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Bambini usciti dall`autismo. I Care, 2007, 4 116-121.

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Bambini usciti dall`autismo. I Care, 2007, 4 116-121.
Bambini usciti dall’autismo
Introduzione
Si può “guarire” dall’autismo?
Si può definire “ex autistico” un soggetto che non presenta più il corteo sintomatologico tipico di
questa patologia?
Veniamo subito al nodo della questione:
Se per autismo si intende corrispondere come quadro sindromico ai segueti criteri diagnostici:
- esordio entro i 30 mesi di età
- carenza globale di reattività nei confronti di altre persone
- deficit grossolani nello sviluppo del linguaggio
- forme espressive verbali, se presenti, caratterizzate da ecolalie, stereotipie, inversioni di
pronomi, enunciati incomprensibili
- reazioni bizzarre a vari aspetti dell’ambiente, come ad esempio resistenza ai cambiamenti,
interesse particolare o inusuale attaccamento per oggetti prevalentemente inanimati
- aggressività verso se stessi o verso gli altri (non nella totalità dei casi)
- mancato o inadeguato raggiungimento di altre abilità non verbali, quali le autonomie, i
comportamenti sociali, le capacità di adattamento,
l’estinzione dei sintomi elencati autorizza, di fatto, a definire “non più autistico” un individuo che
prima era come sopra descritto, ed ora non lo è più.
La contestazione sul termine “guarigione” può nascere nel momento in cui si vuol considerare come
guarigione l’estinzione anche del substrato anatomopatologico di una determinata sindrome.
Un diabetico che riesce a mantenere la glicemia sempre nei limiti e riesce quindi a non pagare in
termini di altre sofferenze e patologie le conseguenze del diabete, come deve essere definito? Un
balbuziente che cessa di balbettare perché riesce a mettere in pratica le strategie che ha appreso per
controllare la fluenza verbale, e pertanto, di fatto, non balbetta più, come deve essere definito? Sia
l’uno che l’altro, continueranno ad avere un pancreas endocrino ed un sistema extrapiramidale (o
cos’altro che provoca disfemia) alterati, eppure le manifestazioni cliniche delle loro affezioni non
sono più evidenti, e soprattutto non influiscono più in modo negativo sulla loro vita di relazione e,
più in generale, sulla loro qualità di vita.
Ora, sia pure con condizioni più complesse e sofisticate -dato che alla sua origine c’è una serie
molto complicata e numerosa di fattori- si potrebbe ragionare allo stesso modo per l’autismo.
Quale che sia la causa (o, ancor meglio, le cause) alla base dell’innesco e dell’esplosione di una
sindrome autistica, se un soggetto diagnosticato come autistico, ad un certo punto della sua vita non
manifesta più quei sintomi e si comporta come una persona normale, può essere considerato
“guarito”? Può essere definito “ex autistico”?
Naturalmente, se ci si può permettere il lusso di ragionare in questi termini, è perché innanzitutto
ci si è trovati e ci si continua a trovare di fronte a casi, peraltro in aumento, di bambini che in tempi
sia pur differenti, estinguono la sintomatologia autistica.
Gli aspetti della questione che meritano chiarimenti e approfondimenti al riguardo, possono essere
identificati nei seguenti punti:
Definizione diagnostica.
Tempestività e modalità di intervento.
Basi anatomopatologiche e/o altre manifestazioni e significato di danno organico.
Riscontro effettivo e verifica longitudinale dell’avvenuto superamento della sintomatologia.
Definizione diagnostica
Si è già detto dei criteri diagnostici per la definizione di autismo (come da DSM IV), elencati nel
paragrafo introduttivo. La prima fondamentale specifica che parla di “esordio entro i trenta mesi di
vita”, deve servire, tra l’altro, a sgombrare il campo da un odioso equivoco spesso innescato da
molti sanitari e parasanitari (in primis, i pediatri) che negano la possibilità di una diagnosi di
autismo “prima di una certa età”. Una simile affermazione, oltre a non corrispondere a criteri
diagnostici universalmente codificati e riconosciuti, risulta estremamente pericolosa, perché
impedisce alla famiglia del bambino per il quale sta per giungere una diagnosi precoce, di
avvantaggiarsi dei benefìci di un intervento tempestivo che, come ormai dimostrato, risulta il vero e
ancora unico modo per sperare di estinguere la patologia.
Va anche sottolineato che il completo dispiegarsi di un quadro clinico di autismo non avviene
immediatamente, ma pur sempre in un arco di tempo di alcuni mesi, per cui, anche in questo caso,
battere sul tempo lo stabilizzarsi di una certa sintomatologia indesiderata, identifica una saggia e
concreta forma di intervento precoce ai limti della prevenzione. Le verifiche longitudinali in molti
casi (purtroppo ancora la maggior parte) di autismo “esploso” a distanza di tempo (mesi per i primi
sintomi, e poi anni per il loro aggravarsi) dalle prime manifestazioni cliniche sottovalutate e non
immediatamente affrontate, confermano che i cosiddetti sintomi iniziali e sfumati, quasi sempre non
hanno nulla di benigno e transitorio, e solo quando combattuti immediatamente con gli opportuni
provvedimenti, possono estinguersi in tempi accettabili, ma non certo spontaneamente, come
sovente ed imprudentemente molti predicono rimandando l’appuntamento con l’inizio
dell’intervento abilitativo.
Quanto sopra specificato vuole servire, tra l’altro, a ribadire che non esiste un “troppo presto” per
diagnosticare una sindrome autistica. La diversa intensità e gravità delle manifestazioni cliniche
sarà poi l’effetto di una maggiore o minore entità del substrato anatomopatologico o soprattutto
dell’adeguatezza e della tempestività dell’intervento rimediativo.
Una diagnosi ed una conseguente presa in carico terapeutica precoce, rendono quindi più
concretizzabile una “uscita” dall’autismo, come confermato da esperienze vissute in quest’ottica di
tempestività, intensività e adeguatezza di intervento. Lo scetticismo che caratterizza ancora
l’atteggiamento di molti opinionisti non ben documentati nei confronti delle possibilità di recupero
di un autistico, affonda le sue principali radici nella negazione di una possibilità di diagnosi
precoce, e nella non conoscenza del significato e degli effetti di un trattamento un po’ diverso e più
lontano dagli schemi tradizionali che per lo più non accettano un modello di lavoro incalzante,
intensivo, multidisciplinare ma allo stesso tempo orientato verso la verbalità come obiettivo precoce
e prevalente.
Tempestività e modalità di intervento
La tempestività di intervento si è dimostrata, alla luce dei riscontri e delle conferme rilevati negli
anni successivi all’epoca di inizio del trattamento, un parametro fondamentale e determinante per
poter parlare in termini di “uscita” dall’autismo.
Le nostre casistiche indicano, attualmente, che il 100% dei bambini presi in carico (con le modalità
che stiamo per descrivere) entro i tre anni di età, ha raggiunto livelli di prestazionalità tali da non
avere più segni di autismo. E tale traguardo è risultato raggiungibile in un arco di tempo variabile da
due a quattro anni.
Iniziare un percorso abilitativo-riabilitativo oltre i tre anni di età non ha precluso e non preclude le
possibilità di uscire dallo spettro autistico, ma già non è più garantibile per la totalità dei casi
(sempre utilizzando come chiave di lettura la nostra personale casistica), avendo riscontrato la
concretizzazione di tale traguardo in un 60% circa dei casi avviati tra i tre ed i cinque anni al
trattamento come da nostro protocollo. Ciò vuol dire che il 60% dei bambini che hanno iniziato il
percorso terapeutico in tale fascia di età, ha raggiunto capacità cognitive, comportamentali, verbali,
sociali, non più definibili nello spettro autistico, mentre il restante 40%, pur migliorando sul piano
delle suddette categorie di abilità, ha tuttavia continuato a manifestare sintomi appartenenti al
quadro dell’autismo o comunque di una sindrome psicotica.
Nei casi in cui la presa in carico riabilitativa è iniziata oltre il compimento del quinto anno di età, i
recuperi con “uscita” dall’autismo sono stati sporadici, ma non per questo assenti.
Tempestività di intervento, dunque, come parametro in grado di modificare in misura significativa
l’incidenza in termini percentuali di estinzione della sintomatologia autistica, con evidente influenza
positiva dell’età di inzio del percorso abilitativo sulle possibilità di successo.
Quali modalità di intervento? Con quale tipo di lavoro abbiamo potuto parlare di “uscita
dall’autismo”?
L’attuale protocollo da noi adottato rappresenta il risultato (mai finale, naturalmente!) di una
progressiva evoluzione di un intervento di base essenzialmente foniatrico-logopedico, arricchitosi,
ampliatosi ed integratosi, col tempo e con l’esperienza, di afferenze culturali, scientifiche,
terapeutiche, esperienziali, di diversa matrice e provenienza, ma sempre e comunque inglobate ed
integrate nel modello base di matrice foniatrico-logopedica.
Una presa in carico diagnostica foniatrica con la definizione e la valutazione quali- quantitativa del
profilo comunicativo individuale, relativamente ai livelli impressivo-percettivo, cognitivointegrativo-decisionale, emotivo-relazionale-comportamentale, motorio-prassico-espressivo; ed un
intervento terapeutico abilitativo-riabilitativo logopedico definibile “a 360 gradi”, coinvolgente cioè
tutte le suddette componenti del profilo comunicativo, senza che nessuna venisse subordinata
all’altra, ma tenendo ben presente la necessità prioritaria (anche se non unica, ovviamente) di
privilegiare le funzioni prassiche in particolar modo orali e, contestualmente, verbali.
Dei capisaldi di tale modalità operativa, certamente il più rappresentativo è identificabile con il
principio del non rimandare mai l’inizio del lavoro sulla verbalità, indipendentemente dal riscontro
o dall’avvenuto raggiungimento di altre abilità, da tanti altri operatori considerate (erroneamente, a
nostro parere) propedeutiche al linguaggio.
Una tempestiva, intensa, continua induzione e stimolazione delle abilità verbali in tutti i loro aspetti
(dall’impostazione dell’articolazione, alla costituzione e arricchimento del lessico, alla
strutturazione frastica, al rispetto della pragmatica) si è dimostrata una delle premesse fondamentali
per ottenere l’acquisizione del linguaggio in bambini che se trattati differentemente, non avrebbero
raggiunto gli stessi risultati, come deducibile dal confronto con altri di pari età e patologia non
approcciati allo stesso modo.
Questo tipo di intervento si è modificato ed arricchito, nel tempo e con esperienze progressive,
attraverso una serie di aggiunte, integrazioni e trasformazioni, le più significative delle quali,
possono essere individuate nelle seguenti:
- Aumento del numero di sedute. Non più le classiche due o tre settimanali, ma almeno cinque
(minimo un’ora al giorno, generalmente dal lunedì al venerdì; ma a volte, o a periodi, anche
due e tre ore giornaliere).
- Reale e significativo coinvolgimento dei familiari e degli insegnanti e assistenti scolastici,
spesso invitati ad assistere alle sedute di terapia, al fine di riproporre nella quotidianità
domestica e scolastica, quanto svolto e indicato in terapia.
- Impiego di figure professionali anche diverse da quelle del logopedista, ma preventivamente
formate attraverso corsi teorico-pratici (almeno due anni di tirocinio all’interno del gruppo di
lavoro stesso), al fine di usufruire dell’apporto culturale, esperienziale e scientifico di
operatori differenti.
- Adozione di provvedimenti dietetici e di supporti nutrizionali e biomedici riconducibili nei
tratti essenziali in: dieta priva di glutine e caseina, somministrazione di integratori vitaminici e
di sali minerali (con particolare riferimento alle supplementazioni di alte dosi di vitamina B6,
magnesio, zinco) e probiotici intestinali ad elevato dosaggio; nonché ricorso ad interventi
disintossicanti, affidati a specialisti esperti del settore.
-
Continuo monitoraggio degli effetti dell’attuazione del protocollo, attraverso aggiornamenti
costanti tra le diverse figure coinvolte nella sua realizzazione, e rendiconto mensili (se
necessario anche settimanali o quindicinali) al foniatra coordinatore dell’attività.
Basi anatomopatologiche e/o altre manifestazioni e significato di danno organico.
Una sintesi del complesso concorrere di fattori predisponenti e scatenanti -peraltro non sempre
distinguibili nettamente gli uni dagli altri- in grado di dare avvio ad una sindrome autistica,
potrebbe consentirci di identificare in queste componenti fondamentali l’insieme dei fattori
etiologici attualmente noti ed accertabili:
- L’innesco genetico
- Cause genetiche e fattori acquisiti
- Alterazioni morfologiche del Sistema Nervoso Centrale
- Sostanze tossiche, intolleranze, sistema immunitario.
L’innesco genetico, che ci riporta a centinaia di geni cui riferirsi per definire una base ereditaria,
sarebbe, da solo, in grado di motivare una percentuale molto bassa di casi di autismo (da tre a
cinque su diecimila nascite), mentre per spiegare perché oggi si è giunti in tutto il mondo
industrializzato a contare trenta - trentacinque autistici ogni diecimila nati, occorre guardare altrove,
a tutti gli inquinanti ambientali, alimentari, farmacologici, in grado di alterare fortemente processi
di migrazione e sviluppo neuronale, organizzazione macroscopica e miscroscopica del sistema
nervoso centrale, sviluppo e funzionamento di neuromediatori, increzioni e funzionamenti
ormonali. Sono ormai migliaia gli studi che da ogni parte del mondo evidenziano danni a carico di
diverse strutture cerebrali e cerebellari, nonché alterazioni del sistema immunitario ed endocrino in
soggetti autistici. In questa sede ci interessa fare riferimento ad essi solo per ribadire e tentare di
chiarire ulteriormente il concetto di “danno organico”, che non può più essere ridotto alla semplice
constatazione di alterazioni macroscopiche cerebrali rilevabili con Risonanze Magnetiche o con
Tomografie Computerizzate. Pretendere di accertare o escludere un danno organico solo ricorrendo
alla diagnostica per immagini significherebbe ignorare l’esistenza ed il significato di danno
cellulare, neuromediatoriale, tossico, metabilico, immunologico.
Ciò premesso, e considerata anche la continua e veloce evoluzione di una scienza che scopre
sempre più numerose situazioni che possono essere definite come substrato anatomopatologico
delle sindromi autistiche, crediamo di poter affermare che al superamento ed alla risoluzione della
sintomatologia clinica dell’autismo possa solo in parte e solo in alcune situazioni corrispondere una
risoluzione della loro cosiddetta base organica. Il ripristino, ad esempio, di funzioni immunitarie,
ormonali e metaboliche precedentemente alterate e riscontrate all’insorgere della sintomatologia
linguistica, cognitiva e comportamentale, potrebbe non equivalere (almeno alla luce delle attuali
conoscenze e possibilità di indagine) alle modifche citoarchitettoniche e funzionali delle
minicolonne cellulari del lobo frontale che in alcuni autistici, sempre per rimanere in questo
esempio, sono strutturalmente e funzionalmente diverse rispetto a soggetti normali.
Vale a dire che, potendo solo in parte (peraltro ridotta) ipotizzare significative modifiche dei
substrati anatomopatologici dell’autismo, dobbiamo necessariamente dare alquanto per scontata la
persistenza sia pure parziale di alterazioni nervose centrali anche nei casi in cui la sintomatolgia
clinica risulta fortemente migliorata se non addirittura estinta, portandoci così a parlare di
“guarigione” o “superamento dell’autismo”.
Riscontro effettivo e verifica longitudinale dell’avvenuto superamento della sintomatologia.
Riteniamo sia utile e costruttivo riferire i contenuti delle osservazioni effettuate su bambini che
abbiamo definito “usciti dall'autismo”, sia perchè le notizie esistenti al riguardo sono ancora esigue
(in genere le cronache e la letteratura scientifica ci descrivono sempre l'autismo nelle sue piene
espressioni, o tutt’al più nei suoi albori sintomatologici), sia perchè noi operatori per primi abbiamo
bisogno di elaborare certi rilievi e confrontarci su di essi, per arricchire e aggiornare il più possibile
i nostri bagagli operativi e di conoscenze sull'argomento.
A scopo puramente esemplificativo e dimostrativo, riportiamo la descrizione sintetica di alcuni casi
clinici che possono contribuire, con l’analisi dei rispettivi contenuti, a spiegare il significato di ciò
che per noi può attualmente significare “uscire dall’autismo”.
G., anni 13, sesso maschile. Diagnosi di autismo e presa in carico foniatrico-logopedica a 3 anni.
Il ragazzo si esprime con il linguaggio verbale, frequenta la prima media con rendimento appena
sufficiente, ha una vita sociale e di relazione normale; a 11 anni ha preso anche la Prima
Comunione. Livello socioculturale medio-basso. Partecipazione della famiglia alla formazione del
ragazzo: solo la madre.
Caratteristiche delle attuali capacità linguistiche verbali espressive di G.:
- Livello fonologico nella norma. Non vi sono dislalie, tutti i fonemi sono articolati correttamente.
- Livello semantico-lessicale caratterizzato da un uso a volte inappropriato dei vocaboli, e da
difficoltà di reperimento del termine giusto corrispondente a ciò che il ragazzo vorrebbe esprimere.
- Strutturazione frastica adeguata per quanto riguarda costruzioni essenziali del tipo soggetto-verbocomplemento, ma con difficoltà subentranti quando è necessario rispettare le regole della
consecutio temporum e quindi utilizzare correttamente congiuntivi e condizionali. Nella
produzione spontanea (racconti, descrizioni), si rileva un’alternanza di momenti di sintesi adeguata,
ad altri in cui prevale il ricorso ad un eccesso di dettagli, talvolta talmente numerosi da rendere
difficile il mantenimento dell’attenzione di chi ascolta, verso i contenuti dell’enunciato.
- Difficoltà di controllo dell’intensità vocale, spesso elevata, peraltro in occasione di atteggiamenti
oppositivi e di disappunto.
S., anni 21, sesso maschile. Diagnosi di autismo e presa in carico foniatrico-logopedica a 5 anni.
Il ragazzo si esprime con il linguaggio verbale, sta concludendo gli studi superiori per entrare nel
mondo del lavoro come cuoco o cameriere. Ha una vita sociale e di relazione normale, partecipa (a
volte anche vincendo) a gare di nuoto. Caratterialmente è definito timido. Livello socio-culturale
medio. Partecipazione della famiglia alla formazione del ragazzo: la madre e la sorella, in parte
anche il padre.
Caratteristiche delle attuali capacità linguistiche verbali espressive di S.:
- Livello fonologico nella norma.
- Livello semantico-lessicale non particolarmente ricco di vocaboli sul piano espressivo.
- Strutturazione frastica adeguata per quanto riguarda costruzioni essenziali del tipo soggetto-verbocomplemento, ma con scarsa propensione all’espansione verso costruzioni sintattiche più
complesse.
- Intensità vocale solitamente bassa, tale da indurre a volte l’interlocutore a chiedere a S. di “alzare
la voce” per farsi comprendere meglio.
V., anni 9, sesso maschile. Diagnosi di autismo e presa in carico foniatrico-logopedica a 30 mesi.
Il bambino possiede un’espressione verbale ricca e forbita, a volte utilizza anche l’ironia. Frequenta
la terza elementare con rendimento definibile tra sufficiente e buono. Caratterialmente estroverso.
Livello socio-culturale medio-alto. Partecipazione di tutti i familiari alla realizzazione dei protocolli
terapeutici.
Caratteristiche delle attuali capacità linguistiche verbali espressive di V.:
- Livello fonologico nella norma.
- Patrimonio semantico-lessicale adeguato all’età, ricco di termini correttamente utilizzati, e a volte
anche di sinonimi.
- Strutturazione frastica nella norma per età e livello curriculare scolastico.
- Completa padronanza dell’espressione verbale, anche da un punto di vista relazionale-sociale.
L’ultima volta che V. è venuto a visita di controllo, attraversando la sala d’attesa nell’uscire dallo
studio, si è rivolto ai genitori degli altri bambini ed ha detto: “Tenete duro, ce la farete!”.
V., anni 5, sesso femminile. Diagnosi di autismo e presa in carico foniatrico-logopedica a 3 anni.
Forte componente ipercinetica con spiccato deficit attentivo. Inizialmente, all’assenza di linguaggio
si abbinava la preponderante e disturbante produzione continua di stereotipie fonatorie-verbali e
motorie, con capacità attentive ridottissime.
Livello socio-culturale alto. Partecipazione di quasi tutti i familiari (soprattutto una sorella ed un
nonno) alla realizzazione dei protocolli terapeutici.
Caratteristiche delle capacità linguistiche di V., dopo due anni di terapia:
- Livello fonologico migliorato; residuano alcune dislalie.
- Presenza di verbalità spontanea con vocabolario di circa settanta parole.
- Livello frastico soggetto-verbo-complemento.
- Presenza di emissioni verbali in eccesso, non contestuali, prodotte in modo quasi parallelo a quelle
referenziali e utili ai fini comunicativi; ma comunque il rapporto verbalità utile / verbalità stereotipa
non referenziale, si è capovolto a favore della verbalità utile, significativa e referenziale.
L., anni 11, sesso maschile. Diagnosi di autismo e presa in carico foniatrico-logopedica a 3 anni.
Il bambino possiede un’espressione verbale adeguata, ben gestita sul piano semantico e sintattico,
presenta difficoltà nel comprendere le metafore, le doppie simbolizzazioni, quindi le battute e le
barzellette. I grandi recenti progressi tuttavia gli hanno consentito una frequenza al catechismo alla
pari degli altri, e l’accesso alla Prima Comunione.
Livello socio-culturale alto. Famiglia fortemente collaborante.
Attuali caratteristiche delle capacità linguistiche di L.:
- Livello fonologico nella norma: nessuna dislalia, pronuncia completamente corretta.
- Livello semantico-lessicale sufficientemente soddisfacente; difficoltà nella comprensione e nel
reperimento dei sinonimi, difficoltà nella comprensione degli assurdi, dei paradossi e dei doppi
sensi.
- Livello di strutturazione frastica adeguato all’età ed alla classe frequentata (quarta elementare).
- Prosodia talvolta carente. Non rari sbalzi di tonalità della voce tra i parametri normali per l’età, e
valori leggermente superiori (quasi un falsetto).
- Tendenza ad utilizzare poco il linguaggio verbale, soprattutto i primi anni dopo aver cominciato ad
imparare a gestirlo. Con il trascorrere del tempo, la propensione ad usare la verbalità è aumentata in
misura esponenziale, ed oggi L. è un buon conversatore, molto più di quanto non lo fosse poco più
di un anno fa, a prescindere dalla buona competenza linguistica.
Indipendentemente dalle caratteristiche dei singoli casi esemplificativi che comunque ci è sembrato
utile accennare per delineare un profilo distintivo di quello che potremmo definire “l’ex autistico”,
ci sentiamo di affermare che l’estinzione di una sintomatologia fatta di isolamento, stereotipie,
mancanza di contatto oculare e di qualsiasi altra relazione con le persone, assenza o inadeguatezza
di linguaggio, eventuali manifestazioni di auto- o eteroaggressività, inadeguatezza dei
comportamenti sociali e adattivi, si possa considerare come uno stato di “cessato autismo”. Che poi
questi bambini o ragazzi presentino alcuni deficit linguistici (tali comunque da non compromettere
l’intellegibilità ed un uso ampiamente funzionale del linguaggio), rendimenti scolastici non brillanti
in alcune aree (linguistica per alcuni, logico-matematica per altri), piccole manifestazioni di
particolare interesse per determinati settori e discipline (il mondo animale, la geografia, per citare
esempi reali), non ci sembra affatto che si tratti di sintomi inquadrabili nello spettro autistico.
Considerazioni conclusive
La mancanza di descrizioni in letteratura di casi di soggetti definiti “usciti dall’autismo” e di termini
come “ex autistico”, riteniamo possa dipendere più da una mancanza di cultura di “guarigione”
dall’autismo, che non dalla mancanza di effettivi successi terapeutici, dei quali crediamo non essere
certo gli unici autori.
Per la maggior parte degli operatori del settore, autismo è ancora sinonimo di patologia
insuperabile, tant’è vero che sono stati coniati termini -che non condividiamo- del tipo “alto
funzionamento”, o la stessa cosiddetta Sindrome di Asperger, utilizzata come definizione-sinonimo
di autismo meno severo.
E allora perché non ragionare in questi termini? (Che è poi la nostra proposta di definizione di un
quadro clinico di “superata sintomatologia autistica”):
L’autismo è una sindrome ad insorgenza molto precoce (comunque entro i 30 mesi di vita), i cui
segni iniziali sono più sfumati di quanto non lo siano quelli di uno stato conclamato, ma non per
questo bisogna attardarsi ad aspettare l’esplosione peggiore per diagnosticarlo.
Quanto prima si interviene -e per noi intervenire significa, ovviamente, la messa in pratica del
nostro attuale protocollo- tanto maggiori e completi risultati si possono ottenere.
L’estinzione della sintomatologia autistica ed il raggiungimento di livelli di prestazionalità generale
e verbale rientranti in range di normalità possono essere definiti “guarigione” anche se il substrato
anatomopatologico (e ve ne sono tanti e diversi) che costituiva la base organica delle manifestazioni
cliniche, può non essere completamente cambiato.
M. Borghese
A. D’Ajello
S. Festante
P. Amodio
Centro Studio Diagnosi e Terapia dell’Autismo. Napoli. Milano
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