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Psicologia sociale dei gruppi
Psicologia Sociale dei gruppi
CORSO da 6 CREDITI
36 ORE di lezione
DOCENTE
Prof. Fridanna Maricchiolo
RICEVIMENTO Lunedì, 12-13, Via dei Mille 23, stanza 17 (II piano)
MAIL
[email protected]
Contattare la docente SOLO attraverso email istituzionale di
Uniroma3
Lezioni: giorni, orari e luogo
PERIODO
PERIODO
10/10
10/10-- 12/12
12/12
ORARIO
ORARIO
lunedì
lunedì 15-17
15-17
mercoledì
mercoledì13-15
13-15
LEZIONI
LEZIONI
18
18
SEDE
SEDE
p.zza
p.zzadella
dellaRepubblica
Repubblica
lunedì
lunedì Aula
Aula 44PII
PII
mercoledì
mercoledì Aula
Aula99PT
PT
Programma del corso
• Il corso offre una sintetica panoramica sui concetti teorici della
psicologia sociale applicata ai processi di gruppo
• Verranno approfondite nozioni teoriche e metodologiche di analisi,
dello studio dei processi di gruppo
• Tra gli argomenti principali:
– Lo studio dei gruppi nella prospettiva della psicologia sociale.
– Ruoli, norme, status e funzioni nei gruppi.
– I fenomeni delle dinamiche di gruppo.
– Potere e leadership.
– L’interazione nei gruppi e tra i gruppi sociali.
– Relazioni inter-gruppi e categorizzazione sociale.
– La comunicazione e i processi di influenza sociale nei gruppi.
– Comunicazione non verbale.
Libri di testo
Manuale
BROWN. Psicologia sociale dei gruppi, Il Mulino,
Bologna
Monografia
BONAIUTO, MARICCHIOLO. Comunicazione non verbale.
Seconda Edizione. 2009. Carocci Editore, Roma.
Un articolo di ricerca (in inglese) a scelta tra un elenco che verrà
comunicato dal docente sul sito
MODALITA’ D’ESAME
• Prenotazione OBBLIGATORIA
STAMPARE LA RICEVUTA DELLA PRENOTAZIONE
• Esame orale sui due testi d’esame e l’articolo
Cos’è la psicologia sociale?
6
Una definizione
“Scientific study of how the thought, feeling and
behavior of individuals are influenced by the actual,
imagined or implied presence of other human
beings"
(G. Allport, 1954)
7
Una definizione
•
G. Allport ha definito la Psicologia Sociale:
– “Lo studio scientifico delle modalità attraverso cui i
pensieri, i sentimenti , e i comportamenti degli individui
sono influenzati dalla presenza, reale o immaginata, di
altre persone.”
•
•
•
•
Scientifico
Pensieri, sentimenti e comportamenti
Individui
Presenza di altre persone
8
Cos’è la psicologia sociale?
La presenza di altre persone, le conoscenze e le opinioni
che ci trasmettono, i nostri sentimenti nei confronti dei
gruppi a cui apparteniamo, sono tutti elementi che ci
influenzano profondamente attraverso i “processi sociali”,
indipendentemente dal fatto che siamo soli o in
compagnia.
Anche percezioni, ricordi, emozioni, motivazioni
esercitano una grande influenza attraverso i “processi
cognitivi” (percettivi, interpretativi, valutativi).
I processi sociali e cognitivi non sono separati, sono anzi
strettamente connessi.
Interazione sociale
La psicologia sociale studia l’interazione sociale
• L’inizio di un nuovo corso
• Un colloquio di lavoro
• Un appuntamento galante
• Una riunione
• Un incontro tra amici
• Sono tutte occasioni di interazione (agenti e osservatori)
10
11
Interazione sociale
• Nei contesti d’interazione sociale le altre persone ci
osservano, influenzano i nostri sentimenti e il nostro
comportamento.
• Noi, in genere, cerchiamo di essere all’altezza, di proporre
una buona impressione, di cooperare, etc.
• Ma siamo influenzati dalle nostre motivazioni e sentimenti nel
valutare gli altri che interagiscono con noi
12
Interazione sociale e processi cognitivi
•
I processi sociali sono dunque i modi in cui i nostri pensieri,
sentimenti, il nostro comportamento sono influenzati dalle persone
con cui interagiamo, dai gruppi di appartenenza, dagli aspetti
culturali trasmessi con l’educazione, etc…
•
I processi cognitivi sono invece i modi in cui percezioni, ricordi,
emozioni guidano la nostra comprensione del mondo.
13
L’obiettivo della Psicologia sociale
In ultima istanza, l’obiettivo della “psicologia sociale” è
quello di comprendere le cause del comportamento
sociale delle persone.
Molteplicità di variabili potenzialmente influenti
- Elementi personali (atteggiamenti, valori, motivazioni, etc.)
- Comportamenti e caratteristiche delle altre persone
- Variabili ambientali
- Variabili socio-culturali
- Aspetti di tipo biologico
Livelli di spiegazione in psicologia sociale
Doise (1982) ha individuato quattro diversi livelli in cui lo studio della
psicologia si colloca a seconda della natura delle variabili coinvolte
nella ricerca:
•
•
•
•
il livello intraindividuale
il livello intragruppo
il livello intergruppo
il livello collettivo
15
Il livello intraindividuale: studia le modalità con cui l’individuo
analizza la realtà e costruisce un’immagine del mondo sociale
che lo circonda, sceglie determinati comportamenti.
Il livello intragruppo: analizza le dinamiche interpersonali tra più
soggetti che fanno parte di un medesimo gruppo (es. processi
di conformismo, devianza, comunicazione e leadership).
Il livello intergruppo: studia le relazioni esistenti tra gruppi sociali
differenti (in-group – out-group).
Il livello collettivo: prende in considerazione i processi sociali
legati al contesto culturale e storico in cui gli individui si
trovano ad operare.
16
Livelli di spiegazione in psicologia sociale
17
Kurt Lewin
• 1890 -- 1947.
• Equazione di Lewin :
C= f (P, A)
18
Stanley Milgram
• 1933 -- 1984
• Gli esperimenti di Milgram sull’ obbedienza
19
Muzafer Sherif
• 1906 – 1988
• Gli esperimenti di Robber’s Cave: interdipendenza e
cooperazione
20
Henry Tajfel
• 1919 -- 1982
• La Teoria dell’ Identità Sociale e le relazioni intergruppi
21
Come si è evoluta la psicologia sociale?
Nel corso del XX secolo la psicologia sociale ha mantenuto la
convinzione che l’individuo fosse un essere pensante, capace di
generare ragionamenti valutazioni e inferenze.
22
Tra gli anni ’50 e ‘60 studiosi come Festinger con la sua teoria della dissonanza
cognitiva [1957] e Heider [1958] autore della teoria dell’equilibrio propongono una
concezione dell’uomo come ricercatore di coerenza teso a cogliere l’equilibrio, da un
lato, tra le credenze che possiede, dall’altro, tra il proprio sistema di credenze ed i
propri comportamenti.
23
A partire dagli anni ’70 si afferma una nuova prospettiva che propone
una concezione dell’individuo inteso non più come ricercatore di
coerenza, ma come uno scienziato ingenuo (teorie naive)
24
Psicologia Sociale e teorie naive
•
•
La psicologia sociale spesso può essere simile al senso comune, perché
cerca di spiegare comportamenti quotidiani su cui ogni giorno noi cerchiamo di
dare una spiegazione o su cui pensiamo di riuscire a fare delle previsioni.
Eppure i risultati delle ricerche molto spesso sono distanti da quello che ci
farebbe rispondere il senso comune
25
Psicologia Sociale e teorie naive
•
•
•
•
Supponete che una persona autorevole chieda ad un uno studente di
somministrare delle scosse elettriche di forte entità: che percentuale di
soggetti arriverà a fornire il massimo dell’intensità? a) 8% b) 22% c) 65%
Se date ad un bambino una ricompensa dopo che ha fatto un’attività che già
gli piace fare, quell’attività poi gli piacerà: a) di più b) di meno c) come
prima
La ripetizione di esposizione ad uno stimolo (persona, canzone, poster) lo farà
piacere: a) di più b) di meno c) come prima
Se chiedi un favore ad una persona, a quella persona piacerai: a) di più b)
di meno c) come prima
26
Negli ultimi decenni, ci si è resi conto che l’individuo,
avendo a disposizione limitate risorse cognitive, deve
ricorrere a delle strategie di elaborazione delle
informazioni, le cosiddette euristiche, che gli consentono di
risparmiare tempo e sforzi e, contemporaneamente, di
ottenere delle informazioni sufficientemente attendibili su
quanto sta accadendo attorno a lui
Processi automatici vs. processi deliberativi
27
Fino a che punto siamo consapevoli dei nostri pensieri?
Non tutta l’attività della mente umana viene svolta in maniera
consapevole. Compiti routinari (ad esempio, la lettura di un breve
messaggio) possono essere attuati in maniera automatica con un carico
attentivo bassissimo.
I processi controllati, al contrario, presuppongono il
controllo flessibile, intenzionale dell’individuo e sono
vincolati alla quantità di attenzione attivata al momento
(Bargh, 1989).
28
Molti comportamenti sono di natura
automatica
• Spesso nascono come comportamenti più deliberativi e si evolvono
nell’arco del tempo come automatici (es. guida automobile)
• Sono efficienti (nel senso di poche energie spese), poco
controllabili, veloci, autonomi, non trasparenti (senza conoscenza
dei processi sottostanti), non intenzionali
29
Anche nell’elaborazione dell’informazione
sociale facciamo ricorso a processi di
categorizzazione o giudizio sociale che vengono,
in buona parte, attivati in maniera automatica,
cioè indipendentemente dalla nostra
consapevolezza
Meccanismi alla base di stereotipi e
pregiudizi
Non sempre portano a comportamenti automatici (discriminatori)
30
Con quali modalità procede la psicologia
sociale?
31
Essa si avvale del METODO SCIENTIFICO che si articola
nelle seguenti tappe:
• formulazione della teoria
• esplicitazione delle ipotesi
• raccolta dei dati empirici
• analisi dei dati
• confronto tra risultati ottenuti e ipotesi
• eventuale riformulazione della teoria
32
Che cos’è una teoria scientifica?
33
Un insieme di leggi espresse in una forma sintetica e
sistematica che si basano su osservazioni e vengono
mantenute come vere fino a quando non sono smentite
da evidenze contrarie
Ciò che conferisce ad una teoria il carattere di
scientificità consiste nella possibilità della stessa di essere
confutata
34
A partire dalla teoria sono formulate le ipotesi di ricerca
Affinché un’ipotesi possa essere sottoposta a verifica empirica essa deve essere
operazionalizzata, ossia trasformata in un’operazione empiricamente osservabile
L’OPERAZIONALIZZAZIONE consiste quindi nel trasformare dei concetti
teorici in variabili, cioè in entità rilevabili e misurabili
35
Come si misurano gli atteggiamenti?
• Atteggiamenti
– Costrutti non osservabili
– Inferibili da alcuni indicatori (risposte esplicite e
comportamenti)
• affermazioni favorevoli o sfavorevoli all’oggetto
studiato su cui i soggetti devono indicare il grado di
accordo o disaccordo
• Azioni che manifestano favore o sfavore nei
riguardi dell’oggetto di studio
36
Le risposte della Psicologia Sociale
•
•
•
•
Tendono a enfatizzare la A nell’ equazione di Lewin
Sono probabilistiche
Sono condizionali: “Dipende”
Sono spesso controintuitive
37
La formazione delle impressioni
38
Solomon Asch (1946): modello configurazionale nella formazione delle impressioni
Le persone sono concepite come unità psicologiche e le diverse informazioni sono
ricondotte ad un nucleo interpretativo unificante
•Esperimento: I soggetti leggevano una lista di aggettivi relativi ad un individuo.
Veniva chiesto loro di valutare questo ipotetico individuo
•Intelligente, abile, lavoratore, freddo, risoluto, pratico, prudente =
•persona calcolatrice, arrivista
•Intelligente, abile, lavoratore, caldo, risoluto, pratico, prudente =
• persona affabile, generosa
39
Effetto primacy:
– I primi tratti pecepiti sono più influenti perché sono quelli che
attivano e formano la configurazione globale dell’impressione
– Quando una lista inizia con tratti positivi, i tratti negativi sono
interpretati meno negativamente.
– Questo non avviene se gli stessi tratti negativi vengono presentati
all’inizio
•Processo di elaborazione top down: effetto dovuto al calo di attenzione
•Processo di elaborazione bottom up: richiede sforzo maggiore di elaborazione
rispetto a quello top down
40
I due processi possono essere agli estremi di un continuum
(Fiske e Neuberg, 1990)
Processo basato su
Processo basato su
__________________________
informazioni di
informazioni
appartenenza categoriale
individuali
(top down)
(bottom up)
Ruolo della motivazione nel processo di elaborazione
Esempio: Impressione verso uno sconosciuto
• Inizialmente sono utilizzate informazioni categoriali (sesso,
età…): impressione quasi automatica, poco sforzo e
attenzione. Elaborazione di tipo Top Down: dall’unità agli
elementi
• Se la persona diviene rilevante per il raggiungimento di uno
scopo: elaborazione più profonda e maggiore sforzo.
Elaborazione di tipo Bottom up: attenzione alle informazioni
individuali
41
Impressioni degli altri come elementi di scambio comunicativo
Tre modalità per conoscere gli altri:
•
•
•
Osservazione diretta del comportamento
Ascoltare ciò che gli altri dicono di loro stessi
Avere informazioni da terzi = formazione della reputazione
Che cosa è la reputazione?
“Giudizio formulato da una comunità su un individuo in particolare che
generalmente, ma non necessariamente, appartiene alla comunità stessa”
(Emler, 1994)
- Forma di conoscenza sociale mediata dall’esperienza altrui
- Prende il via dalla formazione delle impressioni e si costruisce nella
comunicazione
42
Perché un individuo abbia una reputazione è necessario che:
• Faccia parte di una comunità come membro stabile
• I membri scambino, nelle conversazioni, informazioni sui suoi comportamenti e
qualità
• I membri siano inseriti in una rete che colleghi chi non si conosce per via diretta
A che cosa serve la reputazione?
• Assicura gli scambi comunicativi: coordina gli sforzi degli individui
• Controllo sociale: limita l’accesso alle interazioni a persone potenzialmente
dannose
• Promuove autocontrollo: l’individuo ha interesse ad avere una reputazione
positiva per avere accesso agli scambi comunicativi
Di conseguenza: l’individuo agisce attivamente e consapevolmente nella costruzione
della propria reputazione
43
Percepire le persone e i gruppi
I processi che sono alla base della percezione degli individui e della percezione
dei gruppi sono gli stessi?
Hamilton e Sherman hanno mostrato che le persone percepiscono un certo
livello di unità (entitativity) anche nel caso dei gruppi sociali
Che cos’è l’ entitativity?
Percezione che un aggregato abbia natura di entità fornita da una sorta di
confine (Campel, 1958).
I fattori che creano la percezione di entitativity :
–
–
–
–
Somiglianza o prossimità fra gli elementi dell’insieme
Organizzazione reciproca
Interdipendenza
Aspettative di comportamenti congruenti
44
Gruppi ad alta entitativity
(membri di un club esclusivo)
come nella formazione delle impressioni individuali le informazioni
sono integrate in una rappresentazione ben organizzata (topdown):
– Danno luogo a inferenze immediate e spontanee sulle
caratteristiche dei membri
– Danno luogo a maggiori aspettative di coerenza
– Danno luogo a spiegazioni di tipo causale per comportamenti
congruenti con le aspettative
45
Gruppi a bassa entitativity (clienti di un negozio)
Come nella formazione delle impressioni basate sulle
categorie, le informazioni sono rievocate dalla memoria
(memory based) e le eventuali incongruenze fra le
informazioni non creano problemi di ricomposizione
(bottom up)
Conclusioni:
A parità di aspettative circa l’unitarietà degli individui o
dei gruppi i processi per la formazione delle
impressioni sono gli stessi
46
Psicologia sociale dei gruppi
47
I temi della psicologia sociale dei gruppi
1. Descrizione di gruppo
2. L’interazione nei gruppi
3. Le relazioni fra i gruppi sociali
4. L’influenza sociale
48
I temi della psicologia sociale dei gruppi
Descrizione di gruppo
L’interazione nei gruppi
•
Storia dello studio dei gruppi
•
•
Tipi di gruppo
Struttura del gruppo: status, ruoli,
norme
•
Definizioni di gruppo
•
La comunicazione nel gruppo
•
Individuo vs. Gruppo
•
Processi di gruppo: potere, leadership
•
Decisioni nei gruppi
Le relazioni fra i gruppi
L’influenza sociale
•
Comportamenti intergruppi
•
Conformismo e influenza della
maggioranza
•
Identità sociale
•
•
Categorizzazione sociale
Genesi del cambiamento sociale:
influenza minoritaria
•
Discriminazione intergruppi:
stereotipi e pregiudizi
•
Condiscendenza e conversione
1. Descrizione di gruppo
• Storia dello studio dei gruppi
• Tipi di gruppo
• Definizioni di gruppo
• Individuo vs. Gruppo
50
2. L’interazione nei gruppi
• Struttura del gruppo
• Sistema di status
• I ruoli
• Le norme di gruppo
• La comunicazione nel gruppo
• Processi di gruppo
• Il potere nel gruppo
• La leadership: stile di leadership e funzioni
• Decisioni nei gruppi
51
3. Le relazioni fra i gruppi sociali
• Comportamenti intergruppi
• Identità sociale
• Categorizzazione sociale
• Discriminazione intergruppi: stereotipi e pregiudizi
52
4. L’influenza sociale
• Conformismo e influenza della maggioranza
• Genesi del cambiamento sociale: influenza minoritaria
• Condiscendenza e conversione
53
I gruppi sociali
54
Approcci allo studio dei gruppi
• Antropologico
Psicanalitico
• Etologico
• Sociologico
Psicodrammatico
Psicosociale
55
Psicologia sociale dei gruppi: breve storia
2 prospettive (Hogg & Vaughan, 1995):
- Individualistica
es. Social Cognition
(le persone si comportano allo stesso modo sia in gruppo che
da sole; i processi di gruppo sono processi interpersonali che
occorrono tra un certo numero di individui)
- Collettivistica
es. Rappresentazioni Sociali
(il comportamento delle persone nei gruppi è influenzato
da processi sociali che emergono nei gruppi e da essi si
originano)
56
Psicologia sociale dei gruppi: breve storia
• Nascita dell’interesse verso lo studio dei gruppi:
USA, anni ’30
• 2 tipi di fenomeni promotori di interesse:
- eventi storici di natura politico-economica (crollo della Borsa di Wall-Street,
avvento dei regimi totalitari in Europa)
- incidenza dei “fattori umani” nel mondo della produzione; importanza gruppi di
lavoro per il comportamento individuale (studi di E. Mayo negli stabilimenti
Hawthorne)
57
Psicologia sociale dei gruppi: breve storia
•
Il “Centro di Ricerca per le Dinamiche di Gruppo”
di K. Lewin: il
gruppo come totalità dinamica con caratteristiche diverse dalla
semplice somma dei componenti.
“Le proprietà dell’acqua sono qualcosa di diverso dalla sempice somma di
proprietà di 2 molecole d’idrogeno e una di ossigeno” (Asch, 1952)
•
Anni ’60: l’interesse della Ψ sociale per lo studio dei gruppi si sposta in
Europa
Es.: S. Moscovici, l’influenza minoritaria; H. Tajfel, identità sociale e
relazioni intergruppi
58
Tipi di gruppo - sociologia
In sociologia, si opera una distinzione tra i concetti di:
- Gruppo sociale: numero limitato di individui che interagiscono con regolarità
Esempio: una famiglia, un circolo sportivo
- Aggregato: insieme di individui che si trovano nello stesso luogo e allo stesso
momento, senza condividere un legame preciso
Esempio: gli spettatori in una sala cinematografica
- Categoria sociale: raggruppamento statistico; insieme di individui che hanno
una caratteristica comune
Esempio: le donne; i vegetariani
59
Tipi di gruppo - Ψ sociale
Alcune dicotomie
•
Piccoli gruppi
vs.
(detti anche “ristretti”)
Grandi gruppi
(detti anche “estesi”)
•
Gruppi primari
(es. Famiglia)
vs.
Gruppi secondari
(es. team aziendale)
•
Gruppi formali
(es. Associazioni)
vs.
Gruppi informali
(es. gruppo di amici)
•
Gruppi strumentali
vs.
(orientati allo scopo)
Gruppi espressivi
(orient. emozionale)
•
Gruppi artificiali
(creati ad hoc)
vs.
Gruppi naturali
(pre-esistenti)
60
Che cos’è un gruppo? Definizioni - I
•
1) Il fattore critico è l’esperienza di un destino comune (Lewin, 1948;
Campbell, 1958; Rabbie & Horowitz, 1988)
•
2) La cosa fondamentale è l’esistenza di una struttura sociale formale o
implicita, espressa solitamente attraverso relazioni di status o di ruolo
(Sherif & Sherif, 1969)
•
3) E’ necessario che vi sia una interazione faccia a faccia tra i membri
(Bales, 1950; Homans, 1950)
La seconda e la terza definizione possono essere applicate solo a gruppi di
piccole dimensioni
(massimo 20 membri)
61
Che cos’è un gruppo? Definizioni - II
•
4) Un gruppo esiste quando due o più individui percepiscono se stessi
come membri della medesima categoria sociale (Turner, 1982)
•
5) Un gruppo esiste quando due o più individui definiscono se stessi
come membri e quando la sua esistenza è riconosciuta da almeno
un’altra persona, intendendo per “altra persona” un singolo individuo o
un gruppo di persone che non si definiscono membri di quel gruppo
(Brown, 2000)
62
Individuo vs. Gruppo - I
Un gruppo può essere considerato la somma dei
suoi individui?
Secondo Allport (1924) non esiste una psicologia
dei gruppi che non sia fondamentalmente ed
interamente una psicologia degli individui.
Questo va nella posizione contraria di chi sostiene
che, invece, possa esistere una “mente di gruppo”
che induce a fare azioni che, altrimenti, i singoli
individui non compierebbero mai (come nel caso
delle folle).
63
Individuo vs. Gruppo - II
Secondo Allport questa mancanza di consapevolezza
dei singoli individui non può essere sottoposta a una
verifica empirica: non è possibile osservare la “mente
di gruppo” distintamente dagli individui che lo
compongono.
Effettivamente, il concetto di “mente di gruppo”
rischia di sfociare in qualcosa di astratto e metafisico
Ma, nella sua definizione, Allport riconduce i
fenomeni gruppali a processi psicologici individuali (e
quindi si ferma a un livello interpersonale: prospettiva
individualistica)
64
Individuo vs. Gruppo - III
Il concetto di “mente di gruppo” è stato ripreso e
sviluppato in modo più completo da altri autori
come Mead (1934), Sherif (1936), Asch (1952) e
Lewin (1952): tutti questi autori sottolineano come
la relazione tra i membri di un gruppo caratterizzi
un gruppo sociale.
Quindi il gruppo emerge dalla percezione che le
persone hanno di se stesse come membri di una
entità sociale e dalle relazioni che intercorrono
all’interno di tale entità
65
Il continuum interpersonale-intergruppi - I
Come è possibile distinguere il comportamento
interpersonale dal comportamento di gruppo?
Secondo Tajfel (1978) ci sono tre criteri:
1) La presenza o assenza di almeno due categorie sociali
identificabili in modo non ambiguo: Es.: uomo/donna
2) Il grado di variabilità (basso/alto) negli atteggiamenti o
nel comportamento dei membri di un gruppo: è
uniforme nei comportamenti intergruppi, è gestito dalle
differenze individuali nei comportamenti interpersonali:
Es. i tifosi
3) Il grado di variabilità del comportamento degli individui
nei confronti dei membri di altri gruppi
66
Il continuum interpersonale-intergruppi - II
Le polarità intergruppi – interpersonale (Tajfel)
Comportamento sociale
Comportamento intergruppi
L’interazione è determinata
dall’appartenenza ai vari gruppi e
dalle relazioni tra loro
Comportamento interpersonale
L’interazione dipende dagli individui,
dalle caratteristiche personali e dalle
relazioni interpersonali
67
Il continuum interpersonale-intergruppi - III
Che cosa può favorire lo spostamento sull’asse
ipotizzato da Tajfel?
Secondo Turner (1982) è necessario fare riferimento al
concetto di “sé” e ai cambiamenti nel suo funzionamento.
Per Turner il concetto di sé è formato da:
1) identità personale: le auto-descrizioni basate su
caratteristiche individuali: “sono un amante dell’arte”
2) identità sociale: le auto-descrizioni basate in termini di
appartenenza a categorie; “sono un tifoso del Milan”
68
Il continuum interpersonale-intergruppi - IV
Come afferma Turner, nel definirsi come membri di un
particolare gruppo gli individui si stabilizza
un’associazione tra se stessi e i vari
attributi/norme comuni che si sperimenta nel far
parte di quel gruppo: questo porta ai comportamenti
uniformi che caratterizzano i gruppi
Spesso vediamo i membri di altri gruppi in modi
stereotipati, e percepiamo noi stessi come
relativamente simili con gli altri membri del nostro
gruppo
69
Il continuum interpersonale-intergruppi - V
La differenziazione tra il comportamento interpersonale e
il comportamento di gruppo può dipendere dal numero di
persone coinvolte?
Ad esempio: tra un uomo e una donna oppure tra 2
contradaioli di Siena l’interazione è interpersonale o di
gruppo?
Quello che caratterizza l’interazione come
comportamento di gruppo è l’uniformità nelle azioni degli
individui che lascia supporre che questi interagiscano in
base alla loro appartenenza a un gruppo piuttosto che in
base alle loro caratteristiche personali.
70
Il continuum interpersonale-intergruppi - VI
La distinzione interpersonale–intergruppi è un continuum
Ognuno di noi fa parte di più gruppi, ma si porta dietro una
propria storia personale.
Viceversa, anche gli scambi interpersonali possono
contenere stereotipi inter-gruppi
Questo, ovviamente, complica molto lo studio di questo tipo
di processi
71
Il continuum interpersonale-intergruppi - VI
Il comportamento interpersonale si basa sull’analisi delle
differenze tra le persone (differenze individuali, di
atteggiamento etc.), ma il comportamento di gruppo si basa
sull’analisi delle uniformità tra individui
Per cui raramente è utile applicare teorie sul comportamento
interpersonale a contesti di gruppo
Non bastano dunque le teorie individualiste ma sono
necessarie teorie della psicologia sociale specifiche dei
comportamenti di gruppo
72
Il comportamento collettivo: la folla come gruppo - I
Il comportamento delle folle, oltre agli psicologi, ha
affascinato la fantasia di scrittori e artisti in genere.
In un primo momento il comportamento delle persone
nei contesti di folla veniva spiegato come una
regressione a modalità di condotta primitive e istintive
(Le Bon, 1895): il fatto di trovarsi in un contesto che
garantisca anonimato, la possibilità di essere contagiati
e suggestionati, determinano una perdita di razionalità e
di identità nei singoli, creando quella che si chiama
“mente di gruppo”.
Il comportamento collettivo: la folla come gruppo - II
Teoria della “deindividuazione” Zimbardo (1969) ha costruito
un modello secondo il quale anonimato, responsabilità
diffusa e ampiezza del gruppo conducono alla perdita di
identità e a una minore preoccupazione per la valutazione
sociale. Il comportamento delle persone, non più soggetto al
controllo sociale e personale, regredisce diventando
impulsivo e irrazionale = deindividuazione.
Verifiche empiriche: esperimenti di laboratorio
Zimbardo (1969)
V.D.: durata media delle scariche elettriche
V.I.: grado di deindividuazione (manipolato)
Jaffe e Yinon (1979)
V.D.: intensità media delle scariche elettriche
V.I.: individui vs. gruppi di 3 persone
Il comportamento collettivo: la folla come gruppo - III
Risultati che disconfermano la teoria di Zimbardo
Diener (1976): l’anonimato, l’appartenenza a un gruppo riduce
l’aggressività
Johnson e Downing (1979): l’effetto di mediazione delle norme
situazionali rilevanti (indossare l’uniforme da infermiera in condizioni
deindividuate fa diminuire il livello di scariche somministrate)
Ad ogni modo, la teoria della deindividuazione pone
un’enfasi eccessiva sulle conseguenze negative
dell’appartenenza al gruppo, che in molti casi, può invece
favorire il comportamento pro-sociale
Il comportamento collettivo: la folla come gruppo - IV
Secondo Diener (1980) l’elemento chiave nel comportamento
degli individui nelle folle è la perdita dell’autoconsapevolezza
I fattori che caratterizzano le folle quali l’anonimato, la coesione,
l’aumento di attivazione, fanno sì che l’attenzione si sposti verso
l’esterno piuttosto che verso se stessi.
Questa teoria non esclude di per sé il comportamento
prosociale: quello che conta sono gli stimoli presenti
nell’ambiente.
Che cosa accomuna la teoria di Zimbardo con quella di Diener?
Entrambe sottolineano come in situazioni di folla il
comportamento tenda a divenire privo di regole: si ha una
perdita di identità con una conseguente perdita di autocontrollo.
Il comportamento collettivo: la folla come gruppo - V
Nella prospettiva intergruppi, in una folla è quasi sempre
coinvolto più di un gruppo: Il comportamento delle folle è
quindi un comportamento intergruppi
E’ dunque più lecito parlare di acquisizione di una nuova
identità (dall’identità personale all’identità sociale) piuttosto
che di anonimato o perdita dell’identità e il comportamento
risulta più influenzato dall’appartenenza al gruppo piuttosto
che da fattori personali o ambientali
Anche la comunicazione via PC favorisce il processo di deindividuazione (Siegel
et al., 1986; Rutter, 1987): Ricerca di Spears et al., (1990):
il contenuto
degli scambi via rete dipendono dal grado di importanza
attribuito all’identità di gruppo dai membri della rete.
Il comportamento collettivo: la folla come gruppo - VI
In conclusione:
Il comportamento degli individui sembra essere regolato
anche nelle situazioni di folla, anche se i processi psicologici
soggiacenti ai meccanismi di regolazione sono di ordine
diverso da quelli “individuali”.
Sembra che le folle si prefiggano bersagli o scopi specifici,
sulla base dell’identificazione con una particolare categoria
sociale.
La prospettiva intergruppi mette l’accento sull’esistenza di un
gruppo “altro”, che chiamiamo outgroup che è fondamentale in
ciò che accade.
Raramente un gruppo esiste isolato e le relazioni con gli altri
gruppi ci permettono di analizzare quello che accade
all’interno del gruppo stesso
Struttura dei gruppi
79
Struttura del gruppo
• Diventare membri di un gruppo
• Differenziazione dei ruoli
• Sistema di status
• Norme di gruppo
80
Diventare membri di un gruppo - I
Immaginiamo di dover entrare a far parte di un qualsiasi gruppo. Qual è la
sensazione immediata che possiamo provare?
Si tratta sicuramente di una sensazione di ansia. Questa sensazione è
indipendente dall’età e dal tipo di gruppo in cui stiamo per entrare.
Da che cosa può derivare questa sensazione?
Può essere definita come “paura dell’ignoto” .
E questa potrebbe essere una causa. Ma ci sono anche altri processi, tentativi
di ridurre l’incertezza di una situazione nuova
81
Diventare membri di un gruppo - II
Modello di Levine e Moreland (1994)
definito come “modello temporale della socializzazione al gruppo”,
attribuisce un’importanza particolare alla reciprocità dell’individuo e del
gruppo, nel senso che non è solamente l’individuo a dover affrontare dei
cambiamenti quando entra a far parte di un gruppo; anche il gruppo, infatti,
deve adattarsi ai suoi nuovi membri.
Tra i fenomeni discussi dagli autori:
• La ricognizione iniziale
• I cambiamenti nel concetto di sé quando si entra a far parte di un gruppo
• Il processo di iniziazione al gruppo
82
Diventare membri di un gruppo - III
La ricognizione iniziale del gruppo
È il processo che si compie quando si deve scegliere il gruppo (o i gruppi) di
cui potremmo entrare a far parte.
Questo a prescindere dall’appartenenza a gruppi che sono prescritti e che,
quindi, non possono essere scelti (sesso, classe sociale, etc.)
Quali sono i criteri con cui viene scelto un gruppo piuttosto che un altro?
Secondo Levine e Moreland (1994) la scelta avviene in base a un criterio di
massimizzazione dei propri vantaggi e minimizzazione dei costi:
valutazione costi/benefici
(Teoria dello “scambio sociale”: Homans, 1950)
Il criterio è, quindi, che cosa può fare il gruppo per noi e che cosa il gruppo si
aspetta da noi in cambio
83
Diventare membri di un gruppo - IV
Quali sono i fattori che determinano la percezione individuale dei costi/benefici
associata all’entrata in un determinato gruppo?
Secondo Pavelchack, Moreland e Levine (1986) la maggior parte di informazioni
deriva dalle nostre esperienze precedenti con altri gruppi.
Verifica empirica: ricerca degli autori con studenti universitari.
Focus: relazione tra 1) grado di importanza e soddisfazione dell’appartenenza a
gruppi durante la scuola; 2) grado di intensità con cui si persegue
l’appartenenza a gruppi “universitari”
Risultati: relazione positiva significativa, ma debole
Secondo Hogg (1992), un fattore rilevante nella scelta è la percezione di
similitudine con il membro ideale (tipico, rappresentativo) del gruppo: una
minore discrepanza permette di preferire un gruppo piuttosto che un altro.
84
Diventare membri di un gruppo - V
I cambiamenti nel concetto di sé
Una delle prime conseguenze del divenire membri di un gruppo consiste in una
ridefinizione di ciò che siamo, cioè un cambiamento nel modo in cui vediamo
noi stessi.
Nel campo della psicologia del lavoro, soprattutto per predire il “commitment”
(investimento) degli impiegati verso la propria organizzazione, viene
somministrato uno strumento (ideato da Khun e McPartland,1954) in cui si esplora la
definizione di sé attraverso la domanda “Chi sono io”?
Le
persone possono dare un massimo di 20 risposte.
Nella ricerca di questi autori, la maggior parte dei partecipanti diede più del 50%
di risposte “gruppali”.
85
Diventare membri di un gruppo - VI
Moreland (1985) trovò che i nuovi membri di un gruppo tendono a categorizzarsi e ad
essere categorizzati come “nuovi” rispetto ai “vecchi”. Questo processo di
ridefinizione di sé influisce sul comportamento: i “nuovi” tendono a interagire
maggiormente con gli altri “nuovi”.
La ridefinizione di sé che avviene nell’entrare in un gruppo può avere implicazioni
anche a livello dell’autostima.
Un determinato valore o prestigio associato al gruppo deve necessariamente
riflettersi anche sul concetto che abbiamo di noi stessi; se interiorizziamo le
nostre appartenenze ai gruppi come parte del nostro concetto di sé, il successo
o il fallimento di un gruppo tendono ad alzare o abbassare i livelli di autostima e
autovalutazione personale.
86
Diventare membri di un gruppo - VII
L’iniziazione del gruppo
Abbiamo visto che significato possa avere entrare in un gruppo, i cambiamenti che
questo ingresso provoca nel sé. Proviamo adesso ad analizzare quale possa
essere la risposta del gruppo quando dei nuovi membri si apprestano ad
entrare.
Può accadere, ad esempio, che l’ingresso di un nuovo membro sia teatro di
cerimonie rituali, soprattutto nei gruppi stabili o formali (Moreland e Levine,
1982).
Questo tipo di rituali e cerimonie possono essere favorevoli al nuovo membro.......
ma possono esserci anche esperienze altamente spiacevoli, dolorose o
imbarazzanti.
87
Diventare membri di un gruppo - VIII
Gli eventi di iniziazione spiacevoli, osservabili in alcuni riti religiosi, possono essere
a livello psicologico o fisico (come la circoncisione o il provocare dolore fisico);
sono tendenzialmente utilizzati per sottolineare transizioni di status o ruolo
all’interno di un gruppo.
Altri esempi di gruppi che possono avere riti di iniziazioni spiacevoli: gruppi militari,
associazioni universitarie.
Qual è il senso di queste iniziazioni? Perché l’entrata di un nuovo membro deve
essere sottolineata così tanto?
88
Diventare membri di un gruppo - IX
Esistono diverse spiegazioni possibili:
•
Le cerimonie svolgono una funzione simbolica sia per il nuovo (facilitano il
processo di transizione dell’identità) che per il gruppo (che può sentire il
bisogno di simboli per definire i suoi confini e sottolineare il carattere distintivo
del gruppo rispetto agli altri): divise, segni caratteristici, etc.
•
Le iniziazioni servono come una specie di “tirocinio” per il nuovo, proprio per
indirizzarlo verso l’apprendimento degli standard normativi del gruppo.
•
Le cerimonie hanno la funzione di suscitare la lealtà del nuovo membro (e, in
questo caso, si fa riferimento in modo particolare solo alle condizioni favorevoli
di iniziazione).
89
Diventare membri di un gruppo - X
E qual è il senso delle esperienze decisamente negative e spiacevoli?
Una spiegazione plausibile (ma un po’ complessa) è stata fornita da Aronson e
Mills (1959) sulla base di quella che è la Teoria della dissonanza cognitiva di
Festinger (1957).
Secondo Aronson e Mills è raro che l’esperienza della vita di gruppo sia totalmente
positiva. E questo può indebolire la coesione del gruppo. L’iniziazione
spiacevole è ciò che può contrastare la perdita della coesione.
Questo perché avere una esperienza negativa all’ingresso non può essere
compatibile con la scoperta che alcuni aspetti del gruppo non sono come
avevamo pensato all’inizio.
90
Diventare membri di un gruppo - XI
La percezione di incoerenza o dissonanza, a livello psicologico, è spiacevole e gli
individui cercano di ridurla.
Quindi una via per ridurre la dissonanza iniziale è quella di migliorare la valutazione
del proprio gruppo. Il pensiero tipico che può essere sotteso a un processo
simile può essere:
“Se ho fatto tutto questo per diventare membro del gruppo, vuol dire che deve
essere veramente importante per me”.
In pratica, più l’ingresso è difficile, più il gruppo sembrerà attraente.
Gli studi in merito hanno dimostrato che, effettivamente, l’iniziazione difficoltosa o
spiacevole rende il gruppo più attraente, può servire per esaltarne la lealtà e la
coesione.
Se sia il meccanismo di riduzione della dissonanza o qualche altro tipo di
processo… questo è ancora in fase di studio e discussione
91
Gli aspetti strutturali dei gruppi - I
Abbiamo analizzato i processi attraverso cui avviene l’entrata di un nuovo
membro in un gruppo. Adesso iniziamo ad analizzare quelli che sono gli
aspetti strutturali dei gruppi.
• Gli aspetti strutturali indicano le cose che mostrano una certa stabilità.
• Possiamo dire che gli aspetti strutturali del gruppo sono la cornice entro cui
avvengono i processi di gruppo.
•
Che cosa è la struttura di un gruppo?
Sherif e Sherif (1969) la definiscono come “una rete interdipendente di ruoli e
status gerarchici”
92
Gli aspetti strutturali dei gruppi - II
Qual è la definizione di “status” e “ruolo”?
•
Prima di tutto lo status e il ruolo non si riferiscono a un membro in particolare,
ma alla posizione che questo occupa all’interno del gruppo.
•
Quello che differenzia lo status dal ruolo è il valore: ruoli diversi possono
avere un valore simile, ma questo non accade per lo status, per cui a
posizioni di status diverse sono associati valori diversi.
•
Chi ha la posizione di status di valore superiore in un gruppo è considerato il
leader.
93
La differenziazione di ruolo - I
•
Cos’è il “ruolo”?
È un insieme di aspettative condivise circa il modo in cui dovrebbe comportarsi
una persona che occupa una certa posizione in un gruppo.
•
La differenziazione di ruolo è quindi legata alla differenza di aspettative associate
a ciascun membro all’interno del gruppo
•
Esistono ruoli stabiliti formalmente (es. quelli lavorativi o scolastici) e
informalmente (es. studio di Sherif e coll., 1961, su un campo estivo di ragazzi).
•
Esistono gruppi in cui può essere inizialmente difficile evidenziare i confini tra un
ruolo e un altro. Tuttavia sembra sempre possibile identificare la differenziazione
dei ruoli anche in gruppi apparentemente non strutturati (es. gruppi di amici).
94
La differenziazione di ruolo - IIa
•
Un sistema di ruoli ha origine nella cultura o subcultura di riferimento, che si
caratterizza per uno specifico patrimonio di valori, ideologie e rappresentazioni
condivise
•
Ricerca di Zimbardo e coll. (1972): la “Stanford Prison”
•
I risultati di questo esperimento sono andati molto al di là delle previsioni degli
sperimentatori, dimostrandosi particolarmente drammatici.
•
Secondo Zimbardo, la prigione finta, nell'esperienza psicologica vissuta dai
soggetti di entrambi i gruppi, era diventata una prigione vera.
95
La differenziazione di ruolo - IIb
•
Secondo Bronfenbrenner (1979), le reazioni osservate durante l’esperimento della
Stanford Prison non sono dovute a caratteristiche di personalità, ma piuttosto a
modelli di risposta specifici di ruoli e istituzioni particolari della società americana: i
comportamenti relativi ai ruoli di “guardia” e “carcerato” sono legittimati da 2
istituzioni: il sistema carcerario esistente e l’università (acquiescenza alle istruzioni
dello sperimentatore “universitario” in quanto studenti)
•
Assumere una funzione di controllo sugli altri nell'ambito di una istituzione come
quella del carcere, assumere cioè un ruolo istituzionale, induce ad assumere le
norme e le regole dell'istituzione come unico valore a cui il comportamento deve
adeguarsi
96
La differenziazione di ruolo - III
•
Uno dei primi studi sulla differenziazione di ruolo è quello di Slater (1955).
Risultato: distinzione tra “specializzazione al compito” e “specializzazione
socio-emozionale”, associate ai comportamenti rispettivamente strumentali
ed espressivi evidenziati da Bales.
•
Differenze di ruolo importanti sono quelle presenti nel gruppo “famiglia”.
Parsons e Bales (1956) evidenziarono una maggiore efficienza e coesione
nelle famiglie in cui i ruoli erano altamente specializzati e distinti secondo le
linee di genere (ai padri il ruolo strumentale, alle madri quello espressivo).
97
La differenziazione di ruolo - IV
Limiti della teoria di Parsons e Bales
•
•
È basata sull’assunzione che le attività legate al compito e quelle socioemozionali siano sempre incompatibili. Questo si è dimostrato non vero, per
cui è possibile affermare che uno stesso individuo possa svolgere entrambi
i ruoli.
I compiti strumentali familiari possono essere sia quelli culturalmente definiti
come “maschili” (manutenzione e piccole riparazioni domestiche) sia quelli
definiti come “femminili” (cucinare)
Inoltre la relazione tra differenziazione e coesione familiare non è chiara
98
La differenziazione di ruolo - V
•
E’ forse probabile che le strutture di ruoli troppo rigide creino problemi e
limiti in diverse tipologie di gruppi.
•
Ad es., nei gruppi di lavoro, una differenziazione rigida può impedire
l’adattamento al cambiamento.
•
Resta il fatto che, in ogni tipo di gruppo, una differenziazione tra i ruoli
sembra avere una importanza necessaria alla vita stessa del gruppo.
Ma questo perché?
99
La differenziazione di ruolo - VI
FUNZIONI DEL RUOLO
• La differenziazione tra ruoli aiuta la divisione dei compiti e del lavoro e,
quindi, agevola il conseguimento dello scopo del gruppo. Questo può portare
a dire che, in taluni casi, la differenziazione è contesto-specifica.
•
I ruoli portano ordine nell’esistenza del gruppo; da ruoli diversi abbiamo
aspettative diverse e anche noi stessi ci relazioniamo in modo differente.
•
I ruoli sono parte della definizione che diamo di noi nel gruppo e della
consapevolezza di ciò che siamo. Detto in altri modi, il ruolo contribuisce a
formare la nostra identità, quando è definito.
100
La differenziazione di ruolo - VII
• A che cosa dunque serve una divisione in ruoli?
• Permette una vita di gruppo prevedibile e ordinata; è funzionale alla
soddisfazione e alla coesione di gruppo (Brown, 1988)
• In quasi tutti i gruppi sono identificabili i seguenti 3 ruoli:
- leader
- “nuovo arrivato”
- “capro espiatorio”
• Secondo Wells(1980) il “capro espiatorio” ha una funzione “protettiva” del
gruppo, in quanto permette agli altri membri di proiettare le parti negative
dell’immagine di sé.
101
La differenziazione di ruolo - VIII
Conflitti legati al ruolo
• Conflitti prevedibili legati all’assegnazione di ruoli determinati a
determinate persone
• Conflitti a livello personale:
• Incompatibilità fra ruolo giocato nel gruppo ed altri ruoli
sociali
• Assenza di motivazione a sostenere il ruolo
• Conflitti a livello di gruppo:
• Assenza di accordo nel gruppo rispetto alla persona che
ricopre un determinato ruolo
• Assenza di accordo rispetto al modo in cui un ruolo viene
interpretato
102
La differenziazione di ruolo - IX
Conflitti legati al ruolo
• Jackson e Schuler (1985): i conflitti di ruolo nei gruppi di lavoro
comportano un aumento della tensione e un decremento di
produttività
• Possibile soluzione:
• Innovazione e transazioni di ruolo
• benché a volte il passaggio da un ruolo a un altro può
essere fonte di ulteriori conflitti (Moreland e Levine,
1984)
103
Il sistema di status - I
•
Legata alla struttura dei ruoli, all’interno di un gruppo è possibile evidenziare
una gerarchia di status.
•
Ma che cosa è esattamente lo status?
•
Lo status si riferisce alla posizione occupata dall’individuo nel gruppo,
unitamente alla valutazione di tale posizione in una scala di prestigio
(Scilligo, 1973)
– Il sistema di status è il pattern generale di influenza sociale fra i
membri di un gruppo (Levine e Moreland, 1990)
104
Il sistema di status - II
• Uno status elevato è rivelato da due indicatori fondamentali:
• Tendenza a promuovere iniziative (idee ed attività) che
vengono continuate dal resto del gruppo (Bales, 1950;
Sherif e Sherif, 1964).
• Consenso sulla valutazione del prestigio connesso alla
posizione dell’individuo nel gruppo (Brown, 1988),
valutazione o classificazione positiva da parte degli altri nel
gruppo (Homans, 1950).
Indicatori altamente correlati tra loro, ma distinti
105
Il sistema di status - III
•
Ci sono stati molti studi che hanno confermato l’esistenza di gerarchie
di status anche nei gruppi informali (es. studio di Sherif e Sherif,
1964, sulle bande di adolescenti).
– Misura: classificare i membri in base alla capacità di prendere
iniziativa efficace nelle attività di gruppo
– Correlazioni alte tra risposte date dai membri del gruppo e da
osservatori esterni
– Basse correlazioni tra queste classificazioni e la popolarità dei
membri (distinzione tra efficacia nel compito e preferenza)
106
Il sistema di status - IV
•
La definizione di status rimanda a delle unità strutturali solitamente
definite come statiche (mentre i ruoli sono considerati la parte
dinamica, perché legati agli obiettivi)
•
Tuttavia anche le gerarchie di status possono essere mutevoli,
possono modificarsi con:
– l’ingresso o l’uscita di membri del gruppo
– il cambiamento del contesto o conflitto intergruppi
– Il cambiamento degli interessi, attività o scopi del gruppo
107
Il sistema di status - IV
A che cosa servono le gerarchie di status?
•
•
•
Soddisfano un bisogno di prevedibilità e ordine (in questo caso le
aspettative sono di competenza piuttosto che sul tipo di comportamento)
Questo facilita l’assegnazione dei compiti, la stabilità del gruppo e
l’efficacia nel raggiungimento degli scopi
A volte, può portare verso quella che viene chiamata come “la profezia
che si auto-avvera”: le persone si adeguano al livello che ci si attende
benché le loro capacità possono essere superiori o inferiori.
– Lo status influenza quindi il comportamento delle persone
108
Il sistema di status - V
•
Come si produce un sistema di status?
•
Due spiegazioni teoriche:
•
Corrente etologica (Mazur, 1985)
•
Teoria degli “stati di aspettativa”
(Berger et al., 1980; Berger e Zelditch, 1985)
•
Secondo la corrente etologica, l’assegnazione di status avviene in base ad
una distinzione iniziale fra ipotetici “vincitori” e “perdenti”, effettuata valutando
la forza di ciascuno a partire da caratteristiche quali statura, muscolatura,
espressione facciale.
109
Il sistema di status - VI
•
La teoria degli stati di aspettativa fornisce una spiegazione dell’influenza
dello status sul comportamento.
Secondo questa teoria, quando un gruppo è impegnato in un compito, nella
maggior parte dei casi i suoi membri hanno già sviluppato o sviluppano
rapidamente aspettative sulle abilità di prestazione dei loro compagni.
I membri di status più elevato avviano le attività, sono considerati più influenti;
inoltre, sono considerati più competenti anche in altri settori, anche se non è
realmente così (“effetto alone”)
Questo fa sì che l’iniziale gerarchia di status venga rinforzata e amplificata
circolarmente.
110
Il sistema di status - VII
•
Secondo la teoria degli stati di aspettativa, è possibile fare delle inferenze
sulle prestazioni anche sulla base di tratti “esteriori” quali la razza e il
genere, per effetto degli stereotipi culturali ad essi associati
•
La diversa percezione di razza e genere nell’evoluzione culturale può
contribuire a collocare le persone in modo diverso all’interno della struttura
del gruppo.
•
Soprattutto per quanto riguarda le differenze di status tra i sessi, esse si
stanno (seppur lentamente) riducendo e, quindi, nel lungo termine è
possibile ipotizzare che possano scomparire.
111
Il sistema di status - VIII
•
Metodi di studio dello status
•
•
Raccolta delle valutazioni dei membri del gruppo:
•
Ciascun appartenente al gruppo valuta gli altri in termini di
popolarità, influenza, competenza
•
Come evidenziato da Sherif (1948) esiste una maggiore
concordanza rispetto alle valutazioni dei livelli estremi della
struttura gerarchica
•
Osservazione dei comportamenti verbali e non verbali
Le persone con status elevato interagiscono più frequentemente con gli altri
membri, dunque
–
–
Maggiori interventi: frequente presa di turno, turni di parola più
lunghi, critiche, comandi, interruzioni frequenti degli interlocutori
Maggiori ricezioni di turni: ricevono un maggior numero di
comunicazioni da parte degli altri membri
112
Indicatori non verbali di status elevato
• Apparenza (abbigliamento, accessori, status symbol)
• Maggiori contatti fisici attivi, utilizzo di maggior spazio personale:
– movimenti verticali
– movimenti orizzontali
– "intrusioni" fisiche (contatti, puntamenti)
• Posture (asse dominanza/subordinazione) più aperte, rilassate e
erette
113
Indicatori non verbali di status elevato
• Maggior numero di sguardi rivolti all’interlocutore mentre si parla
rispetto a quando si ascolta (alto visual ratio)
• Migliore espressività verbale e non verbale:
– Maggiori gesti connessi al discorso (contenuto e struttura)
– Maggior congruenza tra comunicazione verbale e non verbale
nell’espressione orale (mimica, intonazione, velocità e ritmo
d’eloquio, articolazione chiara delle parole, voce ferma assenza
di esitazioni e di errori)
114
Le norme di gruppo
Le norme di gruppo - I
•
Ogni gruppo possiede una sua peculiarità che lo distingue dagli altri. Si può
sicuramente dire che ogni gruppo sia unico.
•
Da che cosa è data questa unicità?
Da sistemi di norme diversi che producono valori e atteggiamenti diversi.
Questi sistemi di norme caratterizzano qualsiasi tipologia di gruppo, formale
o informale.
•
L’interesse della ricerca si è focalizzato sui fattori coinvolti nell’acquisizione,
interiorizzazione e sviluppo delle norme da parte di un gruppo
Le norme di gruppo - II
Le nome costituiscono scale di valori che definiscono le aspettative condivise
rispetto al modo in cui dovrebbero comportarsi i membri del gruppo (Levine e
Moreland, 1990); riguardano un set di regole di comportamenti e opinioni cui ci si
aspetta che i membri si uniformino
Permettono di definire la “latitudine” entro la quale sono accettate le differenze
individuali
Non hanno lo stesso carattere di obbligatorietà per tutti i membri: le persone di
status elevato sono più vincolate alle norme centrali
Esempi di “norme”: il “look” che caratterizza determinati gruppi
117
Le norme di gruppo - III
... sono “scale di valori” che definiscono una serie di atteggiamenti e comportamenti
accettabili (e inaccettabili) per i membri di una certa unità sociale” (Sherif e Sherif,
1969)
... sono “aspettative condivise” circa il modo in cui dovrebbero comportarsi i membri
di un gruppo (Levine e Moreland, 1990)
In altre parole, le norme sono regole che riguardano il “come gli individui si
dovrebbero comportare” e sono la base delle aspettative reciproche tra i
membri del gruppo.
•
Che cosa succede a chi non rispetta le norme?
I devianti ricevono più comunicazioni; questo stato termina quando essi si riavvicinano alle
opinioni della maggioranza. Se invece persistono nella posizione assunta, il gruppo finisce per
abbandonarli a se stessi
Le norme di gruppo - IV
•
Le norme possono essere...
- esplicite, come nei gruppi formali e nelle organizzazioni: regolamento scritto
che sancisce ciò che è permesso e ciò che è proibito
- implicite, non espresse direttamente, ma ugualmente sanzionatorie
•
Si possono distinguere...
- norme centrali: si riferiscono a questioni che comportano conseguenze per il
gruppo; i casi di devianza sono duramente sanzionati (es.: discipline di partito,
disobbedienza negli ambienti militari e religiosi)
+ il gruppo è coeso, + la reazione dei membri è unitaria
devianza di un membro
in caso di
Le norme di gruppo - V
- norme periferiche: riguardano questioni considerate dal gruppo come
marginali al proprio schema di comportamento (es.: hobby privati dei membri)
I membri di basso status sono sanzionati con + frequenza rispetto ai “superiori”
se violano le norme periferiche
•
I membri di status elevato sono ancora + obbligati degli altri a seguire le norme
centrali (in quanto da esse dipende la sopravvivenza del gruppo e del loro
potere al suo interno), mentre sono + liberi di non aderire o addirittura cambiare
le norme periferiche (ciò spesso non è concesso agli altri membri;
es.:
puntualità agli appuntamenti)
Le norme di gruppo - VI
•
Opp (1982) distingue 3 tipi di norme, che sottintendono origini diverse....
- norme istituzionali: sono imposte da autorità esterne o dal leader (quindi
“calano dall’alto”)
- norme volontarie: nascono dalle negoziazioni tra i membri allo scopo di
risolvere i conflitti
- norme evolutive: si producono quando i comportamenti che soddisfano un
membro vengono appresi anche dagli altri, che li diffondono nel resto del
gruppo, fino a diventare successivamente prescrizioni
Es.: convivenza di studenti in un appartamento
Acquisizione e sviluppo delle norme - I
Studi condotti in college americani sul modo in cui le norme vengono acquisite
dai nuovi membri:
•
Newcomb (1961): in un college dalle norme “progressiste” che accoglie studenti di famiglie
“conservatrici”, gli studenti agli ultimi anni preferiscono il candidato (alla presidenza USA)
progressista in misura significativamente maggiore dei studenti dei primi anni
• Siegel e Siegel, 1975:
Modalità della VI: Confronto tra una casa dello studente gestita in maniera progressista ed una
più tradizionale
Disegno longitudinale (pre, post) - 2 rilevazioni: ad inizio anno, ossia all’entrata nell’alloggio
(pre); e a fine anno (post)
Misura entro i soggetti (= VD): grado di autoritarismo
Risultato: diminuzione significativa del grado di autoritarismo tra il pre e il post, ma solo negli
studenti inquilini dell’alloggio “progressista”, mentre gli altri restano invariati
Acquisizione e sviluppo delle norme - II
•
Studi sul comportamento dei bambini all’ingresso della scuola materna
(McGrew, 1972; Feldbaum et al., 1980) mostrano che esiste una prima fase in cui i
bambini osservano giocare gli altri, come se tentassero di capire quali siano le
“regole di base” prima di entrare a fare parte del gruppo
•
Altri studi sullo stesso target (Merei, 1949; Putallaz, Gottman, 1981) evidenziano che,
nell’ammissione come membri di un nuovo gruppo, i bambini più popolari o i
leader sono quelli che all’inizio sanno adeguarsi alle norme pre-esistenti
(strategia “attendista”), mentre quelli che tentano subito di mettersi in mostra o
di apportare variazioni (strategia “interventista”) sono poco accettati.
•
Anche negli studi sulle strategie di conquista della leadership negli adulti
(Hollander, 1960), il conformismo iniziale alle norme del gruppo risulta vincente.
Funzioni delle norme - I
La costruzione delle norme di gruppo assolve ad almeno
4 funzioni (Cartwright e Zander, 1968) ...
•
Avanzamento del gruppo: le norme, ad esempio le pressioni verso l’uniformità, sono
necessarie affinché il gruppo raggiunga i suoi obiettivi
•
Mantenimento del gruppo: le norme , come ad esempio le richieste per incontri
regolari, preservano il gruppo dall’estinzione
•
Costruzione della realtà sociale: sviluppo di una concezione comune della realtà che
serve come riferimento, soprattutto nell’interpretazione di situazioni ambigue per
l’autovalutazione individuale
– Definizione delle relazioni con l’ambiente sociale: consenso sulle relazioni
con gli altri gruppi che costituiscono l’ambiente esterno e stabilire quali
gruppi siano “alleati” o “nemici”
Funzioni delle norme - II
Quali possono essere le funzioni che svolgono le norme a livello individuale?
•
Sono strutture di riferimento tramite le quali è possibile interpretare il mondo
•
Sono una serie di costrutti a cui sono associati valori che servono per dare
ordine e prevedibilità a quello che ci circonda
•
Permettono, inoltre, di capire come possiamo comportarci in una situazione
nuova o ambigua
Esempio: l’esperimento di Sherif (1936) sull’effetto autocinetico: dalla “norma individuale” alla
“norma di gruppo”
Funzioni delle norme - III
Quali sono, invece, le funzioni che svolgono le norme a livello sociale?
•
Regolano l’esistenza sociale e, di conseguenza, aiutano a coordinare le
attività dei membri del gruppo
•
Le norme, inoltre, sono legate agli scopi del gruppo; una volta stabilito
l’obiettivo, le norme servono per orientare i membri del gruppo verso il suo
raggiungimento
•
Possono servire per migliorare l’identità del gruppo (questo è soprattutto il
caso delle norme gergali o di abbigliamento)
Variazioni delle norme - I
•
Ogni norma ha una sua “ampiezza di accettazione” (Sherif e Sherif, 1969): la
gamma di comportamenti “accettabili” può essere più o meno ristretta a
seconda della norma (+ o – saliente per l’esistenza del gruppo) e della
posizione del membro all’interno del gruppo (+ o – status)
•
Dunque, l’accettabilità dei comportamenti varia a seconda dell’importanza delle
questioni a cui le norme si riferiscono; la tolleranza è inversamente
proporzionale all’importanza.
•
E’ importante anche la posizione che gli individui hanno nel gruppo: solitamente,
i membri di status superiore hanno la possibilità di deviare in misura maggiore
rispetto ai subordinati. Questo, però, non vale per le attività fondamentali del
gruppo e nelle relazioni con l’outgroup (si deve essere membri “modello”)
Variazioni delle norme - II
•
Un altro fattore da prendere in considerazione è quello temporale: le norme possono
variare a seconda delle diverse circostanze che il gruppo deve affrontare
Ricerca sulla variazione delle norme di gestione in un’azienda (Coch e French, 1948): è un esempio
di come un cambiamento a livello inter-gruppi ha un effetto intra-gruppo
Due gruppi partecipano al programma di cambiamento, un altro viene solo informato.
Risultati:
1. aumento della produzione solo nei gruppi coinvolti;
2. le norme dei gruppi coinvolti divergevano di circa il 50% rispetto al gruppo non coinvolto
•
Ad ogni modo, non tutte le norme sono soggette a cambiamenti: esistono delle
norme gruppali stabili, riferite soprattutto ad abitudini e tradizioni.
Potere e leadership nel gruppo
Il potere nel gruppo
•
Ruoli, status e norme mettono in evidenza che i membri possono essere
centrali o periferici
•
I rapporti di dominanza-sottomissione sono aspetti strutturali del gruppo, ma
anche processuali
130
Il potere nel gruppo
•
Definizioni
– Capacità di influenzare o di controllare altre persone (Levine e
Moreland, 1990).
– Secondo French e Raven (1959), il potere costituisce una
influenza potenziale di O su P (French e Raven, 1959)
•
E’ necessario tenere in considerazione
– nella realtà, il potere raramente deriva da un’unica fonte;
– le relazioni fra O e P sono caratterizzate da molte variabili, ciascuna
delle quali può essere una base di potere.
131
Forme del potere (French e Raven, 1959)
– Il potere di ricompensa: si basa sull’abilità di O di dare o promettere
ricompense, materiali o simboliche, a P. Aumenta con l’ampiezza
delle ricompense.
– Il potere coercitivo: la base del potere è nella minaccia o attuazione
di sanzioni punitive di O su P.
– Il potere legittimo: P ha interiorizzato norme che stabiliscono che O
ha il diritto legittimo di influenzare P, ad esempio in base a una
designazione sociale (elezioni).
Questi tipi di potere possono indurre al conformismo esteriore, ma
non adesione autentica del “dominato” rispetto al “dominatore”
132
Forme del potere (French e Raven, 1959)
– Il potere d’esempio: o potere di riferimento, si basa
sull’identificazione di P con O. Può dipendere dal prestigio di O.
Spesso inconsapevole per P.
– Il potere di competenza: P ritiene O un esperto in un determinato
ambito, ed ha fiducia che O dica la verità. Può essere limitato ad
un’area specifica
Questi tipi di potere possono indurre alla conversione autentica da
parte del “dominato” rispetto al “dominatore”
Critiche: la tipologia di French e Raven non considera né i rapporti
economici, né le motivazioni di chi accetta la fonte di influenza (es.
processi persuasivi, controllo delle informazioni…)
133
Leadership - I
•
Il leader è colui che:
- ha lo status più elevato all’interno di un gruppo
- propone idee e attività
- influenza i membri del gruppo fino a modificare il loro comportamento.
•
Influenza non sempre è sinonimo di potere: persuasione vs.
acquiescenza
Influenza sociale e potere sono processi alternativi di modificazione del
comportamento altrui
L’influenza è un tratto distintivo del leader
•
•
134
Leadership - I
•
Ma visto che l’influenza sociale è un processo reciproco, si può
dire in modo più specifico che il leader è colui che può
influenzare gli altri membri del gruppo più di quanto sia
influenzato lui stesso.
•
Sono molti i modi tramite cui un leader può emergere: elezione,
nomina, usurpazione, emergere spontaneo.
•
Quali sono i motivi che rendono alcune persone in grado di
influenzare gli altri?
135
Leadership - I
Teorie che hanno cercato di rispondere al quesito:
•
Teorie della personalità (Stogdill, 1974): grande uomo, leader naturale
•
Teorie del Comportamento del leader (Bales e Slater, 1955): stili di
leadership
•
Approccio situazionale (Argyle e Little, 1972): natura del compito,
competenze diverse
•
Modello della contingenza (Fiedler, 1964): corrispondenza tra stile e
controllo della situazione
•
Modelli transazionali: relazione bidirezionale di influenza tra leader e
membri
– Credito idiosincratico (Hollander, 1982): conformità iniziale alle norme,
scelta del gruppo, competenza, identificazione
136
Leadership - II
Teorie della personalità
•
Molte teorie sulla leadership tendono a definire i leader come individui che
hanno determinate caratteristiche di personalità che li rendono diversi dalla
gente comune.
•
In realtà, se pensiamo ai “grandi” leader, ci si rende conto che possono essere
persone estremamente diverse l’una dall’altra, per cui gli aggettivi con cui
vengono definiti sono abbastanza vaghi: “carisma” e “genio” sono i più
accreditati e i più utilizzati per cercare di spiegare il successo di questi
individui.
•
Non si è mai trovato un riscontro empirico forte che spiegasse il successo del
leader in questi termini.
137
Leadership - III
•
Una rassegna di vari studi (Stogdill, 1974) ha evidenziato che gli unici tratti
almeno in parte attendibili e correlati con il leader sono che questi individui
sono “un po’ più intelligenti, sicuri di sé, dominanti, socievoli e orientati verso la
riuscita degli altri”.
•
In opposizione alla teoria sui tratti di personalità, ci sono studiosi (ad es., Bales,
1950; Sherif et al., 1961) per cui i leader più efficienti sono quelli che riescono
a guidare il gruppo verso i propri obiettivi. Questo implica che in momenti e
contesti diversi, qualcun altro può emergere come leader (studi: cambio di
obiettivo, cambio di leader).
•
Anche l’approccio situazionale, però, non riesce a spiegare bene quali fattori
sono implicati nell’emersione di un leader
138
Leadership - IV
•
Dal momento che i tratti di personalità non giustificano il potere del leader, si è
iniziato a pensare che il successo di questi individui potesse derivare dal loro
stile di comportamento (Lippit e White, 1943).
•
Secondo Lippit e White, il leader avrebbe la funzione di creare un clima sociale
nel gruppo: lo stato d’animo e l’efficienza del gruppo dipenderebbero proprio
dalla natura del clima prodotto.
Esperimento con bambini frequentanti il dopo-scuola. Analisi di 3 modalità di
comportamento del leader:
- autocratica (direttiva e distante del gruppo, orientamento al compito)
- democratica (coinvolgimento del gruppo, scelta dei compagni)
- permissiva (gruppo libero, intervento minimo del leader)
139
Leadership - V
Le 3 persone addestrate ad agire come leader restavano 7 settimane nello stesso
gruppo, poi cambiavano due volte gruppo e stile di comportamento.
Dunque, qualsiasi effetto osservato nei gruppi poteva essere attribuito allo stile di
comportamento e non alla personalità.
Risultati:
-
l’approccio democratico era il preferito da parte dei membri dei gruppi
-
l’atmosfera dei gruppi “democratici” era + amichevole, centrata sul gruppo e
discretamente orientata al compito
140
Leadership - VI
-
i membri dei gruppi “autocratici” erano + aggressivi e dipendenti dal leader (in
assenza del leader, i membri smettevano di lavorare) e più egocentrici
-
i leader “permissivi” suscitavano molte richieste di informazioni ed erano nel
complesso graditi, ma i gruppi tendevano a giocare piuttosto che a lavorare
-
produttività: gli “autocratici” sono i + alti, ma solo se è presente il leader, nei
“permissivi” aumenta quando non c’é il leader, i “democratici” sono poco
influenzati dalla presenza/assenza del leader
Gli autori approvarono lo stile democratico per autonomia, morale,
efficienza complessiva
141
Leadership - VII
•
La teoria sulla leadership di Bales (1950), attraverso l’analisi dei ruoli identifica
due specializzazioni: una legata al compito e una socio-emozionale.
•
Bales e Slater (1955) distinguono due tipi di funzioni del leader:
- leader socio-emozionale: presta attenzione ai sentimenti
dei membri
del gruppo; è teso ad assicurare armonia nel
gruppo
- leader centrato sul compito: concentrato sulla realizzazione del compito e
sull’organizzazione del lavoro
di gruppo
•
Secondo i due studiosi, i due ruoli sono complementari e difficilmente possono
essere svolti dalla stessa persona
•
Lo specialista del compito è colui che viene percepito come “meglio attrezzato”
per aiutare il gruppo nell’esecuzione del compito.
142
Leadership - VIII
•
Da un punto di vista comportamentale, questi individui partecipano di più alle
attività del gruppo e il loro comportamento si concentra nelle categorie
dell’interazione relativa al compito (forniscono idee, opinioni, soluzioni)
•
Confrontando la teoria di Bales con quella di Lippit e White, emerge che la
dicotomia di Bales (compito/socio-emozionale) è simile alla distinzione di Lippit e
White tra leader autocratico e leader democratico.
•
Anche altri studiosi (Fleishman, 1973; Stogdill, 1974) hanno fornito evidenze
empiriche su questa dicotomia all’interno di un programma di ricerca dell’Ohio
State University.
Furono valutati il comportamento e l’efficienza del leader attraverso valutazioni
fornite da alcuni membri di gruppi di militari e industriali nei confronti dei loro leader.
Le valutazioni evidenziavano 2 caratteristiche principali:
1) l’interesse a dare origine a una struttura;
2) la considerazione degli altri.
143
Leadership - IX
•
La differenza con la teoria di Bales è che i ricercatori dell’OSU vedono le 2
dimensioni come indipendenti, mentre per Bales sono due estremi di un
continuum.
•
Quindi, statisticamente, Bales si sarebbe aspettato fattori inversamente
correlati, mentre il gruppo dell’OSU ha mostrato tramite analisi fattoriali che
essi sono ortogonali (e quindi un leader potrebbe avere valutazioni elevate in
entrambi i fattori).
•
Dunque, secondo il gruppo OSU il leader migliore é l’individuo che viene
valutato sopra la media in entrambi gli attributi: leader capace di organizzare
le attività del gruppo, ma sensibile a opinioni e sentimenti dei membri.
144
Leadership - X
•
Alcune ricerche interculturali (Smiths et al., 1989) hanno confermato la
dicotomia di Bales, ma le specifiche condotte associate ai 2 stili variavano da
cultura a cultura (occidentale vs. orientale)
•
L’ approccio “situazionista”, invece, si fonda sull’idea che in situazioni diverse
il leader deve assolvere funzioni diverse. Tale ruolo può quindi essere
assunto da diversi membri del gruppo, caso per caso
•
Esperimento di Carter e Nixon (1949): variando il tipo di compito, persone
diverse emergevano come leader
•
Fattori situazionali collegati all’emergere di un leader: natura del compito,
presenza nel gruppo di un membro con esperienza di leader, grandezza del
gruppo, stabilità ambientale.
145
Leadership - XI
•
Critiche all’approccio “situazionista”:
- trascura troppo le caratteristiche delle persone con ruoli di leader
- la definizione della situazione (centrata sulle richieste relative al compito) è
riduttiva e considera poco elementi importanti come la storia, la struttura, le
risorse del gruppo
•
In anni recenti alcuni studiosi hanno anche ripreso il concetto di “carisma”,
concepito in termini di una caratteristica di una relazione particolare tra il
leader e i seguaci, più che di un tratto di personalità (Bass, 1985).
•
Il leader carismatico infonde al gruppo qualche forma di ispirazione che
trascende gli obiettivi “normali” di prestazione e promuove l’impegno
nell’interesse collettivo
146
Leadership - XII
•
Bass chiama questo stile “trasformazionale”. Secondo Bass lo stile
trasformazionale è efficace in ogni occasione, ma particolarmente
quando c’è una crisi o un cambiamento. Ma può essere utile anche in
situazioni stabili; ed è percepita come molto efficace dai membri
•
Quali possono essere i limiti di questa teoria?
- le ricerche di Bass sono prevalentemente correlazionali, per cui non
è possibile fare inferenze sulle relazioni causa-effetto.
- le correlazioni potrebbero riflettere le teorie ingenue dei membri del
gruppo sull’identità e le caratteristiche del leader di successo.
147
Leadership - XIII
•
Leadership “trasformazionale”
- Offre una visione significativa e positiva della realtà
- Presta attenzione individuale alle persone, ai loro bisogni, desideri,
atteggiamenti
- Promuove apprendimento
- Incoraggia l’azione creativa, la risoluzione dei problemi, il
coinvolgimento
- Comunica aspettative di elevata prestazione
- Sviluppa energie, propositi, progetti di innovazione
148
Leadership - XIV
•
Altri studi (Howell e Frost, 1989) hanno dimostrato l’utilità di una leadership
trasformazionale e carismatica, in quanto:
- stimola maggiormente la prestazione del gruppo
- sembra che il leader carismatico tenga maggiormente fede ai propri impegni
(studi longitudinali).
Il carisma resta pur sempre il prodotto di una relazione tra leader e membri
•
Resta comunque che il fatto che nella teoria della leadership carismatica c’è
una certa indeterminatezza dei fattori implicati (quali sono gli ingredienti che
creano il “carisma” nella relazione leader-gruppo?) e il concetto rischia di
essere circolare (solo a posteriori si può verificare se il leader è “carismatico”
oppure no).
149
Leadership - XV
Modello della contingenza (Fiedler, 1965)
•
Fiedler (1965) rilevò che l’approccio degli stili di comportamento non spiegava
perché in taluni casi erano + efficienti le leadership orientate al compito, in altri
le leadership socio-emozionali
•
Approccio interazionista: l’efficienza del leader dipende dalla corrispondenza
fra stile adottato e controllo della situazione
•
Stile di leadership misurato mediante punteggio LPC (Least Preferred Coworker): descrizione su scale bipolari (collaborativo / non collaborativo;
amichevole / ostile…) del collaboratore con cui la persona trova più difficile
lavorare (il meno preferito) da parte di aspiranti leader
- Alto Lpc = leader centrato sulle relazioni
- Basso Lpc = leader centrato sul compito
150
Leadership - XVI
•
Il punteggio LPC rispecchia per Fiedler una caratteristica di personalità
relativamente stabile nelle diverse situazioni e nel tempo.
•
3 dimensioni (dalla + alla – importante) che determinano la favorevolezza o
meno della situazione per il leader:
1. Qualità dei legami leader-membri
2. Livello di struttura del compito (es.: chiarezza delle
procedure per il
raggiungimento dello scopo)
3. Potere del leader (es.: grado di controllo di sanzioni e premi,
formalizzazione della ledership)
•
Valutando ogni situazione di leadership come alta o bassa rispetto a questi 3
fattori, derivano 8 combinazioni di favorevolezza (2X2X2)
151
Leadership - XVII
•
Se la situazione è molto favorevole (positiva per tutti e 3 i fattori), i leader non
hanno bisogno di sprecare tempo preoccupandosi del morale dei membri del
gruppo e hanno mezzi e potere per essere direttivi
•
Se la situazione è molto sfavorevole (negativa per tutti e 3 i fattori), accade
che i leader non abbiano niente da perdere ad essere autocratici
•
A livelli intermedi, il leader può compensare un compito mal definito o uno
scarso potere con uno stile orientato alla relazione
152
Leadership - XVIII
•
Una meta-analisi di 178 studi (Strube e Garcia, 1981) conferma
sostanzialmente la validità del modello di Fiedler, individuando comunque
degli aspetti critici riguardo la sua completezza.
•
Nonostante ciò, il modello della contingenza ha sollevato alcune
controversie.
•
Innanzi tutto, il modello implica che lo stile del leader non venga influenzato
dalle circostanze e che, di conseguenza, sia “dato” e non immutabile.
Ciò si basa su una definizione di personalità basata sui tratti che considera
gli individui coerenti nel tempo e nelle situazioni.
La facilità con cui gli individui possono essere addestrati ad agire un
determinato stile (es.: Lippit e White, 1943) sembra contraddire la presenza
di tratti stabili e invarianti.
153
Leadership - XIX
•
Inoltre, nella realtà delle organizzazioni lavorative, gli individui vengono
formati in modo specifico per “interpretare” il ruolo di leader in una certa
maniera.
•
Un’altra prova contro la stabilità dei tratti è fornita da Rice (1978), che ha
riportato un’attendibilità test-retest relativamente modesta della scala LPC
•
Un’altra critica riguarda l’ordine degli 8 tipi di situazioni, che per Fiedler
rappresentano un continuum ordinato di favorevolezza dove ogni ottante
(combinazione delle 3 dimensioni) è ugualmente distante dal successivo.
Ma l’ordine dei 3 fattori situazionali era stato stabilito in modo arbitrario da
Fiedler e, cambiandone l’ordine gerarchico, cambia il continuum tra le 8
combinazioni e, dunque, cambia l’ordine di ampiezza di correlazione tra LPC
ed efficacia.
154
Leadership - XX
•
Singh e coll. (1979) hanno inoltre rilevato che l’ordine di importanza dei 3
fattori nel determinare la favorevolezza della situazione è diverso da quello
prescritto da Fiedler: su 4 studi, solo in 2 il legame leader-membri era
considerato il + importante, mentre negli altri 2 il + importante era il grado di
potere, il quale complessivamente è emerso come il + importante in assoluto.
•
Un ulteriore limite riguarda il fatto che ogni leader può essere categorizzato
solo in modo dicotomico (alto vs. basso LPC) : l’applicazione in campo
formativo del modello scarta ca. il 20% di punteggi (cioè gli intermedi, né alti,
né bassi). Quanto sarebbero stati efficaci?
155
Leadership - XXI
•
Il punto base della teoria di Fiedler, vede la prestazione del leader
come contingente alla situazione.
•
Esistono altri due modelli che valutano gli aspetti contingenti della
leadership:
- il modello della “leadership situazionale” (SLT) di Hersey e
(1993)
Blanchard
- Il modello della “contingenza” di Vroom e Yetton (1973)
156
Leadership - XXII
•
Secondo il modello della “leadershIp situazionale” (Hersey e Blanchard,
1993) i leader devono adattare il loro stile alla “prontezza” dei membri del
gruppo ad affrontare il compito.
•
Per “prontezza” gli autori intendono una combinazione di capacità,
disponibilità e sicurezza dei membri nell’affrontare un dato compito.
•
Se gli individui sono poco motivati e poco abili, il grado di prontezza è basso,
e il leader dovrebbe avere un approccio orientato al compito.
•
Se gli individui sono motivati e sicuri, il grado di prontezza è alto, e il leader
avrà un approccio meno orientato al compito perché può e deve delegare
compiti al gruppo (qui non si parla di un cambiamento in senso socioemozionale).
157
Leadership - XXIII
•
A livelli medi di prontezza, il leader dovrebbe avere un orientamento
prevalentemente socio-emozionale (che è comunque considerato indipendente
dal grado di orientamento al compito)
•
Somiglianze e differenze con la teoria di Fiedler:
Per entrambe l’efficacia della leadership dipende dall’integrazione tra il leader e
la situazione, ma…
per la STL i leader devono avere le capacità di adattare il comportamento al
cambiamento dei contesti, mentre per
Fiedler lo stile di leadership è relativamente stabile
per la STL sono salienti la motivazione e la competenza dei membri e c’è
maggiore attenzione alla relazione tra essi e il leader, mentre per Fiedler la
relazione tra membri e gruppo è solo un aspetto della situazione utile per
identificare lo stile di leadership più efficace
-
-
158
Leadership - XXIV
•
Il modello della “leadership situazionale” è molto utilizzato in ambito formativo
nei contesti organizzativi, ma ha avuto ad oggi scarse verifiche empiriche. Una
delle poche (Vecchio, 1987) non ha confermato la validità del modello.
•
Il modello della “contingenza” di Vroom e Yetton (1973).
prende in considerazione solo l’aspetto della decisione nel gruppo e cerca di
definire il processo al quale si dovrebbe richiamare il leader in diversi contesti di
decisione.
•
In altre parole, il modello cerca di definire “il grado di consultazione e di
partecipazione di gruppo che il leader dovrebbe incoraggiare per giungere alle
decisioni più efficaci”.
159
Leadership - XXV
•
Nel modello della “contingenza” la scelta del processo migliore (cioè
quello che produce una decisione efficace) dipende dalla natura del
compito di decisione.
•
Gli autori inizialmente ipotizzarono l’esistenza di 7 attributi che
consentirebbero al leader di scegliere tra 5 processi decisionali (dal +
“autocratico” al + “democratico”)
– Es. tentare di arrivare a una decisione senza consultare i membri del
gruppo (+ autocratica)
– Es. cercare la partecipazione del gruppo per arrivare a una decisione
consensuale (+ democratica)
160
Leadership - XXV
•
Gli attributi sono sotto forma di valutazioni condizionali a cascata e che
prendono la forma di un diagramma di flusso.
Sono, quindi, valutati attraverso domande.
Es.: attributo “importanza della qualità della decisione”.
Quanto conta prendere la decisione giusta?
Domande a cui rispondere “sì” o “no” portando a una sequenza
processuale.
Alla fine si giunge all’indicazione sui processi consigliati di decisione, che
alla fine viene confrontata con il processo realmente utilizzato per verificare
se il leader ha aderito o meno alle prescrizioni del modello.
161
Leadership - XXVI
•
Il leader (o l’aspirante tale) risponde alle domande circa i attributi in sequenza,
così da sapere quali sono i processi decisionali consigliati per quella situazione.
•
Il punto di forza del modello è dato dalla possibilità di avere uno schema
(vademecum) che orienti il leader.
•
La verifica empirica della validità del modello fornisce prove a favore, ma anche
alcuni problemi (ad es., il processo + “partecipativo” è risultato + efficace, a
prescindere dalle situazioni)
162
Leadership - XXVII
•
In realtà le “indicazioni” hanno alcuni limiti, in quanto l’adesione alle prescrizioni
non garantisce l’efficacia e l’accettazione sociale di una decisione.
•
Una versione + complessa del modello (Vroom e Jago, 1988) prevede 12
attributi e alternative di risposta tipo Likert (in luogo delle dicotomiche), rendendo
il modello stesso meno “maneggevole” al fine di migliorarne il potere predittivo
dell’efficacia del leader
163
Leadership - XXVIII
•
•
La leadership come processo
Dinamica processuale: il leader può influenzare i membri del gruppo, e questi
ultimi possono influenzare, con le loro aspettative e le loro richieste, il leader
stesso. È perciò riconosciuto un ruolo più attivo dei membri del gruppo
•
Ricerca di Merei (1949) in una scuola materna. Bambini più grandi, introdotti in un gruppo
esistente, divennero leader solo se prima di introdurre innovazioni di gioco furono capaci di
adattarsi alle norme, al comportamento ed alle “tradizioni” del gruppo esistente.
164
Leadership - XXIX
•
Nella Teoria della Leadership di Hollander (1978),la sequenza di adesione
iniziale alle norme del gruppo e di successiva introduzione di idee nuove
riveste un ruolo centrale
•
Viene introdotta la nozione di “credibilità idiosincratica”, che il leader deve
conquistare nei contatti iniziali con il gruppo
•
4 fonti di legittimità che favoriscono la “credibilità” del L:
- conformità iniziale alle norme di gruppo
- essere stato scelto dal gruppo
- competenza rispetto agli scopi del gruppo
- identificazione con il gruppo
165
Leadership - XXX
•
La controparte dell’identificazione del leader con il gruppo è rappresentata dalla
percezione del leader come rappresentante o membro prototipico del gruppo.
Secondo Hogg (1996) questo aspetto svolge un ruolo importante nel momento
in cui il leader deve essere accettato dal gruppo, soprattutto in contesti
intergruppi.
•
Connesso alla legittimazione è il modo in cui il leader esercita la sua autorità nel
gruppo (Tyler e Lind, 1992).
Secondo questi studiosi il leader può...
- sforzarsi di acquisire risultati positivi ed equi per i membri del gruppo (criteri di
giustizia distributiva)
- sottolineare la correttezza delle procedure utilizzate per distribuire i redditi
(criteri di giustizia procedurale)
166
Leadership - XXXI
•
Il rispetto dei due criteri permette al leader di conquistare il gruppo; se le
procedure sono percepite come imparziali, il gruppo è maggiormente
disposto ad accettare un leader anche se non dà loro qualcosa che
aspettavano da tempo.
•
È importante sottolineare che gli effetti che entrambi i criteri di giustizia
esercitano sono dipendenti dal contesto in cui hanno luogo, in particolare
se è intra-gruppo o inter-gruppi.
167
Leadership - XXXII
•
Situazione sperimentale di Platow et al. (1997) in cui i leader distribuivano
somme di denaro.
2 variabili manipolate:
- tipo di distribuzione (equa/non-equa)
- contesti (intra-/inter-gruppi)
Misura: grado di approvazione del leader dai membri
Risultati: i leader equi ricevevano + approvazione dei non-equi, ma
l’effetto era minore nel contesto inter-gruppi. Ma il dato più importante è
che in alcuni contesti inter-gruppi, il leader che era poco equo nei
confronti dell’altro gruppo era + approvato di quello che era equo.
168
Leadership - XXXIV
Riassunto dei principali approcci allo studio della leadership
•
Approccio dei “tratti di personalità”
•
Approccio degli “stili di comportamento” (Bales, Lippit & White, Bass)
•
Approccio “situazionista” (Carter & Wright)
•
Approccio “interazionista” (Fiedler, Hersy & Blanchard, Vroom & Yetton)
•
Approccio “transazionale” (Hollander, Tyler & Lindon)
169
Ruoli, relazioni e processi nel gruppo
•
•
•
•
•
Potere = potenzialità di influenzare l’altro
Dominanza = rapporto con la persona influenzata
Controllo = comportamento di chi ha potere
Status alto = posizione ricoperta da chi ha maggior controllo
Leadership = status più alto nel gruppo
Comunicazione nei gruppi
171
Comunicazione nei gruppi - I
•
La comunicazione è uno degli elementi costitutivi di un gruppo in quanto
implica uno “scambio di significati”, che determinano una finalità e
atteggiamenti comuni, la coesione gruppale, le relazioni interpersonali, gli
accordi o i disaccordi, la collaborazione o la competizione (Flament, 1965)
•
Tutti i processi di gruppo (es. coesione, cooperazione/competizione, influenza
sociale, devianza, polarizzazione) hanno a che fare con la comunicazione
•
Il fenomeno della “discussione”: un rito di comunicazione che riunisce i membri
di un gruppo in un luogo idoneo secondo regole prescritte (Moscovici e Doise,
1991)
Comunicazione nei gruppi - II
•
La discussione è il contesto privilegiato sia per l’emersione del conflitto, sia per
la ricerca del consenso
•
Come sosteneva Festinger (1950), la costruzione di una realtà sociale
condivisa all’interno del gruppo avviene tramite gli scambi comunicazionali di
idee e opinioni
•
Una discussione di gruppo può essere influenzata da...
- tipo di atmosfera (calda/fredda)
- grado di spontaneità (spontanea/vincolata)
- tipo di partecipazione (consensuale/normalizzata)
Comunicazione nei gruppi - III
•
L’atmosfera della discussione e gli scambi comunicativi sono influenzati dagli
attributi del setting fisico-spaziale: grandezza della stanza, arredi, aspetto
globale del luogo (familiare, solenne, asettico, ecc.), lay-out, disposizione di
sedie e tavolo
•
Alcuni studi mostrano come sia gli aspetti fisico-spaziali + “micro” (sedersi in
cerchio vs. sedersi allineati), sia i + “macro” (stessa disposizione “micro”, ma in
differenti contesti) creano differenze di atmosfera che si ripercuotono nei
processi che avvengono nel gruppo
•
Il grado di spontaneità di una discussione è legato alla presenza o meno di
vincoli temporali o procedurali: + la discussione è spontanea, + si verificano
partecipazione diffusa di tutti i membri e fenomeni di influenza sociale
Comunicazione nei gruppi - IV
•
Partecipazione “consensuale” vs. “normalizzata”
- nella p. consensuale tutti i membri del gruppo possono dire la loro senza
preoccupazioni di status e senza vantaggi per la maggioranza (rispetto alle
minoranze)
- nella p. normalizzata le possibilità di accedere alla discussione sono
“regolamentate” dalla gerarchia di status
•
Nelle discussioni a p. consensuale gli scambi sono accesi, c’è alto coinvolgimento
dei membri, emergono punti di vista divergenti e conflitti
•
Nelle discussioni a p. normalizzata gli scambi sono ordinati, non emergono punti di
vista conflittuali, i membri di status basso (o di una minoranza) non contraddicono i
membri di status alto (o la maggioranza), il coinvolgimento dei membri è scarso, le
decisioni sono + scontate e determinate dalla leadership
Comunicazione nei gruppi - V
Tre principali oggetti di studio sulla comunicazione nei gruppi:
•
•
•
Festinger (1950) e Schachter (1951): analizzano i processi comunicativi in
rapporto ad altri fenomeni di gruppo.
Esempio: studi sulle comunicazioni (persuasive) verso i devianti x ristabilire la
coesione gruppale
Bales et al. (1951): studiano le strutture di comunicazione nei gruppi di
discussione; evidenziano che la quantità di comunicazioni date e ricevute
riproduce la gerarchia di status
Esempio: in una struttura centralizzata il leader riceve e trasmette più
comunicazioni di tutti
Bavelas (1950) e Leavitt (1951): propongono un modello di descrizione delle
reti di comunicazione che riprende l’idea lewiniana di rappresentazione del
campo psicologico mediante mappe topologiche
Comunicazione nei gruppi - VI
•
È Flament (1965) che concettualizza la distinzione tra
rete di comunicazione e struttura di comunicazione
La rete di comunicazione è l’insieme di “canali” presenti in un gruppo, i quali
rendono possibile il passaggio di informazioni
La struttura di comunicazione è invece l’insieme di comunicazioni che si sono
effettivamente scambiate all’interno di un gruppo
•
In altre parole, la rete è una “possibilità” di comunicazione, laddove la struttura
è una “realtà” di comunicazione
Reti di comunicazione - I
•
Se pensiamo che i membri di un gruppo sono in relazione tra di loro attraverso
dei legami di comunicazione, è possibile comprendere quali possano essere gli
effetti sul gruppo di reti di comunicazione differenti.
•
Secondo Bavelas (1950) e Leavitt (1951) la cosa più importante non è il grado
di vicinanza fisica tra i membri, ma piuttosto l’organizzazione topologica dei
legami e per questo hanno operazionalizzato indici quantitativi per mezzo dei
quali è possibile descrivere diversi tipi di reti
Reti di comunicazione - II
•
Situazione sperimentale di Leavitt (1951)
Gruppo di 5 persone sedute ad un tavolo e separate da pannelli: è possibile
comunicare solo tramite messaggi scritti. Il passaggio dei messaggi è controllato
dallo sperimentatore, che tiene aperte (o chiuse) le finestrelle dei pannelli.
Verifica dell’effetto di 4 tipi di rete (= VI) su un compito di individuazione di un
simbolo comune tra i 5 cartoncini (1 ciascuno) dato ai partecipanti.
Misure rilevate (= VD):
- rapidità temporale
- concisione (numero di comunicazioni scambiate)
- precisione (grado di correttezza della decisione)
- morale del gruppo (grado di soddisfazione individuale verso il
svolto)
- grado di popolarità di ogni membro (tramite indici sociometrici)
lavoro
Reti di comunicazione - III
I 4 tipi di reti di comunicazione studiati da Leavitt (1951)
A
B
A = rete centralizzata o ruota
B = rete a Y
C = rete a catena
D = rete decentralizzata o cerchio
C
D
Reti di comunicazione - IV
•
Due indici quantitativi per descrivere i diversi tipi di rete:
– Indice di “distanza” = numero minimo di legami di comunicazione
che un individuo deve “attraversare” per comunicare con un altro
– Indice di “centralità” = la misura in cui un flusso di informazioni nel
gruppo è centralizzato in una persona oppure distribuito tra i
membri
•
Indice di “centralità”... + elevato = ruota
- elevato = cerchio
Reti di comunicazione - V
Risultati
•
Rete + centralizzata (ruota) = + rapidità + concisione
+ precisione, ma - morale.
Il + popolare è il membro in posizione centrale, che ha
anche il + alto morale (mentre i membri più periferici
hanno il morale + basso)
•
Rete + decentralizzata (cerchio) = - rapidità - concisione
- precisione, ma + morale, che è anche simile tra i
membri.
Nessuno emerge come + popolare di altri
Reti di comunicazione - VI
•
Studi successivi (es.: Shaw, 1964) hanno mostrato che in realtà questi risultati
si hanno per compiti semplici, mentre per compiti più complessi (problemi
logico-matematici, discussioni, ecc.) le reti centralizzate sono – rapide e –
precise delle reti decentralizzate.
Questo perchè...
- il leader delle reti centralizzate sono sottoposti a un sovraccarico cognitivo,
mentre nella reti decentralizzate c’è una maggiore distribuzione del carico
- il morale + alto tra i membri delle reti decentralizzate si traduce in una + alta
motivazione al lavoro e, quindi, ciascun membro desidera fornire il proprio
apporto all’esecuzione del compito
•
Dunque, la natura del compito modera la relazione tra tipo di rete e prestazione
del gruppo
Reti di comunicazione - VII
•
Riassumendo, il tipo di rete di comunicazione influenza...
- l’efficienza di gruppo nella risoluzione di compiti
La natura del compito è una variabile fondamentale:
i gruppi centralizzati risolvono più rapidamente compiti
semplici, i gruppi decentralizzati i compiti complessi
- la soddisfazione o il morale dei membri del gruppo
Nelle reti decentralizzate il morale medio del gruppo è più
elevato; nelle reti centralizzate la persona in posizione
centrale è più soddisfatta.
•
Critiche:
Questi risultati, ottenuti con studi di laboratorio, sono poco applicabili alla
complessità dei gruppi naturali
Valutazione di sé e
Confronto sociale
185
Valutazione di sé e confronto sociale - I
•
•
Le norme e i ruoli nonché le differenze di status ci aiutano a conoscere e
valutare noi stessi
Ma come valutiamo noi stessi?
Teoria del confronto sociale (Festinger, 1954) dinamiche di gruppo
Secondo Festinger esiste una motivazione umana universale che ci spinge a
valutare le nostre opinioni e le nostre capacità.
Questa affermazione si basa sulla convinzione che sarebbe difficile (se non
impossibile) vivere senza un modo che ci permetta di valutare le nostre
capacità.
Esempi: la guida dell’auto o le scelte della scuola e della professione
186
Valutazione di sé e confronto sociale - II
•
Come possiamo ricavare questo tipo di conoscenza?
Il modo più ovvio è quello di trovare degli strumenti oggettivi di valutazione (es.:
capacità atletiche), ma spesso essi non sono disponibili.
Dunque, dobbiamo ricorrere all’aiuto di “altri” per ottenere informazioni sulle
nostre capacità: anche le misure oggettive sono rapportate a quelle ottenute
da altri.
Ma chi sono gli “altri” con cui deve avvenire questo tipo di confronto?
Chiaramente non possono essere “altri” generici, ma individui che sono simili a
noi, altrimenti non potremmo ricavare molte informazioni.
187
Valutazione di sé e confronto sociale - III
•
Il fatto di poterci confrontare con nostri “simili” ci permette di fare previsioni e
guidarci verso i nostri possibili risultati
•
A questo punto è più facile comprendere l’importanza della gerarchia di status:
dà ai membri del gruppo una classificazione delle competenze su vari attributi e
permette, quindi, di scegliere “altri” confrontabili al fine della valutazione del sé.
•
L’ipotesi della somiglianza di Festinger sembra di tipo circolare:
scopro le capacità di un altro individuo in modo tale da poter fare inferenze sulle
MIE capacità;
ma se sappiamo già che quella persona è simile a noi, qual è il senso del
confronto?
188
Valutazione di sé e confronto sociale - IV
•
Secondo Goethals e Darley (1977) cerchiamo altri simili a noi “in attributi
che sono in relazione con la capacità che ci interessa”.
Esempio: si cerca il confronto con persone della propria età, sesso, etc.
•
Quindi la posizione di status nel gruppo funziona da “attributo associato”
generale: deduciamo la nostra competenza in un determinato campo
confrontandoci con qualcuno di status simile al nostro in tale campo.
189
Valutazione di sé e confronto sociale - IV
• Questi confronti su attributi comportano alcuni svantaggi
Es. Studio di Major (1994):
• I soggetti svolgevano compiti diversi per cui ricevevano una retribuzione
• Alla fine si chiedeva di quale gruppo volessero conoscere la retribuzione
media (così da poter fare un confronto con la propria)
• Il 63% sceglieva come termine di confronto la paga media di retribuzione
del proprio sesso nel proprio stesso compito (sono il 21% sceglieva la
media di retribuzione dei due sessi nello stesso compito)
• Le persone percepivano il genere come variabile pertinente al principio di
equità retributiva
190
Valutazione di sé e confronto sociale - V
Quali conseguenze può avere a livello affettivo il confronto
sociale?
Prima di tutto le conseguenze del confronto ricadono
sull’autostima.
E’ ovvio che la nostra autostima aumenta quando
facciamo bene qualche cosa.
Questo potrebbe portare a pensare che si debba
ricercare il confronto solo con i membri del gruppo che
hanno una posizione inferiore alla nostra per evitare un
esito spiacevole che abbasserebbe la nostra autostima.191
Valutazione di sé e confronto sociale - VI
Ma la nostra presupposta superiorità, quando facciamo un
confronto con persone gerarchicamente inferiori a noi,
funziona solamente se possiamo assumere un loro
impegno nella prova pari al nostro.
Inoltre, se l’esito del confronto non fosse a nostro favore,
l’inferenza di inferiorità risulterebbe molto più evidente
(e quindi dannosa) che non quella che deriva da un
confronto con un superiore.
192
Valutazione di sé e confronto sociale - VII
•
Secondo Festinger (1954) il valore “occidentale” della “prestazione migliore”
spinge gli individui a tentare di superare i risultati degli altri. Questo è dato
da una “pulsione verso l’alto” che ha 2 effetti sulle relazioni di status:
1.
Porta instabilità nel gruppo in quanto i membri del gruppo sono portati a
competere per la posizione
2.
Determina la tendenza a fare confronti con le persone di posizione più
elevata al fine di migliorare la propria.
193
Valutazione di sé e confronto sociale - VIII
Alcuni studi confermano che i confronti avvengono con i membri del gruppo percepiti
come leggermente migliori di noi (e quindi molto “somiglianti”; es. un gradino
più in alto in una graduatoria)
•
Questo è vero però quando si ha conoscenza della gamma delle capacità del
gruppo.
•
Wheeler e coll. (1969) hanno visto che, se non si conosce la gamma, la
maggioranza vuole conoscere in primis il punteggio migliore, poi il punteggio
peggiore.
•
Esistono anche occasioni in cui c’è proprio una tendenza a confrontarsi verso il
basso: una di queste è il caso in cui le persone si trovino in circostanze
negative (il conforto di sapere che c’è chi sta peggio di noi…)
194
Valutazione di sé e confronto sociale - IX
•
Secondo Wills (1991) il confronto verso il basso è funzionale alla salvaguardia
di un’autostima minacciata.
Le prove empiriche a sostegno di questa tesi sono contraddittorie (es. pazienti
con cancro al seno vs. disabili).
•
Viceversa, Taylor e Lobel (1989) sostengono che, anche in situazioni difficili, il
confronto può volgersi verso l’alto:
il confronto verso il basso rafforza il sé di persone che si sentono minacciate
solo in superficie, mentre quello verso l’alto può dare speranza e prospettive di
miglioramento (“anche io come loro, un giorno…”).
195
Valutazione di sé e confronto sociale - X
Quali sono gli effetti del confronto sociale sulla prestazione effettiva degli individui?
•
Secondo Festinger (1954) gli individui hanno la tendenza a migliorare la loro
prestazione soprattutto in rapporto a coloro che sono simili o immediatamente
superiori a loro.
•
Diversi studi confermano che all’interno di un gruppo il miglioramento
complessivo dei risultati è legato principalmente ad un aumento della
prestazione dei membri più deboli; mentre c’è un peggioramento in caso di
membri molto simili o troppo diversi tra loro.
196
Valutazione di sé e confronto sociale - XI
•
Pur riconoscendo l’importanza del confronto sociale per spiegare il processo di
valutazione di sé, Albert (1977) sottolinea anche l’importanza del confronto
temporale, ovvero il confronto della propria prestazione attuale con quella
passata o futura.
•
Il confronto temporale può essere + usato se i confronti sociali generano esiti
sfavorevoli per il sé (es. Gibbons et al., 1994: gli studenti universitari + “abili”
usano + confronto sociale, i – abili + confronto temporale)
•
Ricerche hanno mostrato che i confronti sociali prevalgono tra adolescenti e
adulti, mentre quelli temporali prevalgono tra bambini e anziani
197
Valutazione di sé e confronto sociale - XII
•
•
1.
2.
In altri casi le persone possono utilizzare come elemento di confronto qualche
standard astratto, seguendo un orientamento “autonomo” (Hinkle e Brown,
1990)
Ad ogni modo, la teoria del confronto sociale ha almeno altri 3 punti deboli:
trascura (anzi, Festinger la ritiene una cosa molto improbabile) la possibilità
che i confronti possano coinvolgere anche i membri di altri gruppi di status
differente
ritiene che i processi di confronto sociale siano generali, dunque simili in tutti gli
individui; in realtà, alcuni studi mostrano differenze intercategoriali e
interpersonali (es.: alcune persone sono più interessate di altre a ottenere
informazioni che possono derivare dal confronto sociale)
198
Valutazione di sé e confronto sociale - XIII
3.
Afferma l’intenzionalità dei processi di confronto sociale, secondo una strategia
che permette di ricavare le informazioni + utili per l’autovalutazione e
trascurare altri possibili confronti meno informativi.
Alcuni studiosi (Gilbert et al., 1995) hanno invece mostrato che i confronti
avvengono in modo meno consapevolmente “controllato” e con chi capita (il
confronto viene automaticamente annullato nel caso in cui si riveli
inappropriato per la nostra autovalutazione).
199
Produttività di gruppo
Produttività di gruppo - I
•
Già dai primissimi studi condotti in laboratorio si cercava di valutare se e in che
modo la presenza di altri influenzasse la prestazione individuale.
•
Esperimento di Triplett (1898) con bambini 9-12 anni
Compito: avvolgere mulinelli di canne di pesca.
Condizioni: 1. da soli, 2. in situazione competitiva
Risultato: tendenza dei soggetti a lavorare più velocemente se si trovavano in una situazione
competitiva piuttosto che individuale.
•
Allport (1924) replicò la procedura di Triplett, togliendo però l’elemento
competitivo nella condizione “sociale”. Compiti: semplici (moltiplicazioni, cancellazioni
di vocali) e complessi (sviluppo di contro-argomentazioni logiche)
Risultato: la presenza di altri migliorava la prestazione nei compiti semplici, ma la peggiorava
nei compiti complessi
Produttività di gruppo - II
•
Il miglioramento nella prestazione indotto dalla presenza di altre persone è un
fenomeno definito “facilitazione sociale”
•
L’effetto moderatore della natura del compito sulla relazione tra condizione di
svolgimento del compito (solitaria vs. sociale) e prestazione è stato confermato
in oltre 200 esperimenti (Bond e Titus, 1983)
•
Zajonc (1965) ha tentato di spiegare questa differenza, osservando che anche
nel mondo animale avvengono cose simili.
Produttività di gruppo - III
•
Secondo Zajonc la presenza di altri membri fa aumentare il livello di
attivazione ( o pulsazione, secondo schemi di risposte adattive) a predisporre
l’organismo all’azione, in linea con la teoria classica dell’apprendimento
(Spence, 1956), secondo la quale l’attivazione aumenta il manifestarsi di
riposte apprese o abituali, ma limita la probabilità di risposte nuove o non
apprese in modo adeguato.
•
Dunque, anche per gli esseri umani, i compiti semplici mettono in gioco solo
poche attività consolidate (per cui l’attivazione facilita la prestazione), mentre
quelli complessi necessitano di strategie cognitive più complesse (per cui
l’attivazione ostacola la prestazione).
Produttività di gruppo - IV
Presenza
degli altri
Attivazione
fisiologica
Compito
facile
+
_
Compito difficile
•
Altri studiosi hanno tentato di dare spiegazioni più complesse dei motivi per cui
la presenza degli altri induce l’aumento dell’attivazione fisiologica
•
Secondo Cottrell (1972) l’attivazione può essere connessa con la
preoccupazione di essere valutati dagli altri.
Produttività di gruppo - V
•
Secondo Guerin e Innes (1982) l’attivazione deriverebbe dalla difficoltà di
controllare un individuo della stessa specie potenzialmente imprevedibile.
•
Secondo Baron (1986) l’attivazione dipenderebbe dal fatto che l’animale deve
fare attenzione contemporaneamente al compito e all’altro membro.
•
Ad ogni modo, che cosa rende questo approccio abbastanza riduttivo per
quanto riguarda gli esseri umani?
•
...non tiene in considerazione i processi cognitivi, di attenzione e neppure il
significato sociale e psicologico della presenza dell’”altro”.
Produttività di gruppo - VI
•
Secondo Sanna (1992) un elemento-chiave è costituito dal processo di
“confronto sociale”, per cui la prestazione in un dato compito è determinata in
modo congiunto da:
- aspettative su di sé
- valutazione di sé in relazione agli altri.
•
Dunque, i compiti più semplici avranno maggiori aspettative di riuscita
amplificate dal confronto sociale e, viceversa, i compiti più difficili avranno
aspettative di riuscita minori, ulteriormente abbassate nelle situazioni di
confronto con gli altri.
Quindi, il livello di aspettativa di riuscita (derivante dal confronto sociale)
influisce sulla prestazione
•
Produttività di gruppo - VII
•
La ricerca sulle prestazioni di gruppo ha posto fin dal suo inizio diversi
problemi, primo tra tutti quello di riuscire a confrontare le prestazioni degli
individui con quelle dei gruppi.
•
La letteratura di ricerca presenta diversi tipi di confronti:
- confronti diretti tra la prestazione di individui isolati e prestazione di un
gruppo (il che porta sempre a rilevare che un gruppo ha prestazioni migliori
degli individui)
- confronti tra la combinazione di prestazioni di individui isolati, come se
fossero un “gruppo”, e prestazioni di un gruppo reale che interagisce (ossia:
confronto tra gruppi “statistici” e gruppi reali)
- confronti tra le prestazioni dei membri migliori dei gruppi statistici e
prestazioni di un gruppo reale
Produttività di gruppo - VIII
•
Molte ricerche hanno utilizzato come misura la soluzione a problemi di logica.
Nel complesso, i gruppi “reali” ottengono risultati superiori all’individuo “medio”,
ma inferiori ai gruppi “statistici” (e soprattutto rispetto ai loro soggetti “migliori”)
•
Nel caso di compiti che richiedono capacità di pensiero divergente, ossia
creatività e immaginazione (ad es. il brainstorming: Osborn, 1957), il risultato
emerso da una ricerca (Taylor et al., 1958) è contro-intuitivo: si è evidenziata
una prestazione nettamente migliore dei gruppi statistici rispetto a quelli reali.
Dunque, questa tecnica sembrerebbe più utile se eseguita prima in privato,
usando il gruppo come luogo di discussione a posteriori per combinare e
valutare le idee prodotte dai singoli
Produttività di gruppo - IX
•
Quello che emerge dalla valutazione di questi studi è una situazione
abbastanza confusa.
•
Un tentativo di dare ordine è stato fatto da Steiner (1972) con la sua teoria dei
processi e della produttività di gruppo.
•
Secondo Steiner la prestazione osservata di un gruppo è determinata da:
- le richieste del compito (quello che serve per il suo svolgimento)
- le risorse del gruppo
- il processo per mezzo del quale il gruppo interagisce per risolvere il compito
Produttività di gruppo - X
•
In merito alla natura del compito, Steiner individua alcune dimensioni in
accordo alle quali ciascun compito può essere classificato come:
•
divisibile (in sottocompiti svolti da singoli individui) o unitario (che può essere
svolto solo in toto dal gruppo)
massimizzante (per cui si deve raggiungere una quantità o velocità massime)
oppure ottimizzante (per cui si deve avere corrispondenza con qualche
standard predeterminato)
additivo (i contributi sono semplicemente aggregati), disgiuntivo (selezione del
miglior contributo), congiuntivo (tutti devono terminare il compito) o
discrezionale (i gruppi possono decidere come eseguire il compito).
•
•
Produttività di gruppo - XI
•
Steiner definisce “produttività potenziale” la condizione ideale per cui le risorse
del gruppo corrispondono esattamente alle richieste del compito.
•
La produttività potenziale dipende dalla natura del compito:
- per i compiti additivi, basta sommare i contributi individuali massimi.
- per i compiti disgiuntivi, la produttività potenziale è equivalente alla probabilità
che nel gruppo ci sia qualcuno in grado di risolvere il compito.
Produttività di gruppo - XII
•
Secondo Steiner, la produttività effettiva di un gruppo non può raggiungere
quella potenziale, in quanto i gruppi non sono in grado di usare al massimo le
loro risorse. Le perdite di produttività sarebbero dovute a processi imperfetti
che impediscono ai gruppi di sfruttare al massimo le proprie potenzialità.
•
Dunque l’equazione di Steiner è:
Produttività Effettiva = Produttività Potenziale – Perdite dovute a processi
imperfetti
•
Questi processi imperfetti possono essere dovuti a:
- problemi di coordinamento, magari dettati dalla problematica del condividere
spazi con altre persone;
- dinamiche sociali quali il confronto sociale, che può portare anche a
percepire l’imbarazzo nel sentirsi valutati.
Produttività di gruppo - XIII
•
Steiner (1972) prende in considerazione anche fattori motivazionali: quando gli
individui sono in gruppo non si impegnano allo stesso modo di quando sono da
soli
•
Latanè e coll. (1979) trovarono risultati analoghi e definirono questa
diminuzione di impegno come “social loafing” (“inerzia sociale”), spiegabile
sulla base della “dispersione” tra i membri della fonte d’influenza degli
esperimenti, cioè le istruzioni dello sperimentatore, che hanno invece
un’influenza massima nella situazione di coppia sperimentatore-partecipante
•
Dunque, più grande è il gruppo, più l’influenza è dispersa tra i membri e quindi
diminuisce per ogni singolo membro.
•
Secondo questa teoria, dunque, lo sforzo all’interno di un gruppo non può mai
superare quello che si può esprimere individualmente.
Produttività di gruppo - XIV
•
Un’analisi di 78 studi di confronto tra situazioni di lavoro individuale e lavoro
collettivo (Karau e Williams, 1993) mostra che nell’80% dei casi è presente il
social loafing.
•
La stessa analisi mostra però che in alcune condizioni il social loafing non
compare, ma piuttosto si manifesta il fenomeno opposto, il “social labouring”
(“laboriosità sociale”)
•
I fattori che favoriscono il social labouring sembrano essere:
- l’importanza del compito
- la salienza del gruppo agli occhi dei membri
- l’eventualità per il gruppo di essere valutato
•
È quindi possibile ipotizzare anche l’esistenza di “guadagni di processo” (Shaw,
1976), dunque il gruppo potrebbe superare la sua prestazione potenziale nel
caso in cui i “guadagni di processo” sopravanzino le perdite di processo
Produttività di gruppo - XV
•
Sia Steiner che Latané esprimono una concezione abbastanza individualistica
della produttività in contesti gruppali
•
Steiner usa la prestazione di un individuo isolato come termine di confronto per
misurare la condotta nel gruppo
•
Latané concepisce l’individuo come “economizzatore di sforzo”, ossia intento a
investire il minimo per raggiungere un livello sufficiente di prestazione di
gruppo
•
Le motivazioni e gli incentivi individuali sono certamente importanti per alcuni
compiti di gruppo, ma non si può trascurare l’importanza del gruppo come
entità capace di produrre sia motivazioni ai membri, sia schemi cognitivi non
prevedibili a livello individuale.
Produttività di gruppo - XVI
•
Le ricerche che hanno fornito evidenze sulle “perdite” nella produttività di
gruppo hanno utilizzato compiti troppo semplici o, comunque, non coinvolgenti
per i partecipanti, ed erano compiti additivi o massimizzanti.
•
Alcuni studi (es.: Lorge e Solomon, 1955; Shaw e Ashton, 1976) hanno
evidenziato dei vantaggi del gruppo rispetto ai singoli in compiti che
costituivano una sfida per il gruppo e richiedevano l’integrazione dei singoli
contributi: i membri del gruppo tendono a facilitare la prestazione reciproca
•
Se i membri percepiscono che la prestazione delle persone che collaborano
con loro è meno brillante della propria possono essere motivati a superare il
proprio sforzo individuale per compensare (nel caso di un compito percepito
come significativo).
Produttività di gruppo - XVII
•
Quando in un gruppo ci sono dei membri percepiti come “poco abili” e deve
avvenire un processo di compensazione in quanto il compito è importante per
il gruppo, è il membro “più abile” a impegnarsi maggiormente (Williams e
Karau, 1991).
•
Può anche essere che sia la prestazione del membro “meno abile” a
migliorare, raggiungendo un livello simile a quello degli altri compagni, forse
secondo un processo di confronto sociale (Stroebe et al., 1996).
•
Questo è vero nella misura in cui le differenze non sono troppo grandi: se c’è
una disomogeneità o una omogeneità troppo grande, la probabilità che
avvenga un simile effetto diminuisce.
Produttività di gruppo - XVIII
•
Se è vero che, grazie ad attività cooperative significative, la prestazione dei
membri più deboli può migliorare, è chiaro come questo possa avere delle
ripercussioni in campo educativo (ad es. persone con difficoltà di
apprendimento).
•
E’ importante notare il fatto che i gruppi di laboratorio usati per queste ricerche
erano semplici aggregati artificiali di persone, in cui non vi era la possibilità di
rendere saliente l’identificazione.
•
Secondo la prospettiva teorica dell’identità sociale (Tajfel e Turner, 1986),
l’appartenenza a un gruppo significativo dà alle persone una parte importante
legata alla concezione di sé, della propria identità e del proprio valore.
Produttività di gruppo - XIX
•
E’ chiaro che un gruppo psicologicamente importante per un individuo
motiverà i suoi membri a fare sì che la prestazione in diversi compiti migliori,
anche al fine di mantenere uno status prestigioso o di migliorare quello
esistente.
•
Le ricerche effettuate in merito (Harkins e Szymansky, 1989) hanno utilizzato
una procedura sperimentale che consisteva nel rendere saliente l’identità di
gruppo magari attraverso un ipotetico confronto intergruppi, alla luce della
teoria sull’identità sociale.
Produttività di gruppo - XX
•
A sostegno degli effetti positivi dell’identificazione sociale sulla prestazione,
sono state condotte altre ricerche come quelle di Worchel e colleghi (1998) i
quali hanno messo a confronto gruppi impegnati in un compito abbastanza
banale (la costruzione di catene di carta) rendendo saliente, nei gruppi
sperimentali, l’identificazione con il gruppo.
•
I risultati evidenziarono un aumento della prestazione individuale a sostegno
del gruppo.
•
Questo è ovviamente in contrasto con le previsioni fatte sulla base dei modelli
individualistici.
Produttività di gruppo - XXI
•
Per quanto riguarda la verifica interculturale di questi risultati sono state
evidenziate differenze tra culture collettiviste e individualiste: i cali di
prestazione, nelle prime sono, chiaramente, un evento eccezionale. Nelle
culture collettiviste, infatti, c’è un forte attaccamento ai gruppi cui gli individui
appartengono.
Processi di presa di decisione nei
gruppi
222
Decisioni di gruppo
•
•
•
•
•
La decisione di gruppo è una forma di prestazione di gruppo
Secondo i modelli matematici: un gruppo arriverà alla risposta corretta se
almeno due membri sono in grado di farlo (uno la trova e un altro la
riconosce)
Non sempre però i gruppi devono prendere decisioni su risposte corrette
(oggettivamente verificabili) o risultati migliori
Spesso devono confrontare opinioni e giudizi e arrivare a un’unica valutazione
(es. scelta di un candidato a nuovo membro)
Studi sulla relazione tra opinione individuale e valutazione consensuale
espressa dal gruppo
Decisioni nei gruppi
– Secondo il senso comune, i gruppi sono luogo di ricerca del
compromesso: sono perciò poco efficaci nella presa di decisioni
– Effetto di normalizzazione (Sherif,1935): le risposte di gruppo in una
prova di giudizio tendono a concentrarsi attorno alla media dei
giudizi individuali
– Stoner (1961), sulla base di evidenze empiriche inattese, propone
una posizione molto diversa: le decisioni prese in gruppo sono
decisamente più rischiose delle decisioni che i singoli
prenderebbero individualmente
– Decisione rischiosa = decisione in cui si mette in gioco qualcosa di
acquisito, rischiando di perderlo, in vista dell’ottenimento di
qualcosa di molto più rilevante
Metodologia utilizzata da Stoner
Tre fasi:
Decisione
individuale
Subito dopo,
formazione di gruppi
e decisione di gruppo
Nuova decisione
individuale dopo
alcune settimane
Esempio di problema usato da Stoner:
Il capitano di una squadra universitaria di calcio, negli ultimi secondi di
una partita, giocata contro i più accaniti tra gli avversari dell’istituto, ha
la possibilità di scegliere fra due tecniche di gioco: una che quasi
certamente porterebbe al pareggio e l’altra che in caso di successo
porterebbe ad una vittoria completa ma, in caso di insuccesso, alla
totale disfatta
Richiesta del compito: valutare la probabilità minima di riuscita
considerata accettabile nel consigliare al personaggio principale della
situazione di scegliere l’alternativa più rischiosa
Risultati ottenuti da Stoner
•
•
•
12 gruppi su 13 modificarono la decisione iniziale presa individualmente, verso un
maggior rischio.
Come interpretare questo spostamento nelle decisioni di gruppo verso la direzione
rischiosa?
Diffusione della responsabilità: discutendo con altri, un individuo si sente meno
direttamente responsabile (Wallach, Kogan e Bem, 1964). Tuttavia, la stessa
interpretazione era stata in precedenza avanzata per spiegare perché i gruppi
appaiono conservatori nelle loro decisioni
Familiarità: la discussione di gruppo aumenta la familiarità dei singoli rispetto a
problemi delicati
“Rischio come valore”: nel corso della discussione di gruppo, diventa saliente un
valore proprio della cultura americana, ossia l’apprezzamento per chi sa correre dei
rischi (Brown, 1965)
Limiti riscontrati alla teoria di Stoner
•
•
•
Effetto “storia”: E’ possibile costruire storie che spingono a scelte orientate verso la
cautela invece che verso il rischio
Ogni storia utilizzata mostra uno spostamento di intensità e direzione caratteristico
E’ possibile prevedere la direzione e l’intensità dello spostamento a partire dal
pattern dei giudizi ottenuto nella fase di decisione individuale. Dopo la discussione
di gruppo:
– gli item con punteggio iniziale in favore del rischio mostrano uno
spostamento consistente verso il rischio;
– gli item con punteggio iniziale in favore della cautela mostrano invece
uno spostamento consistente verso la cautela
Effetto polarizzazione
•
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Moscovici e Zavalloni (1969): Gli effetti della discussione di gruppo sono limitati
alle situazioni di assunzioni di rischio? O sono in rapporto ad un processo
psicologico più ampio?
Replica dello studio di Stoner, utilizzando un tradizionale questionario di
atteggiamenti invece di dilemmi alla Stoner.
Risultato: gli atteggiamenti del gruppo sono più estremi di quelli dei singoli
individui che ne fanno parte.
L’estremizzazione non è indifferenziata
Polarizzazione degli atteggiamenti = incremento dato dal gruppo ad un
orientamento già presente nei singoli componenti
Polarizzazione
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Dubbi sul processo di polarizzazione evidenziato in questi studi:
Studi basati su gruppi ad hoc di laboratorio e le soluzioni erano ipotetiche
(non coinvolgevano personalmente i membri o il gruppo)
In gruppi di lavoro reali invece la decisione del gruppo è simile alle
valutazioni medie degli individui
In gruppi di valutazione reali invece è più polarizzata
Di solito i gruppi reali già strutturati sono più conservatori nelle decisioni
Probabilmente la polarizzazione si verifica negli stadi iniziali del gruppo o se
si affronta un problema nuovo
La polarizzazione è comunque un fenomeno importante e si è cercato di
conoscerne i processi sottostanti
Polarizzazione
•
Le spiegazioni fornite al fenomeno della polarizzazione sono tre: la teoria del
confronto sociale, la teoria degli argomenti persuasivi e la teoria dell’identità
sociale.
Polarizzazione tramite confronto sociale
•
Il fenomeno di polarizzazione viene spiegato a partire dalla teoria del confronto
sociale di Festinger (1954), ripresa da Sender e Baron (1977).
•
Secondo questi autori, il fenomeno avviene in quanto a ogni argomento di
discussione vengono assegnati dei valori sociali che, congiuntamente, faranno
preferire un risultato a un altro.
Polarizzazione
•
In altre parole, c’è una specie di competizione tra i membri del gruppo ai fini di
sostenere le opinioni che sono socialmente più desiderabili per migliorare la
propria immagine.
•
La discussione di gruppo mette in risalto tali valori e può accadere che qualche
membro scopra che la propria percezione iniziale di essere gli unici portatori di tali
valori non era corretta (scoperta che avviene osservando altri soggetti che
approvano posizioni che sono ancora più vicine al polo socialmente valorizzato
rispetto al loro)
•
Affinché questo accada, è necessario che le posizioni dei membri del gruppo
siano note a tutti.
•
Secondo alcuni studi (ad es. Teger e Puitt, 1967; Myers, 1978) può bastare la
semplice conoscenza delle opinioni degli altri (effetto “esposizione”) per produrre
la polarizzazione, il ché sminuisce il ruolo della discussione.
Polarizzazione
•
Effettivamente questo è vero, anche se la polarizzazione dopo la discussione
è più forte rispetto alla polarizzazione per semplice conoscenza.
•
Ulteriori studi hanno dimostrato che più il valore sottostante al fenomeno viene
reso esplicito, più lo spostamento verso il polo valutato positivamente è ampio
(Baron e Roper, 1976).
Polarizzazione tramite persuasione
•
La prima spiegazione si focalizza sulla relazione tra i membri, mentre il
contenuto dell’argomento è irrilevante ai fini dello svilupparsi del fenomeno di
polarizzazione.
•
Secondo questo approccio, invece, è proprio il contenuto persuasorio del
messaggio a provocare polarizzazione
Polarizzazione
•
La discussione di gruppo promuoverebbe la scoperta di ulteriori argomenti
soprattutto nella direzione della posizione media dei membri, e dunque i
membri sposterebbero verso l’estremo di tale direzione il proprio punto di
vista, come previsto dal fenomeno di polarizzazione.
•
Burnstein e Vinokur (1973; 1977) hanno dimostrato con alcuni esperimenti la
validità di questo approccio e tentarono anche di invalidare quello basato sul
confronto sociale.
•
Si tentò di dimostrare questo sostenendo che se la cosa importante è il
contenuto persuasivo della discussione, il fenomeno debba aver luogo anche
in quando i membri non possono inferire le opinioni degli altri; se l’argomento
non è persuasivo, poco importa che i membri inferiscano le opinioni degli altri.
Polarizzazione
•
Se le ricerche condotte dal Burnestein e Vinkour hanno confermato quasi
totalmente le ipotesi in merito al fenomeno, ulteriori studi non hanno
evidenziato molti risultati a favore della polarizzazione mediante persuasione,
ma sembrano risentire i modo più marcato degli effetti provocati dal conoscere
le opinioni degli altri.
•
Ci sono anche dei dubbi riguardo il fatto che siano argomentazioni “nuove” a
creare in modo più diretto il fenomeno di polarizzazione, ma osservazioni
effettuate anche in campo lavorativo sembrano andare in un’altra direzione.
•
Infatti, sembra che i gruppi si concentrino sulle informazioni che hanno in
comune piuttosto che su quelle non condivise o “nascoste” (Stasser et al.,
1989; Stasser e Steward, 1992).
Polarizzazione
Polarizzazione tramite differenziazione intergruppi
•
•
•
•
Se la teoria sugli argomenti persuasivi fosse vera in modo assoluto,
vorrebbe poter dire che la fonte da cui proviene la discussione non ha
importanza.
Questo sembra un po’ improbabile se si pensa alla realtà quotidiana.
Il terzo approccio prende in considerazione un punto totalmente diverso
dai primi due e prende in considerazione l’identificazione sociale e la
teoria dell’autocategorizzazione di Turner (1987).
Facendo riferimento a questa teoria, un gruppo subisce il fenomeno di
polarizzazione in quanto i membri si adeguano al proprio in-group e alla
posizione prototipica che detta le norme gruppali.
Polarizzazione
•
•
•
•
Il fenomeno sarà ancora più evidente nel caso in cui un gruppo si confronti con
un altro: ci sarà una maggiore necessità di distinguersi dall’out-group e, quindi,
una maggiore polarizzazione.
Makie e Cooper (1984) evidenziarono cambiamenti di atteggiamenti dopo aver
ascoltato le discussioni dell’ingroup piuttosto che dell’outgroup (e, quindi, dopo
questo ascolto nel caso dell’out-group, non veniva evidenziato il fenomeno di
polarizzazione).
Successivi esperimenti di Makie (1986), evidenziarono che questo avviene
anche quando non c’è un confronto intergruppi: basta che ci siano individui
“esterni”.
Che conclusioni possono essere fatte riguardo questi tre approcci?
Polarizzazione
•
Tutti e tre sono presenti nei processi di presa di decisione dei gruppi:
la prevalenza di uno sull’altro sembra essere situazionale.
Quando una è più efficace dell’altra?
•
La teoria del confronto sociale spiega meglio la polarizzazione nel
caso in cui ci sono poche occasioni di scambio e di discussione, ma è
comunque possibile avere informazioni riguardo un modo di
comportamento socialmente adeguato
•
La teoria degli argomenti persuasivi sembra essere efficace nel caso in
cui non si abbiano molte informazioni sugli altri membri del gruppo
Polarizzazione
•
La teoria della polarizzazione come differenziazione intergruppi sembra avere
maggiore forza nel caso in cui si abbiano informazioni sulla struttura normativa
del gruppo, e sia resa saliente l’appartenenza a “quel” gruppo, il ché porta gli
individui a spostarsi in quanto l’appartenenza al gruppo ha un ruolo
fondamentale nella costruzione dell’identità sociale.
Processi decisionali di gruppo
•
Riuscire a valutare la qualità delle decisioni prodotte da un gruppo non è una
cosa semplice: non esiste una misura che ci permetta di stabilire quanto il
risultato sia buono o giusto.
•
Janis (1982) ha tentato, allora, di fare una valutazione di qualità del processo
decisionale che è alla base della decisione raggiunta dal gruppo.
•
Analizzando, tramite ricerca di archivio, alcune decisioni che erano state prese
negli USA tra il ‘40 e l’‘80 su tematiche di politica estera, arrivò a formulare 5
punti centrali nel caso in cui i risultati dei gruppi non erano stati positivi e,
quindi, gli americani erano stati danneggiati.
“Group think” (Janis, 1972)
•
•
Cosa succede quando nei gruppi il conflitto è totalmente assente?
Analisi di decisioni “disastrose” prese da gruppi di esperti: ad es., il tentativo
americano di invadere Cuba nel 1961
– Caratteristiche del processo decisionale
• Forte coesione di gruppo
• Isolamento del gruppo rispetto a informazioni esterne
• Pressione a decidere in tempi brevissimi
• Quasi sempre, presenza di un leader molto direttivo
– Conseguenze:
• Forti pressioni alla ricerca dell’accordo; autocensura; fiducia nella
“moralità interna” del gruppo
• Percezione di unanimità; decisione disastrosa, “imperfetta”
Pensiero di gruppo
•
Il pensiero di gruppo può provocare diversi effetti:
- pressioni sui devianti, implicite o esplicite
- illusioni di essere un gruppo che raggiunge decisioni in modo
unanime e, quindi, corretto
- formazione di stereotipi negativi sull’out-group
•
Ci sono diversi fattori che, comunque, possono intervenire nei processi
decisionali e portare a una decisione più o meno buona.
•
La possibilità che il leader assuma un ruolo meno direttivo e più aperto
verso punti di vista divergenti e critici, secondo Janis, permette di
procedere in un modo migliore verso una decisione, diminuendo anche
la possibilità di sbagliare.
Critiche alla ricerca di Janis
•
Esclusiva centratura sui processi psico-sociali a scapito dei fattori sociali e
politici.
•
Inoltre, la ricerca di archivio non permette spesso di avere una visione obiettiva
degli eventi.
•
Un’altra critica viene fatta a proposito della coesione del gruppo: in altre
ricerche il pensiero di gruppo emerge maggiormente in gruppi poco coesi
(Tetlock et al., 1992; Peterson et al., 1998; Flowers, 1977).
•
Dalle successive ricerche emerge in modo particolare che non è la coesione
quanto piuttosto lo stile direttivo adottato dal leader: uno stile più aperto e
democratico permette al gruppo di produrre più soluzioni.
Processi decisionali
•
Sembra, quindi, che possano essere delineate delle linee guida per permettere
ai gruppi di decidere in modo migliore:
- non demandare le decisioni a un individuo singolo: la divisione del lavoro
sembra assumere un valore essenziale anche nei processi decisionali.
- integrare le idee dei membri al fine di superare stereotipi e pregiudizi
- scegliere uno stile di leadership adeguato alla situazione
- adottare la coesione come sintomo di sicurezza e non come risultato di
conformismo
- far sì che le informazioni vengano condivise e che non restino nascoste,
patrimonio solo di chi già le conosce.
Influenza sociale nei gruppi
Influenza sociale - I
•
Che cosa indica la presenza di norme in un gruppo?
Una certa uniformità degli atteggiamenti e/o nei comportamenti dei membri di
un gruppo.
Sembra che gli individui, non appena si trovano in situazioni collettive, sono
disponibili a conformarsi alla maggioranza abbandonando le credenze e le
opinioni personali.
http://www.youtube.com/watch?v=ge6wmDfsHXA
•
•
Come viene spiegato il conformismo?
Influenza sociale - II
•
Il caposaldo è costituito dalla teoria del confronto sociale di Festinger: non si
confrontano solo le proprie capacità con quelle degli altri individui, ma anche
l’esattezza delle nostre credenze.
Il consenso sociale è la chiave che ci permette di percepire che la nostra
visione è corretta, e quindi il conformarsi al resto del gruppo avrebbe questa
funzione.
•
Per molti anni i fenomeni di influenza sociale nei gruppi sono stati sinonimo di
conformismo nei confronti della maggioranza.
Più di recente, partendo dagli studi di Moscovici, è divenuta oggetto di studio
anche l’influenza delle minoranze nel produrre cambiamenti di opinioni nella
maggioranza.
Il potere della maggioranza - I
•
Il conformismo e la pressione delle maggioranze sono evidenti nella vita di tutti
i giorni.
Ci sono diversi fattori che possono influire su questo processo, tra esse le
relazioni di status, la personalità degli individui coinvolti e la complessità del
compito che deve affrontare il gruppo.
•
Gli esperimenti di Asch (1955; 1956) sul conformismo, considerati come pietre
miliari della psicologia sociale (dei gruppi) hanno cercato di tenere sotto
controllo questi fattori
•
Procedura: reclutamento di partecipanti a un presunto esperimento su giudizi
percettivi
Il potere della maggioranza - II
•
Contesto: stanza dove il partecipante arriva e si siede insieme ad altri (che in
realtà sono “confederati”)
•
Compito: identificare quale di tre linee verticali è uguale ad una linea-target e
rispondere a turno ad alta voce
•
Situazione sperimentale: dalla terza prova, i “confederati” danno tutti la stessa
risposta sbagliata per i 2/3 delle prove
•
http://www.youtube.com/watch?v=iRh5qy09nNw
•
Risultati: nelle prove “a risposta sbagliata”, i ¾ dei soggetti “ingenui” si
conformarono all’errore almeno una volta.
La percentuale di risposte sbagliate in tali prove è stata di circa il 36 %
Il potere della maggioranza - III
•
In una condizione di controllo, in cui i partecipanti fornivano le risposte da soli,
la percentuale di errore era tendente a 0.
•
La natura non ambigua e la facilità del compito (era palese quali fossero le
risposte esatte) mette in luce che le persone tendono a negare l’evidenza per
conformarsi alla maggioranza
•
Sulla base di successive interviste con i partecipanti, Asch concluse che la
percezione sbagliata di una cosa evidentemente vera (come la differenza di
lunghezza delle linee) per alcuni individui potrebbe derivare da una scarsa
fiducia nei propri giudizi, mentre altri si conformano solo per non essere diversi.
Il potere della maggioranza - IV
•
1.
2.
Questi risultati porterebbero a distinguere due tipi di conformismo:
Un conformismo che implica un cambiamento percettivo o cognitivo
Un conformismo del tipo “andare con gli altri”, che è condiscendenza a livello
di comportamento o pubblica
•
Il primo tipo di conformismo caratterizzava i soggetti dell’esperimento di
Sherif (1936) sull’effetto autocinetico (la norma di gruppo persisteva anche
quando l’individuo veniva posto alla prova da solo)
•
Il secondo tipo caratterizza maggiormente gli esperimenti di Asch
Il potere della maggioranza - V
•
In esperimenti successivi sono stati cambiati alcuni aspetti in modo da
esplorarne gli effetti sul conformismo alla pressione della maggioranza.
•
Un primo fattore esplorato fu l’ampiezza della maggioranza (costituita dai
“confederati”).
Emerse che…
- con un solo complice il conformismo è trascurabile
- aumentando il numero di complici aumenta anche il conformismo, fino ad
una certa soglia numerica (intorno a 5-6 coll., poi resta invariato)
- risultato inatteso: con 15 collaboratori si otteneva un conformismo
leggermente inferiore a quello che veniva provocato da 4 collaboratori (un
esperimento che non è stato più replicato).
Il potere della maggioranza - VI
•
In generale, quindi, si parla di una correlazione diretta ma non molto
marcata tra conformismo e dimensione della maggioranza.
•
Una ulteriore variante introdotta fu quella di spezzare il consenso prodotto
dalla maggioranza dei complici.
- quando ad affrontare la maggioranza dei complice c’erano 2 soggetti
ingenui, il conformismo diminuiva (risposte errate: 10% circa).
- aggiungendo un complice che fornisce la risposta corretta, il conformismo
scende ancora (risposte errate: 5% circa).
Il potere della maggioranza - VII
•
Questi risultati sono dovuti alla rottura dell’unanimità, più che alla presenza
di un alleato.
•
Questo fu dimostrato addestrando il complice a fornire risposte diverse dalla
maggioranza, sia come “via di mezzo”, sia ancora più sbagliate: in entrambi i
casi c’è riduzione di conformismo, soprattutto nel secondo caso.
•
Importanza del dissenso per ridurre il conformismo
•
I risultati di questi esperimenti si sono dimostrati stabili nelle repliche e in altri
contesti culturali (maggiore conformismo nelle culture collettiviste vs
individualiste)
Il potere della maggioranza - VIII
•
Quanto dimostrato con gli esperimenti sembra accadere anche nella vita
reale: la forza della pressione sociale produce atteggiamenti e
comportamenti allineati alla maggioranza, non solo su aspetti secondari
(argomenti “meno importanti” come moda, musica, ecc.), ma anche su
aspetti che riguardano i valori fondamentali.
•
Negli esperimenti di Milgram (1964; 1965), la presenza di altri (complici)
induceva i soggetti “ingenui” a seguire le loro istigazioni, sia quelle prosociali, sia quelle anti-sociali, in termini di intensità di scosse elettriche fornite
ad altri individui.
•
Ma perché in una situazione gruppale gli individui si conformano e le risposte
dei membri di un gruppo risultano uniformi?
Il potere della maggioranza - IX
•
Secondo Festinger (1950) esistono due processi che spiegano perché gli
individui subiscano le pressioni della maggioranza.
1.
Costruzione sociale della realtà.
Questo processo nasce dall’importanza di verificare le nostre credenze e le
nostre teorie con cui agiamo e interpretiamo gli eventi sociali.
Non avendo possibilità di misurarne oggettivamente la correttezza, ricorriamo al
confronto con gli altri; il fatto che gli altri siano in accordo con noi ci rassicura.
Tali pressioni aumentano nel caso di situazioni nuove o ambigue, poiché
mancano elementi oggettivi che guidino le nostre credenze (ad es.: l’effetto
autocinetico).
Il consenso sociale ha più valore quando le nostre decisioni hanno
conseguenze importanti.
Il potere della maggioranza - X
2.
La presenza di uno scopo di gruppo importante.
Se il gruppo ha uno scopo definito e importante e il raggiungimento di questo
dipende dall’unione delle forze dei membri, ci sarà una tendenza all’uniformarsi.
Chiaramente ci deve essere un accordo sullo scopo e sui mezzi per
raggiungerlo.
•
Lewin (1965) ha dimostrato invece che l’esistenza di un obiettivo nuovo nel
gruppo è capace di produrre un cambiamento di atteggiamento nei membri di
un gruppo.
Deve, comunque, sussistere una condizione: che il gruppo eserciti una certa
attrazione iniziale sui suoi membri. Più i membri sono considerati “importanti”,
più il gruppo sarà coeso e incline al conformismo.
Il potere della maggioranza - XI
•
Ad ogni modo, il conformismo emerso negli esperimenti di Asch non è
spiegabile sulla base dei 2 processi ipotizzati da Festinger: in quel caso non
c’era una situazione ambigua (che avrebbe favorito l’ancoraggio a una
costruzione sociale condivisa) e non c’era uno scopo di gruppo (ma solo
individui che rispondevano sulla base delle risposte della maggioranza)
•
Deutsch e Gerard (1955) proposero allora una ulteriore spiegazione al
conformismo ,che chiamarono “influenza normativa”, in opposizione all’
“influenza informativa” postulata da Festinger.
Influenza informativa: la forza che spinge un individuo isolato ad accettare le
informazioni degli altri come prova circa la realtà
Influenza normativa: la forza che spinge un soggetto, in quanto membro di un
gruppo, a rispondere alle attese positive di uno o più membri del proprio gruppo
Il potere della maggioranza - XII
•
L’influenza normativa si basa sul fatto che, se non nutriamo simpatia per
chi non è in accordo con noi, possiamo prevedere che gli altri possano
provare antipatia nei nostri confronti se le nostre opinioni sono troppo
differenti dalle loro.
•
Dunque, ci si conforma per apparire “simpatici”.
•
In virtù di questa teoria, il conformismo dovrebbe diminuire se le opinioni
vengono espresse in privato.
Il potere della maggioranza - XIII
•
Ricerca di Deutch e Gerard (1955): impianto sperimentale simile a quello usato da
Asch con alcune varianti
Condizioni sperimentali
1. uguale a quella di Asch (3 complici che rispondevano sbagliato)
2. uguale a quella di Asch, ma i soggetti non si vedevano e le risposte erano quindi
“anonime”
3. introduzione di uno scopo di gruppo: il miglior gruppo avrebbe ricevuto un premio
4., 5. e 6. tre condizioni di “compromissione” (2 di impegno “privato”, 1 di impegno
“pubblico”): scrivere le risposte prima di conoscere quelle degli altri e di fornire le
proprie (ufficiali)
In tutte le condizioni, in metà prove i soggetti rispondevano quando gli stimoli erano
“scomparsi” (maggiore ambiguità del compito)
Il potere della maggioranza - XIV
Risultati
- la proporzione di errori (= grado di conformismo) + alta è nella condizione “scopo di
gruppo” (è dunque dimostrata l’ipotesi 2 di Festinger)
- la proporzione di errori aumenta se le risposte sono date quando gli stimoli non
sono più presenti (situazione + ambigua, quindi è dimostrata l’ipotesi 1 di Festinger)
- la proporzione di errori diminuisce nella condizione di anonimato (in virtù del venir
meno del “bisogno di accettazione”)
- la proporzione di errori + bassa si ha nelle situazioni di “compromissione” (scrivere
prima la risposta), ma, anche nei casi di chiarezza della situazione e di anonimato, il
grado di conformismo non era praticamente nullo come nella condizione di controllo
di Asch (probabile influenza “residua” della presenza dei complici).
Il potere della maggioranza - XV
•
Turner (1987, 1991) ha fornito una spiegazione diversa per cercare di risolvere
questo problema: secondo questo studioso, l’appartenere a un gruppo fornisce
agli individui una identità sociale, tramite la categorizzazione di sé stessi come
membri e la conseguente associazione di sé alle norme e agli attributi percepiti
del gruppo.
•
In altre parole, avviene un “adattamento” cognitivo di se stessi con le
caratteristiche percepite del gruppo (l’“auto-stereotipo”) che spiegherebbe il
conformismo.
•
Tra le condizioni di anonimato o compromissione di Deutsch e Gerard e la
condizione di controllo di Asch il risultato è differente perché nel 1°caso i
soggetti credevano di far parte dello stesso gruppo (= studenti), contrariamente
all’esperimento di Asch.
•
Questo tipo in influenza è stato definito da Turner come “influenza informativa
referente”.
Il potere della maggioranza - XVI
•
Questo dovrebbe suggerire che gli individui percepiscano maggiormente la
pressione che deriva dal proprio gruppo (in-group) piuttosto che quella di un
gruppo “altro” (out-group).
•
Alcuni esperimenti condotti su gruppi di studenti universitari (Abrams et al.,
1990) hanno confermato questa ipotesi.
•
Sono state, inoltre, condotte molte ricerche in prospettiva evolutiva che hanno
mostrato un picco nella tendenza al conformismo nella prima adolescenza: la
pressione del gruppo dei pari
•
Anche la socializzazione di genere provoca una pressione alla conformità, fin
da bambini, quando lo stare con compagni dello stesso sesso ha la funzione di
sviluppare l’identità di genere (che implica un insieme di comportamenti e
atteggiamenti accettabili per le norme del gruppo dello stesso sesso)
Il potere della maggioranza - XVII
•
Molto spesso la maggioranza interviene in maniera diretta per esercitare
pressioni su coloro che manifestano opinioni diverse, cioè che “deviano”
dall’opinione prevalente.
•
Festinger (1950) riteneva che i membri della maggioranza in un gruppo
rivolgono la maggior parte degli scambi comunicativi ai membri con opinioni
devianti al fine di “persuaderli” a cambiare opinione.
•
Maggiore è la distanza di posizione della minoranza, maggiore è la frequenza
di comunicazioni da essa ricevuti.
•
Nel caso in cui gli scambi non abbiano effetto (e quindi nel caso in cui la
minoranza non cambi opinione), i membri della maggioranza rifiutano i
devianti attraverso manifestazioni di antipatia o, in casi estremi, escludendoli
dal gruppo.
Il potere della maggioranza - XVIII
•
Schachter (1951) testò la veridicità di questa ipotesi attraverso un impianto
sperimentale che prevedeva gruppi di discussione di studenti che dovevano
risolvere un problema di relazioni familiari
Nei gruppi di 8-9 persone erano presenti 3 “confederati”, ciascuno con un ruolo specifico:
- il “deviante”, che assumeva una posizione deviante quando un opinione del gruppo
cominciava ad emergere
- lo “slider”, che era deviante all’inizio, ma poi si allineava gradualmente
- il “mode”, che si adeguava al gruppo fin dall’inizio
Risultati: il deviante ha totalizzato un numero di scambi ricevuti + alto degli altri, ma nella prima
fase lo slider ha totalizzato un risultato simile (per poi essere quasi ignorato), mentre il mode
non ha ricevuto alcuna attenzione
I dati sociometrici raccolti sulle preferenze per i vari membri del gruppo dimostrano che i
devianti sono anche quelli che ricevono il punteggio + basso
Il potere della maggioranza - XIX
•
Un vasto studio interculturale condotto dallo stesso studioso e da alcuni
colleghi (Schachter et al., 1954) ha confermato la scarsa popolarità dei
devianti all’interno del gruppo in varie culture.
•
Ulteriori studi (Mann, 1980) hanno dimostrato una correlazione forte tra
tendenza all’uniformità e rifiuto del deviante.
•
Alcune ricerche hanno mostrato che il grado di tolleranza ai devianti
dipende anche dalla fase in cui è il gruppo: è + basso sia nelle prime fasi,
quando il gruppo sta costruendo una sua identità e coesione (Worcher et
al.,1991), sia in prossimità della presa di decisione (Kruglanski e Webster,
1991), in quanto rallentano e minacciano il raggiungimento dello scopo
Il potere della maggioranza - XX
•
I fenomeni di devianza sono inoltre + tollerati nei gruppi più aperti rispetto ai
gruppi più chiusi
•
Un elemento importante in appoggio al deviante è quello di poter contare su
un sostegno sociale all’interno del gruppo, il ché può rompere la tendenza
all’uniformità (come successo anche negli studi di Asch)
•
Un risultato sorprendente dello studio interculturale di Schatcher et al.
(1954) fu che, su 95 gruppi utilizzati, ci furono ben 26 gruppi che
cambiarono opinione adeguandosi al deviante.
•
Sembra, dunque, che possano esistere condizioni in cui una minoranza
deviante riesce ad avere influenza sulla maggioranza. INFLUENZA
MINORITARIA
Influenza minoritaria
L’influenza delle minoranze - I
•
Secondo le ipotesi prodotte dalla teoria di Festinger, l’influenza sociale
sarebbe un processo unidirezionale (l’individuo subisce le pressioni del
gruppo).
•
In realtà, secondo Moscovici (1976) NON è esattamente un processo di tipo
unidirezionale.
•
Moscovici parte ponendosi la questione di come i gruppi possano cambiare
(nel senso di valori e norme) se tendono sempre all’uniformità (come
sostiene Festinger).
•
La risposta dei sostenitori del processo unidirezionale è che i gruppi
cambiano rispondendo a circostanze esterne nuove.
268
L’influenza delle minoranze - II
•
Questo però non spiega esempi storici di cambiamento, ad esempio, nella
comunità scientifica come quello prodotto dalla teoria dell’evoluzione di Darwin
(1859) che, tra l’altro, non era ritenuto un personaggio con una personalità
“carismatica” ed era malvisto dalla comunità scientifica dell’epoca.
•
Moscovici ipotizza che la cosa fondamentale, in un caso come questo, è stata
la strategia di promozione della teoria: un’ affermazione continua e costante
della sua validità anche di fronte ad attacchi continui.
269
L’influenza delle minoranze - II
•
La minoranza riesce ad avere effetti perché, secondo Moscovici, in ogni
gruppo esistono divisioni latenti.
I devianti agirebbero proprio rendendo esplicite queste divisioni consentendo
l’emergere di nuove norme a partire dal conflitto.
http://www.youtube.com/watch?v=If-LfgnTUlU
http://www.youtube.com/watch?v=UULh1C8R8yk
http://www.youtube.com/watch?v=gRfh7vrKXts
270
L’influenza delle minoranze - III
•
Per fornire prove empiriche di questa posizione, Moscovici et al. (1969) hanno
condotto alcuni esperimenti, modificando la procedura sperimentale di Asch:
utilizzo di una maggioranza composta da soggetti ingenui e di una minoranza
di complici dello sperimentatore
•
In luogo della valutazione della percezione dell’uguaglianza o differenza di
linee, il compito consisteva nella valutazione del colore di alcune diapositive di
colore blu.
•
I risultati hanno dimostrato che esiste una minoranza deviante (benché
minima) che influenza la maggioranza riuscendo a modificare non solo il
comportamento manifesto (quindi il comportamento pubblico), ma anche la
cognizione dei membri.
271
L’influenza delle minoranze - IV
•
Le ricerche sull’influenza sociale delle minoranze mostrano che la minoranza
sembra avere effetti marcati in senso indiretto, cioè:
- a distanza di qualche tempo
- su dimensioni dell’atteggiamento o del comportamento connesse a quelle
espresse dalla fonte di influenza ma non necessariamente coincidenti con
esse.
•
Questo potrebbe dipendere dal fatto che le minoranze agiscono come
catalizzatori di cambiamento provocando l’insorgenza di conflitto cognitivo
nella maggioranza.
272
L’influenza delle minoranze - V
•
Oppure può essere anche che la dissonanza cognitiva creata dalla minoranza
abbia bisogno di tempo per essere risolta e che, quindi il cambiamento si
realizza solo in modo “occulto”.
•
Dunque, sembra che il potere della maggioranza abbia effetti immediati,
mentre quello della minoranza richiede più tempo.
•
E’ stato analizzato anche il caso in cui si discuta di due temi di cui il secondo
risulta poco connesso con il primo (che è la questione principale del
messaggio della minoranza).
L’ipotesi, testata attraverso diversi esperimenti (Alvaro e Crano, 1997), è che
le minoranze abbiano la capacità di stimolare riflessioni su tematiche che sono
oggetto di discussione.
273
L’influenza delle minoranze - VI
•
Questo può portare allo sviluppo di argomentazioni contrarie al messaggio
della minoranza che difficilmente hanno rilevanza rispetto a temi diversi e che,
pertanto, sono suscettibili di cambiamento rispetto a questi temi (debolmente
connessi) e non a quello focale.
•
Questo è stato il pilastro di una tecnica di persuasione: trovare un tema
debolmente connesso alla questione focale e concentrare la propaganda su
questo. La maggioranza opporrà resistenza su questo argomento ma si può
trasformare la mentalità rispetto alla questione cruciale.
274
L’influenza delle minoranze - VII
•
Moscovici ha definito gli attributi salienti che una minoranza deve possedere
per influenzare e persuadere la maggioranza:
•
consistenza (coerenza e tenacia, in senso sia sincronico – fra i membri della
minoranza – sia diacronico – nel corso del tempo)
•
autonomia (indipendenza da legami esterni)
•
investimento (coinvolgimento e disposizione al sacrificio)
•
flessibilità (stile di negoziazione “aperto” e non dogmatico)
•
equità (guardare a posizioni diverse con imparzialità)
275
L’influenza delle minoranze - VIII
•
Una meta-analisi su circa 100 studi (Wood et al., 1994) dimostra che, pur
avendo un’influenza minore della maggioranza, le minoranze hanno un effetto
persuasivo se confrontate con condizioni in cui sono assenti fonti di influenza
•
E’ possibile quindi sostenere che la minoranza ha un effetto sul gruppo, anche
se restano predominanti gli effetti della maggioranza (fatta eccezione per le
misure indirette).
•
Questo cambia la teoria proposta da Festinger che vede l’influenza come
processo monodirezionale: gli individui devianti possono, infatti, essere
considerati come bersagli e come fonti di persuasione.
•
Ad ogni modo, in molti casi l’influenza delle minoranze è limitata.
276
L’influenza delle minoranze - IX
•
Le risposte negative rivolte dalla maggioranza alla minoranza deviante
comprendono:
•
rifiuto esplicito e totale (“il deviante dice il falso”)
•
rifiuto parziale (si pensa che il deviante dica il vero, ma è meglio non
parlarne pubblicamente)
•
disconferma (apparente indifferenza, il deviante è ignorato per
neutralizzarlo)
•
ridicolizzazione
•
naturalizzazione (attribuzione della posizione deviante a cause
endemiche “naturali” dell’individuo: “è paranoico”, “è comunista”)
277
L’influenza delle minoranze - X
Quali possono essere le cause per cui una minoranza fallisce?
•
L’intensità di investimento personale della maggioranza nel mantenimento
della propria visione. Quando le questioni non sono importanti, sembra che la
maggioranza abbia meno interesse e che, quindi, sia più disposta a fare
concessioni alla minoranza.
•
Alcune minoranze hanno effetto a differenza di altre a causa del clima di
opinione prevalente nel gruppo (o nella cultura) coinvolto. Se si avvisano
sostegni al cambiamento, una minoranza che esprima questa visione contro
una maggioranza che vi si oppone, può avere più successo.
278
L’influenza delle minoranze - XI
•
Gli individui che esprimono una posizione di minoranza, oltre ad essere in
disaccordo con la maggioranza, vengono categorizzati come out-group.
•
Secondo la teoria dell’autocategorizzazione (Turner, 1991) le persone
gravitano attorno a coloro che fanno parte del proprio in-group (e
particolarmente attorno a coloro che sono membri tipici) e si discostano
dall’out-group.
•
Questo ragionamento si può applicare anche all’influenza delle minoranze (nel
senso di subire l’influenza di minoranze che riteniamo appartenere alla nostra
stessa categoria)
279
L’influenza delle minoranze - XII
•
I risultati di vari studi sembrano dimostrare che sono i messaggi che
provengono dall’in-group a modificare gli atteggiamenti.
•
Anche in questo caso, la maggioranza esercita gli effetti immediati mentre gli
effetti dei messaggi della minoranza si manifestano dopo qualche tempo.
•
Se l’opinione minoritaria è in una posizione deviante e poco rappresentativa
dell’out-group talvolta può essere più efficace, così come può accadere che
membri di un out-group possano essere ricategorizzati come in-group
temporaneamente (magari per una specifica questione)
280
Influenza maggioritaria vs. minoritaria - I
I processi psicologici soggiacenti all’influenza maggioritaria e minoritaria sono gli
stessi?
•
Secondo Moscovici (1976) tra le due forme di influenza esistono differenze
qualitative, sia nei fattori che le originano, sia negli effetti che producono.
Dunque, sono ipotizzati 2 diversi processi di influenza.
•
Esistono poi teorie “mono-fattoriali” (es.: Latanè e Wolf, 1981) secondo cui le
differenze tra le due forme di influenza sono differenze di grado e sono guidate
dagli stessi processi di fondo.
281
Influenza maggioritaria vs. minoritaria - II
•
La visione “duale” sostiene che il conformismo provocato dalle maggioranze è
prima di tutto un fenomeno pubblico (“compiacenza”: dipendenza sociale o
informazione sulla validità delle proprie credenze), mentre quello che
esercitano le minoranze portano a cambiamenti privati (“conversione”, dovuta
ai conflitti e alla ristrutturazione cognitiva prodotta dalle idee devianti)
•
Dunque, secondo la visione “duale”...
- l’influenza maggioritaria porta a condiscendenza, cioè:
- un cambiamento a livello manifesto (sociale)
- raramente a un cambiamento a livello profondo
- l’influenza minoritaria porta a conversione, cioè:
- un cambiamento a livello latente
- qualche volta a un cambiamento a livello manifesto
282
Influenza maggioritaria vs. minoritaria - VI
•
Ad ogni modo, secondo la visione “duale”, la maggioranza e la minoranza
esercitano un’influenza che innesca reazioni socio-cognitive diverse. L’influenza
minoritaria si traduce in cambiamento interiorizzato (“privato”), mentre quella
maggioritaria si traduce in un’adesione di facciata (“pubblica”).
•
Altre ricerche (es. De Vries et al., 1996) hanno invece riportato che la modifica
di un atteggiamento è maggiore nell’influenza maggioritaria, sia sulla questione
principale, sia su una questione collegata.
•
Comunque, alcuni (es. Nemeth, 1986) ritengono che l’influenza della minoranza
agisca su modalità di pensiero differenti da quelle della maggioranza, nel senso
che la prima produce un pensiero + divergente e creativo, mentre la seconda
produce un pensiero + convergente e focalizzato.
283
Influenza maggioritaria vs. minoritaria - VII
•
Per quanto riguarda la teoria “mono-fattoriale” (Latanè e Wolf, 1981) la
differenza tra influenza maggioritaria e minoritaria risiede nel fatto che nella
prima il numero di fonti di influenza è maggiore rispetto alla seconda.
•
La teoria di riferimento sostiene infatti che l’impatto degli stimoli sociali
aumenta in base al loro numero, ma con un’accelerazione negativa (simile a
quanto riscontrato con la manipolazione dell’ampiezza della maggioranza negli
esperimenti di Asch)
•
Anche se è difficile sostenere la presenza di una demarcazione netta tra le due
modalità, sembra che le differenze qualitative che le distinguono sul piano
degli antecedenti e degli effetti supportino una distinzione teorica tra di esse
284
Conflitto intra-gruppo - I
•
La maggior parte dei conflitti all’interno dei gruppi sono da ricondurre alla
dinamica delle influenze maggioritaria e minoritaria
•
I conflitti intra-gruppo possono avere conseguenze...
- negative (ostilità interpersonali, prestazioni scarse, disintegrazione del
gruppo)
oppure
- positive (aumento di creatività nel problem solving, soluzione di ordine e
qualità superiore che soddisfano tutti i membri)
•
Solitamente i gruppi vedono il conflitto come una minaccia sia al
raggiungimento dello scopo, sia all’armonia e alla coesione del gruppo stesso,
con conseguenti perdite di morale e motivazione, e virata verso interessi
“personali”
285
Conflitto intra-gruppo - II
•
Le strategie di evitamento del conflitto messe in atto nei gruppi possono
risolversi in un effetto boomerang: l’appiattimento delle posizioni e la
repressione delle contrarietà possono provocare il disinvestimento o,
addirittura, l’abbandono da parte di alcuni membri.
•
I conflitti dovuti a una divergenza d’opinioni possono essere evitate tramite il
“controllo del pensiero”, sia proprio sia degli altri membri (Levine e
Thompson, 1996)
•
Il controllo del proprio pensiero si esprime in 2 modi:
- tenersi per sé le proprie opinioni in caso esse siano divergenti da quelle
maggioritarie (e quindi minacciose per l’unione del gruppo)
- modificare le proprie opinioni nella direzione di quelle maggioritarie
286
Conflitto intra-gruppo - III
•
Il controllo e la manipolazione del pensiero degli altri si esprimono tramite:
- controllo dei comportamenti verbali (porre vincoli sui contenuti e sui tempi)
- introduzione di regole decisionali di tipo autoritario
- interpretazioni “distorte” dei disaccordi per sminuirne l’importanza e quindi
ridurne il potenziale disgregante
- adozione di compromessi
•
La ricerca del compromesso è definita da Moscovici (1976) “normalizzazione”,
un processo di mutua influenza tra i membri per raggiungere una posizione
media accettabile per tutti
287
Conflitto intra-gruppo - IV
•
Il processo di normalizzazione avviene quando la posta in gioco non è saliente
per i membri, che quindi sono motivati ad evitare il conflitto e a negoziare sulle
rispettive posizioni, mediante reciproche concessioni
•
Secondo Moscovici e Doise (1991) la propensione al compromesso è
negativamente associata a una presa di decisione di qualità e/o innovativa: il
raggiungimento di un consenso reale e autentico viene infatti ottenuto solo con
il confronto acceso tra le varie posizioni attraverso la discussione e,
eventualmente, il conflitto
•
Anche altri (Johnson e Johnson, 1989) sottolineano l’importanza della
“controversia” come situazione di apprendimento
288
Conflitto intra-gruppo - V
•
Gli scambi di opinioni tra i membri provocherebbero dapprima incertezza e
conflitto, ma successivamente subentrerebbero nuove curiosità conoscitive e
un aumento della capacità di adottare la prospettiva dell’altro.
Questo porta sia ad una riconcettualizzazione del problema per arrivare ad
una soluzione comune, sia ad un aumento di positività delle relazioni tra i
membri.
•
Alcuni studi condotti con bambini (es. Doise e Mugny, 1984) hanno messo in
luce l’importanza del manifestarsi del conflitto socio-cognitivo, che produce
scambi comunicativi in grado di ristrutturare le modalità di soluzione di un
problema gruppale.
In questi casi, la soluzione non è il frutto di un imitazione o di un
compromesso, ma piuttosto il risultato della costruzione di nuove conoscenze
derivate dall’interazione sociale
289
Conflitto intra-gruppo - VI
•
Dunque, l’evitamento del conflitto sembra avere più svantaggi che vantaggi per
i membri di un gruppo.
•
Ad ogni modo, è anche da considerare la natura del conflitto, che può essere
distruttiva o costruttiva (Deutsch,1969)
•
Il conflitto distruttivo è caratterizzato da un graduale incremento e allargamento
della conflittualità, fino al punto che essa permane anche quando vengano
rimosse o dimenticate le iniziali cause scatenanti
Il conflitto costruttivo è caratterizzato invece dall’impegno dei membri in
direzione di una riconsiderazione della situazione in senso cooperativo,
ricostruttivo e di una reciproca soddisfazione.
•
290
Conflitto intra-gruppo - VII
Quando il conflitto è già emerso, spesso i gruppi mettono in atto strategie di
riduzione del conflitto, per riportare l’armonia e raggiungere lo scopo senza
ostacoli.
•
La riduzione del conflitto può manifestarsi nei seguenti modi:
- la maggioranza impone la sua visione e isola (o espelle) i devianti
- la minoranza impone la propria visione e la maggioranza si “adatta”
- fenomeni di negoziazione in cui, a partire da posizioni divergenti, c’è uno
scambio di informazioni e comunicazioni tra le posizioni per raggiungere una
decisione consensuale che soddisfi tutti
- votazioni, mediante un criterio condiviso che soddisfi tutti i membri
291
I processi scismatici - I
Cos’è uno “scisma”?
•
Il termine “scisma” si riferisce al processo di divisione di un gruppo in
sottogruppi e alla secessione finale di almeno uno dei sottogruppi del gruppo
originario (Sani e Reicher, 1998)
•
Worchel et al. (1991) sostengono che la nascita di un nuovo gruppo da uno
precedentemente esistente avviene dopo un periodo di malcontento di alcuni
membri e un successivo evento scatenante, che genera il distacco.
•
Secondo Sani e Reicher (1998) ciascuna fazione ritiene che l’altra (o le altre)
stia violando l’essenza (ossia gli aspetti centrali alla base dell’esistenza del
gruppo) dell’identità del gruppo.
292
I processi scismatici - II
•
A questo punto si arrestano i processi di negoziazione tra le parti e il conflitto
intra-gruppo diviene irrisolvibile, dunque avviene lo scisma.
•
Studio sulla scissione del PCI in PDS e RC (Sani e Reicher, 1998)
Metodo: interviste a militanti e leader di PDS e RC sulle rappresentazioni riguardo a PCI, PDS
e RC.
Analisi del contenuto delle interviste.
Risultati
Rappresentazioni del PCI:
- argomentazioni comuni ai 2 gruppi
(es. “Il PCI era comunista ma non acritico nei confronti dell’URSS”)
293
I processi scismatici - III
- argomentazioni unilaterali
(es. PDS: “Il PCI era pluralista”, “Il PCI era indebolito dal purismo ideologico”; es. RC “Il PCI
era un partito di classe”)
- argomentazioni asimmetriche
(es. PDS “Il PCI era diviso in fazioni pragmatiche e dogmatiche”;
es. RC “Il PCI era diviso in fazioni comuniste e non-comuniste”)
Rappresentazioni del PDS
Sono solo asimmetriche (es. PDS “Il PDS è un’efficace forza nuova della sinistra”; es. RC “Il
PDS è una forza politica liberale non di sinistra”)
Rappresentazioni di RC
Sono solo asimmetriche (es. PDS “RC è anacronistica e dogmatica”; es. RC “RC è il partito
che capisce che si possono aiutare le classi lavoratrici solo combattendo il capitalismo”)
294
I processi scismatici - IV
•
Secondo gli autori dello studio, l’analisi delle argomentazioni mostra che
ciascuno dei 2 sottogruppi vedeva la posizione dell’altro come incoerente
rispetto alla natura e all’identità del PCI.
Con l’apertura del dibattito sul cambiamento di simbolo e nome del partito
(“evento scatenante”) e la successiva trasformazione da PCI a PDS viene
avallata dalla maggioranza, avviene il processo scismatico della minoranza,
che va a costituire un nuovo gruppo.
•
Sani (1998) individua alcune condizioni necessarie perchè avvenga un scisma:
- percezione di minaccia all’identità di gruppo
- percezione di mancanza di “entitatività” del gruppo
295
I processi scismatici - V
- accentuazione delle differenze tra sottogruppi e delle somiglianze entro il
proprio sottogruppo (ingroup-outgroup)
- impermeabilità all’influenza sociale dell’altro sottogruppo
- simmetria rispetto all’attribuzione di “sovversivo” all’altro sottogruppo
•
L’accadere di un processo scismatico dipende anche dalle relazioni di status
tra le fazioni e dal contesto sociale inter-gruppi di riferimento: ad es. lo scisma
del PCI è spiegabile solo se si tiene conto anche della crisi del comunismo a
livello internazionale (caduta del muro, crisi dell’URSS, ecc.)
296
I processi scismatici - VI
•
A differenza dell’uscita individuale da un gruppo (quando i livelli di impegno del
gruppo e dell’individuo scendono sotto-soglia, cfr. Levine e Moreland, 1994),
nello scisma l’uscita dal gruppo è operata da un sottogruppo di membri,
dunque in una situazione intra-gruppo si verificano dinamiche di relazione
inter-gruppi.
•
La scarsa attenzione mostrata dalla psicologia sociale ai processi scismatici è
dovuta probabilmente alla difficoltà di studio di tali processi, difficilmente
riproducibili in situazioni sperimentali di laboratorio
297
Relazioni intergruppi
Identità sociale e relazioni inter-gruppi - I
•
All’interno della psicologia sociale attuale, e in particolare della psicologia
sociale europea, la Teoria dell’Identità Sociale (Social Identity Theory, SIT:
Tajfel, 1978, 1981; Tajfel e Turner, 1979, 1986) e i suoi sviluppi successivi,
come la Teoria della Auto-categorizzazione o Categorizzazione del Sé (Self
Categorisation Theory, SCT: Turner, 1985; Turner et al. 1987), rappresentano
uno dei paradigmi teorici ed empirici dominanti.
•
La SIT e la SCT hanno avuto un considerevole impatto sulla ricerca in
psicologia sociale negli ultimi due decenni.
Identità sociale e relazioni inter-gruppi - II
•
Il contributo della SIT e della SCT è stato particolarmente rilevante soprattutto
per ciò che concerne la comprensione dei processi cognitivi e motivazionali
che regolano il comportamento degli individui nei gruppi e le relazioni tra i
gruppi all’interno delle strutture sociali, e più in generale per ciò che riguarda il
complesso sistema di relazioni tra individui, gruppi e società, che rappresenta
in un ultima analisi il focus centrale della psicologia sociale stessa come
disciplina (Abrams e Hogg, 1990; Brown, 2000; Capozza e Brown, 2000).
•
Attraverso il processo di autocategorizzazione noi scegliamo di appartenere a
determinati gruppi piuttosto che ad altri.
Identità sociale e relazioni inter-gruppi - III
•
L’identità sociale è concettualizzata come il legame psicologico tra il sé e il
collettivo che emerge attraverso il processo psicologico di categorizzazione.
•
Come afferma Tajfel (1978), l’identità sociale è “la parte del concetto di sé
individuale che deriva dalla consapevolezza di essere membro di un gruppo
sociale (o più gruppi) con i valori e il significato emotivo che comporta questa
appartenenza”
•
Dal momento che l’identità sociale è parte del concetto che l’individuo ha di sé
come membro di un determinato gruppo, l’osservazione che se ne ricava può
essere senza dubbio che è meglio avere una visione dell’in-group positiva.
Identità sociale e relazioni inter-gruppi - IV
•
Teoria dell’Identità Sociale (Tajfel, 1978)
Punti salienti:
– Il confronto intergruppi attiva negli appartenenti un bisogno di
specificità positiva del proprio gruppo rispetto all’out-group.
– Attraverso il raggiungimento di tale specificità positiva, il gruppo
contribuisce a fornire ai suoi membri un’identità sociale positiva
Identità sociale: l’insieme degli aspetti del concetto di sé che
derivano dall’appartenenza ad un gruppo
Identità sociale e relazioni inter-gruppi - V
•
Competizione sociale: il conflitto fra gruppi può essere la conseguenza di una
competizione non solo per risorse materiali, ma anche di una competizione per
il prestigio
•
Tre processi fondamentali in gioco nella competizione sociale:
– la categorizzazione sociale: permette di costruire una
rappresentazione semplificata del mondo sociale che comporta
un’accentuazione delle differenze fra categorie e una riduzione
delle differenze all’interno di ciascuna categoria
– l’identificazione sociale: definizione di sé delle persone come
membri di un gruppo
– il confronto sociale: permette di determinare il valore relativo dei
gruppi rispetto a dimensioni di confronto rilevanti, in riferimento alle
quali raggiungere o mantenere una specificità positiva del gruppo
di appartenenza
Identità sociale e relazioni inter-gruppi - VI
•
Teoria della Categorizzazione di Sé (Turner et al., 1987)
Obiettivo: spiegare gli antecedenti e le conseguenze della formazione
psicologica di un gruppo, partendo dal processo cognitivo di categorizzazione
•
Differenze fra teoria della Categorizzazione di Sé (SCT) e teoria dell’Identità
Sociale (SIT):
- la SIT considera l’identità sociale come un aspetto di Sé derivante
dall’appartenenza di gruppo; per l’SCT essa costituisce un livello di astrazione
della rappresentazione cognitiva del sé
•
la SIT distingue fra agire nei termini del Sé ed agire nei termini del gruppo; la
SCT considera comportamento individuale e di gruppo come un agire nei
termini del Sé, un Sé che opera a diversi livelli di astrazione
Identità sociale e relazioni inter-gruppi - VII
•
Tre livelli fondamentali di categorizzazione di sé:
– livello sovraordinato: Sé come essere umano (identità umana)
– livello intermedio: Sé come membro di un gruppo (identità
sociale)
– livello subordinato: Sé come individuo unico (identità personale)
•
Conseguenze della categorizzazione di sé a livello
intermedio:
– accentuazione del carattere prototipico e stereotipico del gruppo
– depersonalizzazione della percezione di sé, che comporta un
incremento della somiglianza percepita fra sé ed i membri del
proprio gruppo
Identità sociale e relazioni inter-gruppi - VIII
•
Quali categorie sociali saranno salienti in una determinata situazione?
– Modello
“Accessibilità
per
Fit”
(corrispondenza):
la
categorizzazione sociale utilizzata sarà quella che massimizza
l’interazione fra accessibilità della categoria (rispetto alle
intenzioni presenti ed all’esperienza passata) e la corrispondenza
fra stimoli e specificazioni categoriali
– Principio del metacontrasto: la categorizzazione saliente sarà
quella che minimizza le differenze intracategoriali e massimizza le
differenze intercategoriali
•
Critiche: è difficile predire con esattezza quale categorizzazione di sé sarà
saliente in contesti in cui le categorizzazioni possibili sono numerose (Hogg e
McGarty, 1990)
Identità sociale e relazioni inter-gruppi - IX
•
Secondo Tajfel e Turner (1986), confrontando il mio con altri gruppi ne
stabilisco il prestigio che, secondo la teoria, avrà conseguenze anche sulla mia
stessa autostima (equivalente della teoria del confronto sociale di Festinger a
livello di gruppi)
•
C’è, quindi, una ricerca diretta al fine di valutare positivamente il mio in-group.
•
Quello che accade quando si ha un confronto intergruppi è la possibilità che
emergano confronti di tipo discriminante e di bias a favore del proprio in-group.
Identità sociale e relazioni inter-gruppi - X
•
Un altro processo che si può verificare è quello della ricategorizzazione,
quando un precedente out-group viene inserito nell’in-group in
contrapposizione ad un altro outgroup (ad es.: film “Niente da dichiarare”)
•
I gruppi “reali” più osservati per studiare i processi di identità sociale e il bias
verso l’ingroup sono i gruppi di lavoro.
•
I primi risultati degli studi effettuati sui gruppi lavorativi Brown, 1978; van
Knippberg e van Oers, 1984) hanno dimostrato che il perseguire una
distintività positiva avviene in modo diverso e seconda dei diversi contesti in
cui si effettua il confronto intergruppi.
Identità sociale e relazioni inter-gruppi - XI
•
I gruppi usano i diversi linguaggi o i diversi dialetti per distinguersi (il dialetto
rimanda a un particolare gruppo etnico e, quindi, anche alla nostra identità
sociale) e comunicare in un certo modo con l’out-group. Inoltre, il linguaggio
può servire per esprimere il pregiudizio di un gruppo nei confronti di altri.
•
Secondo Giles et al. (1981) la differenziazione linguistica può servire nei casi
in cui l’identità è in pericolo (caso in cui, ad esempio, si commenta o insulta un
membro dell’out-group nel linguaggio dell’in-group).
Identità sociale e relazioni inter-gruppi - XII
•
Anche la descrizione del comportamento altrui può essere diversa a seconda
se l’oggetto è un membro dell’in-group o un membro dell’out-group (es.
Linguistic Category Model).
•
La discriminazione linguistica sembra avere la funzione di mantenere una
immagine positiva dell’in-group (e quindi di protezione dell’identità): comunque
il pregiudizio linguistico sembra essere favorito anche da altri fattori quali le
diverse aspettative in-group/out-group e la preferenza per le associazioni di
valori positive con l’in-group e l’allontanamento di valori negativi associati
all’out-group.
•
I gruppi sociali non hanno tutti lo stesso status; quello che accade da parte dei
gruppi di status e potere inferiore, è una ricerca di una distinzione positiva
Identità sociale e relazioni inter-gruppi - XIII
•
I gruppi di status elevato hanno una posizione di superiorità rispetto ad altri
gruppi che sono presenti nella società. Questa superiorità è data dall’occupare
posizioni privilegiate e dirigenziali nella società.
•
Questo implica che i membri che appartengono a questi gruppi, hanno una
percezione di sé tendenzialmente positiva.
•
Con i gruppi di status elevato, il confronto avviene in quanto i membri
continuano a marcare la superiorità del proprio in-group, molto più di quanto
non facciano i gruppi di status inferiore (Mullen, Brown e Smith, 1992).
Identità sociale e relazioni inter-gruppi - XIV
•
La differenziazione intergruppi, inoltre, sembra assolvere funzioni diverse.
•
Per i gruppi di status superiore, la differenziazione può servire a mantenere la
propria posizione dominante.
•
Per i gruppi di status simile, può servire per differenziarsi. Questa ultima
ipotesi non ha avuto molto sostegno dai dati empirici; infatti, alcune ricerche
(Brown e Abrams, 1986) hanno evidenziato una predisposizione maggiore
verso gruppi con atteggiamenti simili a quelli dell’in-group.
Identità sociale e relazioni inter-gruppi - XV
•
Inoltre si evidenziava un bias moderato nei confronti dell’in-group quando i
soggetti credono di rapportarsi a un gruppo di status simile al loro.
•
Quello che accade dopo aver attraversato una certa soglia di somiglianza, è la
percezione di una minaccia che deriva dalla vicinanza psicologica dell’outgroup; questo porta a un aumento del bias a favore dell’in-group.
Identità sociale e relazioni inter-gruppi - XVI
•
Per quanto riguarda i gruppi di status inferiore, secondo la teoria dell’identità
sociale, la necessità di ovviare a uno svantaggio sociale porterà a una serie di
confronti che potrebbero avere un esito negativo (ed essere quindi deleteri per
l’autostima).
•
Quello che può accadere in questi casi è l’abbandono del proprio gruppo per
passare a uno di status superiore (Tajfel e Turner, 1986).
•
Questo, però è difficile prima di tutto quando l’appartenenza a un gruppo non
si è scelta, ma è ascritta (per esempio, etnia o genere); in secondo luogo, può
accadere che esista un forte attaccamento con il proprio gruppo che ne
impedisce l’abbandono.
Identità sociale e relazioni inter-gruppi - XVII
•
Nel caso in cui uscire dal gruppo è impossibile, le strategie possono essere
diverse:
- circoscrivere i confronti solo verso gruppi di status simili o, addirittura, inferiori
(che può portare a una distintività “più positiva” per l’in-group)
- cercare dimensioni valoriali diverse di confronto (ad es., i gruppi di
contestazione giovanile)
•
Quando i gruppi di status inferiore non riescono a immaginarsi delle
alternative, il confronto con un gruppo superiore non avverrà. Questo
contribuisce a mantenere delle situazioni sociali in cui prevalgono ingiustizie.
Identità sociale e relazioni inter-gruppi - XVIII
•
Secondo Tajfer e Turner (1986) esistono tre fattori che sembrano incoraggiare
lo sviluppo delle alternative cognitive che possono portare al confronto con
gruppi di status superiore:
1.
2.
3.
La presenza di confini relativamente valicabili tra i gruppi
La presenza di differenze di status relativamente instabili
La percezione dell’illegittimità di queste differenze e dell’inequità dei principi su
cui si reggono.
•
In situazioni di consapevolezza di ingiustizia nei confronti del proprio gruppo,
quello che può accadere è una forma collettiva di protesta: questo accade sia
in gruppi di status alto, che in gruppi di status basso.
La categorizzazione sociale - I
•
Una delle principali caratteristiche del comportamento intergruppi è quella di
percepirsi reciprocamente in termini categoriali come membri di uno o più
gruppi.
•
A che cosa serve questa tendenza alla categorizzazione sociale?
Una risposta generale è che la categorizzazione è un modo indispensabile con
cui semplifichiamo e ordiniamo il mondo.
•
Riconducendo gli stimoli (fisici e sociali) a categorie basate su somiglianze e
differenze, possiamo affrontare gli eventi in modo + efficiente e adeguato alla
nostra (limitata) capacità cognitiva.
•
In altre parole, il processo di categorizzazione ha una valenza di sopravvivenza
per la specie umana.
La categorizzazione sociale - II
•
•
•
•
Il processo di categorizzazione ha punti di contatto con il pensiero scientifico,
che usa sistemi di classificazione per ridurre la complessità degli oggetti di
studio ad un numero gestibile di categorie.
La categorizzazione è, inoltre, alla base di processi vitali quali la
comunicazione: il sistema linguistico è quello che ci permette di riferirci a classi
di oggetti e persone senza la necessità di descrizioni minuziose
Se la categorizzazione ha lo scopo di dare ordine, è necessario che le categorie
siano ben distinguibili così come gli oggetti e le persone che ne fanno parte;
dobbiamo riuscire a capire subito chi appartiene o meno a una categoria.
Gordon Allport (1954) nella sua opera sul pregiudizio afferma: “Le categorie
sono nomi che tagliano a fette il mondo sociale”
La categorizzazione sociale - III
•
Il primo a fare esperimenti su questo aspetto fu Campbell (1957) che,
attraverso un semplice esperimento, riuscì a dimostrare che la
categorizzazione aumenta il contrasto.
•
Esperimento delle sillabe senza senso:
•
compito soggetti: memorizzare la collocazione spaziale di sillabe senza senso
presentate su una linea orizzontale sempre nella stessa posizione.
•
stimoli:
– sillabe aventi la e come lettera centrale collocati sulla sinistra
– sillabe aventi la x come lettera finale collocati sulla destra
– sillabe casuali al centro
•
risultati: errori nel ricordare la posizione delle sillabe al centro. I soggetti tendevano
a separare con precisione la posizione spaziale delle 2 categorie di stimoli.
La categorizzazione sociale - III
•
Tajfel (1959) riprese questa conclusione e da qui sviluppò due ipotesi:
1.
Se imponiamo categorie esistenti a una serie di stimoli (fisici o sociali) il
risultato sarà un rafforzamento delle differenze tra le categorie.
2.
Le differenze interne a ogni categoria di attenueranno
La categorizzazione sociale - IV
•
Queste due ipotesi sono state verificate attraverso diversi esperimenti (Tajfel e
Wilkes, 1963; Doise, 1976; Eiser, 1971; Mc Garty e Penny, 1988).
•
A che cosa può servire questo processo?
Permette di rafforzare le differenze tra gruppi diversi e di ridurre le differenze
all’interno del proprio gruppo, in modo da facilitare cognitivamente il processo
di risposta (che sarà diverso a seconda se il ricevente è nell’in-group o nell’outgroup).
•
Da cosa dipende l’uso di una specifica categorizzazione piuttosto che di altre
possibili?
Secondo Bruner (1957) le persone usano le categorie più “accessibili” e più
“integrate” con la situazione attuale.
La categorizzazione sociale - V
•
1.
2.
3.
Secondo Campbell (1958) esistono tre fattori con cui gli individui vengono
percepiti come “gruppi”. Questi fattori sono:
di natura fisica: la prossimità (l’essere fisicamente vicini).
di natura socio-culturale: la somiglianza (il condividere caratteristiche comuni
quali linguaggio, stile di vestiario, ecc.)
di natura psicologica: il destino comune (il fare qualcosa assieme o avere
esperienze simili)
La categorizzazione sociale - VI
•
Non tutte le categorie sono equivalenti da un punto di vista psicologico: non
apparteniamo a tutte le categorie.
•
Secondo la teoria dell’autocategorizzazione, la categoria che verrà
probabilmente adottata nel caso specifico è quella che minimizza la differenza
tra sé e il membro tipico della categoria di appartenenza e massimizza la
differenza tra il membro prototipico dell’in-group e il membro prototipico
dell’out-group.
•
Questo principio può essere rappresentato da un rapporto definito “rapporto di
metacontrasto”.
La categorizzazione sociale - VII
Rapporto di
Metacontrasto
Differenza inter-categoriale media
=
Differenza media tra sé e un
altro membro dell’in-group
È una formula situazionale, per cui basta che diventi
saliente una diversa identità di gruppo per cambiare il
rapporto di metacontrasto
La categorizzazione sociale - VIII
Integrazione categoriale
•
Campbell (1958) parla di entitatività percepita per indicare il fenomeno per cui
la percezione di un insieme di persone come membri di uno stesso gruppo
dipende dal modo in cui esse stanno in rapporto l’una con l’altra
•
L’entitatività, per Campbell, ha in sé i tre criteri di prossimità, somiglianza e
destino comune
•
Un altro fattore che influenza la scelta delle categorie è la distintività degli
stimoli: sembra, infatti, che per tale motivo le minoranze numeriche siamo
fonte di attenzione per le maggioranze (Kanter, 1977; Taylor, 1981)
La categorizzazione sociale - IX
Accessibilità categoriale
•
Oltre alle proprietà dello stimolo, deve essere presa in considerazione a quello
che ognuno porta nella situazione.
•
Questo facilita o ostacola la facilità o la difficoltà di accesso alle categorie.
•
Viene riconosciuta l’importanza di tre fattori:
1.
La natura degli eventi immediatamente precedenti (per cui è probabile che, se
accade qualche evento che porta a una categorizzazione, è possibile che gli
eventi successivi vengano interpretati alla luce di queste categorie. Questo
fenomeno è conosciuto come effetto di priming)
La categorizzazione sociale - X
2.
La disposizione personale dell’osservatore e l’influenza che questa esercita
sulla tendenza a utilizzare certe categorie piuttosto che altre
3.
Il compito o l’obiettivo attuale della persona che effettua la categorizzazione
PRIMING =
attivazione categoriale (spesso al di fuori della
consapevolezza) provocata da uno
stimolo preliminare
•
Il priming viene utilizzato spesso per stimolare una determinata
categorizzazione anche a livello subliminale
nostra
La categorizzazione sociale - XI
Esempio degli effetti del priming su risposte valutative
•
Effetto della presentazione preliminare di aggettivi e simboli, tra cui alcuni evocatori della
categoria “malato mentale”, sul ricordo e la valutazione di una persona descritta in una breve
storia (Skowronski et al., 1993)
Risultati: Il gruppo di SS esposti alla presentazione preliminare ricordava un numero maggiore
di caratteristiche stereotipiche della persona descritta e ne dava una valutazione + negativa
La categorizzazione sociale - XII
•
In realtà, studi effettuati successivamente sugli effetti di priming sulla
categorizzazione, suggeriscono l’eventualità di prendere in considerazione
aspetti che dipendono da fattori relativi alla disposizione personale del
soggetto.
•
Ad esempio, uno studio (Devine,1989) che mostrava come il priming
provocasse categorizzazioni “etniche” in base a stereotipi negativi, non aveva
tenuto conto del livello di pregiudizio iniziale dei soggetti (Lepore e Brown,
1997).
•
Alcune categorizzazioni hanno una maggiore accessibilità per alcuni, ad
esempio quelle di natura “etnica” sono in varie situazioni le + accessibili per
coloro che hanno pregiudizi “etnici”.
•
Il tipo di categorizzazione può anche variare a seconda delle richieste del
compito.
La categorizzazione sociale - XIII
•
Se la categorizzazione è un processo così importante per gli individui,
dovremmo aspettarci che possa esistere anche nei bambini.
•
In effetti, sembra che i bambini siano sensibili alle divisione degli
stimoli presenti nell’ambiente che li circonda fin dalla più tenera età
•
Sembra, inoltre, che non sia un processo rigido di catalogazione, ma
che risenta del contesto peculiare in cui si trovano i bambini.
La categorizzazione sociale - XIV
•
Alcuni studi condotti su bambini americani da Horowitz e Horowitz (1938),
hanno dimostrato che esistono delle categorie più o meno salienti nel mondo
infantile.
•
La categoria più saliente era quella dell’appartenenza etnica (bianco-nero),
seguita dal genere (maschio-femmina) e dallo status socio-economico.
•
Anche se questi risultati sono stati riscontrati anche in altri contesti culturali,
una ricerca condotta Davey (1983)
I compiti che, di solito, vengono presentati ai bambini, consistono in semplici
raggruppamenti di fotografie con soggetti che variano per sesso, etnia, età,
abbigliamento.
•
La categorizzazione sociale - XV
•
Davey introdusse un nuovo criterio: chiese ai bambini chi giocherebbe insieme
con chi.
•
Questo nuovo criterio fece sì che fosse più saliente il genere dell’appartenenza
etnica.
•
I risultati mostrano una maggiore accessibilità della categorizzazione di genere
rispetto a quella etnica se è saliente la dimensione “comportamento di gioco”
•
Sono state, inoltre, effettuate numerose ricerche in contesti con diverse
minoranze etniche ed è emerso che la salienza delle categorie nei bambini è
contesto-dipendente (Bennet, et al., 1991)
La categorizzazione sociale - XVI
•
A questo punto, i ricercatori hanno iniziato a chiedersi se basti la
categorizzazione di un individuo in un gruppo a far emergere la
discriminazione intergruppi.
•
E’ facile, infatti, evidenziare dei pregiudizi a favore dell’ingroup.
•
Ad analizzare questo problema per primi furono Rabbie e Horowitz (1969).
•
Tramite alcuni semplici esperimenti basati su ricompense, emerse
chiaramente un favoritismo nei confronti dell’in-group piuttosto che dell’outgroup anche quando i membri di un gruppo non si conoscono; basta che sia
nota l’appartenenza a quel determinato gruppo per favorirlo.
La categorizzazione sociale - XVII
•
Ricerca di Rabbie ed Horwitz (1969): quali sono le condizioni minime sufficienti
a generare discriminazione intergruppi?
Procedura sperimentale: divisione di scolari estranei fra loro in Blu e Verdi, seguita o meno da
un’esperienza di destino comune di gruppo (informazione di ricompensa o non-ricompensa vs.
nessuna informazione). Ai soggetti era chiesto di valutare i membri dell’in-group e dell’outgroup rispetto ad alcune caratteristiche quali cordialità, sincerità ecc.
Risultati: l’esperienza di un destino comune (condizione di interdipendenza), positivo o
negativo, è la condizione necessaria e sufficiente per osservare favoritismo verso il gruppo di
appartenenza
La categorizzazione sociale - XVIII
•
Ricerca di Tajfel, Billig, Bundy e Flament (1971): basta la semplice
categorizzazione in gruppi, in assenza di conflitti oggettivi di interessi o di
interdipendenza del destino, per provocare favoritismo verso l’in-group?
Paradigma sperimentale dei “gruppi minimi”
– divisione dei partecipanti in due gruppi su base arbitraria
– assenza di interazioni faccia a faccia
– anonimato di tutti i membri dei gruppi
– assenza di interesse personale nelle risposte dei soggetti
La categorizzazione sociale - XIX
Compito sperimentale:
Distribuzione di risorse ad un membro dell’in-group e dell’out-group mediante matrici, strutturate in
modo tale per cui ad una certa somma per il membro dell’in-group ne corrisponde un’altra per il
membro dell’out-group
Strategie di scelta possibili:
Massimo profitto comune: scelta della casella corrispondente alla somma più alta da
“estorcere” allo sperimentatore
Massimo profitto per il gruppo di appartenenza: massimo punteggio per il membro del gruppo
di appartenenza
Massima differenza a favore del gruppo di appartenenza: scelta che massimizza la differenza
anche se questo implica un guadagno relativamente minore rispetto a quello massimo possibile
-
Equità: punteggi uguali o simili per i due destinatari
La categorizzazione sociale - XX
Risultati:
– preponderanza di scelte di massimo profitto e soprattutto di massima
differenza a favore dell’in-group
– rilevanza della scelta di equità
•
Conclusioni:
la categorizzazione sociale di per sé è sufficiente per produrre discriminazione
intergruppi
•
Secondo Tajfel et al. (1971) le scelte dei partecipanti riflettono un
compromesso fra due norme sociali: una norma di equità ed una norma
centrata sul primato del proprio gruppo, in base alla quale è “appropriato”
favorire i membri del proprio gruppo a discapito di gruppi esterni
La categorizzazione sociale - XXI
•
Il paradigma dei gruppi minimi ha ricevuto grande successo, accompagnato da
una serie di critiche (interpretazione focalizzata + sulla norma dell’in-group
bias che sulla norma dell’equità, mancanza di validità esterna ed ecologica del
paradigma, specificità dell’interesse economico, ecc.)
•
Per esempio, quando si tratta di ricevere ricompense emerge un maggiore
favoritismo in-group rispetto a quando si tratta di sottrarre denaro o dare uno
stimolo “negativo” all’in-group o all’out-group: in quest’ultimo caso il favoritismo
in-group ha livelli inferiori (Hewstone et al., 1981)
La categorizzazione sociale - XXII
•
Secondo Rabbie et al. (1989) anche i risultati dei “gruppi minimi” possono
essere spiegati alla luce di una percezione di interdipendenza del destino,
basata sulla credenza che i membri di ciascun gruppo tenderanno a favorirsi
tra loro.
•
Dunque, secondo questa interpretazione, avallata da alcuni studi, il favoritismo
in-group è da attribuire alla salvaguardia di un interesse personale
(massimizzazione del proprio utile): se la fonte di ricompensa (o nonricompensa) è l’out-group (= interdipendenza con i membri dell’out-group),
allora diminuisce il favoritismo in-group e in alcuni casi si ha favoritismo verso
l’out-group (Rabbie et al., 1989)
La categorizzazione sociale - XXIII
•
Ad ogni modo, altre ricerche (Gagnon e Bourhis, 1996) mostrano che anche
quando non c’è alcuna condizione di interdipendenza possibile (ad es.:
soggetti ricompensati a prescindere dalle scelte degli altri membri in-group e
out-group) esiste qualche forma di favoritismo in-group (e quindi di
discriminazione inter-gruppi)
•
Dunque, la percezione di interdipendenza sembra incrementare la
discriminazione inter-gruppi, ma non sembra necessaria per provocare questo
tipo di risposta
La categorizzazione sociale - XXIV
•
Un altro aspetto focale della categorizzazione sociale è la percezione di
omogeneità dell’out-group: i membri dell’out-group tendono ad essere percepiti
in modo più omogeneo rispetto ai membri dell’in-group.
•
Una prima ipotesi è che questo effetto percettivo nasca dalla differenza di
quantità di informazioni che ha l’osservatore rispetto ai due (o più) gruppi
(Linville et al., 1989).
•
Una seconda ipotesi sostiene l’importanza della natura della categoria: l’ingroup è percepito come più variabile e articolato perché, come concetto, è più
importante e “concreto” in quanto contiene il sé
La categorizzazione sociale - XXV
•
La prima ipotesi non ha avuto supporto dai dati empirici. Inoltre, anche usando
il paradigma dei gruppi minimi di Tajfel (in cui praticamente non si hanno
informazioni sui gruppi) si può osservare l’effetto di percezione di omogeneità
dell’out-group.
•
E’ da sottolineare, comunque, che l’out-group non è necessariamente sempre
percepito come eterogeneo. Uno dei fattori più importanti che influisce sulla
percezione di omogeneità è la dimensione relativa del gruppo (Simon e Brown,
1987).
E’ stato dimostrato, infatti, che quando l’in-group è minoritario, possa avvertire
il bisogno di difendere la propria identità dal gruppo di maggioranza: questo
capovolge la situazione precedentemente descritta.
•
Conflitto inter-gruppi - I
•
Come si può definire il pregiudizio?
...il mantenimento o l’espressione di atteggiamenti dispregiativi, emozioni
negative o condotte discriminatorie nei confronti di membri di un gruppo
esterno; tali fenomeni sono motivati dall’appartenenza di questi membri al
gruppo esterno (Brown, 1995).
•
Teoria della frustrazione-aggressività (Dollard et al., 1939): la presenza di un
comportamento aggressivo presuppone sempre l’esistenza di frustrazione,
così come l’esistenza di frustrazione porta sempre a un comportamento
aggressivo
•
Dato che spesso l’aggressività non può essere rivolta alla vera fonte della
frustrazione, allora viene “spostata” su un’altro obiettivo (ad esempio: un
gruppo di minoranza).
Conflitto inter-gruppi - II
•
Esempi “storici” (1): Dollard et al., 1939
frustrazioni causate dal crollo dell’economia tedesca
popolarità delle idee antisemite di Hitler
•
Esempi “storici” (2): Hovland e Sears, 1940
fase di recessione economica (= alto prezzo del cotone)
numero di neri linciati
Conflitto inter-gruppi - III
•
Esperimento in un campo estivo per giovani di Miller e Bugelski (1948): la
frustrazione per i vincoli posti dai responsabili del campo viene “sfogata” verso
due gruppi minoritari (= aumento atteggiamenti negativi), mentre un gruppo di
controllo (che non sperimenta la frustrazione) non mostra tale aumento.
•
Punti di debolezza della teoria della frustrazione-aggressività:
- quale gruppo (o individuo) sarà scelto come capro espiatorio?
- la frustrazione non è né necessaria né sufficiente a provocare l’aggressività
(Berkowitz, 1962; Bandura, 1973)
Conflitto inter-gruppi - IV
•
Teoria della frustrazione-aggressività rivisitata da Berkowitz (1962; 1989):
- il gruppo (o individuo) scelto come capro espiatorio è stato già in passato
fonte di conflitto o antipatia
- la frustrazione non è causata semplicemente dall’interferenza “oggettiva” con
una risposta diretta allo scopo, ma anche da un ostacolo alla soddisfazione
delle aspettative degli individui
- la frustrazione è solo una delle possibili esperienze spiacevoli che provocano
aggressività negli individui: anche altri “eventi avversi” (es.: percezione di
dolore, calore, freddo) possono favorire l’aggressività (es.: le rivolte popolari
sono + probabili con alti livelli di calore e umidità)
Conflitto inter-gruppi - V
•
Limiti dell’approccio “frustrazione-aggressività”:
- è un approccio individualistico in quanto...
* presuppone che un’esplosione di scontento accade in
quanto i
membri di una folla sperimentino nello stesso istante uno stato emotivo
negativo che viene poi
“scaricato” da tutti verso lo stesso bersaglio
* il pregiudizio è visto come un fenomeno irrazionale dovuto
all’aggregazione di stati emotivi individuali,
dunque non ci sarebbe una
premeditazione verso uno
specifico gruppo esterno
- non è in grado di spiegare i comportamenti positivi (amicizia e cooperazione)
tra i gruppi, in quanto l’assenza di frustrazione implica solo l’assenza di
aggressività, non l’eventuale spinta a collaborare
Conflitto inter-gruppi - VI
•
Teoria della “deprivazione relativa” (Runciman, 1966):
- le persone manifestano scontento quando percepiscono una discrepanza tra
quanto hanno e quanto ritengono di dover avere (scarto tra aspettative e
risultati: + è alta, + è la probabilità di scontento)
•
Runciman (1966) distingue tra:
- deprivazione “egoistica” (insoddisfazione rispetto ad aspettative personali)
- deprivazione “collettiva” (insoddisfazione rispetto alla deprivazione del proprio
gruppo rispetto a uno standard desiderato)
•
Misurazione della deprivazione relativa: differenza di punteggio tra
soddisfazione verso la propria vita reale e aspettativa verso la vita “ideale”
(Cantril, 1965)
Conflitto inter-gruppi - VII
•
Le ricerche di Gurr, 1970 (correlazione tra deprivazione relativa e
tumulti in varie nazioni) e di Crawford e Naditch, 1970 (correlazione tra
deprivazione relativa e atteggiamenti verso Potere Nero e le
sommosse dei neri a Detroit) forniscono evidenze empiriche a favore
di questa teoria.
•
Cosa determina le aspettative degli individui?
Un fattore importante è l’esperienza passata
•
Secondo Davies (1969) è più probabile che le rivolte avvengano non
dopo una deprivazione prolungata, ma dopo un periodo di prosperità
relativa (= aumento di aspettative verso il futuro) che ha ricevuto un
brusco freno
Conflitto inter-gruppi - VIII
•
•
Davies sostiene infatti che le + famose rivolte “storiche” (rivoluzioni francese e
russa, guerra civile americana, avvento del nazismo in Germania) sono state
precedute da 20-30 anni di prosperità, prima di un brusco arresto socioeconomico.
La tesi di Davies è stata confermata solo in parte
•
Un altro fattore ipotizzato come antecedente l’aspettativa è il contatto con altri
gruppi
•
Alcuni studi mostrano che il pregiudizio inter-gruppi è legato alla deprivazione
“collettiva”, non a quella egoistica”
(es.: sostegno dei neri a Potere Nero, sostegno dei francofoni agli
indipendentisti del Québec)
Conflitto inter-gruppi - IX
•
1.
2.
3.
4.
Più recentemente sono stati portati almeno 4 ulteriori elementi in grado di
migliorare il modello di predizione dello scontento sociale sulla base della
deprivazione relativa
il ruolo dell’identificazione di gruppo: una forte identificazione dei membri
sembra favorire la percezione di deprivazione “collettiva” che porta all’azione di
gruppo
la credenza dei membri che la protesta di gruppo possa favorire il
cambiamento sociale
la natura dell’ingiustizia che provoca la percezione di deprivazione relativa: la
percezione di un’ingiustizia “distributiva” (inequità di distribuzione) sembra potente nel provocare deprivazione relativa rispetto a un’ingiustizia
“procedurale” (inequità di metodo)
il termine di confronto scelto (ossia il gruppo oggetto di paragone)
Conflitto inter-gruppi - XI
•
Dall’analisi delle cause psico-sociali dello scontento sociale in termini di
deprivazione allo studio del conflitto tra interessi gruppali: la teoria del conflitto
realistico di Sherif (1967)
•
Gli atteggiamenti e il comportamento inter-gruppi tenderanno a riflettere gli
interessi oggettivi di ciascun gruppo nel confronto con gli altri gruppi: se tali
interessi gruppali sono in conflitto, aumenta la competitività (e l’ostilità) intergruppi, se invece gli interessi coincidono, aumenta lo sforzo collaborativo
(Sherif, 1967)
Conflitto inter-gruppi - XII
•
In quali condizioni si genera animosità fra i gruppi?
È necessario considerare le conseguenze dell’appartenenza di gruppo sugli
individui (Sherif et al., 1961)
•
Le ricerche dei “campi estivi” (Sherif e Sherif, 1953; Sherif et al., 1955; 1961)
Partecipanti: adolescenti americani, non consapevoli di partecipare ad una
ricerca, che trascorrevano due settimane in un campo estivo diretto da Sherif
e collaboratori
Procedura: introduzione di diverse fasi, nel corso delle quali i ricercatori
concentravano l’attenzione su aspetti diversi del gruppo e del comportamento
intergruppi
Conflitto inter-gruppi - XIII
-
Fase I: le attività riguardavano tutti i partecipanti
-
Fase II: dopo una settimana, divisione in due gruppi distinti, Rossi e Blu, apparentemente al
fine di organizzare le attività del campo
-
*
Separazione degli amici più stretti. Fine delle attività comuni
*
Evoluzione delle abitudini e delle gerarchie intra-gruppi
Fase III: introduzione di competizione fra i due gruppi
*
Rapido deterioramento delle relazioni inter-gruppi, caratterizzate
formazione di stereotipi negativi dell’altro gruppo
*
Forte coesione all’interno di ciascun gruppo
*
Le tensioni inter-gruppi non cessavano nemmeno al termine delle
competitive
-
Fase IV: introduzione di uno scopo sovraordinato per i due gruppi
*
da ostilità e
Diminuzione dell’ostilità e della tensione fra i gruppi
situazioni
Conflitto inter-gruppi - XIV
•
Cosa ci dicono le ricerche dei “campi estivi”?
– i risultati sono interpretabili sulla base di dinamiche inter-gruppi e
non di dinamiche inter-personali o intra-personali
– il conflitto di interessi, anche rappresentato da giochi competitivi, è
all’origine del conflitto inter-gruppi
– il gruppo premiato mostra maggiore favoritismo per il proprio
gruppo (“in-group bias”) e discredito dell’out-group rispetto al
gruppo non premiato, contraddicendo la teoria della frustrazioneaggressività
– scopi sovraordinati conducono a cooperazione fra gruppi
Conflitto inter-gruppi - XV
•
I risultati delle ricerche dei “campi estivi” (in particolare il fenomeno dell’ingroup bias) hanno ricevuto conferma anche da altri studi sperimentali
•
Studio di Black e Mouton (1962): 24 coppie di gruppi (48 gruppi) che
competono per la risoluzione di un problema organizzativo. Risultati: 46 gruppi
valutano meglio la soluzione del proprio gruppo, 2 danno un giudizio di parità,
nessun gruppo valuta la soluzione dell’altro gruppo come migliore
•
Indagine etnografica di Brewer e Campbell (1976) su 30 gruppi tribali dell’Africa
orientale: la valutazione dell’in-group e di vari out-group sulla base di diversi
indici mostra un’in-group bias + accentuato nel confronto con i gruppi + vicini
(forse per una maggiore competizione su risorse comuni, es. film Niente da
dichiarare)
Conflitto inter-gruppi - XVI
•
La faziosità in direzione del proprio in-group (e i suoi “prodotti”) rispetto all’outgroup, in caso di competizione o conflitto di interessi, è facilmente riscontrabile
anche negli eventi socio-politici storici e di attualità
•
Secondo Sherif (1967), in linea con i risultati delle sue ricerche, la riduzione del
conflitto e l’induzione di sforzi cooperativi è possibile solo con la presenza di
scopi sovraordinati, cioè scopi desiderati da entrambi i gruppi il cui
raggiungimento non è possibile con il solo impegno del proprio gruppo
Conflitto inter-gruppi - XVII
•
Alcuni studi (Ryen e Kahn, 1975; Turner, 1981; Brown e Adams, 1986)
mostrano che, dopo che i gruppi hanno vissuto situazioni cooperative,
diminuisce il favoritismo per l’in-group, pur senza scomparire del tutto
•
Altri studi hanno individuato dei limiti nella strategia degli scopi sovraordinati
•
Ad es., un punto importante sembra essere l’esito degli sforzi cooperativi
Conflitto inter-gruppi - XVIII
•
Esperimento di Worchel et al. (1977): coppie di gruppi lavorano insieme su un
compito con esiti positivi oppure negativi
- I fase pre-prova: alcuni gruppi lavorano in competizione, altri in cooperazione, altri ancora in
indipendenza
Risultati della rilevazione pre-:
* atteggiamenti verso l’out-group + negativi nei gruppi che hanno lavorato in competizione, - negativi
nei gruppi che hanno lavorato in cooperazione, intermedi negli altri; viceversa per il favoritismo
verso l’in-group
* maggior coesione nei gruppi che hanno lavorato in competizione
- II fase prova: esiti positivi o negativi
Risultati della rilevazione post-:
* a prescindere dall’esito, stabilità del favoritismo in-group e miglioramento dell’atteggiamento verso
l’out-group in tutti i gruppi, eccetto quelli che avevano avuto esito negativo nella prova e nella I fase
avevano lavorato in competizione
Conflitto inter-gruppi - XIX
•
Altri studi suggeriscono che gli scopi sovraordinati sono efficaci nel promuovere
atteggiamenti positivi verso l’out-group soprattutto se ciascun gruppo mantiene
parte della sua identità di gruppo nell’attività congiunta (ad es., in termini di
distinguibilità del contributo del proprio gruppo)
•
Limiti della teoria del conflitto realistico nello spiegare le relazioni inter-gruppi:
- il favoritismo per l’in-group e gli atteggiamenti negativi verso l’out-group non
scompaiono con la cooperazione
- non sempre è necessario un conflitto esplicito di interessi per produrre
favoritismo per l’in-group e atteggiamenti negativi verso l’out-group
- il focus è solo sui conflitti “reali”, mentre non è contemplata l’importanza del
conflitto percepito (importanza delle credenze del gruppo) o della competizione
rispetto a beni intangibili (ad es. il prestigio sociale)
Gli stereotipi - I
•
Come si può definire il concetto di stereotipo?
In linea generale, possiamo affermare che uno stereotipo è dato dalle
inferenze, dalle immagini mentali che abbiamo quando richiamiamo una certa
categoria.
•
Nel processo di categorizzazione con cui ordiniamo e semplifichiamo la realtà,
le persone vengono inserite in categorie; il contenuto di queste categorie è
costituito, appunto, dagli stereotipi.
Gli stereotipi - II
•
•
Tajfel (1981): gli stereotipi costituiscono prodotti peculiari del processo
cognitivo di categorizzazione.
Gli stereotipi sociali hanno le seguenti caratteristiche:
– vengono condivisi da molte persone all’interno di gruppi o
istituzioni sociali
– costituiscono immagini semplificate al massimo di una categoria
sociale, un’istituzione o un evento
– consentono la spiegazione di eventi complessi, la giustificazione di
azioni progettate o commesse verso altri gruppi; permettono la
differenziazione positiva del proprio gruppo rispetto agli altri gruppi
Gli stereotipi - III
Distinzione concettuale fra stereotipo e pregiudizio
– stereotipo sociale = immagine semplificata di una categoria
di persone o un evento, condivisa nei tratti essenziali da
molte persone; si accompagna in genere al pregiudizio
– pregiudizio = giudizio o opinione a priori, in genere con
connotazione negativa, verso persone, gruppi o altri oggetti
sociali salienti
Gli stereotipi - IV
•
Secondo Brown (2000) esistono tre fattori connessi agli aspetti sociali degli
stereotipi che, quindi hanno a che fare con la relazione intergruppi.
1.
2.
3.
le credenze legittimanti
le aspettative
le profezie che si autoavverano
Gli stereotipi come “credenze legittimanti”
•
•
•
Che funzione hanno gli stereotipi?
...servono per semplificare e ordinare la realtà percepita.
In alcuni casi, sono la “giustificazione ideologica” per alcuni eventi sociali.
Gli stereotipi di gruppo, generalmente, sono condivisi dai membri dello stesso
gruppo o della stessa società
Gli stereotipi - V
•
Questo è evidente confrontando gli stereotipi di gruppi o società. Se lo
stereotipo fosse individuale, sarebbe possibile osservare una serie di credenze
stereotipiche che varia da persona a persona, mentre in realtà la maggior
parte di tali credenze (per es. stereotipi di genere o “etnici”) sono condivisi da
ampie maggioranze.
•
Gli stereotipi, inoltre, sono soggetti a cambiamenti quando si modificano le
relazioni intergruppi (es., attribuzioni stereotipiche negative al nemico in caso
di conflitto: percezione “occidentale” degli arabi).
•
A volte sono aspetti della realtà sociale ed economica a far nascere degli
stereotipi; questi, benché spesso non veri, vengono utilizzati per legittimare il
mantenimento delle disuguaglianze (es. percezione stereotipa negativa degli
extracomunitari: “poco di buono”, “tolgono il lavoro ai locali”, “socialmente
pericolosi”).
Gli stereotipi - VI
•
Vari studi mostrano come, sulla base della sola appartenenza categoriale degli
individui, vengono inferite e associate altre caratteristiche che fanno parte
dell’immagine stereotipa di quella categoria
Gli stereotipi come “aspettative”
•
Gli stereotipi possono agire influenzando le aspettative e le valutazioni
dell’osservatore riguardo il gruppo, o di un suo membro
•
Le valutazioni, in generale, vengono influenzate sia dalle informazioni generali
che si hanno su un individuo, sia dalle aspettative create dallo stereotipo (ad
es. l’appartenenza ad una o all’altra classe sociale può influenzare la
valutazione accademica).
Gli stereotipi - VII
•
Ci sono casi in cui le persone non usano gli stereotipi senza riflettere, ma
piuttosto li utilizzano come ipotesi da sottoporre a verifica, quindi possono
essere confermate o smentite dalla realtà dei fatti (Darley e Gross, 1983).
•
Questo, in verità, non accade molto spesso: la tendenza generale è quella di
considerare le informazioni che confermano le aspettative e a sottostimare le
informazioni incongruenti con esse.
•
Alcune ricerche (Hamilton e Rose, 1980) hanno dimostrato che gli stereotipi
influenzano anche la memoria del passato (si ricordano maggiormente le
associazioni più stereotipe)
Gli stereotipi - VIII
•
Ad es., uno studio di Hamilton e Rose (1980) mostra che il termine “attraente”
è + ricordato in associazione alla categoria “hostess” piuttosto che alla
categoria “venditore”.
•
Le aspettative verso i diversi gruppi fanno riferimento al sistema di valori
dell’osservatore: all’in-group sono di solito associati molti tratti positivi e pochi
tratti negativi, mentre la percezione dell’out-group è inversa (anche se
l’associazione di tratti è + debole)
•
Le aspettative stereotipe possono talvolta operare in modo automatico, al di
fuori della consapevolezza dell’individuo (Perdue et al., 1990)
Gli stereotipi - IX
Gli stereotipi come “profezie che si autoavverano”
•
Il processo di stereotipizzazione è bidirezionale, nel senso che ogni soggetto
(o gruppo) ha un determinato stereotipo nei confronti di un “oggetto” che non è
statico, ma reattivo.
•
La reazione dell’oggetto, paradossalmente, rinforza lo stereotipo, creando la
situazione cosiddetta di “profezia che si autoavvera”.
•
Se penso che una donna non sia in grado di fare un determinato lavoro
prettamente maschile in quanto la categoria viene stereotipata come “troppo
emotiva”, molto probabilmente accadrà che i membri di questa si possano
irritare. L’irritazione è percepita come dimostrazione di emotività...e lo
stereotipo viene chiaramente rinforzato.
Gli stereotipi - X
•
Il processo, anche in questo caso, può essere automatico. Es. studio di Bargh
sull’attivazione subliminare dello stereotipo; studi sulle scuole: aspettative delle
insegnanti
•
In tutte le ricerche, di laboratorio o sul campo, colui che innesca la profezia che si
autoavvera è sempre la persona che manifesta lo stereotipo (cioè è questa che
provoca con un’azione il comportamento confermativo della persona bersaglio).
•
Può accadere anche che se le persone che sono oggetto di un pregiudizio ne
sono consapevoli possano percepire quella che viene definita come “minaccia
stereotipa” innescando la profezia che si autoavvera (Steele e Aronson, 1995).
•
Praticamente, lo stereotipo viene interiorizzato nella concezione che una persona
ha di sé in quanto membro di quella categoria (es: prestazioni degli studenti neri ai
test accademici).
Conflitto inter-gruppi - I
•
Come si può definire il pregiudizio?
...il mantenimento o l’espressione di atteggiamenti dispregiativi, emozioni
negative o condotte discriminatorie nei confronti di membri di un gruppo
esterno; tali fenomeni sono motivati dall’appartenenza di questi membri al
gruppo esterno (Brown, 1995).
•
Teoria della frustrazione-aggressività (Dollard et al., 1939): la presenza di un
comportamento aggressivo presuppone sempre l’esistenza di frustrazione,
così come l’esistenza di frustrazione porta sempre a un comportamento
aggressivo
•
Dato che spesso l’aggressività non può essere rivolta alla vera fonte della
frustrazione, allora viene “spostata” su un’altro obiettivo (ad esempio: un
gruppo di minoranza).
Conflitto inter-gruppi - II
•
Esempi “storici” (1): Dollard et al., 1939
frustrazioni causate dal crollo dell’economia tedesca
popolarità delle idee antisemite di Hitler
•
Esempi “storici” (2): Hovland e Sears, 1940
fase di recessione economica (= alto prezzo del cotone)
numero di neri linciati
Conflitto inter-gruppi - III
•
Esperimento in un campo estivo per giovani di Miller e Bugelski (1948): la
frustrazione per i vincoli posti dai responsabili del campo viene “sfogata” verso
due gruppi minoritari (= aumento atteggiamenti negativi), mentre un gruppo di
controllo (che non sperimenta la frustrazione) non mostra tale aumento.
•
Punti di debolezza della teoria della frustrazione-aggressività:
- quale gruppo (o individuo) sarà scelto come capro espiatorio?
- la frustrazione non è né necessaria né sufficiente a provocare l’aggressività
(Berkowitz, 1962; Bandura, 1973)
Conflitto inter-gruppi - IV
•
Teoria della frustrazione-aggressività rivisitata da Berkowitz (1962; 1989):
- il gruppo (o individuo) scelto come capro espiatorio è stato già in passato
fonte di conflitto o antipatia
- la frustrazione non è causata semplicemente dall’interferenza “oggettiva” con
una risposta diretta allo scopo, ma anche da un ostacolo alla soddisfazione
delle aspettative degli individui
- la frustrazione è solo una delle possibili esperienze spiacevoli che provocano
aggressività negli individui: anche altri “eventi avversi” (es.: percezione di
dolore, calore, freddo) possono favorire l’aggressività (es.: le rivolte popolari
sono + probabili con alti livelli di calore e umidità)
Conflitto inter-gruppi - V
•
Limiti dell’approccio “frustrazione-aggressività”:
- è un approccio individualistico in quanto...
* presuppone che un’esplosione di scontento accade in
quanto i
membri di una folla sperimentino nello stesso istante uno stato emotivo
negativo che viene poi
“scaricato” da tutti verso lo stesso bersaglio
* il pregiudizio è visto come un fenomeno irrazionale dovuto
all’aggregazione di stati emotivi individuali,
dunque non ci sarebbe una
premeditatazione verso uno specifico gruppo esterno
- non è in grado di spiegare i comportamenti positivi (amicizia e cooperazione)
tra i gruppi, in quanto l’assenza di frustrazione implica solo l’assenza di
aggressività, non l’eventuale spinta a collaborare
Conflitto inter-gruppi - VI
•
Teoria della “deprivazione relativa” (Runciman, 1966; Gurr, 1970):
- le persone manifestano scontento quando percepiscono una discrepanza tra
quanto hanno e quanto ritengono di dover avere (scarto tra aspettative e
risultati: + è alto, + è la probabilità di scontento)
•
Runciman (1966) distingue tra:
- deprivazione “egoistica” (insoddisfazione rispetto ad aspettative personali)
- deprivazione “collettiva” (insoddisfazione rispetto alla deprivazione del proprio
gruppo rispetto a uno standard desiderato)
•
Misurazione della deprivazione relativa: differenza di punteggio tra
soddisfazione verso la propria vita reale e aspettativa verso la vita “ideale”
(Cantril, 1965)
Conflitto inter-gruppi - VII
•
Le ricerche di Gurr, 1970 (correlazione tra deprivazione relativa e tumulti in
varie nazioni) e di Crawford e Naditch, 1970 (correlazione tra deprivazione
relativa e atteggiamenti verso Potere Nero e le sommosse dei neri a Detroit)
forniscono evidenze empiriche a favore di questa teoria.
•
Cosa determina le aspettative degli individui?
Un fattore importante è l’esperienza passata
•
Secondo Davies (1969) è + probabile che le rivolte avvengano non dopo una
deprivazione prolungata, ma dopo un periodo di prosperità relativa (= aumento
di aspettative verso il futuro) che ha ricevuto un brusco freno
Conflitto inter-gruppi - VIII
•
Davies sostiene infatti che le + famose rivolte “storiche” (rivoluzioni francese e
russa, guerra civile americana, avvento del nazismo in Germania) sono state
precedute da 20-30 anni di prosperità, prima di un brusco arresto socioeconomico.
•
La tesi di Davies è stata confermata solo in parte
•
Un altro fattore ipotizzato come antecedente l’aspettativa è il contatto con altri
gruppi
•
Alcuni studi mostrano che il pregiudizio inter-gruppi è legato alla deprivazione
“collettiva”, non a quella egoistica”
(es.: sostegno dei neri a Potere Nero, sostegno dei francofoni agli
indipendentisti del Québec)
Conflitto inter-gruppi - IX
•
Ma è la percezione di deprivazione “collettiva” che provoca il sostegno alla
ribellione oppure è la partecipazione ad azioni collettive che favorisce la
percezione di deprivazione?
•
Alcune ricerche sembrano dimostrare che la direzione della relazione è quella
propugnata dalla teoria della deprivazione relativa
•
Più recentemente sono stati portati almeno 4 ulteriori elementi in grado di
migliorare il modello di predizione dello scontento sociale sulla base della
deprivazione relativa
il ruolo dell’identificazione di gruppo: una forte identificazione dei membri
sembra favorire la percezione di deprivazione “collettiva” che porta all’azione di
gruppo
1.
Conflitto inter-gruppi - X
2.
la credenza dei membri che la protesta di gruppo possa favorire il
cambiamento sociale
3.
la natura dell’ingiustizia che provoca la percezione di deprivazione relativa: la
percezione di un’ingiustizia “distributiva” (inequità di distribuzione) sembra potente nel provocare deprivazione relativa rispetto a un’ingiustizia
“procedurale” (inequità di metodo)
4.
il termine di confronto scelto (ossia il gruppo oggetto di paragone)
Conflitto inter-gruppi - XI
•
Dall’analisi delle cause psico-sociali dello scontento sociale in termini di
deprivazione allo studio del conflitto tra interessi gruppali: la teoria del conflitto
realistico di Sherif (1967)
•
Gli atteggiamenti e il comportamento inter-gruppi tenderanno a riflettere gli
interessi oggettivi di ciascun gruppo nel confronto con gli altri gruppi: se tali
interessi gruppali sono in conflitto, aumenta la competitività (e l’ostilità) intergruppi, se invece gli interessi coincidono, aumenta lo sforzo collaborativo
(Sherif, 1967)
Conflitto inter-gruppi - XII
•
In quali condizioni si genera animosità fra i gruppi?
I fenomeni inter-gruppi non possono essere spiegati invocando
esclusivamente problemi di personalità o frustrazioni individuali. È necessario
considerare le conseguenze dell’appartenenza di gruppo sugli individui (Sherif
et al., 1961)
•
Le ricerche dei “campi estivi” (Sherif e Sherif, 1953; Sherif et al., 1955; 1961)
Partecipanti: adolescenti americani, non consapevoli di partecipare ad una ricerca, che
trascorrevano due settimane in un campo estivo diretto da Sherif e collaboratori
Procedura: introduzione di diverse fasi, nel corso delle quali i ricercatori concentravano
l’attenzione su aspetti diversi del gruppo e del comportamento intergruppi
Conflitto inter-gruppi - XIII
-
Fase I: le attività riguardavano tutti i partecipanti
-
Fase II: dopo una settimana, divisione in due gruppi distinti, Rossi e Blu, apparentemente al
fine di organizzare le attività del campo
-
*
Separazione degli amici più stretti. Fine delle attività comuni
*
Evoluzione delle abitudini e delle gerarchie intra-gruppi
Fase III: introduzione di competizione fra i due gruppi
*
Rapido deterioramento delle relazioni inter-gruppi, caratterizzate
formazione di stereotipi negativi dell’altro gruppo
*
Forte coesione all’interno di ciascun gruppo
*
Le tensioni inter-gruppi non cessavano nemmeno al termine delle
competitive
-
Fase IV: introduzione di uno scopo sovraordinato per i due gruppi
*
da ostilità e
Diminuzione dell’ostilità e della tensione fra i gruppi
situazioni
Conflitto inter-gruppi - XIV
•
Cosa ci dicono le ricerche dei “campi estivi”?
– i risultati sono interpretabili sulla base di dinamiche inter-gruppi e
non di dinamiche inter-personali o intra-personali
– il conflitto di interessi, anche rappresentato da giochi competitivi, è
all’origine del conflitto inter-gruppi
– scopi competitivi conducono a conflitto inter-gruppi
– il gruppo premiato mostra maggiore favoritismo per il proprio
gruppo (“in-group bias”) e discredito dell’out-group rispetto al
gruppo non premiato, contraddicendo la teoria della frustrazioneaggressività
– scopi sovraordinati conducono a cooperazione fra gruppi
Conflitto inter-gruppi - XV
•
I risultati delle ricerche dei “campi estivi” (in particolare il fenomeno dell’ingroup bias) hanno ricevuto conferma anche da altri studi sperimentali
•
Studio di Black e Mouton (1962): 24 coppie di gruppi che competono per la
risoluzione di un problema organizzativo. Risultati: 46 gruppi valutano meglio la
soluzione del proprio gruppo, 2 danno un giudizio di parità, nessun gruppo
valuta la soluzione dell’altro gruppo come migliore
•
Indagine etnografica di Brewer e Campbell (1976) su 30 gruppi tribali dell’Africa
orientale: la valutazione dell’in-group e di vari out-group sulla base di diversi
indici mostra un’in-group bias + accentuato nel confronto con i gruppi + vicini
(forse per una maggiore competizione su risorse comuni)
Conflitto inter-gruppi - XVI
•
La faziosità in direzione del proprio in-group (e i suoi “prodotti”) rispetto all’outgroup, in caso di competizione o conflitto di interessi, è facilmente riscontrabile
anche negli eventi socio-politici storici e di attualità
•
Secondo Sherif (1967), in linea con i risultati delle sue ricerche, la riduzione del
conflitto e l’induzione di sforzi cooperativi è possibile solo con la presenza di
scopi sovraordinati, cioè scopi desiderati da entrambi i gruppi il cui
raggiungimento non è possibile con il solo impegno del proprio gruppo
Conflitto inter-gruppi - XVII
•
Alcuni studi (Ryen e Kahn, 1975; Turner, 1981; Brown e Adams, 1986)
mostrano che, dopo che i gruppi hanno vissuto situazioni cooperative,
diminuisce il favoritismo per l’in-group, pur senza scomparire del tutto
•
Altri studi hanno individuato dei limiti nella strategia degli scopi sovraordinati
•
Ad es., un punto importante sembra essere l’esito degli sforzi cooperativi
Conflitto inter-gruppi - XVIII
•
Esperimento di Worchel et al. (1977): coppie di gruppi lavorano insieme su un
compito con esiti positivi oppure negativi
- I fase pre-prova: alcuni gruppi lavorano in competizione, altri in cooperazione, altri ancora in
indipendenza
Risultati della rilevazione pre-:
* atteggiamenti verso l’out-group + negativi nei gruppi che hanno lavorato in competizione, - negativi
nei gruppi che hanno lavorato in cooperazione, intermedi negli altri; viceversa per il favoritismo
verso l’in-group
* maggior coesione nei gruppi che hanno lavorato in competizione
- II fase: prova
Risultati della rilevazione post-:
* a prescindere dall’esito, stabilità del favoritismo in-group e miglioramento dell’atteggiamento verso
l’out-group in tutti i gruppi, eccetto quelli che avevano avuto esito negativo nella prova e nella I fase
avevano lavorato in competizione
Conflitto inter-gruppi - XIX
•
Altri studi suggeriscono che gli scopi sovraordinati sono efficaci nel promuovere
atteggiamenti positivi verso l’out-group soprattutto se ciascun gruppo mantiene
parte della sua identità di gruppo nell’attività congiunta (ad es., in termini di
distinguibilità del contributo del proprio gruppo)
•
Limiti della teoria del conflitto realistico nello spiegare le relazioni inter-gruppi:
- il favoritismo per l’in-group e gli atteggiamenti negativi verso l’out-group non
scompaiono con la cooperazione
- non sempre è necessario un conflitto esplicito di interessi per produrre
favoritismo per l’in-group e atteggiamenti negativi verso l’out-group
- il focus è solo sui conflitti “reali”, mentre non è contemplata l’importanza del
conflitto percepito (importanza delle credenze del gruppo) o della competizione
rispetto a beni intangibili (ad es. il prestigio sociale)
Gli stereotipi - I
•
Come si può definire il concetto di stereotipo?
In linea generale, possiamo affermare che uno stereotipo è dato dalle
inferenze, dalla immagini mentali che abbiamo quando richiamiamo una certa
categoria.
•
Nel processo di categorizzazione con cui ordiniamo e semplifichiamo la realtà,
le persone vengono inserite in categorie; il contenuto di queste categorie è
costituito, appunto, dagli stereotipi.
Gli stereotipi - II
•
•
Tajfel (1981): gli stereotipi costituiscono prodotti peculiari del processo
cognitivo di categorizzazione.
Gli stereotipi sociali hanno le seguenti caratteristiche:
– vengono condivisi da molte persone all’interno di gruppi o
istituzioni sociali
– costituiscono immagini semplificate al massimo di una categoria
sociale, un’istituzione o un evento
– consentono la spiegazione di eventi complessi, la giustificazione di
azioni progettate o commesse verso altri gruppi; permettono la
differenziazione positiva del proprio gruppo rispetto agli altri gruppi
Gli stereotipi - III
Distinzione concettuale fra stereotipo e pregiudizio
– stereotipo sociale = immagine semplificata di una categoria
di persone o un evento, condivisa nei tratti essenziali da
molte persone; si accompagna in genere al pregiudizio
– pregiudizio = giudizio o opinione a priori, in genere con
connotazione negativa, verso persone, gruppi o altri oggetti
sociali salienti
Gli stereotipi - IV
•
Secondo Brown (2000) esistono tre fattori connessi agli aspetti sociali degli
stereotipi che, quindi hanno a che fare con la relazione intergruppi.
1.
2.
3.
le credenze legittimanti
le aspettative
le profezie che si autoavverano
Gli stereotipi come “credenze legittimanti”
•
Che funzione hanno gli stereotipi?
...servono per semplificare e ordinare la realtà percepita.
•
•
In alcuni casi, sono la “giustificazione ideologica” per alcuni eventi sociali.
Gli stereotipi di gruppo, generalmente, sono condivisi dai membri dello stesso
gruppo o della stessa società
Gli stereotipi - V
•
Questo è evidente confrontando gli stereotipi di gruppi o società. Se lo
stereotipo fosse individuale, sarebbe possibile osservare una serie di credenze
stereotipiche che varia da persona a persona, mentre in realtà la maggior
parte di tali credenze (per es. stereotipi di genere o “etnici”) sono condivisi da
ampie maggioranze.
•
Gli stereotipi, inoltre, sono soggetti a cambiamenti quando si modificano le
relazioni intergruppi (es., attribuzioni stereotipiche negative al nemico in caso
di conflitto: percezione “occidentale” degli arabi).
•
A volte sono aspetti della realtà sociale ed economica a far nascere degli
stereotipi; questi, benché spesso non veri, vengono utilizzati per legittimare il
mantenimento delle disuguaglianze (es. percezione stereotipa negativa degli
extracomunitari: “poco di buono”, “tolgono il lavoro ai locali”, “socialmente
pericolosi”).
Gli stereotipi - VI
•
Vari studi mostrano come, sulla base della sola appartenenza categoriale degli
individui, vengono inferite e associate altre caratteristiche che fanno parte
dell’immagine stereotipa di quella categoria
Gli stereotipi come “aspettative”
•
Gli stereotipi possono agire influenzando le aspettative e le valutazioni
dell’osservatore riguardo il gruppo, o di un suo membro
•
Le valutazioni, in generale, vengono influenzate sia dalle informazioni generali
che si hanno su un individuo, sia dalle aspettative create dallo stereotipo (ad
es. l’appartenenza ad una o all’altra classe sociale può influenzare la
valutazione accademica).
Gli stereotipi - VII
•
Ci sono casi in cui le persone non usano gli stereotipi senza riflettere, ma
piuttosto li utilizzano come ipotesi da sottoporre a verifica, quindi possono
essere confermate o smentite dalla realtà dei fatti (Darley e Gross, 1983).
•
Questo, in verità, non accade molto spesso: la tendenza generale è quella di
considerare le informazioni che confermano le aspettative e a sottostimare le
informazioni incongruenti con esse.
•
Alcune ricerche (Hamilton e Rose, 1980) hanno dimostrato che gli stereotipi
influenzano anche la memoria del passato (si ricordano maggiormente le
associazioni più stereotipe)
Gli stereotipi - VIII
•
Ad es., uno studio di Hamilton e Rose (1980) mostra che il termine “attraente”
è + ricordato in associazione alla categoria “hostess” piuttosto che alla
categoria “venditore”.
•
Le aspettative verso i diversi gruppi fanno riferimento al sistema di valori
dell’osservatore: all’in-group sono di solito associati molti tratti positivi e pochi
tratti negativi, mentre la percezione dell’out-group è inversa (anche se
l’associazione di tratti è + debole)
•
Le aspettative stereotipe possono talvolta operare in modo automatico, al di
fuori della consapevolezza dell’individuo (Perdue et al., 1990)
Gli stereotipi - IX
Gli stereotipi come “profezie che si autoavverano”
•
Il processo di stereotipizzazione è bidirezionale, nel senso che ogni soggetto
(o gruppo) ha un determinato stereotipo nei confronti di un “oggetto” che non è
statico, ma reattivo.
•
La reazione dell’oggetto, paradossalmente, rinforza lo stereotipo, creando la
situazione cosiddetta di “profezia che si autoavvera”.
•
Se penso che una donna non sia in grado di fare un determinato lavoro
prettamente maschile in quanto la categoria viene stereotipata come “troppo
emotiva”, molto probabilmente accadrà che i membri di questa si possano
irritare. L’irritazione è percepita come dimostrazione di emotività...e lo
stereotipo viene chiaramente rinforzato.
Gli stereotipi - X
•
Il processo, anche in questo caso, può essere automatico.
•
In tutte le ricerche, di laboratorio o sul campo, colui che innesca la profezia che si
autoavvera è sempre la persona che manifesta lo stereotipo (cioè è questa che
provoca con un’azione il comportamento confermativo della persona bersaglio).
•
Quello che accade è che se le persone che sono oggetto di un pregiudizio ne
sono consapevoli possano percepire quella che viene definita come “minaccia
stereotipa” innescando la profezia che si autoavvera (Steele e Aronson, 1995).
•
Praticamente, lo stereotipo viene interiorizzato nella concezione che una persona
di sé in quanto membro di quella categoria (es: prestazioni degli studenti neri ai
test accademici).
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