, soprattutto se all’improvviso, e , nello stesso tempo, non si riesce a
conservare la bancabilità, avendo goduto pienamente di questa condizione, ci si
65
Quello che gergalmente si definisce “andare in rosso”.
E.Coletti, “Di crisi in crisi: l’impatto sul settore bancario italiano e l’esperienza del gruppo Intesa San Paolo”, maggio
2012
66
19
ritrova più poveri di prima, cioè senza il reddito da lavoro e con in più le rate e i debiti
da pagare, nell’impossibilità di potervi fare fronte67.
E’ anche giusto ed equo far rilevare che il denaro bancario, come dimostrano i recenti
crac finanziari68, nella estrema necessità di essere messo a frutto e con larghi margini,
induce ripetutamente il sistema bancario ad investimenti eccessivamente rischiosi che
producono “buchi” e ammanchi molto superiori ai danni della “normale” sofferenza
bancaria: al di là dei casi palesemente fraudolenti, questo deve far riflettere sul
bisogno di moneta da parte del sistema finanziario stesso.
Sulla scorta di tutto quanto si è rappresentato, il pensiero economico definito
“alternativo”, dalla finanza etica 69 al microcredito, ha identificato come suprema
esigenza l’abbassamento della soglia della bancabilità, rendendo così bancabili anche i
soggetti non in possesso delle necessarie garanzie reddituali o patrimoniali: questo si
è tradotto nella apertura del credito soprattutto verso chi investe nel sociale (imprese
sociali o no profit) o chi intende operare un investimento piccolo ma duraturo, senza
alcuna garanzia personale (tipicamente i migranti)70.
A questo bisogna poi aggiungere le esperienze, tutt’ora in corso e in larga parte in
fase iniziale, delle banche che hanno creato prodotti finanziari particolari per dare
spazio anche ai soggetti difficilmente bancabili come i lavoratori cosiddetti “atipici”71 e
i migranti 72 : si tratta di interessanti tentativi di raggiungere gli esclusi dal sistema
bancario semplicemente trasformandoli in clienti.
Nonostante tutto questo, però, la soglia di bancabilità, stando ai grandi numeri, si alza
necessariamente se consideriamo non solo le regole bancarie (sempre più restrittive73)
ma anche il bisogno indotto dalla crisi di non rischiare il denaro e, nel contempo, di
metterlo maggiormente a frutto.
Forse, al di là dei lodevoli e validi tentativi di miglioramento che non mancheranno –
e che, di fatto, non mancano - di generare sviluppo ed evoluzione, non sono le banche
i soggetti che dovrebbero occuparsi dell’esclusione sociale dovuta alla scarsità dei
mezzi di pagamento. Gli istituti bancari, infatti, non sono altro che aziende private che
si misurano anch’esse con questo problema e non sono evidentemente nella
condizione di agire per l’intero corpo sociale. Come cittadini, potremo chiedere loro di
non investire male i nostri soldi, di abbassare la famosa soglia di bancabilità, di
costruire prodotti più attenti alle comunità locali e ai loro bisogni 74, e di mettere a
67
Il dilagante e preoccupante fenomeno definito “nuova povertà”: si vedano su questo i report annuali della Caritas.
Esiste una spiegazione teorica abbastanza accreditata per cui l’intera crisi finanziaria attuale sarebbe cominciata con
il famoso fallimento della banca d’affari americana Lehman Brothers (2008).
69
Per fermarci all’Italia, si pensi all’esperienza della Banca Popolare Etica (attiva dal 1999) o al mondo delle MAG,
Mutua AutoGestione, piccole cooperative finanziarie per il no profit (le prime risalgono alla fine degli anni settanta).
70
Soprattutto sul modello della Grameen Bank di Muhammad Yunus, il famoso “banchiere dei poveri”.
71
Tutti i lavoratori con contratto diverso dal lavoro dipendente o autonomo ma con mansioni simili se non uguali:
sono soprattutto collaboratori a progetto, i vecchi co.co.co. e gli interinali.
72
Il cosiddetto “welcome banking”.
73
I vari accordi detti “di Basilea” che hanno creato dal 1988 i criteri di riferimento per l’assunzione e la gestione del
rischio bancario.
74
Tenendo anche positivamente e debitamente conto di tutto quello che viene donato tramite le Fondazioni bancarie
e le Fondazioni di Comunità.
68
20
nostra disposizione servizi meno costosi. Dopo tutto questo, però, non ci potremo
attendere dalle banche il necessario allargamento dei sistemi di pagamento o la
diffusione di pratiche nuove che non siano direttamente in collegamento con il sistema
del debito.
In ogni caso, se il problema si riduce alla creazione di condizioni allargate di garanzia
per il pagamento al fine di consentire la circolazione economica ed evitare la paralisi
sociale, allora la soluzione sta sicuramente nel ritardare la consegna della
cartamoneta, che è la vera risorsa scarsa nel giro monetario: in ultima analisi, questo
è esattamente il comportamento delle banche e del sistema finanziario. Tale opzione
non è consentita agli enti pubblici ed ai singoli cittadini a causa dell’impossibilità per
questi soggetti di gestire direttamente la moneta senza incorrere nel debito.
L’introduzione di una MC priva di carattere di debito e diversa dalla moneta bancaria,
emessa da parte dello Stato o di un’amministrazione regionale e da questi garantita,
circolante con modalità da studiare, non potrebbe essere allora una risposta
adeguata? La MC, in questo caso, potrebbe ritardare a piacere il pagamento in
cartamoneta o moneta scritturale, evitando l’ulteriore indebitamento e regolando
efficacemente almeno una parte delle transazioni fra enti pubblici e aziende o cittadini.
In questo modo, si ridurrebbe sensibilmente anche l’esposizione finanziaria di chi
attende denaro dalle pubbliche amministrazioni ed è costretto all’indebitamento
bancario.
21
Capitolo quarto
La fine dell’era del lavoro?
Il lavoro rappresenta ancora la principale via di accesso alla moneta: se possiamo
disporne in quantità adeguata e modalità sufficientemente continuativa da regolare la
nostra vita economica, è proprio grazie all’ottenimento di un reddito e alla sicurezza
che esso ci può dare nel tempo. Il lavoro, elemento fondativo – praticamente e
culturalmente – delle società contemporanee, è però argomento di dibattito e scontro
politico-sociale da sempre e, ad oggi, sembra addirittura che esso stia radicalmente
mutando con una velocità tale da non consentire aggiustamenti efficaci per evitare il
carico di “sofferenza” sociale cui stiamo già assistendo. Ai fini di questo libro verde, è
importante descrivere alcuni aspetti del quadro socio-economico attuale del mercato
del lavoro con il solo obiettivo di fornire elementi di discussione e di comprensione
delle possibili prospettive.
E’ del 1995 il famoso saggio “La fine del lavoro”75 dell’americano Jeremy Rifkin in cui
si prevedeva, sulla scorta di un’analisi storica e statistica condotta soprattutto sul
mercato del lavoro americano degli anni settanta e ottanta, il globale e rapido
ridimensionamento del concetto e del ruolo tradizionale del lavoro. Anche altri
economisti, sociologi, antropologi, fra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni
novanta, hanno illustrato lo stesso concetto da diversi punti di vista76. A giudicare da
diversi indicatori socio-economici, si era arrivati alla precisa convinzione che a livello
macroeconomico fosse in atto una sostanziale e drastica contrazione del mercato del
lavoro nei paesi sviluppati, difficilmente governabile con gli strumenti socio-politici a
disposizione dei sistemi di welfare. I paesi che ricoprivano un ruolo trainante nella
produzione mondiale avrebbero avuto a che fare a breve, quindi, con una crisi del
mercato del lavoro il cui principale effetto sarebbe stato l’aumento del tasso di
disoccupazione ben oltre i livelli definiti “naturali”77.
Le ragioni di tale fenomeno, addotte da più parti, possono essere così riassunte:


le rivoluzioni tecnologiche succedutesi nel novecento, in maniera sempre più
rapida e ravvicinata, nei diversi settori (agricoltura, industria, commercio e
servizi in genere) si sono tradotte in una maggiore produzione con un sempre
minore impiego di risorse umane;
l’apertura dei mercati, unitamente alla definizione di rotte commerciali
economicamente “comode” (per costi diretti e tariffe) e sicure (socialmente,
75
J. Rifkin, “La fine del lavoro, il declino della forza lavoro globale e l'avvento dell'era post-mercato”.
U. Beck “La società del rischio, verso una seconda modernità” 1986 edizione originale, pubblicato in Italia nel 2000,
più noto in letteratura con il titolo originale di “Risikogesellshaft”.
77
Concetto di “tasso naturale di disoccupazione” ovvero la forza lavoro non impiegabile a prescindere
dall’applicazione delle politiche occupazionali note, Cfr P. Samuelson “Economia”. In Italia viene di solito stimato
intorno all’8%.
76
22





politicamente, militarmente), ha permesso l’aumento esponenziale della
velocità di circolazione delle merci: anche il mercato del lavoro si è
conseguentemente allargato coinvolgendo lavoratori di paesi diversi e lontani e
riducendo i costi di produzione di molte merci;
Il meccanismo della contrattazione del lavoro agisce - e ha senso - su scala
nazionale e non globale: il sistema produttivo ha semplicemente potuto
scegliere fra lavoratori a costo superiore e più qualificati e lavoratori a costo
inferiore e meno qualificati. La decisione collettivamente assunta dalle aziende,
- diventata in tal modo dinamica tendenziale prima e fattore competitivo poi -,
è stata quella di spostare la produzione più “semplice” ed esecutiva nei paesi
con manodopera a minor costo, lasciando nei paesi di origine l’intelligenza
strategico - funzionale più importante nelle mani dei lavoratori con maggiore
capacità e più alto valore aggiunto78;
L’eccessiva disponibilità di merci ha determinato una bolla economicospeculativa nel settore produttivo e dei servizi per cui si sono realizzate
transazioni con volumi non sostenibili nel tempo e non così promettenti come si
era ritenuto inizialmente79;
La delocalizzazione produttiva e la crisi dei servizi hanno colpito direttamente i
piccoli e medi imprenditori, che avevano investito attendendo ritorni nel medio
– lungo periodo, e le famiglie il cui sostentamento economico era direttamente
dipendente dal reddito da lavoro80;
La conseguente crisi dei consumi ha spinto enormemente tutta la distribuzione
definita “low cost” determinando una nuova generazione di prodotti e servizi in
cui l’impatto lavorativo è minimo (bassissimo costo di produzione grazie
all’elevata automazione, qualità accettabile ma appena sufficiente 81 ,
disponibilità universale)82;
Il contenimento del costo del lavoro è diventato, culturalmente e
praticamente83, un elemento non collegato alla generazione degli utili ma più
propriamente alla capacità di un’azienda di rimanere stabilmente sul mercato:
questo ha reso la pratica della cosiddetta “ristrutturazione aziendale” ovvero dei
drastici tagli del personale, un atto routinario e non occasionalmente
necessario.
I limiti del presente libro verde non consentono una disamina ulteriore
dell’interessante fenomeno che riguarda il rimodellamento del mondo del lavoro
attualmente in corso e non riteniamo di facile ed immediata comprensione quella che
78
Il cosiddetto fenomeno della “delocalizzazione produttiva”.
Si pensi alla “New Economy” nella definizione originaria di Kevin Kelly, autore del best –seller “New Rules for a New
Economy” (1998) e alle aspettative generate e obiettivamente dimostratesi non realistiche all’inizio degli anni
duemila.
80
La famosa “crisi del ceto medio”.
81
Si tratta di prodotti e servizi il cui scopo ultimo è l’accesso alla funzione del consumo, cioè al fatto di poter avere una
determinata funzione di un oggetto, senza possederlo realmente oppure avendolo a disposizione per un certo tempo:
scaduto questo, l’oggetto smette di funzionare o di essere utile al consumo.
82
M. Gaggi, E. Narduzzi “ La fine del ceto medio e la nascita della società low cost”, (2006)
83
Il contenimento dei costi direttamente imputabili al lavoro viene spesso citato dalla grandi aziende come asse
strategico di sviluppo e la ristrutturazione aziendale consiste usualmente e soprattutto nel ridurre al minimo le risorse
umane per consentire la produzione realmente vendibile con una prospettiva di sviluppo plausibile.
79
23
appare come una rivoluzione epocale: soltanto valutazioni ex post permetteranno di
cogliere sufficientemente bene il quadro degli avvenimenti.
A sostegno della discussione, dobbiamo dire inoltre che non è facile possedere una
dimensione quantitativa del fenomeno in corso perché, se ci riferiamo ai dati Istat
sull’occupazione nel nostro Paese84, osserviamo quanto segue:
Occupati (milioni per settore)
Agricoltura dipendenti
Agricoltura indipendenti
Industria dipendenti
Industria indipendenti
Industria costruzioni dipendenti
Industria costruzioni indipendenti
Servizi dipendenti
Servizi indipendenti
totale
1977
1,19
1,96
6,60
1,07
1,61
0,37
6,57
2,67
22,04
2011
0,41
0,44
5,23
1,31
1,14
0,71
11,60
3,99
24,83
-66%
-78%
-21%
+22%
-29%
+92%
+77%
+49%
+13%
Al netto di qualche correttivo 85 , scorrendo questo dati e quelli relativi al tasso di
occupazione, sembrerebbe addirittura che questo sia aumentato. Infatti, nonostante le
significative espulsioni dal settore agricolo (addirittura dai due terzi ai tre quarti dei
lavoratori) e da quello industriale (un quinto in meno, con un comparto costruzioni
decresciuto di circa un terzo), si potrebbe anche dedurre, sempre sulla base dei
numeri, che il terziario (il settore dei servizi) sia riuscito ad assorbire efficacemente la
forza lavoro crescendo in maniera decisa. Come del resto appare evidente alla prova
dei fatti, sarebbe successo soltanto che in 35 anni gli italiani, per la maggior parte
residenti ormai in città medio-grandi, hanno trovato lavoro soprattutto presso le
attività commerciali e affini86. Il problema della disoccupazione, quindi, non sarebbe
nemmeno numericamente apprezzabile.
Anche se è vero che la base di dati offerta dal nostro Istituto Nazionale di Statistica
risulta ampia per il mercato del lavoro, è doveroso dire - assumendosi volentieri
qualche responsabilità - che le descrizioni basate sui dati, la loro interpretazione o la
misurazione degli impatti effettuata soltanto sulla scorta dei numeri, “oggettifica” i
fenomeni sociali e tende ad appiattirli, rendendoli apprezzabili per un verso ma
incomprensibili per tanti altri. Ciò rende la percezione stessa dei fenomeni osservati
così varia e “strana” da innescare quelle discussioni interminabili proprie dell’agone
politico, in cui non solo non si è d’accordo sulle politiche da adottare ma anche
sull’entità o addirittura sull’esistenza stessa di un determinato problema.
84
Estratto da Serie storiche Istat “Occupati per settore di attività economica, etc” anni 1977-2011, tabella 10.9.2
Si tenga presente che la forza lavoro nel ’77 contemplava anche i quattordicenni, mentre dal ’92 in poi sono
occupabili solo i cittadini dai 15 anni in su, e che la popolazione italiana è cresciuta di circa 5 milioni di abitanti
residenti nel periodo considerato.
86
Come il cosiddetto terzo settore o no profit
85
24
Si osservi in particolar modo che per le statistiche87 - nei due censimenti del 2001 e
del 2011 - vale il cosiddetto “one hour criterion” in base al quale, citando direttamente
la pubblicazione ISTAT88,
gli occupati sono stati definiti come coloro i quali, nella settimana precedente la data di riferimento
del censimento, avevano effettuato almeno un’ora di lavoro retribuito o avevano lavorato in qualità di
coadiuvante familiare; sono stati, invece, definiti alla ricerca di un’occupazione coloro che, nelle quattro
settimane precedenti l’intervista, avevano effettuato una ricerca attiva di lavoro ed erano disponibili a
iniziare un’attività lavorativa nelle due settimane successive alla data della rilevazione
Tale criterio, impiegato internazionalmente e sicuramente studiato per armonizzare e
confrontare meglio i dati fra diverse società ed economie, pur precisato per mezzo di
ulteriori corollari, un lavoratore “da almeno un’ora” in un occupato, laddove sarebbe
invece rilevante capire – soprattutto per la realtà del nostro Paese - in base a quale
tipo di contratto avvenga la prestazione d’opera.
Il problema della contrattualizzazione, poi, scompare statisticamente se lo trattiamo
con la formula “dipendente/indipendente” perché, riportando la definizione 89 fornita
dall’Istituto di Statistica, abbiamo:
(…) Sono lavoratori dipendenti tutte le persone iscritte nei libri paga (…) delle imprese localizzate nel territorio
nazionale (…)
Gli indipendenti sono tutti gli altri, quelli non riportati nei libri paga e non remunerati
con fattura: con questa definizione gli atipici, i lavoratori autonomi con partita iva, gli
interinali, diventano, di fatto, “dipendenti” che saranno trattati poi diversamente sotto
il profilo della quantità di lavoro prestato90 .
Il problema del lavoro è rilevante anche se non “rileva statisticamente”: riteniamo che
esso venga sottodimensionato dal mondo della politica che lo coglie parzialmente o
enfaticamente, per certi aspetti, anche a causa degli strumenti di percezione allargata
che sono particolarmente poveri in questo ambito.
Se da un lato non pare questo il luogo per la narrazione della storia del mercato del
lavoro negli ultimi trent’anni, dall’altro, l’unico profilo in grado di consentire obiettività
e chiarezza ai fini della discussione sembra essere – a nostro pur sindacabile giudizio
– quello di una lettura del percorso delle idee e della cultura. Diviene così possibile
notare che, a partire dalla seconda metà degli anni ’80, si è verificato un progressivo
rimodellamento del ruolo del lavoro: da garante di tutte le sicurezze sociali
(mantenimento del tenore di vita per sé e la propria famiglia nel tempo con
prospettiva di crescita ulteriore) esso è gradualmente approdato ad essere,
attualmente, mero conferitore di reddito puntuale e solo per il tempo previsto dal
contratto. Il tempo, - in ultima analisi, il supremo fattore economico – è il dato più
rilevante dei contratti contemporanei, e di fatto il lavoratore, nella maggioranza dei
casi, è “agganciato” alla prospettiva di sviluppo e crescita dell’azienda o del
87
Si tengano presenti anche le raccomandazioni dell’United Nations Economics Commission for Europe (Unece,
organo ONU) e della Commissione Europea.
88
http://www3.istat.it/dati/catalogo/20120118_00/cap_10.pdf, il mercato del lavoro
89
“Struttura e dimensione delle imprese – nota metodologica”, ISTAT, 5 giugno 2012
90
Concetto di “unità lavorativa standard”
25
committente: questa prospettiva è espressa in obiettivi e azioni che raramente
superano i 5 anni. L’orizzonte temporale, vista l’estrema fluttuazione dei mercati,
quindi, si è ridotto in modo così significativo che il datore di lavoro – sia pubblico che
privato - decide di impegnare le proprie risorse solo per la quantità di tempo che
ritiene più idonea alle proprie possibilità, giudicate in un dato momento. Si può
affermare che il lavoratore contemporaneo partecipa, in modo particolare, al rischio
d’impresa mentre nei decenni precedenti era investito del solo compito dato dalle
proprie mansioni. Allora, il rapporto di lavoro – al di là delle patologie lavorative – si
risolveva solo in caso di chiusura dell’azienda o di grave crisi di un suo ramo e, in
quest’ultimo caso, solo se non era possibile il riposizionamento interno. Oggi lavorare,
pertanto, non significa solo prestare opera fisico-intellettuale, ma anche fornirla con
un’intensità quali - quantitativa misurata sulla base del raggiungimento di obiettivi: da
questo fattore dipendono molte cose, dall’ottenimento di maggiore reddito fino alla
risoluzione del rapporto lavorativo. Per maggior chiarezza, è corretto dire che oggi non
si licenzia, semplicemente non si assume stabilmente e, in caso di problemi, non si
rinnova il contratto.
Le principale tappe di questo percorso culturale si possono così riassumere:
1) Sganciamento del reddito da lavoro dagli effetti dell’inflazione, ritenuto il
problema più rilevante tra gli anni settanta e ottanta, consumatosi (1992) con
l’abbandono del sistema di garanzia del reddito che prevedeva il suo aumento
in stretta relazione con il tasso inflattivo;
2) Fine del sistema pensionistico retributivo ed introduzione del sistema
contributivo (1996) per il quale il pensionato arriva a percepire un somma
calcolata solo sulla base di quanto ha effettivamente versato e di non quanto
percepito nell’ultimo anno di lavoro;
3) Introduzione della “flessibilità lavorativa sostenibile”91, già vigente in tanti stati
europei, con il definitivo riconoscimento dei contratti atipici e interinali
introdotta nella riforma del lavoro del 2001: da allora è stato possibile
assumere lavoratori a tempo e per alcune specifiche mansioni, cioè a progetto,
garantendo loro i diritti tipici del lavoro solo per il periodo esatto di riferimento
ed esclusivamente in cambio dell’ultimazione e del raggiungimento degli
obiettivi del progetto;
La recente riforma del lavoro (2012) ha riconfermato i principi della flessibilità
lavorativa, cercando di garantire meglio i lavoratori con tutele assicurative soprattutto
in caso di disoccupazione, evento ormai non più occasionale ma decisamente
frequente.
La difficoltà nel raggiungere il reddito necessario incontra poi, come ulteriore
complessità, un aggravio fiscale 92 e una progressività pensionistica che, pur non
91
Cfr “Il Libro Bianco del Mercato del Lavoro” ottobre 2001 del professor Marco Biagi ritenuto il documento ispiratore
della Riforma Maroni dello stesso anno tramite la cosiddetta “Legge Biagi”
92
Si pensi all’aumento delle imposte indirette a sostegno soprattutto delle amministrazioni locali, che sono quelle che
garantiscono soprattutto i servizi alla persona
26
garantendo un reddito futuro, costa ai lavoratori un maggior impatto sul reddito
presente.
Se a questo aggiungiamo anche il “reset monetario” avvenuto con l’avvento dell’euro
e l’aumento generalizzato dei prezzi degli ultimi dieci anni93 a fronte di salari che, se
non scomparsi del tutto, non sono comunque cresciuti, arriviamo facilmente a
comprendere perché stiamo vivendo in un’epoca che probabilmente verrà chiamata “la
grande depressione di inizio secolo”.
Se dunque il lavoro non fornisce più il reddito necessario, su un piano culturale
culturale si osserva che coloro che si trovano al di fuori del sistema lavorativo perché disoccupati o in cerca occupazione - hanno diritto comunque ad un reddito: si
stanno cioè gettando le basi culturali e sociali affinchè si affermi quanto è definito
anche “reddito minimo garantito” ovvero una quantità di moneta che viene assegnata
agli individui al fine di consentire loro la sopravvivenza e l’espressione dei diritti di
cittadinanza, senza obbligo di prestazione lavorativa. Tale reddito può essere definito
come reddito di cittadinanza. Esso non è assimilabile ad un sussidio in quanto è
sganciato dal concetto di bisogno.
In Italia94 non esistono ancora leggi in questo senso perché il principale problema95 giudicato difficilmente superabile – consiste nel pagamento di questo reddito per
mezzo della già contratta e ridotta spesa pubblica.
Senza affrontare in questa sede il dibattito sulla scelta tra sussidi e reddito di
cittadinanza, ed in considerazione del connotato di urgenza che rivestono queste
decisioni, sembra di capitale importanza annotare qui che il fenomeno descritto è
ancora una volta correlato alla scarsità del mezzo di pagamento. Non potrebbe
dunque essere utile una MC costruita con lo scopo preciso di finanziare tutte le misure
studiate e messe a punto attualmente? Con questa moneta, coperta dai fondi già
stanziati, si potrebbero, ad esempio:





aumentare gli ammortizzatori sociali previsti dalle riforme in materia di
garanzia della flessibilità lavorativa;
erogare sussidi più ampi e attenti ai consumi;
provvedere al pagamento del reddito minimo garantito;
sostenere i servizi socialmente utili;
provvedere al pagamento delle prestazioni sanitarie, anziché renderle del tutto
gratuite per alcune categorie di soggetti, aumentando così la sostenibilità del
sistema sanitario.
93
Argomento innegabile ma oggetto di complesse discussioni soprattutto in merito alla percezione individuale e
collettiva cfr op cit in nota 40
94
Il reddito minimo garantito (o di cittadinanza, o universale) è presente nella legislazione di diversi paesi europei
(Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Germania, Francia, Gran Bretagna, Norvegia, Austria).
95
Altri argomenti sono costituiti dai dubbi sugli impatti sociali di una misura ritenuta troppo generosa e foriera di
“generale lassismo” nel nostro Paese.
27
Capitolo quinto
Prospettive macroeconomiche e riflessi sulle economie regionali
Se si intende progettare e varare una misura economica capace di impatto
ragionevole ed efficace, non si può prescindere dalle condizioni socio – culturali
presenti ed operanti in termini di immaginario collettivo, aspettative razionali e
prospettive più o meno prossime. In linea con l’argomento trattato, è doveroso
rilevare che una MC pubblica emessa nel breve termine avrebbe un impatto
considerevole ed immediato su milioni di cittadini: la progettazione di questa MC deve
pertanto contemplare necessariamente le linee di sviluppo che la cultura politicoeconomica ha generato nei cittadini stessi. Infatti, qualunque progetto socioeconomico ha ormai bisogno di un percorso di condivisione pubblica ed è proprio
questo, oggi, il maggior fattore di demarcazione fra la vecchia democrazia e la
nuova96.
Si devono, quindi, opportunamente valutare gli spazi di “manovra” e di inserimento di
questa proposta all’interno di quell’agenda mentale che i decisori pubblici ed
economici possiedono già: in merito, possiamo osservare anzi che, se da un lato, le
idee e i piani di sviluppo si desumono abbastanza chiaramente dai mezzi di
informazione, dall’altro troviamo queste stesse idee espresse in maniera sistematica e
precisa nei documenti ufficiali prodotti in quantità dagli istituti di riferimento per le
strategie economiche. Tali documenti vengono spesso presentati in maniera – è il
caso di dirlo – marginale dai media sia perché “non fanno notizia” di per sé, sia, forse,
perché richiedono una cultura in materia non comune per poter essere apprezzati
pienamente: del resto, si tratta di dossier tecnico - scientifici che non possono usare
un linguaggio troppo semplificato essendo di fatto rivolti ai tecnici della pubblica
amministrazione o degli enti ad essa collegati che poi tradurranno le informazioni in
tutto ciò che serve allo Stato.
Questo flusso di informazioni, davvero imponente e che fa onore alla pubblica
amministrazione, contiene dati molto rilevanti sulle aspettative di sviluppo e di
crescita del Paese ed è in grado di fornire il quadro nel cui ambito le decisioni
politiche, - anche quelle meno popolari -, vengono assunte. Sempre nei limiti di spazio
e di senso del presente Libro Verde, riteniamo che sia necessario presentare
brevemente quali sono gli scenari socio-economici riportati nella generalità di questi
documenti: infatti, saranno proprio tali scenari a generare le prospettive socioeconomiche che produrranno i termini di riferimento culturale e di discussione per le
economie regionali (macroaree e regioni vere e proprie).
96
Cfr L.K. Grossman “La repubblica elettronica”, ed riuniti 1997
28
“Essere in Europa” – per usare un’espressione tipica del gergo giornalistico
contemporaneo - oggi non significa solo dover sottostare agli obblighi imposti dal suo
sistema finanziario - ovvero dalla Banca Centrale Europea - e sottoscrivere patti di
stabilità monetaria e fiscale: se si può dire che la questione del cosiddetto “fondo
salva stati” e delle dinamiche del debito di alcuni Paesi Membri abbia occupato
l’attenzione collettiva e mediatica degli ultimi tempi, è significativo affermare che
questo si è verificato in conseguenza dell’adozione del piano strategico denominato
“Europa 2020”97.
“Europa 2020” è sostanzialmente – per citarne le parole esatte - la “nuova strategia
per l'occupazione e una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva” pensata e
sottoscritta dai Paesi Membri dell’Unione Europea e si articola in questi 5 punti
fondamentali:





Occupazione: portare al 75% il tasso di occupazione delle donne e degli uomini
di età compresa tra 20 e 64 anni.
Ricerca e sviluppo: migliorare le condizioni per la ricerca e lo sviluppo, in
particolare allo scopo di portare al 3% del PIL i livelli d'investimento pubblico e
privato combinati in tale settore.
Gas a effetto serra: ridurre le emissioni del 20% rispetto ai livelli del 1990;
portare al 20% la quota delle fonti di energia rinnovabili nel consumo finale di
energia e puntare a un miglioramento del 20% dell'efficienza energetica;
Istruzione: migliorare i livelli d'istruzione, in particolare mirando a ridurre i tassi
di dispersione scolastica al di sotto del 10% e aumentando almeno al 40% la
percentuale delle persone tra i 30 e i 34 anni che hanno completato l'istruzione
terziaria o equivalente
Inclusione sociale: in particolare attraverso la riduzione della povertà, mirando
a liberare almeno 20 milioni di persone dal rischio di povertà e di esclusione.
Il documento stabilisce per il primo punto che la priorità è la sostenibilità dei conti
pubblici dei Paesi Membri unitamente alla stabilità finanziaria dell’area Euro al fine di
consentire un “mercato unico” il cui corretto funzionamento dovrebbe aprire alle
possibilità di sviluppo economico e di ripresa dalla crisi finanziaria.
Il mercato unico europeo è il vero obiettivo strategico in agenda perché si ritiene che
esso possa rinforzare soprattutto l’export e la domanda interna dell’eurozona, come
più volte ribadito da BCE e da diversi capi di governo di orientamento europeista98:
questo dovrebbe consentire una crescita moderata entro il 2014 (in termini di PIL) e
rimediare almeno a quella parte di crisi dei consumi dovuta al calo di domanda dei
singoli paesi e ai necessari tagli della spesa pubblica. Dopo il 2014, messe a punto le
riforme strutturali sulla spesa pubblica degli stati, ridotti i deficit, stabilizzato l’euro
anche sui mercati internazionali sempre mantenendo sotto controllo l’inflazione, si
dovrebbe tornare ai livelli definiti di pre-crisi (del 2007) soprattutto con la prospettiva
97
cfr il testo ufficiale di adozione EUCO 13/10 del 17 giugno 2010.
Si pensi alle innumerevoli dichiarazioni del Governatore della BCE, Mario Draghi, e dei membri del nostro ultimo
governo tecnico, cfr “Italia 2020: rigore, crescita ed equità”, prefazione al DEF, Documento di Economia e Finanze, 5
giugno 2012.
98
29
di una crescita duratura su scala globale. Quindi, tutti gli stati nazionali dovrebbero
registrare il ritorno al tasso naturale di disoccupazione, una certa ripresa dei consumi
e della produzione interna, senza più incorrere in indebitamenti o misure di austerità o
ricorrendo agli aiuti del Meccanismo Europeo di Stabilità.
Questo quadro è pienamente ripreso e confermato dal DEF, Documento di Economia e
Finanze, pubblicato nel 2012 dal Ministero dell’Economia99: in esso si producono due
scenari (in atto e a “politiche invariate”), ma, in base alle manovre attuate, si deduce
una crescita stabile nel 2015100 soprattutto in forza del contenimento del deficit e della
spesa pubblica.
Anche le prospettive macroeconomiche presentate dalla Banca d’Italia101 e dal Centro
Ricerche di Confindustria102 mostrano un senso di positiva attesa rispetto alle politiche
in atto: pur mantenendo una prudente impostazione dei ragionamenti per via delle
variabili diverse (esogene) che non dipendono dalle decisioni prese nell’area euro103, si
prevede una cauta e lenta crescita delle macroaree (regioni e aggregati) nel
complesso dei dati statistico-economici di chiara crisi/recessione.
Il quadro decisionale alla base delle politiche macroeconomiche attuali, quindi,
contempla la possibilità della crescita mediante azioni su misure di:
 rigido controllo della moneta circolante al fine di evitare la deriva inflazionistica
e il crollo del potere d’acquisto, provvedendo nel contempo al continuo
miglioramento dell’accesso al credito;
 contenimento della spesa pubblica tramite il taglio di tutte le voci che non
producono ritorni indiretti sul medio-lungo periodo per arrivare finalmente
all’agognato obiettivo della riduzione delle tasse;
 ampliamento dello spazio di mercato, al fine di rendere più forti le posizioni
economiche dei competitor/player interni senza ricorrere al mantenimento
diretto delle aziende da parte dello stato;
 investimenti pubblici in infrastrutture (fisiche e immateriali) per migliorare le
possibilità di scambio e indurre con la spesa pubblica un effetto moltiplicatore in
grado di sostenere le imprese interne;
 controllo dei cambi monetari al fine di non subire le turbative indotte
dall’apprezzamento/deprezzamento dell’euro, che rimane così sostanzialmente
stabile e al di fuori delle speculazioni monetarie;
 progettazione e gestione di politiche regionali miranti a favorire le imprese,
soprattutto piccole e medie, stimolando il sistema produttivo locale a ricercare
nuovi mercati o diversi assetti strategici.
In altre parole, la ricetta applicata prevede che i problemi della disoccupazione,
dell’esclusione sociale, della povertà, dell’incapacità produttiva - etc. possano essere
99
Op cit. nota precedente.
Cfr nel documento citato la sezione II.2 previsioni tendenziali periodo 2012-2015
101
Banca d’Italia, Economia delle Regioni d’Italia, dicembre 2012
102
Centro Studi di Confidustria, Le sfide della politica economica, settembre 2012
103
Ad esempio, la contrazione del commercio internazionale, il calo della produzione delle economie trainanti (Usa,
Cina, India, Giappone), l’aumento dei costi del mercato dell’energia, etc.
100
30
superati stimolando indirettamente il “corpo economico” e lasciando che sia esso
stesso a trovare il modo di uscire direttamente dalla crisi: si provvede, quindi, a
generare le condizioni macroeconomiche più adeguate (moneta stabile, accesso al
mercato, fruizione non onerosa delle infrastrutture, utilizzo vantaggioso del denaro
bancario, contenimento delle tasse almeno in prospettiva, etc) ma si lascia al
“paziente” ovvero ai cittadini, alle imprese e ai governi locali il “percorso di
autoguarigione” che contempla questi elementi ormai “ambientali” o di sistema:






la scarsità monetaria e il dover prendere decisioni senza possibilità di spesa;
l’adeguamento alla flessibilità lavorativa in termini di formazione/abilitazione
continua a diverse attività e forme di lavoro;
la continua ricerca di nuove possibilità di mercato;
il rimodellamento rapido delle attività economiche e la capacità di resistenza in
condizione di crisi;
la capacità di collocarsi adeguatamente nel mercato e nel sistema finanziario;
la costruzione autonoma della sicurezza sociale in termini di reddito futuro e di
eventi difficilmente programmabili o prevedibili.
Questo quadro culturale, affiancato alle attuali condizioni di estrema concorrenza
globale (mai come di questi tempi), permette di capire le conseguenze di alcune
decisioni collettive forse inconsapevoli per i più ma determinanti per la convivenza
sociale contemporanea.
A) La fine dello Stato assistenziale104 ha portato inizialmente ad un sistema misto,
in parte sostenuto dal sistema pubblico e in parte dal cittadino, ed ora ad una
società in cui si assicura il welfare in termini di standard di prestazione ma il
rischio viene frazionato e distinto fra più attori: lo Stato è uno di questi ma non
è necessariamente il principale.
B) L’abbandono dell’idea dello Stato “imprenditore” 105 ha comportato un ruolo
“nuovo” per la macchina statale: essa non produce direttamente, bensì mette
nelle condizioni di far produrre il sistema economico, liberando la libera
iniziativa individuale e d’impresa, secondo l’idea della cosiddetta “economia
sociale di mercato”. Conseguentemente, lo Stato si è caricato della necessaria
costruzione di nuove infrastrutture (mobilità, telecomunicazioni, sanità,
istruzione, pensioni) e del mantenimento materiale e organizzativo delle vecchie
già esistenti (patrimonio immobiliare e demaniale): senza entrate da redditi
diretti è stato costretto ad indebitarsi prima, a dismettere poi (abbandonando
anche i progetti sul nascere 106 ) e, soprattutto, ad aumentare le tasse per la
propria sopravvivenza. Non solo: lo Stato ha delegato alcune sue funzioni alle
Regioni ed agli enti locali per questioni di mutate condizioni politico-culturali e
di opportunità e vicinanza rispetto ai cittadini107, restringendo poi i trasferimenti
104
Si pensi al dibattito sull’assistenzialismo degli anni ottanta.
L’idea delle imprese puramente statali è stata abbandonata quando si è ritenuto che queste non fossero realmente
efficienti nel fornire servizi a costi e prezzi ragionevoli senza deprimere anche l’iniziativa privata, giudicata invece più
capace nel costruire attività e generare occupazione.
106
Si pensi a tutte le infrastrutture ed agli immobili abbandonati a sé stessi, ultimati, o interrotti per mancanza di
fondi o per la sopravvenuta impossibilità del mantenimento futuro.
107
Si pensi al dibattito ancora in auge sul federalismo nei suoi molteplici aspetti.
105
31
delle risorse necessarie. Ciò ha prodotto il trasferimento del debito anche agli
enti periferici i quali possiedono entrate ancor meno capaci di quelle dello Stato
e non sono in grado di poter far fronte alle spese correnti senza incorrere in un
debito crescente a ritmo sostenuto108, trovandosi, poi, nella situazione di non
poter negare i servizi essenziali ai cittadini.
C) ll sistema di sicurezza sociale pensato dal secondo dopoguerra in poi poggiava
sul possesso di un lavoro stabile e sulla capacità di reddito: la crisi del posto
fisso, per quanto si è detto precedentemente, non ha comportato un
adeguamento graduale e sistematico della società alla nuova dimensione
lavorativa, che è invece stata ripensata e progettata con grande ritardo e
resistenza sociale. Gli strumenti tradizionali di accesso al mercato del lavoro
(corsi di studi, titoli professionali, esperienza riconosciuta, praticantato) hanno
smesso di funzionare in tutto o in parte109 mentre i nuovi (contratti a progetto,
nuovo praticantato, lavoro a chiamata) non sono in grado di fornire né la
stabilità né la capacità reddituale necessarie per ricondurre il cittadino al
concetto di lavoratore stabile. La precarizzazione nel lavoro e l’impossibilità di
ottenere garanzie ragionevoli per il futuro dovuta alla crisi del welfare che non
riesce ad offrire servizi a basso costo e alle condizioni di mercato, si traducono
in un’unica via possibile: si paga per tutto e, dove ciò non è possibile, si deve
essere disposti a rischiare individualmente e socialmente110.
D) L’adesione ad un progetto monetario forte come l’euro ha reso il mezzo di
pagamento nazionale sicuro rispetto alle speculazioni, unico per tutti, e forse
più capace di essere riserva di valore sul lungo periodo. In compenso, si è persa
la capacità di svalutare al bisogno, aggiustando e regolando il valore della
moneta alle necessità della bilancia commerciale e delle fasi economiche:
proprio la svalutazione equivaleva ad un sistema generalizzato di riduzione del
reddito complessivo prodotto nazionalmente senza il ricorso a correttivi
impopolari 111 , e, in condizioni di controllo e di moderazione, il sistema
silenziosamente erodeva valore alla moneta riconducendola ad una dimensione
più gestibile per gli scambi che aumentavano con un effetto moltiplicatore. Si è
notato nel tempo che la svalutazione non è un modo corretto di gestire lo
strumento monetario poiché essa non è realmente arrestabile e rappresenta
anzi un meccanismo generativo di inflazione (anche se attesa112): decrescendo
continuamente di valore, la moneta giunge soprattutto al cruciale momento
della ristrutturazione radicale che apre ad una complessa fase di transizione
sociale dalla vecchia alla nuova moneta 113 in cui diventa difficile cogliere il
108
Al di là dei casi di cronaca di corruzione e di mala gestione, si pensi anche alla difficile situazione economica degli
ultimi mesi del 2012 di alcune grandi regioni italiane (Piemonte, Lombardia, Lazio, Veneto, Sicilia).
109
Attualmente e, salvo rare eccezioni, una laurea e un diploma non aprono direttamente al possesso di un lavoro.
110
Si pensi anche all’attuale fenomeno delle pensioni dei genitori che vengono investite in attività commerciali per i
figli in età da lavoro, magari laureati ma senza reale accesso al lavoro per cui si erano formati.
111
C’è inoltre tutto il dibattito sull’effetto perequativo o sperequativo dell’inflazione cfr “inflazione e classi sociali”
112
L’attendibilità di un aumento di prezzo non genera turbative nel sistema che è preparato ad accogliere la differenza
potendo attuare degli aggiustamenti
113
E’ quanto abbiamo visto con l’euro ma non sono mancati precedenti illustri, si pensi alla riforma monetaria del
franco francese del 1960 e al concetto di nuovo e vecchio franco proprio di quegli anni cfr C. Picozza “La moneta: dal
baratto alle banche. Leggi e speculazioni. La Nuova Lira” editori riuniti, 1981
32
valore dell’unità di conto alla base delle transazioni, con tutti i problemi
derivanti114.
In sintesi, senza la pretesa di fornire una spiegazione esauriente ad un fenomeno
globale vasto come l’attuale recessione, possiamo dire che le condizioni socioculturali, mutate radicalmente nel corso degli ultimi venti anni, richiedono un
adeguamento direttamente al cittadino il quale deve: trovare un lavoro e rendere la
propria posizione lavorativa il più stabile possibile, fornirsi di adeguate coperture
finanziarie per l’aumento della pressione fiscale e dei prezzi al consumo dei servizi
essenziali, impratichirsi con le regole del sistema finanziario al fine di mantenere il più
possibile lo status di bancabilità (indebitandosi il giusto), preoccuparsi del futuro per
conservare nel tempo una capacità reddituale crescente per sé e per i propri figli.
Si capisce perché fare tutto questo, in un momento di grave incertezza come l’attuale,
dove niente è garantito, si trasforma in paralisi sociale e incapacità anche laddove si
potrebbero mettere in atto sistemi di contenimento interessanti. Ma si noti anche che
la generazione precedente - quella del padre di questo cittadino - è riuscita a fare
tutto il necessario semplicemente conservando il proprio posto di lavoro, con minor
fatica e minori competenze, in un’epoca di espansione in cui il principale problema
economico era l’inflazione.
Tutto però si traduce, ancora una volta, nell’impossibilità di pagare e non
nell’incapacità produttiva: ovvero, ci sono ancora gli impianti, le strutture patrimoniali
produttive e le capacità, ma manca il mezzo di pagamento distribuito adeguatamente
fra gli operatori.
Cosa succederebbe allora se si mettesse in circolazione un mezzo di pagamento
garantito, dotato della capacità di essere regolato in quantità tali da seguire gli scambi
senza possibilità di accumulo ed in grado, ad esempio, di ridurre i prezzi al consumo,
conservare la possibilità di accesso ai servizi essenziali senza indurre turbative nel
mercato di riferimento, consentendo magari anche il pagamento di attività che al
momento non sono riconoscibili economicamente? Non potrebbe essere questa una
misura da studiare nell’ambito della ricerca degli strumenti necessari per attuare gli
obiettivi di “Europa 2020”, soprattutto quando le misure ordinarie promettono troppo
poco per il cambiamento delle condizioni attuali?
114
In condizioni di insicurezza dell’unità di conto, gli operatori economici cercano di conservare valore per cui
rallentano la circolazione monetaria, cercando di non spendere moneta o di convertirla in qualcosa che conservi
valore nel tempo e quindi si registrano: aumento -vero o percepito- generalizzato dei prezzi, turbativa di alcuni prezzi
in particolare (tipicamente immobili), sfiducia nel mezzo di pagamento con fuga di capitali, investimenti patrimoniali
indebiti (soprattutto beni rifugio), rinforzo delle bolle speculative – non più chiaramente riconoscibili -, abbattimento
del valore dei salari che non possono essere ricontrattati facilmente, etc.
33
Capitolo sesto
Si può costruire ed emettere una moneta pubblica per ripagare i
debiti e sostenere i redditi?
Finora si è parlato di tutto ciò che costituisce l’ambiente “naturale” di affermazione e
di sviluppo della moneta complementare: si sono, poi, definiti i contorni culturali attuali e prossimi – del progetto della moneta complementare pubblica per dare idea,
sempre ai fini della discussione, degli ambiti di competenza socio-economica nei quali
tale moneta complementare potrebbe avere peso.
Adesso si tratta di rispondere alla domanda se davvero sia possibile per il nostro
Paese la costruzione e l’emissione di una moneta complementare pubblica: in altre
parole, prima di arrivare al “come si potrebbe fare” questa moneta, dobbiamo dire se
è praticabile almeno in linea teorica, definendo, in prima battuta, i termini di fattibilità.
Le due funzioni immaginabili per la moneta complementare pubblica (da ora MCP),
sono sicuramente:
a) il regolamento delle posizioni debitorie dello Stato e degli Enti Locali;
b) il sostegno dei redditi dei cittadini e/o di alcune attività sociali.
La Pubblica Amministrazione, a livello nazionale e locale (Regioni, Province, Comuni e
altri enti collegati), riveste ormai il ruolo di debitore “particolare”. Accanto ai debiti
con il sistema bancario (anticipazioni e collocamento di titoli di debito sul mercato
finanziario), è necessario considerare il denaro non ancora speso ma dovuto a chi ha
prestato servizi in nome e per conto degli enti pubblici 115 : questo non origina
necessariamente un ricorso al denaro bancario ma assume il connotato di pagamento
ritardato. E’ ormai diffusa la prassi in base alla quale ai tempi previsti
contrattualmente per l’erogazione dei compensi verso i privati (soprattutto imprese,
ma anche cittadini) si aggiungono i ritardi dovuti alla mancanza di disponibilità di
cassa. Non essendoci liquidità, gli enti della Pubblica Amministrazione non procedono
al pagamento e non riconoscono importi fino all’effettiva disponibilità delle somme: lo
Stato diventa insomma un “cattivo” pagatore. Al di là delle ragioni del ritardo116 e non
considerando i casi in cui i tempi di attesa per l’avviamento dei contratti diventano un
evidente sistema di risparmio sulla spesa pubblica 117 , il rapporto contrattuale con
l’ente pubblico è comunque da sempre ricercato per due ragioni: garanzia del
pagamento seppur ritardato e continuità del rapporto di lavoro nel tempo. Queste
115
Si pensi anche al meccanismo di “certificazione dei crediti” introdotto nel 2012 anche con l’obiettivo di tutelare il
creditore di un ente pubblico.
116
Gli spostamenti del denaro nella Pubblica Amministrazione non sono semplici ma prevedono protocolli e procedure
burocratiche particolari.
117
Soprattutto quando l’ente appaltatore o chi fornisce servizi inderogabili non è nella condizione di sospendere le
proprie attività essendo investito della responsabilità del mancato servizio.
34
condizioni fondamentali hanno permesso agli imprenditori di poter accedere al prestito
bancario semplicemente esibendo il contratto con il pubblico. La dilatazione dei tempi
di pagamento tuttavia è cresciuta in modo tale da configurarsi non più come un
semplice ritardo ma più propriamente come una mancata corresponsione di somme:
infatti, con il diminuire della capacità di spesa si è arrivati a negoziare la continuità del
rapporto lavorativo con periodi di sospensione e di attesa molto lunghi e su basi
sempre più ristrette e meno favorevoli per l’impresa prestatrice di servizi. Ciò ha
avuto la conseguenza di rendere meno scorrevoli i rapporti fra il mondo delle imprese
e il sistema bancario in termini di anticipazione di denaro e, soprattutto, ha posto le
aziende in contrasto con il fisco. Da una parte lo Stato è debitore ma, dall’altra, per
via della tassazione, è creditore e, non essendoci passaggio di informazioni fra i due
livelli, lo Stato esattore agisce prima, con il risultato incredibile che l’imprenditore
deve pagare tasse per somme che non ha incassato.
Alcune recenti sentenze dei tribunali di Milano e di Padova118 hanno stabilito che nei
casi di pagamento ritardato da parte della Pubblica Amministrazione è lecito parimenti
ritardare i conferimenti al fisco “per causa di forza maggiore”, cioè nel caso in cui
l’imprenditore non abbia altra via di uscita. Queste decisioni, che aprono a tanti altri
immaginabili e inevitabili ragionamenti, derivano proprio dalle condizioni debitorie
attuali degli enti pubblici che non sono più in grado di far fronte alle spese correnti
inderogabili. Al netto dei tagli alle uscite e delle misure di “dimagrimento” delle spese
di mantenimento e gestione dell’ente pubblico in genere, rimane il grande problema
del dover garantire servizi ai cittadini119 senza essere nella disponibilità delle somme
necessarie.
In questo caso, l’emissione di una MCP dotata delle garanzie proprie dei pagamenti da
parte dell’ente pubblico potrebbe configurarsi come la creazione di una cambiale
infruttifera con funzione di pagamento e circolante fino alla sopravvenienza dei fondi
necessari. L’imprenditore pagato con la MCP potrebbe utilizzare direttamente questa
moneta per procedere con i propri pagamenti, cercando di trattenere l’euro per gli
scambi con l’estero o come riserva di valore. Si tratterebbe di studiare tutte le misure
di mediazione - e di buon senso - fra la condizione attuale e quella futura, in cui si
potrebbe assistere alla circolazione di questa “nuova” moneta a tempo che in realtà
uscirebbe di scena con il riacquisto da parte dello Stato. Infatti, la Pubblica
Amministrazione riacquisirebbe le “cambiali” semplicemente pagandole con gli euro di
cui nel frattempo avrebbe fatto provvista. Non si tratterebbe di emissione di moneta
bensì di creazione di un titolo di debito circolante con vincolo di tempo e dotato della
funzione di pagamento. Nei capitoli seguenti verranno esplicitati nel dettaglio i
vantaggi e le conseguenze di questa scelta. Per rispondere alla domanda iniziale sulla
possibilità o meno di creare una moneta complementare pubblica, si ricordi che il
sistema qui descritto non differirebbe molto da quanto avvenne con i famosi
“miniassegni” 120 degli anni ’70; sulla base di questa esperienza è quindi possibile
118
Tribunale di Milano, caso Sintea Plustek e Tribunale di Padova, caso Cosma, tutti e due del 2013 in riferimento a
fatti avvenuti nel 2005-6.
119
Massimo tra tutti il servizio sanitario in genere.
120
Si trattò dell’emissione da parte degli istituti bancari di assegni circolari piccoli per dimensioni e per valore (poche
lire) da impiegare nel pagamento degli importi per i quali si usavano gli spiccioli (conio metallico) e di cui in quegli anni
35
affermare che la Pubblica Amministrazione sarebbe in grado di gestire un sistema di
pagamento proprio, diverso dalla valuta ufficiale. Con questa MCP non si genererebbe
veramente un debito perché non ci sarebbe ricorso al denaro bancario.
Nel caso del sostegno al reddito di alcuni cittadini e ad attività sociali con lo scopo di
migliorare la qualità della vita di precisi gruppi sociali, è il caso di ricordare che la
Pubblica Amministrazione, per le ragioni sopra riportate, è nella condizione di dover
tagliare e ridurre significativamente i conferimenti diretti: non ci sarebbero quindi
fondi specificamente destinati a queste attività da rappresentare con una cambiale.
Se osserviamo l’esperienza della cosiddetta “Social Card” 121, troviamo che era stato
costituito un fondo di circa un miliardo da destinare alle famiglie tramite questa carta
di credito, caricata bimestralmente per un importo di 80 euro con contributo annuale
di 480 euro per soggetto destinatario. Nel periodo 2008 - 10 sono stati versati
475milioni di euro nel fondo di cui hanno beneficiato 734mila fruitori. Negli anni
seguenti si è deciso per un rinnovo della social card fino all’attuale rifinanziamento
previsto di circa 50milioni di euro da destinare però a soggetti decisamente più
svantaggiati (solo famiglie con minori e con reddito isee sotto i 3mila euro annui) ai
quali andrebbero però importi mensili superiori, da 231 a 404 euro. E’ evidente lo
sforzo da parte dello Stato di mantenere i servizi essenziali individuando meglio i
target di riferimento e realizzando economie di scala con il chiaro intento di spendere
meno dando di più ai più bisognosi (stimabili comunque in 370mila famiglie 122). La
“Carta acquisti”, che ha prodotto anche interessanti risvolti vicini all’economia sociale
(scontistica dedicata, agevolazioni ulteriori, etc), costa attualmente (cioè al netto degli
investimenti fatti dal 2008) allo Stato solo 10 milioni di euro 123 nel 2013 con una
previsione di aumento di spesa di circa 1 milione all’anno nei prossimi due (2014-5).
Si ricorda qui che la Social Card altro non è che una carta di debito (carta
bancomat 124 ) senza oneri per il titolare che consente spese fino al raggiungimento
degli importi caricati e addebitando le somme direttamente al “Fondo Social Card”. Si
potrebbe semplicemente creare una MCP con importo complessivo pari o inferiore alla
disponibilità del Fondo e proprio da questo garantita: i fruitori semplicemente
pagherebbero le proprie spese senza che abbia luogo un prelievo monetario dal
Fondo. La MCP circolerebbe all’interno di un circuito di moneta elettronica parallelo,
praticamente invisibile, e cesserebbe di esistere solo quando si prelevassero le cifre
corrispondenti in euro dal Fondo. A questo punto, allo Stato non rimarrebbe che
rifinanziare il Fondo - con una spesa di gran lunga inferiore, come si può immaginare
facilmente - a fronte di un moltiplicatore di capacità di spesa decisamente superiore a
quello che si realizza con il diretto impiego degli euro.
(1975 -78) si registrò grande penuria per varie ragioni (inflazione, incettazione dei metalli, collezionismo). Si creò in
breve una circolazione sostenuta per un controvalore di 200 miliardi dell’epoca con effetti non indifferenti sulla
percezione della moneta da parte dei cittadini e degli esercizi commerciali che produssero anche dei buoni in proprio
(buoni merce, etc). L’esperienza finì con il ritorno del conio metallico.
121
più propriamente la “Carta acquisti” del Ministero dell’Economia, misura varata nel 2008 e tuttora vigente pur con
alcuni rimodellamenti.
122
Banca dati Isee
123
Ministero dell’Economia e delle Finanze, Bilancio semplificato dello Stato su dati DLB , dicembre 2012
124
Più precisamente un Postamat.
36
Con questo sistema si potrebbero anche finanziare altre attività, tenendo presente che
lo Stato ha il diritto di costituire degli Istituti di emissione di moneta elettronica (i
cosiddetti IMEL): a fronte della costituzione di un fondo sarebbe sufficiente emettere
moneta circolante in maniera complementare. Tale moneta si estinguerebbe solo con
la conversione in euro. In tal modo, si potrebbe anche finanziare una misura
difficilmente sostenibile come il reddito di cittadinanza di cui si è parlato
precedentemente.
Rimandando ai prossimi capitoli il dettaglio teorico del meccanismo descritto, si
sottolinea, alla luce dei ragionamenti fatti, che il “salto culturale” richiesto si riduce al
ritardare il pagamento in contanti tramite un circuito monetario della Pubblica
Amministrazione, senza che ciò generi un corso forzoso ma aumentando i vantaggi
legati all’impiego della MCP. Il cittadino quindi verrebbe pagato prima, se non subito,
e avrebbe la scelta di impiegare la MCP con alcuni vantaggi o convertirla in euro con
svantaggio: non sarebbe questo un modo di conoscere il grado di fiducia nei confronti
di questa moneta da parte dei cittadini? Non è forse la stessa cosa che capita
propriamente con le carte di credito 125 ? Quali vantaggi si possono costruire per
convincere il cittadino a detenere la MCP?
125
Il prelievo in contanti con le carte di credito comporta una commissione molto più alta rispetto ai bancomat
37
Capitolo settimo
Possibili schemi di funzionamento di una moneta complementare
pubblica
La moneta complementare pubblica (MCP) è, come si è anticipato, uno strumento di
pagamento complementare all’euro, di pari valore nominale, non dotato di capacità di
riserva di valore, impiegabile unicamente come mezzo di pagamento. La MCP viene
emessa dall’ente pubblico ed è di sua proprietà, non fornisce guadagni diretti, non può
essere impiegata a garanzia ulteriore di transazioni future, né essere ceduta a titolo
oneroso da intermediari e nemmeno può essere collocata in mercati finanziari: lo
scopo dello strumento è in via esclusiva il pagamento immediato nell’ambito di una
compravendita. L’ente pubblico garantisce il sottostante valore in euro e solo su
questo elemento avvia l’emissione e ne promuove la circolazione: la circolazione
stessa non è forzosa, i cittadini possono decidere se accettare o meno la MCP e, in
ogni caso, devono poterla convertire in valuta ufficiale, anche se a titolo oneroso. La
gestione della MCP deve essere al costo di esercizio e non può originare profitti a
meno di azioni significative di valore aggiunto e tali da motivare un guadagno oltre
alla copertura dei costi.
Gli elementi appena descritti, per quanto si è detto finora, rappresentano i punti fermi
per un progetto praticabile di MCP che riassumiamo sinteticamente a beneficio della
comprensione:





esistenza di un fondo di garanzia in euro o in valuta facilmente convertibile in
euro
circolazione agevolata della MCP
convertibilità non agevolata della MCP in euro o altra valuta
emissione non onerosa per il cittadino e comunque al costo di gestione per
l’ente pubblico
servizi aggiuntivi per una moneyness diversa (scontistica, informazioni su
buone prassi, indicazioni di acquisto, corsie preferenziali per il pagamento di
beni e servizi, etc)
La perdita di questi requisiti porterebbe ad un declassamento della MCP che
probabilmente comincerebbe “a rallentare” fino alla quasi immobilità e al ritiro dalla
circolazione come capita a molte monete complementari. Si possono naturalmente
pensare molti altri modelli di funzionamento ma, per la natura pubblica di questa
particolare moneta complementare e ravvisando come unica possibilità di scelta per
un progetto realistico di MCP quella della circolazione garantita con la convertibilità a
richiesta, siamo indotti a non ritenere veramente praticabili, almeno in prima istanza
di progettazione, altri elementi, pur nel loro interesse teorico e pratico. Le ipotesi di
38
schemi progettuali diversi sono basati su altri principi monetari quali la creazione di
moneta non garantita da valuta ufficiale ma da beni economici o prodotti al consumo o
ancora la circolazione di una moneta a scadenza 126 oppure l’emissione di titoli che
decrescono di valore nel tempo (titoli a tasso negativo) 127 per finanziare la spesa
pubblica. Questi e altri progetti vicini o coincidenti con la moneta complementare,
pensati ed elaborati per condizioni precise e diverse da quelle presentate per la MCP,
richiedono la costruzione dell’elemento fiduciario che non sembra nelle possibilità
dell’ente pubblico: esso infatti possiede la fiducia dei cittadini, in ultima analisi, in
forza della propria rappresentatività ma, forse proprio per questo, non è in condizione
di mettere in opera progetti che presentino margini di rischio o di dichiarata (reale o
solo percepita) perdita di valore economico. Con questo, non si intende fare giustizia
sommaria nei confronti di ragionamenti interessanti e utili allo sviluppo di una MCP
diversa da quella che si sta delineando in queste pagine, e si ricorda che la funzione di
un libro verde è soprattutto quella di impostare il dibattito mettendo a tema le
questioni rilevanti e strettamente collegate.
Nella sussistenza degli elementi che abbiamo indicato, i progetti possono invece
differire per emissione, circolazione e ritiro e si illustrano nei seguenti i diversi
meccanismi di funzionamento ipotizzabili per la MCP:
 Modello pubblico
 Modello pubblico/privato
 Modello privato
Modello pubblico. La MCP viene emessa da un ufficio incaricato o da un ente
appositamente costituito della Pubblica Amministrazione e viene impiegata
direttamente in pagamento delle posizioni debitorie. La circolazione è libera e avviene
parallelamente all’euro: gli scambi sono agevolati per economicità e facilità di
svolgimento. Il possessore di una partita di MCP ha la possibilità di convertirla in euro
presentandone richiesta formale all’emittente il quale provvede a ritirare la moneta
(meglio elettronica ma anche cartacea) pagandola con le provviste del sottostante
fondo in euro (magari sotto la pari ovvero pagando meno euro per la MCP). In
considerazione dei vantaggi, si prevede anche la possibilità contraria, cioè che i
cittadini o le imprese possano accedere alla MCP convertendo gli euro alla pari o con
ulteriore vantaggio. La circolazione viene regolata agendo sul fondo sottostante,
rifinanziandolo se si vuole aumentare la massa monetaria della MCP o lasciando che
venga convertito in euro fino ad esaurimento scorte. Fatto salva una quota di
sicurezza, il fondo può essere prestato con oneri minimi anche alle attività della
Pubblica Amministrazione stessa restando scritturalmente intatto: si creerebbero cioè
delle partite di giro in cui gli euro restano gli stessi ma circolano all’interno della filiera
dei pagamenti degli enti pubblici. Ci sarebbe pertanto un meccanismo di raddoppio
temporaneo della capacità finanziaria. Gli oneri di gestione sarebbero le uniche spese
126
127
Cfr nota 22 definita anche “Icemoney”
Cfr D. De Simone, FAZ – Zone di Autonomia Finanziaria, 2003
39
da sostenere e andrebbero imputati ai fruitori del fondo in euro. Questo modello
avrebbe il grosso vantaggio di non generare debiti ulteriori e consegnerebbe nelle
mani del pubblico uno strumento di pagamento proprio con cui regolare anche le
tasse, le pensioni e molto altro, soprattutto se si riuscisse a costruire la MCP anche su
impegno di spesa cioè senza l’effettivo possesso degli euro ma nella sicurezza della
dotazione futura.
Modello pubblico/privato. Il modello differisce dal precedente per via della
partecipazione privata. L’ente di emissione sarebbe infatti un’azienda a sé, a
partecipazione statale (non un’impresa in-house, quindi): la Pubblica Amministrazione
avrebbe la proprietà e il controllo della MCP ma ne lascerebbe ai privati la gestione. La
circolazione potrebbe essere regolata tramite un canale finanziario (circuiti bancomat,
carta di credito) già esistente consentendo una diffusione maggiore e più capillare: la
MCP si confonderebbe praticamente con gli euro diventandone di fatto anticipazione. A
fronte di questi vantaggi, il costo di gestione necessariamente salirebbe dovendo
ripagare gli investimenti e il lavoro dei privati e il fondo (dotato di risorse pubbliche e
private) sottostante non potrebbe essere impiegato con l’elasticità descritta sopra,
nell’ipotesi di un meccanismo di convertibilità più dinamico. Questo modello, infatti,
punterebbe forzatamente alla identità della MCP con l’euro.
Modello privato. La Pubblica Amministrazione è sempre proprietaria della MCP ma non
la controlla direttamente e non la gestisce, cedendola, a vario titolo, ai privati. Il fondo
sarebbe appoggiato al sistema bancario e da esso controllato e investito: la MCP
perderebbe il connotato di moneta complementare diventando solo un circuito di
pagamento agevolato. Il cittadino non si accorgerebbe nemmeno di star usando
“un’altra moneta” e la conversione rimarrebbe nascosta al “portatore” di MCP. I
pagamenti sarebbero identici a quelli in euro e la convertibilità un fattore interno
discrezionale sulla base degli accordi tra privati. In tal modo il fondo potrebbe contare
su più fonti di finanziamento, ma rimarrebbe il problema del minor vantaggio per
l’ente pubblico che, pur senza oneri diretti e con la possibilità di partecipare ai
proventi di gestione, non sarebbe veramente in grado di impiegare liberamente per sè
stesso né la MCP né il fondo sottostante.
Ciascuno dei tre modelli di funzionamento possono avere delle varianti notevoli ma ci
sembra opportuno indicare praticamente le differenze per il cittadino. Nel primo caso,
si realizzerebbe una moneta pubblica vera e propria rigidamente controllata dove il
carattere di complementarietà è dovuto al sistema di ritiro che è a vista/richiesta. Il
cittadino avrebbe la sensazione di maneggiare qualcosa di diverso dall’euro e
certamente sarebbe indotto a disfarsene per ritornare in possesso della valuta ufficiale
percepita come vero “valore economico”: la dinamica andrebbe bilanciata con l’offerta
di vantaggi nello spendere la MCP senza convertirla in euro e rendendo più difficile la
via di uscita dalla MCP (un tasso di cambio meno favorevole, un passaggio
burocratico, etc). Teoricamente, questo dovrebbe indurre i cittadini a disfarsi presto
della MCP spendendola e non convertendola: se si riesce a far passare l’idea che la
MCP è fatta solo per essere spesa, si assisterà ad un importante fattore di
moltiplicazione economica.
40
Il modello pubblico/privato, invece, ha come punto di partenza la costituzione di un
circuito monetario dal quale l’uscita è meno rigida e più semplice: il cittadino
utilizzerebbe indifferentemente euro e MCP puntando naturalmente - e soprattutto
all’inizio - a trattenere un po’ di più gli euro. I collettori finali di MCP, sicuramente i
grossi esercizi commerciali, saranno i veri snodi di conversione con gli euro trovandosi
periodicamente in possesso di grandi quantità di MCP solo parzialmente rispendibili
(fornitori interni) dovendo, ad esempio, procedere agli acquisti anche con l’estero. E’
ipotizzabile l’accordo di trasferimento programmato della MCP residua e della
consegna contemporanea degli euro: se il privato sarà in grado di gestire con fondi
propri questo passaggio, trovando conveniente l’utilizzo in proprio della MCP, saranno
garantite la continuità e la crescita della massa monetaria complementare,
diversamente il rischio è che la semplicità dell’uscita si trasformi in un’estinzione
prevedibile nel medio termine della MCP.
Nel caso invece di controllo e gestione completamente in mano a soggetti privati, si
realizzerebbero condizioni molto simili a quelle della “social card” di cui si è parlato:
non si riscontrerebbe alcuna differenza tra MCP ed euro e si avrebbe semplicemente
accesso ad un’altra carta elettronica. La convertibilità risulterebbe appannaggio del
circuito elettronico e non sarebbe visibile: non ci sarebbe da costruire alcun
meccanismo fiduciario per la MCP, semmai si dovrebbe mettere a punto la
commerciabilità della nuova carta acquisti, probabilmente venduta presso gli sportelli
del sistema finanziario come una carta di credito. A fronte di una diffusione universale
e semplificata, gli oneri sarebbero maggiori dovendo garantire i costi del lavoro e i
proventi di tutto il sistema collegato; è immaginabile anche un’ulteriore partecipazione
economica da parte della Pubblica Amministrazione che sarebbe, di fatto, il maggior
fruitore diretto dei vantaggi della MCP.
I modelli descritti rappresentano i punti di arrivo obbligati - pur con varianti
secondarie – della fondamentale decisione su chi debba ricoprire i ruoli di emittente,
gestore e “rottamatore” della MCP: un ente pubblico che “fa tutto”, avrà tutti i
vantaggi ma anche una moneta con minore distribuzione e più lenta. Se ci saranno
mediazioni tra il pubblico e il privato, avremo maggiore distribuzione e vantaggi per
l’ente pubblico in media: nel caso in cui fosse il privato a rivestire tutti i ruoli,
avremmo un percorso simile a quello della lira prima e dell’euro poi. Questa decisione
è quindi la chiave strategica della MCP e comporta necessariamente l’aver scelto
prima quali funzioni debba avere nel tempo questo progetto monetario: via d’uscita
dall’attuale condizione di debito e di esposizione economica della Pubblica
Amministrazione o nuova gestione finanziaria di parte della spesa pubblica?
41
Capitolo ottavo
Chi potrebbe emettere una moneta complementare pubblica?
Abbiamo visto che il salto culturale richiesto per la MCP si traduce in un ritardo di
consegna dell’euro rispetto ad una scrittura contabile che registra l’avvenuto scambio
e che viene usata essa stessa come mezzo di pagamento. Se la moneta, come
storicamente è accaduto, è una ricevuta della consegna di un valore, allora stiamo
proponendo la ricevuta della ricevuta, come, del resto, già capita per la moneta
elettronica e le monete scritturali. Si promettono euro a tempo indeterminato e da
consegnarsi all’ultimo portatore. Questo modo peculiare di affrontare la discussione
non deve far dimenticare la pietra angolare su cui poggia l’istituto monetario: la
moneta non è valore di per sé ma ne è la rappresentazione soprattutto ai fini dello
scambio. Essa costituisce la via privilegiata con la quale possiamo scambiare il
prodotti del nostro lavoro con quelli di del lavoro altrui: la moneta è lo strumento che
mette in simmetria oggetti molto diversi conferendo valore relativo e consentendo lo
scambio.
La percezione della moneta come valore isolato ha portato alla confusione che esiste
fra denaro e ricchezza: la rappresentazione monetaria, nella sua semplicità, contiene
qualcosa di indefinibile perché essa viene accettata come bene di per sé, mentre ha
valore solo se spendibile 128 . Questa rappresentazione si è ridotta oggi all’estremo
connotato di numero circolante telematicamente, garantito perché trasformabile quasi a vista e a piacere - nella banconota che è la principale versione trasportabile
“off-line” della rappresentazione di valore. La solvibilità è proprio la capacità di poter
garantire la promessa di pagamento in valuta e ci permette di entrare a titolo variabile
nel sistema che concede valore scambiabile. Il possesso di banconote non riguarda
realmente la solvibilità perché non esiste una promessa di pagamento ma un dato di
fatto misurabile esattamente con la quantità di denaro veramente disponibile.
Questo approccio, banalmente e semplicemente impiegato agli individui e ai gruppi,
determina però un grosso problema quando lo si applica allo Stato o alla Pubblica
Amministrazione: una parte della crisi – peraltro, in questo, simile a molte crisi del
passato – consiste proprio nel fatto di non avere reale provvista di valuta e di non
poterne usare una rappresentazione ulteriore in quanto anche le promesse di
pagamento sono inattendibili. Questo avvenimento, mai registrato in tempi recenti
128
Famoso aforisma di Paul Samuelson: “La moneta, in quanto moneta e non in quanto merce, è voluta non per il suo
valore intrinseco, ma per le cose che consente di acquistare.”
42
negli stati nazionali con le economie più stabili, ha comportato la concertazione di una
serie di misure sovranazionali atte ad aumentare la solvibilità degli stati rinforzando la
credibilità finanziaria tramite l’emissione di una rappresentazione di promessa di
valuta futura garantita da meccanismi comunitari e accettabile in pagamento. Tali
misure producono ancora indebitamento ma, a fronte di una futura contrazione della
spesa, il debito diventa razionalmente sostenibile: del resto, non esiste altra via, se
non il concetto di “default” di una nazione, verificatosi nel passato e in alcuni casi
recenti ormai definibili come storici129.
La restrizione della spesa pubblica genera sicuramente l’obiettivo di bilancio, i conti
possono risultare in pareggio ma non così le partite vitali per il Paese che sono
sottostanti a questi numeri: occupazione, inclusione sociale, servizi ai cittadini, qualità
della vita etc. L’impostazione della scienza delle finanze 130 nei casi di mancato
“ammortamento del debito”, ha sempre dato la precedenza allo Stato e alla Pubblica
Amministrazione, essendo impossibile la bancarotta per la gravità delle conseguenze.
Così lo Stato 131 poteva convertire i debiti correnti in debiti a lui più favorevoli con
minore tasso di interesse per i sottoscrittori, in maniera facoltativa/opzionale o forzosa
(con o senza richiesta di consenso), o farlo di nascosto con provvedimenti indiretti
(cosiddetta “conversione mascherata”) o con imposte sugli interessi o svalutando la
moneta, arrivando, teoricamente, anche al definitivo ripudio del debito. Questo potere
gli derivava dalla sovranità di cui era investito dal popolo. Oggi esiste anche una
sovranità ulteriore, quella degli altri popoli che hanno interessi negli affari nazionali e
che non può essere disattesa tanto facilmente, pena la perdita di credibilità nella
capacità di essere solvibile internazionalmente. Quindi, nessuna delle misure descritte
è veramente praticabile e, dopo l’ultima fase debitoria, quella del cosiddetto “gioco di
Ponzi 132 ”, cioè l’emissione di titoli di debito per far fronte almeno agli interessi, è
arrivata l’unica ricetta prevista: ridurre la spesa e inasprire le tasse.
Esisteva però un’altra via: la “monetizzazione del disavanzo” ovvero l’emissione di
nuova moneta proporzionalmente al debito. Gli accordi e le convenzioni in sede di
Unione Europea e soprattutto l’adesione all’euro, impediscono agli Stati Membri di
produrre moneta per il supremo interesse collettivo di non inflazionare la moneta di
tutti e di non creare sistemi di avvantaggiamento unilaterale nell’onorare i propri
debiti. Risulta però evidente che, se il compito della Banca Centrale è quello di
garantire la stabilità monetaria, quello dei governi nazionali consiste nella
salvaguardia della stabilità civile e sociale, provvedendo ai cittadini un clima socioeconomico adeguato per un’apprezzabile qualità della vita, presente e futura.
Anche il debito delle regioni e degli enti locali si sta trasformando in progressività
fiscale contro i cittadini e l’unica altra via percorribile è la svendita dei patrimoni
pubblici - ma fino a quando tutto questo? Cosa ci si può aspettare nel lungo periodo:
129
I default nazionali di Messico (1994), Russia (1997), Argentina (2001), Uruguay (2003)
Cfr Compendio di Scienza delle Finanze, Esselibri – Simone, 2007
131
Cfr M. Fanno, Scienza delle Finanze, Lattes, 1959
132
Dalla famosa truffa di Charles Ponzi chiamata in letteratura “schema Ponzi” o “Gioco di Ponzi”, in cui non c’era
reale guadagno ma solo un passaggio di denaro tra i partecipanti e senza produzione di valore.
130
43
la bancarotta finanziaria o la bancarotta civile, quella in cui sono le famiglie a
rispondere con i propri risparmi al debito intergenerazionale?
Dal momento che nessuno stato potrà veramente permettersi nessuna forma di
bancarotta, pena gravissime crisi istituzionali, l’unica scelta possibile sarà ripensare la
sovranità monetaria e riacquisire, almeno in parte, i poteri monetari, primo fra tutti
l’emissione particolare di moneta. Potrebbe essere la MCP un modo praticabile per
costruire uno strumento di pagamento sicuro, mantenendo nel contempo gli accordi
europei e internazionali? Quale impatto avrebbe su questi accordi e sugli equilibri fra i
Paesi Membri?
44
Capitolo nono
Prevedere i problemi ed occuparsene
Gli esperimenti di moneta complementare e i reset monetari come il passaggio dalla
lira all’euro hanno dimostrato che la moneta, inclusa quella ufficiale, non è solo un
mezzo di pagamento ma anche uno strumento di percezione e di misurazione
dell’ambiente sociale: il suo impiego, in altre parole, avviene in un contesto
psicologico di cui la razionalità è solo uno degli elementi. Esiste infatti una “psicologia
economica” 133 che trascende la dimensione del singolo e tende a determinare un
comportamento diffuso. Si è molto discusso in letteratura economica di propensione al
rischio (o al risparmio, o al consumo) dove intendendo con il termine propensione il
fattore comportamentale individuale: il profilo dell’investitore è oggi determinato
soprattutto dall’atteggiamento nei confronti dell’eventuale perdita o mancanza di
guadagno. Gli investimenti nel mercato immobiliare, ad esempio, sono spesso legati al
senso di sicurezza basato sull’oggetto sottostante (l’immobile) che, una volta
liquidato, permette di rientrare in possesso del valore investito, sempre e comunque
con un margine di guadagno. Per queste ragioni si dice che il mercato immobiliare
cresce enormemente nei momenti in cui esiste generale disponibilità di denaro: la
maggior parte degli investitori è infatti poco propensa al rischio.
Esiste anche una teoria in base alla quale134 soltanto il mercato mobiliare - ovvero la
borsa - è in grado di “produrre” denaro, in quanto solo l’investimento sui titoli aventi
ad oggetto una rappresentazione di valore, e non un valore diretto immediatamente
liquidabile, possiede le reali caratteristiche di valore aggiunto tali da creare ricchezza e
sviluppo economico: la vera capacità economica di un sistema starebbe cioè nello
sforzo di immaginare lo sviluppo dando fiducia attraverso l’investimento e il
conferimento di moneta. Altrimenti, il sistema stesso sarebbe costretto a vivere di
rappresentazioni certe nelle quali la preoccupazione primaria sarebbe la copertura
economica e la costruzione di sicurezze ma non la produzione diretta. Gli investimenti
garantiti da valore liquidabile immediatamente (immobili, altri capitali monetari, beni
rifugio) hanno la caratteristica dell’assenza di rischio e nel contempo della scarsa
produttività relativa: da una parte, infatti, l’investitore può esporsi senza il timore di
perdere valore, dall’altra, non potendo “fare il passo più lungo della gamba”, (fuor di
metafora, oltre le garanzie), non può accedere a quei risultati operativi che derivano
dall’investimento pieno. La generale mancanza di propensione al rischio determina
soprattutto due elementi ambientali notevoli:
133
Cfr L. Ferrari, D.F. Romano, “Mente e denaro, introduzione alla psicologia economica” Raffaello Cortina Editore
1999
134
Cfr G. Galli, “La fabbrica dei soldi – perché la Borsa è ancora il miglior investimento” Mondadori, 2002
45
-
Il diffuso rallentamento dello sviluppo economico
L’accumulazione del capitale monetario e patrimoniale nei soggetti più capaci di
investimento
Con l’obiettivo dell’assenza di rischio, infatti, l’economia rallenta perché non vengono
operati quegli investimenti che consentirebbero la costruzione di una duratura stabilità
nei mercati (ricerca tecnologica, avviamento di imprese innovative, adeguamenti
infrastrutturali, brevetti, formazione e conoscenza, scambi culturali, etc). Gli
investimenti tuttavia vengono compiuti con capitale esterno al sistema, che determina
cambiamenti profondi negli assetti proprietari delle aziende nazionali135: la produzione
viene esasperata con i mezzi che si hanno a disposizione e trasportata dove il lavoro
costa meno e dove la materia prima è maggiormente disponibile. Il patrimonio
immateriale 136 dei brand aziendali, delle capacità acquisite nel tempo, viene
disperso 137 o concentrato nelle mani di pochi grandi gruppi capaci di investimento
senza reali rischi di esposizione perché l’eventuale perdita è, di fatto, un passaggio di
moneta interno al sistema138 che non origina debito.
Una spiccata propensione al rischio, invece, apre al fenomeno delle speculazioni
finanziarie139 dove il denaro viene investito in quantità eccessiva rispetto alle attività
sottostanti, sostenendo quindi una rappresentazione economica non reale della
produzione effettiva: ciò si traduce in redistribuzione dei capitali investiti nelle
transazioni dai piccoli risparmiatori, spesso polverizzati in individui e piccoli gruppi, ai
soggetti in grado di lucrare sia al ribasso che al rialzo, grazie alla presenza
contemporanea su più mercati finanziari e con tale disposizione di titoli da
condizionare gli andamenti dei mercati stessi.
La perdurante depressione attuale è proprio dovuta alla generale sfiducia nei
meccanismi di investimento e allo spostamento dell’asse produttivo globale da
occidente ad oriente: questa sfiducia deriva dalla serie di tonfi del mercato mobiliare
(1999, 2001, 2008140) che hanno “bruciato”141 moneta ovunque - e senza che questa
potesse generare sviluppo -, e dall’approntamento di misure gestionali che, se da una
parte conferiscono sicurezza e solidità al sistema finanziario e pubblico, dall’altra
tolgono però immediatezza e capacità di risposta.
135
Si pensi a quanto successo negli ultimi 15 anni nei nostri distretti industriali (tessile, meccanico, chimico,
farmaceutico, etc) in cui le piccole e medie imprese incapaci di mantenere la posizione di mercato per la mancanza di
capitali hanno dovuto chiudere o rivolgersi ad investitori lontani (spesso i loro principali clienti) che hanno cambiato la
compagine degli azionisti determinando cambiamenti considerevoli (delocalizzazione, assorbimento del marchio e
chiusura degli stabilimenti, etc)
136
I cosiddetti “intangibles” – cfr L. Baruch “Intangibles” 2001- ovvero tutto il valore accumulato nel tempo in termini
di riconoscibilità sul mercato e di capacità operativa dimostrata e che ha reso il prodotto noto al consumo
137
Cioè non collocato sul mercato o non al suo valore
138
Dinamica tipica dei grossi gruppi produttivi che possiedono società holding specializzate nella gestione dei flussi di
credito e debito interni ai gruppi stessi
139
Si pensi alle crisi dei mercati finanziari degli ultimi venti anni, alle dinamiche dei cosiddetti contratti “futures” o
“derivati”
140
Rispettivamente la crisi asiatica, i default sudamericani e la magnificazione globale del buco generato dai contratti
sub-prime
141
Con il termine, spesso adoperato dai mass media, non si intende la scomparsa effettiva della moneta ma la sua
redistribuzione e accumulazione in poche mani che non sono poi in grado di spendere efficacemente per lo sviluppo
generale la capacità economica detenuta
46
In un clima come l’attuale, pertanto, non risulta possibile inserire semplicemente uno
strumento monetario affidandogli il compito di risolvere situazioni socio-economiche
cristallizzatesi in modalità più psicologiche che reali, più irrazionali che ragionevoli.
Quando si è parlato di fiducia nella moneta, di moneyness e di capacità di convincere
il pubblico si faceva preciso riferimento al fatto che il mezzo di pagamento deve essere
sicuro: esso cioè deve essere effettivamente in grado di pagare e di chiudere la
compravendita. Esistono però anche altri fattori da considerare: essi consistono
principalmente nei comportamenti generali da parte degli utenti che si vengono a
creare soprattutto in conseguenza e in relazione alle modalità di circolazione del
medio periodo.
La velocità di circolazione, ad esempio, è un parametro molto importante nel caso
della MCP; esso però non ha quasi senso per la valuta ufficiale depositaria di tutte le
funzioni monetarie perché tale valuta non è veramente discutibile da parte del
pubblico. Gli esperimenti di MC dimostrano in maniera piuttosto chiara che, se i
vantaggi collegati sono tanti e tali da configurarsi in un aumento di reddito netto, la
percezione della provvisorietà della moneta determina una corsa all’accaparramento
dei beni e dei servizi nel timore della fine della circolazione 142. Quando, al contrario, i
vantaggi sono pochi e/o relativi e soprattutto non tali da aumentare significativamente
la disponibilità di moneta per i cittadini, si verifica l’accumulazione indebita di MC
presso gli esercenti i quali non hanno la possibilità di spendere realmente e in alta
quantità la MC. In entrambi i casi, si genera presto un moto di sfiducia nei confronti
della primaria funzione di pagamento della MC e si verifica una delle seguenti
conseguenze: l’abbandono dello strumento o il rallentamento generale.
Quando il possesso della MC comporta una “certa” difficoltà nel cambio in euro
sottostanti o un eccessivo titolo di vantaggio su alcune transazioni, in presenza di
circolazione sostenuta, si verifica il fenomeno dell’aggio monetario: alcuni soggetti
trovano conveniente incettare la MC, facendone accumulo, per cambiarla in euro con
guadagno tramite capitali propri e non con gli euro rappresentati dai fondi messi a
garanzia. Se il fenomeno si fa sostenuto, i rischi collegati sono diversi, ma soprattutto
la MCP acquisisce un prezzo del tutto paragonabile ad un tasso di cambio, con il
pericolo della cessazione della circolazione gratuita, uno dei parametri fondamentali
della MCP.
La definizione di mezzo di pagamento a tempo è utile solo ai fini della creazione di un
acceleratore della velocità di circolazione dei beni e dei servizi: si migliorano le
prestazioni monetarie dei mezzi si scambio e si realizza un volume superiore di
compravendite. Se però prevale l’aspetto povero o cattivo della MCP ed essa viene
percepita come un altro spicciolo non metallico, si realizza la funzione residuale dello
strumento monetario e la MCP viene usata non propriamente come mezzo monetario
ma solo in pagamento dei resti piccoli e ricollocata continuamente sul mercato con
svantaggio. L’accumulo nei cassetti degli esercenti diventa inevitabile e la MCP viene
conservata solo in attesa della conversione con gli euro. Sul lungo periodo, non se ne
può scongiurare la sparizione.
142
Come avvenuto con il SIMEC, la moneta complementare di Guardiagrele (CH) nel 2000 cfr La moneta del popolo
47
La distribuzione della MCP solo ad alcuni gruppi sociali può originare la
targettizzazione degli stessi e l’individuazione degli utenti che, nel momento stesso in
cui esibiscono la moneta “diversa”, vengono catalogati di conseguenza come soggetti
in stato di bisogno o, in qualche modo, esclusi socialmente.
La falsificazione apre poi ad altri scenari difficili, ma, nella consapevolezza che il
problema non viene evitato efficacemente anche dalle monete ufficiali, si ritiene
importante dotare la MCP di diversi livelli di sicurezza (contro sofisticazione, copiatura
di fattispecie esistenti o riproduzione di serie diverse, trasformazione in moneta
elettronica o scritturale non autorizzata dall’emittente, etc).
Si considera utile anche non impiegare la MCP in situazioni vicine a quelle di credito su
pegno o di garanzia di altre transazioni con immobilizzazione della MCP stessa perché,
in questo modo, verrebbe meno l’aspetto “circolatorio” di questa moneta e se ne
determinerebbe la stasi. Almeno in prima istanza, sarà sufficiente poter pagare: se poi
si renderà necessaria anche la funzione “bancaria” della MCP con la cessione su
prestito e non su scambio, si dovrà procedere alla costruzione di prodotti finanziari
appositi.
Per tutte le ragioni ed i fenomeni descritti, risulta evidente che occorre proporre un
immaginario collettivo corretto e sostenibile rispetto alle funzioni socio-economiche
della MCP. Essa deve essere soprattutto una moneta dotata della garanzia di
liquidabilità in euro e per il suo impiego non deve essere richiesto né un investimento
in termini di fiducia né una qualche forma di forzatura 143 . Non sarà nemmeno uno
strumento estremo da impiegare solo in momenti di crisi per poi essere ritirato a
vista. La dimensione migliore potrebbe essere quella dell’ente pubblico che, nel
perseguimento degli interessi collettivi, si dota di uno strumento di pagamento
ulteriore e suo proprio per aumentare la capacità economica dei cittadini, garantire i
servizi alla persona, sostenere gli impegni istituzionali, evitare l’indebitamento
ulteriore e, nel contempo, gestire le proprie posizioni debitorie ed infine anticipare
somme per attività importanti per lo sviluppo. Se la MCP incontrerà il favore del
pubblico in generale, si assisterà alla realizzazione di tutti questi aspetti e ad un
aumento del fondo sottostante in euro144: in caso contrario, si avrà una contrazione
della massa della MCP fino alla scomparsa del fondo sottostante che determinerà
l’impossibilità di produrre altra MCP.
Il quadro presentato tuttavia non considera ancora gli altri attori economici e finanziari
come il sistema bancario145, il fisco, gli uffici pubblici o partecipati dallo stato deputati
al controllo della circolazione dei beni e servizi sotto altri aspetti (Guardia di Finanza,
Poste, Ferrovie, Sistema sanitario, etc), tutti portatori di interessi particolari che
dovranno essere debitamente indagati in relazione agli impatti di una eventuale MCP.
143
Ad esempio, la ricattabilità insita nell’impossibilità di poter procedere al pagamento con la valuta ufficiale.
Cfr capitoli precedenti sul meccanismo di creazione della MCP.
145
Si pensi all’impatto della MCP ad esempio sui prodotti finanziari (factoring, castelletti e scoperti di conto corrente,
apertura di fido) di anticipazione di somme attese dal pubblico ai privati: in questo ambito, sono molte le banche che
prestano denaro alle imprese titolari di un contratto con il pubblico e che sono in posizione creditoria verso di esso.
144
48
Quali sono gli impatti sociali attesi e come costruire degli opportuni indicatori di
sviluppo? Quali organi dovrebbero intervenire nel controllo di una MCP? Quale
campagna di comunicazione potrebbe essere utile per spiegare ai cittadini questo
contesto?
Come costruire una situazione “win-win”146 in cui nessuno perde qualcosa veramente
mentre tutti ci guadagnano?
146
Espressione inglese con cui si suole indicare la presenza di soli vincitori in una determinata situazione o una
condizione in cui non si scontenta o danneggia nessuno.
49
Capitolo decimo
Un modo diverso di concepire la spesa pubblica?
Dai tempi di Keynes si ritiene che la spesa pubblica costituisca un inderogabile fattore
di crescita complessiva e che addirittura, vista la funzione primaria da essa rivestita
all’interno del parametro del PIL, si debba ricorrere all’indebitamento pur di
sostenerne lo sforzo. Sull’importanza della spesa pubblica si riscontra una visione
unanime, mentre si dibatte sulla consistenza del costo dell’intervento pubblico in
relazione al PIL, che pesa all’attuale per oltre la metà della capacità produttiva
nazionale con un trend in preoccupante crescita147: ovviamente il tema più trattato è
l’indebitamento che tutto ciò comporta e la sostenibilità di tale indebitamento nel
tempo.
Le funzioni della spesa pubblica, nella teoria finanziaria, sono soprattutto:
a) l’allocazione delle risorse economiche
b) la redistribuzione dei redditi
c) la stabilizzazione del sistema economico nazionale
Per ognuna di queste funzioni esistono oggettivamente tante questioni aperte e più
volte indagate in letteratura economica, ma, per rimanere nei limiti di questo libro
verde, possiamo dire che:
-
-
-
la funzione allocativa riguarda la fruizione collettiva dei beni pubblici indivisibili
(mantenimento del patrimonio ambientale, culturale, artistico, etc) e non
affidabili al mercato in quanto per essi non è possibile stabilire un prezzo di
vendita148;
la redistribuzione costituisce la misura di sicurezza sociale sostanzialmente
basata sul sistema di prelievo fiscale e riassegnazione delle risorse ai cittadini
con minor reddito per svariate ragioni (età, esclusione sociale, ceto economico
di partenza, etc);
la stabilizzazione comporta invece la controversa questione dell’intervento
pubblico in prospettiva anticiclica, atto cioè a modulare le fluttuazioni
economiche attenuandole mediante il sostegno all’attività privata o con
l’ingresso nel mercato, in modo indiretto o indiretto, senza scopo di lucro ma
con l’obiettivo di mantenere la qualità dei servizi.
147
Nel 1970, la spesa pubblica si aggirava intorno al 29,9% del PIL
Condizione particolare definita come “fallimento del mercato”, oggetto tra l’altro di controversie teoriche attuali e
passate
148
50
Nella consapevolezza della complessità dell’argomento rinviando all’approfondimento
di questi temi tramite la letteratura specializzata, ci limitiamo qui a dire che, in termini
più economici, la spesa pubblica può essere suddivisa in tre grosse voci149:
-
spese correnti, che rappresentano circa i ¾ della spesa complessiva; ad esse è
affidata soprattutto la funzione allocativa e redistributiva150;
interessi sul debito, che costituiscono il 18% della spesa complessiva; sono
destinati alla funzione di stabilizzazione e redistribuzione151;
spese in conto capitale, che pesano per il 7% della spesa complessiva e che
sono finalizzate soprattutto alla funzione di stabilizzazione152;
Secondo il Bilancio Semplificato dello Stato del dicembre 2012 153 , si prevede la
pressoché totale copertura di queste spese tramite le entrate (la crescita del debito
corrente ovvero del deficit è di circa lo 0,3% per il 2012) con l’azzeramento del debito
corrente e quindi il pareggio di bilancio entro pochi anni. Rimane il problema del
capitale da restituire ai sottoscrittori dei titoli di Stato che ammonta a circa la metà
delle entrate come quota parte per il 2012 e corrispondente a poco più dello 0,01%
dei famosi 2 mila miliardi di debito pubblico nazionale. Attualmente il nostro Paese è
quindi adempiente, in merito al patto di stabilità europeo, sul parametro deficit/PIL
(che non deve superare il 3%) poiché quest’ultimo ammonta all’1,70%, mentre non lo
sarebbe sul parametro fondamentale del debito/PIL (non superiore al 60%). Con il
protocollo denominato “Fiscal Compact” 154 , questi parametri vengono inaspriti 155 :
l’elemento più decisivo nel Fiscal Compact è rappresentato dalla politica di rientro del
debito, che deve essere ricondotto al parametro del patto di stabilità al ritmo del
versamento di un ventesimo all’anno della differenza fra il 60% e l’attuale. In termini
teorici, questo comporterebbe - se tutti i parametri descritti rimanessero allo stato
attuale - il versamento in 20 anni di 1000 miliardi in tranches di 50 miliardi per anno
con previsione di incasso da parte dello Stato, per il periodo 2012-15, di circa 500
miliardi all’anno. Si sta quindi chiedendo di “dare” un 10% in più, cioè di togliere dalla
spesa pubblica questa cifra - anche in termini di efficientamento o di recuperata
efficienza -, oppure di ottenere tale somma dalla lotta all’evasione fiscale e dal
recupero del sommerso (incluso il denaro incastrato nei fenomeni legati alla
“corruzione”156), o, ancora, dall’aumento del prelievo fiscale. È in atto, in aggiunta,
una guerra alle statistiche, consistente nel fatto che le cifre appena fornite non
149
Rielaborazione su dati forniti dal Ministero dell’economia e delle Finanze per il 2012,
Spese per sostenere i consumi collettivi (mantenimento della pubblica amministrazione) e trasferimenti a famiglie
(pensioni, assegni familiari, etc) e imprese (contributi alla produzione, partecipazione alle misure di credito agevolato,
etc)
151
Concetto di redistribuzione intergenerazionale del debito, per il quale nell’impossibilità di far fronte alle spese
pubbliche se ne suddivide il carico su più anni contando sulla crescita della capacità economica e sulla previsione di
scenari più gestibili.
152
Interventi dello Stato a fondo perduto per il mantenimento del patrimonio o per la creazione delle migliori
condizioni di mercato per le imprese nazionali (ad es. infrastrutture, etc)
153
Cfr nota 123
154
Più precisamente “Patto di bilancio europeo” o “Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione
economica e monetaria”, sottoscritto il 2/3/2012 da 25 dei 27 Paesi Membri (non lo hanno firmato Gran Bretagna e
Repubblica Ceca)
155
Rapporto deficit/PIL non oltre lo 0,5%, e rientro nella soglia del 60% del rapporto debito/PIL in massimo 20 anni
156
Cfr i lavori dell’economista L. Napoleoni.
150
51
sarebbero da tutti condivise, soprattutto in merito ai metodi, ai tempi e all’unità di
valore impiegati nel conteggio 157 e principalmente per quanto riguarda quel dato
macroaggregato che è il prodotto interno lordo. Per questo motivo si è scelto qui di
impiegare i dati della Ragioneria di Stato per rimanere sull’oggettività di quanto lo
Stato stesso dichiara.
Al netto dei numeri, comunque, risulta evidente che, in epoca di crisi e dopo tutti i
tagli alla spesa pubblica legati all’austerity - e pur nel conseguimento dell’importante
obiettivo del pareggio di bilancio - l’unica soluzione esplorabile per coprire il debito nei
termini richiesti risulta essere il ricorso alle misure di inasprimento fiscale, riduzione
ulteriore della spesa e ulteriore richiesta di denaro a terzi. Il debito quindi dovrà in
realtà paradossalmente crescere ancora un po’ per poter essere contenuto in futuro.
C’è poi il problema del passaggio del debito dallo Stato alle Regioni, enti meno capaci
di indebitamento per mancanza di strumenti e di consuetudine, che hanno come unica
prospettiva la dismissione patrimoniale ai privati (segnatamente gli stessi creditori)
per far fronte ai servizi di cui sono gestori (primo fra tutti il servizio sanitario).
Tutto questo ha inoltre generato un moto di sfiducia anche nello “stare in Europa” a
causa della percezione di una perdita di senso del rimanere in un contesto
sicuramente virtuoso e di buon governo ma che impone condizioni e costi non
sostenibili.
Posto che la storia della gestione della lira (e di altre divise nazionali) ha creato,
almeno in larga parte, l’esigenza di togliere ai governi e alla pubblica amministrazione
il controllo di gestione della moneta per via del progressivo impoverimento dello
strumento di pagamento e della sua esposizione e inadeguatezza nei mercati
internazionali, si apre adesso, e a trent’anni di distanza da quella scelta 158 , la
questione di una spesa pubblica non più sostenibile sia per quantità sia, sicuramente,
per l’insieme delle congiunture venutesi a creare nel mutato contesto internazionale o meglio globale. A ciò si aggiunge il fatto che la scelta dell’euro comporta l’impiego di
un mezzo di pagamento solido ma troppo oneroso a causa degli impegni economicopolitici e delle implicazioni sociali.
Se ci è permesso il paragone, lo Stato, nella visione economica contemporanea, da
sovrano cui tutto era concesso (dall’indebitamento con restituzione sine die al
ridimensionamento a piacere del valore della moneta) sembra essere diventato
l’ultimo dei poveri, al pari di chi, pur non essendo in grado di restituire i debiti, è
costretto ad indebitarsi sempre maggiormente dovendo nel contempo lavorare in
condizioni sempre più difficili.
Il debito, pur distribuito fra milioni di cittadini - e, in prospettiva, fra generazioni di
milioni di cittadini - continua a crescere perché sono cresciute anche le esigenze del
cittadino contemporaneo: le cure mediche prestate negli anni settanta ad esempio,
avevano costi decisamente inferiori rispetto alle prestazioni sanitarie attuali e lo stesso
vale per gli standard dei servizi alla persona (dall’istruzione alla pensione) e per
157
Come, ad esempio, il problema del posizionamento dell’inflazione che renderebbe diverso il valore della valuta
ufficiale o della formazione degli aggregati di domanda e di spesa
158
Cfr nota 33
52
l’intero stile di vita della presente società che immagina - e quindi chiede ai politici molto più di prima. E’ veramente pensabile rispondere in termini convenzionali a tutti
questi nuovi standard di vita che, pur ridotti per razionali questioni di contenimento ed
efficienza159, non possono essere disattesi senza il rischio della perdita della qualità
della vita e dei diritti ad essa collegati? E’ possibile mantenere le convenzioni
economiche quando l’intero paese entra in una condizione di sofferenza per cui a
fronte del fatto che i servizi continuano ad esistere e che potrebbero essere
ragionevolmente distribuiti si registra la mancanza del solo mezzo di pagamento? Se
tutto si riduce sempre al poter pagare, non è allora conseguente la scelta di dare al
maggiore fra gli indebitati - lo Stato - il modo di regolare i pagamenti interni, almeno
in parte e con tutte le cautele possibili?
Al di là di tutto questo, non è forse richiesto oggi un cambiamento di paradigma anche
nella concezione della spesa pubblica che deve garantire tutti i servizi e fornire
prospettive ed aspettative di vita in crescita ai propri cittadini? Non è questo, pur nella
sua semplicità, il vero senso dello Stato e del patto implicito fra i cittadini?
159
Si pensi ai ragionamenti della filosofia della “decrescita felice”, cfr le opere di S. Latouche.
53
Capitolo undici
Chi si assume la responsabilità del cambiamento?
La recessione globale che sta attanagliando soprattutto l’Occidente andrebbe
compresa sotto i diversi profili economico, politico, sociale e culturale per arrivare a
comporre il quadro degli avvenimenti contemporanei in maniera utile alla
predisposizione di una reazione adeguata. Questa non potrà rappresentare una ricetta
globale ma sarà più probabilmente costituita da una serie di misure in parte nuove e
da sperimentare e in parte già consolidate e da aggiornare. La recessione è però
diversa per forme e conseguenze in ciascun paese o area economica: la reazione
intelligente dovrebbe considerare, quindi, il corretto dimensionamento delle misure
sulla base delle esigenze nazionali e locali. Chi farà questo lavoro?
Nel celebre saggio “Il grande crollo” 160 , l’economista americano John K. Galbraith
propose, a quindici anni di distanza dagli avvenimenti, la rilettura storica della crisi
finanziaria di Wall Street del 1929, che aprì alla Grande Depressione degli anni trenta.
Ripercorrendo gli eventi di quel periodo, spesso giorno per giorno, facendo nomi e
cognomi e attribuendo precise responsabilità, l’economista arrivò a delineare questo
quadro di concause:
1. cattiva distribuzione del reddito 161 : il 5% della popolazione americana aveva
accesso ad oltre un terzo del reddito nazionale per lo più sotto forma di rendite
dal mercato finanziario;
2. cattiva struttura societaria: il mondo degli affari americano aveva aperto le
braccia ad un eccezionale numero di improvvisatori, concussionari, imbroglioni,
impostori e truffatori. La debolezza societaria consisteva soprattutto nell’effetto
che la finanza aveva sulla produzione: le società finanziarie proprietarie delle
imprese avevano la necessità di ricavare dividendi azionari per poter pagare gli
interessi delle obbligazioni emesse proprio per garantire lo sviluppo delle
imprese stesse. Venuta meno la capacità finanziaria, si realizzò prima
l’insolvenza degli interessi, poi quella del capitale, quindi, l’impiego delle entrate
per far fronte ai debiti ed infine la chiusura degli impianti;
3. cattiva struttura bancaria: il sistema bancario entrò in sofferenza per la pratica
bancaria, cioè a causa di quel fenomeno per il quale il sistema bancario stesso
non riusciva ad erogare prestiti, anche dove era assolutamente il caso, essendo
venute a cadere le garanzie offerte dalle merci e dai servizi sottostanti che
precipitavano di valore nei mercati di riferimento. Il fallimento bancario
costruiva poi un’onda d’urto che si propagava da una banca alle altre in quanto
160
161
J.K. Galbraith, “The Great Crash”, 1954
In corsivo le frasi letteralmente riportate dall’edizione italiana di Bollati Boringhieri, 1972
54
i beni delle banche collegate venivano congelati e con essi tutti i depositi dei
risparmiatori;
4. lo stato dubbio della bilancia dei pagamenti: gli Stati Uniti erano un paese
storicamente creditore, cioè dotato di una bilancia commerciale in positivo, ed
era diffusa in quel periodo la pratica del vendere a prestito alle nazioni
debitrici162: si emettevano delle obbligazioni a loro nome, gestite – spesso con
corruzione – dai privati che esaltavano i rating – diremmo oggi - e collocavano
titoli troppo elevati rispetto agli affari sottostanti. Quando il debito era
eccessivo, le uniche soluzioni percorribili erano rappresentate dal pagamento
tramite oro (il contante dell’epoca) o dall’aumento delle importazioni dei paesi
debitori negli USA. Essendo quest’ultima l’unica possibilità realistica (l’oro non
era veramente cedibile in quanto strategicamente impiegato a garanzia in tutte
le transazioni interne ed estere), la decisione di alzare protezionisticamente
(per aumentare la produzione interna) le tariffe doganali delle merci in entrata
negli USA produsse due effetti: prima l’insolvenza del debito da parte delle
nazioni importatrici che non avevano più modo di pagare le merci e poi il crollo
delle esportazioni americane, essendo gli importatori impossibilitati a procedere
con i pagamenti;
5. il misero stato dell’informazione economica: gli economisti puntavano tutto sul
pareggio di bilancio - a costo di tagliare la spesa pubblica e di alzare le tasse –
e sulla permanenza nel sistema aureo come misura d’elezione per la lotta
all’inflazione163. Il rigetto della politica finanziaria (imposte e spese) e monetaria
equivaleva precisamente al rigetto di ogni politica economica positiva da parte
del governo. I consulenti economici dell’epoca avevano l’unanimità e l’autorità
sufficienti a imporre ai leader di entrambi i partiti il ripudio di tutte le misure
disponibili ad arrestare la deflazione e la depressione (…) il trionfo del dogma
sul pensiero.
Sempre ne “Il Grande Crollo” Galbraith afferma che, comunque, al di là della
valutazione economica, negli anni venti esisteva un problema nel carattere del popolo
americano: esso andava manifestando un desiderio smodato di arricchirsi alla svelta
con il minimo di fatica fisica.
Ci siamo concessi qui lo spazio di raccontare in estrema sintesi questi elementi sia
perché ci sembra rilevante la somiglianza tra alcuni degli aspetti descritti da Galbraith
e certi risvolti della depressione attuale, sia per l’utilità di mettere nella giusta luce la
portata culturale di un lavoro di riflessione economica - pur condotta a posteriori sulla ricerca di senso non solo in chiave storica ma anche nella prospettiva di un
apprendimento collettivo e di una pratica condivisa.
E’ possibile affermare che le cause della depressione di oggi - che forse, se resterà
l’unica, passerà alla storia come la grande depressione del 21° secolo - sono tuttora
da indagare nella loro completezza e che non possediamo veramente uno schema
162
Una delle più importanti dell’epoca era la Germania nazista
Roosevelt “Noi auspichiamo una moneta solida da difendere a tutti i costi (…) una moneta solida è una necessità
internazionale, non una considerazione interna di una sola nazione” discorso in chiusura della campagna per la
presidenza del 1932, cit, in op. cit in “The Great Crash”.
163
55
interpretativo condiviso e semplice atto a comprendere quanto stiamo vivendo. Ci
troviamo ancora sul piano della critica e della responsabilizzazione e stiamo cercando
delle risposte. La letteratura maggiormente in voga, almeno nel nostro paese,
comincia a costruire dei capi d’accusa. Ci chiediamo allora: quali sono i principali
imputati?
Il sistema finanziario, ritenuto già insufficiente e “costituzionalmente inabile” per
rispondere alle necessità sociali di un paese (dal cittadino all’impresa) viene giudicato
come primum movens della crisi, alla quale del resto non sarebbe nemmeno capace di
reagire in maniera efficace: secondo molti164, infatti, il mondo della finanza non valuta
correttamente gli elementi propri dello sviluppo sociale ed economico perché è troppo
impegnato nel proprio mantenimento. Fra le ultime “nefandezze” del sistema attuale
sarebbe da annoverare il fatto di aver trasferito il buco economico generato da
speculazioni azzardate e da lampanti errori di giudizio ai cittadini e agli stati,
costruendo prodotti definiti “tossici” e collocandoli normalmente sui mercati lasciando
che il pubblico li acquistasse acriticamente grazie alla fiducia nei rating positivi e nelle
istituzioni finanziarie proponenti.
Le grandi imprese globali – soprattutto quelle che si occupano di distribuzione - sono
viste non come generatrici di ricchezza e di lavoro ma come affamatrici di comunità,
vicine e lontane, a causa della generale corsa all’accaparramento delle risorse
planetarie, che verrebbero sfruttate - senza mediazioni intelligenti e socialmente o
ecologicamente consone - e che sarebbero ricollocate sul mercato con puro spirito di
ritorno monetario, senza visione d’insieme165.
Il capitalismo, spesso fatto coincidere con il liberismo, è accusato di aver dato forma
intellettuale al sistema per il quale si vive solo per sé stessi e si ricerca la propria
“felicità” materiale come misura morale generale: si ritiene il capitalismo responsabile
in particolare sia di aver eletto a sistema unico e virtuoso l’egoismo sia della diffusa
cecità verso i valori altri rispetto alla quantità166, con conseguente distruzione di tutto
quello che è diverso o sociale.
Gli economisti sono invece chiamati in causa perché “sbagliano le previsioni”, “hanno
perso il contatto con la realtà” inseguendo troppo i loro modelli matematici e teorici,
praticano il “mercatismo” 167 , “hanno troppo potere”, “sono incapaci di comunicare”,
“hanno smesso di sognare” e di far sognare la gente168.
I decisori politici e pubblici sono ritenuti colpevoli di mantenere la crisi a causa della
loro eccessiva fiducia negli economisti e soprattutto nei guru di portata planetaria169, e
164
Cfr P. Bonazza “I banchieri non pagano mai il conto ma noi sì!” Sperling e Kupfer 2008, B. Scienza “Il risparmio
tradito” edizioni libreria Cortina 2001
165
Cfr tra i tanti, C.Fishman “Effetto Wal-Mart: il costo nascosto della convenienza” Egea 2006
166
Cfr nota 159 e, tra i tantissimi, per opinioni un po’ più mirate, F. Ferrarotti, “Capitalismo: lusso o risparmio?”, A.
Minucci “La crisi generale tra economia e politica: una previsione di Marx e la realtà di oggi” libri piccoli Voland, 2008,
le opere del sociologo americano R. Sennett e soprattutto “La cultura del nuovo capitalismo” Il Mulino, 2006
167
La tendenza irrazionale al rimanere nel mercato era stata chiamata “mercatite” dallo studioso americano H. J.
Wolf: il mercatismo è l’eccessiva fiducia nella capacità del mercato di risolvere i problemi economici.
168
Cfr R. Petrini, “ Processo agli economisti” Chiarelettere, 2009, le frasi tra virgolette sono i titoli dei capitoli del libro
169
Cfr A.Greenspan “L’era della turbolenza”, Sperling&Kupfer, 2007
56
dell’incapacità di assumere qualche posizione critica nei confronti delle ricette
presentate come unica via possibile 170 e, di conseguenza, di non essere intervenuti
con il dovuto rigore nelle speculazioni eccessive del mercato finanziario con le
prevedibili ripercussioni antisociali171.
C’è poi il tema del lato oscuro dell’economia: il sistema globale degli scambi subisce lo
scacco di “forze economiche oscure” dotate di comune e propria volontà, che riescono
ad inserirsi, per la connivenza o l’incapacità dei governanti, negli aspetti normali della
vita quotidiana (strumenti di pagamento come le carte di credito, gioco d’azzardo
legalizzato, vendite su internet di prodotti e servizi al di fuori delle pratiche di
sicurezza sociale, etc), lucrando su comportamenti distruttivi e favorendo soprattutto
il loro replicarsi con grave danno sociale (dalle dipendenze alle falsificazioni al
contrabbando di prodotti)172.
Anche gli evasori fiscali, argomento a noi più vicino, sono imputati di grave ammanco
di PIL (si stima intorno al 7%): se tutti pagassero le tasse, lo Stato italiano
incasserebbe 100 miliardi di euro in più all’anno 173 e sarebbe ovviamente meno
indebitato.
Tutti questi elementi possiedono sicuramente del vero, ma manca ancora un quadro
interpretativo in cui ricomporli e soprattutto capace di fornire una direzione utile,
pragmatica, frequentabile, con impatti direttamente attribuibili alle scelte operate. Ad
esempio, è forse corretto dire che le ricette economiche più accreditate, alla fine, si
riducono soltanto a due formule:
1. più spesa pubblica e crescita immediata con debito distribuito nel tempo
2. meno spesa pubblica e meno debito, con crescita affidata soprattutto alle forze
di mercato
Si rimbalza semplicemente dall’una all’altra, dando credito ora alla prima, ora alla
seconda, sulla base della consistenza del debito.
E’ probabilmente giusto anche affermare che la salvaguardia della stabilità monetaria
sembra essere a volte irragionevolmente prioritaria rispetto al mantenimento della
stabilità sociale, che è legata come si è visto alla redistribuzione del reddito e alla
fornitura di servizi. Sacrificando una parte della stabilità monetaria, prima dell’euro si
poteva ricorrere alla “rotellina” regolabile della svalutazione monetaria; ora ciò non è
più possibile perché la moneta è un dato ambientale fisso. Non sarebbe almeno lecito
chiedersi se questo sia sempre un bene, soprattutto in presenza di altre economie
importanti (Cina, USA, etc) che fanno della svalutazione una misura politica utilizzata
nello scambio internazionale per favorire le proprie esportazioni?
170
Cfr il cosiddetto “Washington Consensus” del Premio Nobel J. Stiglitz, termine con il quale si stigmatizza il
fondamentalismo di mercato nascosto nell’identità di vedute espresso contemporaneamente dalla Casa Bianca, dal
Fondo Monetario Internazionale, dalla Banca Mondiale (WB) e dal WTO, l’organismo Onu dedicato agli scambi
internazionali, cfr L. Manes, A. Tricarico “ La banca dei ricchi, perché la World Bank non ha sconfitto la povertà”,
Altreconomia
171
Cfr J.K.Galbraith, “Breve storia dell’euforia finanziaria”, BUR, 1998,
172
Cfr L. Napoleoni, “Economia canaglia”, Il Saggiatore, 2008
173
Cfr R. Ippolito, “Evasori, chi come quando, l’inchiesta sull’evasione fiscale” Bompiani, 2008
57
Se possiamo dire che il sistema bancario è ingessato dalle politiche di conservazione
del proprio patrimonio e dal bisogno di rastrellare guadagni su mercati finanziari dove
è indotto, per ragioni di sopravvivenza e di sviluppo, ad assumere atteggiamenti di
pura aggressività (tanto guadagno a fronte di alto rischio), perché non è possibile
immaginare dei prodotti finanziari a metà fra i titoli di Stato e i fondi di investimento
in cui l’indebitamento pubblico viene ricollegato e parametrato anche ai risultati
operativi come avviene nella finanza ordinaria? Non si potrebbero strutturare meglio
le proposte vicine ai cosiddetti “Social Impact Bonds” 174 in titoli finanziari più
aggressivi in termini di guadagni ma anche più capaci di generare impatti, valutando il
rischio in maniera responsabile? In questo modo, il sistema finanziario assumerebbe
come proprio target le politiche pubbliche e non i fondi di “dubbio” investimento. Per
quale ragione, in ultima analisi, lo Stato dovrebbe indebitarsi con i propri cittadini per
essere in grado di fornir loro i servizi? Non sarebbe più proficuo studiare un
indebitamento diverso, in base al quale la spesa possa essere agganciata in parte
anche alle risorse costruite collettivamente ed i risparmi possano derivare ad esempio
da prestazioni a titolo di credito fiscale da parte dei cittadini?
È opportuno qui considerare il ruolo del Terzo Settore. Si è detto infatti che tra Stato e
mercato esiste una terza parte, definita appunto “Terzo Settore” o settore non profit
che opera direttamente a favore della società offrendo servizi che, di solito, vengono
comprati a prezzi contenuti dallo Stato. Queste attività, svolte spesso da personale
giovane ma con alto profilo di studi, sono esplose sul finire degli anni novanta ma, nei
primi anni del nuovo secolo, hanno dimostrato la propria debolezza nell’incapacità di
poter offrire una dimensione professionale riconoscibile e lavorativamente stabile nel
tempo 175 . Il trend di creazione di posti di lavoro, che sembrava in crescita
esponenziale e molto promettente176 , si è arrestato rapidamente con la crisi stessa
man mano che la spesa pubblica veniva tagliata ad ogni giro di legge finanziaria. Non
sarebbe interessante immaginare finanziamenti pubblici con i quali si pagano dei
cittadini (con il rilevante risultato della creazione dei posti di lavoro) per occuparsi di
problemi sociali costruendo degli asset finanziari pubblici e privati? Ad esempio, si
potrebbero istituire dei fondi di gestione incaricati di finanziare le attività sociosanitarie o formativo/educative in cui la metà o più del portafoglio è pubblica e il resto
è reso dal collocamento di titoli emessi dalle banche con varie strategie partecipative:
i risparmi operati dal salvataggio di denaro pubblico non più impiegato per riparare
danni o far fronte a sprechi potrebbero “ritornare” in termini di interessi pagati ai
prestatori.
Si tratta, quindi, di fare spazio alla creatività e a soggetti “nuovi” come quella forza
sociale emergente che è maturata nel tempo e che è fatta di cittadini che vogliono
partecipare alla cosa pubblica: il senso politico li allontana dai luoghi di potere e li
174
Detto anche “Pay for Success Bond” è uno strumento finanziario per la raccolta di finanziamenti privati da parte del
pubblico: raggiunto l’obiettivo sociale, si realizza anche un risparmio da parte dell’ente pubblico che può così
riconoscere gli interessi ai privati.
175
Cfr P. Tubaro “ Critica della ragion NonProfit: l’economia solidale è una truffa?” Edizione derive-approdi, 1999
176
A fine anni novanta, si stimava che almeno il 20% della forza lavoro italiana – e segnatamente i giovani – avrebbe
trovato posto nel terzo settore. Cfr G. Barbetta “Nonprofit, nuovo attore del sistema economico, le dimensioni
economiche del “terzo settore” in Italia e all’estero, quale crescita, quanta nuova occupazione, Impresa & Stato n° 3738 Camera di Commercio di Milano
58
porta ad occuparsi di problemi, cercando una risposta agli stimoli culturali che piovono
a profusione per quella concatenazione di fattori (economici, politici, culturali, sociali)
definita “globalizzazione”. Proprio la globalizzazione rappresenta la causa di questa
nuova aggregazione sociale perché in essa rivestono ruolo primario le tecnologie
(trasporti, comunicazione) che accelerano lo scambio culturale (l’acculturazione) e la
condivisione di idee ad una velocità mai vista prima.
Sembrerebbe anzi che la partecipazione stessa stia definendo un nuovo patto sociale:
quello in cui lo Stato cessa di essere un’entità diversa dai cittadini, ad essi superiore
nel loro stesso supremo interesse. In questa nuova realtà i cittadini smettono di
essere degli assistiti passivi a vario titolo per diventare soggetti attivi in grado di
scegliere i servizi, di costruirli, di proporli, soprattutto generando innovazione
diffusa177. Forse siamo sulla soglia di un grande cambiamento di paradigma economico
in cui sarà necessario cercare definizioni nuove: non sarà più necessario parlare di
disoccupazione, - o più razionalmente non nei termini attuali- , se si riesce a generare
occupazione in ambito sociale, ossia in quell’ambito in cui le imprese sociali, per loro
natura più semplici in materia di tipologia di lavoro/intervento e di investimenti,
diventano dei distributori di servizi offerti dallo Stato e generati localmente in risposta
a precisi bisogni. In fondo, non mancano i problemi sociali di cui occuparsi, ma solo il
modo di pagare il lavoro.
Proprio a questo punto si rende necessaria una moneta diversa - che non può
generare accumulo per non turbare il mercato finanziario vigente - dotata del solo
compito di pagare le attività, cioè essere ceduta in riconoscimento della creazione del
valore generato. Chi si occupa direttamente della società, necessariamente aiuta lo
Stato: non potrebbe costui essere visto come un cittadino che ha diritto ad una
tassazione diversa perché consente alla comunità di risparmiare? Non si
semplificherebbero i rapporti in questo modo? Non potrebbe essere questo un modo
interessante anche per trattare in parte il tema dell’evasione fiscale?
La Moneta Complementare Pubblica dovrebbe essere emessa dallo Stato proprio in
questo senso: soprattutto per riconoscere il valore prodotto dai cittadini. L’ammontare
generale di questo valore, espresso anche in euro, potrebbe costituire il controvalore
della MCP: la pressione fiscale stessa potrebbe essere regolata efficacemente tramite
questa moneta i cui scambi con gli euro - tutti da studiare - potrebbero generare
corsie economiche diverse ma complementari tra loro, come si è detto in più punti di
questo libro verde.
La MCP potrebbe essere, quindi, la moneta che lo Stato usa per far fronte ad una
parte della propria spesa pubblica: essa viene impiegata per il pagamento della
capacità lavorativa dei cittadini che operano nelle comunità di riferimento per
generare impatti sociali misurabili in diretta risposta, ad esempio, ai multiformi
problemi dovuti all’esclusione sociale. Di più: la MCP potrebbe costituire la
rappresentazione circolante di un fondo di investimento raccolto a garanzia di attività
sociali e gestito in modo tale da osservare un ampliamento del fondo con attività
177
Cfr G. Trincia, “il consumatore attivo, istruzioni per l’uso dei servizi pubblici e strumenti di tutela dei diritti” Editori
riuniti 2003, R. Sennett, “Rispetto la dignità umana in un mondo di diseguali” Il Mulino 2003.
59
capaci di generare sviluppo oppure, in caso contrario, una progressiva diminuzione
con la conversione della MCP in euro (come si è detto in altra parte). Anche in caso di
totale fallimento, nessuno ci rimetterebbe nulla in modo diretto: non è questo un
sistema molto migliore di gestire il denaro o la ricchezza pubblica rispetto a quello che
osserviamo oggi?
Si potrà obiettare che tutto questo è troppo teorico, che non ci sono evidenze rispetto
al reale funzionamento e impatto di una MCP. Possiamo essere d’accordo sul fatto che
la trattazione risulta al momento ancora ricca di aspetti teorici, mancando esperienze
precedenti e dati di comparazione: tuttavia, se ci possiamo assumere la responsabilità
di proporre idee nuove a patto di approfondirle ulteriormente e di sperimentare con
tutte le cautele possibili, chi ha veramente il grado di libertà di non ascoltare e si può
a propria volta assumere la responsabilità di non dare seguito a idee diverse, nuove e
già in parte affermate e sperimentate che potrebbero, se non risolvere, almeno
migliorare la condizione attuale in cui mancano soprattutto concrete prospettive di
progresso?
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