Aurelio Gentili - La transazione sull`obbligazione solidale
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Aurelio Gentili - La transazione sull`obbligazione solidale
Aurelio Gentili SOLIDARIETÀ E TRANSAZIONE NOTE SULL’ART. 1304 C.C. Sommario. 1. Due problemi della prassi trascurati dalla teoria: l’interpretazione restrittiva, le deroghe negoziali. – 2. a) L’interpretazione restrittiva (solo contitolarità per quote in base ad uno stesso titolo) della contitolarità che legittima a profittare della transazione. – 3.(segue): l’effettivo stato della giurisprudenza in materia e la mancanza di una presa di posizione sul punto. – 4. (segue): quale sia la ratio dell’art. 1304 c.c. – 5. (segue): la ratio non legittima interpretazioni restrittive. – 6. (segue): inconsistenza logica della tesi della diversità di titolo nella solidarietà dei fideiussori, assicuratori, accollanti, e simili. – 7. (segue): contraddittorietà della tesi della applicabilità dell’art. 1304 c.c. alla sola contitolarità per quote. – 8. b) Le clausole negoziali di esclusione della facoltà di profittare della transazione. – 9. (segue): la giurisprudenza pratica e teorica sul punto. – 10. (segue): la natura della facoltà di profittare, libertà o diritto? - 11. (segue): la natura dell’art. 1304 c.c., norma dispositiva o imperativa? – 12. Conclusioni. 1. – La facoltà di profittare della transazione1 stipulata da un sodale con la controparte, si estende a qualsiasi tipo di solidarietà2? Le parti della transazione possono escluderla? Sono domande che la prassi pone. Ma dottrina e giurisprudenza non hanno sinora risposto adeguatamente: la regola inserita ex novo nell’art. 1304 c.c. è un territorio poco esplorato dell’antica provincia delle obbligazioni. 1 Sulla transazione in generale v. G. Stolfi, La transazione, Napoli, 1931; S. Pugliatti, Della transazione, nel Commentario del cod. civ., diretto da m. D’Amelio e E. Finzi, Libro delle Obbligazioni, II, Dei contratti speciali, 2, Firenze, 1949, p. 448 ss.; E. Valsecchi, Transazione, nel Tratt. Cicu e Messineo, XXXVII, t. II, Milano, 1954, p. 139 ss.; F. Carresi, La transazione, nel Tratt. Vassalli, Torino, 1956; Id., Transazione (diritto vigente), in N.N.D.I., XIX, Torino, 1973, p. 481 ss.; P. D’Onofrio, Della transazione, in Comm. Cod. civ. Scialoja-Branca, BolognaRoma, 1959, p. 186 ss.; F. Santoro Passarelli, La transazione, Napoli, 1975; N. Visalli, La transazione, in Giur. Sist. Civ. e comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1980; E. Minervini, Della transazione, in Cod. civ. ann., a cura di P. Perlingieri, libro IV, Bologna-Napoli, 1991, p. 1607 ss.; E. Del Prato, La transazione, Milano, 1992; L.V. Moscarini, N. Corbo, Transazione. I) Diritto civile, in Enc. Giur., XXXI, Roma, 1994; A. Palazzo, Transazione, in Dig. Disc. Priv. – Sez. Civ., XIX, Torino, 1999, p. 386 ss.. Sulla transazione nei rapporti solidali v. G. Cerdonio Chiaromonte, Transazione e solidarietà, Padova, 2002. 2 Sulla solidarietà nei rapporti obbligatori v. in generale: P. Melucci, La teoria delle obbligazioni solidali nel diritto civile italiano, Torino, 1884; M. Allara, Delle obbligazioni, Torino, 1939; U. Salvestroni, Solidarietà d’interessi e d’obbligazioni, Padova, 1974; P. Rescigno, Obbligazioni, in Enc. Dir., XXIX, Milano, 1979, p. 133 ss.; A. di Majo, Obbligazioni solidali (e indivisibili), ivi, p. 298 ss.; F. D. Busnelli, Obbligazioni soggettivamente complesse, ivi, p. 329; C. A. Cannata, Le obbligazioni in generale, in Tratt. di dir. priv., diretto da P. Rescigno, 9, Torino, 1984, p. 3 ss.; C. M. Mazzoni, Le obbligazioni solidali e indivisibili, ivi, p. 589 ss.; A. Di Majo, Delle obbligazioni in generale, in Comm. Cod. civ., a cura di V. Scialoja e G. Branca, diretto da F. Galgano, Bologna-Roma, 1988; U. Breccia, Le obbligazioni, in Tratt. di dir. priv., a cura di G.Iudica e P. Zatti, Milano, 1991; L. Bigliazzi Geri, U. Breccia, F. D. Busnelli, U. Natoli, Diritto Civile, 3, Obbligazioni e contratti, Torino, 1992; M. Cantillo, Le obbligazioni, in Giur. Sist. Civ. e comm., fondata da W. Bigiavi, Torino, 1992; M. Orlandi, La responsabilità solidale, Milano, 1993; A. Chianale, Obbligazione, in Dig. Disc. Priv. – Sez. Civ., XII, Torino, 1995, p. 337 ss. Per contro, nella pratica non è infrequente che nei rapporti solidali, uno dei condebitori o dei concreditori ravvisi l’utilità di sistemare transattivamente il conflitto di interessi che lo lega alla controparte, attraverso accordi che apportano vantaggi e svantaggi. Ciò accade tanto più facilmente quando la sua solidarietà, soprattutto se passiva, trova fonte in situazioni più complesse della semplice concorrenza di più persone nell’obbligazione: la garanzia, la fideiussione, l’accollo, l’assicurazione, e simili. Avendo qui il soggetto, quantunque in solidarietà, una posizione propria, si rafforza in lui l’interesse ad una sistemazione ad hoc, strettamente personalizzata, del suo rapporto con la controparte. Sempre in tali casi, accade anche frequentemente che di quella soluzione ad hoc i contraenti siano gelosi, ed uno o entrambi la convengano sul presupposto che essa limiti a loro i suoi effetti, lasciandone fuori gli altri partecipanti alla solidarietà. A tale scopo vi inseriscono clausole che escludono la facoltà dei condebitori, o dei concreditori, di profittarne. La giurisprudenza3 finora ha per lo più ignorato questi casi; e nei pochi casi in cui si è pronunziata, si è contraddetta. La dottrina 4 vi dedica pochi cenni; acuti, ma che non vanno al fondo del problema. Di qui l’opportunità di soffermarvisi. Allo stato non è chiaro infatti, se la facoltà che il codice accorda investa qualsiasi tipo di solidarietà, o presupponga solo le classiche ipotesi di contitolarità per quote. Né, tranne pochi cenni, è stato chiarito se l’autonomia contrattuale possa legittimamente escludere, in qualche caso, in tutti i casi, o mai, gli altri titolari solidali dell’obbligazione. Va da sé che i problemi qui ricapitolati non esauriscono la casistica di quelli riconducibili alla norma. Ma offrono materiale sufficiente per una riflessione. Di cui non è l’ultimo vantaggio fornire qualche lume in più sulla disciplina della solidarietà. 2. – Al fine di escludere l’applicabilità a casi particolari dell’art. 1304 c.c., e quindi l’approfittamento degli effetti della transazione5, si argomenta spesso che la fattispecie legale presupporrebbe particolari requisiti, e non si estenderebbe ad ogni caso di solidarietà. L’art. 1304 c.c., infatti, secondo una tesi diffusa nella prassi, non regolerebbe tutte le ipotesi di solidarietà attiva o passiva, bensì solo quelle che derivino da uno stesso titolo, e solo se in virtù di esso la corresponsabilità debitoria risulti articolata per quote. Tale non sarebbe il caso della solidarietà tra debitore principale e fideiussore, o tra accollato non liberato e accollante, o tra assicurato ed assicuratore, e simili. Il primo pertanto non potrebbe profittare della transazione intervenuta tra il secondo ed il creditore. 3 Amplius infra, nei §§ ss. La letteratura non è abbondante. In tema v. essenzialmente D. Rubino, Delle obbligazioni, in Comm. Cod. civ., a cura di V. Scialoja e G. Branca, Artt. 12921313, Libro IV, 1961; G. Amorth, L’obbligazione solidale, Milano, 1959; M. Costanza, Obbligazioni solidali e transazione, Milano, 1978; G. Gitti, L’oggetto della transazione, Milano, 1999, p. 367, nt. 64; 5 Quali, per esempio, la riduzione del dovuto, la ristrutturazione del debito, la aggiunta o soppressione di accessori, clausole penali aggiunte o eliminate, rinuncia ad eccezioni, e simili. 4 Si tratta come si vede di una interpretazione restrittiva della lettera dell’art. 1304 c.c. Che nei suoi due commi, laddove subordina alla volontà di profittare della transazione l’estensione sia al condebitore sia al concreditore della sua efficacia, evidentemente accorda ad essi la facoltà6 di profittarne. Ma in ciò non introduce, almeno testualmente, alcuna restrizione; a parte l’ovvio onere per l’interessato di dichiarare la sua intenzione. Per giustificare quell’interpretazione restrittiva si introduce una distinzione tra tipologie di solidarietà, assumendo che essa sarebbe sottesa alla disposizione regolatrice. Si fa allora osservare che non tutte le sue fattispecie sono strutturalmente eguali. Altre sono quelle che si costituiscono in base ad uno stesso titolo, come accade nelle ipotesi basilari, in cui più soggetti concorrono per quote nel debito principale o nel credito. Altre quelle che si costituiscono in base ad un diverso titolo, come appunto i casi del fideiussore, dell’assicuratore, dell’accollante, ecc., in cui i soggetti vengono a trovarsi in rapporti di solidarietà solo grazie al concorso di titoli diversi, e per l’intero debito7. Fatta questa distinzione, si osserva che sebbene non sia nella lettera, sarebbe nella ratio dell’art. 1304 c.c. riferirsi alle prime ipotesi soltanto. Ciò perché in queste sole sussiste quell’omologia totale di situazioni giuridiche che giustifica lo strappo che la disposizione farebbe ai principi di autonomia contrattuale e di intangibilità della sfera giuridica del terzo, laddove consente anche a chi non abbia contratto la transazione, di profittarne. Questa deroga sarebbe ingiustificata invece nei casi in cui le posizioni dei contitolari solidali siano differenziate, in quanto derivanti da titoli diversi. A queste la norma, correttamente interpretata, non farebbe riferimento. Qui pertanto la transazione, in coerenza alle regole ordinarie, potrebbe valere solo tra le sue parti. A favore di questa costruzione sembrano deporre due precedenti giurisprudenziali. Anzitutto, una sentenza del Tribunale di Firenze8, nella cui statuizione si afferma che se l’obbligazione principale si estingue per effetto di un atto transattivo tra debitore e creditore, l’obbligazione fideiussoria si estingue anch’essa, senza bisogno che il fideiussore invochi l’art. 1304 c.c., perché la fideiussione attesa la sua accessorietà non sopravvive all’estinzione dell’obbligazione principale. 6 Diremo poi (infra, § 10) se si tratti oppure no di diritto soggettivo. Difficile immaginare casi riferibili al lato attivo dell’obbligazione. 8 Trib. Firenze, 25 luglio 1986, in Riv. it. Leasing, 1987, p. 248: “Posta la relazione di accessorietà che intercorre tra la fidejussione e l’obbligazione garantita, ne deriva che nel momento in cui quest’ultima rimanga estinta per effetto di un atto negoziale transattivo perfezionato dalle parti, viene meno la stessa causa dell’obbligazione di garanzia; ciò ancorché il fideiussore non abbia dichiarato di voler profittare degli effetti della transazione ex art. 1304 c.c., essendo tale norma operante soltanto con riferimento ai condebitori solidali dell’obbligazione principale”. 7 Quindi, la più recente ed autorevole pronunzia della Cass., 16 settembre 2004, n. 186529, secondo la cui massima10 l’estensione della transazione presuppone l’unicità del titolo in base al quale più soggetti sono tenuti ad una stessa prestazione. Non si trovano invece pronunzie esplicite di opposto segno. La dottrina, come anticipato, finora non ha esaminato la questione. Non resta dunque che cercare di risolverla attraverso l’argomentazione, a partire dai dati normativi e dai principi. 3. – Preliminare all’esame diretto della tesi oggetto di queste pagine è la ricostruzione dell’effettivo stato della giurisprudenza in materia. Ciò dirige l’attenzione verso l’effettivo decisum dei precedenti sopra citati, e verso gli argomenti attraverso i quali essi affrontano il problema. Il più antico precedente invocato a favore della tesi non è del tutto a proposito: vi si fa infatti questione non di estensione all’obbligazione principale della transazione sulla fideiussione, ma di estensione alla fideiussione della transazione sull’obbligazione principale. Non sappiamo perciò come il tribunale avrebbe ragionato nel caso inverso. Come che sia, va riconosciuto che nella statuizione della sentenza si trova un accenno su cui la tesi restrittiva può indubbiamente far leva. Vi si legge, infatti:“… essendo tale norma [art. 1304 c.c.] operante soltanto con riferimento ai condebitori solidali dell’obbligazione principale”. Domandiamoci allora: esso giustifica la tesi in esame? Una prima ragione per dubitarne è che è del tutto ambiguo: cosa esclude che il tribunale considerasse anche il fideiussore, o assicuratore, e simili, condebitori solidali dell’obbligazione principale, quali in effetti sono? Nulla nella specie costringe a pensare che si riferisse ai contitolari per quote del debito principale, e non ai garanti, accollanti, assicuratori e simili. Una seconda sta nel fatto che l’inciso sopra riportato è, con evidenza, un mero obiter dictum, e non la statuizione sul caso. La statuizione che la sentenza contiene davvero è l’automatica estinzione di una fideiussione relativa ad obbligazione venuta meno. E quell’obiter è anche del tutto superfluo nella logica del caso allora deciso: se – come lo stesso tribunale statuisce correttamente - la fideiussione si estingue quando la transazione estingue il debito principale, non c’è proprio ragione di considerare, invocare, applicare al caso, l’art. 1304 c.c11. 9 Cass., 16 dicembre 2004, n. 18652, inedita (ma v. Guida al Diritto, 2004, 46, p. 83): “L’estensione degli effetti della transazione conclusa con il creditore da uno dei debitori agli altri condebitori solidali, ai sensi dell’art. 1304 c.c., presuppone l’unicità del titolo in forza del quale più soggetti siano tenuti alla medesima prestazione nei confronti del medesimo creditore”. 10 La fattispecie però suscita perplessità sulla correttezza della massima. 11 La realtà è che il tribunale non sembra essersi posto realmente la questione: del resto come visto non ne aveva motivo. E dipende soprattutto dal modo in cui la massima è formulata l’impressione che il giudicante abbia inteso affermare l’inapplicabilità dell’art. 1304 c.c., laddove invece affermava solo la sua superfluità nel caso concreto, per una fideiussione che si estingueva da sé. Neppure la tesi in esame trova reale conforto nell’altro precedente invocato. Il vero significato della Cass., 16 settembre 2004, n. 18652 non è infatti quello che fa apparire la massima, ma – è importante sottolinearlo subito – esattamente il contrario: l’applicabilità, cioè, dell’art. 1304 c.c. alle c.d forme di solidarietà in base a diverso titolo. Lo conferma la lettura della sentenza e la considerazione del caso in essa affrontato. In quella controversia infatti si discuteva non già di inapplicabilità dell’art. 1304 c.c. ad obbligazioni solidali tali in base a diverso titolo, ma di inapplicabilità (ovvia) dell’art. 1304 c.c. ad obbligazioni non solidali12, facendo in tal modo applicazione di un principio ovvio, già in passato più volte affermato13; un principio che però è del tutto ininfluente ai fini del caso qui da decidere. Per converso, la sentenza è rilevante per la questione oggetto di queste pagine perché, rispetto ad obbligazioni solidali in base a “diverso titolo” (si trattava in essa del diverso titolo di responsabilità del direttore dei lavori e dell’impresa appaltatrice, in forza di diversi ruoli, fonti e rapporti, verso il comune) la Cassazione – contrariamente alla distinzione che l’interpretazione restrittiva dell’art. 1304 c.c. vorrebbe costruire – afferma (in astratto14) proprio l’estensibilità della transazione stipulata dall’uno all’obbligazione dell’altro. Parla, infatti, di ipotesi di obbligazione risarcitoria solidale del direttore dei lavori e dell’appaltatore verso il comune; ed è evidente che il direttore dei lavori è responsabile verso il committente in base ad un titolo che ha 12 Questa la fattispecie: in forza di vari contratti non rettamente adempiuti si erano distribuite tra un ingegnere quale direttore dei lavori e un’impresa appaltatrice, plurime obbligazioni risarcitorie verso un’amministrazione pubblica. Erano perciò state nel merito ipotizzate plurime responsabilità per danni verso l’amministrazione: alcune in capo all’ingegnere in via esclusiva, ed almeno una in capo a lui ma in rapporto di solidarietà con l’impresa. Quest’ultima era stata oggetto di transazione tra l’impresa e l’amministrazione. Invocata dall’ingegnere la transazione stipulata con l’amministrazione dall’impresa per l’unico caso di responsabilità anche su essa gravante, al fine di estenderla anche alle obbligazioni risarcitorie di cui egli era esclusivo titolare, la Suprema Corte giustamente esclude l’applicabilità dell’art. 1304 c.c.: “ ..una volta esclusa dalla corte territoriale la responsabilità del Raffin per i danni subiti dal comune in ragione dei vizi dell’opera, ipotesi nella quale poteva effettivamente ravvisarsi una obbligazione risarcitoria solidale del direttore dei lavori e dell’appaltatore nei confronti del committente, le rimanenti ipotesi di danno addebitate al Raffin …..costituiscono titolo d’obbligazione risarcitoria del tutto autonomo e distinto rispetto a quello o a quelli propri dell’appaltatore per altre cause…. onde non sussiste il presupposto per l’applicazione dell’art. 1304 c.c….”. 13 Cfr. ad es. Cass., 19 luglio 2002, n. 10564, in Rep. Foro it., 2002, Obbligazioni in genere [4500], n. 84: “La transazione produce i suoi effetti estintivi dell’obbligazione solidale nei limiti dell’obbligazione stessa e nei confronti di tutti i debitori solidali che dichiarano di volerne profittare, ma non si estende a quella parte dell’obbligazione non solidale perché dovuta esclusivamente da uno dei debitori per un diverso titolo; pertanto la transazione stipulata dal locatore con l’assicuratore della cosa locata non si estende all’obbligazione risarcitoria del conduttore, ai sensi dell’art. 1589 c.c., per la parte eccedente l’indennizzo assicurativo per la perdita o il deterioramento della cosa derivante da incendio”) 14 Nel concreto come detto non viene ravvisata responsabilità del direttore dei lavori per l’obbligazione risarcitoria, in cui egli si sarebbe trovato in solidarietà con l’impresa, e perciò non si danno i presupposti di solidarietà per l’applicazione dell’art. 1304 c.c., a prescindere dalla questione della sua portata. aspetti di autonomia rispetto al titolo in base al quale è invece responsabile l’appaltatore15. Si può dunque concludere che la tesi avversaria non trova affatto nella giurisprudenza quel fondamento e conforto che a prima vista poteva apparire acquisito, e dispensare dall’approfondimento. 4. – Il caso è perciò aperto. E l’interprete affidato ai consueti strumenti ermeneutici. Ora, per giustificare un’interpretazione restrittiva, occorre che la ratio di una disposizione limiti la portata della lettera. La verifica della tesi in esame passa allora per l’individuazione della ratio dell’art. 1304: se, cioè, il significato letterale appaia troppo ampio rispetto all’intenzione del legislatore. Qual era allora l’intenzione del legislatore quando ha dettato l’art. 1304 c.c.? La risposta è contenuta in modo esplicito nella Relazione del Ministro Guardasigilli al codice civile (n. 597): “La pluralità dei vincoli non esclude una comunione di interessi tra i coobbligati.( ….) Questa regola (…) si è manifestata più congrua alla realtà della vita: assai di frequente, là dove più debitori sono obbligati per un solo debito, essi sono legati intimamente da una comunione di interessi”. E’ dunque sulla base di questo principio di comunione di interessi, che vede i soggetti coinvolti parti di uno stesso rapporto, che nelle fattispecie di solidarietà il legislatore considera e regola unitariamente per tutti gli interessati gli atti con cui si dispone del rapporto solidale. In forza di ciò cancella nella disciplina dell’obbligazione solidale l’eventuale terzietà rispetto all’atto di un coobbligato (o concreditore) solidale, consentendo che gli atti degli uni propaghino i loro effetti agli altri. Ma ciò non può farsi – come espressamente si chiarisce16 - senza tener conto anche della possibilità che tali atti siano tanto giovevoli quanto pregiudizievoli: “Una serie di disposizioni testuali è precisamente ispirata dal principio, già cennato, della non comunicabilità degli atti pregiudizievoli e dell’estensione di quelli vantaggiosi [seguono gli esempi]. Si tratta però, in tali casi, di atti o di fatti di cui caratteristiche obiettive permettono di stabilire a priori se essi possono nuocere o giovare ai soggetti del rapporto. In altri casi invece tale accertamento non può compiersi in via preventiva; ed allora altra soluzione non vi era se non quella di escludere, in linea di massima, l'effetto estensivo, lasciando agli interessati la valutazione 15 Il direttore dei lavori infatti non è responsabile (solo) in forza dell’inadempimento del contratto di appalto (che pure costituisce il primo presupposto della sua responsabilità), ma (anche) del diverso rapporto che lo lega al committente e degli obblighi che in forza di esso su di lui gravano. E queste sue principali responsabilità sono di fonte legale, e non contrattuale come quelle dell’appaltatore. Si tratta dunque certamente di una responsabilità il cui titolo costitutivo si articola ed in parte si differenzia da quello dell’impresa. Ma questo non ha impedito alla Suprema Corte di ravvisare con la solidarietà nel debito risarcitorio la possibilità dell’estensione della transazione. Solo che (in concreto) la Corte disconosce che in quella specie il direttore dei lavori sia incorso davvero in responsabilità anche in quel caso in cui è coobbligato solidale; e così non ha ragione di estendergli la transazione stipulata dall’altro (l’appaltatore) per la propria responsabilità. 16 Cfr. la Relazione, n. 598. del proprio interesse e quindi la facoltà di opporre gli atti o i fatti in parola se li ritengano idonei a recare giovamento alla propria sfera. A questo criterio sono informate le norme degli articoli 1304 nel 1306, concernenti rispettivamente la transazione conclusa e la sentenza emessa nei confronti di uno dei debitori in solido. Il criterio è assoluto per la transazione, in alcuni casi è temperato per la sentenza”. La regola legale è dunque chiara: in ragione della comunione di interessi tra soggetti di un rapporto solidale gli atti dell’uno si propagano all’altro. Non essendo chiaro a priori se detti atti giovino o pregiudichino, è facoltà dell’interessato restarne fuori o appropriarsene gli effetti. Si noti che la Relazione relativamente all’art. 1304 c.c. non parla di imporre l’effetto estensivo, ma di “escluderlo”. Ed il perché è ovvio: l’effetto estensivo è del tutto normale tra parti di uno stesso rapporto, quali sono i soggetti in solidarietà agli occhi del legislatore. Ma bisogna escluderlo e subordinarlo alla volontà dell’interessato, per ottenere che gli effetti della transazione possano essere elusi dagli estranei all’atto (ma non al rapporto), se da essi giudicati pregiudizievoli. Questa dunque la ratio. In quanto l’obbligazione è solidale, i soggetti in solidarietà non sono reciprocamente terzi e come tali intangibili l’uno agli effetti degli atti dell’altro. Dunque si estendono ad essi, sempreché ritenuti giovevoli, gli effetti degli atti incidenti sul rapporto, quantunque essi non vi abbiano partecipato. La specialità del caso nasce dalla particolare posizione dei contitolari solidali nel caso di transazione dell’uno: essi sono infatti terzi rispetto all’atto e parti rispetto al rapporto di cui l’atto dispone. Si tratta perciò di contemperare il principio di solidarietà e il principio per cui nessuno può con la propria volontà pregiudicare legittimamente un altro soggetto. La soluzione escogitata è la rimessione alla volontà dell’interessato della scelta di profittare oppure no della soluzione transattiva. 5. – Acclarata la ratio non resta che confrontarla con i casi in esame. La Relazione è piuttosto chiara: l’area di operatività dell’art. 1304 c.c. è quella della solidarietà. Domandiamoci allora specificamente: di qualunque solidarietà? Il codice letteralmente non distingue fra tipi o titoli di solidarietà. Ma la ratio individuata si estende a tutti, o concerne solo alcuni, e segnatamente i casi di solidarietà per quote in base ad uno stesso titolo (e non invece per l’intero in base a titoli diversi)? Il principio che muove la disposizione a tale scopo introdotta nel codice del 1942 con l’art. 1304, è che la disciplina ivi adottata – e cioè la facoltà di ingresso nell’altrui transazione - operi fin dove si estende la comunione di interessi che è alla base di qualunque solidarietà. Per questo (è uno dei pochi punti pacifici in questa materia), correttamente la giurisprudenza esclude dalla portata della norma gli atti che, disponendo non in ordine al debito solidale ma all’interna quota, non sono in questa logica17. Ebbene, nelle ipotesi oggetto della tesi restrittiva (fidejussione, accollo, assicurazione, e via dicendo) si fa questione di transazione non su una quota, ma sull’intero debito. E poiché ciò incide sul comune interesse, è coerente alla ratio dell’art. 1304 c.c. che il debitore coobbligato ne possa profittare. Non sembra infatti convincente che in queste ipotesi non ricorra – come ricorre nei rapporti, per esempio, tra condebitori principali solidali per quote – quella intima comunione di interessi tra i coobbligati nonostante la pluralità dei vincoli che la Relazione al Re ci dichiara essere il motivo ispiratore della disposizione. A smentire sul piano tecnico – e non solo della politica legislativa, espressa dalla Relazione – l’idea che nei casi in discussione ricorra, per il c.d. diverso titolo18, una autonomia e separatezza delle posizioni soggettive, basta considerare che in essi come negli altri il contitolare solidale che resta formalmente terzo rispetto alla transazione è però in modo pieno parte del rapporto obbligatorio sul quale essa incide. Non sussiste dunque qui, come non sussiste per i condebitori principali solidali per quote, piena terzietà rispetto all’atto transattivo, perché sebbene non partecipi all’atto, l’interessato partecipa a pieno titolo al rapporto obbligatorio oggetto dell’atto, sempreché, come detto, questo non concerna solo l’interna quota ma l’intero (come è appunto il caso dell’assicuratore, del fideiussore, dell’accollante, del garante). Ne segue che tanto la struttura dei casi in esame, che vede una piena partecipazione del contitolare al rapporto a prescindere dal titolo della solidarietà (la diversa fonte produce uno stesso effetto), quanto la loro funzione, che esprime una piena partecipazione dei contitolari alla comunione esistente tra i soggetti in solidarietà, a prescindere dal diverso ruolo (la diversa posizione riconduce ad un comune interesse) confermano la pertinenza anche a questi casi della valutazione legislativa. Beninteso: la legge esprime il dover essere. Sarebbe dunque esatto osservare in contrario a quanto si è qui appena concluso sul punto, che 17 Da ultimo Cass., 27 marzo 2007, n. 7485, in Rep. Foro it., 2007, Obbligazioni in genere [4500], n. 94: “In tema di transazione, la disposizione di cui all’art. 1304, 1º comma, c.c., secondo cui la transazione fatta dal creditore con uno dei debitori solidali giova agli altri che dichiarino di volerne profittare, si riferisce soltanto alla transazione stipulata per l’intero debito solidale e non è quindi applicabile quando la transazione è limitata al solo rapporto interno del debitore che la stipula; in questo caso, infatti, si riduce l’intero debito dell’importo corrispondente alla quota transatta, con il conseguente scioglimento del vincolo solidale fra lo stipulante e gli altri condebitori, i quali pertanto rimangono obbligati nei limiti della loro quota (nella specie la suprema corte ha cassato con rinvio la sentenza della corte di merito perché aveva ritenuto che il ricorrente - chiamato a rispondere insieme ai rispettivi concessionari della simulazione di due diversi contratti di affitto agrario - non avendo dichiarato di volerne profittare, non poteva avvalersi della transazione, intervenuta tra gli attori ed alcuni degli altri convenuti, secondo cui i primi avrebbero proseguito il giudizio per la liquidazione dei danni ma rinunziavano a chiedere ai secondi - per la quota di debito degli stessi - il pagamento di quanto sarebbe stato loro liquidato dal giudice)”. Nello stesso senso Cass., 21 aprile 2006, n. 9369, ivi, 2006, Obbligazioni in genere [4500], n. 71; Cass., 18 aprile 2006, n. 8946, ivi, 2006, Obbligazioni in genere [4500], n. 72. 18 Sul punto amplius infra, § 6. spesso il contitolare solidale ha invece interessi personali che ne fanno divergere le valutazioni dagli interessi degli altri. Ma sarebbe anche del tutto ininfluente. Il codice ha compiuto una precisa scelta “politica”. Il cui senso è che nelle fattispecie di solidarietà ciò che accomuna fa aggio su ciò che divide. Cosicché la solidarietà sul piano dell’essere (trovarsi di fatto a condividere uno stesso rapporto obbligatorio) richiede solidarietà sul piano del dover essere (porre in comune, salva la facoltà di tenersi fuori, vantaggi e svantaggi). E’ proprio per evitare e rintuzzare gli opportunismi, certamente diffusi sul piano dei fatti, che è stato dettato l’art. 1304 c.c. 6. – A rincalzo delle ragioni della tesi restrittiva, viene portata come visto una duplice distinzione: da un lato tra solidarietà sulla base di uno stesso titolo e solidarietà sulla base di diverso titolo, dall’altro tra solidarietà per quote e solidarietà per l’intero. Se ne deriva l’idea che la diversità di titolo, instaurando una solidarietà per l’intero, si sottrarrebbe alla regola dell’art. 1304 c.c.: stante l’autonomo titolo della sua partecipazione solidale al rapporto, ogni contitolare avrebbe una posizione autonoma; non avrebbe dunque senso che potesse entrare, solo perché lo vuole, nella sua sistemazione transattiva un altro soggetto che concorre nel rapporto a diverso titolo. La tesi non regge alla verifica razionale: il suo presupposto è infatti solo apparente. La dimostrazione è semplice. La prima distinzione (stesso titolo/diverso titolo della solidarietà) a ben vedere è del tutto posticcia. Contiene infatti un errore logico: non può esistere solidarietà in base a titoli interamente diversi e separati. Nessuna solidarietà è infatti possibile se nel titolo costitutivo dell’obbligazione di ciascun coobbligato (tralasciamo qui per semplicità la solidarietà attiva, ma il discorso non sarebbe diverso) non entra anche il fatto costitutivo dell’obbligazione principale: il fideiussore è obbligato se e perché e finché esiste il debito; l’assicuratore se, perché e finché esiste la responsabilità dell’assicurato, e via dicendo. Nessuna solidarietà, dunque, è mai fondata su un titolo realmente estraneo al titolo del coobbligato solidale. Riguardo alla fattispecie costitutiva ogni caso di solidarietà esiste in base all’operatività nei confronti di tutti i coobbligati di uno stesso titolo. Il preteso “diverso titolo” cui si allude è solo l’ulteriore fatto accessorio che, al caso, estende a nuovi coobbligati il titolo originario e con esso il debito. La fideiussione è il fatto accessorio che estende al fideiussore il debito garantito. L’assicurazione è il fatto accessorio che estende all’assicuratore l’obbligazione per il sinistro assicurato. L’accollo il fatto accessorio che estende il debito all’accollante. L’ulteriore atto illecito di un diverso soggetto è il fatto accessorio che estende la solidale responsabilità per un unico danno prodotto dal concorso di più illeciti. L’obbligazione di questi coobbligati “a diverso titolo” esiste perciò in forza della causa dell’obbligazione principale: nessuno infatti può garantire un debito che non c’è, o coprire i costi di un sinistro non verificatosi, o accollarsi un debito inesistente o estinto, ecc. Il fatto accessorio serve solo ad estendere solidalmente l’obbligazione principale, che però dipende e continua a dipendere da uno stesso titolo. Sicché la solidarietà sussiste sempre in base allo stesso titolo: il fatto accessorio aggiunge un contitolare, ma della stessa situazione creditoria o debitoria. E’ astrattamente razionale che a diverso titolo possa conseguire diversa disciplina. Ma uno stesso essendo, in ogni caso di solidarietà, il titolo basilare dell’obbligo di ciascun coobbligato (il comune debito, il comune danno, ecc.), senza di che non ci sarebbe la solidarietà e ciascuna obbligazione scorrerebbe autonomamente, perché mai laddove l’obbligazione è estesa al coobbligato da un fatto accessorio bisognerebbe distinguere la disciplina dell’obbligo dell’uno da quella dell’obbligo dell’altro? Cosa differenzierebbe oggettivamente l’obbligazione originaria nel momento in cui un ulteriore fatto, come la fideiussione, o l’accollo, ecc., la estende ad un ulteriore coobbligato? Il titolo non è infatti diverso, ma solo più complesso perché ingloba accanto al fatto costitutivo dell’obbligazione originaria il fatto che la estende ad un nuovo coobbligato. E l’obbligazione estesa soggettivamente è assolutamente la stessa, non essendo neppure pensabile la solidarietà in obbligazioni diverse. Che la causa dell’atto accessorio che estende l’obbligazione si connoti per un tratto ulteriore (di garanzia, di assicurazione, di accollo, ecc.), che aggiunga regole particolari sulle eccezioni personali o sull’escussione e simili, non toglie l’unicità del titolo basilare della contitolarità di tutti i sodali. E’ dunque posticcia la distinzione che cerca di spezzare, almeno nei casi in discorso, il legame di solidarietà, agli effetti dell’ingresso nella transazione. E la giurisprudenza lo conferma quando in fattispecie strutturalmente inerenti alla casistica in esame, come quella del debito solidale dell’assicuratore e dell’assicurato per il sinistro, non ha dubbi sulla possibilità dell’assicurato di profittare della transazione dell’assicuratore19. 19 Cfr. Cass., 20 marzo 2001, n. 4005, in Arch. circolaz., 2001, p. 455: “Nel sistema dell’assicurazione della responsabilità civile automobilistica introdotto dalla l. n. 990 del 1969, in cui, in considerazione dell’azione diretta attribuita al danneggiato nei confronti dell’assicuratore, entrambi i debitori - assicuratore e danneggiante - sono obbligati in solido tra loro nei confronti del danneggiato, la transazione conclusa dall’assicuratore con lo stesso danneggiato non è automaticamente efficace nei riguardi dell’assicurato-danneggiante, giacché, in tema di obbligazioni solidali, l’art. 1304 c.c. stabilisce che la transazione tra il creditore ed uno dei condebitori produce effetto nei confronti degli altri solo se costoro dichiarano di volersene valere”; Cass., 2 agosto 2000, n. 10115, ivi, 2001, p. 20: “In materia di assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli, tra l’assicuratore, destinatario dell’azione diretta ex art. 18 l. 24 dicembre 1969 n. 990, e il danneggiante assicurato, destinatario dell’ordinaria azione risarcitoria prevista dall’art. 2054 c.c., sussiste un vincolo, ancorché atipico, di solidarietà passiva, entro il limite in cui le prestazioni sono identiche, quello cioè del massimale assicurato; consegue, che qualora intervenga una transazione sul danno tra il terzo danneggiato e l’assicuratore del danneggiante, l’effetto favorevole nei confronti del condebitore (assicurato) che dichiari di volerne profittare non potrà che manifestarsi negli stessi, identici limiti in cui opera la solidarietà, segnati dall’importo del massimale, ma non potrà mai estendersi alla quota di danno eccedente il massimale, in relazione alla quale esiste un unico e solo debito (illimitato), quello del danneggiante assicurato, che pertanto è il solo 7. - Né rafforza quella prima distinzione l’argomento introdotto dalla seconda distinzione che la tesi restrittiva propone, secondo cui l’art. 1304 c.c. entrerebbe in gioco solo quando sia prospettabile un debito per quote. Argomento arbitrario: perché mai se la solidarietà è per quote l’art. 1304 c.c. si applicherebbe, e se invece è per l’intero non si applicherebbe? Perché mai una diversa disciplina dei rapporti interni dovrebbe trascinare con sé una diversa disciplina dei rapporti esterni? Perché mai, insomma, il fatto che il fideiussore o l’assicuratore e simili si possa rivalere per intero sul debitore principale (il che poi non è necessariamente sempre vero e dipende dalle ragioni del loro rapporto interno), dovrebbe imporre che sia precluso al debitore principale di profittare della riduzione del debito transattivamente negoziata? Ma soprattutto argomento infelicissimo! Basti considerare che se una cosa è sicura nella materia dell’art. 1304 c.c., è che esso è applicabile quando la transazione è per l’intero20. E’ dunque proprio la divisibilità in quote, affievolendo la solidarietà, ad eludere in certi casi – esattamente all’inverso di quanto si sostiene da parte della tesi restrittiva - il principio dell’art. 1304 c.c.. Mentre, laddove si concorre e si transige per l’intero, la solidarietà è piena ed il principio della disposizione citata si applica senz’altro. Del resto, non ci vuol molto a capire che la solidarietà per l’intero è – si passi l’espressione – ovviamente più e non meno solidale di quella per quote. Ed è perciò contra tenorem rationis pretendere che una norma come l’art. 1304 c.c., tipica espressione della solidarietà, non valga proprio laddove la solidarietà esiste ed opera più incisivamente. L’interpretazione che restringe la facoltà di entrare nella transazione al contitolare solidale di una quota dell’obbligazione principale, che non trova reale fondamento nella giurisprudenza, non ne trova dunque neppure nella logica: la prima distinzione che la consentirebbe (titolo uguale/diverso) è insostenibile, la seconda (solidarietà per quote/per l’intero) va in direzione esattamente contraria. Solo una intenzione legislativa restrittiva avrebbe legittimato l’interpretazione restrittiva del senso letterale delle parole dell’art. 1304 c.c.; ma la ratio della disposizione è invece estensiva ed include razionalmente ogni caso di solidarietà, perché tutti chiedono il rispetto della comunione di interessi. 8. – Un ostacolo all’estensione della transazione stipulata da un contitolare dell’obbligazione ad altri contitolari, viene nella prassi spesso predisposto inserendo nell’atto transattivo apposite clausole di soggetto facultato a transigere con effetti che investano l’intero danno (nel caso di specie la corte ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto che la transazione stipulata dall’assicuratore con i danneggiati nei limiti del massimale fosse efficace anche rispetto all’assicurato)”. 20 Cfr. ancora Cass., 27 marzo 2007, n. 7485, cit.; nello stesso senso la dottrina: D. Rubino, Delle obbligazioni, cit., p. 271 ss. esclusione della facoltà dei contitolari dell’obbligazione rimasti estranei all’atto di profittare della transazione. Si pone così la questione della possibilità di escludere negozialmente l’applicabilità dell’art. 1304 c.c. Anche qui l’interprete manca del conforto di un’approfondita elaborazione del tema: poca e contrastante la giurisprudenza, scarsa e non molto analitica la dottrina21. Ma i termini essenziali della questione sono evidenti. Da un lato, a favore della validità delle clausole di esclusione dell’art. 1304 c.c. sta l’autonomia negoziale degli stipulanti. Il contitolare attivo o passivo del rapporto che transiga con la controparte può infatti invocare in duplice senso l’autonomia privata, come base e garanzia della sua libertà di limitare a sé ed agli altri contraenti gli effetti della transazione. In un primo senso, egli può effettivamente affermare che è principio del sistema la libertà di disporre il contenuto del contratto, e quindi la libertà di dotare la transazione di una clausola che precluda agli altri soggetti in solidarietà di profittarne. In un secondo senso, egli può affermare che è principio del sistema che res inter alios acta tertio neque nocet neque prodest, e dunque la transazione intercorre ed opera solo tra i contraenti, che nonostante la solidarietà sono, rispetto ai sodali rimasti estranei all’atto, dei terzi; e come tali sono liberi di determinarsi come credono, tenendo fuori dai loro accordi, da estranei quali sono, gli altri contitolari del rapporto. Dall’altro, contro la validità delle clausole di esclusione dell’art. 1304 c.c. sta l’osservazione che esse frustrano la solidarietà, disposta e voluta dalla legge, in quanto rendono lettera morta il precetto legale che, consentendo al sodale di profittare – se crede – della transazione, intende invece mantenerla attiva ed operante anche nella fattispecie transattiva. Escluderlo spezzerebbe il rapporto di solidarietà, dando alla posizione di ciascun contitolare una sorte separata e diversa. E questo è in contraddizione con la reale natura del rapporto, perché i contitolari dell’obbligazione, seppure rimasti estranei all’atto, in quanto parti del rapporto che esso regola non sono terzi, e dunque hanno un pieno diritto di partecipare, a meno che, giudicando non conveniente la transazione stipulata dagli altri, preferiscano tenersene fuori. La stessa ricognizione dell’alternativa costruttiva individua il criterio alla cui stregua è corretto scioglierla: l’art. 1304 c.c. è norma dispositiva o imperativa? il principio che lo anima, per sua natura ammette di essere derogato, perché semplicemente organizza la normalità dei casi ma non è intrecciato ad esigenze imprescindibili? o non lo ammette, perché è stato adottato legalmente proprio per vincolare alla solidarietà tutte le vicende dell’obbligazione, anche contro la volontà degli interessati? La risposta deve ovviamente tener conto del pur sintetico contributo dato sinora dalla giurisprudenza pratica e teorica. Ma la giurisprudenza in merito, che come detto è scarsa, è anche contrastante. La dottrina invece è sostanzialmente contraria alla 21 V. però E. Del Prato, op. cit., p. 50 ss.; G. Cerdonio Chiaromonte, op. cit., p. 259 ss. validità della clausola di esclusione. Da che l’utilità di un ripensamento dei termini del problema, soprattutto alla ricerca degli argomenti che evincano dalla logica delle scelte normative la regola del caso. 9. - Per suffragare la tesi della legittimità della clausola di esclusione della facoltà di profittare della transazione, si ricorre per solito a tre precedenti della Suprema Corte. Ma il primo, del 1943, è irrilevante in quanto ovviamente pronunziato sull’ancora non promulgato ed innovativo art. 1304 c.c. Ed il secondo, del 199122, che appunto ammette la deroga negoziale alla disposizione in questione, è rimasto a lungo isolato, e vivacemente criticato dalla dottrina23. Recentemente però la Cassazione è tornata ad ammettere (ecco il terzo precedente) l’esclusione convenzionale della facoltà accordata dall’art. 1304 c.c.24. In precedenza invece la Suprema Corte si era espressa in senso esattamente contrario a quanto disse nel 199125; e successivamente aveva confermato questo diverso orientamento, affermando l’impossibilità di precludere negozialmente al coobbligato di profittare della transazione26. Se ne ricava che il giudice di legittimità oscilla pendolarmente tra una tesi e l’altra, come accade quando gli argomenti in base ai quali decidere il caso non sono ancora bene a fuoco. Allo stato insomma, non è certo possibile risolvere il problema ratione auctoritatis. Ma, stando ai ragionamenti della giurisprudenza, nemmeno auctoritate rationis. Gli argomenti usati sono infatti piuttosto superficiali. Si richiama l’autonomia negoziale nella determinazione del contenuto del contratto prevista dall’art. 1322 c.c27. Ma qui il punto non è se le parti siano libere di determinare il contenuto del loro contratto, cosa in sé ovvia, ma se siano libere di farlo anche contro le 22 Cass., 19 aprile 1991, n. 4257, in Giur. it., 1991, I, 1, 1320: “La transazione avvenuta tra il creditore ed uno dei condebitore ha effetti nei confronti dei restanti obbligati in solido solo se risulta che tale era l’intenzione delle parti; l’accertamento della effettiva intenzione delle parti costituisce indagine di fatto affidata esclusivamente al giudice di merito”. 23 Cfr. G. Gitti, L’oggetto della transazione, cit., p. 367, nt. 64. 24 Cfr. Cass., 24 aprile 2007, n. 9901, in Giur. it., 2007, 2757: “Della transazione tra il creditore e uno o più obbligati solidali gli altri non possono giovarsi sia qualora venga inserita in essa una clausola di esclusione di tale possibilità, sia qualora la transazione non possa di per se stessa essere stipulata autonomamente se non con l’intervento di ulteriori condizioni”. 25 Cfr. Cass., 19 dicembre 1958, n. 3919, in Rep. Foro It., 1958, Obbligazioni in genere [4500], n. 150; Cass., 12 maggio 1978, n. 2327, in Rep. Foro it., 1978, Obbligazioni in genere [4500], n. 63. 26 Cass., 15 maggio 2003, n. 7548, in Rep. Foro it., 2003, Obbligazioni in genere [4500], n. 106: “Qualora intervenga una transazione tra uno dei condebitori solidali e il creditore, il condebitore rimasto estraneo ad essa può dichiarare, a norma dell’art. 1304, 1º comma, c.c., di volerne profittare; in questo caso, l’accordo transattivo spiega una efficacia diretta anche nei suoi confronti, senza che il creditore possa precludergli questa possibilità, in quanto non è applicabile alla fattispecie il disposto dell’art. 1411, 2º comma, c.c., che consente allo stipulante di revocare o modificare la stipulazione finché il terzo non dichiari di volerne profittare, in quanto il condebitore solidale non è terzo rispetto al rapporto oggetto di transazione”. 27 Cfr. Cass., 24 aprile 2007, n. 9901, cit., loc. cit. previsioni della legge. Il fatto è che nei precedenti più risalenti la questione non fu approfondita, e in quello più recente, relativo alla solidarietà nella responsabilità dell’amministratore verso la società, la questione della derogabilità dell’art. 1304 c.c. era condizionata dalla operatività nella specie dell’art. 2393 c.c., che impone la delibera assembleare per la validità della transazione. Sicché a ben vedere il caso da ultimo giudicato non era realmente significativo. Se volessimo fermarci ad argomenti ex auctoritate, basterebbe forse ricordare che la poca dottrina sul punto considera inderogabile l’art. 1304 c.c., e quindi esclude la validità delle clausole di deroga. La possibilità per coloro che transigono di escludere il diritto potestativo del coobbligato solidale di profittare della transazione era già stata disattesa dal primo degli autori che su di essa si erano soffermati dopo l’entrata in vigore del codice, e con esso di questa novità legislativa. Si era così affermato che: “Se risulta che oggettivamente si è voluto estendere la transazione all’intero debito, allora è nulla la clausola che, soggettivamente, voglia escludere una successiva adesione di altri creditori o debitori”28. A questa linea si è ispirata la letteratura successiva29. Ed ancor di recente si ripete che la facoltà prevista dalla legge a favore dei contitolari di profittare della transazione è un diritto soggettivo, come tale insuscettibile di essere escluso dal negozio dei terzi30 Ma per quanto autorevole la trattazione non è esaustiva. Indica due temi: derogabilità o meno dell’art. 1304 c.c.; natura di diritto potestativo della facoltà di profittare dell’altrui transazione. Ma non li esaurisce. Le pagine che seguono vanno dunque dedicate ad approfondirli. 10. - La tesi corrente nella prassi a favore delle clausole di esclusione presuppone ovviamente non solo che l’esclusione vi sia, ma che essa sia legittima. Il che a sua volta implica due cose: che due soggetti possano escludere la facoltà del terzo; che la norma dell’art. 1304 sia derogabile. La prima dipende essenzialmente dalla natura di quella facoltà: semplice libertà o diritto soggettivo? La seconda dalla natura della disposizione dell’art. 1304 c.c.. norma dispositiva o norma imperativa? Questo paragrafo è dedicato al primo punto. Il successivo al secondo. Come è evidente, si deve recisamente contestare che due soggetti estranei possano validamente sopprimere un diritto altrui. E’ invece del tutto ragionevole che possano tenere fuori dal loro accordo un estraneo, e che questi contro il loro consenso non possa penetrarvi. La questione della natura della facoltà del contitolare del rapporto rimasto estraneo all’atto di profittarne si intreccia così con il punto della terzietà o meno del contitolare solidale. L’argomentazione a favore della validità delle clausole di esclusione si fonda sul presupposto che il contitolare solidale sia un 28 Così testualmente D. Rubino, op. cit., p. 275 Così G. Amorth, L’obbligazione solidale, cit., p. 201, e M. Costanza, Obbligazioni solidali e transazione, cit., p.44. 30 G. Gitti, op. cit., p. 365. 29 terzo, e che quindi gli stipulanti la transazione possano non dare ad essa il carattere di contratto aperto e quindi tenerlo fuori dall’accordo. Tale presupposto però è erroneo. Il contitolare come visto non è terzo, perché è parte del rapporto, se non dell’atto. E perciò non si può transigere senza incidere potenzialmente anche la sua sfera. Precludendogli l’accesso all’accordo che governa un rapporto di cui anch’egli è parte si modificherebbe la sua posizione giuridica. Nulla quaestio per quegli effetti della transazione che la appesantiscono: da questi il contitolare si può tenere fuori, e proprio perché lo possa, non dichiarando di profittare, l’estensione non è automatica. Ma per quegli effetti che la migliorano, precludere l’estensione significa togliere al contitolare i benefici della solidarietà di cui egli gode, e quindi pregiudicarlo. Non si può pregiudicare (senza o addirittura contro la sua volontà) la posizione giuridica di un terzo, e men che meno si può pregiudicare (senza o addirittura contro la sua volontà) la posizione giuridica di un’altra parte del rapporto: vale nel nostro, come in ogni ordinamento, il principio per cui res inter alios acta tertio neque nocet neque prodest. Assumendo che il coobbligato ed il creditore possano escludere dai benefici della transazione fra loro intervenuta l’altro coobbligato, erroneamente ritenuto un terzo, si contraddice frontalmente questo principio: assumere la validità delle clausole di esclusione significa implicare che la res inter alios acta tertio nocere potest. Contro questo ragionamento sembrano profilarsi tre obiezioni. Si potrebbe anzitutto in contrario voler osservare che la tesi opposta (non potersi escludere il contitolare) incorrerebbe nella stessa difficoltà della tesi a favore delle clausole di esclusione, in quanto assevererebbe che la res inter alios acta tertio prodesse potest. Si potrebbe poi voler disinnescare la facoltà del contitolare di profittare osservando che in quanto terzo egli lo può solo se la transazione è a favor di terzo. Si potrebbe infine voler sfuggire all’argomento della solidarietà osservando che il coobbligato ed il creditore che transigono regolano solo il rapporto tra loro, estraneo al terzo coobbligato. Ma tutte e tre le obiezioni sarebbero erronee. Anzitutto, e quanto al primo punto (non poter il preteso “terzo” coobbligato profittare dell’accordo altrui), bisogna ripetere che il contitolare in solidarietà non è terzo, perché parte del rapporto cui la legge elargisce i benefici della solidarietà. Che non profitti automaticamente si deve – come detto - solo al fatto che la transazione contiene sia concessioni sia vantaggi, sicché tocca all’interessato stabilire se la ritenga giovevole ed allora ne voglia profittare. Ma se vuole non è in contrasto con il principio di intangibilità che egli possa. E’ dunque escluso solo che gli altri possano arrecargli pregiudizio con una transazione sfavorevole. Non è invece affatto escluso da quel principio che il coobbligato possa profittare degli effetti vantaggiosi degli atti degli altri. Quanto poi al secondo punto (la natura o meno della transazione di contratto a favor di terzo), va anzitutto ribadito che la tesi è insostenibile, perché come detto il contitolare solidale agli occhi della legge, stante la comunione di interessi, non è terzo ma parte del rapporto. Terzo rispetto all’atto, certo; ma parte del rapporto, che per il vincolo di solidarietà è rapporto inscindibile. Regolando con il loro atto il rapporto, gli altri dunque regolano qualcosa che ex se investe anche lui. Cosicché non c’è alcun bisogno che esprimano la volontà di stipulare “a favor di terzo”. Essendo il contitolare parte del rapporto e non terzo gli altri con il proprio atto regolano una situazione giuridica di per sé comune anche a lui. Non è perciò sostenibile che l’atto lo riguardi solo se gli si imprime carattere di atto a favor di terzo: lo è per natura. Sicché le altre parti non sono libere di regolare il rapporto tra loro escludendolo, se egli giudica giovevole l’atto e intende entrarvi. Ma quand’anche così non fosse, l’esito non cambierebbe, perché: a) nel nostro sistema per il terzo possono sempre valere gli effetti favorevoli; e b) qui il contratto di transazione, stante la solidarietà, è considerato dalla legge necessariamente a favor di terzo. E’ facile persuadersene. Il principio per cui res inter alios acta tertio neque nocet neque prodest nel nostro ordinamento notoriamente è inderogabile solo riguardo agli atti pregiudizievoli31. Riguardo agli atti giovevoli quel principio va invece rettificato: la verità è che il terzo profitta, ma può anche liberamente rifiutare. In tal senso è il contratto a favor di terzo, plurimi tipi contrattuali come l’assicurazione e altri, e la disciplina dell’acquisto del legato. E questo è proprio quanto vale nel nostro caso: il “terzo”, se tale è, può profittare. Quanto poi al favore per i “terzo”, basta leggere l’art. 1304 per capire che – ammesso che la legge non considerasse il contitolare parte e come tale legittimato a profittare, dandogliene facoltà darebbe comunque a vedere di considerare la transazione necessariamente aperta a lui e quindi a favor di terzo. Se anche insomma si ammetta la terzietà del contitolare, si deve ammettere anche a fronte dell’art. 1304 c.c. che la transazione è resa dalla legge a favor di terzo per gli effetti giovevoli. Quanto infine al terzo punto (l’inerenza della transazione al solo rapporto tra i contraenti), l’assunto è vero solo se coloro che transigono non regolano l’obbligazione, ma il regresso e le quote interne (ove esistenti). Ogni atto sull’intero, il suo regime, la sua esazione, le sue garanzie ed acccessori, le sue scadenze, il suo ammontare, le sue rate, le relative eccezioni, e quant’altro, incide sulla solidarietà. Il lettore potrebbe però pensare che il ragionamento svolto, pur rilevante, abbia scantonato dal punto: libertà o diritto? Non è così. E’ proprio per la duplice ragione della qualità del contitolare di parte del rapporto, se non dell’atto, e della scelta legale a favore della solidarietà, che la facoltà di profittare non può che essere un diritto. In particolare, un diritto potestativo; consistente nel potere di modificare la posizione giuridica dei contraenti profittando dei benefici della transazione. Solo il diritto infatti media la complessità della situazione. Esso consente di lasciar fuori dalle decisioni altrui il contitolare, come richiede il rispetto della sfera di un soggetto, per il caso di transazioni 31 E neppure in via assoluta: A. Maniaci, Il contratto a favore di terzi può comportare effetti sfavorevoli per il terzo?, in I Contratti, 2006, p. 1151 ss.. Dello stesso Autore si veda anche La transazione e i suoi elementi, in Foro pad., 2002, p. 319 s. non gradite; ma al contempo assicura, a garanzia della qualità di parte (sotto il profilo soggettivo) e della disciplina della solidarietà (sotto quello oggettivo) che attraverso il semplice potere della sua volontà il contitolare sia dentro l’atto, se lo vuole, come richiede il principio di solidarietà quando si tratti di benefici graditi. In sintesi: solo il diritto potestativo assicura che il contitolare sia dentro la fattispecie per i benefici e fuori per i pregiudizi. Che è appunto quanto la legge, ispirata alla comunione di interessi ma rispettosa della libertà, vuole raggiungere. La facoltà dell’art. 1304 c.c. è dunque un diritto, non una libertà. In tal senso si esprime d’altronde la giurisprudenza32. La facoltà del coobbligato di entrare nella transazione è quindi incontestabilmente un diritto potestativo. Ed un diritto non può essere conculcato dall’egoismo altrui. Già per la sola applicazione di questi principi la clausola con cui si voglia escludere da una transazione (cui l’interessato vuole aderire vedendola come un beneficio) una parte del rapporto, è perciò inefficace, o meglio inopponibile all’interessato. 11. - Ma il punto più rilevante circa la legittimità delle clausole in questione è un altro: la clausola della transazione che escluda la possibilità che altri obbligati o creditori solidali ne profittino, è nulla per violazione di norma imperativa, e come tale inderogabile. L’art. 1304 c.c. infatti non può essere inteso che come norma imperativa. Diversamente non avrebbe alcuna portata precettiva e si rivelerebbe norma per un verso pragmaticamente contraddittoria, e per l’altro perfettamente inutile. Aspetti, questi, non tenuti in alcun conto, e neppure considerati, dalla Cassazione, né nel suo lontano precedente 32 Cass., 23 febbraio 2005, n. 3747, in Rep. Foro it., 2005, Obbligazioni in genere [4500], n. 77: “La dichiarazione del condebitore di voler profittare della transazione stipulata con il creditore dal condebitore in solido ai sensi dell’art. 1304, 1º comma, c.c. non costituisce un’eccezione da far valere nei tempi e nei modi processuali ad essa pertinenti, bensì un diritto potestativo esercitabile anche nel corso del processo, senza requisiti di forma né limiti di decadenza”; Cass., 15 maggio 2003, n. 7548, ivi, 2003, Obbligazioni in genere [4500], n. 107: “La dichiarazione del condebitore solidale di voler profittare della transazione già conclusa tra altro condebitore e terzo costituisce esercizio di un diritto potestativo, e non manifestazione della volontà di concludere un contratto, e come tale può essere effettuata con libertà di forme anche dal procuratore del condebitore rimasto estraneo alla transazione, senza che occorra un mandato speciale, e può esser resa anche al procuratore alle liti del creditore (in applicazione di tale principio di diritto, la suprema corte ha ritenuto che, avendo il controricorrente dichiarato di voler profittare della transazione intervenuta tra la condebitrice compagnia di assicurazioni per la rca e il terzo creditore, il creditore non potesse poi agire in giudizio nei suoi confronti per ottenere la differenza tra la somma liquidatagli dal giudice di merito e la minor somma transatta)”; Cass., 29 gennaio 1998, n. 884, ivi, 1998, Obbligazioni in genere [4500], n. 64: “La dichiarazione di un condebitore di voler profittare della transazione intervenuta tra altro condebitore solidale e il creditore (art. 1304 c.c.), è un diritto potestativo che non ammette equipollenti - e perciò non può essere sostituita dalla rinuncia del creditore ad eccepirne la mancanza - ma può esser manifestata, senza termini di decadenza e requisiti di forma, anche in corso di giudizio”. Conforme, come detto, la dottrina. D. Rubino, op cit., p. 275; G. Gitti, op. cit., p. 365. citato, né nella sua pronunzia più recente. Aspetti che escludono definitivamente la legittimità delle clausole in esame. A tal fine cospira anzitutto la natura dell’effetto della disposizione in discorso: quella norma attribuisce come appena detto al contitolare un diritto soggettivo potestativo a profittare della transazione intercorsa tra le altre parti del rapporto. Ora, non è logico pensare che la legge conferisca ad un soggetto un diritto potestativo, cioè un diritto a modificare con la sola propria volontà l’altrui situazione giuridica, e poi subordini tale diritto alla volontà del soggetto in posizione di soggezione. Sarebbe una vera e propria contraddizione pragmatica! Se una regola della fattispecie concernente Tizio e Caio (qui, l’ambito di efficacia soggettiva di un atto) è fatta dipendere dalla volontà di Sempronio, è contraddittorio pensare che l’efficacia della volontà di Sempronio possa essere fatta dipendere dalla volontà di Tizio e Caio! Ne segue che già la natura dell’effetto giuridico dell’art. 1304 c.c. esclude che si possa interpretarlo come norma meramente dispositiva e quindi derogabile. Ma l’elemento decisivo è un altro. Se non fosse imperativa, la norma dell’art. 1304 c.c. sarebbe perfettamente inutile. Cosa aggiunge infatti essa a ciò che varrebbe comunque, quand’anche l’art. 1304 c.c. non fosse nel codice? Si consideri. La possibilità che ad una transazione fra Tizio e Caio aderisca Sempronio, coinvolto nel loro rapporto ed allora in qualche modo interessato al loro accordo, sussisterebbe anche senza l’art. 1304 c.c. Solo che richiederebbe, ovviamente, la volontà dei tre soggetti. Se allora il senso dell’art. 1304 c.c. fosse di consentire a Sempronio che lo vuole l’ingresso nella transazione di Tizio e Caio purché anche questi lo vogliano, l’art. 1304 c.c. sarebbe perfettamente inutile! Non farebbe che duplicare a vuoto qualcosa che è già nella legge. Esso dunque ha senso, ha una effettiva portata normativa ed una effettiva funzione nel sistema, coerente alla ratio della indissolubile comunione di interessi propria della solidarietà, se e solo se nei rapporti solidali impone il diritto di Sempronio di entrare nella transazione di Tizio e Caio, a prescindere dalla loro volontà. Ha, cioè, una effettiva portata normativa ed una effettiva funzione nel sistema, solo se è norma imperativa ed inderogabile, che non consente di precludere al coobbligato solidale di entrare nella transazione altrui solo perché gli altri egoisticamente non lo vogliono. Non è perciò in alcun modo sostenibile che le parti della transazione siano libere di escludere dai suoi effetti il coobbligato solidale che voglia profittarne. Una simile idea rende inutile la norma e contraddice il principio di indissolubile comunione di interessi che è invece la ratio della specifica disciplina della solidarietà. Se fosse lecito ad alcune delle parti del rapporto solidale modificarne transattivamente la regola, ed escludere le altre parti dalla modifica, che resterebbe di solidale? la solidarietà non sarebbe un istituto giuridico ma una burla a discrezione delle sue parti più egoiste. Se la norma è imperativa, è inderogabile. Se è inderogabile, la clausola contrastante è nulla. Occorre quindi riconoscere la nullità, oltre che l’inopponibilità, della clausola di esclusione della facoltà del contitolare di profittare a sua discrezione dell’accordo transattivo33. 12. – Le conclusioni qui raggiunte contraddicono tendenze largamente invalse nella prassi, per i risparmi di costi che producono a favore di chi fa ricorso agli strumenti negoziali coinvolti nei casi qui trattati. Questo potrebbe essere un grave argomento contro di esse agli occhi di quegli orientamenti che consigliano di dedurre il diritto dalla spontaneità del mercato, o di adeguarlo alle soluzioni meno costose. Checché ne sia, sarebbe questione più di politica del diritto che di interpretazione: a ragionarla, come visto, la questione si chiarisce, e la soluzione risulta imposta dalla logica attuale del sistema. Certo, esso potrebbe avere un’altra logica, la logica del mercato, la logica della prassi, la logica dell’economia. E’ questa la questione di politica del diritto, e il mero interprete deve, come tale, lasciarla irrisolta. Ma non senza osservare che se valesse il mercato, la prassi, l’economia, il diritto non sarebbe stato inventato. 33 Nello stesso senso E. Del Prato, op. cit., p. 50 ss.; G. Cerdonio Chiaromonte, op. cit., p. 259 ss.