A Parla lo scrittore cileno, amico del grande poeta: «Ero con lui a
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A Parla lo scrittore cileno, amico del grande poeta: «Ero con lui a
MERCOLEDÌ 15 MAGGIO 2013 E D I TO R I A L E CONTRO LA CRISI VADEMECUM IL LIBRO PUÒ GUARDARE AVANTI Dove La ventiseiesima edizione del Salone Internazionale del Libro si tiene al Lingotto Fiere (via Nizza 280, 10126 Torino). Il Salone 2013 occupa con i propri spazi espositivi quattro padiglioni di Lingotto Fiere: l’1, 2, 3 e 5. GIULIANO VIGINI O gni volta che uno va al Salone del libro di Torino può aver l’impressione di un rito che si ripete, pur conservando ritmo e vivacità. Ma non è così. Se uno guarda oltre la superficie, si accorge che anche il Salone cambia, perché sono i protagonisti (gli scrittori, gli editori, i lettori) che sono cambiati. Nei dibattiti - focalizzati spesso su polemiche contingenti e comunque non decisive - c’è a volte una sorta di "oscuramento" dei fatti e dei problemi reali, che nell’immediato sono certamente quelli del modo in cui uscire dall’ormai famoso "tunnel" della crisi (più lungo di quanto si pensava), ma che sono anche quelli di sperimentare vie praticabili per affrontare una trasformazione, per così dire, "antropologica" in cui tutti, consapevoli o meno, sono coinvolti. In realtà, l’uomoscrittore, l’uomo-editore, l’uomolibraio, l’uomo-cliente stanno continuamente cambiando, e anche nei mille volti del Salone si colgono gli specchi o i frammenti di questo cambiamento. La rete ha indubbiamente spalancato orizzonti nuovi, non solo perché ha allargato gli spazi del mercato editoriale, ma perché ha modificato i rapporti professionali e umani tra gli interlocutori del mondo editoriale. Si sa che si vive sempre in un’età di transizione, ma questa che si sta vivendo in editoria non sembra un normale passaggio da una situazione ad un’altra, ma piuttosto un nuovo inizio. Come se il problema di fondo dell’editoria non fosse più soltanto quello di ristrutturare, rinnovare, diversificare le proprie attività - come si è sempre fatto -, ma fosse piuttosto quello di rifondare se stessa, all’interno di una scenario sempre più complesso e sfuggente. Alla fine ci si può domandare: quale sarà in futuro lo spazio di creatività e mediazione che avrà l’editore, tra un autore con possibilità di autonomia sempre maggiori e un lettore che lo incalza nel chiedergli contenuti e modalità di diffusione nuova? Ma si potrebbe aggiungere: quale sarà il suo ruolo, in un fronte editoriale che si è allargato a dismisura, rispetto ai nuovi attori che si presentano oggi sulla scena (distributori d’informazione, gestori di piattaforme e grandi basi-dati, ecc.) e che si pongono come temibili concorrenti? Tutte domande che presuppongono una lucidità d’interpretazione e di governo dei fenomeni da parte di tutti, grande o piccolo che uno sia. Un fatto è certo: se già da anni parlavamo della necessità di reinventarsi il mestiere - che significa apertura di visione e flessibilità operativa, competenze e strumenti nuovi di analisi -, oggi questa necessità è diventata quasi un’urgenza, sotto l’incalzare di fatti e problemi, che non sono soltanto più repentini rispetto anche a pochi mesi fa, ma che attraversano simultaneamente più settori nei quali ci si trova a dover operare. Se poi a questo quadro aggiungiamo le mutevoli realtà e le non meno altalenanti regole del mercato, per non parlare dell’annoso tema degli scarsi indici di lettura in Italia e della precarietà in genere del nostro sistema culturale, si rientra nel vasto campionario di dibattiti che, dentro e fuori il Salone del libro di Torino, stanno animando in questa fase l’editoria italiana. Per fortuna, oltre alle parole, ci sono anche gli oggetti concreti, i libri, che ci mostrano le tante possibili strade di questo inizio di futuro. © RIPRODUZIONE RISERVATA Quando Da domani, giovedì 16, a lunedì 20 maggio il Salone è aperto coi seguenti orari: giodo-lu 10-22; ve-sa 10-23. Biglietto intero 10.00 euro, ridotto 8.00 euro. Il tema Tema conduttore del Salone 2013 è la Creatività e la Cultura del Progetto. L’affascinante processo della creatività umana approfondito nelle sue declinazioni più fertili: le istituzioni, l’economia, le nuove forme di scrittura, la scienza e la tecnologia, le arti figurative e applicate, l’architettura e il design fino alla cucina e alla cultura materiale. Una forza visionaria capace di cambiare la nostra vita, e che ha ispirato la campagna di comunicazione 2013: "Dove osano le idee". DI MICHELA CORICELLI Edwards: «Io, figlio e padre di Neruda» mico e collega diplomatico di Neruda, lettore di Dante e cultore delle poesie di Machado de Assis, conquistato dall’umorismo di Italo Svevo. Scrittore, giornalista, diplomatico. Il cileno Jorge Edwards, 82 anni, è un intellettuale a 360 gradi: osservatore sensibile dell’evoluzione culturale e sociale del suo Paese, è attualmente ambasciatore a Parigi, attento agli umori e alle tendenze della Vecchia Europa. Sarà anche lui al Salone del Libro di Torino (venerdì 17 maggio alle 18, Spazio Cile): il suo è uno dei nomi di spicco del panorama letterario del Cile, paese ospite dell’edizione di quest’anno. Premio nazionale di Letteratura nel 1994, premio Cervantes nel 1999, in Italia ha pubblicato L’origine del mondo (Besa). Sono passati quarant’anni dal golpe di Augusto Pinochet. In quegli stessi giorni moriva Pablo Neruda. Dopo quattro decenni, qual è il clima culturale del suo Paese? «In Cile ci fu un’epoca in cui dominavano la censura, la proibizione. Io lottai molto contro questo fenomeno, come presidente del Comitato di difesa della libertà di espressione, formato da giornalisti, scrittori, intellettuali. Oggi c’è una grande libertà di espressione e c’è molta creatività letteraria fra i giovani. Sono ottimista. Certo, parliamo Lei ha scritto che «la e anche della memoria. Chi, invece, ha di una minoranza memoria seleziona, ordina, parlato del mio libro come “memorie giovanile, ma c’è un scarta. Non è la semplice dell’alta società” cilena ha detto una ambiente molto riproduzione del passato». sciocchezza. Io lottai molto da giovane, pur interessante. Se invece ci Con il libro “Los círculos di scrivere: non fu una battaglia facile, il riferiamo all’educazione morados” (“I cerchi viola”) mio era un ambiente pieno di norme rigide più in generale, allora esiste ha iniziato un itinerario e convenzioni. Ma continuo a scrivere». un problema di deficit: in nella sua memoria. Qual è Lei arrivò all’ambasciata di Parigi, per la Cile il costo dell’istruzione l’importanza del ricordo? prima volta, quando era guidata da è ancora alto, ma si sta «Poco tempo fa il critico Neruda. È vero che per lei fu come un facendo qualcosa per messicano Christopher secondo padre? migliorare la situazione. Dominguez, parlando della «L’ho conosciuto quando avevo ventun Comunque è molto mia opera, ha usato la anni e lui più o meno cinquanta. All’inizio interessante incontrare definizione di “quasi lo guardavo come un padre, poi Jorge Edwards giovani fra i venti e i romanzo”: mi colloca in un divenimmo amici, cominciammo a darci trent’anni curiosi, capaci di territorio di confine fra la del tu. Io ero il suo numero due creare il loro piccolo progetto editoriale». novella e le memorie. Per me il romanzo è all’ambasciata. E alla fine stava molto Romanziere, saggista, poeta. E un genere in continua evoluzione: capta male: aveva un cancro alla prostata molto diplomatico. Come è riuscito ad elementi propri della storia, della cronaca esteso. A volte mi sentivo quasi il papà e lui armonizzare le due professioni? il figlio, perché aveva «In America latina, ma anche in Europa, bisogno di protezione e c’è una lunga tradizione di diplomatici cura». IL PAESE OSPITE scrittori. In Cile, ad esempio, penso a Cosa pensa della Gabriela Mistral e allo stesso Pablo Neruda. riesumazione del Da Bolaño a De Agostini, il salesiano degli indios Io sono stato diplomatico in uno spicchio cadavere del poeta e A quarant’anni dal colpo di stato di Pinochet, la cultura del piuttosto piccolo della mia vita, mentre della denuncia del Cile, Paese ospite d’onore al Salone 2013, è più viva che mai, scrivo da quando avevo quindici anni. Mi presunto da Antonio Skármeta a Isabel Allende. Si parlerà «di» o «con» sento soprattutto uno scrittore». avvelenamento? Luis Sepulveda, Pablo Neruda, Gabriela Mistral, Gonzalo Rojas, Qual è la situazione sociale cilena, oggi? «Non credo che sia stato Vicente Huidobro e Nicanor Parra, Oscar Hahn, Elikura «La povertà è diminuita drasticamente: dal assassinato. Era molto Chihuailaf, Roberto Bolaño. Oltre a Alejandro Zambra, Lina cinquanta per cento della popolazione malato. È vero, è Meruane e Maria José Viera-Gallo. Quindi Roberto Ampuero, ormai siamo al dodici. C’è ancora molta possibile uccidere Arturo Fontaine, Oscar Bustamante, Santiago Elordi, disuguaglianza, è vero. E c’è il problema qualcuno anche se sta Alejandro Zambra, Lina Meruane, Maria-José Viera Gallo.Tra i della riforma dell’educazione: è corretta male. Ma non credo pionieri un salesiano piemontese: Alberto Maria De Agostini l’esigenza di chi chiede che tutti i ragazzi all’ex autista [che ha (1883-1960) che si è prodigato per gli indios: il 16 maggio, alle cileni abbiano le stesse possibilità. È già rivelato il possibile 18.30 allo Spazio Cile, presentazione del libro sulla sua vita. stato fatto molto, ma il cammino è ancora complotto, ndr], perché lungo e l’istruzione è la chiave». sostiene che Neruda A Parla lo scrittore cileno, amico del grande poeta: «Ero con lui a Parigi: prima ne fui discepolo, poi lo curai quando s’ammalò» stava bene. E non è vero: dopo essere stato operato due volte a Parigi tornò in Cile. Gli davano il cobalto, che si usa normalmente per il cancro, non per i tumori benigni». Di tutta la sua ampia produzione, cosa porterebbe in valigia per il Salone di Torino? «Ho scritto romanzi come fossero memorie e cronache come fossero racconti. La memoria ha avuto per me la funzione dell’invenzione. Ho toccato tutti i generi, tranne il teatro, sfiorato solo da giovane. Mi piace molto il saggio letterario. Ho scritto di Montaigne (La muerte de Montaigne, “La morte di Montaigne”, 2011) – uno degli uomini più liberi della storia – ma dal punto di vista di un cileno che legge il filosofo. Mi interessa anche perché mi è toccato vivere in un Paese in cui per molti anni c’è stata una guerra civile occulta …. Comunque il processo di riconciliazione reale, nel mio Paese, è lento. Le ferite sono profonde, enormi». Nel 1971 lei fu inviato come ambasciatore a Cuba da Salvador Allende, ma fu obbligato ad andarsene dopo tre mesi: troppo critico con il regime di Castro. Da lì nacque il suo libro “Persona non grata”. Cosa pensa dell’attuale situazione cubana? «Penso che la rivoluzione cubana subirà un cambiamento drastico, drammatico, ma non so – ovviamente – cosa accadrà. Osservo alcune riforme positive, come quella della legge migratoria, per cui i cubani possono uscire dal Paese: sono contento che la blogger Yoani Sánchez sia riuscita a viaggiare all’estero. Mi hanno detto, inoltre, che a Cuba stanno pubblicando le poesie di Heberto Padilla, incarcerato da Fidel Castro lo stesso giorno in cui io me ne andavo dall’Avana: era stato accusato dal regime di essere mio amico e di passarmi informazioni negative». Cosa le piace leggere fra gli italiani? «Dizionario alla mano, ho letto Dante e Machiavelli e Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Ho conosciuto Tabucchi e a Torino farò una presentazione con Claudio Magris. Ora sto leggendo Italo Svevo, La coscienza di Zeno; ho già terminato Una vita e poi toccherà a Senilità. Mi piace la sua ironia, la sua capacità di sorprendersi e la riflessione». © RIPRODUZIONE RISERVATA MERCOLEDÌ 15 MAGGIO 2013 II il sacro a Torino Sono molti anche nell’edizione di quest’anno gli appuntamenti al Salone dedicati alla spiritualità. Qui le sintesi di due «lectio» Tra dubbio e fiducia le ragioni della fede Vincenzo Paglia Credenti e non credenti, siamo tutti cacciatori di verità DI VINCENZO PAGLIA LA KERMESSE DEL LINGOTTO GLI INCONTRI Dialoghi per l’uomo Sul tema «A un amico che non crede» si terrà sabato 18 maggio (ore 10,30, sala Azzurra) l’incontro con monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, che sul tema ha appena scritto un volume edito da Piemme. Sempre sabato 18, ma alle ore 17 (Auditorium) sarà Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, a tenere una lectio magistralis sul tema «Fede e fiducia», argomento sul quale egli ha appena pubblicato da Einaudi un libro con lo stesso titolo. Qui pubblichiamo due estratti delle loro riflessioni. Sempre il 18 all’Auditorium dialogo fra Giovanni Reale e Umberto Veronesi (ore 11) su «Responsabilità della vita». a fede, qualsiasi fede, non è una res, una cosa che resta immobile una volta acquisita. Essa è una realtà viva che non esiste in se stessa ma nel credente, il quale è chiamato a crescere nella fede e perciò nella comprensione di Dio. La stessa Rivelazione non avviene sul piano dell’evidenza. L’allora cardinale Ratzinger sottolineava il valore del dubbio: «Nessuno è in grado di fornire una prova matematica di Dio e del suo regno; nemmeno il credente è in grado di trovarne una, anche solo per suo uso e consumo. Però il non credente non potrà certo servirsi di questo per giustificarsi, egli non sfuggirà all’inquietante: «Forse è tutto vero!». Il credente come il non credente, ognuno a suo modo, conosceranno il dubbio e la fede se non cercheranno di autoilludersi e di dissimulare la verità del loro essere. Nessuno può sfuggire totalmente alla fede; in uno la fede sarà presente contro il dubbio, mentre nell’altro grazie al dubbio e sotto forma di dubbio». Il futuro papa Benedetto XVI sottolineava che una delle leggi fondamentali del destino umano è proprio questa dialettica tra fede e dubbio, tra tentazione e certezza. E aggiungeva che il dubbio non solo impedisce all’uno e all’altro di rinchiudersi nella propria torre d’avorio, ma potrebbe diventare «luogo stesso di comunione». Il dubbio (o meglio, l’attitudine a interrogare) diviene terreno d’incontro tra credenti e non credenti. Nessuno deve ripiegarsi su se stesso; il credente condividerà il destino del non credente e quest’ultimo, grazie al dubbio, sentirà la sfida lanciata in modo inesorabile dalla fede. Avere in comune la ricerca della verità (es- L sere «cacciatori» della verità, diceva Cusano) significa che nessuno ha diritto di rivendicarla a suo vantaggio totale ed esclusivo, e ancor meno, come diceva papa Giovanni XXIII, di usarla come un randello. Desidero anch’io essere lontano dall’attitudine di chi presenta con tracotanza la sua fede. Inviterei quest’ultimo a considerare con attenzione le domande, gli interrogativi, le obiezioni che il non credente pone di tempo in tempo. L’esortazione che Pietro fa ai cristiani nella sua prima lettera: «Date ragione della vostra fede», va considerata seriamente in ogni stagione della vita. Mi paiono significative le parole di quel grande prete e credente che fu don Primo Mazzolari: «L’atto di fede è un’attività intermedia fra due estremi: aderisco pienamente; mi inquieto pur aderendo. Non è l’adesione all’evidenza, ma l’adesione al mistero che mi dispone al travaglio. Senza l’adesione di tutto me stesso non avrei la fede in Dio. Se non m’inquietassi, non sarebbe più la fede, ma l’evidenza, poiché non si prova una piena soddisfazione che davanti all’evidenza. L’impegno con Cristo ci sospinge più in là: verso Qualcuno più grande, verso Qualcuno che resti anche quando noi passiamo, verso Qualcuno che ci prenda in mano il cuore se il cuore non regge il salire». Siamo tutti pellegrini verso l’Alto. E dobbiamo camminare assieme, tutti bisognosi di Qualcuno che ci sostenga e ci accolga. © RIPRODUZIONE RISERVATA Enzo Bianchi Ma l’uomo del XXI secolo non si è stancato di cercare fede». Ma rimane vero che gli uomini sono sensibili al credere o non credere all’amore, perché da questo dipende il «senso dei sensi» della vita. Resto convinto che ancora oggi molti chiedono ai cristiani: «Vogliamo vedere Gesú!» (Gv 12,21), perché sentono che la sua umanità li riguarda e li coinvolge. Ma i cristiani sanno rispondere a questa domanda, a questo anelito profondo, oppure non lo ascoltano, lo trascurano? Dovrebbero saper testimoniare con la vita e, di conseguenza, annunciare che «ciò che Gesú aveva di eccezionale non era di ordine religioso, ma umano» (Joseph Moingt): egli, la vera immagine del Dio invisibile, a somiglianza del quale siamo stati creati e diventiamo uomini, ci ha insegnato a vivere in questo mondo (cfr. Tt 2,12), ci ha lasciato delle tracce umanissime sulle quali camminare per essere suoi fratelli e figli di Dio. Dobbiamo soltanto credere all’amore che lui, Gesú, ha vissuto fino alla fine, fino all’estremo. Questa è la fede cristiana, perché Gesú non ha portato una novità solo morale, né solo spirituale, ma «ha portato ogni novità portando se stesso» (Ireneo di Lione, Contro le eresie IV,34,1); e portando se stesso ha portato «il Vangelo di Dio», Dio come buona notizia. Questa buona notizia riguarda e avvince tutti gli uomini e le donne, perché può essere espressa come fa l’apostolo Giovanni: «Noi passiamo dalla morte alla vita quando amiamo l’altro, gli altri» (cfr. 1Gv 3,14). DI ENZO BIANCHI ducare alla fede è per la Chiesa, per i cristiani, il compito primario; ma nel tentativo di riuscirvi si possono imboccare molte strade, alcune decisamente sbagliate, altre poco efficaci. Tutto dipende in verità, e non può essere diversamente, dalla capacità dei cristiani di assumere la stessa pedagogia vissuta da Gesú nell’incontrare gli uomini e le donne. Anche oggi la fede può essere generata, destata, fatta emergere da chi, volendosi testimone ed evangelizzatore di Cristo, sa incontrare gli Don Primo Mazzolari uomini in modo umanissimo; sa essere una persona affidabile, la cui umanità è credibile; sa essere presente all’altro, sa fare il dono della propria presenza; sa, in un decentramento di sé, fare segno a Gesú e, attraverso di lui, indicare Dio, il Dio che è amore. Può darsi – come molti affermano – che oggi il discorso su Dio lasci gli uomini indifferenti: io stesso penso che quest’osservazione contenga del vero. È possibile che oggi «la Chiesa – come scriveva piú di quarant’anni fa il teologo Joseph Ratzinger – sia divenuta per molti L’INIZIATIVA l’ostacolo principale alla E Il filosofo francese Blaise Pascal © RIPRODUZIONE RISERVATA Domani a confronto Fisichella e Veladiano Dagli inediti del cardinale Michele Pellegrino, arcivescovo di Torino dal 1965 al 1977, ai libri di monsignor Massimo Camisasca e di Roberto Repole. Numerosi gli appuntamenti promossi dall’Associazione Sant’Anselmo e il Servizio nazionale della Cei per il Progetto culturale durante il Salone del Libro di Torino. "Stupore del visibile, ricerca dell’invisibile", lo slogan scelto per lo stand della Chiesa italiana. Domani, 16 maggio, alle 12.30, sarà presentato il volume del cardinale Angelo Bagnasco "La porta stretta" (Cantagalli), che raccoglie le prolusioni del presidente della Cei dal 2007 al 2012; interverrà Mario Calabresi, direttore del quotidiano "La Stampa". Alle 15.30, lancio di due libri dedicati alla memoria di "Don Pino Puglisi, primo martire della mafia", con le voci di monsignor Antonino Raspanti e del prefetto Alberto di Pace. Sempre domani, giovedì, alle 17.30 in Sala Rossa, monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione, dialogherà con la scrittrice Maria Pia Veladiano sul tema "A cosa serve la fede?". (L.Bad.) E Pascal domina la classifica dei volumi religiosi preferiti DI LAURA BADARACCHI nato come una sorta di referendum del volume religioso preferito, lanciato su Rai Uno dalla trasmissione "A sua immagine" in occasione dell’Anno della fede indetto dal papa emerito Benedetto XVI. È diventato un fenomeno di partecipazione, registrando centinaia di migliaia di voti e una classifica parziale a dir poco sorprendente, che vede in testa con un quarto delle preferenze I pensieri di Blaise Pascal. Ne parlerà domani sera alle 20, nella Sala Blu al Salone del Libro di Torino, Rosario Carello, conduttore e autore del programma, insieme a Franco Garelli, don Gianluca Carrega, don Luca Ramello, don Michele Roselli e Maurizio Versaci. E nei prossimi giorni si svolgeranno altri incontri per commentare i libri selezionati dal referendum, in collaborazione con i partecipanti al Sinodo dei Giovani di Torino. Un’iniziativa promossa dall’Associazione Sant’Anselmo insieme alla pastorale giovanile dell’arcidiocesi. «Fino a trenta o quarant’anni fa le associazioni, le federazioni giovanili dei partiti, le parrocchie trasmettevano ai più giovani un pezzo della loro identità e dei loro valori, anche con la condivisione di libri, film o canzoni – fa notare Carello –. Una specie di omogeneizzato cultura- È le, che portava magari anche un po’ di conformismo, ma era il tentativo degli adulti di trasmettere un’identità culturale, una piccola scuola dei valori di quella comunità». Oggi, invece, «il consumo culturale è legato alla pubblicità. Ma come può un ragazzo leggere i libri di e su Papa Francesco senza conoscere gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio o i Fio- Il referendum lanciato da «A sua immagine» vede al secondo posto Teresa di Lisieux retti del Poverello di Assisi? Insomma, gli unici consigli che sentiamo sono quelli per gli acquisti. È un aspetto della crisi educativa, tra i più tristi perché è il frutto di un deliberato abbandono di ruolo da parte degli adulti». a questa riflessione, è scaturita l’idea di stilare una lista composta da quaranta "classici della fede", scelti da Elio Guerriero, consulente scientifico della trasmissione di cultura e informazione religiosa in onda il sabato pomeriggio e la domenica mattina sulla rete ammiraglia della Rai. Si va da pagine immortali, come Le confessioni di Agostino, a testi di autori recenti come Voillaume o Van Thuan, fino a «Giovanni Paolo II che tutti amano ma non tutti hanno letto, o l’Oriente cristiano che è il grande sconosciuto». Partito a novembre dello scorso anno, il referendum si concluderà con l’Anno della fede, «di cui vogliamo essere un segno concreto», dice il giornalista e conduttore, rimasto stupito a sua volta per il «successo strabiliante dell’iniziativa, che sta portando grande visibilità al nostro sito, comunque da sempre uno dei più cliccati della Rai». Si sta per concludere la prima parte del referendum, nella quale si sono scontrati tutti e quaranta i volumi selezionati. A breve comincerà il secondo turno, dove lo scontro sarà tra i 20 restanti più qualche ripescaggio; a fine novembre la grande elezione. Dopo i Pensieri pascaliani (25% dei voti), segue al secondo posto, con il 18% delle preferenze, Storia di un’anima, di santa Teresa di Lisieux. In terza posizione, con l’8% dei voti, Il mistero del Natale di Edith Stein. Dopo l’elezione di papa Bergoglio, è stato registrato un aumento dei voti per i Fioretti francescani, che tuttavia non arrivano al 3%. Finora il primato di Pascal resta quasi inamovibile: «Non credevo fosse così radicato nella vita culturale e spirituale degli italiani», commenta Carello. © RIPRODUZIONE RISERVATA III Il progetto per il World Trade Center a New York firmato Libeskind DI LEONARDO SERVADIO na delle dimensioni umane più profonde: la definizione viene immediata e spontanea alle labbra di Daniel Libeskind, l’architetto americano di origini polacche noto soprattutto per aver riprogettato "Ground Zero", la zona dove sorgevano le Torri Gemelle abbattute nel fatidico 11 settembre del 2001. Gli abbiamo posto la domanda, se ritenga che vi sia una o tante creatività, se quella del poeta, dell’artista o del tecnologo siano diverse tra loro, perché al Salone Internazionale del Libro di Torino Libeskind è stato chiamato proprio per parlare della creatività (lo farà giovedì 16 alle ore 17 alla Sala Azzurra del Lingotto). «La vedo dispiegarsi in ogni ambito delle manifestazioni umane - risponde - da quelle metafisiche a quelle collegate all’azione concreta. Ma credo che si estenda in ogni ambito dell’esistenza umana. E che si esprima nei modi più diversi pur originando da un nucleo unico. Una qualità intimamente caratteristica dell’essere umano: di ogni essere umano. Eppure così difficile da definirsi...». Be’, lei la conosce in particolare nella forma dei progetti architettonici... «La vedo, e la ammiro, in tante costruzioni. A partire da quelle che sembrano sorgere spontanee, eppure sono tutte frutto di un pensiero originale. Nelle favelas coi loro colori sgargianti e coi loro allineamenti incerti, come nelle tende dei nomadi che si spostano nelle steppe asiatiche o dei beduini che abitano i deserti africani. La vedo nelle architetture vernacolari che perpetuano antiche tradizioni sugli altipiani dell’America centrale, dove le costruzioni sono intessute di canti popolari e dei suoni del vivere quotidiano...». Le costruzioni sono statiche, ma implicano i movimenti... «L’edificio è immobile per definizione. Ma è animato dalla poetica. E il progetto necessariamente deve tenere conto di tutto quanto ri- U MERCOLEDÌ 15 MAGGIO 2013 Per Libeskind la creatività è fatta di colori guarda la cultura, la vita, i sensi e il pensiero. L’architettura è arte globale, collegata alla sonorità che gli ambienti comportano negli echi e nelle vibrazioni che li attraversano, così come alla gravità in cui si inseriscono nella tensione verticale che a sua volta rimanda agli spazi cosmici. Ritengo che l’architettura sia come uno strumento: sta come ponte tra l’anima e la realtà fisica del mondo. Si esprime in modi diversi e ogni edificio è un testo che manifesta un racconto. Chi lo legge vi deve la società è repressiva, anzitutto opprime la creatività: è quel che avviene nelle dittature. Certo, anche sotto le dittature vi sono state manifestazioni di creatività perché questa è un’aspirazione intrinseca e insopprimibile dell’animo umano, proprio come la libertà. Ma solo una società aperta la favorisce. Naturalmente questo non vuol dire che la creatività sia estranea alla necessità. Al contrario, al di fuori della necessità la creatività resterebbe arbitrio, o mero lusso. La libertà parte dalla necessità ma si eleva da questa, e la risolve in gesti che la superano». Questo implica arte, conoscenza, capacità: c’è un metodo che porta alla creatività? intervista L’architetto Daniel Libeskind trovare una via per andare oltre: l’opacità del muro allude a quel che sta al di là; la sua gravità indica quel che gli sta al di sopra; il suo silenzio evoca il suono; la successione degli spazi e la diversità di forme e materiali compongono una sinfonia». Si riferisce al mondo sensibile e a quello soprasensibile? «La casa è il primo edificio, e ogni edificio è casa. Ma è anche idea di casa. Perché la singola costruzione è transeunte: quel che resta è quanto la supera. Le finestre, le porte, aprono al superamento dell’edificio stesso». Questo riconduce alla dialettica tra necessità e libertà? «Libertà e creatività sono indissolubilmente legate. Ci vuole una società aperta e libera: se «Non che la spinta commerciale di per sé non possa andare assieme a manifestazioni creative. Ma penso che favorisca anche la tendenza ad appiattire l’individuo nella prestazione che gli si richiede e che si valuta in denaro. L’effetto può essere simile a quello della repressione esercitata nelle dittature, degradando la persona a strumento». Un’altra dimostrazione dell’importanza della religione... «È l’origine della rivelazione: il passo che rende l’essere mano a se stesso. La religione viva è fonte di creatività perché trasmette la verità dell’umanità. Purché sia viva, che non si rifugi nella tradizione intesa come nostalgia del passato, perché in quel modo dimentica il IL TEMA fuoco che la anima». Dal grafene al bosone di Higgs Ritiene che siamo La scelta del tema della creatività come motivo tutti potenzialconduttore del Salone Internazionale del Libro mente creativi? 2013 vuole sollecitare una riflessione su quella «Penso che dobcultura del progetto che l’Italia ha sin qui biamo esserlo. C’è trascurato, ma di cui ha più che mai bisogno di un che di contradfronte a una crisi che nasce anche dall’incapacità dittorio: è un prodi elaborare un’idea organica di società nel medio blema che tratta Isaac Singer, Nobel e lungo periodo. Dove corrono e devono correre per la letteratura nel ’78. Siamo dooggi le frontiere dell’innovazione? Come funziona tati di libera volontà e dobbiamo ee dovrebbe funzionare la "fabbrica delle idee"? sercitarla: siamo costretti a essere Come testimonial di altrettante eccellenze, liberi. Così è anche per l’eguaarrivano al Lingotto alcuni protagonisti della glianza, la democrazia, per la crearicerca di riconosciuta autorevolezza tività. C’è chi guarda agli artisti, e internazionale. Oltre a Libeskind, interverranno molti artisti guardano a se stessi, Andrea Ferrari, professore di nanotecnologie e come a specie di dèi, fenomeni ineodirettore del Cambridge Graphene Center; solati nel loro iperuranio. No, la veLuciano Maiani, presidente del Cnr, uno dei ra arte è liberatoria. È superamenprotagonisti delle scoperte legate al bosone di to delle regole, delle convenzioni, Higgs; Lamberto Maffei, presidente ricerca dell’inesplorato. Riscoperdell’Accademia dei Lincei e professore emerito di ta della verità nascosta dall’abituNeurobiologia alla Normale di Pisa; il dine, in una ricerca che deve appaleoantropologo americano Ian Tattersall. partenere a tutti». LA KERMESSE DEL LINGOTTO Ha da poco riprogettato Ground Zero a New York e a Torino parlerà della sua idea di architettura. «Amo le forme spontanee, come le favelas» «L’educazione è necessaria ma purtroppo spesso è male intesa. Per esemplificare: Joseph Goebbels era uomo colto, buon conoscitore della letteratura tedesca, aveva letto Goethe e Schiller; questo non gli ha impedito di entrare nel numero dei peggiori criminali che la storia ricordi. L’educazione del sentimento e della morale va al di là dell’apprendimento di nozioni: richiede di stare con gli altri, coltivare relazioni umane, comprendere le persone, dialogare, coltivare l’empatia, comprendere che il rispetto dell’umanità altrui è inseparabile dal rispetto di se stessi. L’educazione formale non basta». Oggi tutto sembra dominato dall’economia e dalla pubblicità. Lei cosa pensa: è inevitabile? © RIPRODUZIONE RISERVATA MERCOLEDÌ 15 MAGGIO 2013 IV oltre la letteratura C’è una lunga tradizione di studi che costeggia la linea di confine tra poesia e preghiera, tra realismo e percezione del divino. Ne fanno parte una serie di maestri, spesso insospettabili, da George Steiner al domenicano Jean-Pierre Jossua Quando la critica indaga l’Assoluto LA KERMESSE DEL LINGOTTO «Incredulità di San Tommaso», copia da Caravaggio (Firenze, Uffizi) DI ALESSANDRO ZACCURI IL PREMIO BONURA Domani al Lingotto premiato padre Castelli In occasione del Salone del Libro di Torino, il quotidiano «Avvenire» assegna il Premio letterario per la critica militante Giuseppe Bonura, arrivato alla quarta edizione, a padre Ferdinando Castelli, storico scrittore della "Civiltà Cattolica", che nella sua lunga carriera critica ha sempre esplorato il territorio di confine tra espressione letteraria e inquietudine spirituale. Il riconoscimento verrà consegnato domani, giovedì 16 maggio, alle ore 15, presso la Sala Blu del Lingotto. In occasione della cerimonia di premiazione verrà organizzata una tavola rotonda sul tema "Lo spirito del romanzo. Narrativa e sacro oggi" moderata da Alessandro Zaccuri, alla quale interverranno Mauro Baudino, Helena Janeczek e Michela Murgia. La tavola rotonda sarà introdotta da Roberto Righetto, giornalista di "Avvenire" e segretario del premio. In precedenza il premio è stato attribuito a Tzvetan Todorov, Goffredo Fofi ed Ezio Raimondi. Il premio è promosso in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, attraverso il suo centro di ricerca "Letteratura e cultura dell’Italia Unita", che custodisce le carte dell’Archivio Bonura. La giuria è composta da Helena Janeczek, Giuseppe Langella, Massimo Onofri, Fulvio Panzeri, Marino Sinibaldi, Alessandro Zaccuri, Roberto Righetto. ra i testimoni insospettabili c’è il Walter Siti del recente Il realismo è l’impossibile (nottetempo), la «bieca ammissione di poetica» in cui lo scrittore – finalista allo Strega con Resistere non serve a niente e già curatore dell’opera omnia di Pasolini – incastona una frase di acutissima precisione: «Non c’è realismo senza l’ombra vuota di Dio». Come dire che non c’è letteratura senza rapporto con il sacro. E non c’è critica se questo stesso rapporto non viene messo a tema. Sembra una stranezza, con i tempi che corrono, ma in effetti è sempre stato così. Fin dall’epoca dell’anonimo trattatello greco Del Sublime, composto fra il I e il II secolo dopo Cristo e impetuosamente riscoperto in età romantica. È il primo testo in cui un brano dell’Antico Testamento (per l’esattezza Genesi 1,3: «Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu») è accostato all’epica omerica per dimostrare come la poesia non vada misurata in termini di bravura dell’autore, ma di grandezza d’animo. La quale a sua volta è percezione di qualcosa di ulteriore e, da ultimo, inconoscibile rispetto alla poesia stessa. La letteratura è sempre penultima rispetto alla realtà, avverte infatti Ferruccio Parazzoli, narratore e nel contempo teorico di una scrittura capace di Inventare il mondo (è il titolo di un suo saggio), e cioè di scoprire quel livello di realtà che sta, per l’appunto, «dai tetti in su». Il realismo come porta sull’Assoluto, di nuovo, ma anche la contestazione di quella che il già ricordato Siti defi- F nisce la deriva «parareligiosa» di una letteratura che pretenda di trovare in se stessa la propria motivazione. Presente da sempre nella cultura occidentale, la riflessione critica sul sacro in letteratura è emersa con particolare forza nel corso del Novecento, in quella che è stata indicata a più riprese come la stagione della «morte di Dio» e che invece può essere interpretata come un’occasione in cui Dio si rende presente per assenza, suscitando nell’uomo inquietudine e nostalgia. Sono le linee lungo le quali si è mossa la ricerca di padre Ferdinando Castelli e di altri studiosi appartenenti alla Compagnia di Gesù, come padre Alessandro Scurati (a lungo animatore della rivista «Letture»), il cyberteolgo Antonio Spadaro e padre Guido Sommavilla, forse il più convinto sostenitore della qualità mistica e spirituale dell’opera di Franz Kafka. Non è privo di interesse, inoltre, il fatto che la letteratura abbia costituito il riferimento costante per alcune grandi figure del cattolicesimo contemporaneo: si pensi, in particolare, alle osservazioni raccolte da don Luigi Giussani in Cara beltà (il titolo coincide con il primo verso del canto leopardiano “Alla sua donna”) e ai riferimenti letterari che caratterizzano gli scritti di don Divo Barsotti, tra i quali spicca il saggio dedicato alla Religione di Giacomo Leopardi. All’elenco dei critici-sacerdoti appartiene anche don Luigi Pozzoli (1932-2011), di cui le Paoline hanno pubblicato nei mesi scorsi il testamentario Quel poco di fede che mi porto dentro. Il censimento completo è pressoché impossibile e, comunque, la materia non è di esclusiva competenza dei credenti, meglio se consacrati. Al contrario, l’indagine sul legame fra letteratura e sacro ha apFerdinando Castelli passionato e appassiona studiosi di ogni provenienza ed estrazione. Due casi celebri, resi ancor più esemplari dalle differenze che li contraddistinguono, sono quelli dell’italiano Furio Jesi (1941-1980) e del cosmopolita George Steiner. Il primo, germanista con eclettiche competenze di archeologo, si è soffermato in particolare sulla prospettiva del mito (Letteratura e mito si intitola il decisivo libro del 1968), mentre il secondo, senza mai abdicare alle sue convinzioni di ebreo secolarizzato, ha consegnato alle pagine di Vere presenze (1989) una formidabile interpretazione dell’esperienza della letteratura alla luce del concetto teologico di transustanziazione. Ma anche Harold Bloom, che con alterne fortune contende a Steiner lo status di più influente critico mondiale, si aggira spesso tra i piani convergenti di letteratura e sacro, calcando le orme del prediletto William Blake e cercando di rinverdire la tradizione cabalistica. La contiguità fra autori profani e Sacra Scrittura è stata esplorata con particolare intensità dagli studiosi di area anglosassone, dal canadese Northrop Frye (al quale si deve l’imprescindibile Il Grande Codice, 1982) fino allo statunitense Robert Alter (L’arte della narrativa biblica, 1981). Molto nutrito anche il fronte dei critici di lingua francese, il cui rappresentante più conosciuto è forse il belga Charles Moeller (1912-1986), la cui ampia ricerca su Letteratura moderna e cristianesimo, apparsa per la prima volta nel 1953, continua a costituire un contributo di assoluto rilievo. Ma non vanno trascurati gli apporti di Henri Bremond (il suo Preghiera e poesia risale al 1926) e del meno noto Jules Monnerot, che nel 1945 dedica una suggestiva ricognizione a La poesia moderna e il sacro. Una prospettiva che in anni recenti è stata ripresa dal domenicano Jean-Pierre Jossua, che ha distillato il risultato dei suoi studi nel volume La letteratura e l’inquietudine dell’assoluto, edito in Italia da Diabasis nel 2005. Sul versante più propriamente biblico, ma in dialogo continuo con la tradizione letteraria, si collocano invece gli interventi di un altro gesuita, padre Jean-Pierre Sonnet, che è anche scrittore e poeta in proprio come dimostra La scorciatoia divina, da poco La rappresentanza gesuita pubblicato Ancora. è particolarmente nutrita, da La zona di confine con ma anche grandi figure l’esperienza come don Giussani religiosa è assai free Divo Barsotti si sono quentata, indedicati alla consonanza fine, dall’attra fede e arte della parola tuale critica italiana, che vede la compresenza di diversi progetti, tutti ugualmente interessanti. Una segnalazione particolare meritano il vasto repertorio su La letteratura e il sacro che Francesco Diego Tosto sta completando presso le Edizioni Scientifiche Itlaiane, i convegni fiorentini organizzati da don Vincenzo Arnone e la rivista «Letteratura e spiritualità», nata per impulso della poetessa Donatella Bisutti. Molto attivo, con una forte predilezione per figure e situazioni della narrativa popolare , è il teologo Brunetto Salvarani, il cui titolo più significativo suona Da Bart a Barth: il primo, senza l’acca, è proprio quello dei Simpson. © RIPRODUZIONE RISERVATA V gli attori MERCOLEDÌ 15 MAGGIO 2013 Tra i momenti di spettacolo anche l’appuntamento con due protagonisti della scena che leggeranno venerdì il capolavoro di Gadda e domenica «Il richiamo della foresta» Il romanzo alza la voce Marco Baliani Jack London per i ragazzi è una scuola di libertà DI ANGELA CALVINI er me Jack London rappresenta la ribellione e la libertà». Marco Baliani, uno dei maggiori rappresentati del teatro di parola, autore, attore, regista ma anche scrittore, si infiamma come un ragazzino quando si parla de Il richiamo della foresta. Un classico della letteratura, cui ha appena prestato la voce per un audiolibro Emons (traduzione di Gianni Celati, uscita 28 maggio) che presenterà con una lettura al Salone del Libro di Torino domenica 19 maggio alle ore 20. Baliani, come si dà voce a uno dei classici più amati della letteratura mondiale? «È un’avventura affascinante dare voce a personaggi memorabili e trovare il timbro giusto, soprattutto dare voce al silenzio, a certi momenti di afasia che nella pagina non ci sono, per rendere più viva la storia. Comunque non ho fatto molta fatica. Jack London ha un ritmo quasi orale, i suoi racconti sono legati alla vita». L’ha letto da ragazzo? «Il richiamo della foresta è stato uno dei miei romanzi preferiti. Da piccolo mi dava un’idea di ribellione, mi affascinavano i paesaggi innevati, la lotta per la sopravvivenza. Alla pari di Capitani coraggiosi e Moby Dick che ti facevano immaginare di poter mollare tutto e ricominciare una nuova vita. Nella storia di questo cane piccolo borghese, dall’esistenza comoda, che viene buttato nella vita vera, si riverbera l’idea socialista di London». Chissà se nell’era degli ebook questo romanzo affascina ancora i ragazzi. «Guardi, da recenti statistiche pare che i ragazzi leggano di più. Sono appena stato alla Fiera del libro di Bologna e sono rimasto sorpreso dal gran numero di gio- «P vani». A proposito di libri, lei ne ha appena pubblicato uno con Rizzoli, «L’occasione»... «È un libro inquietante. Ovvero, quando tu ti rìtrovi davanti un’occasione e credi di aver scelto la strada sbagliata, per tutta la vita ti porti dietro il rammarico per non avere fatto la scelta giusta. Lo racconto attraverso la storia di Marcella, un’insegnante negli anni 70». Scrivere per il teatro e scrivere libri: differenze? «Sono due linguaggi profondamente diversi. Quando scrivo e porto in scena anche regie con molti attori, è sempre il corpo che guida la parola, la voce è corpo». I suoi gusti di lettore? «Leggo tantissimo, mi piace immensamente. Amo quegli autori che scompaiono nell’opera, come Cormac McCarthy di Non è paese per vecchi, o come Melville. Ora sto leggendo Limonov di Carrère, bello, ma...». Nella sua scrittura per il teatro, però, appaiono anche temi sociali forti come il caso Moro «Il sociale è sempre presente in quello che faccio, non ho mai pensato a un teatro o a una scrittura estetica. In Corpo di stato ripercorro la memoria di una tragedia collettiva veicolata da me stesso, una visione molto poco storica o giornalistica, ma soggettiva». Prossimi lavori? «Ho appena debuttato in Identità, con Maria Maglietta. Si tratta di frammenti sul problema di chi siamo, sulla negazione dell’identità. Il 25 luglio invece debutterò a Marsiglia, città della cultura, con Il bacio del ranocchio, in collaborazione con l’ospedale cittadino: il tema è quello del sentirsi "brutti" e i protagonisti saranno 16 attori, giovani pazienti tossici o colpiti da anoressia». © RIPRODUZIONE RISERVATA Fabrizio Gifuni «Quer pasticciaccio» può cambiare la vita GLI OMAGGI Tabucchi, Calvino, Solzenicyn Venerdì 17 alle ore 15 nella Sala Rossa, per le ricorrenze, si parla di Antonio Tabucchi. Lo scrittore (1943 – 2012) è stato il maggior traduttore del poeta portoghese Fernando Pessoa. Ha ottenuto il premio francese "Médicis étranger" per «Notturno indiano» e il premio Campiello per «Sostiene Pereira». Sempre venerdì 17 alle 16,30, nella Sala Blu, si ricordano Italo Calvino e i 50 anni de «La giornata di uno scrutatore». Il romanzo racconta la giornata che Amerigo Ormea, intellettuale comunista, passa come scrutatore durante le elezioni del 1953 alla Piccola Casa della Divina Provvidenza "Cottolengo" di Torino. Sabato 18 maggio alle ore 12,30, Omaggio ad Aleksandr Solzenicyn, nella Sala Blu. Solzenicyn (1918 – 2008) attraverso i suoi scritti («Una giornata di Ivan Denisovic») ha fatto conoscere i gulag per i dissidenti nell’Urss. Ora esce «L’uomo nuovo.Tre racconti» da Jaca Book. na maratona di 13 ore e 40 minuti, la lettura integrale di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Gadda, che vola via in un soffio. Merito di Fabrizio Gifuni, eclettico attore che passa dal teatro, al cinema (presto sarà in sala ne Il capitale umano di Paolo Virzì) a successi tv come La meglio gioventù e la fiction su De Gasperi. Nell’audiolibro appena edito da Emons, Gifuni dimostra appieno tutte le sue doti dando voce a decine di personaggi, e ne darà prova con una lettura al Salone del Libro di Torino venerdì prossimo alle ore 20. Gifuni, come si dà vita alla parola scritta? «Questa è la materia prima di cui è fatto il mio lavoro di attore. I testi depositati sulla pagina tornano alla loro sede naturale che è il corpo, attraverso la voce. La lettura recitata di un testo da spesso la possibilità di rendere comprensibili al pubblico autori considerati complessi. È come se si aprissero le maglie di un tessuto che nella lettura silenziosa possono rimanere serrate». Il suo rapporto con la lettura? «Io ho un rapporto molto felice con la lettura, mi ricordo sin da tempi lontani che amavo leggere ad alta voce. Sono un lettore onnivoro per conto mio, poi ci sono alcuni autori su cui sono tornato molto per lavoro». Come Gadda, che ha spesso frequentato a teatro? «Devo confessarle che Quer pasticciaccio brutto è stato il romanzo che mi ha spostato lo sguardo sul mondo. Quando lo lessi a 20 anni scoprii un romanzo fatto di mille romanzi e di mille voci, una festa della polifonia. Gadda mette in campo un’umanità varia e sorprendente, il suo scrivere è un mix fra alto e basso, fra tragico e comico, il U suo uso della lingua non ha pari nel 900. È come se fosse esplosa una lingua inaudita. Quindi, per me, queste 13 ore e 40 di lettura sono state un’esperienza bella e divertente». Ne farà ascoltare un estratto al Salone del Libro. Che rapporto ha con la manifestazione torinese? «La amo moltissimo. Vi passerò tre giorni, e sono già impegnato anche in altre letture, fra cui una con Cristina Comencini. Per me è una vera festa». Spesso lei, però, la letteratura la porta a teatro insieme a sua moglie Sonia Bergamasco. «Certo, di recente abbiamo avuto molto successo con l’interpretazione integrale de Il piccolo principe di Saint-Exupéry. Prima c’era stato L’ingegner Gadda va alla guerra dai diari dello scrittore dal fronte. Ora sto portando in tour Gli indifferenti. Parole e musiche da un Ventennio, spettacolo nato per il Giorno della Memoria che ripercorre il ventennio fascista per capire il rapporto fra scrittori, artisti e intellettuali italiani con il potere». Al Festival del cinema di Venezia l’abbiamo sentita leggere alcuni brani del cardinal Martini. «Un personaggio straordinario, le cui parole avevano forza autentica». Angela Calvini © RIPRODUZIONE RISERVATA LA KERMESSE DEL LINGOTTO Una scena del film «Il richiamo della foresta» tratto dal romanzo di Jack London.