Comments
Transcript
Passando sopra un ponte di Sandro Penna (1971)
Alla scoperta dell’Italia Itinerario nelle regioni italiane nei versi di grandi poeti Workshop for Teachers of Italian Language and Culture CCSU – 8 MARZO 2014 Presenter: Mirtilli Morgana STUDIO ARCOBALENO Training&Education LOMBARDIA Passando sopra un ponte di Sandro Penna (Perugia 1906 – Roma 1977) Passando sopra un ponte alto sull'imbrunire guardando l'orizzonte ti pare svanire. Ma la campagna resta piena di cose vere e tante azzurre sfere non valgono una festa. imbrunire: verso la sera. Bruno = scuro svanire: scomparire azzurre sfere: stelle in cielo Nel paese di mia madre di Ada Negri (Lodi 1870 – Milano 1945) Nel paese di mia madre v’è un campo quadrato, cinto di gelsi. Di là da quel campo altri campi quadrati cinti di gelsi. Rogge scorrenti vi sono, fra alti argini, dritte, e non si sa dove vanno a finire. Nel paese di mia madre v’han ponti di nebbia, che il vespro solleva da placidi fiumi: varca il sogno quei ponti di nebbia, mentre le rive si stellan di lumi. Pioppi e betulle di tremula fronda accompagnan de l'acque il fluire: quando ne’ rami s'impigliano gli astri, in quella pace vorrei morire. Nel paese di mia madre un basso tugurio sonnecchia sul limite della risaia, ronzano mosche lucenti, ghiotte, intorno a un ammasso di concio. Possanza di morte, possanza di vita, nell'odore del concio: ne gode la terra dall' humus profondo, sotto la vampa d'agosto che immobile sta. Nel paese di mia madre, quando il tramonto si insanguina obliquo sui prati, vien da presso, vien da lontano una canzone di lunga via: la disser gli alari alle cune, gli aratri alle marre, le biche all'aie fiorite di lucciole, vecchia canzone di gente lombarda: "La Violetta la vaaa la vaaa". rogge: canali di irrigazione concio: stallatico, letame NOTE: Madre: Vittoria Cornalba nata a Robecco d’Oglio (Cremona) Brina e neve di Ada Negri (Lodi 1870 – Milano 1945) Nel silenzio di ghiaccio, fra il candore della ramaglia ch’è tutta un rabesco D’argento sul grigior basso del cielo (esili fiocchi di novella neve danzan nell’aria, ma non toccan terra), or sì or no mi giunge un cinguettio di passeretta. Garrulo qual filo d’acqua fra sassi: acuto e solo, nella immacolata fissità del giorno. rabesco: arabesco garrulo: allegro, gioioso Mezzogiorno alpino di Giosuè Carducci (Valdicastello, Lucca 1835 – Bologna 1907) Nel gran cerchio de l’Alpi, su ‘l granito Squallido e scialbo, su’ ghiacciai candenti, regna sereno, intenso ed infinito nel suo grande silenzio il mezzodi’. Pini ed abeti senza aura di venti Si drizzano nel sol che gli penetra, sola garrisce in picciol suon di cetra l’acqua che tenue tra i sassi fluì. granito: roccia durissima garrisce: mormora Milano di Davide Rondoni (Forlì 1964) Quante volte, Milano Dalla mia terra più dolce Sono arrivato davanti al tuo volto Piatto, senza respiro Devo scordarmi quel tuo nero, Milano, e il vaniloquio del traffico sotto l’acqua, e il giorno, e l’ora scoprire che non c’era né diritto né speranza, e neanche amore, ma furore, solo dolce e demente furore. VENETO Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo (Zante 1778 – Londra 1827) 13 maggio 1798 Colli Euganei Su la cima del monte indorato da’ pacifici raggi del sole che va mancando, io mi vedo accerchiato da una catena di colli su’ quali ondeggiano le messi e si scuotono le viti sostenute in ricchi festoni dagli ulivi e dagli olmi... Di sotto a me le coste del monte sono spaccate in burroni infecondi fra i quali si vedono offuscarsi le ombre della sera che a poco a poco si innalzano. La Toscana 25 settembre 1798 La Toscana è tutta quanta una città continuata e un giardino, il popolo naturalmente gentile; il cielo sereno; e l’aria piena di vita e di salute. Ventimiglia 19, 20 febbraio 1799 Là giù è il Roia, un torrente che quando si disfanno i ghiacci precipita dalle viscere delle Alpi..... Alpi di neve che si immergono nel cielo e tutto biancheggia e si confonde..... da quelle spalancate Alpi cala e passeggia ondeggiando la tramontana e per quelle fauci invade il Mediterraneo, la natura siede qui solitaria e minacciosa.... i tuoi confini Italia sono questi. FRIULI-VENEZIA GIULIA Trieste di Umberto Saba (Trieste 1883 – Gorizia 1957) Trieste ha una scontrosa Grazia. Se piace, è come un ragazzaccio aspro e vorace con gli occhi azzurri e mani troppo grandi per regalare un fiore: come un amore con gelosia. Da quest’erta ogni chiesa, ogni sua via Scopro, se mena all’ ingombrata spiaggia, o alla collina cui, sulla sassosa cima, una casa, l’ultima, s’aggrappa. Intorno Circola ad ogni cosa Un’aria strana, un’aria tormentosa, l’aria natia. La mia città che in ogni parte è viva, ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita pensosa e schiva. San Martino del Carso di Giuseppe Ungaretti (Alessandria d’Egitto 1888 – Milano 1970) Di queste case non è rimasto che qualche brandello di muro di tanti che mi corrispondevano non è rimasto neppure tanto. Ma nel mio cuore. nessuna croce manca è il mio cuore il paese più straziato. imbrunire: verso la sera. Bruno = scuro svanire: scomparire azzurre sfere: stelle in cielo LIGURIA Liguria di Vincenzo Cardarelli (Tarquinia 1887 – Roma 1959) E’ la Liguria una terra leggiadra. Il sasso ardente, l’argilla pulita, s’avvivano di pampini al sole. E’ gigante l’ulivo. A primavera appar dovunque la mimosa effimera. Ombre e sole s’alternano per quelle fonde valli che si celano al mare, per le vie lastricate che vanno in su, fra campi di rose, pozzi e terre spaccate, Costeggiando poderi e ville chiuse. In quell’arida terra il sole striscia Sulle pietre come un serpe. Il mare in certi giorni È un giardino fiorito. Reca messaggi il vento. Venere torna a nascere ai soffi del maestrale. O chiese di Liguria, come navi disposte ad essere varate! O aperto ai venti e all’onde liguri cimiteri! Una rosea tristezza vi colora quando di sera, simile a un fiore che marcisce, la grande luce si va sfacendo e muore. leggiadra: armoniosa effimera: di breve durata Genova di Giorgio Caproni (Livorno 1912 – Roma 1990) Mia Genova difesa e proprietaria Ardesia mia arenaria. Le case così salde nei colori A fresco in piena aria, è dalle case tue che invano impara, sospese nella brezza salina, una fermezza la mia vita precaria. Genova mia di sasso. Iride. Aria. Ho attraversato tutta la città. Poi ho salito un’erta, popolosa in principio, in là deserta, chiusa da un muricciolo: un cantuccio in cui solo siedo: e mi pare che dove esso termina termini la città. difesa: che mi difendi proprietaria: che mi possiedi Meriggiare pallido e assorto di Eugenio Montale (Genova 1896 – Milano 1981) Meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro d’orto, ascoltare tra i pruni e gli sterpi schiocchi di merli, fruscii di serpi. Nelle crepe del suolo o su la veccia spiar le file di rosse formiche ch'ora si rompono ed ora si intrecciano a somme di minuscole biche. Osservare tra fronde il palpitare veccia: pianta rampicante lontano di scaglie di mare, biche: piccoli cumuli di terra mentre si levano tremuli scricchi picchi: cime di cicale dai calvi picchi. E andando nel sole che abbaglia sentire con triste meraviglia, com’è tutta la vita e il suo travaglio in questo seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia Maestrale di Eugenio Montale (Genova 1896 – Milano 1981) S’è rifatta la calma nell’aria: tra gli scogli parlotta la maretta. Sulla costa quieta, nei broli, qualche palma, a pena svetta. Una carezza disfiora La linea del mare e la scompiglia Un attimo, soffio lieve che vi s’ infrange e ancora Il cammino ripiglia. Lameggia nella chiaria La vasta distesa, s’increspa, indi si spiana beata e specchia nel suo cuore vasto codesta povera mia vita turbata. O mio tronco che additi, in questa ebrietudine tarda, ogni rinato aspetto coi germogli fioriti sulle tue mani, guarda: sotto l’azzurro fitto del cielo qualche uccello di mare se ne va; né sosta mai: perché tute le immagini portano scritto: “più in là”. broli: giardini lameggia: brilla con chiarori di lama EMILIA-ROMAGNA San Petronio di Giosuè Carducci (Valdicastello Lucca 1835 – Bologna 1907) Nella piazza di San Petronio surge nel chiaro inverno la fosca turrita Bologna e il colle sopra bianco di neve ride. È l’ora soave che il sol morituro saluta le torri e ‘l tempio, divo Petronio, tuo; surge: si erge, si innalza divo Petronio: San Petronio le torri i cui merli tant' ala di secolo lambe, colle: San Michele in Bosco e del solenne tempio la solitaria cima. lambe: sfiora fosca: rosso cupo La mia sera di Giovanni Pascoli (San Mauro di Romagna 1885 – Bologna 1912) Il giorno fu pieno di lampi, ma ora verranno le stelle, le tacite stelle. Nei campi c'è un gre gre gre di ranelle. Le tremule foglie dei pioppi trascorre una gioia leggera. Nel giorno, che lampi che scoppi! che pace, la sera!. ranelle: rane. Ravenna di Gabriele D'Annunzio (Pescara 1863 – Gardone Riviera 1938) Ravenna, glauca notte rutilante d’oro, sepolcro di violenti custodito, da terribili sguardi, cupa carena grave d’un incarco imperiale, ferrea construtta di quel quel ferro onde il Fato è invincibile, spinta dal naufragio ai confini del mondo, sopra la riva estrema! Ti loderò pel funebre tesoro ove ogni orgoglio lascia un diadema. rutilante: rosseggiante, usato per analogia con il brillante e colore d’oro dei mosaici sepolcro: Mausoleo di Teodorico incarco: incarico imperiale di Roma Paesi di Corrado Govoni (Ferrara 1884 – Roma 1965) Esplodon le simpatiche campane D’un bianco campanile, sopra i tetti grigi; donne, con rossi fazzoletti, cavano da un rotondo forno il pane. Ammazzano un maiale nella neve, tra un gruppo di bambini affascinati dal sangue, che, con gli occhi spalancati, aspettan la crudele agonia breve. Gettan i galli vittoriosi squilli. I buoi escon dai fienili neri; si spargono su l’argine tranquilli, scendono a bere, gravi, acqua d’ argento. Nei campi, rosei, bianchi, i cimiteri sperano in mezzo al verde frumento. MARCHE Infinito di Giacomo Leopardi (Recanati 1798 – Napoli 1837) Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni e la presente e viva , e il suon di lei. Così tra questa colle: monte Tabor immensità s’annega il pensier mio: ermo: solitario interminati: senza confini e il naufragar m'è dolce in questo mare. fingo: raffiguro TOSCANA San Martino di Giosuè Carducci (Valdicastello (Lucca) 1835 – Bologna 1907) La nebbia agl’irti colli piovigginando sale, e sotto il maestrale urla e biancheggia il mar; ma per le vie del borgo dal ribollir de’ tini va l’aspro odore dei vini l'anime a rallegrar. Gira su’ ceppi accesi lo spiedo scoppiettando: sta il cacciator fischiando su l’uscio a rimirar tra le rossastre nubi stormi d’uccelli neri, com’esuli pensieri, nel vespero migrar. irti: coperti di alberi spogli borgo: parola germanica entrata nel latino nel IV secolo d.C. aspro: pungente ceppo: grosso pezzo di legno vespero: vespro, ora del tramonto Davanti a San Guido di Giosuè Carducci (Valdicastello (Lucca) 1835 – Bologna 1907) I cipressi che a Bolgheri alti e schietti van da San Guido in duplice filar, quasi in corsa giganti giovinetti mi balzarono incontro e mi guardar. .................. NOTE San Guido: oratorio vicino a Bolgheri. La tenzone di Gabriele D’Annunzio (Pescara 1863 – Gardone Riviera 1938) O Marina di Pisa, quando folgora il sol leone! Le lodolette cantan su le pratora di San Rossore e le cicale cantano su i platani d’Arno a tenzone. Come l'Estate porta l'oro in bocca , l'Arno porta il silenzio alla sua foce . Tutto il mattino per la dolce landa quinci è un cantare e quindi altro cantare: tace l' acqua tra l'una e l'altra voce E l'estate or si china da una banda or dall'altra si piega ad ascoltare. E' lento il fiume, il naviglio è veloce. La riva è pura come una ghirlanda. pratora: prati. landa: campagna. Meriggio di Gabriele D'Annunzio (Pescara 1863 – Gardone Riviera 1938) A mezzo il giorno sul mare Etrusco pallido verdicante come il dissepolto bronzo dagli ipogei grava la bonaccia. Non bava di vento intorno alita. Non trema canna su la solitaria spiaggia aspra di rusco, di ginepri arsi. Non suona voce, se ascolto. Riga di vele in panna verso Livorno biancica. Pel chiaro silenzio il Capo Corvo l’isola del faro scorgo; e più lontano forme d’aria nell’aria. L’isole del tuo sdegno o padre Dante, la Capraia e la Gorgona. Marmorea corona di minaccevoli punte, le grandi Alpi Apuane regnano il regno amaro, dal loro orgoglio assunte. Mare Etrusco: Tirreno verdicante: verde smorto. ipogei: tombe etrusche sotterranee ricolme di bronzi. rusco: pungitopo. Le fanciulle bianche di Aldo Palazzeschi (Firenze 1885 – Firenze 1974) La gente cammina pian piano sull’erta che mena alla chiesa. È un lungo viale fra grandi cipressi, la chiesa è la cima del monte. La gente cammina pian piano. a mezzo dell’erta , a sinistra, è il breve cancello che chiude il giardino. Là dentro passeggiano al sole le fanciulle bianche. Passeggiano adagio pel grande giardino, non hanno un sorriso. La gente passando si ferma a guardare. erta: salita Rio Bo di Aldo Palazzeschi (Firenze 1885 – Firenze 1974) Tre casettine dai tetti aguzzi, un verde praticello, un esiguo ruscello: Rio Bo, un vigile Cipresso. Microscopico paese, è vero, paese da nulla, ma però … c’è sempre una stella, una grande, magnifica stella, che a un dipresso… occhieggia con la punta del cipresso di Rio Bo. Una stella innamorata! Chi sa Se nemmeno ce l’ha Una grande città. LAZIO In Occidente di Giosuè Carducci (Valdicastello, Lucca 1835 – Bologna 1907) Grande, lungo le molte acque, al sussurro del fiume eterno, sopra i sette monti, bianca di marmo in mezzo al cielo azzurro, Roma dormiva. Agli archi quadrifronti battea la luna; e il Tevere sonoro fioria di spuma percotendo ai ponti. Alto fulgeva col suo tetto d'oro il Capitoglio:ma la notte mesta adombrava la via sacra del Foro.. Archi quadrifronti: trionfali decorati su quattro lati. ABRUZZO I pastori di Gabriele D'Annunzio (Pescara 1863 – Gardone Riviera 1938) Settembre, andiamo: è tempo di migrare. Ora in terra d'Abruzzo i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare: scendono all'Adriatico selvaggio che verde è come i pascoli dei monti. Han bevuto profondamente ai fonti alpestri, che sapor d'acqua natia rimanga ne' cuori esuli a conforto, che lungo illuda la lor sete in via. stazzi: recinto per animali selvaggio: tempestoso Come si legge una poesia Scheda di “I pastori” di Gabriele D’Annunzio Motivazione Dopo una attenta lettura hai capito chi sono, da dove vengono... dove vanno queste persone? Comprensione I pastori vanno all’estero. Vero o falso? Il poeta è con loro. Vero o falso? Il poeta è contento. Vero o falso? I pastori bevono alle fonti perché hanno sete, l’acqua ha un buon sapore, vogliono ricordare quel posto. Vero o falso? I pastori camminano lungo il fiume, in un bosco, per un sentiero. Vero o falso? Produzione Perché i pastori scendono dalle montagne e vanno in pianura? Da quali espressioni capisci che il poeta ha nostalgia? Immagina un pastore con il suo gregge, quali animali ci sono? L’uso della lingua sottolinea tutti gli aggettivi Indica il nome a cui si riferiscono. SICILIA Ascoltare alla riva di Gabriele D'Annunzio (Pescara 1863 – Gardone Riviera 1938) Ascolto. Lo sciacquio alla riva lasciato dal battello che passa. I colpi sordi dell’onda contro la pietra gommosa. Le grida rauche dei gabbiani, i loro scrosci chiocci, le loro risse stridenti, le loro pause galleggianti. Il battito di un motore marino… gommosa: coperta di incrostazioni Pescatori di Arturo Graf (Atene 1848 – Torino 1913) Sull’onda che sussurra vola una brezza franca; trine di spuma bianca fioriscon l’onda azzurra. Infaticati e rudi s’alternano al cimento: sferzano il sole e il vento i corpi seminudi. Di fiotti e di querele affanna il mar le rive: com’ali fuggitive passan lontan le vele. Dietro la tesa fune ecco una rete oscilla; guizza la preda e brilla dentro le maglie brune. Per sabbia e per ghiareti fra l’alghe odoranti, i pescatori ansanti traggon dal mar le reti. Validi corpi in grame vesti: petti villosi, lacerti poderosi, tinti in color di rame. Or chi vuol ricordare pericoli e strapazzi? Buona pesca, ragazzi! sia benedetto il mare. franca: pura. fioriscon: ornano. affanna: tormenta. fiotti: flutti. querele: lamenti. ghiareti: ghiaia. alighe: alghe. grame: povere. villosi: pelosi. lacerti: muscoli. Catania di Giovanni Camerana 1845 Casale di Monferrato – 1905 Torino) Un’ondulazione d’argento, silenziosa nella trasparenza notturna; una rival magnificenza diafana nell’aria senza vento che le regga. Una ondulazione di monumento bianca e suprema, una fosforescenza diafana nell’aria senza vento; tale in sua tregua il bieco Etna regnava. Sul gran cono era l’orsa; il formidabile nel ponente Orion superbo ardea e ardea, nel pian, Catania. Rutilava laggiù come una sbarra interminabile di fuoco e d’or, la immane strada Etnea. ardea: fiammeggiava strada Etnea: la più importante delle strade catanesi Strada di Agrigentum di Salvatore Quasimodo (Modica 1901 – Napoli 1968) Là dura un vento che ricordo acceso Nelle crinier dei cavalli obliqui In corsa lungo pianure, vento Che macchia e rode l’ arenaria e il cuore Dei talamoni lugubri, riversi Sopra l’erba. Anima antica ,grigia Di rancori, torni a quel vento , annusi Il delicato muschio che riveste I giganti sospinti giù dal cielo. Come sola allo spazio che ti resta! E più t’accori s’ odi ancora il suono Che s’allontana largo verso il mare Dove Espero già striscia mattutino: il marranzano tristemente vibra nella gola al carraio che risale il colle nitido di luna, lento tra il murmure d’ulivi saraceni. talamoni: statue marranzano: scacciapensieri SARDEGNA Canne al vento di Grazia Deledda (Nuoro 1871 – Roma 1936) ……ogni giunco ha un filo d’argento, da ogni cespuglio di euforbia sale un grido d’uccello; ed ecco il cono verde e bianco del monte di Galte solcato da ombre e da strisce di sole, e ai suoi piedi il paese che pare composto dei soli ruderi dell’ antica città romana. Lunghe muriccie in rovina, casupole senza tetto, muri sgretolati, avanzi di cortili e di recinti, catapecchie intatte più melanconiche degli stessi ruderi fiancheggiando le strade selciate al entro di grossi macigni;pietre vulcaniche sparse qua e là dappertutto danno l’idea che un cataclisma abbia distrutto l’antica città e disperso gli abitanti, qualche casa nuova sorge timida tra tanta desolazione e piante di melograni e di carrubi, gruppi di fichi d’india danno una nota di poesia alla tristezza del luogo….. Ed è subito sera di Salvatore Quasimodo (Modica 1901 – Napoli 1968) Ognuno sta solo sul cuor della terra Trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera. INDICAZIONI DIDATTICHE Come si legge una poesia Nome dell’autore Titolo della poesia Titolo della Raccolta da cui è stata tratta Periodo in cui è stata composta Parafrasi Cercare di comprendere la poesia trasformandola in un codice linguistico che si conosce, con un lessico (insieme di vocaboli e di costrutti) che le persone usano per farsi comprendere. Come si legge una poesia Contenuti Evidenziare gli argomenti principali trattati nella poesia, che può essere stata ispirata: da un ambiente naturale da un elemento qualsiasi della realtà da una situazione da una esperienza personale da un sentimento da sensazioni e impressioni del poeta da un fatto storico da un colloquio con una persona cara a cui si vuol bene o che si ama. Come si legge una poesia Linguaggio del poeta Il linguaggio del poeta crea un ritmo musicale attraverso vari accorgimenti: • metrici (composizione dei versi) • lunghezza brevità, • numero delle sillabe, • uso della rima, • distribuzione degli accenti tonici: alternanza delle parole piane, tronche, sdrucciole o bisdrucciole. Schemi metrici Sonetto, canzone, ode, ballata, particolarmente usati nei secoli precedenti. Oggi la poesia si snoda liberamente, trovando un suo ritmo attraverso l'uso della parola e del suo suono. Come si legge una poesia Accorgimenti fonici Nella costruzione del verso il poeta usa: • allitterazioni ossia ripetizioni di un suono o di una serie di suoni (vocali, consonanti, sillabe) • termini onomatopeici ossia parole che riproducono nelle loro sillabe suoni della realtà • assonanze ossia ripetizioni di parole con uguali vocali e diverse consonanti consonanze ossia ripetizioni di parole con uguali consonanti e diverse vocali. Figure particolari del discorso Metafore, similitudini, sinestesie. Punteggiatura per meglio comprendere il senso che il poeta vuole dare a determinate pause nella lettura. Parole chiave parole che nel testo assumono un ruolo importante . Come si legge una poesia Messaggio La poesia esprime il messaggio che il poeta vuole trasmettere ai suoi lettori che devono individuarlo, analizzando e approfondendo il significato dei versi. Opinione Vi è piaciuta la poesia oppure no? Perché? L’avete trovata di difficile comprensione? Perché? Condividete lo stato d'animo del poeta? Quali impressioni ha suscitato in voi la lettura di questi versi? Quali espressioni avreste scelto per esprimere quanto ha detto il poeta ?