...

A Parla lo scrittore cileno, amico del grande poeta: «Ero con lui a

by user

on
Category: Documents
19

views

Report

Comments

Transcript

A Parla lo scrittore cileno, amico del grande poeta: «Ero con lui a
MERCOLEDÌ
15 MAGGIO 2013
E D I TO R I A L E
CONTRO LA CRISI
VADEMECUM
IL LIBRO PUÒ
GUARDARE AVANTI
Dove
La ventiseiesima edizione del
Salone Internazionale del
Libro si tiene al Lingotto Fiere
(via Nizza 280, 10126 Torino). Il Salone 2013 occupa
con i propri spazi espositivi
quattro padiglioni di Lingotto
Fiere: l’1, 2, 3 e 5.
GIULIANO VIGINI
O
gni volta
che uno va
al Salone
del libro di Torino
può aver
l’impressione di
un rito che si
ripete, pur
conservando
ritmo e vivacità. Ma non è così. Se
uno guarda oltre la superficie, si
accorge che anche il Salone
cambia, perché sono i
protagonisti (gli scrittori, gli
editori, i lettori) che sono
cambiati. Nei dibattiti - focalizzati
spesso su polemiche contingenti
e comunque non decisive - c’è a
volte una sorta di "oscuramento"
dei fatti e dei problemi reali, che
nell’immediato sono certamente
quelli del modo in cui uscire
dall’ormai famoso "tunnel" della
crisi (più lungo di quanto si
pensava), ma che sono anche
quelli di sperimentare vie
praticabili per affrontare una
trasformazione, per così dire,
"antropologica" in cui tutti,
consapevoli o meno, sono
coinvolti. In realtà, l’uomoscrittore, l’uomo-editore, l’uomolibraio, l’uomo-cliente stanno
continuamente cambiando, e
anche nei mille volti del Salone si
colgono gli specchi o i frammenti
di questo cambiamento. La rete
ha indubbiamente spalancato
orizzonti nuovi, non solo perché
ha allargato gli spazi del mercato
editoriale, ma perché ha
modificato i rapporti
professionali e umani tra gli
interlocutori del mondo
editoriale. Si sa che si vive sempre
in un’età di transizione, ma
questa che si sta vivendo in
editoria non sembra un normale
passaggio da una situazione ad
un’altra, ma piuttosto un nuovo
inizio. Come se il problema di
fondo dell’editoria non fosse più
soltanto quello di ristrutturare,
rinnovare, diversificare le proprie
attività - come si è sempre fatto -,
ma fosse piuttosto quello di
rifondare se stessa, all’interno di
una scenario sempre più
complesso e sfuggente. Alla fine
ci si può domandare: quale sarà
in futuro lo spazio di creatività e
mediazione che avrà l’editore, tra
un autore con possibilità di
autonomia sempre maggiori e un
lettore che lo incalza nel
chiedergli contenuti e modalità di
diffusione nuova? Ma si potrebbe
aggiungere: quale sarà il suo
ruolo, in un fronte editoriale che
si è allargato a dismisura, rispetto
ai nuovi attori che si presentano
oggi sulla scena (distributori
d’informazione, gestori di
piattaforme e grandi basi-dati,
ecc.) e che si pongono come
temibili concorrenti? Tutte
domande che presuppongono
una lucidità d’interpretazione e di
governo dei fenomeni da parte di
tutti, grande o piccolo che uno
sia. Un fatto è certo: se già da
anni parlavamo della necessità di
reinventarsi il mestiere - che
significa apertura di visione e
flessibilità operativa, competenze
e strumenti nuovi di analisi -, oggi
questa necessità è diventata quasi
un’urgenza, sotto l’incalzare di
fatti e problemi, che non sono
soltanto più repentini rispetto
anche a pochi mesi fa, ma che
attraversano simultaneamente
più settori nei quali ci si trova a
dover operare. Se poi a questo
quadro aggiungiamo le mutevoli
realtà e le non meno altalenanti
regole del mercato, per non
parlare dell’annoso tema degli
scarsi indici di lettura in Italia e
della precarietà in genere del
nostro sistema culturale, si
rientra nel vasto campionario di
dibattiti che, dentro e fuori il
Salone del libro di Torino, stanno
animando in questa fase
l’editoria italiana. Per fortuna,
oltre alle parole, ci sono anche gli
oggetti concreti, i libri, che ci
mostrano le tante possibili strade
di questo inizio di futuro.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Quando
Da domani, giovedì 16, a
lunedì 20 maggio il Salone è
aperto coi seguenti orari: giodo-lu 10-22; ve-sa 10-23.
Biglietto intero 10.00 euro,
ridotto 8.00 euro.
Il tema
Tema conduttore del Salone
2013 è la Creatività e la
Cultura del Progetto.
L’affascinante processo della
creatività umana approfondito
nelle sue declinazioni più
fertili: le istituzioni, l’economia,
le nuove forme di scrittura, la
scienza e la tecnologia, le arti
figurative e applicate,
l’architettura e il design fino
alla cucina e alla cultura
materiale. Una forza visionaria
capace di cambiare la nostra
vita, e che ha ispirato la
campagna di comunicazione
2013: "Dove osano le idee".
DI MICHELA CORICELLI
Edwards: «Io, figlio
e padre di Neruda»
mico e collega diplomatico di
Neruda, lettore di Dante e cultore
delle poesie di Machado de Assis,
conquistato dall’umorismo di Italo Svevo.
Scrittore, giornalista, diplomatico. Il cileno
Jorge Edwards, 82 anni, è un intellettuale a
360 gradi: osservatore sensibile
dell’evoluzione culturale e sociale del suo
Paese, è attualmente ambasciatore a Parigi,
attento agli umori e alle tendenze della
Vecchia Europa. Sarà anche lui al Salone
del Libro di Torino (venerdì 17 maggio alle
18, Spazio Cile): il suo è uno dei nomi di
spicco del panorama letterario del Cile,
paese ospite dell’edizione di quest’anno.
Premio nazionale di Letteratura nel 1994,
premio Cervantes nel 1999, in Italia ha
pubblicato L’origine del mondo (Besa).
Sono passati quarant’anni dal golpe di
Augusto Pinochet. In quegli stessi giorni
moriva Pablo Neruda. Dopo quattro
decenni, qual è il clima culturale del suo
Paese?
«In Cile ci fu un’epoca in cui dominavano
la censura, la proibizione. Io lottai molto
contro questo fenomeno, come presidente
del Comitato di difesa della libertà di
espressione, formato da giornalisti,
scrittori, intellettuali. Oggi c’è una grande
libertà di espressione e c’è molta creatività
letteraria fra i giovani. Sono
ottimista. Certo, parliamo
Lei ha scritto che «la
e anche della memoria. Chi, invece, ha
di una minoranza
memoria seleziona, ordina, parlato del mio libro come “memorie
giovanile, ma c’è un
scarta. Non è la semplice
dell’alta società” cilena ha detto una
ambiente molto
riproduzione del passato». sciocchezza. Io lottai molto da giovane, pur
interessante. Se invece ci
Con il libro “Los círculos
di scrivere: non fu una battaglia facile, il
riferiamo all’educazione
morados” (“I cerchi viola”) mio era un ambiente pieno di norme rigide
più in generale, allora esiste
ha iniziato un itinerario
e convenzioni. Ma continuo a scrivere».
un problema di deficit: in
nella sua memoria. Qual è
Lei arrivò all’ambasciata di Parigi, per la
Cile il costo dell’istruzione
l’importanza del ricordo?
prima volta, quando era guidata da
è ancora alto, ma si sta
«Poco tempo fa il critico
Neruda. È vero che per lei fu come un
facendo qualcosa per
messicano Christopher
secondo padre?
migliorare la situazione.
Dominguez, parlando della «L’ho conosciuto quando avevo ventun
Comunque è molto
mia opera, ha usato la
anni e lui più o meno cinquanta. All’inizio
interessante incontrare
definizione di “quasi
lo guardavo come un padre, poi
Jorge Edwards
giovani fra i venti e i
romanzo”: mi colloca in un divenimmo amici, cominciammo a darci
trent’anni curiosi, capaci di
territorio di confine fra la
del tu. Io ero il suo numero due
creare il loro piccolo progetto editoriale».
novella e le memorie. Per me il romanzo è
all’ambasciata. E alla fine stava molto
Romanziere, saggista, poeta. E
un genere in continua evoluzione: capta
male: aveva un cancro alla prostata molto
diplomatico. Come è riuscito ad
elementi propri della storia, della cronaca
esteso. A volte mi sentivo quasi il papà e lui
armonizzare le due professioni?
il figlio, perché aveva
«In America latina, ma anche in Europa,
bisogno di protezione e
c’è una lunga tradizione di diplomatici
cura».
IL
PAESE
OSPITE
scrittori. In Cile, ad esempio, penso a
Cosa pensa della
Gabriela Mistral e allo stesso Pablo Neruda.
riesumazione del
Da Bolaño a De Agostini, il salesiano degli indios
Io sono stato diplomatico in uno spicchio
cadavere del poeta e
A quarant’anni dal colpo di stato di Pinochet, la cultura del
piuttosto piccolo della mia vita, mentre
della denuncia del
Cile, Paese ospite d’onore al Salone 2013, è più viva che mai,
scrivo da quando avevo quindici anni. Mi
presunto
da Antonio Skármeta a Isabel Allende. Si parlerà «di» o «con»
sento soprattutto uno scrittore».
avvelenamento?
Luis Sepulveda, Pablo Neruda, Gabriela Mistral, Gonzalo Rojas,
Qual è la situazione sociale cilena, oggi?
«Non credo che sia stato
Vicente Huidobro e Nicanor Parra, Oscar Hahn, Elikura
«La povertà è diminuita drasticamente: dal
assassinato. Era molto
Chihuailaf, Roberto Bolaño. Oltre a Alejandro Zambra, Lina
cinquanta per cento della popolazione
malato. È vero, è
Meruane e Maria José Viera-Gallo. Quindi Roberto Ampuero,
ormai siamo al dodici. C’è ancora molta
possibile uccidere
Arturo Fontaine, Oscar Bustamante, Santiago Elordi,
disuguaglianza, è vero. E c’è il problema
qualcuno anche se sta
Alejandro Zambra, Lina Meruane, Maria-José Viera Gallo.Tra i
della riforma dell’educazione: è corretta
male. Ma non credo
pionieri un salesiano piemontese: Alberto Maria De Agostini
l’esigenza di chi chiede che tutti i ragazzi
all’ex autista [che ha
(1883-1960) che si è prodigato per gli indios: il 16 maggio, alle
cileni abbiano le stesse possibilità. È già
rivelato il possibile
18.30 allo Spazio Cile, presentazione del libro sulla sua vita.
stato fatto molto, ma il cammino è ancora
complotto, ndr], perché
lungo e l’istruzione è la chiave».
sostiene che Neruda
A
Parla lo scrittore cileno, amico
del grande poeta: «Ero con lui
a Parigi: prima ne fui discepolo,
poi lo curai quando s’ammalò»
stava bene. E non è vero: dopo essere stato
operato due volte a Parigi tornò in Cile. Gli
davano il cobalto, che si usa normalmente
per il cancro, non per i tumori benigni».
Di tutta la sua ampia produzione, cosa
porterebbe in valigia per il Salone di
Torino?
«Ho scritto romanzi come fossero
memorie e cronache come fossero
racconti. La memoria ha avuto per me la
funzione dell’invenzione. Ho toccato tutti i
generi, tranne il teatro, sfiorato solo da
giovane. Mi piace molto il saggio letterario.
Ho scritto di Montaigne (La muerte de
Montaigne, “La morte di Montaigne”, 2011)
– uno degli uomini più liberi della storia –
ma dal punto di vista di un cileno che legge
il filosofo. Mi interessa anche perché mi è
toccato vivere in un Paese in cui per molti
anni c’è stata una guerra civile occulta ….
Comunque il processo di riconciliazione
reale, nel mio Paese, è lento. Le ferite sono
profonde, enormi».
Nel 1971 lei fu inviato come ambasciatore
a Cuba da Salvador Allende, ma fu
obbligato ad andarsene dopo tre mesi:
troppo critico con il regime di Castro. Da lì
nacque il suo libro “Persona non grata”.
Cosa pensa dell’attuale situazione
cubana?
«Penso che la rivoluzione cubana subirà un
cambiamento drastico, drammatico, ma
non so – ovviamente – cosa accadrà.
Osservo alcune riforme positive, come
quella della legge migratoria, per cui i
cubani possono uscire dal Paese: sono
contento che la blogger Yoani Sánchez sia
riuscita a viaggiare all’estero. Mi hanno
detto, inoltre, che a Cuba stanno
pubblicando le poesie di Heberto Padilla,
incarcerato da Fidel Castro lo stesso giorno
in cui io me ne andavo dall’Avana: era stato
accusato dal regime di essere mio amico e
di passarmi informazioni negative».
Cosa le piace leggere fra gli italiani?
«Dizionario alla mano, ho letto Dante e
Machiavelli e Il Gattopardo di Tomasi di
Lampedusa. Ho conosciuto Tabucchi e a
Torino farò una presentazione con Claudio
Magris. Ora sto leggendo Italo Svevo, La
coscienza di Zeno; ho già terminato Una
vita e poi toccherà a Senilità. Mi piace la
sua ironia, la sua capacità di sorprendersi e
la riflessione».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
MERCOLEDÌ
15 MAGGIO 2013
II
il sacro a Torino
Sono molti anche
nell’edizione
di quest’anno
gli appuntamenti
al Salone dedicati
alla spiritualità. Qui
le sintesi di due «lectio»
Tra dubbio e fiducia
le ragioni della fede
Vincenzo Paglia
Credenti e non credenti,
siamo tutti cacciatori di verità
DI VINCENZO PAGLIA
LA KERMESSE
DEL LINGOTTO
GLI INCONTRI
Dialoghi per l’uomo
Sul tema «A un amico che
non crede» si terrà sabato
18 maggio (ore 10,30, sala
Azzurra) l’incontro con
monsignor Vincenzo Paglia,
presidente del Pontificio
Consiglio per la Famiglia, che
sul tema ha appena scritto un
volume edito da Piemme.
Sempre sabato 18, ma alle
ore 17 (Auditorium) sarà
Enzo Bianchi, priore della
comunità monastica di Bose,
a tenere una lectio
magistralis sul tema «Fede e
fiducia», argomento sul quale
egli ha appena pubblicato da
Einaudi un libro con lo stesso
titolo. Qui pubblichiamo due
estratti delle loro riflessioni.
Sempre il 18 all’Auditorium
dialogo fra Giovanni Reale e
Umberto Veronesi (ore 11)
su «Responsabilità della vita».
a fede, qualsiasi fede, non è una res,
una cosa che resta immobile una volta acquisita. Essa è una realtà viva che
non esiste in se stessa ma nel credente, il
quale è chiamato a crescere nella fede e
perciò nella comprensione di Dio. La stessa Rivelazione non avviene sul piano dell’evidenza. L’allora cardinale Ratzinger sottolineava il valore del dubbio: «Nessuno è
in grado di fornire una prova matematica
di Dio e del suo regno; nemmeno il credente è in grado di trovarne una, anche
solo per suo uso e consumo. Però il non
credente non potrà certo servirsi di questo
per giustificarsi, egli non sfuggirà all’inquietante: «Forse è tutto vero!». Il credente
come il non credente, ognuno a suo modo,
conosceranno il dubbio e la fede se non
cercheranno di autoilludersi e di dissimulare la verità del loro essere.
Nessuno può sfuggire totalmente alla fede;
in uno la fede sarà presente contro il dubbio, mentre nell’altro grazie al dubbio e
sotto forma di dubbio». Il futuro papa Benedetto XVI sottolineava che una delle leggi fondamentali del destino umano è proprio questa dialettica tra fede e dubbio, tra
tentazione e certezza. E aggiungeva che il
dubbio non solo impedisce all’uno e all’altro di rinchiudersi nella propria torre d’avorio, ma potrebbe diventare «luogo
stesso di comunione». Il dubbio (o meglio, l’attitudine a interrogare) diviene
terreno d’incontro tra credenti e non credenti. Nessuno deve ripiegarsi su se stesso; il credente condividerà il destino del
non credente e quest’ultimo, grazie al
dubbio, sentirà la sfida lanciata in modo
inesorabile dalla fede.
Avere in comune la ricerca della verità (es-
L
sere «cacciatori» della verità, diceva Cusano) significa che nessuno ha diritto di rivendicarla a suo vantaggio totale ed esclusivo, e ancor meno, come diceva papa Giovanni XXIII, di usarla come un randello.
Desidero anch’io essere lontano dall’attitudine di chi presenta con tracotanza la
sua fede. Inviterei quest’ultimo a considerare con attenzione le domande, gli interrogativi, le obiezioni che il
non credente pone di tempo in tempo. L’esortazione
che Pietro fa ai cristiani
nella sua prima lettera:
«Date ragione della vostra
fede», va considerata seriamente in ogni stagione
della vita.
Mi paiono significative le
parole di quel grande prete e credente che fu don
Primo Mazzolari: «L’atto di
fede è un’attività intermedia fra due estremi: aderisco pienamente; mi inquieto pur aderendo. Non
è l’adesione all’evidenza,
ma l’adesione al mistero che mi dispone al
travaglio. Senza l’adesione di tutto me
stesso non avrei la fede in Dio. Se non
m’inquietassi, non sarebbe più la fede, ma
l’evidenza, poiché non si prova una piena
soddisfazione che davanti all’evidenza.
L’impegno con Cristo ci sospinge più in là:
verso Qualcuno più grande, verso Qualcuno che resti anche quando noi passiamo,
verso Qualcuno che ci prenda in mano il
cuore se il cuore non regge il salire». Siamo
tutti pellegrini verso l’Alto. E dobbiamo
camminare assieme, tutti bisognosi di
Qualcuno che ci sostenga e ci accolga.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Enzo Bianchi
Ma l’uomo del XXI secolo
non si è stancato di cercare
fede». Ma rimane vero che gli uomini
sono sensibili al credere o non credere
all’amore, perché da questo dipende il
«senso dei sensi» della vita.
Resto convinto che ancora oggi molti
chiedono ai cristiani: «Vogliamo vedere
Gesú!» (Gv 12,21), perché sentono che la
sua umanità li riguarda e li coinvolge. Ma
i cristiani sanno rispondere a questa
domanda, a questo anelito profondo,
oppure non lo ascoltano, lo trascurano?
Dovrebbero saper testimoniare con la
vita e, di conseguenza, annunciare che
«ciò che Gesú aveva di eccezionale non
era di ordine religioso, ma umano»
(Joseph Moingt): egli, la vera immagine
del Dio invisibile, a somiglianza del quale
siamo stati creati e diventiamo uomini, ci
ha insegnato a vivere in questo mondo
(cfr. Tt 2,12), ci ha lasciato delle tracce
umanissime sulle quali camminare per
essere suoi fratelli e figli di Dio.
Dobbiamo soltanto credere all’amore
che lui, Gesú, ha vissuto fino alla fine,
fino all’estremo. Questa è la fede
cristiana, perché Gesú non ha portato
una novità solo morale, né solo
spirituale, ma «ha portato ogni novità
portando se stesso» (Ireneo di Lione,
Contro le eresie IV,34,1); e portando se
stesso ha portato «il Vangelo di Dio», Dio
come buona notizia. Questa buona
notizia riguarda e avvince tutti gli uomini
e le donne, perché può essere espressa
come fa l’apostolo Giovanni: «Noi
passiamo dalla morte alla vita quando
amiamo l’altro, gli altri» (cfr. 1Gv 3,14).
DI ENZO BIANCHI
ducare alla fede è per la Chiesa, per
i cristiani, il compito primario; ma
nel tentativo di riuscirvi si possono
imboccare molte strade, alcune
decisamente sbagliate, altre poco
efficaci. Tutto dipende in verità, e non
può essere diversamente, dalla capacità
dei cristiani di
assumere la
stessa pedagogia
vissuta da Gesú
nell’incontrare
gli uomini e le
donne. Anche
oggi la fede può
essere generata,
destata, fatta
emergere da chi,
volendosi
testimone ed
evangelizzatore
di Cristo, sa
incontrare gli
Don Primo Mazzolari
uomini in modo
umanissimo; sa
essere una persona affidabile, la cui
umanità è credibile; sa essere presente
all’altro, sa fare il dono della propria
presenza; sa, in un decentramento di sé,
fare segno a Gesú e, attraverso di lui,
indicare Dio, il Dio che è amore.
Può darsi – come molti affermano – che
oggi il discorso su Dio lasci gli uomini
indifferenti: io stesso penso che
quest’osservazione contenga del vero. È
possibile che oggi «la Chiesa – come
scriveva piú di quarant’anni
fa il teologo Joseph Ratzinger
– sia divenuta per molti
L’INIZIATIVA
l’ostacolo principale alla
E
Il filosofo francese Blaise Pascal
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Domani a confronto Fisichella e Veladiano
Dagli inediti del cardinale Michele Pellegrino,
arcivescovo di Torino dal 1965 al 1977, ai libri di
monsignor Massimo Camisasca e di Roberto Repole.
Numerosi gli appuntamenti promossi
dall’Associazione Sant’Anselmo e il Servizio nazionale
della Cei per il Progetto culturale durante il Salone
del Libro di Torino. "Stupore del visibile, ricerca
dell’invisibile", lo slogan scelto per lo stand della
Chiesa italiana. Domani, 16 maggio, alle 12.30, sarà
presentato il volume del cardinale Angelo Bagnasco
"La porta stretta" (Cantagalli), che raccoglie le
prolusioni del presidente della Cei dal 2007 al 2012;
interverrà Mario Calabresi, direttore del quotidiano
"La Stampa". Alle 15.30, lancio di due libri dedicati alla
memoria di "Don Pino Puglisi, primo martire della
mafia", con le voci di monsignor Antonino Raspanti e
del prefetto Alberto di Pace. Sempre domani, giovedì,
alle 17.30 in Sala Rossa, monsignor Rino Fisichella,
presidente del Pontificio Consiglio per la nuova
evangelizzazione, dialogherà con la scrittrice Maria Pia
Veladiano sul tema "A cosa serve la fede?". (L.Bad.)
E Pascal domina la classifica
dei volumi religiosi preferiti
DI LAURA BADARACCHI
nato come una sorta di referendum del volume religioso preferito, lanciato su
Rai Uno dalla trasmissione "A
sua immagine" in occasione
dell’Anno della fede indetto dal
papa emerito Benedetto XVI. È
diventato un fenomeno di partecipazione, registrando centinaia
di migliaia di voti e una classifica
parziale a dir poco sorprendente,
che vede in testa con un quarto
delle preferenze I pensieri di Blaise Pascal. Ne parlerà domani sera
alle 20, nella Sala Blu al Salone
del Libro di Torino, Rosario Carello, conduttore e autore del
programma, insieme a Franco
Garelli, don Gianluca Carrega,
don Luca Ramello, don Michele
Roselli e Maurizio Versaci. E nei
prossimi giorni si svolgeranno altri incontri per commentare i libri selezionati dal referendum, in
collaborazione con i partecipanti
al Sinodo dei Giovani di Torino.
Un’iniziativa promossa dall’Associazione Sant’Anselmo insieme
alla pastorale giovanile dell’arcidiocesi. «Fino a trenta o quarant’anni fa le associazioni, le federazioni giovanili dei partiti, le
parrocchie trasmettevano ai più
giovani un pezzo della loro identità e dei loro valori, anche con la
condivisione di libri, film o canzoni – fa notare Carello –. Una
specie di omogeneizzato cultura-
È
le, che portava magari anche un
po’ di conformismo, ma era il
tentativo degli adulti di trasmettere un’identità culturale, una
piccola scuola dei valori di quella
comunità». Oggi, invece, «il consumo culturale è legato alla pubblicità. Ma come può un ragazzo
leggere i libri di e su Papa Francesco senza conoscere gli Esercizi
spirituali di sant’Ignazio o i Fio-
Il referendum
lanciato da «A sua
immagine» vede al
secondo posto Teresa
di Lisieux
retti del Poverello di Assisi? Insomma, gli unici consigli che
sentiamo sono quelli per gli acquisti. È un aspetto della crisi educativa, tra i più tristi perché è il
frutto di un deliberato abbandono di ruolo da parte degli adulti».
a questa riflessione, è scaturita
l’idea di stilare una lista composta da quaranta "classici della fede", scelti da Elio Guerriero, consulente scientifico della trasmissione di cultura e informazione
religiosa in onda il sabato pomeriggio e la domenica mattina sulla rete ammiraglia della Rai. Si va
da pagine immortali, come Le
confessioni di Agostino, a testi di
autori recenti come Voillaume o
Van Thuan, fino a «Giovanni Paolo II che tutti amano ma non tutti
hanno letto, o l’Oriente cristiano
che è il grande sconosciuto». Partito a novembre dello scorso anno, il referendum si concluderà
con l’Anno della fede, «di cui vogliamo essere un segno concreto», dice il giornalista e conduttore, rimasto stupito a sua volta per
il «successo strabiliante dell’iniziativa, che sta portando grande
visibilità al nostro sito, comunque da sempre uno dei più cliccati della Rai». Si sta per concludere la prima parte del referendum, nella quale si sono scontrati tutti e quaranta i volumi selezionati. A breve comincerà il secondo turno, dove lo scontro sarà
tra i 20 restanti più qualche ripescaggio; a fine novembre la grande elezione.
Dopo i Pensieri pascaliani (25%
dei voti), segue al secondo posto,
con il 18% delle preferenze, Storia di un’anima, di santa Teresa
di Lisieux. In terza posizione, con
l’8% dei voti, Il mistero del Natale
di Edith Stein. Dopo l’elezione
di papa Bergoglio, è stato registrato un aumento dei voti per i
Fioretti francescani, che tuttavia
non arrivano al 3%. Finora il
primato di Pascal resta quasi inamovibile: «Non credevo fosse
così radicato nella vita culturale
e spirituale degli italiani», commenta Carello.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
III
Il progetto per il World Trade Center a New York firmato Libeskind
DI LEONARDO SERVADIO
na delle dimensioni umane più
profonde: la definizione viene immediata e spontanea alle labbra di Daniel
Libeskind, l’architetto americano di origini polacche noto soprattutto per aver riprogettato
"Ground Zero", la zona dove sorgevano le Torri Gemelle abbattute nel fatidico 11 settembre
del 2001. Gli abbiamo posto la domanda, se ritenga che vi sia una o tante creatività, se quella del poeta, dell’artista o del tecnologo siano
diverse tra loro, perché al Salone Internazionale del Libro di Torino Libeskind è stato chiamato proprio per parlare della creatività (lo
farà giovedì 16 alle ore 17 alla Sala Azzurra del
Lingotto). «La vedo dispiegarsi in ogni ambito delle manifestazioni umane - risponde - da
quelle metafisiche a quelle collegate all’azione concreta. Ma credo che si estenda in ogni
ambito dell’esistenza umana. E che si esprima
nei modi più diversi pur originando da un nucleo unico. Una qualità intimamente caratteristica dell’essere umano: di ogni essere umano. Eppure così difficile da definirsi...».
Be’, lei la conosce in particolare nella forma
dei progetti architettonici...
«La vedo, e la ammiro, in tante costruzioni. A
partire da quelle che sembrano sorgere spontanee, eppure sono tutte frutto di un pensiero originale. Nelle favelas coi loro colori sgargianti e coi loro allineamenti incerti, come nelle tende dei nomadi che si spostano nelle steppe asiatiche o dei beduini che abitano i deserti africani. La vedo nelle architetture vernacolari che perpetuano antiche tradizioni sugli altipiani dell’America centrale, dove le costruzioni sono intessute di canti popolari e dei
suoni del vivere quotidiano...».
Le costruzioni sono statiche, ma implicano i
movimenti...
«L’edificio è immobile per definizione. Ma è
animato dalla poetica. E il progetto necessariamente deve tenere conto di tutto quanto ri-
U
MERCOLEDÌ
15 MAGGIO 2013
Per Libeskind
la creatività
è fatta di colori
guarda la cultura, la vita, i sensi e il pensiero.
L’architettura è arte globale, collegata alla sonorità che gli ambienti comportano negli echi
e nelle vibrazioni che li attraversano, così come alla gravità in cui si inseriscono nella tensione verticale che a sua volta rimanda agli
spazi cosmici. Ritengo che l’architettura sia
come uno strumento: sta come ponte tra l’anima e la realtà fisica del mondo. Si esprime
in modi diversi e ogni edificio è un testo che
manifesta un racconto. Chi lo legge vi deve
la società è repressiva, anzitutto opprime la
creatività: è quel che avviene nelle dittature.
Certo, anche sotto le dittature vi sono state
manifestazioni di creatività perché questa è
un’aspirazione intrinseca e insopprimibile dell’animo umano, proprio come la libertà. Ma
solo una società aperta la favorisce. Naturalmente questo non vuol dire che la creatività
sia estranea alla necessità. Al contrario, al di
fuori della necessità la creatività resterebbe arbitrio, o mero lusso. La libertà parte dalla necessità ma si eleva da questa, e la risolve in gesti che la superano».
Questo implica arte, conoscenza, capacità:
c’è un metodo che porta alla creatività?
intervista
L’architetto Daniel Libeskind
trovare una via per andare oltre: l’opacità del
muro allude a quel che sta al di là; la sua gravità indica quel che gli sta al di sopra; il suo silenzio evoca il suono; la successione degli spazi e la diversità di forme e materiali compongono una sinfonia».
Si riferisce al mondo sensibile e a quello soprasensibile?
«La casa è il primo edificio, e ogni edificio è casa. Ma è anche idea di casa. Perché la singola
costruzione è transeunte: quel che resta è
quanto la supera. Le finestre, le porte, aprono
al superamento dell’edificio stesso».
Questo riconduce alla dialettica tra necessità
e libertà?
«Libertà e creatività sono indissolubilmente
legate. Ci vuole una società aperta e libera: se
«Non che la spinta commerciale di per sé non
possa andare assieme a manifestazioni creative. Ma penso che favorisca anche la tendenza ad appiattire l’individuo nella prestazione
che gli si richiede e che si valuta in denaro.
L’effetto può essere simile a quello della repressione esercitata nelle dittature, degradando la persona a strumento».
Un’altra dimostrazione dell’importanza della religione...
«È l’origine della rivelazione: il passo che rende l’essere mano a se stesso. La religione viva
è fonte di creatività perché trasmette la verità
dell’umanità. Purché sia viva, che non si rifugi nella tradizione intesa come nostalgia del passato, perché in quel
modo dimentica il IL TEMA
fuoco che la anima».
Dal grafene al bosone di Higgs
Ritiene che siamo
La scelta del tema della creatività come motivo
tutti potenzialconduttore del Salone Internazionale del Libro
mente creativi?
2013 vuole sollecitare una riflessione su quella
«Penso che dobcultura del progetto che l’Italia ha sin qui
biamo esserlo. C’è
trascurato, ma di cui ha più che mai bisogno di
un che di contradfronte a una crisi che nasce anche dall’incapacità
dittorio: è un prodi elaborare un’idea organica di società nel medio
blema che tratta Isaac Singer, Nobel
e lungo periodo. Dove corrono e devono correre
per la letteratura nel ’78. Siamo dooggi le frontiere dell’innovazione? Come funziona
tati di libera volontà e dobbiamo ee dovrebbe funzionare la "fabbrica delle idee"?
sercitarla: siamo costretti a essere
Come testimonial di altrettante eccellenze,
liberi. Così è anche per l’eguaarrivano al Lingotto alcuni protagonisti della
glianza, la democrazia, per la crearicerca di riconosciuta autorevolezza
tività. C’è chi guarda agli artisti, e
internazionale. Oltre a Libeskind, interverranno
molti artisti guardano a se stessi,
Andrea Ferrari, professore di nanotecnologie e
come a specie di dèi, fenomeni ineodirettore del Cambridge Graphene Center;
solati nel loro iperuranio. No, la veLuciano Maiani, presidente del Cnr, uno dei
ra arte è liberatoria. È superamenprotagonisti delle scoperte legate al bosone di
to delle regole, delle convenzioni,
Higgs; Lamberto Maffei, presidente
ricerca dell’inesplorato. Riscoperdell’Accademia dei Lincei e professore emerito di
ta della verità nascosta dall’abituNeurobiologia alla Normale di Pisa; il
dine, in una ricerca che deve appaleoantropologo americano Ian Tattersall.
partenere a tutti».
LA KERMESSE
DEL LINGOTTO
Ha da poco riprogettato Ground Zero
a New York e a Torino parlerà
della sua idea di architettura. «Amo
le forme spontanee, come le favelas»
«L’educazione è necessaria ma purtroppo
spesso è male intesa. Per esemplificare: Joseph
Goebbels era uomo colto, buon conoscitore
della letteratura tedesca, aveva letto Goethe e
Schiller; questo non gli ha impedito di entrare nel numero dei peggiori criminali che la storia ricordi. L’educazione del sentimento e della morale va al di là dell’apprendimento di nozioni: richiede di stare con gli altri, coltivare relazioni umane, comprendere le persone, dialogare, coltivare l’empatia, comprendere che
il rispetto dell’umanità altrui è inseparabile
dal rispetto di se stessi. L’educazione formale
non basta».
Oggi tutto sembra dominato dall’economia e dalla pubblicità. Lei cosa pensa: è inevitabile?
© RIPRODUZIONE RISERVATA
MERCOLEDÌ
15 MAGGIO 2013
IV
oltre la letteratura
C’è una lunga tradizione di studi
che costeggia la linea di confine
tra poesia e preghiera, tra realismo
e percezione del divino. Ne fanno
parte una serie di maestri, spesso
insospettabili, da George Steiner
al domenicano Jean-Pierre Jossua
Quando la critica
indaga l’Assoluto
LA KERMESSE
DEL LINGOTTO
«Incredulità di San Tommaso», copia da Caravaggio (Firenze, Uffizi)
DI ALESSANDRO ZACCURI
IL PREMIO BONURA
Domani al Lingotto premiato padre Castelli
In occasione del Salone del Libro di Torino, il quotidiano
«Avvenire» assegna il Premio letterario per la critica
militante Giuseppe Bonura, arrivato alla quarta edizione, a
padre Ferdinando Castelli, storico scrittore della "Civiltà
Cattolica", che nella sua lunga carriera critica ha sempre
esplorato il territorio di confine tra espressione letteraria e
inquietudine spirituale. Il riconoscimento verrà consegnato
domani, giovedì 16 maggio, alle ore 15, presso la Sala Blu del
Lingotto. In occasione della cerimonia di premiazione verrà
organizzata una tavola rotonda sul tema "Lo spirito del
romanzo. Narrativa e sacro oggi" moderata da Alessandro
Zaccuri, alla quale interverranno Mauro Baudino, Helena
Janeczek e Michela Murgia. La tavola rotonda sarà introdotta
da Roberto Righetto, giornalista di "Avvenire" e segretario
del premio. In precedenza il premio è stato attribuito a
Tzvetan Todorov, Goffredo Fofi ed Ezio Raimondi. Il premio
è promosso in collaborazione con l’Università Cattolica del
Sacro Cuore di Milano, attraverso il suo centro di ricerca
"Letteratura e cultura dell’Italia Unita", che custodisce le
carte dell’Archivio Bonura. La giuria è composta da Helena
Janeczek, Giuseppe Langella, Massimo Onofri, Fulvio Panzeri,
Marino Sinibaldi, Alessandro Zaccuri, Roberto Righetto.
ra i testimoni insospettabili c’è il Walter Siti del recente Il realismo è l’impossibile (nottetempo), la
«bieca ammissione di poetica» in cui lo scrittore
– finalista allo Strega con Resistere non serve a niente e
già curatore dell’opera omnia di Pasolini – incastona una frase di acutissima precisione: «Non c’è realismo senza l’ombra vuota di Dio». Come dire che non c’è letteratura senza rapporto con il sacro. E non c’è critica se
questo stesso rapporto non viene messo a tema. Sembra una stranezza, con i tempi che corrono, ma in effetti è sempre stato così. Fin dall’epoca dell’anonimo
trattatello greco Del Sublime, composto fra il I e il II secolo dopo Cristo e impetuosamente riscoperto in età romantica. È il primo testo in cui un brano dell’Antico Testamento (per l’esattezza Genesi 1,3: «Dio disse: “Sia la
luce!”. E la luce fu») è accostato all’epica omerica per dimostrare come la poesia non vada misurata in termini
di bravura dell’autore, ma di grandezza d’animo. La quale a sua volta è percezione di qualcosa di ulteriore e, da
ultimo, inconoscibile rispetto alla poesia stessa. La letteratura è sempre penultima rispetto alla realtà, avverte infatti Ferruccio Parazzoli, narratore e nel contempo teorico di una scrittura capace di Inventare il mondo (è il titolo di un suo saggio), e cioè di scoprire quel livello di realtà che sta, per l’appunto, «dai tetti in su». Il
realismo come porta sull’Assoluto, di nuovo, ma anche
la contestazione di quella che il già ricordato Siti defi-
F
nisce la deriva «parareligiosa» di una letteratura che pretenda di trovare in se stessa la propria motivazione.
Presente da sempre nella cultura occidentale, la riflessione critica sul sacro in letteratura è emersa con particolare forza nel corso del Novecento, in quella che è
stata indicata a più riprese come la stagione della «morte di Dio» e che invece può essere interpretata come
un’occasione in cui Dio si rende presente per assenza,
suscitando nell’uomo inquietudine e nostalgia. Sono le
linee lungo le quali si è mossa la ricerca di padre Ferdinando Castelli e di altri studiosi appartenenti alla Compagnia di Gesù, come padre Alessandro Scurati (a lungo animatore della rivista «Letture»), il cyberteolgo Antonio Spadaro e padre Guido Sommavilla, forse il più
convinto sostenitore della qualità mistica e spirituale
dell’opera di Franz Kafka. Non è privo di interesse, inoltre, il fatto che la letteratura abbia costituito il riferimento costante per alcune grandi figure del cattolicesimo contemporaneo: si pensi, in particolare, alle osservazioni raccolte da don Luigi Giussani in Cara beltà
(il titolo coincide con il primo verso del canto leopardiano “Alla sua donna”) e ai riferimenti letterari che caratterizzano gli scritti di don Divo Barsotti, tra i quali
spicca il saggio dedicato alla Religione di Giacomo Leopardi.
All’elenco dei critici-sacerdoti appartiene anche don
Luigi Pozzoli (1932-2011), di cui le
Paoline hanno pubblicato nei mesi scorsi il testamentario Quel poco di fede che mi porto dentro. Il
censimento completo è pressoché
impossibile e, comunque, la materia non è di esclusiva competenza dei credenti, meglio se consacrati. Al contrario, l’indagine sul legame fra letteratura e sacro ha apFerdinando Castelli
passionato e appassiona studiosi
di ogni provenienza ed estrazione.
Due casi celebri, resi ancor più esemplari dalle differenze che li contraddistinguono, sono quelli dell’italiano Furio Jesi (1941-1980) e del cosmopolita George Steiner. Il primo, germanista con eclettiche competenze di
archeologo, si è soffermato in particolare sulla prospettiva del mito (Letteratura e mito si intitola il decisivo libro del 1968), mentre il secondo, senza mai abdicare alle sue convinzioni di ebreo secolarizzato, ha consegnato alle pagine di Vere presenze (1989) una formidabile interpretazione dell’esperienza della letteratura
alla luce del concetto teologico di transustanziazione.
Ma anche Harold Bloom, che con alterne fortune contende a Steiner lo status di più influente critico mondiale,
si aggira spesso tra i piani convergenti di letteratura e
sacro, calcando le orme del prediletto William Blake e
cercando di rinverdire la tradizione cabalistica.
La contiguità fra autori profani e Sacra Scrittura è stata
esplorata con particolare intensità dagli studiosi di area anglosassone, dal canadese Northrop Frye (al quale si deve l’imprescindibile Il Grande Codice, 1982) fino
allo statunitense Robert Alter (L’arte della narrativa biblica, 1981). Molto nutrito anche il fronte dei critici di
lingua francese, il cui rappresentante più conosciuto è
forse il belga Charles Moeller (1912-1986), la cui ampia
ricerca su Letteratura moderna e cristianesimo, apparsa per la prima volta nel 1953, continua a costituire un
contributo di assoluto rilievo. Ma non vanno trascurati gli apporti di Henri Bremond (il suo Preghiera e poesia risale al 1926) e del meno noto Jules Monnerot, che
nel 1945 dedica una suggestiva ricognizione a La poesia moderna e il sacro. Una prospettiva che in anni recenti è stata ripresa dal domenicano Jean-Pierre Jossua,
che ha distillato il risultato dei suoi studi nel volume La
letteratura e l’inquietudine dell’assoluto, edito in Italia
da Diabasis nel 2005. Sul versante più propriamente biblico, ma in dialogo continuo con la tradizione letteraria, si collocano invece gli interventi di un altro gesuita, padre Jean-Pierre Sonnet, che è anche scrittore e
poeta in proprio come dimostra La scorciatoia divina,
da
poco
La rappresentanza gesuita pubblicato
Ancora.
è particolarmente nutrita, da
La zona di
confine con
ma anche grandi figure
l’esperienza
come don Giussani
religiosa è
assai
free Divo Barsotti si sono
quentata, indedicati alla consonanza
fine, dall’attra fede e arte della parola tuale critica
italiana, che
vede la compresenza di diversi progetti, tutti ugualmente interessanti. Una segnalazione particolare meritano il vasto repertorio su La letteratura e il sacro che
Francesco Diego Tosto sta completando presso le Edizioni Scientifiche Itlaiane, i convegni fiorentini organizzati da don Vincenzo Arnone e la rivista «Letteratura e spiritualità», nata per impulso della poetessa Donatella Bisutti. Molto attivo, con una forte predilezione per figure e situazioni della narrativa popolare , è il
teologo Brunetto Salvarani, il cui titolo più significativo suona Da Bart a Barth: il primo, senza l’acca, è proprio quello dei Simpson.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
V
gli attori
MERCOLEDÌ
15 MAGGIO 2013
Tra i momenti di spettacolo anche l’appuntamento con due protagonisti della scena
che leggeranno venerdì il capolavoro di Gadda e domenica «Il richiamo della foresta»
Il romanzo alza la voce
Marco Baliani
Jack London per i ragazzi
è una scuola di libertà
DI ANGELA CALVINI
er me Jack London rappresenta la ribellione e la libertà». Marco Baliani, uno
dei maggiori rappresentati del teatro di
parola, autore, attore, regista ma anche
scrittore, si infiamma come un ragazzino
quando si parla de Il richiamo della foresta. Un classico della letteratura, cui ha
appena prestato la voce per un audiolibro Emons (traduzione di Gianni Celati,
uscita 28 maggio) che presenterà con una lettura al Salone del Libro di Torino
domenica 19 maggio alle ore 20.
Baliani, come si dà voce a uno dei classici più amati della letteratura mondiale?
«È un’avventura affascinante dare voce a
personaggi memorabili e trovare il timbro giusto, soprattutto dare voce al silenzio, a certi momenti di afasia che nella
pagina non ci sono, per rendere più viva
la storia. Comunque non ho fatto molta
fatica. Jack London ha un ritmo quasi orale, i suoi racconti sono legati alla vita».
L’ha letto da ragazzo?
«Il richiamo della foresta è stato uno dei
miei romanzi preferiti. Da piccolo mi dava un’idea di ribellione, mi affascinavano i paesaggi innevati, la lotta per la sopravvivenza. Alla pari di Capitani coraggiosi e Moby Dick che ti facevano immaginare di poter mollare tutto e ricominciare una nuova vita. Nella storia di questo cane piccolo borghese, dall’esistenza
comoda, che viene buttato nella vita vera, si riverbera l’idea socialista di London».
Chissà se nell’era degli ebook questo romanzo affascina ancora i ragazzi.
«Guardi, da recenti statistiche pare che i
ragazzi leggano di più. Sono appena stato alla Fiera del libro di Bologna e sono rimasto sorpreso dal gran numero di gio-
«P
vani».
A proposito di libri, lei ne ha appena pubblicato uno con Rizzoli, «L’occasione»...
«È un libro inquietante. Ovvero, quando
tu ti rìtrovi davanti un’occasione e credi
di aver scelto la strada sbagliata, per tutta la vita ti porti dietro il rammarico per
non avere fatto la scelta giusta. Lo racconto attraverso la storia di Marcella,
un’insegnante negli anni 70».
Scrivere per il teatro e scrivere libri: differenze?
«Sono due linguaggi profondamente diversi. Quando scrivo e porto in scena anche regie con molti attori, è sempre il corpo che guida la parola, la voce è corpo».
I suoi gusti di lettore?
«Leggo tantissimo, mi piace immensamente. Amo quegli autori che scompaiono nell’opera, come Cormac McCarthy di Non è paese per vecchi, o come
Melville. Ora sto leggendo Limonov di
Carrère, bello, ma...».
Nella sua scrittura per il teatro, però, appaiono anche temi sociali forti come il
caso Moro
«Il sociale è sempre presente in quello
che faccio, non ho mai pensato a un teatro o a una scrittura estetica. In Corpo di
stato ripercorro la memoria di una tragedia collettiva veicolata da me stesso, una
visione molto poco storica o giornalistica, ma soggettiva».
Prossimi lavori?
«Ho appena debuttato in Identità, con
Maria Maglietta. Si tratta di frammenti
sul problema di chi siamo, sulla negazione dell’identità. Il 25 luglio invece debutterò a Marsiglia, città della cultura, con Il
bacio del ranocchio, in collaborazione con
l’ospedale cittadino: il tema è quello del
sentirsi "brutti" e i protagonisti saranno
16 attori, giovani pazienti tossici o colpiti da anoressia».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Fabrizio Gifuni
«Quer pasticciaccio»
può cambiare la vita
GLI OMAGGI
Tabucchi, Calvino,
Solzenicyn
Venerdì 17 alle ore
15 nella Sala Rossa,
per le ricorrenze, si
parla di Antonio
Tabucchi. Lo scrittore
(1943 – 2012) è stato
il maggior traduttore
del poeta portoghese
Fernando Pessoa. Ha
ottenuto il premio
francese "Médicis
étranger" per
«Notturno indiano»
e il premio Campiello
per «Sostiene
Pereira». Sempre
venerdì 17 alle 16,30,
nella Sala Blu, si
ricordano Italo
Calvino e i 50 anni de
«La giornata di uno
scrutatore». Il
romanzo racconta la
giornata che Amerigo
Ormea, intellettuale
comunista, passa
come scrutatore
durante le elezioni
del 1953 alla Piccola
Casa della Divina
Provvidenza
"Cottolengo" di
Torino. Sabato 18
maggio alle ore 12,30,
Omaggio ad
Aleksandr Solzenicyn,
nella Sala Blu.
Solzenicyn (1918 –
2008) attraverso i
suoi scritti («Una
giornata di Ivan
Denisovic») ha fatto
conoscere i gulag per
i dissidenti nell’Urss.
Ora esce «L’uomo
nuovo.Tre racconti»
da Jaca Book.
na maratona di 13 ore e 40 minuti, la lettura integrale di Quer
pasticciaccio brutto de via Merulana di Gadda, che vola via in un soffio. Merito di Fabrizio Gifuni, eclettico
attore che passa dal teatro, al cinema
(presto sarà in sala ne Il capitale umano di Paolo Virzì) a successi tv come La
meglio gioventù e la fiction su De Gasperi. Nell’audiolibro appena edito da
Emons, Gifuni dimostra appieno tutte
le sue doti dando voce a decine di personaggi, e ne darà prova con una lettura al Salone del Libro di Torino venerdì prossimo alle ore 20.
Gifuni, come si dà vita alla parola scritta?
«Questa è la materia prima di cui è fatto il mio lavoro di attore. I testi depositati sulla pagina tornano alla loro sede naturale che è il corpo, attraverso la
voce. La lettura recitata di un testo da
spesso la possibilità di rendere comprensibili al pubblico autori considerati
complessi. È come se si aprissero le maglie di un tessuto che nella lettura silenziosa possono rimanere serrate».
Il suo rapporto con la lettura?
«Io ho un rapporto molto felice con la
lettura, mi ricordo sin da tempi lontani che amavo leggere ad alta voce. Sono un lettore onnivoro per conto mio,
poi ci sono alcuni autori su cui sono
tornato molto per lavoro».
Come Gadda, che ha spesso frequentato a teatro?
«Devo confessarle che Quer pasticciaccio brutto è stato il romanzo che mi
ha spostato lo sguardo sul mondo.
Quando lo lessi a 20 anni scoprii un romanzo fatto di mille romanzi e di mille voci, una festa della polifonia. Gadda mette in campo un’umanità varia e
sorprendente, il suo scrivere è un mix
fra alto e basso, fra tragico e comico, il
U
suo uso della lingua non ha pari nel
900. È come se fosse esplosa una lingua
inaudita. Quindi, per me, queste 13 ore e 40 di lettura sono state un’esperienza bella e divertente».
Ne farà ascoltare un estratto al Salone
del Libro. Che rapporto ha con la manifestazione torinese?
«La amo moltissimo. Vi passerò tre
giorni, e sono già impegnato anche in
altre letture, fra cui una con Cristina
Comencini. Per me è una vera festa».
Spesso lei, però, la letteratura la porta
a teatro insieme a sua moglie Sonia
Bergamasco.
«Certo, di recente abbiamo avuto molto successo con l’interpretazione integrale de
Il piccolo principe di
Saint-Exupéry. Prima
c’era stato L’ingegner
Gadda va alla guerra
dai diari dello scrittore
dal fronte. Ora sto portando in tour Gli indifferenti. Parole e musiche da un Ventennio,
spettacolo nato per il
Giorno della Memoria
che ripercorre il ventennio fascista per capire il rapporto fra
scrittori, artisti e intellettuali italiani con il
potere».
Al Festival del cinema
di Venezia l’abbiamo
sentita leggere alcuni
brani del cardinal
Martini.
«Un
personaggio
straordinario, le cui parole avevano forza autentica».
Angela Calvini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
LA KERMESSE
DEL LINGOTTO
Una scena del film
«Il richiamo
della foresta»
tratto dal romanzo
di Jack London.
Fly UP