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La riscoperta dell` “Occhio di Zampirone”
La riscoperta dell’ “Occhio di Zampirone” di Feliciano Bechelli Avevo sette anni. E il morbillo. Mia madre mi regalò il classico Disney fresco di stampa: “Tutti paperi”. C’era una storia che, più di altre, mi colpì. “Zio Paperone e l’occhio di Zampirone”. Era una storia differente dalle altre. Non so cosa la rendeva particolare. Forse era l’atmosfera, forse i personaggi di contorno, forse la trama. Non lo so e, soprattutto, non lo potevo sapere allora. Ma c’era qualcosa che mi colpiva. Insomma, cominciai a chiedere ai miei genitori di comprarmi i classici. E, grazie a qualche amico più grande, andavo a cercare i vecchi numeri. Mi piacevano un po’ tutte le storie. Ben presto imparai a riconoscerle. C’erano quelle con i paperi che emettevano strane goccioline e avevano la lingua che spesso usciva dal becco. C’erano quelle con gli ometti (ometti... si fa per dire!) allungati e strampalati. C’erano quelle che non riuscivi a staccarti dalla lettura grazie al ritmo frenetico che avevano. C’erano quelle di Zio Paperone che si arrabbiava ferocemente con Paperino che a sua volta era ben lesto ad armarsi di battipanni per inseguire Qui Quo Qua. Non sapevo, all’epoca, che erano frutto della fantasia e della matita di artisti come Luciano Gatto, Giorgio Cavazzano, Romano Scarpa, Guido Martina, Giovan Battista Carpi. Però scoprii ben presto una cosa fondamentale. C’erano delle storie che non ti tradivano mai. In genere iniziavano con una vignettona grande che, nella mia ingenuità, ogni tanto andavo a riguardare durante la lettura per vedere se coincideva con un’altra delle vignette piccole. No, accidenti... non coincideva. Però richiamava la storia. Era un po’ un riassunto disegnato: la maestra ci insegnava, a scuola, a fare i riassunti scritti e questo era un vero e proprio riassunto disegnato. Che cosa strana! E poi quelle storie erano così affascinanti. Non erano come tutte le altre, no. C’era sempre un tesoro da scoprire, un popolo esotico con strani abiti e strane usanze. E, spesso, anche strane autovetture e strani marchingegni con i quali i nostri eroi partivano da Paperopoli, tra lo stupore di molti. Ce la farà stavolta Zio Paperone a conquistare quel tesoro, quel diamante, quel pozzo di petrolio? Ma sì. O magari no, chi lo sa? Sicuramente gli accadrà qualcosa di strano. Sapevo che ci sarebbero stati dei personaggi strani in quelle storie che iniziavano sempre con la vignettona: Tobia il vecchio e Tobia il giovane, il professor Balenottero e il professor Augellotto. E strani ed esotici nomi accoppiati a curiose situazioni: Levantizia aurea, i Decumbalioni di Carlotta la Racchia, i Catafurgi di Tamerlano, i guanti di Cagliostro, i pifferi variabili, le montagne trasparenti, gli avvoltoi grifoni, le lucciole anatomiche, i condor gioiellieri. Non mancavano nemmeno gli agganci a Figura 1 I nipotini a consulto da Tobia, da “Zio Paperone e i guanti di Cagliostro”. una realtà di cui sentivo parlare al Telegiornale, ma di cui non riuscivo ad afferrare i contorni: il serpente monetario, la moltiplicazione degli affitti. A dire il vero una storia di quelle che iniziavano con la vignettona era diversa, completamente diversa dalle altre. Fu pure una delle prime che lessi, ma lì per lì non l’associai all’autore. L’avevo recuperata da un vecchio Topolino preso in prestito. Non c’era Zio Paperone che obbligava tutti a inseguire chissà quale tesoro. C’era invece Paperino che si innamorava. Non di Paperina, ma di un’altra. Ma come si permette? Cosa vuole questa? Chi l’ha sciolta? Ahò... non facciamo scherzi! Arrivai alla fine della storia con le lacrime agli occhi. Perché la storia non finiva bene. O meglio sì, finiva bene, perché Paperino in fondo poi la chiudeva lì e si capiva che tornava da Paperina. Però, chissà come mai, ero triste. O meglio, ero contento di averla letta, ma, insomma, c’ero rimasto male per come finiva. In fondo la tipa non era mica antipatica. Per farla breve. Compravo Topolino e le storie con la vignettona iniziale e gli automezzi curiosi e i nomi assurdi erano sempre più rare. Ed io stavo crescendo, ormai i personaggi Disney erano roba per bambini piccoli, mica per me che già andavo alle medie. Diamine! Ho venticinque anni. E sono alla stazione ad aspettare il treno. Mi avvicino all’edicola per comprare qualcosa da leggere. Da una mensola mi strizza l’occhiolino un Grande Classico Disney. Quanto tempo è passato! Lo sfoglio. È un po’ diverso da quelli che leggevo da bambino. Non ci posso credere: Zio Paperone e l’occhio di zampirone. Basta, lo compro. Cioè, compro pure Repubblica... sai com’è... in treno... grande e grosso come sono e leggo Topolino. Ma chi se ne importa, ormai? L’occhio di zampirone, ti rendi conto? E scopro una cosa nuova. Lì, sul dorso della prima pagina, c’è un nome: soggetto di Rodolfo Cimino. Scopro così che l’autore delle storie con la vignettona riassunto – che poi ho scoperto chiamarsi “splash panel” – ha un nome, Rodolfo, e un cognome, Cimino. Provo a immaginarmelo. Come sarà: giovane, anziano? Chi se ne importa? In me scatta una molla. Quella di approfondire. Piano piano riesco a collegare quei nomi, messi in ordine alfabetico sulla seconda di copertina di Topolino quando ero bambino, a dei disegni o a delle storie. Riscopro Rodolfo Cimino. Piano piano inizio ad apprezzarlo anche per altri motivi, che da bambino riuscivo soltanto a percepire: l’umorismo sottile, l’uso dotto delle parole, la costruzione delle frasi, l’ironia nel trattare in paperopolese situazioni di vita reale. Come dimenticare il giudice impietoso che “visti gli articoli e i paragrafi, nonché i commi e i controcommi” riconosce “Paolino Paerino colpevole di abbandono di zio orfano”? Come non sorridere al gioco di parole di un nipotino che esclama “nonostante non sia stata programmata, l’avventura del piffero è in pieno svolgimento”? Ma cos’ha di particolare quest’occhio di Zampirone? Non starò a dilungarmi sulla trama. Dico che ci sono quasi tutte le caratteristiche della narrativa ciminiana. Zio Paperone coinvolge i parenti nella ricerca di un tesoro, un enorme rubino, nascosto in un Paese lontano, nell’alto Tibet. E succede quel che deve succedere dopo aver viaggiato su un “Tapiro Volante” che si muove a “petrolio agricolo”. Incontrano così un Figura 2 La tenuta da viaggio in occasione della ricerca dell’occhio di Zamiprone. “autoctono” alle prese con predoni che portano in testa strani copricapo con un “bubbolo”, ma che non hanno preso in considerazione né gli effetti dell’argilla (“un buon... isolante!”) sugli occhi, né – soprattutto! – la tecnica della “faina tonta”. Ovviamente, i paperi termineranno l’avventura cresciuti dentro, a partire dal vecchio spilorcio che pensava di poter sfruttare le “qualità ipnotiche” del grande rubino. Eccolo, il segreto del grande Cimino. Sai che ci sarà un’avventura in qualche terra lontana e un imprevisto che complicherà il tutto. Ma, al tempo stesso, non sai cosa ti Figura 3 La conclusione della “caccia”. aspetta. Perché, in mezzo a questi canoni che si ripetono, la fantasia dell’autore si è sbizzarrita a creare situazioni indimenticabili, frasi a effetto mai banali che riescono a rendere immediatamente comprensibili anche parole apparentemente poco adatte a un pubblico di bambini. E la capacità di far sognare a occhi aperti i suoi lettori. Grazie, Rodolfo!