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terrorismo - Altervista
“TERRORISMO”
Il terrorismo è una forma di lotta politica che consiste in una successione di azioni clamorose,violente e
premiate come attentati,omicidi,stragi,sequestri,sabotaggi,ai danni di enti quali nazioni ,governi,gruppi
etnici o fedi religiose.”C’è atto terroristico allorchè i suoi effetti psicologici sono sproporzionati rispetto
ai risultati puramente fisici”.C’è dunque un confronto:da una parte il debole,quello che si considera
“guerrigliero”,dall’altra il forte ,lo Stato. I primi,deboli militarmente contano essenzialmente sui danni
psicologici inferti ai secondi cercando di far mutare in senso involutivo programmi e posizioni. Potremmo
sostenere che il terrorismo è un fenomeno complesso,dalle tante modalità e dalle molte motivazioni. Tra le
tante strategie del terrorismo ,spicca l’elemento psicologico ma anche la propaganda
armata,l’intimidazione e la propagazione,la “strategia del caos”.Strategie che lo differenziamo dalle altre
lotte politiche.
Cinque sono le date cruciali che possiamo individuare nella storia del terrorismo:il 1789,il 1968,il 1979,il
periodo tra il 1991 e il 1993,l’11 settembre 2001. Nel 1789 c’è in Francia la Rivoluzione. Proprio in questo
contesto nasce il termine “Terrore”,che poi attribuirà il nome al fenomeno del terrorismo. Il
1968,invece,segna la comparsa dei movimenti rivoluzionari in America latina e l’uscita del terrorismo
sovranazionale moderno. Il 1979 è l’anno della rivoluzione iraniana e l’intervento della Russia in
Afghanistan,eventi segnati dall’uscita dei movimenti islamici radicali sciiti e sunniti. Il periodo 1991-1993
corrisponde invece ai mutamenti verificatosi all’interno dell’ Afghanistan «Da strumento della Guerra
fredda utilizzato dagli Stati Uniti con il fine di indebolire l'Unione Sovietica, l'islamismo radicale,
perseguendo la sua dinamica e i suoi fini, diventa, in parte come conseguenza della guerra in Iraq del 1991,
un orientamento politico-militare dalle molteplici ramificazioni». Questi anni coincidono con l'esplosione
della Jihad, con la partecipazione delle masse islamiche-radicali alle guerre in Bosnia, Cecenia e nel Kashmir,
ma anche l'anno del primo attentato al World Trade Center e del grande proclama di Osama bin Laden, il
quale intimò agli Stati Uniti di abbandonare «il sacro territorio d'Arabia»,
Abbiamo parlato del 1789. Ebbene,come già riferito, proprio in questo periodo nasce un termine che è
strettamente collegato all'argomento, anzi fa parte proprio dell'etimologia della parola terrorismo: Terrore.
Non appena la rivoluzione in Francia si fece governo, approvando una nuova Costituzione (24 luglio 1793),
assieme alla "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino", iniziò la fase sconvolgente segnata
appunto dal terrore. Tra i protagonisti dodici uomini: di cui Maximilien François Marie Isidore de
Robespierre fu l'elemento trainante.
Non appena Robespierre fu eletto capo del Comitato di Salute Pubblica (luglio 1793) fu deciso di adottare il
regime di terrore.
Robespierre, infatti, sosteneva che il principio fondamentale del governo popolare era la "Virtù". Questa,
tuttavia, nella fase rivoluzionaria, doveva inevitabilmente accompagnarsi al "Terrore". Per Robespierre la
virtù senza il terrore diveniva impotente. E il terrore, a sua volta, senza la virtù era funesto.
Ecco allora comparire nel 1794, per la prima volta, in un supplemento del dizionario dell'Académie Français,
il termine "terrorismo" come neologismo per indicare un fenomeno e un periodo storico preciso, ossia
quello della Terreur instaurato in Francia dalla primavera del 1793 al 27 luglio del 1794.
Per dovere di cronaca, però, occorre evidenziare che prima della Rivoluzione francese, qualcuno già utilizzò
il termine terrore. Fu Niccolò Machiavelli che, affascinato dai metodi di governo di Cesare Borgia, scrisse nei
Discorsi sulla prima deca di Tito Livio, che per «ripigliare lo Stato», ossia per conservare il potere, fosse
necessario periodicamente «mettere quel terrore e quella paura negli uomini che vi avevano messo nel
pigliarlo».
Negli stessi anni della Rivoluzione francese emersero altri due termini, che poi saranno strettamente
collegati al terrorismo: anarchia e anarchico. Con questi termini si voleva contraddistinguere, da destra e da
sinistra, l'avversario politico che non ricadeva in nessuna ideologia conosciuta all'epoca.
2. L’attualità del problema
Dagli anni sessanta ad oggi il fenomeno terrorismo ha assunto dimensioni a dir poco preoccupanti in ogni
parte del mondo. Per comprendere la portata del fenomeno mi pare opportuno riportare alcuni dati forniti
dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, in relazione all’andamento del terrorismo negli ultimi anni,
sintetizzati nel seguente grafico:
Tali dati si riferiscono al quinquennio 1994 – 1999 e riportano il numero di attentati di matrice terrorista
verificatisi nei diversi anni nelle differenti aree geografiche del mondo.
Da tale statistica possono trarsi alcune osservazioni. Innanzitutto, il fenomeno in esame non ha un
andamento costante nel tempo, ma è soggetto ad escursioni, a “picchi”, che possono in qualche caso
essere anche molto marcati, come nel caso dell’anno 1995 nell’Europa Occidentale. Ciò significa che in linea
generale la strategia terrorista non si manifesta in modo continuativo, ma è soggetta ad ondate su cui
influiscono certamente sia la situazione sociale, politica ed economica, ma anche la reazione degli Stati
interessati direttamente dal fenomeno che assai spesso costringono i gruppi terroristi a mantenersi in uno
stato di relativa latenza. In proposito si noti il brusco calo di azioni terroriste in Europa dopo il biennio
1995/96. Interessante la curva discendente del Medio Oriente in corrispondenza del processo di pace nel
conflitto israeliano – palestinese, destinata probabilmente a modificarsi in controtendenza per l’anno 2000
.
Non deve poi trarre in inganno il dato relativo al Nord America, dove si registrano appena quindici attentati
in cinque anni: non bisogna infatti scordare che la statistica non tiene conto degli obiettivi statuali
dell’azione terrorista, bensì esclusivamente del luogo in cui essa si è verificata.. Può ben darsi dunque che
uno Stato sia oggetto di un attentato in un altro Stato, attraverso l’attacco di obiettivi simbolici: l’attentato
dell’ottobre 2000 contro il cacciatorpediniere americano Cole, di stanza ad Aden, attribuito agli integralisti
di Osama Bin Laden, ad esempio, aveva un univoco significato di attacco agli Stati Uniti, benché verificatosi
in territorio yemenita.
Queste poche notazioni ci pongono dunque di fronte ad un fenomeno di attualità, che interessa in modo
particolarmente cruento l’Europa, la quale ha assistito, nel quinquennio di riferimento, a ben 754 attentati
di matrice terrorista. Le ragioni sono molteplici: in primo luogo in Europa operano, ed hanno operato in
passato, numerose formazioni, sia inserite nel quadro del terrorismo internazionale, sia, al contrario,
specifiche dell’area geografica . In secondo luogo, il fatto di essere una crocevia fra Est ed Ovest ha
indubbiamente contribuito, in particolare negli anni della Guerra Fredda allo sviluppo di estremismi di
opposta tendenza che assai spesso si sono espressi con metodi eversivi. In terzo luogo gli Stati Europei
hanno coltivato fino alla seconda guerra mondiale una politica imperialista che, nel momento dello
smantellamento delle colonie ha in qualche caso avuto degli strascichi terroristi. In ultimo uno dei fattori,
non certo causativi, ma sicuramente agevolativi del terrorismo è rappresentato dalla cultura democratica e
garantista dei paesi dell’area (in particolar modo nei confronti dell’estradizione per reati “politici”), oltre
che dal processo di unificazione, passato attraverso il riconoscimento della libertà di circolazione
nell’Unione.
L’Europa, per queste ragioni, rappresenta un osservatorio privilegiato tanto per le manifestazioni quanto
per la repressione del terrorismo, giacché, a cominciare dalla seconda metà del novecento, ha conosciuto
pressoché tutte le tipologie di terrorismo, da quello separatista a quello politico-estremista, fino al
terrorismo internazionale.
Da ultimo è legittimo porsi la domanda su quale sia oggi lo stato del terrorismo, ossia se si tratti di un
fenomeno in espansione oppure viva una fase di quiescenza. Nel seguente grafico si può osservare
l’andamento statistico del terrorismo internazionale nell’ultimo ventennio a livello aggregato:
Si può notare immediatamente come la linea di tendenza sia orientata verso una diminuzione del numero
degli attentati negli anni più recenti, in particolare rispetto alla metà degli anni ottanta. Tuttavia il fatto che
in media nell’ultimo ventennio si siano verificati più di 462 azioni terroriste l’anno, ci porta a riflettere sulla
rilevanza del fenomeno che, per quanto numericamente possa apparire poco consistente, porta in sé una
potente carica di allarme sociale e talora, specie in alcune aree geografiche come l’Africa, il Sud America e il
Sud Est Asiatico, pone in profonda crisi i fondamenti dello Stato, rallentando, attraverso ripetuti focolai di
violenza, ogni processo di democratizzazione.
Altro fattore importante da valutare è il fatto che in qualche caso il terrorismo goda di appoggi, di vere e
proprie sponsorizzazioni, da parte di alcuni Stati; il che comporta evidenti problemi dal punto di vista della
repressione dei responsabili nella misura in cui il caso singolo diventa un affare di diritto internazionale.
Del resto non si deve sottovalutare il fattore tecnologico che ha aperto nuove prospettive anche nel settore
in questione, creando addirittura nuove forme di “attentati”. Un esempio clamoroso è quello del cd.
terrorismo informatico o cyber-terrorismo, una forma di eversione che negli ultimi anni ha cominciato a
svilupparsi con azioni che hanno avuto una certa risonanza mediatica: nel ’97 ad esempio la rete
informatica del Pentagono ha subito più di seicento attacchi, nonostante non sia collegata ad alcuna altra
rete pubblica, né alla rete di internet. Un nuovo pericolo, dunque che si caratterizza per due considerazioni;
la prima è che questo tipo di terrorismo colpisce in modo più duro gli Stati più sviluppati dal punto di vista
tecnologico: tanto più uno Stato è tecnologicamente avanzato, tanto più il terrorismo informatico è
potenzialmente distruttivo. La seconda notazione è che i “mezzi” richiesti per porre in essere azioni di
questo tipo sono alla portata di chiunque a bassi costi. Inoltre i potenziali obiettivi sono numerosissimi, dai
sistemi informatici pubblici (non esclusi quelli militari) a quelli privati, come ad esempio le banche: in alcuni
casi la linea di demarcazione tra fenomeni di hackerismo e azioni più propriamente eversive può essere
estremamente sottile.
In definitiva, dunque ci troviamo di fronte ad un fenomeno che pur essendo numericamente in
diminuzione, raggiunge livelli di specializzazione o di organizzazione tali da far riflettere sull’idoneità dei
mezzi approntati a livello statuale e internazionale per reprimerla in modo efficace. Si completa così
l’evoluzione da un terrorismo di tipo tradizionale (fino alla metà del XX secolo) al terrorismo
contemporaneo, con una differenza fra i due fenomeni che non è semplicemente di grado, ma di natura.
Le forme del terrorismo.
Le espressioni del terrorismo nel nostro continente possono essere raggruppate in tre grandi famiglie con
caratteristiche omogenee: in primo luogo il terrorismo a vocazione nazionalista e indipendentista, quindi il
terrorismo estremista rivoluzionario e in ultimo il terrorismo intenzionale.
• Terrorismo nazionalista e indipendentista. E’ un terrorismo che si caratterizza per essere piuttosto
radicato nella realtà socio culturale in cui si sviluppa. Nella maggior parte dei casi nasce a minoranze
etniche che subiscano o abbiano subito una dominazione, una persecuzione o una repressione da parte di
uno Stato centrale. Elemento essenziale è il sostegno popolare di cui molto spesso gode, almeno a livello di
obiettivi di fondo, che quasi sempre si richiamano all’indipendenza più che all’autonomia del territorio in
cui è stanziata la minoranza. Gli esempi sono innumerevoli: in Francia la Bretagna, i Paesi Baschi, la Corsica,
oltre che i D.O.M. – T.O.M (soprattutto Nuova Caledonia, Guadalupa e Martinica) hanno visto svilupparsi
movimenti terroristi; in Gran Bretagna prosegue l’azione dell’IRA per l’indipendenza dell’Ulster; in Spagna
l’ETA continua a rivendicare con sempre maggior violenza la causa indipendentista basca.
• Terrorismo estremista. Questo tipo di terrorismo conosce due varianti una “rossa” e una “nera”.
Analogo l’obiettivo ossia distruggere lo stato democratico, ma con diverse prospettive: la costruzione di
una società comunista al posto di un sistema definito “autoritario” per la versione di sinistra, la costruzione
di uno stato autoritario di ispirazione fascista per la versione di destra. Entrambe le varianti scontano un
debole radicamento sociale, e una visione fortemente utopica della società. Per quanto riguarda l’eversione
di sinistra si possono ricordare le Brigate Rosse e Prima Linea in Italia, la Rote Armee Fraktion (in particolare
il gruppo Baader Meinhof) in Germania, Action Directe e Gauche Prolétarienne in Francia, le Cellules
Comunistes Combattentes in Belgio: tutti questi gruppi, attivi fra la fine degli anni sessanta e i primi anni
ottanta1[17], si inserirono in un clima di tensione internazionale ed interna nel tentativo di sovvertire il
quadro politico e sociale attraverso la rivoluzione. Di tutt’altro segno, ma non meno violenta fu l’azione
dell’eversione di estrema destra: l’O.A.S. nella Francia gaullista, Ordine Nuovo e Ordine Nero in Italia,
numerosi gruppi neonazisti in Germania ne sono le manifestazioni più eclatanti.
• Terrorismo internazionale. L’idea di un’“Internazionale Terrorista” diretta negli anni passati dal
governo sovietico e volta contro le democrazie occidentali appare oggi troppo semplicistica per essere
accolta in pieno; di vero c’è che alcuni noti terroristi hanno goduto di potenti appoggi che ne hanno a lungo
agevolato la latitanza e gli spostamenti. In realtà il terrorismo cd. internazionale è formato da movimenti
che, non trovando riconoscimento né risultati nel proprio territorio, scelgono di colpire le democrazie
occidentali sia per ottenere una legittimazione politica a loro all’interno dei propri Stati, sia per contrastare
quegli Stati che in vario modo appoggiano le forze a loro antagoniste. Le istanze da cui muovono questi
gruppi, concentrati per lo più nella regione del Medio Oriente, sono in realtà piuttosto simili a quelle del
terrorismo indipendentista o nazionalista e assumono solo di riflesso una valenza religiosa integralista. A
questa categoria appartengono i gruppi estremisti nel conflitto israelo-palestinese, come Abou Nidal, i
gruppi filoiraniani responsabili degli attentati del 1986 in Francia, nonché il terrorismo integralista algerino
del G.I.A e del F.I.S. responsabili, sempre in Francia di una serie di attentati alla metà degli anni ’90.
. Le manifestazioni del terrorismo
Analizziamo come agiscano, ossia, quali azioni si manifestino per perseguire i propri obiettivi. In proposito si
impone una distinzione fra infrazioni contro i beni e contro le persone.
•
Infrazioni contro i beni. Fra le modalità espressive dell’azione dei terroristi, le infrazioni contro i
beni sono senz’altro le più numerose e prendono la forma di incendi o di distruzioni attraverso l’impiego di
esplosivo. Nel primo caso ci troviamo di fronte ad attacchi verso beni o luoghi tanto privati quanto pubblici,
che, laddove non ne vengano isolati i moventi propri di un’azione terrorista, possono anche confondersi
con la criminalità comune. L’attentato all’esplosivo contro beni patrimoniali è invece considerato il simbolo
per eccellenza del terrorismo, per quanto occorra tenerlo distinto dai casi di attentato diretto contro la
persona o contro un’insieme di persone: anche qui gli obiettivi possono essere pubblici o privati e vengono
scelti come simboli di ciò contro cui si lotta. Un ulteriore infrazione contro i beni è poi costituita dagli
attacchi ai sistemi informatici, tanto più gravi quando non si limitino al semplice accesso illecito, ma ne
alterino i contenuti o il funzionamento.
Infrazioni contro le persone. I reati commessi in danno di persone possono raggrupparsi in due
•
grandi famiglie. Innanzitutto i reati contro l’integrità fisica delle persone che assumono connotati assai
diversi fra loro, dalle lesioni volontarie agli omicidi delle persone ritenute “colpevoli”, fino alle stragi. La
seconda famiglia è invece costituita dai reati contro la libertà delle persone, tanto nelle forme del sequestro
di persona, quanto nelle forme più elaborate del dirottamento di aeromobili. Tutti i reati contro le persone
in generale sono sintomo di un’esasperazione della lotta che passa attraverso maggior spettacolarizzazione
delle azioni, con effetti potenzialmente molto destabilizzanti.
I Molti Terroristi
Nel mondo attuale esistono terrorismi di ogni genere ma solo quello di matrice islamico pare destare
preoccupazioni mondiali, provoca interventi armati, muove eserciti potenti. In molti paesi dell'America
Latina, dell'Africa e dell'Asia il terrorismo è un fenomeno endemico che raramente raggiunge l'onore delle
prime pagine della stampa, che non provoca grossi interventi occidentali e che si confonde comunemente
con la guerriglia rivoluzionarie e le infinite lotte etniche. Ma anche nella evoluta Europa non mancano i
"terrorismi": basti pensare al terrorismo basco o a quello nostrano delle Brigate Rosse ( e movimenti
affini.)
Ma si tratta di fenomeni locali, con scarsa incidenza sugli equilibri e gli scenari mondiali: il terrorismo
islamico fino a qualche anno fa rientrava in queste categorie . Ma dopo l'11 settembre l'Occidente e il
mondo intero si sono sentiti minacciati e soprattutto è nata la preoccupazione più o meno fondata che
possano essere usate armi di sterminio di massa (nucleari o batteriologiche). Questi timori non sono
considerati reali in altri casi. Facciamo qualche esempio
Il terrorismo basco è opera di una sparuta
minoranza del popolo basco che è già una piccola
minoranza della Spagna: colpisce dolorosamente ma
non ha alcun pretesa di espandersi, di minacciare altre
nazioni, si esclude che possa usare armi di sterminio di
massa.
Le Brigate Rosse anche nel momento di maggiore
espansione (sequestro Moro) erano costituite da
qualche migliaio di persone che restavano isolate non
solo nell'ambito della nazione ma anche nella stessa
parte della sinistra estrema alla quale pure facevano riferimento. Si limitavano a colpire qualche personalità
considerata obbiettivo politico, mai hanno compiuto stragi di massa.
Ma il terrorismo islamico (dopo l'11 settembre) sembra essere tutta altra cosa. Supera i confini delle singole
nazioni, va al di la del mondo islamico stesso, intende colpire gli occidentali in generale anche nelle loro
terre, soprattutto potrebbe avere un seguito ampio nelle masse, potrebbe essere sostenuto da Stati
(come avvenuto in Afganistan). Mosso da una cieca fede religiosa non sembra preoccuparsi delle
conseguenze rimettendo tutto nelle mani di quel Dio al quale essi credono di ubbidire: in questa
prospettiva potrebbero arrivare anche a ciò che che più di ogni altro viene temuto: l'uso delle armi
atomiche e batteriologiche che ormai il diffondersi delle conoscenze scientifiche ha reso relativamente
abbastanza agevole costruire .
Il terrorismo islamico
Non è facile darne una definizione perche assume aspetti e caratteri molto diversi. Diciamo che il carattere
che lo distingue è il suicidio religioso. Il combattente islamico porta la strage nell'ambito dei "nemici"
facendosi saltare con l'esplosivo secondo un rituale abbastanza preciso nella prospettiva di raggiungere
immediatamente il paradiso. In Occidente viene denominato impropriamente "kamikaze" ma egli si
considera uno "shaid", termine coranico che significa "martire" nel
significato originale del termine greco . Martiri infatti nel cristianesimo
venivano definiti i "testimoni" della fede cioè coloro che avevano
affrontato la morte per rendere testimonianza della loro fede ma
avrebbero potuto salvarsi semplicemente rinnegandola. Nell'ambito del
Corano tuttavia si considerarono "testimoni" ("shaid" ) quelli che
morivano combattendo contro gli infedeli.
In tempi recenti si è cominciato a parlare di "shaid" al tempo della guerra
fra Iran e Iraq. Giovanissimi iraniani ("pasdaran" cioe "guardiani della
rivoluzione") si cingevano il capo con un nastro sul quale erano scritti dei
versi del corano, avanzavano sui campi minati dove morivano facendo
esplodere le mine: l'esercito regolare poi avanzava su quei varchi aperti
cosi dolorosamente. Quelli che si sacrificavano venivano considerati "shaid", erano onorati ampiamente e
intensamente nell'Iran di Komeini. Non si trattava però di terrorismo: semplicemente di militari che si
immolavano nell'ambito di una guerra regolare.
In seguito però il fenomeno è dilagato e trasformato: lo "Shaid" è una persona che si lascia esplodere
uccidendo indiscriminatamente tutti quelli che sono intorno a lui, considerati comunque nemici.
Al Qaeda
Al Qaeda più che un effettiva organizzazione è divenuta in questi ultimi tempi come una specie di categoria
mentale.
Certamente Bin Laden negli anni scorsi è riuscito in Afganistan a organizzare una ampia serie di campi di
addestramento militare, ha contribuito finanziariamente a tante organizzazione, ha tessuto una rete di
contatti. Ha insomma fatto da cemento a una serie infinita di estremismi islamici nati autonomamente e
dalle mille sfaccettature.
Al Qaeda ha approvato l'attacco dell' 11 settembre, probabilmente ne aveva notizie ma difficilmente può
essere stata l'effettiva organizzatrice. Dopo l'intervento in Afganistan e la caduta del regime dei Talebani,
Bin Laden è ormai un fuggitivo contro il quale si è scatenato la più gigantesca caccia all'uomo che la storia
ricordi: se fino ad ora è riuscito a sfuggire ciò dipende presumibilmente dal fatto che egli se ne sta nascosto
da qualche parte senza fare nulla: se effettivamente dirigesse ancora una organizzazione si dovrebbe
esporre e sarebbe facilmente individuato.
Tuttavia al Qaeda, nel bene e nel male rappresenta, quello che in questa sede noi identifichiamo e
denominiamo propriamente come terrorismo del fondamentalismo islamico e che dagli occidentali viene
percepito come minaccia globale, come pericolo incombente dal quale difendersi
Il terrorismo islamico non è un qualcosa di organico, non esiste un grande vecchio, una "spectra" come nei
film di James Bond che ogni cosa dirige : esiste invece una costellazione di organizzazioni che possono
essere anche piccolissime e che agiscono in modo del tutto incontrollato. Si pensi al caso limite di
Agrigento: un italiano convertito all'Islam da solo cercava di preparare attentati per crearsi un ruolo un
prestigio personale.
L’11 Settembre
Se la lotta è nell'ambito musulmano ci si chiederebbe allora perche si attacca l'Occidente. In effetti la
maggior parte delle lotte si consuma nel mondo mussulmano. Si pensi alla guerra fra Iraq e Iran, alle
decennale e sanguinosa lotta intrapresa dal FIS in Algeria, alle lotte dei Talebani in Afganistan che nel loro
insieme sono costate milioni di morti e si sono consumate più o meno nella indifferenza dell'Occidente che
si ravviva solo se sono in gioco interessi petroliferi (d'altronde comprensibili).
D'altronde anche gli attentati in massima parte avvengono in paesi mussulmani e uccidono in maggioranza
mussulmani: in fondo l'attacco agli Occidentali è un fatto
relativamente eccezionale ma ha un valore altamente simbolico
Esaminiamo l' 11 settembre dal punto di vista degli attentatori: si
voleva dimostrare che poi gli occidentali non erano poi tanto
invincibili, che Allah è sempre il più grande. Nelle istruzione degli
attentatori si dice che tutti i metal detector nulla possono contro la
volontà di Allah che, se vuole, li potrà tutti accecare.
Si colpiscono i simboli dell'America con una regia dei mass media veramente magistrale. Il primo aereo
colpisce una torre, tutto il mondo si collega in diretta e allora ecco il secondo aereo piombare sulla seconda
torre. Per inciso, l'altissimo numero di vittime era imprevisto dagli attentatori perchè nemmeno i pompieri
che intervennero si aspettavano che le torri crollassero completamente . E poi il pentagono colpito,
presumibilmente era previsto anche l'attacco alla Casa Bianca e al Congresso che poi non riuscirono, per la
prima volta il Presidente sul mitico Air Force One progettato in altri tempi per gli attacchi nucleari, tutti gli
aerei in volo fatti atterrare, tutto il paese bloccato in stato di shoc, attanagliato dalla paura non sapendo
che altro avrebbe potuto accadere. Forse la cosa più emblematica , a mio parere, fu la marea enorme di
cittadini di New York che a piedi, senza auto, senza metropolitana che si allontanava a piedi dalle rovine
che continuarono poi a fumare per mesi.
Secoli di sconfitte continue sembravano dimenticate, le facili vittorie vittorie di Napoleone sui
Mammellucchi, o di Lord Kitchner sui Dervisci erano vendicate: dal profondo dell'anima sgorgava il grido
"Allah abkar" (Dio è grande) Solo usando dei temperini pochi uomini coraggiosi avevano inferto un tale
colpo ai nemici dell'Islam: cosa non avrebbero potuto fare migliaia, centinaia di migliaia di veri credenti !
L'america, la rappresentante per eccellenza degli infedeli stava per sprofondare, gridava Bin Laden, sia
benedetto Allah che ha avuto misericordia dei suoi fedeli.
Per noi occidentali è molto difficile capire questa reazione, è vero, perchè viviamo in tutto altro orizzonte
culturale ma è innegabile che ondate paurose di entusiasmo si accendevano in tutto il mondo islamico
All'annuncio degli attentati dell'11 settembre i palestinese scesero nelle vie per festeggiare, all'intervento
americano in Afganistan, folle enormi in Pakistani scersero in piazza a favore di Bin Laden ed erano
fronteggiate da soldati con armi in pugno e nessuno sapeva veramente che cosa sarebbe successo.
Dappertutto dall'Indonesia al Marocco nell'immenso "dar el Islam" il fondamentalismo esplodeva a mala
pena fronteggiato dai governi. Anche in Occidente, in Italia non si trovavano mussulmani che
condannassero esplicitamente gli attentati rifugiandosi in una ambiguità che faceva paura. Con nostra
immenso stupore un non piccolo numero di mussulmani nati e vissuti in Occidente erano pronti a partire
per arruolarsi nelle forze di Bin Laden
La reazione dell’occidente
Tutto l'Occidente condanna senza remore e umanamente il terrorismo islamico ma si divide in due
correnti per quanto riguarda il modo con cui combatterlo: un polo pacifista (legalista, non violento) e uno
interventista - militare
Il polo pacifista ripudia lo strumento della guerra e quindi ogni intervento militare, ritiene che bisogna
lottare con le leggi ordinarie e democratiche anche se applicate in modo rigoroso ed efficiente, che uscire
dalla legalità interna e internazionale sarebbe già dare la vittoria al terrorismo. Si propone in effetti lo
stesso comportamento che ha permesso all'Italia di superare il terrorismo delle Brigate Rosse. A parte le
questioni di principio ritiene soprattutto che ogni azione militare susciterebbe sempre nuovo terrorismo
iniziando una spirale perversa e incontrollabile cosi come è avvenuto in Palestina. Ritiene poi in generale
che le operazioni militari hanno scopi diversi da quelli dichiarati di combattere il terrorismo (controllo delle
fonti energetiche, predominio politico ecc.)
L'Amministrazione USA all'indomani degli avvenimenti dell'11 settembre ha chiaramente e coscientemente
scelta l'opzione militare-interventista per cui in effetti l'opzione pacifista rimane su un piano puramente
teorico senza alcuna possibilità, almeno per il momento, di trovare applicazione.
L'Amministrazione USA ha interpretata l'11 settembre come un attacco all'America paragonabile a quello
di Pearl Harbour e ha ritenuto che ci troviamo in una quarta guerra mondiale ( la terza sarebbe stata
quella contro il comunismo) dichiarata e iniziato dal terrorismo islamico internazionale tanto da richiedere
addirittura l'applicazione della clausola fondamentale della Nato secondo la quale l'attacco a uno qualsiasi
dei suoi aderenti va considerato attacco a tutti i paesi aderenti. La richiesta in seguito, in verità, è stata
lasciata cadere per difficoltà politiche ma è indicativa della prospettiva USA: si tratta di una guerra, anche
se di genere diversa da quelle precedenti ma pur sempre di una guerra globale. Non ritiene che sia
possibile combattere il terrorismo con mezzi comuni democratici perchè esso ha origini in altri paesi,
perchè può avere l'aiuto diretto di governi stranieri.
Ritiene che non è possibile in effetti battere il fondamentalismo senza combatterlo nei paesi mussulmani:
bisogna appoggiare tutti i governi dei paesi islamici contrari al fondamentalismo e abbattere tutti i governi
che lo proteggano. Si teme soprattutto che i governi possano fornire quelle armi di distruzione di massa che
sono il pericolo più terrificante per l'Occidente. Facendo un paragone storico non si è mai riuscito a
eliminare la pirateria dando la caccia al singolo pirata ma solo distruggendo e neutralizzando le basi da cui i
pirati partivano. Quindi in questa prospettiva non ha molto senso il rispetto delle sovranità nazionali, della
non ingerenza in affari interni, le questioni di legalità internazionale come se se ci trovassimo in una
situazione di pace, di normalità.
In questo ambito si colloca l'intervento in Afganistan. Esso è stato contrastato dai pacifisti di ogni paese ma
in effetti nessun governo si è veramente opposto. Telebani e Al qaeda hanno proclamato una resistenza ad
oltranza; in effetti dopo qualche scontro veramente accanito coloro che, secondo i proclami del Mullah
Omar e di Bin Laden avrebbero dovuto combattere fino all'ultimo uomo e infliggere agli americani una
confitta simile a quella che subirono i Russi o almeno grosse perdite si sono dileguati e le fazioni filo
americane si sono installate a Cabul senza troppe difficoltà (anche se episodi di guerriglia non sono mai
cessati ma questi sono del tutto consueti in quel paese.)
Non si trattato di tattica come qualcuno ha pensato da parte dei Talebani e Al Qaeda: il fatto che essi
abbiano lasciato nelle mani dei loro avversari non solo le armi ma anche tutti i documenti mostra
chiaramente che si è trattato di una fuga improvvisa e disordinata. Questo è un fenomeno abbastanza
comune nei movimenti politico religiosi: nel momento in cui si comprende che si profila la sconfitta ci si
rende conto quindi che Dio non interverrà e viene meno la fede che ha sostenuto fino a quel momento.
Faccciamo un paragone con la battaglia di Kartum che abbiamo prima ricordato: dopo i primi momenti di
fuoco, quando i Dervisci videro cadere in pochi minuti oltre 10 mila dei propri uomini realizzarono che la
loro fede nell'intervento di Dio era infondata e non combatterono più e non solo fuggirono ma, cosa del
tutto imprevedibili, cercarono pietà dai loro nemici, invocavano di essere risparmiati. Gli inglesi erano
anche disposti forse a farlo ma, purtroppo, i loro alleati egiziani i cui connazionali erano stati barbaramente
massacrati non intesero ragioni e uccisero tutti i Dervisci che poterono. Si disse che la battaglia di Kartum
più che una battaglia fu una esecuzione di massa. Ciò che è apparso chiaro e che gli americani volevano
mostrare è che in nessun paese sarà permesso la installazione di governi fondamentalisti, che qualsiasi
governo che mostri di non combattere con sufficiente energia e risolutezza il terrorismo fondamentalista
rischia di essere immediatamente rovesciato dai potenti eserciti occidentali. Insomma non sarà permesso a
un altro Komeini di installarsi in qualche paese islamico, e anche in Iran il governo teocratico può anche
essere tollerato a patto che chiaramente non appoggi alcun terrorismo internazionale. E' un ritorno alla
cosi detta politica delle cannoniere dell'età coloniale , è vero, ma non si può negare che essa fu
generalmente molto efficace.
Italia, un paese toccato in modo differente.
Il terrorismo negli ultimi decenni ha interessato pressoché tutti i paesi europei e non solo in modi diversi.
L’Italia è stata teatro, infatti, di numerosi reati legati ad uno specifico tipo di terrorismo, quello estremista
di destra e di sinistra; le altre manifestazioni del terrorismo hanno avuto invece un ruolo minore. E’ il caso
ad esempio del terrorismo indipendentista che trova espressione quasi esclusivamente in relazione alla
questione sud-tirolese e senza mai raggiungere la violenza che questo tipo di terrorismo ha avuto in altri
Paesi, come in Spagna (Paesi Baschi) e in Francia (Corsica e Paesi Baschi). Quanto al terrorismo
internazionale, poi, il nostro Paese ha rappresentato, negli anni, una comoda base logistica, più che un
teatro di battaglia: le ragioni sono molteplici e riguardano sia la posizione geografica dell’Italia, sia la
politica estera nazionale, da sempre aperta al dialogo con il Medio Oriente; una situazione che è tuttavia in
fase di evoluzione, come testimoniano alcuni recenti fatti di cronaca tra i quali lo sventato attento
all’ambasciata statunitense a Roma.
Al contrario, il terrorismo estremista sia “rosso” che “nero” ha costituito per lungo tempo una seria
minaccia per lo Stato italiano.
Il terrorismo eversivo di destra fa la sua comparsa nel 1969 quando numerosi gruppi di ispirazione fascista
tentano di destabilizzare lo Stato attraverso il moltiplicarsi di attentati che ne mettano in evidenza
l’impotenza e l’incapacità di difendere la popolazione: l’obiettivo è di creare una psicosi dell’insicurezza
nella popolazione, perché questa si distacchi dallo Stato. Il primo attentato di questa strategia del terrore è
quello avvenuto il 12 dicembre 1969 contro la Banca dell’Agricoltura in Piazza Fontana a Milano, che causa
16 morti e 88 feriti. Nel corso degli anni settanta, gruppi come “Avanguardia Nazionale”, “Ordine nuovo” e
“Ordine Nero” sono all’origine di azioni particolarmente sanguinose contro treni e stazioni: l’attentato di
Gioia Tauro nel ’70, di Brescia nel ’74, l’esplosione del treno “Italicus” sempre nel ’74, la bomba alla
Stazione di Bologna dell’’80 e l’attentato di S. Benedetto Val di Sambro del Natale 1984. Tutte queste azioni
puntano ad un obiettivo preciso: fare in modo che nessun mezzo di trasporto sia sicuro, ristabilendo un
terrore generalizzato attraverso la paralisi dei trasporti. Alla metà degli anni ottanta questa ondata
terrorista di destra si attenua e alcuni dei responsabili vengono catturati e condannati. Ad oggi, il periodo di
questo tipo di eversione può considerarsi concluso nelle sue forme più eclatanti: restano, tuttavia, alcuni
fatti, anche recenti, che destano preoccupazioni per una possibile riorganizzazione di gruppi di destra non
meno pericolosi.
Diverso, anche se cronologicamente contemporaneo, lo sviluppo dell’eversione di sinistra e del gruppo più
attivo all’interno di questa, le Brigate Rosse. Nate nel 1970, agli esordi le BR non sono che un aggregato di
culture operaie e studentesche unite nel tentativo di organizzare una vera lotta antigerarchica, in
opposizione alla linea dei sindacati, incapaci di organizzare una vera lotta di classe: il movimento punta a
sopprimere il sistema economico capitalista e la sua logica imperialista. La prima fase di questa lotta contro
il sistema non ha risvolti sanguinosi: le azioni terroriste sono dirette contro beni simbolo, oppure al
sequestro di personaggi simbolo (quadri, industriali, magistrati) finalizzato alla loro sottomissione ad un
“processo”; l’arresto dei personaggi di spicco dell’organizzazione pone fine alla prima fase del movimento e
ne apre una nuova con la seconda generazione di brigatisti. L’azione si radicalizza e cambia la strategia: il
nuovo obiettivo è la disgregazione dello Stato attraverso un attacco incessante alle istituzioni e un
inquadramento delle masse popolari. Le Brigate Rosse compiono in questo periodo una serie di azioni di
sangue ai danni di magistrati, poliziotti, giornalisti ed esponenti politici: l’arresto del leader del movimento,
Renato Curcio nel 1976 non ferma la strategia delle BR che anzi prosegue sotto la guida di Mario Moretti e
trova il suo culmine nel 1978 con il sequestro e l’assassinio del presidente del consiglio Aldo Moro. A questo
punto le istituzioni democratiche, sostenute dalla mobilizzazione generale di sindacati, partiti e della stessa
società civile, reagiscono in modo deciso: fallisce innanzitutto la sensibilizzazione delle masse da parte dei
brigatisti, che anzi si trovano isolati ed assistono alla defezione di quanti avevano all’inizio manifestato
simpatie per la vocazione rivoluzionaria e anticapitalista del movimento. L’arresto di Moretti nell’’81 e
Senzani nell’’82 decapitano il movimento che cessa di giocare un ruolo di primo piano nella politica italiana.
Un problema irrisolto resta quello dell’eredità delle BR: negli ultimi quindici anni alcune sporadiche
manifestazioni terroriste si sono in qualche modo richiamate a quell’esperienza, in particolare riguardo
all’omicidio D’Antona, riproponendone sigle ed idee.
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