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Sigilli giudiziari sul motel a quattro stelle

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Sigilli giudiziari sul motel a quattro stelle
Gazzetta del Sud 5 Aprile 2008
Sigilli giudiziari sul motel a quattro stelle
Una ricchezza sospetta. Coltivata sulle rive del mare Ionio, nei luoghi dove un
tempo sorgeva una delle più importanti e ricche colonie della Magna Grecia.
Un'area della Calabria divenuta negli anni `80 la base logistico-operativa di un
potente e temuto "locale" di `ndrangheta. E proprio il dubbio che la mafia calabrese
potesse celarsi dietro corposi investimenti immobiliari, ha indotto il questore
Raffaele Salerno a disporre mirate indagini patrimoniali culminate, ieri, in un
maxi-sequestro di beni del valore di circa trentacinque milioni di euro. I sigilli
giudiziari sono stati apposti sul motel a quattro stelle «Sybaris» con l'annesso
villaggio turistico, un ristorante, alcuni appartamenti, terreni, quote sociali relative
a un distributore di carburante. Si tratta di strutture riferibili alla famiglia Costa, di
Sibari, al cui vertice figura Francesco Costa, attualmente detenuto assieme a uno
dei figli, Vincenzo, per usura. Padre e figlio sono indagati nell'operazione
antimafia «Omnia», con cui la scorsa estate la Dda di Catanzaro ha colpito la
presunta cosca Forastefano di Cassano. Ciccio Costa, nel corso degli anni, sarebbe
stato contiguo ai boss Aldo Maritato, Giuseppe Cirillo, Santo Carelli e Leonardo
Forastefano. Tra i beni sequestrati risultano diverse imprese, polizze assicurative,
terreni, automobili di grossa cilindrata tra cui Macerati e diversi magazzini e conti
correnti. I beni sono stati sequestrati, anche ai figli di Costa: Augusto, Vincenzo,
Salvatore e Anna, alla moglie Lidia Seminara, nonchè a Giuditta Bloise, titolare
dell'impresa individuale «Camiceria Costa», moglie di Vincenzo Costa. Nella fase
esecutiva del decreto emanato dal Tribunale Sezione Misure di Prevenzione di
Cosenza (presieduto da Paola Lucente), hanno agito i poliziotti della Questura in
collaborazione con gli agenti del Commissariato di Castrovillari, diretti dal primo
dirigente Luigi Peluso e dal vice-questore Raffaella Pugliese. Il sequestro, deciso ai
sensi della normativa antimafia, segue quello penale disposto dalla Direzione
Distrettuale Antimafia di Catanzaro che si tramuta in confisca solo con la definitiva
condanna dell'indagato. «Il sequestro odierno invece - ha spiegato il questore
Salerno - produce i suoi effetti indipendentemente dalla condanna penale ed è
sufficiente l'accertata ed attuale pericolosità sociale del presunto appartenente alla
consorteria criminale per far sì che i beni vengano confiscati e restituiti allo Stato».
La storia criminale della Sibaritide ha ruotato, per quasi un ventennio, intorno alla
figura carismatica di Giuseppe Cirillo, malavitoso di origine campana. Fu lui a dare
la dignità di cosca mafiosa a un gruppo di delinquenti fino al suo arrivo divisi in
piccole e insignificanti "bande". "Don Peppino" Cirillo è stato l'influente
"mammasantissima" della Sibaritide sino al 1995, quando decise di lasciare la «vita
maledetta» e di svelare ai giudici della Distrettuale segreti e misteri delle
organizzazioni criminali. Cirillo, che è morto in udienza lo scorso anno a
Catanzaro, arrivò sulla foce del Crati a metà degli anni Settanta, forte dell'appoggio
di Francesco Spina, inteso come l’"Avvocato", uomo d'onore legato al boss
reggino Ciccio Canale (arrestato negli anni '70, dopo anni di latitanza, durante un
summit proprio dal questore Salemoy. "Don Peppino" realizzò insediamenti
produttivi e commerciali, costringendo gli imprenditori della zona a subire in
silenzio la sua invadenza. Con Spina e Canale costituì il "locale" di Sibari,
un'organizzazione criminale che godette subito dei favori della cosca De Stefano di
Reggio Calabria e della Nuova Camorra organizzata di Raffaele Cutolo. Quando
Francesco Spina, cominciò ad essere troppo ingombrante e pretese di partecipare a
speculazioni immobiliari in campo turistico, Cirillo ne ordinò l'eliminazione. Con
la scomparsa dell’Avvocato divenne così l'incontrastato padrone di tutta la
Sibaritide e potè contare su una ferrea alleanza stretta con i clan mafiosi di Cirò.
Stanco delle continue ingerenze di Canale, "don Peppino" convinse il cognato,
Mario Mirabile a eliminare pure il vecchio "compare" di Reggio. Ciccio Canale
venne così freddato a Pomezia dove risiedeva in soggiorno obbligato. Mirabile, nel
frattempo, tornò in Campania divenendo l'uomo di riferimento dei cutoliani nel Salernitano. Quando però Cirillo venne costretto a lasciare la Calabria per problemi
giudiziari, Mirabile fece ritorno nella Sibaritide con il preciso obiettivo di assumere
il controllo del clan. Rimase così alla guida del "locale" di Sibari sino all'agosto del
1990, quando gli uomini di Santo Carelli l'assassinarono a Corigliano. L'eliminazione del salemitano sancì il definitivo avvento dei "carelliani" a discapito dei
"cirilliani". Il "locale" di Sibari venne infatti chiuso e fu aperto quello di
Corigliano. Francesco Costa è sopravvissuto alla successiva mattanza.
Arcangelo Badolati
EMEROTECA ASSOCIAZIONE MESSINESE ANTIUSURA ONLUS
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