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terrorismo - Altervista
“TERRORISMO” Il terrorismo è una forma di lotta politica che consiste in una successione di azioni clamorose,violente e premiate come attentati,omicidi,stragi,sequestri,sabotaggi,ai danni di enti quali nazioni ,governi,gruppi etnici o fedi religiose.”C’è atto terroristico allorchè i suoi effetti psicologici sono sproporzionati rispetto ai risultati puramente fisici”.C’è dunque un confronto:da una parte il debole,quello che si considera “guerrigliero”,dall’altra il forte ,lo Stato. I primi,deboli militarmente contano essenzialmente sui danni psicologici inferti ai secondi cercando di far mutare in senso involutivo programmi e posizioni. Potremmo sostenere che il terrorismo è un fenomeno complesso,dalle tante modalità e dalle molte motivazioni. Tra le tante strategie del terrorismo ,spicca l’elemento psicologico ma anche la propaganda armata,l’intimidazione e la propagazione,la “strategia del caos”.Strategie che lo differenziamo dalle altre lotte politiche. Cinque sono le date cruciali che possiamo individuare nella storia del terrorismo:il 1789,il 1968,il 1979,il periodo tra il 1991 e il 1993,l’11 settembre 2001. Nel 1789 c’è in Francia la Rivoluzione. Proprio in questo contesto nasce il termine “Terrore”,che poi attribuirà il nome al fenomeno del terrorismo. Il 1968,invece,segna la comparsa dei movimenti rivoluzionari in America latina e l’uscita del terrorismo sovranazionale moderno. Il 1979 è l’anno della rivoluzione iraniana e l’intervento della Russia in Afghanistan,eventi segnati dall’uscita dei movimenti islamici radicali sciiti e sunniti. Il periodo 1991-1993 corrisponde invece ai mutamenti verificatosi all’interno dell’ Afghanistan «Da strumento della Guerra fredda utilizzato dagli Stati Uniti con il fine di indebolire l'Unione Sovietica, l'islamismo radicale, perseguendo la sua dinamica e i suoi fini, diventa, in parte come conseguenza della guerra in Iraq del 1991, un orientamento politico-militare dalle molteplici ramificazioni». Questi anni coincidono con l'esplosione della Jihad, con la partecipazione delle masse islamiche-radicali alle guerre in Bosnia, Cecenia e nel Kashmir, ma anche l'anno del primo attentato al World Trade Center e del grande proclama di Osama bin Laden, il quale intimò agli Stati Uniti di abbandonare «il sacro territorio d'Arabia», Abbiamo parlato del 1789. Ebbene,come già riferito, proprio in questo periodo nasce un termine che è strettamente collegato all'argomento, anzi fa parte proprio dell'etimologia della parola terrorismo: Terrore. Non appena la rivoluzione in Francia si fece governo, approvando una nuova Costituzione (24 luglio 1793), assieme alla "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino", iniziò la fase sconvolgente segnata appunto dal terrore. Tra i protagonisti dodici uomini: di cui Maximilien François Marie Isidore de Robespierre fu l'elemento trainante. Non appena Robespierre fu eletto capo del Comitato di Salute Pubblica (luglio 1793) fu deciso di adottare il regime di terrore. Robespierre, infatti, sosteneva che il principio fondamentale del governo popolare era la "Virtù". Questa, tuttavia, nella fase rivoluzionaria, doveva inevitabilmente accompagnarsi al "Terrore". Per Robespierre la virtù senza il terrore diveniva impotente. E il terrore, a sua volta, senza la virtù era funesto. Ecco allora comparire nel 1794, per la prima volta, in un supplemento del dizionario dell'Académie Français, il termine "terrorismo" come neologismo per indicare un fenomeno e un periodo storico preciso, ossia quello della Terreur instaurato in Francia dalla primavera del 1793 al 27 luglio del 1794. Per dovere di cronaca, però, occorre evidenziare che prima della Rivoluzione francese, qualcuno già utilizzò il termine terrore. Fu Niccolò Machiavelli che, affascinato dai metodi di governo di Cesare Borgia, scrisse nei Discorsi sulla prima deca di Tito Livio, che per «ripigliare lo Stato», ossia per conservare il potere, fosse necessario periodicamente «mettere quel terrore e quella paura negli uomini che vi avevano messo nel pigliarlo». Negli stessi anni della Rivoluzione francese emersero altri due termini, che poi saranno strettamente collegati al terrorismo: anarchia e anarchico. Con questi termini si voleva contraddistinguere, da destra e da sinistra, l'avversario politico che non ricadeva in nessuna ideologia conosciuta all'epoca. 2. L’attualità del problema Dagli anni sessanta ad oggi il fenomeno terrorismo ha assunto dimensioni a dir poco preoccupanti in ogni parte del mondo. Per comprendere la portata del fenomeno mi pare opportuno riportare alcuni dati forniti dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, in relazione all’andamento del terrorismo negli ultimi anni, sintetizzati nel seguente grafico: Tali dati si riferiscono al quinquennio 1994 – 1999 e riportano il numero di attentati di matrice terrorista verificatisi nei diversi anni nelle differenti aree geografiche del mondo. Da tale statistica possono trarsi alcune osservazioni. Innanzitutto, il fenomeno in esame non ha un andamento costante nel tempo, ma è soggetto ad escursioni, a “picchi”, che possono in qualche caso essere anche molto marcati, come nel caso dell’anno 1995 nell’Europa Occidentale. Ciò significa che in linea generale la strategia terrorista non si manifesta in modo continuativo, ma è soggetta ad ondate su cui influiscono certamente sia la situazione sociale, politica ed economica, ma anche la reazione degli Stati interessati direttamente dal fenomeno che assai spesso costringono i gruppi terroristi a mantenersi in uno stato di relativa latenza. In proposito si noti il brusco calo di azioni terroriste in Europa dopo il biennio 1995/96. Interessante la curva discendente del Medio Oriente in corrispondenza del processo di pace nel conflitto israeliano – palestinese, destinata probabilmente a modificarsi in controtendenza per l’anno 2000 . Non deve poi trarre in inganno il dato relativo al Nord America, dove si registrano appena quindici attentati in cinque anni: non bisogna infatti scordare che la statistica non tiene conto degli obiettivi statuali dell’azione terrorista, bensì esclusivamente del luogo in cui essa si è verificata.. Può ben darsi dunque che uno Stato sia oggetto di un attentato in un altro Stato, attraverso l’attacco di obiettivi simbolici: l’attentato dell’ottobre 2000 contro il cacciatorpediniere americano Cole, di stanza ad Aden, attribuito agli integralisti di Osama Bin Laden, ad esempio, aveva un univoco significato di attacco agli Stati Uniti, benché verificatosi in territorio yemenita. Queste poche notazioni ci pongono dunque di fronte ad un fenomeno di attualità, che interessa in modo particolarmente cruento l’Europa, la quale ha assistito, nel quinquennio di riferimento, a ben 754 attentati di matrice terrorista. Le ragioni sono molteplici: in primo luogo in Europa operano, ed hanno operato in passato, numerose formazioni, sia inserite nel quadro del terrorismo internazionale, sia, al contrario, specifiche dell’area geografica . In secondo luogo, il fatto di essere una crocevia fra Est ed Ovest ha indubbiamente contribuito, in particolare negli anni della Guerra Fredda allo sviluppo di estremismi di opposta tendenza che assai spesso si sono espressi con metodi eversivi. In terzo luogo gli Stati Europei hanno coltivato fino alla seconda guerra mondiale una politica imperialista che, nel momento dello smantellamento delle colonie ha in qualche caso avuto degli strascichi terroristi. In ultimo uno dei fattori, non certo causativi, ma sicuramente agevolativi del terrorismo è rappresentato dalla cultura democratica e garantista dei paesi dell’area (in particolar modo nei confronti dell’estradizione per reati “politici”), oltre che dal processo di unificazione, passato attraverso il riconoscimento della libertà di circolazione nell’Unione. L’Europa, per queste ragioni, rappresenta un osservatorio privilegiato tanto per le manifestazioni quanto per la repressione del terrorismo, giacché, a cominciare dalla seconda metà del novecento, ha conosciuto pressoché tutte le tipologie di terrorismo, da quello separatista a quello politico-estremista, fino al terrorismo internazionale. Da ultimo è legittimo porsi la domanda su quale sia oggi lo stato del terrorismo, ossia se si tratti di un fenomeno in espansione oppure viva una fase di quiescenza. Nel seguente grafico si può osservare l’andamento statistico del terrorismo internazionale nell’ultimo ventennio a livello aggregato: Si può notare immediatamente come la linea di tendenza sia orientata verso una diminuzione del numero degli attentati negli anni più recenti, in particolare rispetto alla metà degli anni ottanta. Tuttavia il fatto che in media nell’ultimo ventennio si siano verificati più di 462 azioni terroriste l’anno, ci porta a riflettere sulla rilevanza del fenomeno che, per quanto numericamente possa apparire poco consistente, porta in sé una potente carica di allarme sociale e talora, specie in alcune aree geografiche come l’Africa, il Sud America e il Sud Est Asiatico, pone in profonda crisi i fondamenti dello Stato, rallentando, attraverso ripetuti focolai di violenza, ogni processo di democratizzazione. Altro fattore importante da valutare è il fatto che in qualche caso il terrorismo goda di appoggi, di vere e proprie sponsorizzazioni, da parte di alcuni Stati; il che comporta evidenti problemi dal punto di vista della repressione dei responsabili nella misura in cui il caso singolo diventa un affare di diritto internazionale. Del resto non si deve sottovalutare il fattore tecnologico che ha aperto nuove prospettive anche nel settore in questione, creando addirittura nuove forme di “attentati”. Un esempio clamoroso è quello del cd. terrorismo informatico o cyber-terrorismo, una forma di eversione che negli ultimi anni ha cominciato a svilupparsi con azioni che hanno avuto una certa risonanza mediatica: nel ’97 ad esempio la rete informatica del Pentagono ha subito più di seicento attacchi, nonostante non sia collegata ad alcuna altra rete pubblica, né alla rete di internet. Un nuovo pericolo, dunque che si caratterizza per due considerazioni; la prima è che questo tipo di terrorismo colpisce in modo più duro gli Stati più sviluppati dal punto di vista tecnologico: tanto più uno Stato è tecnologicamente avanzato, tanto più il terrorismo informatico è potenzialmente distruttivo. La seconda notazione è che i “mezzi” richiesti per porre in essere azioni di questo tipo sono alla portata di chiunque a bassi costi. Inoltre i potenziali obiettivi sono numerosissimi, dai sistemi informatici pubblici (non esclusi quelli militari) a quelli privati, come ad esempio le banche: in alcuni casi la linea di demarcazione tra fenomeni di hackerismo e azioni più propriamente eversive può essere estremamente sottile. In definitiva, dunque ci troviamo di fronte ad un fenomeno che pur essendo numericamente in diminuzione, raggiunge livelli di specializzazione o di organizzazione tali da far riflettere sull’idoneità dei mezzi approntati a livello statuale e internazionale per reprimerla in modo efficace. Si completa così l’evoluzione da un terrorismo di tipo tradizionale (fino alla metà del XX secolo) al terrorismo contemporaneo, con una differenza fra i due fenomeni che non è semplicemente di grado, ma di natura. Le forme del terrorismo. Le espressioni del terrorismo nel nostro continente possono essere raggruppate in tre grandi famiglie con caratteristiche omogenee: in primo luogo il terrorismo a vocazione nazionalista e indipendentista, quindi il terrorismo estremista rivoluzionario e in ultimo il terrorismo intenzionale. • Terrorismo nazionalista e indipendentista. E’ un terrorismo che si caratterizza per essere piuttosto radicato nella realtà socio culturale in cui si sviluppa. Nella maggior parte dei casi nasce a minoranze etniche che subiscano o abbiano subito una dominazione, una persecuzione o una repressione da parte di uno Stato centrale. Elemento essenziale è il sostegno popolare di cui molto spesso gode, almeno a livello di obiettivi di fondo, che quasi sempre si richiamano all’indipendenza più che all’autonomia del territorio in cui è stanziata la minoranza. Gli esempi sono innumerevoli: in Francia la Bretagna, i Paesi Baschi, la Corsica, oltre che i D.O.M. – T.O.M (soprattutto Nuova Caledonia, Guadalupa e Martinica) hanno visto svilupparsi movimenti terroristi; in Gran Bretagna prosegue l’azione dell’IRA per l’indipendenza dell’Ulster; in Spagna l’ETA continua a rivendicare con sempre maggior violenza la causa indipendentista basca. • Terrorismo estremista. Questo tipo di terrorismo conosce due varianti una “rossa” e una “nera”. Analogo l’obiettivo ossia distruggere lo stato democratico, ma con diverse prospettive: la costruzione di una società comunista al posto di un sistema definito “autoritario” per la versione di sinistra, la costruzione di uno stato autoritario di ispirazione fascista per la versione di destra. Entrambe le varianti scontano un debole radicamento sociale, e una visione fortemente utopica della società. Per quanto riguarda l’eversione di sinistra si possono ricordare le Brigate Rosse e Prima Linea in Italia, la Rote Armee Fraktion (in particolare il gruppo Baader Meinhof) in Germania, Action Directe e Gauche Prolétarienne in Francia, le Cellules Comunistes Combattentes in Belgio: tutti questi gruppi, attivi fra la fine degli anni sessanta e i primi anni ottanta1[17], si inserirono in un clima di tensione internazionale ed interna nel tentativo di sovvertire il quadro politico e sociale attraverso la rivoluzione. Di tutt’altro segno, ma non meno violenta fu l’azione dell’eversione di estrema destra: l’O.A.S. nella Francia gaullista, Ordine Nuovo e Ordine Nero in Italia, numerosi gruppi neonazisti in Germania ne sono le manifestazioni più eclatanti. • Terrorismo internazionale. L’idea di un’“Internazionale Terrorista” diretta negli anni passati dal governo sovietico e volta contro le democrazie occidentali appare oggi troppo semplicistica per essere accolta in pieno; di vero c’è che alcuni noti terroristi hanno goduto di potenti appoggi che ne hanno a lungo agevolato la latitanza e gli spostamenti. In realtà il terrorismo cd. internazionale è formato da movimenti che, non trovando riconoscimento né risultati nel proprio territorio, scelgono di colpire le democrazie occidentali sia per ottenere una legittimazione politica a loro all’interno dei propri Stati, sia per contrastare quegli Stati che in vario modo appoggiano le forze a loro antagoniste. Le istanze da cui muovono questi gruppi, concentrati per lo più nella regione del Medio Oriente, sono in realtà piuttosto simili a quelle del terrorismo indipendentista o nazionalista e assumono solo di riflesso una valenza religiosa integralista. A questa categoria appartengono i gruppi estremisti nel conflitto israelo-palestinese, come Abou Nidal, i gruppi filoiraniani responsabili degli attentati del 1986 in Francia, nonché il terrorismo integralista algerino del G.I.A e del F.I.S. responsabili, sempre in Francia di una serie di attentati alla metà degli anni ’90. . Le manifestazioni del terrorismo Analizziamo come agiscano, ossia, quali azioni si manifestino per perseguire i propri obiettivi. In proposito si impone una distinzione fra infrazioni contro i beni e contro le persone. • Infrazioni contro i beni. Fra le modalità espressive dell’azione dei terroristi, le infrazioni contro i beni sono senz’altro le più numerose e prendono la forma di incendi o di distruzioni attraverso l’impiego di esplosivo. Nel primo caso ci troviamo di fronte ad attacchi verso beni o luoghi tanto privati quanto pubblici, che, laddove non ne vengano isolati i moventi propri di un’azione terrorista, possono anche confondersi con la criminalità comune. L’attentato all’esplosivo contro beni patrimoniali è invece considerato il simbolo per eccellenza del terrorismo, per quanto occorra tenerlo distinto dai casi di attentato diretto contro la persona o contro un’insieme di persone: anche qui gli obiettivi possono essere pubblici o privati e vengono scelti come simboli di ciò contro cui si lotta. Un ulteriore infrazione contro i beni è poi costituita dagli attacchi ai sistemi informatici, tanto più gravi quando non si limitino al semplice accesso illecito, ma ne alterino i contenuti o il funzionamento. Infrazioni contro le persone. I reati commessi in danno di persone possono raggrupparsi in due • grandi famiglie. Innanzitutto i reati contro l’integrità fisica delle persone che assumono connotati assai diversi fra loro, dalle lesioni volontarie agli omicidi delle persone ritenute “colpevoli”, fino alle stragi. La seconda famiglia è invece costituita dai reati contro la libertà delle persone, tanto nelle forme del sequestro di persona, quanto nelle forme più elaborate del dirottamento di aeromobili. Tutti i reati contro le persone in generale sono sintomo di un’esasperazione della lotta che passa attraverso maggior spettacolarizzazione delle azioni, con effetti potenzialmente molto destabilizzanti. I Molti Terroristi Nel mondo attuale esistono terrorismi di ogni genere ma solo quello di matrice islamico pare destare preoccupazioni mondiali, provoca interventi armati, muove eserciti potenti. In molti paesi dell'America Latina, dell'Africa e dell'Asia il terrorismo è un fenomeno endemico che raramente raggiunge l'onore delle prime pagine della stampa, che non provoca grossi interventi occidentali e che si confonde comunemente con la guerriglia rivoluzionarie e le infinite lotte etniche. Ma anche nella evoluta Europa non mancano i "terrorismi": basti pensare al terrorismo basco o a quello nostrano delle Brigate Rosse ( e movimenti affini.) Ma si tratta di fenomeni locali, con scarsa incidenza sugli equilibri e gli scenari mondiali: il terrorismo islamico fino a qualche anno fa rientrava in queste categorie . Ma dopo l'11 settembre l'Occidente e il mondo intero si sono sentiti minacciati e soprattutto è nata la preoccupazione più o meno fondata che possano essere usate armi di sterminio di massa (nucleari o batteriologiche). Questi timori non sono considerati reali in altri casi. Facciamo qualche esempio Il terrorismo basco è opera di una sparuta minoranza del popolo basco che è già una piccola minoranza della Spagna: colpisce dolorosamente ma non ha alcun pretesa di espandersi, di minacciare altre nazioni, si esclude che possa usare armi di sterminio di massa. Le Brigate Rosse anche nel momento di maggiore espansione (sequestro Moro) erano costituite da qualche migliaio di persone che restavano isolate non solo nell'ambito della nazione ma anche nella stessa parte della sinistra estrema alla quale pure facevano riferimento. Si limitavano a colpire qualche personalità considerata obbiettivo politico, mai hanno compiuto stragi di massa. Ma il terrorismo islamico (dopo l'11 settembre) sembra essere tutta altra cosa. Supera i confini delle singole nazioni, va al di la del mondo islamico stesso, intende colpire gli occidentali in generale anche nelle loro terre, soprattutto potrebbe avere un seguito ampio nelle masse, potrebbe essere sostenuto da Stati (come avvenuto in Afganistan). Mosso da una cieca fede religiosa non sembra preoccuparsi delle conseguenze rimettendo tutto nelle mani di quel Dio al quale essi credono di ubbidire: in questa prospettiva potrebbero arrivare anche a ciò che che più di ogni altro viene temuto: l'uso delle armi atomiche e batteriologiche che ormai il diffondersi delle conoscenze scientifiche ha reso relativamente abbastanza agevole costruire . Il terrorismo islamico Non è facile darne una definizione perche assume aspetti e caratteri molto diversi. Diciamo che il carattere che lo distingue è il suicidio religioso. Il combattente islamico porta la strage nell'ambito dei "nemici" facendosi saltare con l'esplosivo secondo un rituale abbastanza preciso nella prospettiva di raggiungere immediatamente il paradiso. In Occidente viene denominato impropriamente "kamikaze" ma egli si considera uno "shaid", termine coranico che significa "martire" nel significato originale del termine greco . Martiri infatti nel cristianesimo venivano definiti i "testimoni" della fede cioè coloro che avevano affrontato la morte per rendere testimonianza della loro fede ma avrebbero potuto salvarsi semplicemente rinnegandola. Nell'ambito del Corano tuttavia si considerarono "testimoni" ("shaid" ) quelli che morivano combattendo contro gli infedeli. In tempi recenti si è cominciato a parlare di "shaid" al tempo della guerra fra Iran e Iraq. Giovanissimi iraniani ("pasdaran" cioe "guardiani della rivoluzione") si cingevano il capo con un nastro sul quale erano scritti dei versi del corano, avanzavano sui campi minati dove morivano facendo esplodere le mine: l'esercito regolare poi avanzava su quei varchi aperti cosi dolorosamente. Quelli che si sacrificavano venivano considerati "shaid", erano onorati ampiamente e intensamente nell'Iran di Komeini. Non si trattava però di terrorismo: semplicemente di militari che si immolavano nell'ambito di una guerra regolare. In seguito però il fenomeno è dilagato e trasformato: lo "Shaid" è una persona che si lascia esplodere uccidendo indiscriminatamente tutti quelli che sono intorno a lui, considerati comunque nemici. Al Qaeda Al Qaeda più che un effettiva organizzazione è divenuta in questi ultimi tempi come una specie di categoria mentale. Certamente Bin Laden negli anni scorsi è riuscito in Afganistan a organizzare una ampia serie di campi di addestramento militare, ha contribuito finanziariamente a tante organizzazione, ha tessuto una rete di contatti. Ha insomma fatto da cemento a una serie infinita di estremismi islamici nati autonomamente e dalle mille sfaccettature. Al Qaeda ha approvato l'attacco dell' 11 settembre, probabilmente ne aveva notizie ma difficilmente può essere stata l'effettiva organizzatrice. Dopo l'intervento in Afganistan e la caduta del regime dei Talebani, Bin Laden è ormai un fuggitivo contro il quale si è scatenato la più gigantesca caccia all'uomo che la storia ricordi: se fino ad ora è riuscito a sfuggire ciò dipende presumibilmente dal fatto che egli se ne sta nascosto da qualche parte senza fare nulla: se effettivamente dirigesse ancora una organizzazione si dovrebbe esporre e sarebbe facilmente individuato. Tuttavia al Qaeda, nel bene e nel male rappresenta, quello che in questa sede noi identifichiamo e denominiamo propriamente come terrorismo del fondamentalismo islamico e che dagli occidentali viene percepito come minaccia globale, come pericolo incombente dal quale difendersi Il terrorismo islamico non è un qualcosa di organico, non esiste un grande vecchio, una "spectra" come nei film di James Bond che ogni cosa dirige : esiste invece una costellazione di organizzazioni che possono essere anche piccolissime e che agiscono in modo del tutto incontrollato. Si pensi al caso limite di Agrigento: un italiano convertito all'Islam da solo cercava di preparare attentati per crearsi un ruolo un prestigio personale. L’11 Settembre Se la lotta è nell'ambito musulmano ci si chiederebbe allora perche si attacca l'Occidente. In effetti la maggior parte delle lotte si consuma nel mondo mussulmano. Si pensi alla guerra fra Iraq e Iran, alle decennale e sanguinosa lotta intrapresa dal FIS in Algeria, alle lotte dei Talebani in Afganistan che nel loro insieme sono costate milioni di morti e si sono consumate più o meno nella indifferenza dell'Occidente che si ravviva solo se sono in gioco interessi petroliferi (d'altronde comprensibili). D'altronde anche gli attentati in massima parte avvengono in paesi mussulmani e uccidono in maggioranza mussulmani: in fondo l'attacco agli Occidentali è un fatto relativamente eccezionale ma ha un valore altamente simbolico Esaminiamo l' 11 settembre dal punto di vista degli attentatori: si voleva dimostrare che poi gli occidentali non erano poi tanto invincibili, che Allah è sempre il più grande. Nelle istruzione degli attentatori si dice che tutti i metal detector nulla possono contro la volontà di Allah che, se vuole, li potrà tutti accecare. Si colpiscono i simboli dell'America con una regia dei mass media veramente magistrale. Il primo aereo colpisce una torre, tutto il mondo si collega in diretta e allora ecco il secondo aereo piombare sulla seconda torre. Per inciso, l'altissimo numero di vittime era imprevisto dagli attentatori perchè nemmeno i pompieri che intervennero si aspettavano che le torri crollassero completamente . E poi il pentagono colpito, presumibilmente era previsto anche l'attacco alla Casa Bianca e al Congresso che poi non riuscirono, per la prima volta il Presidente sul mitico Air Force One progettato in altri tempi per gli attacchi nucleari, tutti gli aerei in volo fatti atterrare, tutto il paese bloccato in stato di shoc, attanagliato dalla paura non sapendo che altro avrebbe potuto accadere. Forse la cosa più emblematica , a mio parere, fu la marea enorme di cittadini di New York che a piedi, senza auto, senza metropolitana che si allontanava a piedi dalle rovine che continuarono poi a fumare per mesi. Secoli di sconfitte continue sembravano dimenticate, le facili vittorie vittorie di Napoleone sui Mammellucchi, o di Lord Kitchner sui Dervisci erano vendicate: dal profondo dell'anima sgorgava il grido "Allah abkar" (Dio è grande) Solo usando dei temperini pochi uomini coraggiosi avevano inferto un tale colpo ai nemici dell'Islam: cosa non avrebbero potuto fare migliaia, centinaia di migliaia di veri credenti ! L'america, la rappresentante per eccellenza degli infedeli stava per sprofondare, gridava Bin Laden, sia benedetto Allah che ha avuto misericordia dei suoi fedeli. Per noi occidentali è molto difficile capire questa reazione, è vero, perchè viviamo in tutto altro orizzonte culturale ma è innegabile che ondate paurose di entusiasmo si accendevano in tutto il mondo islamico All'annuncio degli attentati dell'11 settembre i palestinese scesero nelle vie per festeggiare, all'intervento americano in Afganistan, folle enormi in Pakistani scersero in piazza a favore di Bin Laden ed erano fronteggiate da soldati con armi in pugno e nessuno sapeva veramente che cosa sarebbe successo. Dappertutto dall'Indonesia al Marocco nell'immenso "dar el Islam" il fondamentalismo esplodeva a mala pena fronteggiato dai governi. Anche in Occidente, in Italia non si trovavano mussulmani che condannassero esplicitamente gli attentati rifugiandosi in una ambiguità che faceva paura. Con nostra immenso stupore un non piccolo numero di mussulmani nati e vissuti in Occidente erano pronti a partire per arruolarsi nelle forze di Bin Laden La reazione dell’occidente Tutto l'Occidente condanna senza remore e umanamente il terrorismo islamico ma si divide in due correnti per quanto riguarda il modo con cui combatterlo: un polo pacifista (legalista, non violento) e uno interventista - militare Il polo pacifista ripudia lo strumento della guerra e quindi ogni intervento militare, ritiene che bisogna lottare con le leggi ordinarie e democratiche anche se applicate in modo rigoroso ed efficiente, che uscire dalla legalità interna e internazionale sarebbe già dare la vittoria al terrorismo. Si propone in effetti lo stesso comportamento che ha permesso all'Italia di superare il terrorismo delle Brigate Rosse. A parte le questioni di principio ritiene soprattutto che ogni azione militare susciterebbe sempre nuovo terrorismo iniziando una spirale perversa e incontrollabile cosi come è avvenuto in Palestina. Ritiene poi in generale che le operazioni militari hanno scopi diversi da quelli dichiarati di combattere il terrorismo (controllo delle fonti energetiche, predominio politico ecc.) L'Amministrazione USA all'indomani degli avvenimenti dell'11 settembre ha chiaramente e coscientemente scelta l'opzione militare-interventista per cui in effetti l'opzione pacifista rimane su un piano puramente teorico senza alcuna possibilità, almeno per il momento, di trovare applicazione. L'Amministrazione USA ha interpretata l'11 settembre come un attacco all'America paragonabile a quello di Pearl Harbour e ha ritenuto che ci troviamo in una quarta guerra mondiale ( la terza sarebbe stata quella contro il comunismo) dichiarata e iniziato dal terrorismo islamico internazionale tanto da richiedere addirittura l'applicazione della clausola fondamentale della Nato secondo la quale l'attacco a uno qualsiasi dei suoi aderenti va considerato attacco a tutti i paesi aderenti. La richiesta in seguito, in verità, è stata lasciata cadere per difficoltà politiche ma è indicativa della prospettiva USA: si tratta di una guerra, anche se di genere diversa da quelle precedenti ma pur sempre di una guerra globale. Non ritiene che sia possibile combattere il terrorismo con mezzi comuni democratici perchè esso ha origini in altri paesi, perchè può avere l'aiuto diretto di governi stranieri. Ritiene che non è possibile in effetti battere il fondamentalismo senza combatterlo nei paesi mussulmani: bisogna appoggiare tutti i governi dei paesi islamici contrari al fondamentalismo e abbattere tutti i governi che lo proteggano. Si teme soprattutto che i governi possano fornire quelle armi di distruzione di massa che sono il pericolo più terrificante per l'Occidente. Facendo un paragone storico non si è mai riuscito a eliminare la pirateria dando la caccia al singolo pirata ma solo distruggendo e neutralizzando le basi da cui i pirati partivano. Quindi in questa prospettiva non ha molto senso il rispetto delle sovranità nazionali, della non ingerenza in affari interni, le questioni di legalità internazionale come se se ci trovassimo in una situazione di pace, di normalità. In questo ambito si colloca l'intervento in Afganistan. Esso è stato contrastato dai pacifisti di ogni paese ma in effetti nessun governo si è veramente opposto. Telebani e Al qaeda hanno proclamato una resistenza ad oltranza; in effetti dopo qualche scontro veramente accanito coloro che, secondo i proclami del Mullah Omar e di Bin Laden avrebbero dovuto combattere fino all'ultimo uomo e infliggere agli americani una confitta simile a quella che subirono i Russi o almeno grosse perdite si sono dileguati e le fazioni filo americane si sono installate a Cabul senza troppe difficoltà (anche se episodi di guerriglia non sono mai cessati ma questi sono del tutto consueti in quel paese.) Non si trattato di tattica come qualcuno ha pensato da parte dei Talebani e Al Qaeda: il fatto che essi abbiano lasciato nelle mani dei loro avversari non solo le armi ma anche tutti i documenti mostra chiaramente che si è trattato di una fuga improvvisa e disordinata. Questo è un fenomeno abbastanza comune nei movimenti politico religiosi: nel momento in cui si comprende che si profila la sconfitta ci si rende conto quindi che Dio non interverrà e viene meno la fede che ha sostenuto fino a quel momento. Faccciamo un paragone con la battaglia di Kartum che abbiamo prima ricordato: dopo i primi momenti di fuoco, quando i Dervisci videro cadere in pochi minuti oltre 10 mila dei propri uomini realizzarono che la loro fede nell'intervento di Dio era infondata e non combatterono più e non solo fuggirono ma, cosa del tutto imprevedibili, cercarono pietà dai loro nemici, invocavano di essere risparmiati. Gli inglesi erano anche disposti forse a farlo ma, purtroppo, i loro alleati egiziani i cui connazionali erano stati barbaramente massacrati non intesero ragioni e uccisero tutti i Dervisci che poterono. Si disse che la battaglia di Kartum più che una battaglia fu una esecuzione di massa. Ciò che è apparso chiaro e che gli americani volevano mostrare è che in nessun paese sarà permesso la installazione di governi fondamentalisti, che qualsiasi governo che mostri di non combattere con sufficiente energia e risolutezza il terrorismo fondamentalista rischia di essere immediatamente rovesciato dai potenti eserciti occidentali. Insomma non sarà permesso a un altro Komeini di installarsi in qualche paese islamico, e anche in Iran il governo teocratico può anche essere tollerato a patto che chiaramente non appoggi alcun terrorismo internazionale. E' un ritorno alla cosi detta politica delle cannoniere dell'età coloniale , è vero, ma non si può negare che essa fu generalmente molto efficace. Italia, un paese toccato in modo differente. Il terrorismo negli ultimi decenni ha interessato pressoché tutti i paesi europei e non solo in modi diversi. L’Italia è stata teatro, infatti, di numerosi reati legati ad uno specifico tipo di terrorismo, quello estremista di destra e di sinistra; le altre manifestazioni del terrorismo hanno avuto invece un ruolo minore. E’ il caso ad esempio del terrorismo indipendentista che trova espressione quasi esclusivamente in relazione alla questione sud-tirolese e senza mai raggiungere la violenza che questo tipo di terrorismo ha avuto in altri Paesi, come in Spagna (Paesi Baschi) e in Francia (Corsica e Paesi Baschi). Quanto al terrorismo internazionale, poi, il nostro Paese ha rappresentato, negli anni, una comoda base logistica, più che un teatro di battaglia: le ragioni sono molteplici e riguardano sia la posizione geografica dell’Italia, sia la politica estera nazionale, da sempre aperta al dialogo con il Medio Oriente; una situazione che è tuttavia in fase di evoluzione, come testimoniano alcuni recenti fatti di cronaca tra i quali lo sventato attento all’ambasciata statunitense a Roma. Al contrario, il terrorismo estremista sia “rosso” che “nero” ha costituito per lungo tempo una seria minaccia per lo Stato italiano. Il terrorismo eversivo di destra fa la sua comparsa nel 1969 quando numerosi gruppi di ispirazione fascista tentano di destabilizzare lo Stato attraverso il moltiplicarsi di attentati che ne mettano in evidenza l’impotenza e l’incapacità di difendere la popolazione: l’obiettivo è di creare una psicosi dell’insicurezza nella popolazione, perché questa si distacchi dallo Stato. Il primo attentato di questa strategia del terrore è quello avvenuto il 12 dicembre 1969 contro la Banca dell’Agricoltura in Piazza Fontana a Milano, che causa 16 morti e 88 feriti. Nel corso degli anni settanta, gruppi come “Avanguardia Nazionale”, “Ordine nuovo” e “Ordine Nero” sono all’origine di azioni particolarmente sanguinose contro treni e stazioni: l’attentato di Gioia Tauro nel ’70, di Brescia nel ’74, l’esplosione del treno “Italicus” sempre nel ’74, la bomba alla Stazione di Bologna dell’’80 e l’attentato di S. Benedetto Val di Sambro del Natale 1984. Tutte queste azioni puntano ad un obiettivo preciso: fare in modo che nessun mezzo di trasporto sia sicuro, ristabilendo un terrore generalizzato attraverso la paralisi dei trasporti. Alla metà degli anni ottanta questa ondata terrorista di destra si attenua e alcuni dei responsabili vengono catturati e condannati. Ad oggi, il periodo di questo tipo di eversione può considerarsi concluso nelle sue forme più eclatanti: restano, tuttavia, alcuni fatti, anche recenti, che destano preoccupazioni per una possibile riorganizzazione di gruppi di destra non meno pericolosi. Diverso, anche se cronologicamente contemporaneo, lo sviluppo dell’eversione di sinistra e del gruppo più attivo all’interno di questa, le Brigate Rosse. Nate nel 1970, agli esordi le BR non sono che un aggregato di culture operaie e studentesche unite nel tentativo di organizzare una vera lotta antigerarchica, in opposizione alla linea dei sindacati, incapaci di organizzare una vera lotta di classe: il movimento punta a sopprimere il sistema economico capitalista e la sua logica imperialista. La prima fase di questa lotta contro il sistema non ha risvolti sanguinosi: le azioni terroriste sono dirette contro beni simbolo, oppure al sequestro di personaggi simbolo (quadri, industriali, magistrati) finalizzato alla loro sottomissione ad un “processo”; l’arresto dei personaggi di spicco dell’organizzazione pone fine alla prima fase del movimento e ne apre una nuova con la seconda generazione di brigatisti. L’azione si radicalizza e cambia la strategia: il nuovo obiettivo è la disgregazione dello Stato attraverso un attacco incessante alle istituzioni e un inquadramento delle masse popolari. Le Brigate Rosse compiono in questo periodo una serie di azioni di sangue ai danni di magistrati, poliziotti, giornalisti ed esponenti politici: l’arresto del leader del movimento, Renato Curcio nel 1976 non ferma la strategia delle BR che anzi prosegue sotto la guida di Mario Moretti e trova il suo culmine nel 1978 con il sequestro e l’assassinio del presidente del consiglio Aldo Moro. A questo punto le istituzioni democratiche, sostenute dalla mobilizzazione generale di sindacati, partiti e della stessa società civile, reagiscono in modo deciso: fallisce innanzitutto la sensibilizzazione delle masse da parte dei brigatisti, che anzi si trovano isolati ed assistono alla defezione di quanti avevano all’inizio manifestato simpatie per la vocazione rivoluzionaria e anticapitalista del movimento. L’arresto di Moretti nell’’81 e Senzani nell’’82 decapitano il movimento che cessa di giocare un ruolo di primo piano nella politica italiana. Un problema irrisolto resta quello dell’eredità delle BR: negli ultimi quindici anni alcune sporadiche manifestazioni terroriste si sono in qualche modo richiamate a quell’esperienza, in particolare riguardo all’omicidio D’Antona, riproponendone sigle ed idee.