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la moneta complementare pubblica
LIBRO VERDE LA MONETA COMPLEMENTARE PUBBLICA Gennaio/febbraio 2013 Francesco Bernabei 1 Indice Premessa Perché un libro verde sulla moneta complementare Introduzione La moneta complementare Capitolo primo La crisi della moneta Capitolo secondo L’emissione monetaria e i problemi collegati Capitolo terzo Gli strumenti di pagamento e la distribuzione del reddito Capitolo quarto La fine dell’era del lavoro? Capitolo quinto Prospettive macroeconomiche e riflessi sulle economie regionali Capitolo sesto Si può costruire ed emettere una moneta pubblica per ripagare i debiti e sostenere i redditi? Capitolo settimo Possibili schemi di funzionamento di una moneta complementare pubblica Capitolo ottavo Chi potrebbe emettere una moneta complementare pubblica? Capitolo nono Prevedere i problemi ed occuparsene Capitolo decimo Un modo diverso di concepire la spesa pubblica? Capitolo undicesimo Chi si assume la responsabilità del cambiamento? Bibliografia/linkografia 2 Premessa Perché un libro verde sulla moneta complementare? La moneta complementare (MC) è argomento di dibattito da molto tempo ma, forse mai come in questi ultimi due anni, di essa si parla diffusamente e con un generale interessamento da parte del pubblico. Gli esperimenti che si stanno susseguendo nel nostro Paese, (gli studi riportano che in questo momento ci sono oltre 22 MC in circolazione) e le promesse derivanti dalle esperienze di maggior portata - che sono tutte all’estero: Gran Bretagna, Francia, Germania, Giappone - stanno contribuendo a generare un’aspettativa ragionevole rispetto al fatto che la MC possa costituire un’adeguata misura anticrisi e forse - e probabilmente - molto di più. Chiunque abbia approfondito la materia, non può non rimanere colpito dagli scenari nuovi che questo strumento socio-economico può partecipare a costruire, e dalla ragionevole speranza di veder superare vecchie e nuove forme di povertà e miseria. Ancora, la MC può contribuire a combattere quelle odiose sperequazioni di cui si è o si è stati spettatori più o meno impotenti, ma che sempre più stanno imperversando qui come altrove, man mano che la crisi toglie fiducia, progettualità, creatività e reazioni positive prima ancora di posti di lavoro e chiusura di attività. Quindi, si tratta sicuramente di un’idea progettuale interessante e potenzialmente molto utile ma, affinché essa possa diventare un effettivo strumento di pagamento ed una misura socio-economica di riferimento, deve trasformarsi in progetto prima ed in oggetto subito dopo: non abbiamo ancora, infatti, “la” MC ma possiamo contare su diverse sperimentazioni, per lo più locali e di profilo cittadino, dove le dimensioni possono essere accostate più propriamente a quelle di un quartiere o di una piccola città piuttosto che a quelle di una regione. Ogni esperienza, anche quelle ormai concluse, ha regalato, spesso con grande generosità verso gli altri e la società tutta, una preziosa tessera del puzzle: ci ha mostrato infatti cosa fare per agire meglio e cosa non fare per evitare problemi. Ma la lezione più importante che questo “piccolo mondo”, anche antico, ci ha insegnato è che una moneta, per poter circolare veramente e per affermarsi, ha bisogno della fiducia della gente e che questa fiducia deve essere conquistata passo dopo passo. Costruire la fiducia, - un’altra parola per “credito” e un’espressione di uso corrente nel mondo delle banche e di chi gestisce il denaro, quello vero per intenderci -, è la chiave di ogni progetto economico che non può non essere, prima di tutto, sociale. Non si può, del resto, far apparire, come per magia, uno strumento di pagamento nuovo, 3 diverso, e, per giunta, spesso prodotto semplicemente, se non poveramente, ed aspettarsi che migliaia, centinaia di migliaia e, in prospettiva, milioni di cittadini, usino una moneta complementare come se fosse quella cui sono abituati normalmente. Si ha l’obbligo morale di non far morire l’idea potenzialmente buona ma, nello stesso tempo, anche quello di non darle una veste misera che la farebbe fallire per semplice incomprensione o pigrizia intellettuale. Si dice che oggi le persone non leggono più perché non ne hanno il tempo o perché sono bombardate da troppi stimoli cui non sanno fare fronte: può essere, ma si pone la questione: cosa dovrebbero leggere tutti per farsi un’idea adeguata o addirittura per partecipare intelligentemente all’eventuale progetto? Il materiale in circolazione, siti internet soprattutto e pochi libri, non hanno fatto “letteratura”, come si dice in gergo accademico: non ci sono manuali completi, anche se esistono interessanti prodotti editoriali. Potremmo dire, sulla base di quello che ci risulta, che esiste certamente una narrativa sulla moneta complementare che racconta chi ha fatto cosa e perché, mentre non c’è davvero una trattazione della materia che proponga dei parametri di comprensione dell’esperienza e del successo e sia, contestualmente, in grado di rappresentare la MC come misura pratica e attuativa, se non ovunque, almeno in certe circostanze. Manca la scientificità, direbbero sempre gli accademici. Non intendiamo colmare questo vuoto, lo diciamo subito e chiaramente: abbiamo scelto invece lo strumento del libro verde proprio perché riteniamo che l’idea “moneta complementare” abbia bisogno di un certo grado di affinamento prima che si possa parlare propriamente del progetto monetario vero e proprio. Quindi, non formuleremo una proposta in queste pagine ma daremo conto del dibattito esistente e delle indicazioni scaturite dalle esperienze di cui abbiamo avuto notizia. E’ il caso di ricordare che il libro verde è uno strumento di governo di uso comune, ad esempio presso la Commissione Europea, che non intende risolvere una certa questione ma porre le domande giuste affinché si possa poi disegnare e approntare un piano attuativo da descrivere adeguatamente nel conseguente “libro bianco”. Non riporteremo nemmeno il parere di tutti o le proposte rappresentate da ogni progetto di MC: ci limiteremo a fornire sinteticamente le informazioni, le deduzioni, le esperienze, le indicazioni utili affinché si possa impostare su basi oggettive e razionali il progetto di una moneta complementare pubblica. Come si sarà capito scorrendo l’indice, daremo voce a tutti i ragionamenti che ci sembrano consoni e adeguati per descrivere il territorio culturale di nascita e di affermazione della MC. Ci saranno anche molte questioni cui non daremo risposta, consapevoli del fatto che qualunque progetto possiede margini di incertezza sia in fase ideativa che realizzativa: riteniamo anzi molto importante sottolineare le aree da capire meglio, per lasciare spazio alla costruzione di strumenti di gestione e di controllo che diano forza e consistenza all’eventuale progetto. Concludiamo ricordando che un libro verde, fatti salvi gli errori lampanti e i ragionamenti mal impostati, non è qualcosa da criticare ma è piuttosto un luogo intellettuale necessariamente aperto a tutti nel quale si va per aggiungere i propri dubbi e contribuire con i propri argomenti. 4 Introduzione La moneta complementare Con il termine “moneta complementare”1 si è soliti indicare i progetti e gli esperimenti aventi per oggetto la creazione di sistemi di pagamento diversi dalla moneta ufficiale ma ad essa affiancati (complementari, appunto). Tali sistemi di pagamento si configurano semplicemente come mezzi di scambio e non possiedono altre funzioni monetarie: non individuano, infatti, unità di conto nuove rispetto alla valuta ordinaria e, quindi, gli scambi sottostanti sono computati in euro, dollari, sterline o yen. Le monete complementari, inoltre, non possiedono quella caratteristica tipica della moneta ufficiale definita come “riserva di valore”, nel senso che non garantiscono il proprio valore nel tempo e non possono pertanto essere accumulate in quanto progettate per essere utilizzate, e quindi spese, rapidamente: esistono progetti di moneta complementare che prevedono una perdita di valore ad andamento lineare nel tempo 2 (una certa quantità ogni settimana o mese) ed altri che contemplano la cessazione della circolazione e la conseguente impossibilità di utilizzo e scambio dopo una certa data (esattamente come avviene nel caso dei cosiddetti “buoni pasto” 3). Oltre a queste caratteristiche di specificità e demarcazione rispetto alla valuta corrente, bisogna poi ricordare che, generalmente, le monete complementari (da adesso MC) non sono universalmente accettate, ma sono dotate di circolazione locale e riguardano aree di dimensioni poco più che rionali, coinvolgendo al massimo qualche migliaio di cittadini/consumatori. La circolazione è garantita da fondi depositati di cui la MC è rappresentazione e/o da una convenzione con esercizi commerciali in maniera analoga a quanto avviene con i gruppi di acquisto o le carte fedeltà. Anche se la MC, tra i vari vantaggi, origina tipicamente uno sconto sull’acquisto di beni e servizi, si differenzia dai buoni sconto perché la sua funzione non si esaurisce con l’atto della compravendita e il buono è suscettibile di ulteriore circolazione. Le MC vengono emesse, per lo più, da cittadini o da associazioni di cittadini e, per il resto, da istituti appositamente creati. Possono essere convertite, se lo prevede il progetto monetario, in valuta ufficiale presso sportelli bancari convenzionati. L’emissione di MC non è continua, ma procede secondo una modalità simile alle promozioni e alle campagne commerciali: la MC, infatti, viene prodotta e distribuita in seguito all’atto della convenzione di garanzia con i negozi aderenti al circuito di circolazione e/o nel momento in cui vi è la certezza del possesso dei fondi. Questo tipo di emissione, quindi, determina dei picchi distributivi e dei momenti di rallentamento o stasi della MC, per cui i pezzi realmente circolanti non sono mai tutti quelli prodotti ma una 1 Sinonimi in italiano: valuta locale, buono o voucher di consumo, traduzione in inglese complementary currency / complementary money, local money, in francese, monnaie complémentaire communautaire o bon / bonùs d’échange, in tedesco Komplementärwährung 2 Meccanismo del demurrage 3 I famosi ticket restaurant 5 frazione del volume potenziale: questo dato è importante per valutare il successo della MC. I volumi di MC dei progetti attualmente in essere e più affermati arrivano a circa un milione di unità - espresse in valuta ufficiale. Altro elemento importante è la modalità di accettazione da parte dell’esercente, che può essere parziale o totale: va detto che la MC, proprio per la sua caratteristica di affiancamento rispetto alla moneta corrente, raramente viene accettata per pagare completamente il prezzo di un bene o di un servizio, soprattutto a causa del bisogno di valuta “nobile” da parte del commerciante che deve far fronte tempestivamente agli obblighi fiscali verso lo Stato ed a quelli retributivi rispetto al personale, nonché per il pagamento dei fornitori. Quindi, a parte i casi, meno frequenti ma decisamente più interessanti, in cui la MC riesce a regolare completamente la compravendita, questa assume per lo più l’aspetto di “uno sconto che cammina” 4 . Lo sconto praticato, tipicamente tra il 5 e il 30 %, è a discrezione dell’esercente e la variabilità del tasso rappresenta un ulteriore indice di successo della MC. Per quanto concerne l’aspetto fisico della MC, essa si presenta di solito come una moneta cartacea “povera” in quanto priva di “moneyness” 5 , cioè di tutte quelle caratteristiche proprie della valuta ufficiale: non ci sono firme di garanzia da parte di autorità costituite o riconosciute, non esistono particolari disegni o filigrane, la carta non è “speciale” o del tipo convenzionalmente impiegato per la cartamoneta (leggero e ad alta resistenza), gli inchiostri usati non sono particolarmente adeguati alla conservazione della leggibilità nel tempo come avviene per le valute nazionali, non ci sono codici alfanumerici per l’individuazione e la tracciabilità del pezzo ed, infine, non sono presenti sistemi antifalsificazione. La MC non possiede moneyness perché, come si intuisce dalle affermazioni precedenti, ha circolazione limitata nel tempo e nello spazio: la fiducia di cui è oggetto è diretta e non indiretta o dovuta come avviene nel caso della valuta nazionale di corso forzoso 6. Consumatori e negozianti accettano la MC perché hanno fiducia nel progetto monetario, ma, nel momento stesso in cui questa fiducia si riduce, essi possono rallentarne la circolazione: tutti gli aderenti al circuito, infatti, hanno la libertà di accettare solo in parte o addirittura di non accettare la MC, talvolta anche senza darne notizia preventiva. Contrariamente a quanto descritto rispetto all’assenza di moneyness della MC, va annotato che diversi esperimenti hanno lavorato invece sulla gradevolezza dello strumento, affidando ad artisti la creazione di fattispecie “belle” e significative per lo scopo ultimo del progetto monetario. In un caso 7, è addirittura successo che l’Istituto Poligrafico della Zecca di Stato abbia disegnato e firmato diversi tagli di una MC circolante in Italia fino al 2005. 4 Questa definizione è stata data in modo preciso ad uno degli esperimenti più diffusi del nostro Paese, lo SCEC, lo SConto/la Solidarietà chE Cammina 5 Il termine appartiene al mondo della finanza e viene impiegato per indicare la convertibilità in moneta di un titolo finanziario a scadenza, cioè quanto vale veramente: in letteratura, lo si usa anche per indicare la qualità monetaria, ovvero il complesso delle caratteristiche positive che rendono riconoscibile e apprezzabile la moneta 6 Esiste ancora oggi il reato di rifiuto di monete avente corso legale che comporta anche una sanzione penale di 30 euro, (dispositivo dell’art 693 del Codice Penale) 7 EcoAspromonte moneta complementare del Parco Nazionale dell’Aspromonte (RC). 6 I tagli in circolazione sono bassi, limitandosi ai pezzi da 5, 10, 20; raramente si arriva a contemplare i tagli più propriamente metallici (1,2) o il taglio da 50: la scelta dei tagli non è casuale ma collegata alla gestione dei resti. Infatti, a garanzia dei commercianti, si pongono in circolazione pezzi bassi per evitare la restituzione di cifre “elevate” in moneta ufficiale, cosa percepita come un’esposizione finanziaria. La gestione dei resti costituisce un altro punto delicato nella creazione di un sistema di pagamento. Benché la stragrande maggioranza degli usi preveda il cartaceo, la MC può anche circolare in forma scritturale, ovvero non essere stampata ma impiegata come puro valore nominale per regolare i conti tra aziende e fornitori 8. Esistono anche alcune forme di moneta elettronica - molto embrionali se paragonate ai grandi circuiti di moneta elettronica - che possono essere impiegate nel sistema POS abitualmente presente nei nostri esercizi commerciali 9. Quanto descritto finora rappresenta in modo piuttosto fedele, la media dei progetti monetari complementari degli ultimi cento anni. Tralasciando le esperienze più antiche (troppo lontane dagli scopi del presente lavoro e legate a società o usi societari decisamente estinti) e gli esperimenti non propriamente definibili come MC ai sensi di quanto si è detto in apertura (progetti monetari alternativi 10 alla moneta ufficiale, riproduzione di monete storiche nei festival 11 , monete proposte dall’arte contemporanea ma non destinate veramente alla circolazione 12, monete scambiabili su piattaforme del web destinate a specifici gruppi di utenti 13), possiamo riassumere le caratteristiche comuni delle MC nella seguente definizione: La MC è un mezzo di scambio locale temporaneo, accettato in pagamento parziale o totale di beni e servizi, la cui circolazione è garantita da accordi fra cittadini e, spesso, da una dotazione in valuta ufficiale. Gli elementi che, invece, rappresentano differenze sostanziali fra i diversi progetti monetari riguardano le seguenti aree: 1. Attribuzione della MC ai consumatori: la MC, infatti, può essere donata o scambiata alla pari o sotto o sopra la pari con lo stesso valore in moneta ufficiale (da adesso MU) 14; 2. Circolazione della MC tra commercianti: la MC può essere spesa dopo la prima compravendita oppure essere trattenuta dal negoziante in attesa di essere convertita in MU o ancora essere in parte donata ad enti di volontariato/no 8 Come avviene nel sistema svizzero del WIR, uno dei progetti di MC più vecchi (1934) e ancora in uso La valuta locale bavarese Chimgauer ha avviato una sperimentazione con carte di debito, simili al circuito Pagobancomat 10 Quindi non destinati ad affiancare ma a sostituire completamente la moneta ufficiale 11 Come i festival di rievocazione storica in cui si propongono monete antiche per la compravendita di prodotti locali per la sola durata del festival 12 Sono tanti gli artisti contemporanei che hanno riflettuto sulla natura della moneta ed hanno costruito delle fattispecie monetarie riferite ad alcuni aspetti della storia e della cultura monetaria 13 Ad esempio, l’esperienza dei Bitcoin (Cryptocurrency), dei Linden Dollars di Second Life o dei Beenz 14 Ovvero rispettivamente dando 100 MC per 100 di moneta ufficiale MU, 95 MC contro 100MU o ancora 103 MC per 100 MU 9 7 profit. Il meccanismo più frequente prevede la normale circolazione e, secondo modalità semplificate, l’uscita dal circuito mediante la conversione di MC a vista (raramente su prenotazione) e al portatore in MU a titolo oneroso, cioè con svantaggio 15 per chi esce dal circuito; 3. Conservazione del valore nel tempo: le MC possono mantenere lo stesso valore o perderlo linearmente nel tempo (demurrage) o completamente a scadenza. Il senso di tali scelte è collegato all’accentuazione dell’aspetto tecnicamente definito di “moneta cattiva o imperfetta” 16 ovvero destinata solo alla circolazione e non all’accumulo con il fine ultimo dichiarato di rendere più rapide le transazioni. Nel caso del demurrage, ci sono vari e precisi sistemi per la conservazione del valore della MC che rendono la circolazione ancora diversa 17; 4. La convertibilità della MC in MU: non tutte le MC diventano MU, alcune semplicemente smettono di circolare, altre vengono convertite a scadenza di circolazione e/o sono “ricomprate” dall’emittente. Nella maggioranza dei casi, la MC conserva la facoltà di essere convertita a piacere, quindi, “a vista e al portatore”, come si diceva sopra 18. Il motivo per il quale le MC possiedono tanti elementi di somiglianza, pur nella varietà delle forme, deriva sicuramente dal fatto che, già in tempi storici, le diverse società si sono abituate a produrre mezzi di pagamento diversi per migliorare le prestazioni della valuta ordinaria. Questi sistemi, pur arrivando a sostituire la moneta di pagamento e/o di conto, non erano però che progetti temporanei, spesso spontanei, decisamente non sovversivi e, soprattutto, determinati dal bisogno di evitare la paralisi degli scambi, e di cercare, nel contempo, di non ricadere nel baratto, ormai troppo inadeguato per economie moderne in crescita 19. Anche in tempo di guerra, quando le valute ufficiali smettevano di circolare, si rendeva necessaria la produzione di una MC che consentisse almeno di regolare temporaneamente gli scambi 20 . Da questa primaria e diffusa reazione spontanea e dalla marcata improvvisazione degli strumenti di scambio non monetari 21 deriva che non esiste una teoria di riferimento per le MC, nonostante esistano interessanti riflessioni sulla natura della moneta che hanno avuto un peso significativo su alcuni esperimenti storici e contemporanei e da 15 Meno MU in cambio di MC Dalle osservazioni dell’agente di commercio medievale Gresham che coniò il famoso aforisma economico per cui “la moneta cattiva (quella di scarso valore intrinseco per svalutazione o povertà dei metalli impiegati) scaccia quella buona (la moneta coniata con i metalli nobili che erano quindi in grado di costituire riserva di valore)”. 17 Come avveniva nel 1932 nel celebre esperimento di Woergl in Austria, per cui era necessario applicare una marca da bollo settimanalmente per non perdere la frazione corrispondente di valore nominale. 18 Formula bancaria antica ma ancora in voga per indicare il fatto che un certo valore viene consegnato presentando il titolo corrispondente, (in questo caso la moneta cartacea), che può così essere visto fisicamente, a chi lo (tras)porta, essendo il possesso presunto semplicemente per il fatto di avere fisicamente il titolo cioè senza procedere con l’identificazione legale del possessore 19 Il baratto richiede la “doppia coincidenza dei bisogni” per poter procedere allo scambio ovvero due soggetti con bisogni perfettamente incrociati: pertanto non può essere che un mezzo di scambio limitato in una società industriale. 20 Si pensi alla funzione di scambio delle sigarette nel mercato nero del nostro Paese durante il secondo conflitto mondiale e, contemporaneamente, all’arrivo delle cosiddette AAM lire dell’esercito anglo-americano. 21 Questo spontaneismo è stato particolarmente evidente nella creazione delle monete complementari argentine in seguito alla paralisi della moneta nazionale e alla chiusura delle banche (2001) 16 8 cui si sono potute trarre importanti insegnamenti e indicazioni. Basti pensare alle tesi di Silvius Gesell a proposito della cosiddetta “moneta libera” 22 oppure alla teoria del “regio” di Margrit Kennedy 23 o ancora ai lavori del professor Bernard Lietaer sull’impatto degli interessi bancari sulla moneta ufficiale e sulla necessità di cambiare le politiche monetarie anche impiegando monete diverse dalla valuta di riferimento 24: in questi casi, la MC è argomento, se non marginale, quanto meno secondario rispetto alle riflessioni sulla moneta principale. In altre parole, questi autori, unitamente a tanti altri che qui non citiamo per ragioni di spazio e per mantenere il profilo presentato in premessa, si sono occupati di descrivere i propri progetti di riforma della moneta nazionale e, nell’impossibilità di poter intervenire direttamente sulla valuta ufficiale, hanno pensato ad una moneta “secondaria” ma non necessariamente complementare. Questo contesto teorico, in ultima analisi, ha generato una serie di esperimenti monetari interessanti ma abbastanza lontani dalle teorie di riferimento, che sono così decadute in prassi monetarie più semplici o semplificate rispetto alle intenzioni iniziali, per entrare, infine e a pieno titolo, in quell’empirismo proprio del mondo delle MC. In mancanza di un riferimento teorico preciso, per le ragioni appena esposte, e in virtù dello spontaneismo/empirismo ricordato, si può affermare che una MC viene costruita con lo scopo di migliorare le prestazioni monetarie della moneta ufficiale. Tipicamente, la MC fornisce un mezzo di scambio per aumentare la quantità degli scambi a livello locale (che rappresenta la dimensione massima esplorata per la sua governabilità), consentendo il pagamento e la valorizzazione economica di beni e servizi diversamente non fruibili soprattutto perché fuori mercato 25. Sul fronte della legalità, limitandoci al solo ambito italiano, è doveroso ricordare che alcuni esperimenti sono stati oggetto di interessamento da parte delle autorità giudiziarie 26 o amministrative 27 e che recentemente si è registrato nel nostro Paese addirittura il caso di una moneta complementare prodotta da un municipio 28. Tutto questo ha permesso di comprendere che la MC è legale in quanto chiaro accordo tra cittadini che stabiliscono di impiegare un mezzo di pagamento in determinate e precise condizioni. La MC non può essere, inoltre, un titolo finanziario per cui non deve produrre redditi da interesse o plusvalenze da possesso ed è anche importante, per 22 “Das Freies Geld”o “Freigeld”, dal tedesco letteralmente “moneta libera” meglio nota in letteratura come “free money” dove si introduce, tra le altre cose, il concetto di moneta a tempo: teoria esposta nel libro “Il naturale ordine economico” (1916) 23 Cfr il libro “Moneta libera da inflazione ed interesse” (1987) dove si propone l’introduzione di una moneta di respiro regionale, controllabile direttamente dalla gente e libera da interessi ed inflazione 24 Bernard Lietaer, studioso di fama internazionale sulle moneta, è autore di molti articoli informativi di monete complementari nate in paesi anche extraeuropei (Giappone, USA, Venezuela, Argentina, etc) 25 Come le attività sociali riguardanti i servizi alla persona (ad esempio rivolte ai migranti con o senza permesso di soggiorno) o la produzione di beni (ad esempio agricoli) non ritirati dalla grande distribuzione e non vendibili diversamente per mancanza di mercato o, ancora, le attività proprie delle banche del tempo 26 La moneta complementare SIMEC (Guardiagrele in provincia di Chieti), in circolazione per circa un mese nell’estate del 2000, è stata oggetto di un dibattimento giudiziario importante che ha stabilito la legalità della MC. 27 Arcipelago SCEC l’associazione di riferimento del progetto SCEC, sopra ricordato, ha interpellato Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza per comprendere i limiti legali del proprio circuito 28 Si tratta del Napo, MC del Comune di Napoli, (fine 2012), che sarà forse l’esperimento più rilevante come quantità di MC in circolazione in Italia 9 chi avvia un progetto di MC, che siano accuratamente considerate le relazioni con la materia fiscale (emissione di scontrino/fattura, diminuzione importo dichiarato fiscalmente, etc). In conclusione e in estrema sintesi, la MC è un mezzo di scambio legale, spazialmente e temporalmente limitato, avente lo scopo di migliorare le prestazioni monetarie della MU, aumentando la capacità di acquisto dei cittadini; agendo come un buono sconto ulteriormente spendibile; anticipando somme dovute da enti pubblici in merito ad alcuni capitoli di spesa 29 ; agevolando lo scambio di alcuni beni e servizi diversamente non disponibili 30 in quantità e qualità; consentendo un miglior sostegno a cittadini in condizioni particolari 31. Il presente LIBRO VERDE intende indagare tutti gli elementi che permetteranno di rispondere a questa domanda: si può regolare una parte della spesa pubblica per mezzo di una moneta complementare? 29 Esperimenti di Riace (RC), 2011, e di Rionero in Vulture (PZ), 2012: si sono anticipati ai migranti i soldi attesi dallo Stato per mezzo di voucher costruiti da una cordata di associazioni ed enti pubblici che venivano spesi dai beneficiari presso alcuni esercizi convenzionati e, in seguito, estinti con la MU. 30 Come succede anche nelle Banche del Tempo o nei Gruppi di Acquisto Solidale. 31 Cittadini con dipendenze, soggetti a rischio di usura, alcuni servizi per gli anziani. 10 Capitolo primo Crisi della moneta Diversi economisti 32 hanno sottolineato le difficoltà di gestione dello strumento monetario: ogni sistema finanziario è infatti alle prese con il problema della regolazione della quantità di moneta circolante, materiale e dematerializzata ovvero fisica e virtuale (elettronica e/o scritturale) e con l’altrettanto rilevante problema della gestione del cambio con le altre valute, elemento di capitale importanza per il commercio. Mantenendo il ragionamento sulle questioni generali - e semplificandolo a beneficio della comprensione - possiamo dire che la quantità di moneta in circolazione viene ritenuta la principale responsabile dell’inflazione ovvero dell’aumento generalizzato dei prezzi, mentre le relazioni con le altre monete sono il fattore più importante negli scambi internazionali in quanto l’import/export è direttamente influenzato dal tasso di cambio applicato alle monete cioè dal costo della moneta estera in termini di valuta ufficiale -e viceversa. La moneta di per sé non è quindi un parametro fisso, ma è soggetta a variazioni spesso molto ampie con impatto principalmente sui prezzi al consumo e all’ingrosso (tra aziende), determinando la sufficienza o l’insufficienza dei redditi dei cittadini all’accesso a beni e servizi, la capacità delle aziende sul mercato globale, la possibilità da parte dei governi di sostenere la spesa pubblica e tanto altro. Si può decisamente affermare che proprio il governo della moneta è sempre stato il principale problema delle economie moderne e contemporanee e, ad oggi, dopo le scelte operate nel nostro33 come in altri Paesi, il tema è passato completamente nelle mani delle Banche Centrali, ritenute al di sopra delle parti interessate (cittadini, stati e governi, banche, mercati) e la cui azione viene esercitata nell’interesse collettivo. Sono le Banche Centrali, infatti, ad emettere il denaro e a regolarne la circolazione, intervenendo sul costo del denaro stesso e rendendolo ora più, ora meno disponibile al fine di gestirne la quantità nel modo giudicato più consono al sistema economico in un dato momento. Le Banche Centrali hanno anche molteplici altre funzioni, come gli interventi detti di “mercato aperto”34, ma il loro scopo principale risiede sicuramente nel gestire convenientemente la moneta35, evitando soprattutto l’inflazione o le perturbazioni dei prezzi imputabili alla moneta stessa. Si può anche affermare che sta proprio nella stabilità dei prezzi nel tempo o nel governo di questi l’essenza dello sforzo e del pensiero economico. Senza entrare in discussioni che richiederebbero molto spazio e che travalicano gli scopi di questo libro verde, è doveroso ricordare che, a giudicare soprattutto dalla 32 Cfr S. Strange “Mad Money: When Markets Outgrow Governments” (1998), L. Fantacci “La moneta, storia di un’istituzione mancata” (2005) 33 Si pensi allo storico “divorzio” fra Ministero del Tesoro e Banca d’Italia (1981). 34 Open market operation: si tratta di un sistema di regolazione della moneta tramite la compravendita di titoli di stato. 35 La cosiddetta “sterilizzazione della moneta” ovvero il complesso delle attività della Banca Centrale per regolare la quantità della moneta in circolazione 11 storia dell’istituto monetario e del suo andamento nel tempo, non si è ancora raggiunta una soddisfacente e condivisa politica monetaria in grado di mantenere all’equilibrio il sistema economico e di prevederne gli spostamenti tempestivamente al fine di poter agire per il meglio: senza davvero attribuire responsabilità a nessuno, non si è in condizione di immaginare uno scenario monetario di lungo periodo (almeno superiore a qualche anno), né si possono comprendere in anticipo le conseguenze delle scelte effettuate, in questo come in tanti, forse in tutti i settori dell’economia attuale. Sono troppi i player, gli attori e le parti coinvolte e ancora gli eventi e le condizioni da tenere presenti: nemmeno la storia appena passata o recente è in grado di fornire lezioni o spiegazioni tali da garantire la sicurezza del risultato. Siamo, quindi, nel campo dell’incertezza e della probabilità, come in tutte le scienze, e si procede per stati di equilibrio successivi e conseguenti, come ci ha mostrato la teoria dei giochi applicata all’economia 36. Quando c’è l’incertezza e i problemi si moltiplicano accavallandosi, si è portati ad agire con prudenza: in questo modo si comporta la Banca Centrale quando, in momenti di crisi come l’attuale, contemporaneamente economica, produttiva, finanziaria e fiscale, riduce la quantità di moneta circolante e tenta di regolare più finemente la circolazione stessa, aggiungendo regole, ponendo limiti alla possibilità di indebitamento degli stati, suggerendo maggiore attenzione nell’erogazione del credito, proponendo ai governi riforme importanti finalizzate a ridurre la spesa pubblica. Tutto ciò concorre a determinare (esistono anche altri fattori macroeconomici) una condizione permanente per cui esiste una richiesta di denaro da parte dei cittadini, delle imprese, degli stati che è superiore all’offerta messa a disposizione dal sistema bancario e finanziario in generale: di qui la crisi monetaria. La crisi della moneta, - lo diciamo senza entrare nell’arena della politica e del dibattimento interpretativo ma cercando di rimanere sull’oggettività -, si traduce nelle misure di austerità che sono ben note di questi tempi, nella speranza di riportare il sistema all’equilibrio in un orizzonte temporale piuttosto breve. Nello stesso momento, - che si sia o meno d’accordo e coerentemente con le scelte operate -, continuano l’inasprimento della pressione fiscale, il peggioramento dell’accesso al credito, la ridotta capacità del sistema produttivo che non è in grado di assumere stabilmente forza lavoro e, soprattutto, l’aumento del tasso nazionale di povertà ovvero del rischio di povertà e di esclusione sociale (ad oggi superiore al 28,4% secondo dati ISTAT )37. Qualunque sia la posizione politica e pur conservando la fiducia in alcuni ragionamenti, non è tuttavia possibile né veramente sostenibile socialmente, non rispondere ai bisogni di oltre un cittadino su 4, sapendo anche che nemmeno gli altri 3, sempre in riferimento ai grandi numeri, stanno poi molto meglio. Negli altri paesi, il malessere economico ha raggiunto anche il connotato di protesta manifestamente stabile con comitati, soprattutto di giovani 38, che cercano di raggiungere i gruppi di potere per chiedere cambiamenti tangibili in poco tempo in merito a occupazione, sviluppo, distribuzione del reddito. Il sentimento collettivo, se lo si può interpretare davvero, sembra orientato ad un futuro di ulteriore e perdurante depressione economica in cui non si potrà più mantenere lo stile di vita precedente né garantirlo ai propri figli. 36 Si pensi al famoso “equilibrio di Nash”. Cfr “Reddito e condizioni di vita”, ISTAT, 10 dicembre 2012, scaricabile dal sito www.istat.it 38 Come il Movimiento 15-M o degli “indignados” e l’ “Occupy Movement”. 37 12 In un clima come quello descritto, è prevedibile che nasca la reazione spontanea di cui si parlava sopra, in base alla quale, in mancanza di un mezzo di pagamento disponibile, se ne cerca o se ne crea uno complementare. Proprio durante la nascita e l’affermarsi dell’attuale depressione economica globale sono sorti i tanti esperimenti di MC nel mondo (oltre 5000 noti in questo momento) con un’accelerazione negli ultimi 10 anni: questi progetti monetari sono l’espressione del bisogno diffuso di maggiore potere d’acquisto o accesso a qualche forma di credito o ancora di governare localmente e autonomamente alcuni aspetti della vita economica più vicina. La MC è uno strumento che richiede partecipazione, costruzione di rapporti, avviamento di nuove pratiche, verifica degli obiettivi, apertura alla società ed ai suoi problemi: è, quindi, uno strumento fragile che mette nella posizione di dover chiedere e ottenere fiducia ma che potrebbe raggiungere i cittadini direttamente, essendo da essi anche governata. La moneta ufficiale, ritenuta - a torto o a ragione - corresponsabile di vari malanni economico-sociali, non può essere rifiutata e dipende da dinamiche politiche e globali così distanti dai cittadini da impedire una partecipazione o, addirittura, una comprensione: forse, la recente ondata di rifiuto 39 nei confronti dell’euro, moneta forte e sovranazionale, al di là delle ragioni di ordine politico ed economico, potrebbe anche derivare dall’aver aumentato la distanza fra la gestione dello strumento monetario e la gente, che ancora meno è in grado di partecipare e comprendere 40. Le monete nazionali, quelle a cui siamo abituati, nascono storicamente da progetti basati sul principio di autorità e, come tali, imposti ai cittadini i quali sono stati obbligati nel tempo ad un solo mezzo di pagamento e all’impossibilità di poterlo cambiare con il mutare dei propri bisogni: non potremmo essere davanti non tanto alla crisi della moneta ufficiale quanto alla nascita della possibilità di una gestione diversa degli strumenti monetari, uno o più dei quali sarebbero creati e governati dalle persone sulla base dei propri legittimi bisogni? Non è forse questa una possibile rappresentazione della “sovranità monetaria”? 39 40 Cfr. A. Bagnai “il tramonto dell’euro”, 2012, J. Sapir “Bisogna uscire dall’euro?” 2012 Cfr L. Bini Smaghi“ Il paradosso dell’euro”, 2008 13 Capitolo secondo L’emissione monetaria e i problemi collegati Le tre fasi rilevanti per la circolazione monetaria possono essere così elencate: A. emissione B. circolazione propriamente detta C. ritiro L’emissione prevede la produzione e la consegna della moneta a chi la distribuirà capillarmente; il distributore può essere individuato in via esclusiva nel sistema bancario. La circolazione è, invece, il passaggio della massa monetaria 41 tra tutti gli attori sociali (persone fisiche e giuridiche) ed è pressoché continua e a tempo indeterminato: infatti, solo una piccola parte della moneta cartacea scompare perché il ritiro, ultima fase, avviene per rovina, distruzione o perdita del supporto cartaceo o per deposito presso istituti esteri, relativamente lontani dal circuito nazionale di riferimento. Il ritiro, nel senso della completa sparizione, non avviene per la moneta elettronica e scritturale, quella che non ha base cartacea o fisica e viene quindi progressivamente accumulata nel sistema, circolando anch’essa in maniera continua. Ci sono, comunque, periodi di stasi in cui la moneta “giace” non spesa presso i conti correnti o i depositi, ma anche in questo caso non è corretto dire che non “faccia” niente: il sistema bancario, infatti, la investe, senza spenderla effettivamente ma di fatto prestandola, e ricavandone ulteriore moneta. Come noto, le banche possono così “creare moneta” 42. È vero dunque che “il denaro non dorme mai”. La Banca Centrale interviene per incettare massa monetaria - cioè toglierla dalla circolazione - quando questa è eccessiva, altrimenti il sistema si avvierebbe al collasso, nel senso che prenderebbe avvio la spirale inflazionistica, ben studiata e nota, che si concluderebbe solo alla teorica perdita totale di valore da parte del denaro 43. La Banca Centrale e il sistema bancario rappresentano, quindi, l’inizio e la fine del circuito monetario e agiscono come un cuore che pompa e regola la quantità del sangue finanziario nel corpo sociale, se ci è permessa un’immagine suggestiva. Questo sistema, che si è raffinato nel tempo, non prevede una reale scomparsa della moneta la quale, una volta entrata nel sistema finanziario nazionale, non ne esce più se non per andare all’estero, con tutti i problemi derivanti da tale evento: se essa, infatti, dovesse tornare in massa e improvvisamente, potrebbe destabilizzare una 41 La massa monetaria è distinta per aggregati indicati con M che, semplificando, possiamo definire così : M1 è il circolante propriamente detto perché spendibile praticamente subito, M2 è costituito da M1 e da tutti i depositi che richiedono un po’ di tempo per essere svincolati e spesi, M2 estesa è data da M2 e dai depositi presso le filiali estere delle banche italiane, che richiedono il “ritorno” per essere veramente spesi, cfr “Finanza” Garzanti alla voce M. 42 Meccanismo del cosiddetto “moltiplicatore dei depositi”. 43 Cfr A. Fergusson ,“Quando la moneta muore”, 2011 14 moneta nazionale condannandola alla svalutazione. Si pensi a tal proposito a quanto accaduto ad alcune valute europee tra gli anni ’80 e ’90 44, ed a come tali accadimenti hanno contribuito a generare e rinforzare gli accordi del Sistema Monetario Europeo prima, e l’Euro dopo: quest’ultimo viene ritenuto, in tal senso, una roccaforte monetaria inespugnabile 45. La moneta ufficiale, quindi, cresce continuamente sviluppandosi su sé stessa; periodicamente, viene “limata” nelle quantità, come si è ricordato: tuttavia, il continuo aumento del volume monetario in circolazione, assolutamente insostenibile, è tale da condurre ad una sorta di “reset” occasionale (cambiamento della valuta, riduzione del denominatore monetario dalle migliaia alle decine, restrizione dei meccanismi indiretti di distribuzione mediante azioni sulla spesa pubblica e sugli investimenti, etc) 46 . Altrimenti, il meccanismo di emissione deve essere messo in condizione di limitare o almeno non eccedere nella produzione e distribuzione di moneta. Se questa, infatti, non può scomparire per non generare perturbazioni sociali facilmente immaginabili – chi potrebbe accettare la sparizione di parte dei propri risparmi per semplice ritiro di moneta? -, sarà utile e importante fare in modo che la moneta venga ridotta nelle quantità in ingresso. E’ il caso di sottolineare qui che la moneta entra nel sistema a debito 47: essa, in altre parole, non viene semplicemente assegnata alle persone e agli enti, ma deve essere guadagnata perché si possa entrarne in possesso e avere la facoltà di spenderla. Per averla effettivamente, quindi, bisogna cedere qualcosa: il proprio tempo lavoro, un oggetto in senso lato o il diritto su di un oggetto. Anche se è forse difficile comprendere come potrebbe essere altrimenti, avvezzi come siamo al meccanismo di debito, possediamo la moneta solo se la compriamo e la possiamo spendere solo cedendola, e non trattenendola nello stesso tempo: non siamo in grado di produrre direttamente il simbolo economico per eccellenza né possiamo usarlo direttamente senza detenerlo in qualche modo. Questo dato universalmente diffuso e accettato, banale di per sé, non lo è poi tanto se si pensa al fatto che esso vale non solo per il singolo, ma anche per gli stati e le amministrazioni pubbliche e che, in ultima analisi, è proprio il meccanismo descritto, nell’impossibilità di far fronte al fabbisogno di moneta diversamente, a costringere all’indebitamento. Tutto il circuito finanziario, si dice da più parti 48, si basa sul debito. Alcuni hanno visto in questo un sistema fraudolento ai danni dei cittadini e dei loro legali rappresentanti 49, avviando una querelle tuttora ben presente sul web. Senza entrare nel merito del dibattito che ha anche generato nel nostro Paese dibattimenti giudiziari e discussioni molto interessanti intorno alla natura della moneta, ribadiamo che la moneta viene emessa a debito e che questo meccanismo, forse proprio in virtù del processo storico che lo ha elevato a sistema globale, può essere ritenuto una delle 44 come I famosi attacchi speculativi del 1992 alla sterlina e alla lira da parte del finanziere George Soros Padoa Schioppa “L’euro e la sua banca centrale” 2004. 46 Si pensi alla storia monetaria europea dal dopoguerra ad oggi. 47 G. Lemme, “Moneta scritturale ed elettronica”, 2003, pg 24: “(…) sentiamo dunque di poter dire che la “moneta” coincide con la lex monetae: ossia con la totalità delle norme legali monetarie che definiscono il carattere di un debito(…) 48 B. Lietaer et al, “Money & Sustainability: the missing link”, una pubblicazione del Club di Roma, 2012 49 Teoria del signoraggio monetario, cfr “Finanza”, Garzanti, alla parola “moneta” 45 15 pietre di fondazione dell’intero edificio economico. 50 , premio Nobel per l’economia nel 1970, la fame ci alziamo ogni mattina e andiamo a lavorare ed quantità e tipologie di merce viaggiano verso tutte Anzi, parafrasando Paul Samuelson di moneta è la vera ragione per cui è sulla base di essa che milioni di le località del pianeta. Ciò che accade in questo momento è che non si riesce più a placare la fame di moneta con l’indebitamento: il sistema di emissione di moneta e di gestione del credito dichiara di non poter sostenere la richiesta di nuovo circolante e invita gli stati a non indebitarsi ulteriormente ed a gestire meglio le proprie risorse anche a costo di sacrifici impopolari: sul piatto c’è, inizialmente, la perdita di fiducia da parte degli investitori nei confronti del debito pubblico 51 , ma, subito dopo, il tracollo della moneta52. Se non si aumentano o migliorano spesa pubblica, investimenti e credito, si incorre, come stiamo verificando, necessariamente nella paralisi dei consumi e nell’inutilità e nell’impossibilità di produrre beni e servizi che comunque nessuno comprerebbe ai prezzi necessari per permanere sul mercato. L’attuale crisi, però, non si configura come una reale incapacità produttiva - nel senso che non mancano beni e servizi e soggetti in grado di offrirli - ma si presenta, per lo più, come una crisi finanziaria, cioè dei sistemi di pagamento/ indebitamento 53. In altre parole, non si tratta di una “carestia” o di una scarsità vera e propria, ma solo di un’incapacità distributiva legata all’impossibilità di chiudere lo scambio per mancanza dello strumento pagatore e risolutivo della transazione. In considerazione di ciò, e del fatto che la moneta è essenzialmente un tramite che permette di scambiare i prodotti del proprio lavoro con quelli del lavoro altrui, non si potrebbe dunque adottare un mezzo di pagamento nuovo, non basato sul debito e non generante ulteriori posizioni debitorie, ma circolante esclusivamente per chiudere le transazioni necessarie al mantenimento dei bisogni e degli investimenti fondamentali? Se, come sembra logico, l’emissione della moneta ufficiale deve essere limitata per questioni di sopravvivenza del sistema, perché non provare a progettare una MC, anche a tempo e dotata di scadenza, ad esempio, per far fronte almeno ad una parte della spesa pubblica? Non si potrebbe immaginare un sistema di pagamento basato su una moneta ufficiale “forte”, unità di conto delle transazioni e riserva di valore, e una MC “debole”, distribuita su base regionale o nazionale, da impiegare per la massa delle spese correnti di importo medio-basso? 50 Paul Samuelson è stato autore di un celebre manuale di macroeconomia, “Economia”, che ha raggiunto 19 edizioni ed è stato tradotto in oltre 20 lingue. 51 Si pensi alla significativa storia del declassamento dei rating dei titoli di stato e alla dinamica del famoso “spread”. 52 Come la paventata “fine dell’euro”. 53 M. Amato, L. Fantacci “La fine della finanza”, 2012 16 Capitolo terzo Gli strumenti di pagamento e la distribuzione del reddito Il pagamento è l’atto finale della compravendita e si consuma con la consegna dei titoli (di pagamento, appunto) da parte del compratore: oggi, questo comporta la cessione di moneta in una delle sue forme, cioè cartamoneta, moneta elettronica54 o moneta scritturale55. Senza entrare nei dettagli della storia dell’istituto monetario, è utile ricordare qui che la moneta non costituiva titolo di pagamento fino all’imposizione del corso forzoso. Infatti, prima di allora, il venditore non si riteneva pagato con la ricezione della banconota, bensì con la consegna del valore sottostante ovvero quello di cui la banconota costituiva la ricevuta: in un momento successivo, al banco dei cambi - la prima rudimentale banca dell’epoca tardo medioevale e rinascimentale – avrebbe, infatti, ricevuto tanto oro o tanto argento quanto era riportato nell’impegno della banconota (appunto “nota di banco”). Solo allora si sarebbe chiuso il pagamento che, da sempre, si deve concludere con reciproca soddisfazione delle parti. Questa è la ragione per cui le monete ante euro e molte valute ancora in circolazione 56 recano sul fronte la dicitura “pagabile a vista al portatore” 57 , proprio perché il pagamento si consumava allo sportello del banco di cambio. Con l’avvento del corso forzoso della moneta, la legge ha stabilito che il pagamento si concludeva con l’incasso della ricevuta ovvero della banconota, cosa che ha richiesto vari tentativi nel corso del 18° e 19° secolo e diverse generazioni per essere “digerita”, attaccati come si era al valore sottostante58. Il motivo per cui si è passati alla carta risiede nel fatto che i metalli preziosi non erano sufficienti a coprire il fabbisogno di moneta e si è dovuto “barare”59 per avere maggiore quantità di valuta. Oggi c’è stata un’ulteriore evoluzione, silenziosa ma molto significativa: l’introduzione della moneta elettronica ha posticipato a tempo indeterminato la consegna dei titoli di pagamento e ha reso moneta effettiva la semplice scrittura contabile. Infatti, basta registrare il passaggio dei valori da un conto all’altro, per avere la chiusura della transazione fra compratore e venditore: la banconota potrebbe non essere mai incassata in quanto non prelevata e il sistema finanziario non necessita più di una grande provvista di cartamoneta. Il pagamento, quindi, si chiude con la promessa garantita che la moneta sarà disponibile a richiesta. ll sistema fa sì che questo sia 54 Cfr Finanza, Garzanti Moneta elettronica o monetica, “tecnica che consente il trasferimento di potere d’acquisto mediante la registrazione elettronica di istruzioni nella memoria di un calcolatore”; si avvale di supporti magnetici dotati di microchip riconoscibili dai sistemi elettronici tipo POS 55 La moneta scritturale è la moneta esistente solo nelle scritture contabili: è, sostanzialmente, la registrazione degli scambi monetari presso conti correnti o documenti analoghi aventi valore legale. 56 Ad esempio, la sterlina inglese 57 Cfr nota 18. 58 In Italia il corso forzoso è diventato permanente dopo la prima guerra mondiale. 59 Ovvero stampare più carta di quanto metallo si possedesse senza procedere con la svalutazione. 17 subito possibile per importi piccoli ed in breve tempo per quelli maggiori, ma è anche in questo senso che si deve leggere la contemporanea tendenza delle banche a scongiurare l’uso del contante rendendolo sempre meno disponibile60. La cartamoneta costituisce la garanzia della moneta elettronica e scritturale e rappresenta precisamente la copertura finale del pagamento. I vantaggi di questa scelta sono tanti: si può contenere la produzione di moneta lasciandone fluttuare le rappresentazioni scritturali e consegnando la cartamoneta a richiesta; le transazioni sono sempre tracciabili consentendo l’emersione di quello che un tempo era detto “mercato nero”61; grandi quantità di moneta possono essere trasferite molto facilmente; non occorre stoccare e provvedere al mantenimento di grossi magazzini di cartamoneta; si salvano anche i costi di produzione della moneta stessa (costosa da realizzare per tutti i crismi richiesti); la contraffazione fisica non è più possibile62; i cambi fra monete sono immediati e non occorre il preventivo possesso delle valute estere; i pagamenti per merci e servizi anche molto lontani possono avvenire facilmente e in relativa sicurezza; si può disporre del proprio conto corrente anche all’estero. Tutto ciò rappresenta sicuramente un’evoluzione ma comporta anche una maggiore onerosità degli scambi: ogni passaggio di moneta elettronica o scritturale comporta infatti un costo, mentre l’impiego della cartamoneta è gratuito; l’accesso alla cartamoneta è diventato più difficile o a pagamento. Inoltre, per avere la moneta elettronica dotata di tutti i servizi 63 , occorre necessariamente un conto corrente d’appoggio che costringe a diventare consumatori bancari, a sostenerne i costi e ad essere valutati finanziariamente. Proprio quest’ultimo aspetto apre al tema della bancabilità 64 : per accedere a tutti i servizi messi a disposizione dal sistema bancario è necessario avere tutti i requisiti che vengono definiti anche con il termine di “bancabile”. Bisogna essere bancabili, con uno spostamento semantico notevole per cui il termine, coniato per i prodotti finanziari perfetti e in grado di ottenere dalla banca un certo effetto, viene ora applicato direttamente alle persone. La finanza etica e il microcredito o la microfinanza parlano, infatti, di “soggetti non bancabili” per indicare gli esclusi dal sistema bancario. 60 Si pensi alla recente decisione del governo italiano di non consentire prelievi uguali o superiori ai 1000 euro. Il complesso delle transazioni non autorizzate dalla legge o non visibili al fisco. 62 Permangono invece i problemi legati alla pirateria informatica. 63 Esistono anche le carte elettroniche prepagate che però non consentono tutti i servizi di una carta di credito aderente ai circuiti maggiormente accreditati (Visa, Mastercard, Maestro, American Express, etc) 64 Cfr Dizionario Hoepli, www.dizionari.hoepli.it: bancabilità, Carattere di ciò che è bancabile, scontabile, esigibile presso una banca. 61 18 Non essere bancabili comporta il non accesso a: un conto corrente in grado di avere uno scoperto, cioè di poter usufruire momentaneamente di un extrareddito rispetto a quello presente a saldo65: una carta di credito che apra alla possibilità di alcuni servizi (extrareddito, alcune tipologie di acquisti, fitti e altro); una carta di debito (il bancomat) con possibilità di scoperto; crediti finanziari come il mutuo per la casa e il prestito personale; credito al consumo presso alcuni esercenti (acquisto con pagamento dilazionato di beni quali ad esempio auto, arredi, etc) Se tutto questo può sembrare ingiusto, sarà bene sottolineare che la banca si tutela dalle cosiddette “sofferenze”, cioè dal fatto di non vedersi rimborsare i crediti presso la clientela, in quanto deve coprire con fondi propri (capitale sociale e riserve) eventuali ammanchi e che, in Italia, con grande variabilità territoriale, il tasso di sofferenza medio nel 2011 è stato pari al 10,8% dei prestiti, con un ammanco al sistema di 195 miliardi di euro66. La caratteristica principale per essere pienamente bancabili è il possesso di un reddito certo a tempo indeterminato (da lavoro o da rendita patrimoniale): in presenza di questa caratteristica, la banca sostiene il proprio cliente in maniera completa soprattutto fornendogli la capacità di accedere ad un extrareddito che può essere rimborsato convenientemente per entrambe le parti. Questo extrareddito è, di fatto, la dilazione del pagamento vero e proprio. Si può comprare una casa, un’automobile, tutto l’arredamento, un viaggio e offrire inizialmente una piccola somma essendo coperti per l’intero importo dal sistema bancario che semplicemente calcolerà una rata più o meno alta in base alla bancabilità del consumatore e procederà a prelevare automaticamente dal conto la cifra corrispondente . Addirittura anche l’inizio del pagamento può essere dilazionato a data migliore (dopo un anno per esempio), se si è garantiti da un sistema di credito. In definitiva, se si è bancabili, per concludere gli acquisti, è sufficiente la promessa di pagamento garantita da soggetti finanziari. Ciò conferisce il potere di regolare il proprio reddito aumentandolo momentaneamente e a seconda delle esigenze: è corretto dire che, in questo modo, il soggetto bancabile può usufruire del denaro bancario pienamente, compiendo investimenti profittevoli - pur non essendo proprietario reale delle somme necessarie - o accedendo al credito sempre all’interno di circuiti di garanzia. Questi investimenti e questi acquisti permettono di raggiungere una ricchezza materiale ed un agio inarrivabili con il solo reddito da lavoro. Il possesso di beni patrimoniali e la capacità di investire originano, poi, altri redditi: si può quindi affermare che il denaro bancario così impiegato permette al soggetto bancabile di avere accesso ad un reddito maggiore nel tempo. E’ doveroso dire che, quando si perde il lavoro, soprattutto se all’improvviso, e , nello stesso tempo, non si riesce a conservare la bancabilità, avendo goduto pienamente di questa condizione, ci si 65 Quello che gergalmente si definisce “andare in rosso”. E.Coletti, “Di crisi in crisi: l’impatto sul settore bancario italiano e l’esperienza del gruppo Intesa San Paolo”, maggio 2012 66 19 ritrova più poveri di prima, cioè senza il reddito da lavoro e con in più le rate e i debiti da pagare, nell’impossibilità di potervi fare fronte67. E’ anche giusto ed equo far rilevare che il denaro bancario, come dimostrano i recenti crac finanziari68, nella estrema necessità di essere messo a frutto e con larghi margini, induce ripetutamente il sistema bancario ad investimenti eccessivamente rischiosi che producono “buchi” e ammanchi molto superiori ai danni della “normale” sofferenza bancaria: al di là dei casi palesemente fraudolenti, questo deve far riflettere sul bisogno di moneta da parte del sistema finanziario stesso. Sulla scorta di tutto quanto si è rappresentato, il pensiero economico definito “alternativo”, dalla finanza etica 69 al microcredito, ha identificato come suprema esigenza l’abbassamento della soglia della bancabilità, rendendo così bancabili anche i soggetti non in possesso delle necessarie garanzie reddituali o patrimoniali: questo si è tradotto nella apertura del credito soprattutto verso chi investe nel sociale (imprese sociali o no profit) o chi intende operare un investimento piccolo ma duraturo, senza alcuna garanzia personale (tipicamente i migranti)70. A questo bisogna poi aggiungere le esperienze, tutt’ora in corso e in larga parte in fase iniziale, delle banche che hanno creato prodotti finanziari particolari per dare spazio anche ai soggetti difficilmente bancabili come i lavoratori cosiddetti “atipici”71 e i migranti 72 : si tratta di interessanti tentativi di raggiungere gli esclusi dal sistema bancario semplicemente trasformandoli in clienti. Nonostante tutto questo, però, la soglia di bancabilità, stando ai grandi numeri, si alza necessariamente se consideriamo non solo le regole bancarie (sempre più restrittive73) ma anche il bisogno indotto dalla crisi di non rischiare il denaro e, nel contempo, di metterlo maggiormente a frutto. Forse, al di là dei lodevoli e validi tentativi di miglioramento che non mancheranno – e che, di fatto, non mancano - di generare sviluppo ed evoluzione, non sono le banche i soggetti che dovrebbero occuparsi dell’esclusione sociale dovuta alla scarsità dei mezzi di pagamento. Gli istituti bancari, infatti, non sono altro che aziende private che si misurano anch’esse con questo problema e non sono evidentemente nella condizione di agire per l’intero corpo sociale. Come cittadini, potremo chiedere loro di non investire male i nostri soldi, di abbassare la famosa soglia di bancabilità, di costruire prodotti più attenti alle comunità locali e ai loro bisogni 74, e di mettere a 67 Il dilagante e preoccupante fenomeno definito “nuova povertà”: si vedano su questo i report annuali della Caritas. Esiste una spiegazione teorica abbastanza accreditata per cui l’intera crisi finanziaria attuale sarebbe cominciata con il famoso fallimento della banca d’affari americana Lehman Brothers (2008). 69 Per fermarci all’Italia, si pensi all’esperienza della Banca Popolare Etica (attiva dal 1999) o al mondo delle MAG, Mutua AutoGestione, piccole cooperative finanziarie per il no profit (le prime risalgono alla fine degli anni settanta). 70 Soprattutto sul modello della Grameen Bank di Muhammad Yunus, il famoso “banchiere dei poveri”. 71 Tutti i lavoratori con contratto diverso dal lavoro dipendente o autonomo ma con mansioni simili se non uguali: sono soprattutto collaboratori a progetto, i vecchi co.co.co. e gli interinali. 72 Il cosiddetto “welcome banking”. 73 I vari accordi detti “di Basilea” che hanno creato dal 1988 i criteri di riferimento per l’assunzione e la gestione del rischio bancario. 74 Tenendo anche positivamente e debitamente conto di tutto quello che viene donato tramite le Fondazioni bancarie e le Fondazioni di Comunità. 68 20 nostra disposizione servizi meno costosi. Dopo tutto questo, però, non ci potremo attendere dalle banche il necessario allargamento dei sistemi di pagamento o la diffusione di pratiche nuove che non siano direttamente in collegamento con il sistema del debito. In ogni caso, se il problema si riduce alla creazione di condizioni allargate di garanzia per il pagamento al fine di consentire la circolazione economica ed evitare la paralisi sociale, allora la soluzione sta sicuramente nel ritardare la consegna della cartamoneta, che è la vera risorsa scarsa nel giro monetario: in ultima analisi, questo è esattamente il comportamento delle banche e del sistema finanziario. Tale opzione non è consentita agli enti pubblici ed ai singoli cittadini a causa dell’impossibilità per questi soggetti di gestire direttamente la moneta senza incorrere nel debito. L’introduzione di una MC priva di carattere di debito e diversa dalla moneta bancaria, emessa da parte dello Stato o di un’amministrazione regionale e da questi garantita, circolante con modalità da studiare, non potrebbe essere allora una risposta adeguata? La MC, in questo caso, potrebbe ritardare a piacere il pagamento in cartamoneta o moneta scritturale, evitando l’ulteriore indebitamento e regolando efficacemente almeno una parte delle transazioni fra enti pubblici e aziende o cittadini. In questo modo, si ridurrebbe sensibilmente anche l’esposizione finanziaria di chi attende denaro dalle pubbliche amministrazioni ed è costretto all’indebitamento bancario. 21 Capitolo quarto La fine dell’era del lavoro? Il lavoro rappresenta ancora la principale via di accesso alla moneta: se possiamo disporne in quantità adeguata e modalità sufficientemente continuativa da regolare la nostra vita economica, è proprio grazie all’ottenimento di un reddito e alla sicurezza che esso ci può dare nel tempo. Il lavoro, elemento fondativo – praticamente e culturalmente – delle società contemporanee, è però argomento di dibattito e scontro politico-sociale da sempre e, ad oggi, sembra addirittura che esso stia radicalmente mutando con una velocità tale da non consentire aggiustamenti efficaci per evitare il carico di “sofferenza” sociale cui stiamo già assistendo. Ai fini di questo libro verde, è importante descrivere alcuni aspetti del quadro socio-economico attuale del mercato del lavoro con il solo obiettivo di fornire elementi di discussione e di comprensione delle possibili prospettive. E’ del 1995 il famoso saggio “La fine del lavoro”75 dell’americano Jeremy Rifkin in cui si prevedeva, sulla scorta di un’analisi storica e statistica condotta soprattutto sul mercato del lavoro americano degli anni settanta e ottanta, il globale e rapido ridimensionamento del concetto e del ruolo tradizionale del lavoro. Anche altri economisti, sociologi, antropologi, fra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, hanno illustrato lo stesso concetto da diversi punti di vista76. A giudicare da diversi indicatori socio-economici, si era arrivati alla precisa convinzione che a livello macroeconomico fosse in atto una sostanziale e drastica contrazione del mercato del lavoro nei paesi sviluppati, difficilmente governabile con gli strumenti socio-politici a disposizione dei sistemi di welfare. I paesi che ricoprivano un ruolo trainante nella produzione mondiale avrebbero avuto a che fare a breve, quindi, con una crisi del mercato del lavoro il cui principale effetto sarebbe stato l’aumento del tasso di disoccupazione ben oltre i livelli definiti “naturali”77. Le ragioni di tale fenomeno, addotte da più parti, possono essere così riassunte: le rivoluzioni tecnologiche succedutesi nel novecento, in maniera sempre più rapida e ravvicinata, nei diversi settori (agricoltura, industria, commercio e servizi in genere) si sono tradotte in una maggiore produzione con un sempre minore impiego di risorse umane; l’apertura dei mercati, unitamente alla definizione di rotte commerciali economicamente “comode” (per costi diretti e tariffe) e sicure (socialmente, 75 J. Rifkin, “La fine del lavoro, il declino della forza lavoro globale e l'avvento dell'era post-mercato”. U. Beck “La società del rischio, verso una seconda modernità” 1986 edizione originale, pubblicato in Italia nel 2000, più noto in letteratura con il titolo originale di “Risikogesellshaft”. 77 Concetto di “tasso naturale di disoccupazione” ovvero la forza lavoro non impiegabile a prescindere dall’applicazione delle politiche occupazionali note, Cfr P. Samuelson “Economia”. In Italia viene di solito stimato intorno all’8%. 76 22 politicamente, militarmente), ha permesso l’aumento esponenziale della velocità di circolazione delle merci: anche il mercato del lavoro si è conseguentemente allargato coinvolgendo lavoratori di paesi diversi e lontani e riducendo i costi di produzione di molte merci; Il meccanismo della contrattazione del lavoro agisce - e ha senso - su scala nazionale e non globale: il sistema produttivo ha semplicemente potuto scegliere fra lavoratori a costo superiore e più qualificati e lavoratori a costo inferiore e meno qualificati. La decisione collettivamente assunta dalle aziende, - diventata in tal modo dinamica tendenziale prima e fattore competitivo poi -, è stata quella di spostare la produzione più “semplice” ed esecutiva nei paesi con manodopera a minor costo, lasciando nei paesi di origine l’intelligenza strategico - funzionale più importante nelle mani dei lavoratori con maggiore capacità e più alto valore aggiunto78; L’eccessiva disponibilità di merci ha determinato una bolla economicospeculativa nel settore produttivo e dei servizi per cui si sono realizzate transazioni con volumi non sostenibili nel tempo e non così promettenti come si era ritenuto inizialmente79; La delocalizzazione produttiva e la crisi dei servizi hanno colpito direttamente i piccoli e medi imprenditori, che avevano investito attendendo ritorni nel medio – lungo periodo, e le famiglie il cui sostentamento economico era direttamente dipendente dal reddito da lavoro80; La conseguente crisi dei consumi ha spinto enormemente tutta la distribuzione definita “low cost” determinando una nuova generazione di prodotti e servizi in cui l’impatto lavorativo è minimo (bassissimo costo di produzione grazie all’elevata automazione, qualità accettabile ma appena sufficiente 81 , disponibilità universale)82; Il contenimento del costo del lavoro è diventato, culturalmente e praticamente83, un elemento non collegato alla generazione degli utili ma più propriamente alla capacità di un’azienda di rimanere stabilmente sul mercato: questo ha reso la pratica della cosiddetta “ristrutturazione aziendale” ovvero dei drastici tagli del personale, un atto routinario e non occasionalmente necessario. I limiti del presente libro verde non consentono una disamina ulteriore dell’interessante fenomeno che riguarda il rimodellamento del mondo del lavoro attualmente in corso e non riteniamo di facile ed immediata comprensione quella che 78 Il cosiddetto fenomeno della “delocalizzazione produttiva”. Si pensi alla “New Economy” nella definizione originaria di Kevin Kelly, autore del best –seller “New Rules for a New Economy” (1998) e alle aspettative generate e obiettivamente dimostratesi non realistiche all’inizio degli anni duemila. 80 La famosa “crisi del ceto medio”. 81 Si tratta di prodotti e servizi il cui scopo ultimo è l’accesso alla funzione del consumo, cioè al fatto di poter avere una determinata funzione di un oggetto, senza possederlo realmente oppure avendolo a disposizione per un certo tempo: scaduto questo, l’oggetto smette di funzionare o di essere utile al consumo. 82 M. Gaggi, E. Narduzzi “ La fine del ceto medio e la nascita della società low cost”, (2006) 83 Il contenimento dei costi direttamente imputabili al lavoro viene spesso citato dalla grandi aziende come asse strategico di sviluppo e la ristrutturazione aziendale consiste usualmente e soprattutto nel ridurre al minimo le risorse umane per consentire la produzione realmente vendibile con una prospettiva di sviluppo plausibile. 79 23 appare come una rivoluzione epocale: soltanto valutazioni ex post permetteranno di cogliere sufficientemente bene il quadro degli avvenimenti. A sostegno della discussione, dobbiamo dire inoltre che non è facile possedere una dimensione quantitativa del fenomeno in corso perché, se ci riferiamo ai dati Istat sull’occupazione nel nostro Paese84, osserviamo quanto segue: Occupati (milioni per settore) Agricoltura dipendenti Agricoltura indipendenti Industria dipendenti Industria indipendenti Industria costruzioni dipendenti Industria costruzioni indipendenti Servizi dipendenti Servizi indipendenti totale 1977 1,19 1,96 6,60 1,07 1,61 0,37 6,57 2,67 22,04 2011 0,41 0,44 5,23 1,31 1,14 0,71 11,60 3,99 24,83 -66% -78% -21% +22% -29% +92% +77% +49% +13% Al netto di qualche correttivo 85 , scorrendo questo dati e quelli relativi al tasso di occupazione, sembrerebbe addirittura che questo sia aumentato. Infatti, nonostante le significative espulsioni dal settore agricolo (addirittura dai due terzi ai tre quarti dei lavoratori) e da quello industriale (un quinto in meno, con un comparto costruzioni decresciuto di circa un terzo), si potrebbe anche dedurre, sempre sulla base dei numeri, che il terziario (il settore dei servizi) sia riuscito ad assorbire efficacemente la forza lavoro crescendo in maniera decisa. Come del resto appare evidente alla prova dei fatti, sarebbe successo soltanto che in 35 anni gli italiani, per la maggior parte residenti ormai in città medio-grandi, hanno trovato lavoro soprattutto presso le attività commerciali e affini86. Il problema della disoccupazione, quindi, non sarebbe nemmeno numericamente apprezzabile. Anche se è vero che la base di dati offerta dal nostro Istituto Nazionale di Statistica risulta ampia per il mercato del lavoro, è doveroso dire - assumendosi volentieri qualche responsabilità - che le descrizioni basate sui dati, la loro interpretazione o la misurazione degli impatti effettuata soltanto sulla scorta dei numeri, “oggettifica” i fenomeni sociali e tende ad appiattirli, rendendoli apprezzabili per un verso ma incomprensibili per tanti altri. Ciò rende la percezione stessa dei fenomeni osservati così varia e “strana” da innescare quelle discussioni interminabili proprie dell’agone politico, in cui non solo non si è d’accordo sulle politiche da adottare ma anche sull’entità o addirittura sull’esistenza stessa di un determinato problema. 84 Estratto da Serie storiche Istat “Occupati per settore di attività economica, etc” anni 1977-2011, tabella 10.9.2 Si tenga presente che la forza lavoro nel ’77 contemplava anche i quattordicenni, mentre dal ’92 in poi sono occupabili solo i cittadini dai 15 anni in su, e che la popolazione italiana è cresciuta di circa 5 milioni di abitanti residenti nel periodo considerato. 86 Come il cosiddetto terzo settore o no profit 85 24 Si osservi in particolar modo che per le statistiche87 - nei due censimenti del 2001 e del 2011 - vale il cosiddetto “one hour criterion” in base al quale, citando direttamente la pubblicazione ISTAT88, gli occupati sono stati definiti come coloro i quali, nella settimana precedente la data di riferimento del censimento, avevano effettuato almeno un’ora di lavoro retribuito o avevano lavorato in qualità di coadiuvante familiare; sono stati, invece, definiti alla ricerca di un’occupazione coloro che, nelle quattro settimane precedenti l’intervista, avevano effettuato una ricerca attiva di lavoro ed erano disponibili a iniziare un’attività lavorativa nelle due settimane successive alla data della rilevazione Tale criterio, impiegato internazionalmente e sicuramente studiato per armonizzare e confrontare meglio i dati fra diverse società ed economie, pur precisato per mezzo di ulteriori corollari, un lavoratore “da almeno un’ora” in un occupato, laddove sarebbe invece rilevante capire – soprattutto per la realtà del nostro Paese - in base a quale tipo di contratto avvenga la prestazione d’opera. Il problema della contrattualizzazione, poi, scompare statisticamente se lo trattiamo con la formula “dipendente/indipendente” perché, riportando la definizione 89 fornita dall’Istituto di Statistica, abbiamo: (…) Sono lavoratori dipendenti tutte le persone iscritte nei libri paga (…) delle imprese localizzate nel territorio nazionale (…) Gli indipendenti sono tutti gli altri, quelli non riportati nei libri paga e non remunerati con fattura: con questa definizione gli atipici, i lavoratori autonomi con partita iva, gli interinali, diventano, di fatto, “dipendenti” che saranno trattati poi diversamente sotto il profilo della quantità di lavoro prestato90 . Il problema del lavoro è rilevante anche se non “rileva statisticamente”: riteniamo che esso venga sottodimensionato dal mondo della politica che lo coglie parzialmente o enfaticamente, per certi aspetti, anche a causa degli strumenti di percezione allargata che sono particolarmente poveri in questo ambito. Se da un lato non pare questo il luogo per la narrazione della storia del mercato del lavoro negli ultimi trent’anni, dall’altro, l’unico profilo in grado di consentire obiettività e chiarezza ai fini della discussione sembra essere – a nostro pur sindacabile giudizio – quello di una lettura del percorso delle idee e della cultura. Diviene così possibile notare che, a partire dalla seconda metà degli anni ’80, si è verificato un progressivo rimodellamento del ruolo del lavoro: da garante di tutte le sicurezze sociali (mantenimento del tenore di vita per sé e la propria famiglia nel tempo con prospettiva di crescita ulteriore) esso è gradualmente approdato ad essere, attualmente, mero conferitore di reddito puntuale e solo per il tempo previsto dal contratto. Il tempo, - in ultima analisi, il supremo fattore economico – è il dato più rilevante dei contratti contemporanei, e di fatto il lavoratore, nella maggioranza dei casi, è “agganciato” alla prospettiva di sviluppo e crescita dell’azienda o del 87 Si tengano presenti anche le raccomandazioni dell’United Nations Economics Commission for Europe (Unece, organo ONU) e della Commissione Europea. 88 http://www3.istat.it/dati/catalogo/20120118_00/cap_10.pdf, il mercato del lavoro 89 “Struttura e dimensione delle imprese – nota metodologica”, ISTAT, 5 giugno 2012 90 Concetto di “unità lavorativa standard” 25 committente: questa prospettiva è espressa in obiettivi e azioni che raramente superano i 5 anni. L’orizzonte temporale, vista l’estrema fluttuazione dei mercati, quindi, si è ridotto in modo così significativo che il datore di lavoro – sia pubblico che privato - decide di impegnare le proprie risorse solo per la quantità di tempo che ritiene più idonea alle proprie possibilità, giudicate in un dato momento. Si può affermare che il lavoratore contemporaneo partecipa, in modo particolare, al rischio d’impresa mentre nei decenni precedenti era investito del solo compito dato dalle proprie mansioni. Allora, il rapporto di lavoro – al di là delle patologie lavorative – si risolveva solo in caso di chiusura dell’azienda o di grave crisi di un suo ramo e, in quest’ultimo caso, solo se non era possibile il riposizionamento interno. Oggi lavorare, pertanto, non significa solo prestare opera fisico-intellettuale, ma anche fornirla con un’intensità quali - quantitativa misurata sulla base del raggiungimento di obiettivi: da questo fattore dipendono molte cose, dall’ottenimento di maggiore reddito fino alla risoluzione del rapporto lavorativo. Per maggior chiarezza, è corretto dire che oggi non si licenzia, semplicemente non si assume stabilmente e, in caso di problemi, non si rinnova il contratto. Le principale tappe di questo percorso culturale si possono così riassumere: 1) Sganciamento del reddito da lavoro dagli effetti dell’inflazione, ritenuto il problema più rilevante tra gli anni settanta e ottanta, consumatosi (1992) con l’abbandono del sistema di garanzia del reddito che prevedeva il suo aumento in stretta relazione con il tasso inflattivo; 2) Fine del sistema pensionistico retributivo ed introduzione del sistema contributivo (1996) per il quale il pensionato arriva a percepire un somma calcolata solo sulla base di quanto ha effettivamente versato e di non quanto percepito nell’ultimo anno di lavoro; 3) Introduzione della “flessibilità lavorativa sostenibile”91, già vigente in tanti stati europei, con il definitivo riconoscimento dei contratti atipici e interinali introdotta nella riforma del lavoro del 2001: da allora è stato possibile assumere lavoratori a tempo e per alcune specifiche mansioni, cioè a progetto, garantendo loro i diritti tipici del lavoro solo per il periodo esatto di riferimento ed esclusivamente in cambio dell’ultimazione e del raggiungimento degli obiettivi del progetto; La recente riforma del lavoro (2012) ha riconfermato i principi della flessibilità lavorativa, cercando di garantire meglio i lavoratori con tutele assicurative soprattutto in caso di disoccupazione, evento ormai non più occasionale ma decisamente frequente. La difficoltà nel raggiungere il reddito necessario incontra poi, come ulteriore complessità, un aggravio fiscale 92 e una progressività pensionistica che, pur non 91 Cfr “Il Libro Bianco del Mercato del Lavoro” ottobre 2001 del professor Marco Biagi ritenuto il documento ispiratore della Riforma Maroni dello stesso anno tramite la cosiddetta “Legge Biagi” 92 Si pensi all’aumento delle imposte indirette a sostegno soprattutto delle amministrazioni locali, che sono quelle che garantiscono soprattutto i servizi alla persona 26 garantendo un reddito futuro, costa ai lavoratori un maggior impatto sul reddito presente. Se a questo aggiungiamo anche il “reset monetario” avvenuto con l’avvento dell’euro e l’aumento generalizzato dei prezzi degli ultimi dieci anni93 a fronte di salari che, se non scomparsi del tutto, non sono comunque cresciuti, arriviamo facilmente a comprendere perché stiamo vivendo in un’epoca che probabilmente verrà chiamata “la grande depressione di inizio secolo”. Se dunque il lavoro non fornisce più il reddito necessario, su un piano culturale culturale si osserva che coloro che si trovano al di fuori del sistema lavorativo perché disoccupati o in cerca occupazione - hanno diritto comunque ad un reddito: si stanno cioè gettando le basi culturali e sociali affinchè si affermi quanto è definito anche “reddito minimo garantito” ovvero una quantità di moneta che viene assegnata agli individui al fine di consentire loro la sopravvivenza e l’espressione dei diritti di cittadinanza, senza obbligo di prestazione lavorativa. Tale reddito può essere definito come reddito di cittadinanza. Esso non è assimilabile ad un sussidio in quanto è sganciato dal concetto di bisogno. In Italia94 non esistono ancora leggi in questo senso perché il principale problema95 giudicato difficilmente superabile – consiste nel pagamento di questo reddito per mezzo della già contratta e ridotta spesa pubblica. Senza affrontare in questa sede il dibattito sulla scelta tra sussidi e reddito di cittadinanza, ed in considerazione del connotato di urgenza che rivestono queste decisioni, sembra di capitale importanza annotare qui che il fenomeno descritto è ancora una volta correlato alla scarsità del mezzo di pagamento. Non potrebbe dunque essere utile una MC costruita con lo scopo preciso di finanziare tutte le misure studiate e messe a punto attualmente? Con questa moneta, coperta dai fondi già stanziati, si potrebbero, ad esempio: aumentare gli ammortizzatori sociali previsti dalle riforme in materia di garanzia della flessibilità lavorativa; erogare sussidi più ampi e attenti ai consumi; provvedere al pagamento del reddito minimo garantito; sostenere i servizi socialmente utili; provvedere al pagamento delle prestazioni sanitarie, anziché renderle del tutto gratuite per alcune categorie di soggetti, aumentando così la sostenibilità del sistema sanitario. 93 Argomento innegabile ma oggetto di complesse discussioni soprattutto in merito alla percezione individuale e collettiva cfr op cit in nota 40 94 Il reddito minimo garantito (o di cittadinanza, o universale) è presente nella legislazione di diversi paesi europei (Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Germania, Francia, Gran Bretagna, Norvegia, Austria). 95 Altri argomenti sono costituiti dai dubbi sugli impatti sociali di una misura ritenuta troppo generosa e foriera di “generale lassismo” nel nostro Paese. 27 Capitolo quinto Prospettive macroeconomiche e riflessi sulle economie regionali Se si intende progettare e varare una misura economica capace di impatto ragionevole ed efficace, non si può prescindere dalle condizioni socio – culturali presenti ed operanti in termini di immaginario collettivo, aspettative razionali e prospettive più o meno prossime. In linea con l’argomento trattato, è doveroso rilevare che una MC pubblica emessa nel breve termine avrebbe un impatto considerevole ed immediato su milioni di cittadini: la progettazione di questa MC deve pertanto contemplare necessariamente le linee di sviluppo che la cultura politicoeconomica ha generato nei cittadini stessi. Infatti, qualunque progetto socioeconomico ha ormai bisogno di un percorso di condivisione pubblica ed è proprio questo, oggi, il maggior fattore di demarcazione fra la vecchia democrazia e la nuova96. Si devono, quindi, opportunamente valutare gli spazi di “manovra” e di inserimento di questa proposta all’interno di quell’agenda mentale che i decisori pubblici ed economici possiedono già: in merito, possiamo osservare anzi che, se da un lato, le idee e i piani di sviluppo si desumono abbastanza chiaramente dai mezzi di informazione, dall’altro troviamo queste stesse idee espresse in maniera sistematica e precisa nei documenti ufficiali prodotti in quantità dagli istituti di riferimento per le strategie economiche. Tali documenti vengono spesso presentati in maniera – è il caso di dirlo – marginale dai media sia perché “non fanno notizia” di per sé, sia, forse, perché richiedono una cultura in materia non comune per poter essere apprezzati pienamente: del resto, si tratta di dossier tecnico - scientifici che non possono usare un linguaggio troppo semplificato essendo di fatto rivolti ai tecnici della pubblica amministrazione o degli enti ad essa collegati che poi tradurranno le informazioni in tutto ciò che serve allo Stato. Questo flusso di informazioni, davvero imponente e che fa onore alla pubblica amministrazione, contiene dati molto rilevanti sulle aspettative di sviluppo e di crescita del Paese ed è in grado di fornire il quadro nel cui ambito le decisioni politiche, - anche quelle meno popolari -, vengono assunte. Sempre nei limiti di spazio e di senso del presente Libro Verde, riteniamo che sia necessario presentare brevemente quali sono gli scenari socio-economici riportati nella generalità di questi documenti: infatti, saranno proprio tali scenari a generare le prospettive socioeconomiche che produrranno i termini di riferimento culturale e di discussione per le economie regionali (macroaree e regioni vere e proprie). 96 Cfr L.K. Grossman “La repubblica elettronica”, ed riuniti 1997 28 “Essere in Europa” – per usare un’espressione tipica del gergo giornalistico contemporaneo - oggi non significa solo dover sottostare agli obblighi imposti dal suo sistema finanziario - ovvero dalla Banca Centrale Europea - e sottoscrivere patti di stabilità monetaria e fiscale: se si può dire che la questione del cosiddetto “fondo salva stati” e delle dinamiche del debito di alcuni Paesi Membri abbia occupato l’attenzione collettiva e mediatica degli ultimi tempi, è significativo affermare che questo si è verificato in conseguenza dell’adozione del piano strategico denominato “Europa 2020”97. “Europa 2020” è sostanzialmente – per citarne le parole esatte - la “nuova strategia per l'occupazione e una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva” pensata e sottoscritta dai Paesi Membri dell’Unione Europea e si articola in questi 5 punti fondamentali: Occupazione: portare al 75% il tasso di occupazione delle donne e degli uomini di età compresa tra 20 e 64 anni. Ricerca e sviluppo: migliorare le condizioni per la ricerca e lo sviluppo, in particolare allo scopo di portare al 3% del PIL i livelli d'investimento pubblico e privato combinati in tale settore. Gas a effetto serra: ridurre le emissioni del 20% rispetto ai livelli del 1990; portare al 20% la quota delle fonti di energia rinnovabili nel consumo finale di energia e puntare a un miglioramento del 20% dell'efficienza energetica; Istruzione: migliorare i livelli d'istruzione, in particolare mirando a ridurre i tassi di dispersione scolastica al di sotto del 10% e aumentando almeno al 40% la percentuale delle persone tra i 30 e i 34 anni che hanno completato l'istruzione terziaria o equivalente Inclusione sociale: in particolare attraverso la riduzione della povertà, mirando a liberare almeno 20 milioni di persone dal rischio di povertà e di esclusione. Il documento stabilisce per il primo punto che la priorità è la sostenibilità dei conti pubblici dei Paesi Membri unitamente alla stabilità finanziaria dell’area Euro al fine di consentire un “mercato unico” il cui corretto funzionamento dovrebbe aprire alle possibilità di sviluppo economico e di ripresa dalla crisi finanziaria. Il mercato unico europeo è il vero obiettivo strategico in agenda perché si ritiene che esso possa rinforzare soprattutto l’export e la domanda interna dell’eurozona, come più volte ribadito da BCE e da diversi capi di governo di orientamento europeista98: questo dovrebbe consentire una crescita moderata entro il 2014 (in termini di PIL) e rimediare almeno a quella parte di crisi dei consumi dovuta al calo di domanda dei singoli paesi e ai necessari tagli della spesa pubblica. Dopo il 2014, messe a punto le riforme strutturali sulla spesa pubblica degli stati, ridotti i deficit, stabilizzato l’euro anche sui mercati internazionali sempre mantenendo sotto controllo l’inflazione, si dovrebbe tornare ai livelli definiti di pre-crisi (del 2007) soprattutto con la prospettiva 97 cfr il testo ufficiale di adozione EUCO 13/10 del 17 giugno 2010. Si pensi alle innumerevoli dichiarazioni del Governatore della BCE, Mario Draghi, e dei membri del nostro ultimo governo tecnico, cfr “Italia 2020: rigore, crescita ed equità”, prefazione al DEF, Documento di Economia e Finanze, 5 giugno 2012. 98 29 di una crescita duratura su scala globale. Quindi, tutti gli stati nazionali dovrebbero registrare il ritorno al tasso naturale di disoccupazione, una certa ripresa dei consumi e della produzione interna, senza più incorrere in indebitamenti o misure di austerità o ricorrendo agli aiuti del Meccanismo Europeo di Stabilità. Questo quadro è pienamente ripreso e confermato dal DEF, Documento di Economia e Finanze, pubblicato nel 2012 dal Ministero dell’Economia99: in esso si producono due scenari (in atto e a “politiche invariate”), ma, in base alle manovre attuate, si deduce una crescita stabile nel 2015100 soprattutto in forza del contenimento del deficit e della spesa pubblica. Anche le prospettive macroeconomiche presentate dalla Banca d’Italia101 e dal Centro Ricerche di Confindustria102 mostrano un senso di positiva attesa rispetto alle politiche in atto: pur mantenendo una prudente impostazione dei ragionamenti per via delle variabili diverse (esogene) che non dipendono dalle decisioni prese nell’area euro103, si prevede una cauta e lenta crescita delle macroaree (regioni e aggregati) nel complesso dei dati statistico-economici di chiara crisi/recessione. Il quadro decisionale alla base delle politiche macroeconomiche attuali, quindi, contempla la possibilità della crescita mediante azioni su misure di: rigido controllo della moneta circolante al fine di evitare la deriva inflazionistica e il crollo del potere d’acquisto, provvedendo nel contempo al continuo miglioramento dell’accesso al credito; contenimento della spesa pubblica tramite il taglio di tutte le voci che non producono ritorni indiretti sul medio-lungo periodo per arrivare finalmente all’agognato obiettivo della riduzione delle tasse; ampliamento dello spazio di mercato, al fine di rendere più forti le posizioni economiche dei competitor/player interni senza ricorrere al mantenimento diretto delle aziende da parte dello stato; investimenti pubblici in infrastrutture (fisiche e immateriali) per migliorare le possibilità di scambio e indurre con la spesa pubblica un effetto moltiplicatore in grado di sostenere le imprese interne; controllo dei cambi monetari al fine di non subire le turbative indotte dall’apprezzamento/deprezzamento dell’euro, che rimane così sostanzialmente stabile e al di fuori delle speculazioni monetarie; progettazione e gestione di politiche regionali miranti a favorire le imprese, soprattutto piccole e medie, stimolando il sistema produttivo locale a ricercare nuovi mercati o diversi assetti strategici. In altre parole, la ricetta applicata prevede che i problemi della disoccupazione, dell’esclusione sociale, della povertà, dell’incapacità produttiva - etc. possano essere 99 Op cit. nota precedente. Cfr nel documento citato la sezione II.2 previsioni tendenziali periodo 2012-2015 101 Banca d’Italia, Economia delle Regioni d’Italia, dicembre 2012 102 Centro Studi di Confidustria, Le sfide della politica economica, settembre 2012 103 Ad esempio, la contrazione del commercio internazionale, il calo della produzione delle economie trainanti (Usa, Cina, India, Giappone), l’aumento dei costi del mercato dell’energia, etc. 100 30 superati stimolando indirettamente il “corpo economico” e lasciando che sia esso stesso a trovare il modo di uscire direttamente dalla crisi: si provvede, quindi, a generare le condizioni macroeconomiche più adeguate (moneta stabile, accesso al mercato, fruizione non onerosa delle infrastrutture, utilizzo vantaggioso del denaro bancario, contenimento delle tasse almeno in prospettiva, etc) ma si lascia al “paziente” ovvero ai cittadini, alle imprese e ai governi locali il “percorso di autoguarigione” che contempla questi elementi ormai “ambientali” o di sistema: la scarsità monetaria e il dover prendere decisioni senza possibilità di spesa; l’adeguamento alla flessibilità lavorativa in termini di formazione/abilitazione continua a diverse attività e forme di lavoro; la continua ricerca di nuove possibilità di mercato; il rimodellamento rapido delle attività economiche e la capacità di resistenza in condizione di crisi; la capacità di collocarsi adeguatamente nel mercato e nel sistema finanziario; la costruzione autonoma della sicurezza sociale in termini di reddito futuro e di eventi difficilmente programmabili o prevedibili. Questo quadro culturale, affiancato alle attuali condizioni di estrema concorrenza globale (mai come di questi tempi), permette di capire le conseguenze di alcune decisioni collettive forse inconsapevoli per i più ma determinanti per la convivenza sociale contemporanea. A) La fine dello Stato assistenziale104 ha portato inizialmente ad un sistema misto, in parte sostenuto dal sistema pubblico e in parte dal cittadino, ed ora ad una società in cui si assicura il welfare in termini di standard di prestazione ma il rischio viene frazionato e distinto fra più attori: lo Stato è uno di questi ma non è necessariamente il principale. B) L’abbandono dell’idea dello Stato “imprenditore” 105 ha comportato un ruolo “nuovo” per la macchina statale: essa non produce direttamente, bensì mette nelle condizioni di far produrre il sistema economico, liberando la libera iniziativa individuale e d’impresa, secondo l’idea della cosiddetta “economia sociale di mercato”. Conseguentemente, lo Stato si è caricato della necessaria costruzione di nuove infrastrutture (mobilità, telecomunicazioni, sanità, istruzione, pensioni) e del mantenimento materiale e organizzativo delle vecchie già esistenti (patrimonio immobiliare e demaniale): senza entrate da redditi diretti è stato costretto ad indebitarsi prima, a dismettere poi (abbandonando anche i progetti sul nascere 106 ) e, soprattutto, ad aumentare le tasse per la propria sopravvivenza. Non solo: lo Stato ha delegato alcune sue funzioni alle Regioni ed agli enti locali per questioni di mutate condizioni politico-culturali e di opportunità e vicinanza rispetto ai cittadini107, restringendo poi i trasferimenti 104 Si pensi al dibattito sull’assistenzialismo degli anni ottanta. L’idea delle imprese puramente statali è stata abbandonata quando si è ritenuto che queste non fossero realmente efficienti nel fornire servizi a costi e prezzi ragionevoli senza deprimere anche l’iniziativa privata, giudicata invece più capace nel costruire attività e generare occupazione. 106 Si pensi a tutte le infrastrutture ed agli immobili abbandonati a sé stessi, ultimati, o interrotti per mancanza di fondi o per la sopravvenuta impossibilità del mantenimento futuro. 107 Si pensi al dibattito ancora in auge sul federalismo nei suoi molteplici aspetti. 105 31 delle risorse necessarie. Ciò ha prodotto il trasferimento del debito anche agli enti periferici i quali possiedono entrate ancor meno capaci di quelle dello Stato e non sono in grado di poter far fronte alle spese correnti senza incorrere in un debito crescente a ritmo sostenuto108, trovandosi, poi, nella situazione di non poter negare i servizi essenziali ai cittadini. C) ll sistema di sicurezza sociale pensato dal secondo dopoguerra in poi poggiava sul possesso di un lavoro stabile e sulla capacità di reddito: la crisi del posto fisso, per quanto si è detto precedentemente, non ha comportato un adeguamento graduale e sistematico della società alla nuova dimensione lavorativa, che è invece stata ripensata e progettata con grande ritardo e resistenza sociale. Gli strumenti tradizionali di accesso al mercato del lavoro (corsi di studi, titoli professionali, esperienza riconosciuta, praticantato) hanno smesso di funzionare in tutto o in parte109 mentre i nuovi (contratti a progetto, nuovo praticantato, lavoro a chiamata) non sono in grado di fornire né la stabilità né la capacità reddituale necessarie per ricondurre il cittadino al concetto di lavoratore stabile. La precarizzazione nel lavoro e l’impossibilità di ottenere garanzie ragionevoli per il futuro dovuta alla crisi del welfare che non riesce ad offrire servizi a basso costo e alle condizioni di mercato, si traducono in un’unica via possibile: si paga per tutto e, dove ciò non è possibile, si deve essere disposti a rischiare individualmente e socialmente110. D) L’adesione ad un progetto monetario forte come l’euro ha reso il mezzo di pagamento nazionale sicuro rispetto alle speculazioni, unico per tutti, e forse più capace di essere riserva di valore sul lungo periodo. In compenso, si è persa la capacità di svalutare al bisogno, aggiustando e regolando il valore della moneta alle necessità della bilancia commerciale e delle fasi economiche: proprio la svalutazione equivaleva ad un sistema generalizzato di riduzione del reddito complessivo prodotto nazionalmente senza il ricorso a correttivi impopolari 111 , e, in condizioni di controllo e di moderazione, il sistema silenziosamente erodeva valore alla moneta riconducendola ad una dimensione più gestibile per gli scambi che aumentavano con un effetto moltiplicatore. Si è notato nel tempo che la svalutazione non è un modo corretto di gestire lo strumento monetario poiché essa non è realmente arrestabile e rappresenta anzi un meccanismo generativo di inflazione (anche se attesa112): decrescendo continuamente di valore, la moneta giunge soprattutto al cruciale momento della ristrutturazione radicale che apre ad una complessa fase di transizione sociale dalla vecchia alla nuova moneta 113 in cui diventa difficile cogliere il 108 Al di là dei casi di cronaca di corruzione e di mala gestione, si pensi anche alla difficile situazione economica degli ultimi mesi del 2012 di alcune grandi regioni italiane (Piemonte, Lombardia, Lazio, Veneto, Sicilia). 109 Attualmente e, salvo rare eccezioni, una laurea e un diploma non aprono direttamente al possesso di un lavoro. 110 Si pensi anche all’attuale fenomeno delle pensioni dei genitori che vengono investite in attività commerciali per i figli in età da lavoro, magari laureati ma senza reale accesso al lavoro per cui si erano formati. 111 C’è inoltre tutto il dibattito sull’effetto perequativo o sperequativo dell’inflazione cfr “inflazione e classi sociali” 112 L’attendibilità di un aumento di prezzo non genera turbative nel sistema che è preparato ad accogliere la differenza potendo attuare degli aggiustamenti 113 E’ quanto abbiamo visto con l’euro ma non sono mancati precedenti illustri, si pensi alla riforma monetaria del franco francese del 1960 e al concetto di nuovo e vecchio franco proprio di quegli anni cfr C. Picozza “La moneta: dal baratto alle banche. Leggi e speculazioni. La Nuova Lira” editori riuniti, 1981 32 valore dell’unità di conto alla base delle transazioni, con tutti i problemi derivanti114. In sintesi, senza la pretesa di fornire una spiegazione esauriente ad un fenomeno globale vasto come l’attuale recessione, possiamo dire che le condizioni socioculturali, mutate radicalmente nel corso degli ultimi venti anni, richiedono un adeguamento direttamente al cittadino il quale deve: trovare un lavoro e rendere la propria posizione lavorativa il più stabile possibile, fornirsi di adeguate coperture finanziarie per l’aumento della pressione fiscale e dei prezzi al consumo dei servizi essenziali, impratichirsi con le regole del sistema finanziario al fine di mantenere il più possibile lo status di bancabilità (indebitandosi il giusto), preoccuparsi del futuro per conservare nel tempo una capacità reddituale crescente per sé e per i propri figli. Si capisce perché fare tutto questo, in un momento di grave incertezza come l’attuale, dove niente è garantito, si trasforma in paralisi sociale e incapacità anche laddove si potrebbero mettere in atto sistemi di contenimento interessanti. Ma si noti anche che la generazione precedente - quella del padre di questo cittadino - è riuscita a fare tutto il necessario semplicemente conservando il proprio posto di lavoro, con minor fatica e minori competenze, in un’epoca di espansione in cui il principale problema economico era l’inflazione. Tutto però si traduce, ancora una volta, nell’impossibilità di pagare e non nell’incapacità produttiva: ovvero, ci sono ancora gli impianti, le strutture patrimoniali produttive e le capacità, ma manca il mezzo di pagamento distribuito adeguatamente fra gli operatori. Cosa succederebbe allora se si mettesse in circolazione un mezzo di pagamento garantito, dotato della capacità di essere regolato in quantità tali da seguire gli scambi senza possibilità di accumulo ed in grado, ad esempio, di ridurre i prezzi al consumo, conservare la possibilità di accesso ai servizi essenziali senza indurre turbative nel mercato di riferimento, consentendo magari anche il pagamento di attività che al momento non sono riconoscibili economicamente? Non potrebbe essere questa una misura da studiare nell’ambito della ricerca degli strumenti necessari per attuare gli obiettivi di “Europa 2020”, soprattutto quando le misure ordinarie promettono troppo poco per il cambiamento delle condizioni attuali? 114 In condizioni di insicurezza dell’unità di conto, gli operatori economici cercano di conservare valore per cui rallentano la circolazione monetaria, cercando di non spendere moneta o di convertirla in qualcosa che conservi valore nel tempo e quindi si registrano: aumento -vero o percepito- generalizzato dei prezzi, turbativa di alcuni prezzi in particolare (tipicamente immobili), sfiducia nel mezzo di pagamento con fuga di capitali, investimenti patrimoniali indebiti (soprattutto beni rifugio), rinforzo delle bolle speculative – non più chiaramente riconoscibili -, abbattimento del valore dei salari che non possono essere ricontrattati facilmente, etc. 33 Capitolo sesto Si può costruire ed emettere una moneta pubblica per ripagare i debiti e sostenere i redditi? Finora si è parlato di tutto ciò che costituisce l’ambiente “naturale” di affermazione e di sviluppo della moneta complementare: si sono, poi, definiti i contorni culturali attuali e prossimi – del progetto della moneta complementare pubblica per dare idea, sempre ai fini della discussione, degli ambiti di competenza socio-economica nei quali tale moneta complementare potrebbe avere peso. Adesso si tratta di rispondere alla domanda se davvero sia possibile per il nostro Paese la costruzione e l’emissione di una moneta complementare pubblica: in altre parole, prima di arrivare al “come si potrebbe fare” questa moneta, dobbiamo dire se è praticabile almeno in linea teorica, definendo, in prima battuta, i termini di fattibilità. Le due funzioni immaginabili per la moneta complementare pubblica (da ora MCP), sono sicuramente: a) il regolamento delle posizioni debitorie dello Stato e degli Enti Locali; b) il sostegno dei redditi dei cittadini e/o di alcune attività sociali. La Pubblica Amministrazione, a livello nazionale e locale (Regioni, Province, Comuni e altri enti collegati), riveste ormai il ruolo di debitore “particolare”. Accanto ai debiti con il sistema bancario (anticipazioni e collocamento di titoli di debito sul mercato finanziario), è necessario considerare il denaro non ancora speso ma dovuto a chi ha prestato servizi in nome e per conto degli enti pubblici 115 : questo non origina necessariamente un ricorso al denaro bancario ma assume il connotato di pagamento ritardato. E’ ormai diffusa la prassi in base alla quale ai tempi previsti contrattualmente per l’erogazione dei compensi verso i privati (soprattutto imprese, ma anche cittadini) si aggiungono i ritardi dovuti alla mancanza di disponibilità di cassa. Non essendoci liquidità, gli enti della Pubblica Amministrazione non procedono al pagamento e non riconoscono importi fino all’effettiva disponibilità delle somme: lo Stato diventa insomma un “cattivo” pagatore. Al di là delle ragioni del ritardo116 e non considerando i casi in cui i tempi di attesa per l’avviamento dei contratti diventano un evidente sistema di risparmio sulla spesa pubblica 117 , il rapporto contrattuale con l’ente pubblico è comunque da sempre ricercato per due ragioni: garanzia del pagamento seppur ritardato e continuità del rapporto di lavoro nel tempo. Queste 115 Si pensi anche al meccanismo di “certificazione dei crediti” introdotto nel 2012 anche con l’obiettivo di tutelare il creditore di un ente pubblico. 116 Gli spostamenti del denaro nella Pubblica Amministrazione non sono semplici ma prevedono protocolli e procedure burocratiche particolari. 117 Soprattutto quando l’ente appaltatore o chi fornisce servizi inderogabili non è nella condizione di sospendere le proprie attività essendo investito della responsabilità del mancato servizio. 34 condizioni fondamentali hanno permesso agli imprenditori di poter accedere al prestito bancario semplicemente esibendo il contratto con il pubblico. La dilatazione dei tempi di pagamento tuttavia è cresciuta in modo tale da configurarsi non più come un semplice ritardo ma più propriamente come una mancata corresponsione di somme: infatti, con il diminuire della capacità di spesa si è arrivati a negoziare la continuità del rapporto lavorativo con periodi di sospensione e di attesa molto lunghi e su basi sempre più ristrette e meno favorevoli per l’impresa prestatrice di servizi. Ciò ha avuto la conseguenza di rendere meno scorrevoli i rapporti fra il mondo delle imprese e il sistema bancario in termini di anticipazione di denaro e, soprattutto, ha posto le aziende in contrasto con il fisco. Da una parte lo Stato è debitore ma, dall’altra, per via della tassazione, è creditore e, non essendoci passaggio di informazioni fra i due livelli, lo Stato esattore agisce prima, con il risultato incredibile che l’imprenditore deve pagare tasse per somme che non ha incassato. Alcune recenti sentenze dei tribunali di Milano e di Padova118 hanno stabilito che nei casi di pagamento ritardato da parte della Pubblica Amministrazione è lecito parimenti ritardare i conferimenti al fisco “per causa di forza maggiore”, cioè nel caso in cui l’imprenditore non abbia altra via di uscita. Queste decisioni, che aprono a tanti altri immaginabili e inevitabili ragionamenti, derivano proprio dalle condizioni debitorie attuali degli enti pubblici che non sono più in grado di far fronte alle spese correnti inderogabili. Al netto dei tagli alle uscite e delle misure di “dimagrimento” delle spese di mantenimento e gestione dell’ente pubblico in genere, rimane il grande problema del dover garantire servizi ai cittadini119 senza essere nella disponibilità delle somme necessarie. In questo caso, l’emissione di una MCP dotata delle garanzie proprie dei pagamenti da parte dell’ente pubblico potrebbe configurarsi come la creazione di una cambiale infruttifera con funzione di pagamento e circolante fino alla sopravvenienza dei fondi necessari. L’imprenditore pagato con la MCP potrebbe utilizzare direttamente questa moneta per procedere con i propri pagamenti, cercando di trattenere l’euro per gli scambi con l’estero o come riserva di valore. Si tratterebbe di studiare tutte le misure di mediazione - e di buon senso - fra la condizione attuale e quella futura, in cui si potrebbe assistere alla circolazione di questa “nuova” moneta a tempo che in realtà uscirebbe di scena con il riacquisto da parte dello Stato. Infatti, la Pubblica Amministrazione riacquisirebbe le “cambiali” semplicemente pagandole con gli euro di cui nel frattempo avrebbe fatto provvista. Non si tratterebbe di emissione di moneta bensì di creazione di un titolo di debito circolante con vincolo di tempo e dotato della funzione di pagamento. Nei capitoli seguenti verranno esplicitati nel dettaglio i vantaggi e le conseguenze di questa scelta. Per rispondere alla domanda iniziale sulla possibilità o meno di creare una moneta complementare pubblica, si ricordi che il sistema qui descritto non differirebbe molto da quanto avvenne con i famosi “miniassegni” 120 degli anni ’70; sulla base di questa esperienza è quindi possibile 118 Tribunale di Milano, caso Sintea Plustek e Tribunale di Padova, caso Cosma, tutti e due del 2013 in riferimento a fatti avvenuti nel 2005-6. 119 Massimo tra tutti il servizio sanitario in genere. 120 Si trattò dell’emissione da parte degli istituti bancari di assegni circolari piccoli per dimensioni e per valore (poche lire) da impiegare nel pagamento degli importi per i quali si usavano gli spiccioli (conio metallico) e di cui in quegli anni 35 affermare che la Pubblica Amministrazione sarebbe in grado di gestire un sistema di pagamento proprio, diverso dalla valuta ufficiale. Con questa MCP non si genererebbe veramente un debito perché non ci sarebbe ricorso al denaro bancario. Nel caso del sostegno al reddito di alcuni cittadini e ad attività sociali con lo scopo di migliorare la qualità della vita di precisi gruppi sociali, è il caso di ricordare che la Pubblica Amministrazione, per le ragioni sopra riportate, è nella condizione di dover tagliare e ridurre significativamente i conferimenti diretti: non ci sarebbero quindi fondi specificamente destinati a queste attività da rappresentare con una cambiale. Se osserviamo l’esperienza della cosiddetta “Social Card” 121, troviamo che era stato costituito un fondo di circa un miliardo da destinare alle famiglie tramite questa carta di credito, caricata bimestralmente per un importo di 80 euro con contributo annuale di 480 euro per soggetto destinatario. Nel periodo 2008 - 10 sono stati versati 475milioni di euro nel fondo di cui hanno beneficiato 734mila fruitori. Negli anni seguenti si è deciso per un rinnovo della social card fino all’attuale rifinanziamento previsto di circa 50milioni di euro da destinare però a soggetti decisamente più svantaggiati (solo famiglie con minori e con reddito isee sotto i 3mila euro annui) ai quali andrebbero però importi mensili superiori, da 231 a 404 euro. E’ evidente lo sforzo da parte dello Stato di mantenere i servizi essenziali individuando meglio i target di riferimento e realizzando economie di scala con il chiaro intento di spendere meno dando di più ai più bisognosi (stimabili comunque in 370mila famiglie 122). La “Carta acquisti”, che ha prodotto anche interessanti risvolti vicini all’economia sociale (scontistica dedicata, agevolazioni ulteriori, etc), costa attualmente (cioè al netto degli investimenti fatti dal 2008) allo Stato solo 10 milioni di euro 123 nel 2013 con una previsione di aumento di spesa di circa 1 milione all’anno nei prossimi due (2014-5). Si ricorda qui che la Social Card altro non è che una carta di debito (carta bancomat 124 ) senza oneri per il titolare che consente spese fino al raggiungimento degli importi caricati e addebitando le somme direttamente al “Fondo Social Card”. Si potrebbe semplicemente creare una MCP con importo complessivo pari o inferiore alla disponibilità del Fondo e proprio da questo garantita: i fruitori semplicemente pagherebbero le proprie spese senza che abbia luogo un prelievo monetario dal Fondo. La MCP circolerebbe all’interno di un circuito di moneta elettronica parallelo, praticamente invisibile, e cesserebbe di esistere solo quando si prelevassero le cifre corrispondenti in euro dal Fondo. A questo punto, allo Stato non rimarrebbe che rifinanziare il Fondo - con una spesa di gran lunga inferiore, come si può immaginare facilmente - a fronte di un moltiplicatore di capacità di spesa decisamente superiore a quello che si realizza con il diretto impiego degli euro. (1975 -78) si registrò grande penuria per varie ragioni (inflazione, incettazione dei metalli, collezionismo). Si creò in breve una circolazione sostenuta per un controvalore di 200 miliardi dell’epoca con effetti non indifferenti sulla percezione della moneta da parte dei cittadini e degli esercizi commerciali che produssero anche dei buoni in proprio (buoni merce, etc). L’esperienza finì con il ritorno del conio metallico. 121 più propriamente la “Carta acquisti” del Ministero dell’Economia, misura varata nel 2008 e tuttora vigente pur con alcuni rimodellamenti. 122 Banca dati Isee 123 Ministero dell’Economia e delle Finanze, Bilancio semplificato dello Stato su dati DLB , dicembre 2012 124 Più precisamente un Postamat. 36 Con questo sistema si potrebbero anche finanziare altre attività, tenendo presente che lo Stato ha il diritto di costituire degli Istituti di emissione di moneta elettronica (i cosiddetti IMEL): a fronte della costituzione di un fondo sarebbe sufficiente emettere moneta circolante in maniera complementare. Tale moneta si estinguerebbe solo con la conversione in euro. In tal modo, si potrebbe anche finanziare una misura difficilmente sostenibile come il reddito di cittadinanza di cui si è parlato precedentemente. Rimandando ai prossimi capitoli il dettaglio teorico del meccanismo descritto, si sottolinea, alla luce dei ragionamenti fatti, che il “salto culturale” richiesto si riduce al ritardare il pagamento in contanti tramite un circuito monetario della Pubblica Amministrazione, senza che ciò generi un corso forzoso ma aumentando i vantaggi legati all’impiego della MCP. Il cittadino quindi verrebbe pagato prima, se non subito, e avrebbe la scelta di impiegare la MCP con alcuni vantaggi o convertirla in euro con svantaggio: non sarebbe questo un modo di conoscere il grado di fiducia nei confronti di questa moneta da parte dei cittadini? Non è forse la stessa cosa che capita propriamente con le carte di credito 125 ? Quali vantaggi si possono costruire per convincere il cittadino a detenere la MCP? 125 Il prelievo in contanti con le carte di credito comporta una commissione molto più alta rispetto ai bancomat 37 Capitolo settimo Possibili schemi di funzionamento di una moneta complementare pubblica La moneta complementare pubblica (MCP) è, come si è anticipato, uno strumento di pagamento complementare all’euro, di pari valore nominale, non dotato di capacità di riserva di valore, impiegabile unicamente come mezzo di pagamento. La MCP viene emessa dall’ente pubblico ed è di sua proprietà, non fornisce guadagni diretti, non può essere impiegata a garanzia ulteriore di transazioni future, né essere ceduta a titolo oneroso da intermediari e nemmeno può essere collocata in mercati finanziari: lo scopo dello strumento è in via esclusiva il pagamento immediato nell’ambito di una compravendita. L’ente pubblico garantisce il sottostante valore in euro e solo su questo elemento avvia l’emissione e ne promuove la circolazione: la circolazione stessa non è forzosa, i cittadini possono decidere se accettare o meno la MCP e, in ogni caso, devono poterla convertire in valuta ufficiale, anche se a titolo oneroso. La gestione della MCP deve essere al costo di esercizio e non può originare profitti a meno di azioni significative di valore aggiunto e tali da motivare un guadagno oltre alla copertura dei costi. Gli elementi appena descritti, per quanto si è detto finora, rappresentano i punti fermi per un progetto praticabile di MCP che riassumiamo sinteticamente a beneficio della comprensione: esistenza di un fondo di garanzia in euro o in valuta facilmente convertibile in euro circolazione agevolata della MCP convertibilità non agevolata della MCP in euro o altra valuta emissione non onerosa per il cittadino e comunque al costo di gestione per l’ente pubblico servizi aggiuntivi per una moneyness diversa (scontistica, informazioni su buone prassi, indicazioni di acquisto, corsie preferenziali per il pagamento di beni e servizi, etc) La perdita di questi requisiti porterebbe ad un declassamento della MCP che probabilmente comincerebbe “a rallentare” fino alla quasi immobilità e al ritiro dalla circolazione come capita a molte monete complementari. Si possono naturalmente pensare molti altri modelli di funzionamento ma, per la natura pubblica di questa particolare moneta complementare e ravvisando come unica possibilità di scelta per un progetto realistico di MCP quella della circolazione garantita con la convertibilità a richiesta, siamo indotti a non ritenere veramente praticabili, almeno in prima istanza di progettazione, altri elementi, pur nel loro interesse teorico e pratico. Le ipotesi di 38 schemi progettuali diversi sono basati su altri principi monetari quali la creazione di moneta non garantita da valuta ufficiale ma da beni economici o prodotti al consumo o ancora la circolazione di una moneta a scadenza 126 oppure l’emissione di titoli che decrescono di valore nel tempo (titoli a tasso negativo) 127 per finanziare la spesa pubblica. Questi e altri progetti vicini o coincidenti con la moneta complementare, pensati ed elaborati per condizioni precise e diverse da quelle presentate per la MCP, richiedono la costruzione dell’elemento fiduciario che non sembra nelle possibilità dell’ente pubblico: esso infatti possiede la fiducia dei cittadini, in ultima analisi, in forza della propria rappresentatività ma, forse proprio per questo, non è in condizione di mettere in opera progetti che presentino margini di rischio o di dichiarata (reale o solo percepita) perdita di valore economico. Con questo, non si intende fare giustizia sommaria nei confronti di ragionamenti interessanti e utili allo sviluppo di una MCP diversa da quella che si sta delineando in queste pagine, e si ricorda che la funzione di un libro verde è soprattutto quella di impostare il dibattito mettendo a tema le questioni rilevanti e strettamente collegate. Nella sussistenza degli elementi che abbiamo indicato, i progetti possono invece differire per emissione, circolazione e ritiro e si illustrano nei seguenti i diversi meccanismi di funzionamento ipotizzabili per la MCP: Modello pubblico Modello pubblico/privato Modello privato Modello pubblico. La MCP viene emessa da un ufficio incaricato o da un ente appositamente costituito della Pubblica Amministrazione e viene impiegata direttamente in pagamento delle posizioni debitorie. La circolazione è libera e avviene parallelamente all’euro: gli scambi sono agevolati per economicità e facilità di svolgimento. Il possessore di una partita di MCP ha la possibilità di convertirla in euro presentandone richiesta formale all’emittente il quale provvede a ritirare la moneta (meglio elettronica ma anche cartacea) pagandola con le provviste del sottostante fondo in euro (magari sotto la pari ovvero pagando meno euro per la MCP). In considerazione dei vantaggi, si prevede anche la possibilità contraria, cioè che i cittadini o le imprese possano accedere alla MCP convertendo gli euro alla pari o con ulteriore vantaggio. La circolazione viene regolata agendo sul fondo sottostante, rifinanziandolo se si vuole aumentare la massa monetaria della MCP o lasciando che venga convertito in euro fino ad esaurimento scorte. Fatto salva una quota di sicurezza, il fondo può essere prestato con oneri minimi anche alle attività della Pubblica Amministrazione stessa restando scritturalmente intatto: si creerebbero cioè delle partite di giro in cui gli euro restano gli stessi ma circolano all’interno della filiera dei pagamenti degli enti pubblici. Ci sarebbe pertanto un meccanismo di raddoppio temporaneo della capacità finanziaria. Gli oneri di gestione sarebbero le uniche spese 126 127 Cfr nota 22 definita anche “Icemoney” Cfr D. De Simone, FAZ – Zone di Autonomia Finanziaria, 2003 39 da sostenere e andrebbero imputati ai fruitori del fondo in euro. Questo modello avrebbe il grosso vantaggio di non generare debiti ulteriori e consegnerebbe nelle mani del pubblico uno strumento di pagamento proprio con cui regolare anche le tasse, le pensioni e molto altro, soprattutto se si riuscisse a costruire la MCP anche su impegno di spesa cioè senza l’effettivo possesso degli euro ma nella sicurezza della dotazione futura. Modello pubblico/privato. Il modello differisce dal precedente per via della partecipazione privata. L’ente di emissione sarebbe infatti un’azienda a sé, a partecipazione statale (non un’impresa in-house, quindi): la Pubblica Amministrazione avrebbe la proprietà e il controllo della MCP ma ne lascerebbe ai privati la gestione. La circolazione potrebbe essere regolata tramite un canale finanziario (circuiti bancomat, carta di credito) già esistente consentendo una diffusione maggiore e più capillare: la MCP si confonderebbe praticamente con gli euro diventandone di fatto anticipazione. A fronte di questi vantaggi, il costo di gestione necessariamente salirebbe dovendo ripagare gli investimenti e il lavoro dei privati e il fondo (dotato di risorse pubbliche e private) sottostante non potrebbe essere impiegato con l’elasticità descritta sopra, nell’ipotesi di un meccanismo di convertibilità più dinamico. Questo modello, infatti, punterebbe forzatamente alla identità della MCP con l’euro. Modello privato. La Pubblica Amministrazione è sempre proprietaria della MCP ma non la controlla direttamente e non la gestisce, cedendola, a vario titolo, ai privati. Il fondo sarebbe appoggiato al sistema bancario e da esso controllato e investito: la MCP perderebbe il connotato di moneta complementare diventando solo un circuito di pagamento agevolato. Il cittadino non si accorgerebbe nemmeno di star usando “un’altra moneta” e la conversione rimarrebbe nascosta al “portatore” di MCP. I pagamenti sarebbero identici a quelli in euro e la convertibilità un fattore interno discrezionale sulla base degli accordi tra privati. In tal modo il fondo potrebbe contare su più fonti di finanziamento, ma rimarrebbe il problema del minor vantaggio per l’ente pubblico che, pur senza oneri diretti e con la possibilità di partecipare ai proventi di gestione, non sarebbe veramente in grado di impiegare liberamente per sè stesso né la MCP né il fondo sottostante. Ciascuno dei tre modelli di funzionamento possono avere delle varianti notevoli ma ci sembra opportuno indicare praticamente le differenze per il cittadino. Nel primo caso, si realizzerebbe una moneta pubblica vera e propria rigidamente controllata dove il carattere di complementarietà è dovuto al sistema di ritiro che è a vista/richiesta. Il cittadino avrebbe la sensazione di maneggiare qualcosa di diverso dall’euro e certamente sarebbe indotto a disfarsene per ritornare in possesso della valuta ufficiale percepita come vero “valore economico”: la dinamica andrebbe bilanciata con l’offerta di vantaggi nello spendere la MCP senza convertirla in euro e rendendo più difficile la via di uscita dalla MCP (un tasso di cambio meno favorevole, un passaggio burocratico, etc). Teoricamente, questo dovrebbe indurre i cittadini a disfarsi presto della MCP spendendola e non convertendola: se si riesce a far passare l’idea che la MCP è fatta solo per essere spesa, si assisterà ad un importante fattore di moltiplicazione economica. 40 Il modello pubblico/privato, invece, ha come punto di partenza la costituzione di un circuito monetario dal quale l’uscita è meno rigida e più semplice: il cittadino utilizzerebbe indifferentemente euro e MCP puntando naturalmente - e soprattutto all’inizio - a trattenere un po’ di più gli euro. I collettori finali di MCP, sicuramente i grossi esercizi commerciali, saranno i veri snodi di conversione con gli euro trovandosi periodicamente in possesso di grandi quantità di MCP solo parzialmente rispendibili (fornitori interni) dovendo, ad esempio, procedere agli acquisti anche con l’estero. E’ ipotizzabile l’accordo di trasferimento programmato della MCP residua e della consegna contemporanea degli euro: se il privato sarà in grado di gestire con fondi propri questo passaggio, trovando conveniente l’utilizzo in proprio della MCP, saranno garantite la continuità e la crescita della massa monetaria complementare, diversamente il rischio è che la semplicità dell’uscita si trasformi in un’estinzione prevedibile nel medio termine della MCP. Nel caso invece di controllo e gestione completamente in mano a soggetti privati, si realizzerebbero condizioni molto simili a quelle della “social card” di cui si è parlato: non si riscontrerebbe alcuna differenza tra MCP ed euro e si avrebbe semplicemente accesso ad un’altra carta elettronica. La convertibilità risulterebbe appannaggio del circuito elettronico e non sarebbe visibile: non ci sarebbe da costruire alcun meccanismo fiduciario per la MCP, semmai si dovrebbe mettere a punto la commerciabilità della nuova carta acquisti, probabilmente venduta presso gli sportelli del sistema finanziario come una carta di credito. A fronte di una diffusione universale e semplificata, gli oneri sarebbero maggiori dovendo garantire i costi del lavoro e i proventi di tutto il sistema collegato; è immaginabile anche un’ulteriore partecipazione economica da parte della Pubblica Amministrazione che sarebbe, di fatto, il maggior fruitore diretto dei vantaggi della MCP. I modelli descritti rappresentano i punti di arrivo obbligati - pur con varianti secondarie – della fondamentale decisione su chi debba ricoprire i ruoli di emittente, gestore e “rottamatore” della MCP: un ente pubblico che “fa tutto”, avrà tutti i vantaggi ma anche una moneta con minore distribuzione e più lenta. Se ci saranno mediazioni tra il pubblico e il privato, avremo maggiore distribuzione e vantaggi per l’ente pubblico in media: nel caso in cui fosse il privato a rivestire tutti i ruoli, avremmo un percorso simile a quello della lira prima e dell’euro poi. Questa decisione è quindi la chiave strategica della MCP e comporta necessariamente l’aver scelto prima quali funzioni debba avere nel tempo questo progetto monetario: via d’uscita dall’attuale condizione di debito e di esposizione economica della Pubblica Amministrazione o nuova gestione finanziaria di parte della spesa pubblica? 41 Capitolo ottavo Chi potrebbe emettere una moneta complementare pubblica? Abbiamo visto che il salto culturale richiesto per la MCP si traduce in un ritardo di consegna dell’euro rispetto ad una scrittura contabile che registra l’avvenuto scambio e che viene usata essa stessa come mezzo di pagamento. Se la moneta, come storicamente è accaduto, è una ricevuta della consegna di un valore, allora stiamo proponendo la ricevuta della ricevuta, come, del resto, già capita per la moneta elettronica e le monete scritturali. Si promettono euro a tempo indeterminato e da consegnarsi all’ultimo portatore. Questo modo peculiare di affrontare la discussione non deve far dimenticare la pietra angolare su cui poggia l’istituto monetario: la moneta non è valore di per sé ma ne è la rappresentazione soprattutto ai fini dello scambio. Essa costituisce la via privilegiata con la quale possiamo scambiare il prodotti del nostro lavoro con quelli di del lavoro altrui: la moneta è lo strumento che mette in simmetria oggetti molto diversi conferendo valore relativo e consentendo lo scambio. La percezione della moneta come valore isolato ha portato alla confusione che esiste fra denaro e ricchezza: la rappresentazione monetaria, nella sua semplicità, contiene qualcosa di indefinibile perché essa viene accettata come bene di per sé, mentre ha valore solo se spendibile 128 . Questa rappresentazione si è ridotta oggi all’estremo connotato di numero circolante telematicamente, garantito perché trasformabile quasi a vista e a piacere - nella banconota che è la principale versione trasportabile “off-line” della rappresentazione di valore. La solvibilità è proprio la capacità di poter garantire la promessa di pagamento in valuta e ci permette di entrare a titolo variabile nel sistema che concede valore scambiabile. Il possesso di banconote non riguarda realmente la solvibilità perché non esiste una promessa di pagamento ma un dato di fatto misurabile esattamente con la quantità di denaro veramente disponibile. Questo approccio, banalmente e semplicemente impiegato agli individui e ai gruppi, determina però un grosso problema quando lo si applica allo Stato o alla Pubblica Amministrazione: una parte della crisi – peraltro, in questo, simile a molte crisi del passato – consiste proprio nel fatto di non avere reale provvista di valuta e di non poterne usare una rappresentazione ulteriore in quanto anche le promesse di pagamento sono inattendibili. Questo avvenimento, mai registrato in tempi recenti 128 Famoso aforisma di Paul Samuelson: “La moneta, in quanto moneta e non in quanto merce, è voluta non per il suo valore intrinseco, ma per le cose che consente di acquistare.” 42 negli stati nazionali con le economie più stabili, ha comportato la concertazione di una serie di misure sovranazionali atte ad aumentare la solvibilità degli stati rinforzando la credibilità finanziaria tramite l’emissione di una rappresentazione di promessa di valuta futura garantita da meccanismi comunitari e accettabile in pagamento. Tali misure producono ancora indebitamento ma, a fronte di una futura contrazione della spesa, il debito diventa razionalmente sostenibile: del resto, non esiste altra via, se non il concetto di “default” di una nazione, verificatosi nel passato e in alcuni casi recenti ormai definibili come storici129. La restrizione della spesa pubblica genera sicuramente l’obiettivo di bilancio, i conti possono risultare in pareggio ma non così le partite vitali per il Paese che sono sottostanti a questi numeri: occupazione, inclusione sociale, servizi ai cittadini, qualità della vita etc. L’impostazione della scienza delle finanze 130 nei casi di mancato “ammortamento del debito”, ha sempre dato la precedenza allo Stato e alla Pubblica Amministrazione, essendo impossibile la bancarotta per la gravità delle conseguenze. Così lo Stato 131 poteva convertire i debiti correnti in debiti a lui più favorevoli con minore tasso di interesse per i sottoscrittori, in maniera facoltativa/opzionale o forzosa (con o senza richiesta di consenso), o farlo di nascosto con provvedimenti indiretti (cosiddetta “conversione mascherata”) o con imposte sugli interessi o svalutando la moneta, arrivando, teoricamente, anche al definitivo ripudio del debito. Questo potere gli derivava dalla sovranità di cui era investito dal popolo. Oggi esiste anche una sovranità ulteriore, quella degli altri popoli che hanno interessi negli affari nazionali e che non può essere disattesa tanto facilmente, pena la perdita di credibilità nella capacità di essere solvibile internazionalmente. Quindi, nessuna delle misure descritte è veramente praticabile e, dopo l’ultima fase debitoria, quella del cosiddetto “gioco di Ponzi 132 ”, cioè l’emissione di titoli di debito per far fronte almeno agli interessi, è arrivata l’unica ricetta prevista: ridurre la spesa e inasprire le tasse. Esisteva però un’altra via: la “monetizzazione del disavanzo” ovvero l’emissione di nuova moneta proporzionalmente al debito. Gli accordi e le convenzioni in sede di Unione Europea e soprattutto l’adesione all’euro, impediscono agli Stati Membri di produrre moneta per il supremo interesse collettivo di non inflazionare la moneta di tutti e di non creare sistemi di avvantaggiamento unilaterale nell’onorare i propri debiti. Risulta però evidente che, se il compito della Banca Centrale è quello di garantire la stabilità monetaria, quello dei governi nazionali consiste nella salvaguardia della stabilità civile e sociale, provvedendo ai cittadini un clima socioeconomico adeguato per un’apprezzabile qualità della vita, presente e futura. Anche il debito delle regioni e degli enti locali si sta trasformando in progressività fiscale contro i cittadini e l’unica altra via percorribile è la svendita dei patrimoni pubblici - ma fino a quando tutto questo? Cosa ci si può aspettare nel lungo periodo: 129 I default nazionali di Messico (1994), Russia (1997), Argentina (2001), Uruguay (2003) Cfr Compendio di Scienza delle Finanze, Esselibri – Simone, 2007 131 Cfr M. Fanno, Scienza delle Finanze, Lattes, 1959 132 Dalla famosa truffa di Charles Ponzi chiamata in letteratura “schema Ponzi” o “Gioco di Ponzi”, in cui non c’era reale guadagno ma solo un passaggio di denaro tra i partecipanti e senza produzione di valore. 130 43 la bancarotta finanziaria o la bancarotta civile, quella in cui sono le famiglie a rispondere con i propri risparmi al debito intergenerazionale? Dal momento che nessuno stato potrà veramente permettersi nessuna forma di bancarotta, pena gravissime crisi istituzionali, l’unica scelta possibile sarà ripensare la sovranità monetaria e riacquisire, almeno in parte, i poteri monetari, primo fra tutti l’emissione particolare di moneta. Potrebbe essere la MCP un modo praticabile per costruire uno strumento di pagamento sicuro, mantenendo nel contempo gli accordi europei e internazionali? Quale impatto avrebbe su questi accordi e sugli equilibri fra i Paesi Membri? 44 Capitolo nono Prevedere i problemi ed occuparsene Gli esperimenti di moneta complementare e i reset monetari come il passaggio dalla lira all’euro hanno dimostrato che la moneta, inclusa quella ufficiale, non è solo un mezzo di pagamento ma anche uno strumento di percezione e di misurazione dell’ambiente sociale: il suo impiego, in altre parole, avviene in un contesto psicologico di cui la razionalità è solo uno degli elementi. Esiste infatti una “psicologia economica” 133 che trascende la dimensione del singolo e tende a determinare un comportamento diffuso. Si è molto discusso in letteratura economica di propensione al rischio (o al risparmio, o al consumo) dove intendendo con il termine propensione il fattore comportamentale individuale: il profilo dell’investitore è oggi determinato soprattutto dall’atteggiamento nei confronti dell’eventuale perdita o mancanza di guadagno. Gli investimenti nel mercato immobiliare, ad esempio, sono spesso legati al senso di sicurezza basato sull’oggetto sottostante (l’immobile) che, una volta liquidato, permette di rientrare in possesso del valore investito, sempre e comunque con un margine di guadagno. Per queste ragioni si dice che il mercato immobiliare cresce enormemente nei momenti in cui esiste generale disponibilità di denaro: la maggior parte degli investitori è infatti poco propensa al rischio. Esiste anche una teoria in base alla quale134 soltanto il mercato mobiliare - ovvero la borsa - è in grado di “produrre” denaro, in quanto solo l’investimento sui titoli aventi ad oggetto una rappresentazione di valore, e non un valore diretto immediatamente liquidabile, possiede le reali caratteristiche di valore aggiunto tali da creare ricchezza e sviluppo economico: la vera capacità economica di un sistema starebbe cioè nello sforzo di immaginare lo sviluppo dando fiducia attraverso l’investimento e il conferimento di moneta. Altrimenti, il sistema stesso sarebbe costretto a vivere di rappresentazioni certe nelle quali la preoccupazione primaria sarebbe la copertura economica e la costruzione di sicurezze ma non la produzione diretta. Gli investimenti garantiti da valore liquidabile immediatamente (immobili, altri capitali monetari, beni rifugio) hanno la caratteristica dell’assenza di rischio e nel contempo della scarsa produttività relativa: da una parte, infatti, l’investitore può esporsi senza il timore di perdere valore, dall’altra, non potendo “fare il passo più lungo della gamba”, (fuor di metafora, oltre le garanzie), non può accedere a quei risultati operativi che derivano dall’investimento pieno. La generale mancanza di propensione al rischio determina soprattutto due elementi ambientali notevoli: 133 Cfr L. Ferrari, D.F. Romano, “Mente e denaro, introduzione alla psicologia economica” Raffaello Cortina Editore 1999 134 Cfr G. Galli, “La fabbrica dei soldi – perché la Borsa è ancora il miglior investimento” Mondadori, 2002 45 - Il diffuso rallentamento dello sviluppo economico L’accumulazione del capitale monetario e patrimoniale nei soggetti più capaci di investimento Con l’obiettivo dell’assenza di rischio, infatti, l’economia rallenta perché non vengono operati quegli investimenti che consentirebbero la costruzione di una duratura stabilità nei mercati (ricerca tecnologica, avviamento di imprese innovative, adeguamenti infrastrutturali, brevetti, formazione e conoscenza, scambi culturali, etc). Gli investimenti tuttavia vengono compiuti con capitale esterno al sistema, che determina cambiamenti profondi negli assetti proprietari delle aziende nazionali135: la produzione viene esasperata con i mezzi che si hanno a disposizione e trasportata dove il lavoro costa meno e dove la materia prima è maggiormente disponibile. Il patrimonio immateriale 136 dei brand aziendali, delle capacità acquisite nel tempo, viene disperso 137 o concentrato nelle mani di pochi grandi gruppi capaci di investimento senza reali rischi di esposizione perché l’eventuale perdita è, di fatto, un passaggio di moneta interno al sistema138 che non origina debito. Una spiccata propensione al rischio, invece, apre al fenomeno delle speculazioni finanziarie139 dove il denaro viene investito in quantità eccessiva rispetto alle attività sottostanti, sostenendo quindi una rappresentazione economica non reale della produzione effettiva: ciò si traduce in redistribuzione dei capitali investiti nelle transazioni dai piccoli risparmiatori, spesso polverizzati in individui e piccoli gruppi, ai soggetti in grado di lucrare sia al ribasso che al rialzo, grazie alla presenza contemporanea su più mercati finanziari e con tale disposizione di titoli da condizionare gli andamenti dei mercati stessi. La perdurante depressione attuale è proprio dovuta alla generale sfiducia nei meccanismi di investimento e allo spostamento dell’asse produttivo globale da occidente ad oriente: questa sfiducia deriva dalla serie di tonfi del mercato mobiliare (1999, 2001, 2008140) che hanno “bruciato”141 moneta ovunque - e senza che questa potesse generare sviluppo -, e dall’approntamento di misure gestionali che, se da una parte conferiscono sicurezza e solidità al sistema finanziario e pubblico, dall’altra tolgono però immediatezza e capacità di risposta. 135 Si pensi a quanto successo negli ultimi 15 anni nei nostri distretti industriali (tessile, meccanico, chimico, farmaceutico, etc) in cui le piccole e medie imprese incapaci di mantenere la posizione di mercato per la mancanza di capitali hanno dovuto chiudere o rivolgersi ad investitori lontani (spesso i loro principali clienti) che hanno cambiato la compagine degli azionisti determinando cambiamenti considerevoli (delocalizzazione, assorbimento del marchio e chiusura degli stabilimenti, etc) 136 I cosiddetti “intangibles” – cfr L. Baruch “Intangibles” 2001- ovvero tutto il valore accumulato nel tempo in termini di riconoscibilità sul mercato e di capacità operativa dimostrata e che ha reso il prodotto noto al consumo 137 Cioè non collocato sul mercato o non al suo valore 138 Dinamica tipica dei grossi gruppi produttivi che possiedono società holding specializzate nella gestione dei flussi di credito e debito interni ai gruppi stessi 139 Si pensi alle crisi dei mercati finanziari degli ultimi venti anni, alle dinamiche dei cosiddetti contratti “futures” o “derivati” 140 Rispettivamente la crisi asiatica, i default sudamericani e la magnificazione globale del buco generato dai contratti sub-prime 141 Con il termine, spesso adoperato dai mass media, non si intende la scomparsa effettiva della moneta ma la sua redistribuzione e accumulazione in poche mani che non sono poi in grado di spendere efficacemente per lo sviluppo generale la capacità economica detenuta 46 In un clima come l’attuale, pertanto, non risulta possibile inserire semplicemente uno strumento monetario affidandogli il compito di risolvere situazioni socio-economiche cristallizzatesi in modalità più psicologiche che reali, più irrazionali che ragionevoli. Quando si è parlato di fiducia nella moneta, di moneyness e di capacità di convincere il pubblico si faceva preciso riferimento al fatto che il mezzo di pagamento deve essere sicuro: esso cioè deve essere effettivamente in grado di pagare e di chiudere la compravendita. Esistono però anche altri fattori da considerare: essi consistono principalmente nei comportamenti generali da parte degli utenti che si vengono a creare soprattutto in conseguenza e in relazione alle modalità di circolazione del medio periodo. La velocità di circolazione, ad esempio, è un parametro molto importante nel caso della MCP; esso però non ha quasi senso per la valuta ufficiale depositaria di tutte le funzioni monetarie perché tale valuta non è veramente discutibile da parte del pubblico. Gli esperimenti di MC dimostrano in maniera piuttosto chiara che, se i vantaggi collegati sono tanti e tali da configurarsi in un aumento di reddito netto, la percezione della provvisorietà della moneta determina una corsa all’accaparramento dei beni e dei servizi nel timore della fine della circolazione 142. Quando, al contrario, i vantaggi sono pochi e/o relativi e soprattutto non tali da aumentare significativamente la disponibilità di moneta per i cittadini, si verifica l’accumulazione indebita di MC presso gli esercenti i quali non hanno la possibilità di spendere realmente e in alta quantità la MC. In entrambi i casi, si genera presto un moto di sfiducia nei confronti della primaria funzione di pagamento della MC e si verifica una delle seguenti conseguenze: l’abbandono dello strumento o il rallentamento generale. Quando il possesso della MC comporta una “certa” difficoltà nel cambio in euro sottostanti o un eccessivo titolo di vantaggio su alcune transazioni, in presenza di circolazione sostenuta, si verifica il fenomeno dell’aggio monetario: alcuni soggetti trovano conveniente incettare la MC, facendone accumulo, per cambiarla in euro con guadagno tramite capitali propri e non con gli euro rappresentati dai fondi messi a garanzia. Se il fenomeno si fa sostenuto, i rischi collegati sono diversi, ma soprattutto la MCP acquisisce un prezzo del tutto paragonabile ad un tasso di cambio, con il pericolo della cessazione della circolazione gratuita, uno dei parametri fondamentali della MCP. La definizione di mezzo di pagamento a tempo è utile solo ai fini della creazione di un acceleratore della velocità di circolazione dei beni e dei servizi: si migliorano le prestazioni monetarie dei mezzi si scambio e si realizza un volume superiore di compravendite. Se però prevale l’aspetto povero o cattivo della MCP ed essa viene percepita come un altro spicciolo non metallico, si realizza la funzione residuale dello strumento monetario e la MCP viene usata non propriamente come mezzo monetario ma solo in pagamento dei resti piccoli e ricollocata continuamente sul mercato con svantaggio. L’accumulo nei cassetti degli esercenti diventa inevitabile e la MCP viene conservata solo in attesa della conversione con gli euro. Sul lungo periodo, non se ne può scongiurare la sparizione. 142 Come avvenuto con il SIMEC, la moneta complementare di Guardiagrele (CH) nel 2000 cfr La moneta del popolo 47 La distribuzione della MCP solo ad alcuni gruppi sociali può originare la targettizzazione degli stessi e l’individuazione degli utenti che, nel momento stesso in cui esibiscono la moneta “diversa”, vengono catalogati di conseguenza come soggetti in stato di bisogno o, in qualche modo, esclusi socialmente. La falsificazione apre poi ad altri scenari difficili, ma, nella consapevolezza che il problema non viene evitato efficacemente anche dalle monete ufficiali, si ritiene importante dotare la MCP di diversi livelli di sicurezza (contro sofisticazione, copiatura di fattispecie esistenti o riproduzione di serie diverse, trasformazione in moneta elettronica o scritturale non autorizzata dall’emittente, etc). Si considera utile anche non impiegare la MCP in situazioni vicine a quelle di credito su pegno o di garanzia di altre transazioni con immobilizzazione della MCP stessa perché, in questo modo, verrebbe meno l’aspetto “circolatorio” di questa moneta e se ne determinerebbe la stasi. Almeno in prima istanza, sarà sufficiente poter pagare: se poi si renderà necessaria anche la funzione “bancaria” della MCP con la cessione su prestito e non su scambio, si dovrà procedere alla costruzione di prodotti finanziari appositi. Per tutte le ragioni ed i fenomeni descritti, risulta evidente che occorre proporre un immaginario collettivo corretto e sostenibile rispetto alle funzioni socio-economiche della MCP. Essa deve essere soprattutto una moneta dotata della garanzia di liquidabilità in euro e per il suo impiego non deve essere richiesto né un investimento in termini di fiducia né una qualche forma di forzatura 143 . Non sarà nemmeno uno strumento estremo da impiegare solo in momenti di crisi per poi essere ritirato a vista. La dimensione migliore potrebbe essere quella dell’ente pubblico che, nel perseguimento degli interessi collettivi, si dota di uno strumento di pagamento ulteriore e suo proprio per aumentare la capacità economica dei cittadini, garantire i servizi alla persona, sostenere gli impegni istituzionali, evitare l’indebitamento ulteriore e, nel contempo, gestire le proprie posizioni debitorie ed infine anticipare somme per attività importanti per lo sviluppo. Se la MCP incontrerà il favore del pubblico in generale, si assisterà alla realizzazione di tutti questi aspetti e ad un aumento del fondo sottostante in euro144: in caso contrario, si avrà una contrazione della massa della MCP fino alla scomparsa del fondo sottostante che determinerà l’impossibilità di produrre altra MCP. Il quadro presentato tuttavia non considera ancora gli altri attori economici e finanziari come il sistema bancario145, il fisco, gli uffici pubblici o partecipati dallo stato deputati al controllo della circolazione dei beni e servizi sotto altri aspetti (Guardia di Finanza, Poste, Ferrovie, Sistema sanitario, etc), tutti portatori di interessi particolari che dovranno essere debitamente indagati in relazione agli impatti di una eventuale MCP. 143 Ad esempio, la ricattabilità insita nell’impossibilità di poter procedere al pagamento con la valuta ufficiale. Cfr capitoli precedenti sul meccanismo di creazione della MCP. 145 Si pensi all’impatto della MCP ad esempio sui prodotti finanziari (factoring, castelletti e scoperti di conto corrente, apertura di fido) di anticipazione di somme attese dal pubblico ai privati: in questo ambito, sono molte le banche che prestano denaro alle imprese titolari di un contratto con il pubblico e che sono in posizione creditoria verso di esso. 144 48 Quali sono gli impatti sociali attesi e come costruire degli opportuni indicatori di sviluppo? Quali organi dovrebbero intervenire nel controllo di una MCP? Quale campagna di comunicazione potrebbe essere utile per spiegare ai cittadini questo contesto? Come costruire una situazione “win-win”146 in cui nessuno perde qualcosa veramente mentre tutti ci guadagnano? 146 Espressione inglese con cui si suole indicare la presenza di soli vincitori in una determinata situazione o una condizione in cui non si scontenta o danneggia nessuno. 49 Capitolo decimo Un modo diverso di concepire la spesa pubblica? Dai tempi di Keynes si ritiene che la spesa pubblica costituisca un inderogabile fattore di crescita complessiva e che addirittura, vista la funzione primaria da essa rivestita all’interno del parametro del PIL, si debba ricorrere all’indebitamento pur di sostenerne lo sforzo. Sull’importanza della spesa pubblica si riscontra una visione unanime, mentre si dibatte sulla consistenza del costo dell’intervento pubblico in relazione al PIL, che pesa all’attuale per oltre la metà della capacità produttiva nazionale con un trend in preoccupante crescita147: ovviamente il tema più trattato è l’indebitamento che tutto ciò comporta e la sostenibilità di tale indebitamento nel tempo. Le funzioni della spesa pubblica, nella teoria finanziaria, sono soprattutto: a) l’allocazione delle risorse economiche b) la redistribuzione dei redditi c) la stabilizzazione del sistema economico nazionale Per ognuna di queste funzioni esistono oggettivamente tante questioni aperte e più volte indagate in letteratura economica, ma, per rimanere nei limiti di questo libro verde, possiamo dire che: - - - la funzione allocativa riguarda la fruizione collettiva dei beni pubblici indivisibili (mantenimento del patrimonio ambientale, culturale, artistico, etc) e non affidabili al mercato in quanto per essi non è possibile stabilire un prezzo di vendita148; la redistribuzione costituisce la misura di sicurezza sociale sostanzialmente basata sul sistema di prelievo fiscale e riassegnazione delle risorse ai cittadini con minor reddito per svariate ragioni (età, esclusione sociale, ceto economico di partenza, etc); la stabilizzazione comporta invece la controversa questione dell’intervento pubblico in prospettiva anticiclica, atto cioè a modulare le fluttuazioni economiche attenuandole mediante il sostegno all’attività privata o con l’ingresso nel mercato, in modo indiretto o indiretto, senza scopo di lucro ma con l’obiettivo di mantenere la qualità dei servizi. 147 Nel 1970, la spesa pubblica si aggirava intorno al 29,9% del PIL Condizione particolare definita come “fallimento del mercato”, oggetto tra l’altro di controversie teoriche attuali e passate 148 50 Nella consapevolezza della complessità dell’argomento rinviando all’approfondimento di questi temi tramite la letteratura specializzata, ci limitiamo qui a dire che, in termini più economici, la spesa pubblica può essere suddivisa in tre grosse voci149: - spese correnti, che rappresentano circa i ¾ della spesa complessiva; ad esse è affidata soprattutto la funzione allocativa e redistributiva150; interessi sul debito, che costituiscono il 18% della spesa complessiva; sono destinati alla funzione di stabilizzazione e redistribuzione151; spese in conto capitale, che pesano per il 7% della spesa complessiva e che sono finalizzate soprattutto alla funzione di stabilizzazione152; Secondo il Bilancio Semplificato dello Stato del dicembre 2012 153 , si prevede la pressoché totale copertura di queste spese tramite le entrate (la crescita del debito corrente ovvero del deficit è di circa lo 0,3% per il 2012) con l’azzeramento del debito corrente e quindi il pareggio di bilancio entro pochi anni. Rimane il problema del capitale da restituire ai sottoscrittori dei titoli di Stato che ammonta a circa la metà delle entrate come quota parte per il 2012 e corrispondente a poco più dello 0,01% dei famosi 2 mila miliardi di debito pubblico nazionale. Attualmente il nostro Paese è quindi adempiente, in merito al patto di stabilità europeo, sul parametro deficit/PIL (che non deve superare il 3%) poiché quest’ultimo ammonta all’1,70%, mentre non lo sarebbe sul parametro fondamentale del debito/PIL (non superiore al 60%). Con il protocollo denominato “Fiscal Compact” 154 , questi parametri vengono inaspriti 155 : l’elemento più decisivo nel Fiscal Compact è rappresentato dalla politica di rientro del debito, che deve essere ricondotto al parametro del patto di stabilità al ritmo del versamento di un ventesimo all’anno della differenza fra il 60% e l’attuale. In termini teorici, questo comporterebbe - se tutti i parametri descritti rimanessero allo stato attuale - il versamento in 20 anni di 1000 miliardi in tranches di 50 miliardi per anno con previsione di incasso da parte dello Stato, per il periodo 2012-15, di circa 500 miliardi all’anno. Si sta quindi chiedendo di “dare” un 10% in più, cioè di togliere dalla spesa pubblica questa cifra - anche in termini di efficientamento o di recuperata efficienza -, oppure di ottenere tale somma dalla lotta all’evasione fiscale e dal recupero del sommerso (incluso il denaro incastrato nei fenomeni legati alla “corruzione”156), o, ancora, dall’aumento del prelievo fiscale. È in atto, in aggiunta, una guerra alle statistiche, consistente nel fatto che le cifre appena fornite non 149 Rielaborazione su dati forniti dal Ministero dell’economia e delle Finanze per il 2012, Spese per sostenere i consumi collettivi (mantenimento della pubblica amministrazione) e trasferimenti a famiglie (pensioni, assegni familiari, etc) e imprese (contributi alla produzione, partecipazione alle misure di credito agevolato, etc) 151 Concetto di redistribuzione intergenerazionale del debito, per il quale nell’impossibilità di far fronte alle spese pubbliche se ne suddivide il carico su più anni contando sulla crescita della capacità economica e sulla previsione di scenari più gestibili. 152 Interventi dello Stato a fondo perduto per il mantenimento del patrimonio o per la creazione delle migliori condizioni di mercato per le imprese nazionali (ad es. infrastrutture, etc) 153 Cfr nota 123 154 Più precisamente “Patto di bilancio europeo” o “Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria”, sottoscritto il 2/3/2012 da 25 dei 27 Paesi Membri (non lo hanno firmato Gran Bretagna e Repubblica Ceca) 155 Rapporto deficit/PIL non oltre lo 0,5%, e rientro nella soglia del 60% del rapporto debito/PIL in massimo 20 anni 156 Cfr i lavori dell’economista L. Napoleoni. 150 51 sarebbero da tutti condivise, soprattutto in merito ai metodi, ai tempi e all’unità di valore impiegati nel conteggio 157 e principalmente per quanto riguarda quel dato macroaggregato che è il prodotto interno lordo. Per questo motivo si è scelto qui di impiegare i dati della Ragioneria di Stato per rimanere sull’oggettività di quanto lo Stato stesso dichiara. Al netto dei numeri, comunque, risulta evidente che, in epoca di crisi e dopo tutti i tagli alla spesa pubblica legati all’austerity - e pur nel conseguimento dell’importante obiettivo del pareggio di bilancio - l’unica soluzione esplorabile per coprire il debito nei termini richiesti risulta essere il ricorso alle misure di inasprimento fiscale, riduzione ulteriore della spesa e ulteriore richiesta di denaro a terzi. Il debito quindi dovrà in realtà paradossalmente crescere ancora un po’ per poter essere contenuto in futuro. C’è poi il problema del passaggio del debito dallo Stato alle Regioni, enti meno capaci di indebitamento per mancanza di strumenti e di consuetudine, che hanno come unica prospettiva la dismissione patrimoniale ai privati (segnatamente gli stessi creditori) per far fronte ai servizi di cui sono gestori (primo fra tutti il servizio sanitario). Tutto questo ha inoltre generato un moto di sfiducia anche nello “stare in Europa” a causa della percezione di una perdita di senso del rimanere in un contesto sicuramente virtuoso e di buon governo ma che impone condizioni e costi non sostenibili. Posto che la storia della gestione della lira (e di altre divise nazionali) ha creato, almeno in larga parte, l’esigenza di togliere ai governi e alla pubblica amministrazione il controllo di gestione della moneta per via del progressivo impoverimento dello strumento di pagamento e della sua esposizione e inadeguatezza nei mercati internazionali, si apre adesso, e a trent’anni di distanza da quella scelta 158 , la questione di una spesa pubblica non più sostenibile sia per quantità sia, sicuramente, per l’insieme delle congiunture venutesi a creare nel mutato contesto internazionale o meglio globale. A ciò si aggiunge il fatto che la scelta dell’euro comporta l’impiego di un mezzo di pagamento solido ma troppo oneroso a causa degli impegni economicopolitici e delle implicazioni sociali. Se ci è permesso il paragone, lo Stato, nella visione economica contemporanea, da sovrano cui tutto era concesso (dall’indebitamento con restituzione sine die al ridimensionamento a piacere del valore della moneta) sembra essere diventato l’ultimo dei poveri, al pari di chi, pur non essendo in grado di restituire i debiti, è costretto ad indebitarsi sempre maggiormente dovendo nel contempo lavorare in condizioni sempre più difficili. Il debito, pur distribuito fra milioni di cittadini - e, in prospettiva, fra generazioni di milioni di cittadini - continua a crescere perché sono cresciute anche le esigenze del cittadino contemporaneo: le cure mediche prestate negli anni settanta ad esempio, avevano costi decisamente inferiori rispetto alle prestazioni sanitarie attuali e lo stesso vale per gli standard dei servizi alla persona (dall’istruzione alla pensione) e per 157 Come, ad esempio, il problema del posizionamento dell’inflazione che renderebbe diverso il valore della valuta ufficiale o della formazione degli aggregati di domanda e di spesa 158 Cfr nota 33 52 l’intero stile di vita della presente società che immagina - e quindi chiede ai politici molto più di prima. E’ veramente pensabile rispondere in termini convenzionali a tutti questi nuovi standard di vita che, pur ridotti per razionali questioni di contenimento ed efficienza159, non possono essere disattesi senza il rischio della perdita della qualità della vita e dei diritti ad essa collegati? E’ possibile mantenere le convenzioni economiche quando l’intero paese entra in una condizione di sofferenza per cui a fronte del fatto che i servizi continuano ad esistere e che potrebbero essere ragionevolmente distribuiti si registra la mancanza del solo mezzo di pagamento? Se tutto si riduce sempre al poter pagare, non è allora conseguente la scelta di dare al maggiore fra gli indebitati - lo Stato - il modo di regolare i pagamenti interni, almeno in parte e con tutte le cautele possibili? Al di là di tutto questo, non è forse richiesto oggi un cambiamento di paradigma anche nella concezione della spesa pubblica che deve garantire tutti i servizi e fornire prospettive ed aspettative di vita in crescita ai propri cittadini? Non è questo, pur nella sua semplicità, il vero senso dello Stato e del patto implicito fra i cittadini? 159 Si pensi ai ragionamenti della filosofia della “decrescita felice”, cfr le opere di S. Latouche. 53 Capitolo undici Chi si assume la responsabilità del cambiamento? La recessione globale che sta attanagliando soprattutto l’Occidente andrebbe compresa sotto i diversi profili economico, politico, sociale e culturale per arrivare a comporre il quadro degli avvenimenti contemporanei in maniera utile alla predisposizione di una reazione adeguata. Questa non potrà rappresentare una ricetta globale ma sarà più probabilmente costituita da una serie di misure in parte nuove e da sperimentare e in parte già consolidate e da aggiornare. La recessione è però diversa per forme e conseguenze in ciascun paese o area economica: la reazione intelligente dovrebbe considerare, quindi, il corretto dimensionamento delle misure sulla base delle esigenze nazionali e locali. Chi farà questo lavoro? Nel celebre saggio “Il grande crollo” 160 , l’economista americano John K. Galbraith propose, a quindici anni di distanza dagli avvenimenti, la rilettura storica della crisi finanziaria di Wall Street del 1929, che aprì alla Grande Depressione degli anni trenta. Ripercorrendo gli eventi di quel periodo, spesso giorno per giorno, facendo nomi e cognomi e attribuendo precise responsabilità, l’economista arrivò a delineare questo quadro di concause: 1. cattiva distribuzione del reddito 161 : il 5% della popolazione americana aveva accesso ad oltre un terzo del reddito nazionale per lo più sotto forma di rendite dal mercato finanziario; 2. cattiva struttura societaria: il mondo degli affari americano aveva aperto le braccia ad un eccezionale numero di improvvisatori, concussionari, imbroglioni, impostori e truffatori. La debolezza societaria consisteva soprattutto nell’effetto che la finanza aveva sulla produzione: le società finanziarie proprietarie delle imprese avevano la necessità di ricavare dividendi azionari per poter pagare gli interessi delle obbligazioni emesse proprio per garantire lo sviluppo delle imprese stesse. Venuta meno la capacità finanziaria, si realizzò prima l’insolvenza degli interessi, poi quella del capitale, quindi, l’impiego delle entrate per far fronte ai debiti ed infine la chiusura degli impianti; 3. cattiva struttura bancaria: il sistema bancario entrò in sofferenza per la pratica bancaria, cioè a causa di quel fenomeno per il quale il sistema bancario stesso non riusciva ad erogare prestiti, anche dove era assolutamente il caso, essendo venute a cadere le garanzie offerte dalle merci e dai servizi sottostanti che precipitavano di valore nei mercati di riferimento. Il fallimento bancario costruiva poi un’onda d’urto che si propagava da una banca alle altre in quanto 160 161 J.K. Galbraith, “The Great Crash”, 1954 In corsivo le frasi letteralmente riportate dall’edizione italiana di Bollati Boringhieri, 1972 54 i beni delle banche collegate venivano congelati e con essi tutti i depositi dei risparmiatori; 4. lo stato dubbio della bilancia dei pagamenti: gli Stati Uniti erano un paese storicamente creditore, cioè dotato di una bilancia commerciale in positivo, ed era diffusa in quel periodo la pratica del vendere a prestito alle nazioni debitrici162: si emettevano delle obbligazioni a loro nome, gestite – spesso con corruzione – dai privati che esaltavano i rating – diremmo oggi - e collocavano titoli troppo elevati rispetto agli affari sottostanti. Quando il debito era eccessivo, le uniche soluzioni percorribili erano rappresentate dal pagamento tramite oro (il contante dell’epoca) o dall’aumento delle importazioni dei paesi debitori negli USA. Essendo quest’ultima l’unica possibilità realistica (l’oro non era veramente cedibile in quanto strategicamente impiegato a garanzia in tutte le transazioni interne ed estere), la decisione di alzare protezionisticamente (per aumentare la produzione interna) le tariffe doganali delle merci in entrata negli USA produsse due effetti: prima l’insolvenza del debito da parte delle nazioni importatrici che non avevano più modo di pagare le merci e poi il crollo delle esportazioni americane, essendo gli importatori impossibilitati a procedere con i pagamenti; 5. il misero stato dell’informazione economica: gli economisti puntavano tutto sul pareggio di bilancio - a costo di tagliare la spesa pubblica e di alzare le tasse – e sulla permanenza nel sistema aureo come misura d’elezione per la lotta all’inflazione163. Il rigetto della politica finanziaria (imposte e spese) e monetaria equivaleva precisamente al rigetto di ogni politica economica positiva da parte del governo. I consulenti economici dell’epoca avevano l’unanimità e l’autorità sufficienti a imporre ai leader di entrambi i partiti il ripudio di tutte le misure disponibili ad arrestare la deflazione e la depressione (…) il trionfo del dogma sul pensiero. Sempre ne “Il Grande Crollo” Galbraith afferma che, comunque, al di là della valutazione economica, negli anni venti esisteva un problema nel carattere del popolo americano: esso andava manifestando un desiderio smodato di arricchirsi alla svelta con il minimo di fatica fisica. Ci siamo concessi qui lo spazio di raccontare in estrema sintesi questi elementi sia perché ci sembra rilevante la somiglianza tra alcuni degli aspetti descritti da Galbraith e certi risvolti della depressione attuale, sia per l’utilità di mettere nella giusta luce la portata culturale di un lavoro di riflessione economica - pur condotta a posteriori sulla ricerca di senso non solo in chiave storica ma anche nella prospettiva di un apprendimento collettivo e di una pratica condivisa. E’ possibile affermare che le cause della depressione di oggi - che forse, se resterà l’unica, passerà alla storia come la grande depressione del 21° secolo - sono tuttora da indagare nella loro completezza e che non possediamo veramente uno schema 162 Una delle più importanti dell’epoca era la Germania nazista Roosevelt “Noi auspichiamo una moneta solida da difendere a tutti i costi (…) una moneta solida è una necessità internazionale, non una considerazione interna di una sola nazione” discorso in chiusura della campagna per la presidenza del 1932, cit, in op. cit in “The Great Crash”. 163 55 interpretativo condiviso e semplice atto a comprendere quanto stiamo vivendo. Ci troviamo ancora sul piano della critica e della responsabilizzazione e stiamo cercando delle risposte. La letteratura maggiormente in voga, almeno nel nostro paese, comincia a costruire dei capi d’accusa. Ci chiediamo allora: quali sono i principali imputati? Il sistema finanziario, ritenuto già insufficiente e “costituzionalmente inabile” per rispondere alle necessità sociali di un paese (dal cittadino all’impresa) viene giudicato come primum movens della crisi, alla quale del resto non sarebbe nemmeno capace di reagire in maniera efficace: secondo molti164, infatti, il mondo della finanza non valuta correttamente gli elementi propri dello sviluppo sociale ed economico perché è troppo impegnato nel proprio mantenimento. Fra le ultime “nefandezze” del sistema attuale sarebbe da annoverare il fatto di aver trasferito il buco economico generato da speculazioni azzardate e da lampanti errori di giudizio ai cittadini e agli stati, costruendo prodotti definiti “tossici” e collocandoli normalmente sui mercati lasciando che il pubblico li acquistasse acriticamente grazie alla fiducia nei rating positivi e nelle istituzioni finanziarie proponenti. Le grandi imprese globali – soprattutto quelle che si occupano di distribuzione - sono viste non come generatrici di ricchezza e di lavoro ma come affamatrici di comunità, vicine e lontane, a causa della generale corsa all’accaparramento delle risorse planetarie, che verrebbero sfruttate - senza mediazioni intelligenti e socialmente o ecologicamente consone - e che sarebbero ricollocate sul mercato con puro spirito di ritorno monetario, senza visione d’insieme165. Il capitalismo, spesso fatto coincidere con il liberismo, è accusato di aver dato forma intellettuale al sistema per il quale si vive solo per sé stessi e si ricerca la propria “felicità” materiale come misura morale generale: si ritiene il capitalismo responsabile in particolare sia di aver eletto a sistema unico e virtuoso l’egoismo sia della diffusa cecità verso i valori altri rispetto alla quantità166, con conseguente distruzione di tutto quello che è diverso o sociale. Gli economisti sono invece chiamati in causa perché “sbagliano le previsioni”, “hanno perso il contatto con la realtà” inseguendo troppo i loro modelli matematici e teorici, praticano il “mercatismo” 167 , “hanno troppo potere”, “sono incapaci di comunicare”, “hanno smesso di sognare” e di far sognare la gente168. I decisori politici e pubblici sono ritenuti colpevoli di mantenere la crisi a causa della loro eccessiva fiducia negli economisti e soprattutto nei guru di portata planetaria169, e 164 Cfr P. Bonazza “I banchieri non pagano mai il conto ma noi sì!” Sperling e Kupfer 2008, B. Scienza “Il risparmio tradito” edizioni libreria Cortina 2001 165 Cfr tra i tanti, C.Fishman “Effetto Wal-Mart: il costo nascosto della convenienza” Egea 2006 166 Cfr nota 159 e, tra i tantissimi, per opinioni un po’ più mirate, F. Ferrarotti, “Capitalismo: lusso o risparmio?”, A. Minucci “La crisi generale tra economia e politica: una previsione di Marx e la realtà di oggi” libri piccoli Voland, 2008, le opere del sociologo americano R. Sennett e soprattutto “La cultura del nuovo capitalismo” Il Mulino, 2006 167 La tendenza irrazionale al rimanere nel mercato era stata chiamata “mercatite” dallo studioso americano H. J. Wolf: il mercatismo è l’eccessiva fiducia nella capacità del mercato di risolvere i problemi economici. 168 Cfr R. Petrini, “ Processo agli economisti” Chiarelettere, 2009, le frasi tra virgolette sono i titoli dei capitoli del libro 169 Cfr A.Greenspan “L’era della turbolenza”, Sperling&Kupfer, 2007 56 dell’incapacità di assumere qualche posizione critica nei confronti delle ricette presentate come unica via possibile 170 e, di conseguenza, di non essere intervenuti con il dovuto rigore nelle speculazioni eccessive del mercato finanziario con le prevedibili ripercussioni antisociali171. C’è poi il tema del lato oscuro dell’economia: il sistema globale degli scambi subisce lo scacco di “forze economiche oscure” dotate di comune e propria volontà, che riescono ad inserirsi, per la connivenza o l’incapacità dei governanti, negli aspetti normali della vita quotidiana (strumenti di pagamento come le carte di credito, gioco d’azzardo legalizzato, vendite su internet di prodotti e servizi al di fuori delle pratiche di sicurezza sociale, etc), lucrando su comportamenti distruttivi e favorendo soprattutto il loro replicarsi con grave danno sociale (dalle dipendenze alle falsificazioni al contrabbando di prodotti)172. Anche gli evasori fiscali, argomento a noi più vicino, sono imputati di grave ammanco di PIL (si stima intorno al 7%): se tutti pagassero le tasse, lo Stato italiano incasserebbe 100 miliardi di euro in più all’anno 173 e sarebbe ovviamente meno indebitato. Tutti questi elementi possiedono sicuramente del vero, ma manca ancora un quadro interpretativo in cui ricomporli e soprattutto capace di fornire una direzione utile, pragmatica, frequentabile, con impatti direttamente attribuibili alle scelte operate. Ad esempio, è forse corretto dire che le ricette economiche più accreditate, alla fine, si riducono soltanto a due formule: 1. più spesa pubblica e crescita immediata con debito distribuito nel tempo 2. meno spesa pubblica e meno debito, con crescita affidata soprattutto alle forze di mercato Si rimbalza semplicemente dall’una all’altra, dando credito ora alla prima, ora alla seconda, sulla base della consistenza del debito. E’ probabilmente giusto anche affermare che la salvaguardia della stabilità monetaria sembra essere a volte irragionevolmente prioritaria rispetto al mantenimento della stabilità sociale, che è legata come si è visto alla redistribuzione del reddito e alla fornitura di servizi. Sacrificando una parte della stabilità monetaria, prima dell’euro si poteva ricorrere alla “rotellina” regolabile della svalutazione monetaria; ora ciò non è più possibile perché la moneta è un dato ambientale fisso. Non sarebbe almeno lecito chiedersi se questo sia sempre un bene, soprattutto in presenza di altre economie importanti (Cina, USA, etc) che fanno della svalutazione una misura politica utilizzata nello scambio internazionale per favorire le proprie esportazioni? 170 Cfr il cosiddetto “Washington Consensus” del Premio Nobel J. Stiglitz, termine con il quale si stigmatizza il fondamentalismo di mercato nascosto nell’identità di vedute espresso contemporaneamente dalla Casa Bianca, dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Banca Mondiale (WB) e dal WTO, l’organismo Onu dedicato agli scambi internazionali, cfr L. Manes, A. Tricarico “ La banca dei ricchi, perché la World Bank non ha sconfitto la povertà”, Altreconomia 171 Cfr J.K.Galbraith, “Breve storia dell’euforia finanziaria”, BUR, 1998, 172 Cfr L. Napoleoni, “Economia canaglia”, Il Saggiatore, 2008 173 Cfr R. Ippolito, “Evasori, chi come quando, l’inchiesta sull’evasione fiscale” Bompiani, 2008 57 Se possiamo dire che il sistema bancario è ingessato dalle politiche di conservazione del proprio patrimonio e dal bisogno di rastrellare guadagni su mercati finanziari dove è indotto, per ragioni di sopravvivenza e di sviluppo, ad assumere atteggiamenti di pura aggressività (tanto guadagno a fronte di alto rischio), perché non è possibile immaginare dei prodotti finanziari a metà fra i titoli di Stato e i fondi di investimento in cui l’indebitamento pubblico viene ricollegato e parametrato anche ai risultati operativi come avviene nella finanza ordinaria? Non si potrebbero strutturare meglio le proposte vicine ai cosiddetti “Social Impact Bonds” 174 in titoli finanziari più aggressivi in termini di guadagni ma anche più capaci di generare impatti, valutando il rischio in maniera responsabile? In questo modo, il sistema finanziario assumerebbe come proprio target le politiche pubbliche e non i fondi di “dubbio” investimento. Per quale ragione, in ultima analisi, lo Stato dovrebbe indebitarsi con i propri cittadini per essere in grado di fornir loro i servizi? Non sarebbe più proficuo studiare un indebitamento diverso, in base al quale la spesa possa essere agganciata in parte anche alle risorse costruite collettivamente ed i risparmi possano derivare ad esempio da prestazioni a titolo di credito fiscale da parte dei cittadini? È opportuno qui considerare il ruolo del Terzo Settore. Si è detto infatti che tra Stato e mercato esiste una terza parte, definita appunto “Terzo Settore” o settore non profit che opera direttamente a favore della società offrendo servizi che, di solito, vengono comprati a prezzi contenuti dallo Stato. Queste attività, svolte spesso da personale giovane ma con alto profilo di studi, sono esplose sul finire degli anni novanta ma, nei primi anni del nuovo secolo, hanno dimostrato la propria debolezza nell’incapacità di poter offrire una dimensione professionale riconoscibile e lavorativamente stabile nel tempo 175 . Il trend di creazione di posti di lavoro, che sembrava in crescita esponenziale e molto promettente176 , si è arrestato rapidamente con la crisi stessa man mano che la spesa pubblica veniva tagliata ad ogni giro di legge finanziaria. Non sarebbe interessante immaginare finanziamenti pubblici con i quali si pagano dei cittadini (con il rilevante risultato della creazione dei posti di lavoro) per occuparsi di problemi sociali costruendo degli asset finanziari pubblici e privati? Ad esempio, si potrebbero istituire dei fondi di gestione incaricati di finanziare le attività sociosanitarie o formativo/educative in cui la metà o più del portafoglio è pubblica e il resto è reso dal collocamento di titoli emessi dalle banche con varie strategie partecipative: i risparmi operati dal salvataggio di denaro pubblico non più impiegato per riparare danni o far fronte a sprechi potrebbero “ritornare” in termini di interessi pagati ai prestatori. Si tratta, quindi, di fare spazio alla creatività e a soggetti “nuovi” come quella forza sociale emergente che è maturata nel tempo e che è fatta di cittadini che vogliono partecipare alla cosa pubblica: il senso politico li allontana dai luoghi di potere e li 174 Detto anche “Pay for Success Bond” è uno strumento finanziario per la raccolta di finanziamenti privati da parte del pubblico: raggiunto l’obiettivo sociale, si realizza anche un risparmio da parte dell’ente pubblico che può così riconoscere gli interessi ai privati. 175 Cfr P. Tubaro “ Critica della ragion NonProfit: l’economia solidale è una truffa?” Edizione derive-approdi, 1999 176 A fine anni novanta, si stimava che almeno il 20% della forza lavoro italiana – e segnatamente i giovani – avrebbe trovato posto nel terzo settore. Cfr G. Barbetta “Nonprofit, nuovo attore del sistema economico, le dimensioni economiche del “terzo settore” in Italia e all’estero, quale crescita, quanta nuova occupazione, Impresa & Stato n° 3738 Camera di Commercio di Milano 58 porta ad occuparsi di problemi, cercando una risposta agli stimoli culturali che piovono a profusione per quella concatenazione di fattori (economici, politici, culturali, sociali) definita “globalizzazione”. Proprio la globalizzazione rappresenta la causa di questa nuova aggregazione sociale perché in essa rivestono ruolo primario le tecnologie (trasporti, comunicazione) che accelerano lo scambio culturale (l’acculturazione) e la condivisione di idee ad una velocità mai vista prima. Sembrerebbe anzi che la partecipazione stessa stia definendo un nuovo patto sociale: quello in cui lo Stato cessa di essere un’entità diversa dai cittadini, ad essi superiore nel loro stesso supremo interesse. In questa nuova realtà i cittadini smettono di essere degli assistiti passivi a vario titolo per diventare soggetti attivi in grado di scegliere i servizi, di costruirli, di proporli, soprattutto generando innovazione diffusa177. Forse siamo sulla soglia di un grande cambiamento di paradigma economico in cui sarà necessario cercare definizioni nuove: non sarà più necessario parlare di disoccupazione, - o più razionalmente non nei termini attuali- , se si riesce a generare occupazione in ambito sociale, ossia in quell’ambito in cui le imprese sociali, per loro natura più semplici in materia di tipologia di lavoro/intervento e di investimenti, diventano dei distributori di servizi offerti dallo Stato e generati localmente in risposta a precisi bisogni. In fondo, non mancano i problemi sociali di cui occuparsi, ma solo il modo di pagare il lavoro. Proprio a questo punto si rende necessaria una moneta diversa - che non può generare accumulo per non turbare il mercato finanziario vigente - dotata del solo compito di pagare le attività, cioè essere ceduta in riconoscimento della creazione del valore generato. Chi si occupa direttamente della società, necessariamente aiuta lo Stato: non potrebbe costui essere visto come un cittadino che ha diritto ad una tassazione diversa perché consente alla comunità di risparmiare? Non si semplificherebbero i rapporti in questo modo? Non potrebbe essere questo un modo interessante anche per trattare in parte il tema dell’evasione fiscale? La Moneta Complementare Pubblica dovrebbe essere emessa dallo Stato proprio in questo senso: soprattutto per riconoscere il valore prodotto dai cittadini. L’ammontare generale di questo valore, espresso anche in euro, potrebbe costituire il controvalore della MCP: la pressione fiscale stessa potrebbe essere regolata efficacemente tramite questa moneta i cui scambi con gli euro - tutti da studiare - potrebbero generare corsie economiche diverse ma complementari tra loro, come si è detto in più punti di questo libro verde. La MCP potrebbe essere, quindi, la moneta che lo Stato usa per far fronte ad una parte della propria spesa pubblica: essa viene impiegata per il pagamento della capacità lavorativa dei cittadini che operano nelle comunità di riferimento per generare impatti sociali misurabili in diretta risposta, ad esempio, ai multiformi problemi dovuti all’esclusione sociale. Di più: la MCP potrebbe costituire la rappresentazione circolante di un fondo di investimento raccolto a garanzia di attività sociali e gestito in modo tale da osservare un ampliamento del fondo con attività 177 Cfr G. Trincia, “il consumatore attivo, istruzioni per l’uso dei servizi pubblici e strumenti di tutela dei diritti” Editori riuniti 2003, R. Sennett, “Rispetto la dignità umana in un mondo di diseguali” Il Mulino 2003. 59 capaci di generare sviluppo oppure, in caso contrario, una progressiva diminuzione con la conversione della MCP in euro (come si è detto in altra parte). Anche in caso di totale fallimento, nessuno ci rimetterebbe nulla in modo diretto: non è questo un sistema molto migliore di gestire il denaro o la ricchezza pubblica rispetto a quello che osserviamo oggi? Si potrà obiettare che tutto questo è troppo teorico, che non ci sono evidenze rispetto al reale funzionamento e impatto di una MCP. Possiamo essere d’accordo sul fatto che la trattazione risulta al momento ancora ricca di aspetti teorici, mancando esperienze precedenti e dati di comparazione: tuttavia, se ci possiamo assumere la responsabilità di proporre idee nuove a patto di approfondirle ulteriormente e di sperimentare con tutte le cautele possibili, chi ha veramente il grado di libertà di non ascoltare e si può a propria volta assumere la responsabilità di non dare seguito a idee diverse, nuove e già in parte affermate e sperimentate che potrebbero, se non risolvere, almeno migliorare la condizione attuale in cui mancano soprattutto concrete prospettive di progresso? 60 61