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Passando sopra un ponte di Sandro Penna (1971)

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Passando sopra un ponte di Sandro Penna (1971)
Alla scoperta dell’Italia
Itinerario nelle regioni italiane
nei versi di grandi poeti
Workshop for Teachers of Italian Language and Culture
CCSU – 8 MARZO 2014
Presenter: Mirtilli Morgana
STUDIO ARCOBALENO Training&Education
LOMBARDIA
Passando sopra un ponte
di Sandro Penna (Perugia 1906 – Roma 1977)
Passando sopra un ponte
alto sull'imbrunire
guardando l'orizzonte
ti pare svanire.
Ma la campagna resta
piena di cose vere
e tante azzurre sfere
non valgono una festa.
imbrunire: verso la sera. Bruno = scuro
svanire: scomparire
azzurre sfere: stelle in cielo
Nel paese di mia madre
di Ada Negri (Lodi 1870 – Milano 1945)
Nel paese di mia madre v’è un campo quadrato, cinto di gelsi.
Di là da quel campo altri campi quadrati cinti di gelsi.
Rogge scorrenti vi sono, fra alti argini, dritte, e non si sa dove vanno a finire.
Nel paese di mia madre v’han ponti di nebbia, che il vespro solleva da placidi fiumi:
varca il sogno quei ponti di nebbia, mentre le rive si stellan di lumi.
Pioppi e betulle di tremula fronda accompagnan de l'acque il fluire:
quando ne’ rami s'impigliano gli astri, in quella pace vorrei morire.
Nel paese di mia madre un basso tugurio sonnecchia sul limite della risaia,
ronzano mosche lucenti, ghiotte, intorno a un ammasso di concio.
Possanza di morte, possanza di vita, nell'odore del concio: ne gode
la terra dall' humus profondo, sotto la vampa d'agosto che immobile sta.
Nel paese di mia madre, quando il tramonto si insanguina obliquo sui prati,
vien da presso, vien da lontano una canzone di lunga via:
la disser gli alari alle cune, gli aratri alle marre, le biche all'aie fiorite di lucciole,
vecchia canzone di gente lombarda: "La Violetta la vaaa la vaaa".
rogge: canali di irrigazione
concio: stallatico, letame
NOTE:
Madre: Vittoria Cornalba
nata a Robecco d’Oglio (Cremona)
Brina e neve
di Ada Negri (Lodi 1870 – Milano 1945)
Nel silenzio di ghiaccio, fra il candore
della ramaglia ch’è tutta un rabesco
D’argento sul grigior basso del cielo
(esili fiocchi di novella neve
danzan nell’aria, ma non toccan terra),
or sì or no mi giunge un cinguettio
di passeretta. Garrulo qual filo
d’acqua fra sassi: acuto e solo, nella
immacolata fissità del giorno.
rabesco: arabesco
garrulo: allegro, gioioso
Mezzogiorno alpino
di Giosuè Carducci (Valdicastello, Lucca 1835 – Bologna 1907)
Nel gran cerchio de l’Alpi, su ‘l granito
Squallido e scialbo, su’ ghiacciai candenti,
regna sereno, intenso ed infinito
nel suo grande silenzio il mezzodi’.
Pini ed abeti senza aura di venti
Si drizzano nel sol che gli penetra,
sola garrisce in picciol suon di cetra
l’acqua che tenue tra i sassi fluì.
granito: roccia durissima
garrisce: mormora
Milano
di Davide Rondoni (Forlì 1964)
Quante volte, Milano
Dalla mia terra più dolce
Sono arrivato davanti al tuo volto
Piatto, senza respiro
Devo scordarmi quel tuo nero, Milano,
e il vaniloquio del traffico
sotto l’acqua, e il giorno, e l’ora
scoprire che non c’era
né diritto né speranza, e neanche
amore, ma furore, solo dolce
e demente furore.
VENETO
Ultime lettere di Jacopo Ortis
di Ugo Foscolo (Zante 1778 – Londra 1827)
13 maggio 1798 Colli Euganei
Su la cima del monte indorato da’ pacifici raggi del sole che va mancando, io mi vedo
accerchiato da una catena di colli su’ quali ondeggiano le messi e si scuotono le viti
sostenute in ricchi festoni dagli ulivi e dagli olmi... Di sotto a me le coste del monte
sono spaccate in burroni infecondi fra i quali si vedono offuscarsi le ombre della sera
che a poco a poco si innalzano.
La Toscana 25 settembre 1798
La Toscana è tutta quanta una città continuata e un giardino, il popolo naturalmente
gentile; il cielo sereno; e l’aria piena di vita e di salute.
Ventimiglia 19, 20 febbraio 1799
Là giù è il Roia, un torrente che quando si disfanno i ghiacci precipita dalle viscere
delle Alpi..... Alpi di neve che si immergono nel cielo e tutto biancheggia e si
confonde..... da quelle spalancate Alpi cala e passeggia ondeggiando la tramontana e
per quelle fauci invade il Mediterraneo, la natura siede qui solitaria e minacciosa.... i
tuoi confini Italia sono questi.
FRIULI-VENEZIA GIULIA
Trieste
di Umberto Saba (Trieste 1883 – Gorizia 1957)
Trieste ha una scontrosa
Grazia. Se piace,
è come un ragazzaccio aspro e vorace
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore:
come un amore
con gelosia.
Da quest’erta ogni chiesa, ogni sua via
Scopro, se mena all’ ingombrata spiaggia,
o alla collina cui, sulla sassosa
cima, una casa, l’ultima, s’aggrappa.
Intorno
Circola ad ogni cosa
Un’aria strana, un’aria tormentosa,
l’aria natia.
La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.
San Martino del Carso
di Giuseppe Ungaretti (Alessandria d’Egitto 1888 – Milano 1970)
Di queste case
non è rimasto
che qualche brandello di muro
di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto.
Ma nel mio cuore.
nessuna croce manca
è il mio cuore
il paese più straziato.
imbrunire: verso la sera. Bruno = scuro
svanire: scomparire
azzurre sfere: stelle in cielo
LIGURIA
Liguria
di Vincenzo Cardarelli (Tarquinia 1887 – Roma 1959)
E’ la Liguria una terra leggiadra.
Il sasso ardente, l’argilla pulita,
s’avvivano di pampini al sole.
E’ gigante l’ulivo. A primavera
appar dovunque la mimosa effimera.
Ombre e sole s’alternano per quelle fonde
valli che si celano al mare,
per le vie lastricate che vanno in su,
fra campi di rose, pozzi e terre spaccate,
Costeggiando poderi e ville chiuse.
In quell’arida terra il sole striscia
Sulle pietre come un serpe.
Il mare in certi giorni
È un giardino fiorito.
Reca messaggi il vento.
Venere torna a nascere
ai soffi del maestrale.
O chiese di Liguria, come navi
disposte ad essere varate!
O aperto ai venti e all’onde
liguri cimiteri!
Una rosea tristezza vi colora
quando di sera, simile a un fiore
che marcisce, la grande luce
si va sfacendo e muore.
leggiadra: armoniosa
effimera: di breve durata
Genova
di Giorgio Caproni (Livorno 1912 – Roma 1990)
Mia Genova difesa e proprietaria
Ardesia mia arenaria.
Le case così salde nei colori
A fresco in piena aria,
è dalle case tue che invano impara,
sospese nella brezza
salina, una fermezza
la mia vita precaria.
Genova mia di sasso. Iride. Aria.
Ho attraversato tutta la città.
Poi ho salito un’erta,
popolosa in principio, in là deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo: e mi pare che dove esso termina
termini la città.
difesa: che mi difendi
proprietaria: che mi possiedi
Meriggiare pallido e assorto
di Eugenio Montale (Genova 1896 – Milano 1981)
Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, fruscii di serpi.
Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch'ora si rompono ed ora si intrecciano
a somme di minuscole biche.
Osservare tra fronde il palpitare
veccia: pianta rampicante
lontano di scaglie di mare,
biche: piccoli cumuli di terra
mentre si levano tremuli scricchi
picchi: cime
di cicale dai calvi picchi.
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia, com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia
Maestrale
di Eugenio Montale (Genova 1896 – Milano 1981)
S’è rifatta la calma
nell’aria: tra gli scogli parlotta la maretta.
Sulla costa quieta, nei broli, qualche palma,
a pena svetta.
Una carezza disfiora
La linea del mare e la scompiglia
Un attimo, soffio lieve che vi s’ infrange e ancora
Il cammino ripiglia.
Lameggia nella chiaria
La vasta distesa,
s’increspa, indi si spiana beata
e specchia nel suo cuore vasto codesta povera mia
vita turbata.
O mio tronco che additi, in questa ebrietudine tarda,
ogni rinato aspetto coi germogli fioriti
sulle tue mani, guarda:
sotto l’azzurro fitto
del cielo qualche uccello di mare se ne va;
né sosta mai: perché tute le immagini portano scritto:
“più in là”.
broli: giardini
lameggia: brilla
con chiarori di lama
EMILIA-ROMAGNA
San Petronio
di Giosuè Carducci (Valdicastello Lucca 1835 – Bologna 1907)
Nella piazza di San Petronio
surge nel chiaro inverno la fosca turrita Bologna
e il colle sopra bianco di neve ride.
È l’ora soave che il sol morituro saluta
le torri e ‘l tempio, divo Petronio, tuo;
surge: si erge, si innalza
divo Petronio: San Petronio
le torri i cui merli tant' ala di secolo lambe,
colle: San Michele in Bosco
e del solenne tempio la solitaria cima.
lambe: sfiora
fosca: rosso cupo
La mia sera
di Giovanni Pascoli (San Mauro di Romagna 1885 – Bologna 1912)
Il giorno fu pieno di lampi,
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c'è un gre gre gre di ranelle.
Le tremule foglie dei pioppi
trascorre una gioia leggera.
Nel giorno, che lampi che scoppi!
che pace, la sera!.
ranelle: rane.
Ravenna
di Gabriele D'Annunzio (Pescara 1863 – Gardone Riviera 1938)
Ravenna, glauca notte rutilante d’oro,
sepolcro di violenti custodito, da terribili sguardi,
cupa carena grave d’un incarco
imperiale, ferrea construtta
di quel quel ferro onde il Fato
è invincibile, spinta dal naufragio
ai confini del mondo,
sopra la riva estrema!
Ti loderò pel funebre tesoro
ove ogni orgoglio lascia un diadema.
rutilante: rosseggiante, usato per analogia con
il brillante e colore d’oro dei mosaici
sepolcro: Mausoleo di Teodorico
incarco: incarico imperiale di Roma
Paesi
di Corrado Govoni (Ferrara 1884 – Roma 1965)
Esplodon le simpatiche campane
D’un bianco campanile, sopra i tetti
grigi; donne, con rossi fazzoletti,
cavano da un rotondo forno il pane.
Ammazzano un maiale nella neve,
tra un gruppo di bambini affascinati
dal sangue, che, con gli occhi spalancati,
aspettan la crudele agonia breve.
Gettan i galli vittoriosi squilli.
I buoi escon dai fienili neri;
si spargono su l’argine tranquilli,
scendono a bere, gravi, acqua d’ argento.
Nei campi, rosei, bianchi, i cimiteri
sperano in mezzo al verde frumento.
MARCHE
Infinito
di Giacomo Leopardi (Recanati 1798 – Napoli 1837)
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando,
interminati spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni e la presente
e viva , e il suon di lei. Così tra questa
colle: monte Tabor
immensità s’annega il pensier mio:
ermo: solitario
interminati: senza confini
e il naufragar m'è dolce in questo mare.
fingo: raffiguro
TOSCANA
San Martino
di Giosuè Carducci (Valdicastello (Lucca) 1835 – Bologna 1907)
La nebbia agl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;
ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odore dei vini
l'anime a rallegrar.
Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l’uscio a rimirar
tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar.
irti: coperti di alberi spogli
borgo: parola germanica entrata
nel latino nel IV secolo d.C.
aspro: pungente
ceppo: grosso pezzo di legno
vespero: vespro, ora del tramonto
Davanti a San Guido
di Giosuè Carducci (Valdicastello (Lucca) 1835 – Bologna 1907)
I cipressi che a Bolgheri alti e schietti
van da San Guido in duplice filar,
quasi in corsa giganti giovinetti
mi balzarono incontro e mi guardar.
..................
NOTE
San Guido: oratorio vicino a
Bolgheri.
La tenzone
di Gabriele D’Annunzio (Pescara 1863 – Gardone Riviera 1938)
O Marina di Pisa, quando folgora
il sol leone!
Le lodolette cantan su le pratora
di San Rossore
e le cicale cantano su i platani
d’Arno a tenzone.
Come l'Estate porta l'oro in bocca ,
l'Arno porta il silenzio alla sua foce .
Tutto il mattino per la dolce landa
quinci è un cantare e quindi altro cantare:
tace l' acqua tra l'una e l'altra voce
E l'estate or si china da una banda
or dall'altra si piega ad ascoltare.
E' lento il fiume, il naviglio è veloce.
La riva è pura come una ghirlanda.
pratora: prati.
landa: campagna.
Meriggio
di Gabriele D'Annunzio (Pescara 1863 – Gardone Riviera 1938)
A mezzo il giorno
sul mare Etrusco pallido
verdicante
come il dissepolto bronzo
dagli ipogei grava la bonaccia.
Non bava di vento
intorno alita.
Non trema canna
su la solitaria spiaggia
aspra di rusco, di ginepri arsi.
Non suona voce, se ascolto.
Riga di vele in panna
verso Livorno biancica.
Pel chiaro silenzio
il Capo Corvo
l’isola del faro scorgo;
e più lontano forme d’aria
nell’aria.
L’isole del tuo sdegno
o padre Dante,
la Capraia e la Gorgona.
Marmorea corona
di minaccevoli punte,
le grandi Alpi Apuane
regnano il regno amaro,
dal loro orgoglio assunte.
Mare Etrusco: Tirreno
verdicante: verde smorto.
ipogei: tombe etrusche sotterranee
ricolme di bronzi.
rusco: pungitopo.
Le fanciulle bianche
di Aldo Palazzeschi (Firenze 1885 – Firenze 1974)
La gente cammina pian piano
sull’erta che mena alla chiesa.
È un lungo viale fra grandi cipressi,
la chiesa è la cima del monte.
La gente cammina pian piano.
a mezzo dell’erta , a sinistra,
è il breve cancello che chiude il giardino.
Là dentro passeggiano al sole
le fanciulle bianche.
Passeggiano adagio pel grande giardino,
non hanno un sorriso.
La gente passando si ferma a guardare.
erta: salita
Rio Bo
di Aldo Palazzeschi (Firenze 1885 – Firenze 1974)
Tre casettine
dai tetti aguzzi,
un verde praticello,
un esiguo ruscello: Rio Bo,
un vigile Cipresso.
Microscopico paese, è vero,
paese da nulla, ma però …
c’è sempre una stella,
una grande, magnifica stella,
che a un dipresso…
occhieggia con la punta del cipresso
di Rio Bo.
Una stella innamorata!
Chi sa
Se nemmeno ce l’ha
Una grande città.
LAZIO
In Occidente
di Giosuè Carducci (Valdicastello, Lucca 1835 – Bologna 1907)
Grande, lungo le molte acque, al sussurro
del fiume eterno, sopra i sette monti,
bianca di marmo in mezzo al cielo azzurro,
Roma dormiva. Agli archi quadrifronti
battea la luna; e il Tevere sonoro
fioria di spuma percotendo ai ponti.
Alto fulgeva col suo tetto d'oro
il Capitoglio:ma la notte mesta
adombrava la via sacra del Foro..
Archi quadrifronti: trionfali decorati su quattro lati.
ABRUZZO
I pastori
di Gabriele D'Annunzio (Pescara 1863 – Gardone Riviera 1938)
Settembre, andiamo: è tempo di migrare.
Ora in terra d'Abruzzo i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all'Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.
Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d'acqua natia
rimanga ne' cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
stazzi: recinto per animali
selvaggio: tempestoso
Come si legge una poesia
Scheda di “I pastori” di Gabriele D’Annunzio
Motivazione
Dopo una attenta lettura hai capito chi sono, da dove vengono... dove vanno
queste persone?
Comprensione
I pastori vanno all’estero. Vero o falso?
Il poeta è con loro. Vero o falso?
Il poeta è contento. Vero o falso?
I pastori bevono alle fonti perché hanno sete, l’acqua ha un buon sapore,
vogliono ricordare quel posto. Vero o falso?
I pastori camminano lungo il fiume, in un bosco, per un sentiero.
Vero o falso?
Produzione
Perché i pastori scendono dalle montagne e vanno in pianura?
Da quali espressioni capisci che il poeta ha nostalgia?
Immagina un pastore con il suo gregge, quali animali ci sono?
L’uso della lingua sottolinea tutti gli aggettivi
Indica il nome a cui si riferiscono.
SICILIA
Ascoltare alla riva
di Gabriele D'Annunzio (Pescara 1863 – Gardone Riviera 1938)
Ascolto.
Lo sciacquio alla riva lasciato dal battello che passa.
I colpi sordi dell’onda contro la pietra gommosa.
Le grida rauche dei gabbiani, i loro scrosci chiocci, le loro
risse stridenti, le loro pause galleggianti.
Il battito di un motore marino…
gommosa: coperta di incrostazioni
Pescatori
di Arturo Graf (Atene 1848 – Torino 1913)
Sull’onda che sussurra
vola una brezza franca;
trine di spuma bianca
fioriscon l’onda azzurra.
Infaticati e rudi
s’alternano al cimento:
sferzano il sole e il vento
i corpi seminudi.
Di fiotti e di querele
affanna il mar le rive:
com’ali fuggitive
passan lontan le vele.
Dietro la tesa fune
ecco una rete oscilla;
guizza la preda e brilla
dentro le maglie brune.
Per sabbia e per ghiareti
fra l’alghe odoranti,
i pescatori ansanti
traggon dal mar le reti.
Validi corpi in grame
vesti: petti villosi,
lacerti poderosi,
tinti in color di rame.
Or chi vuol ricordare
pericoli e strapazzi?
Buona pesca, ragazzi!
sia benedetto il mare.
franca: pura.
fioriscon: ornano.
affanna: tormenta.
fiotti: flutti.
querele: lamenti.
ghiareti: ghiaia.
alighe: alghe.
grame: povere.
villosi: pelosi.
lacerti: muscoli.
Catania
di Giovanni Camerana 1845 Casale di Monferrato – 1905 Torino)
Un’ondulazione d’argento,
silenziosa nella trasparenza
notturna; una rival magnificenza
diafana nell’aria senza vento
che le regga.
Una ondulazione di monumento
bianca e suprema, una fosforescenza
diafana nell’aria senza vento;
tale in sua tregua il bieco Etna regnava.
Sul gran cono era l’orsa; il formidabile
nel ponente Orion superbo ardea
e ardea, nel pian, Catania. Rutilava
laggiù come una sbarra interminabile
di fuoco e d’or, la immane strada Etnea.
ardea: fiammeggiava
strada Etnea: la più importante
delle strade catanesi
Strada di Agrigentum
di Salvatore Quasimodo (Modica 1901 – Napoli 1968)
Là dura un vento che ricordo acceso
Nelle crinier dei cavalli obliqui
In corsa lungo pianure, vento
Che macchia e rode l’ arenaria e il cuore
Dei talamoni lugubri, riversi
Sopra l’erba. Anima antica ,grigia
Di rancori, torni a quel vento , annusi
Il delicato muschio che riveste
I giganti sospinti giù dal cielo.
Come sola allo spazio che ti resta!
E più t’accori s’ odi ancora il suono
Che s’allontana largo verso il mare
Dove Espero già striscia mattutino:
il marranzano tristemente vibra
nella gola al carraio che risale
il colle nitido di luna, lento
tra il murmure d’ulivi saraceni.
talamoni: statue
marranzano: scacciapensieri
SARDEGNA
Canne al vento
di Grazia Deledda (Nuoro 1871 – Roma 1936)
……ogni giunco ha un filo d’argento, da ogni cespuglio di euforbia
sale un grido d’uccello; ed ecco il cono verde e bianco del monte
di Galte solcato da ombre e da strisce di sole, e ai suoi piedi il
paese che pare composto dei soli ruderi dell’ antica città romana.
Lunghe muriccie in rovina, casupole senza tetto, muri sgretolati,
avanzi di cortili e di recinti, catapecchie intatte più melanconiche
degli stessi ruderi fiancheggiando le strade selciate al entro di
grossi macigni;pietre vulcaniche sparse qua e là dappertutto
danno l’idea che un cataclisma abbia distrutto l’antica città e
disperso gli abitanti, qualche casa nuova sorge timida tra tanta
desolazione e piante di melograni e di carrubi, gruppi di fichi
d’india danno una nota di poesia alla tristezza del luogo…..
Ed è subito sera
di Salvatore Quasimodo (Modica 1901 – Napoli 1968)
Ognuno sta solo sul cuor della terra
Trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
INDICAZIONI DIDATTICHE
Come si legge una poesia
Nome dell’autore
Titolo della poesia
Titolo della Raccolta da cui è stata tratta
Periodo in cui è stata composta
Parafrasi
Cercare di comprendere la poesia trasformandola in un codice linguistico
che si conosce, con un lessico (insieme di vocaboli e di costrutti) che le
persone usano per farsi comprendere.
Come si legge una poesia
Contenuti
Evidenziare gli argomenti principali trattati nella poesia, che può essere
stata ispirata:
da un ambiente naturale
da un elemento qualsiasi della realtà
da una situazione
da una esperienza personale
da un sentimento
da sensazioni e impressioni del poeta
da un fatto storico
da un colloquio con una persona cara a cui si vuol bene o che si ama.
Come si legge una poesia
Linguaggio del poeta
Il linguaggio del poeta crea un ritmo musicale attraverso vari accorgimenti:
• metrici (composizione dei versi)
• lunghezza brevità,
• numero delle sillabe,
• uso della rima,
• distribuzione degli accenti tonici: alternanza delle parole piane, tronche,
sdrucciole o bisdrucciole.
Schemi metrici
Sonetto, canzone, ode, ballata, particolarmente usati nei secoli precedenti.
Oggi la poesia si snoda liberamente, trovando un suo ritmo attraverso l'uso
della parola e del suo suono.
Come si legge una poesia
Accorgimenti fonici
Nella costruzione del verso il poeta usa:
• allitterazioni ossia ripetizioni di un suono o di una serie di suoni (vocali,
consonanti, sillabe)
• termini onomatopeici ossia parole che riproducono nelle loro sillabe suoni
della realtà
• assonanze ossia ripetizioni di parole con uguali vocali e diverse consonanti
consonanze ossia ripetizioni di parole con uguali consonanti e diverse vocali.
Figure particolari del discorso
Metafore, similitudini, sinestesie.
Punteggiatura
per meglio comprendere il senso che il poeta vuole dare a determinate pause
nella lettura.
Parole chiave
parole che nel testo assumono un ruolo importante .
Come si legge una poesia
Messaggio
La poesia esprime il messaggio che il poeta vuole trasmettere ai suoi lettori
che devono individuarlo, analizzando e approfondendo il significato dei versi.
Opinione
Vi è piaciuta la poesia oppure no?
Perché?
L’avete trovata di difficile comprensione?
Perché?
Condividete lo stato d'animo del poeta?
Quali impressioni ha suscitato in voi la lettura di questi versi?
Quali espressioni avreste scelto per esprimere quanto ha detto il poeta ?
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